A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

28/30 novembre 2014 il Papa in Turchia Visita Apostolica

Ultimo Aggiornamento: 03/12/2014 15:34
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
21/10/2014 14:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

  Le tappe della visita di Francesco in Turchia a novembre




Il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I - AP





21/10/2014



La Sala Stampa vaticana ha reso noti gli appuntamenti che scandiranno la visita apostolica che Papa Francesco compirà in Turchia dal 28 al 30 novembre prossimi.

Prima tappa sarà ad Ankara, dove il Papa giungerà alle 13 di venerdì 28, atteso da una visita al Mausoleo di Atatürk e da una serie di incontri istituzionali con il presidente turco e le autorità del Paese.

La mattina del giorno dopo, 29 novembre, Papa Francesco decollerà alla volta di Istanbul, dove visiterà il Museo di Santa Sofia e la Moschea Sultan Ahmet per poi presiedere la Messa nella Cattedrale dello Spirito Santo, seguita dalla Preghiera ecumenica nella Chiesa Patriarcale di San Giorgio e da un incontro privato con il Patriarca ecumenico ortodosso, Bartolomeo I.

Domenica 30 novembre, Papa Francesco sarà presente alla Divina Liturgia nella Chiesa Patriarcale di San Giorgio, conclusa dalla Benedizione ecumenica e dalla firma della Dichiarazione congiunta con il Patriarca Bartolomeo I. Il rientro a Roma avverrà nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, con atterraggio previsto allo scalo di Ciampino per le 18.40.

La presenza del Papa a Istanbul, il 30 novembre, coincide con la festa di San'Andrea, Patrono della Chiesa di Costantinopoli, giorno in cui una delegazione vaticana è solita prendere parte alle celebrazioni del Patriarcato. In modo analogo, una rappresentanza ortodossa ogni anno è presente a Roma nel giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno. (A.D.C.)



    RICORDIAMO LA VISITA APOSTOLICA DI PAPA BENEDETTO XVI IN TURCHIA NEL 2006 - CLICCARE QUI:





Il Santo Padre: vado in Turchia per superare ostacoli con ortodossi

Papa Francesco con il Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I - REUTERS

24/10/2014

Andrò in Turchia col desiderio di superare “gli ostacoli” che ancora ci separano dagli ortodossi. È quanto ha espresso Papa Francesco ricevendo in udienza i membri dell’“Orientale Lumen Foundation in America”. Senza “rinnovamento interiore”, ha osservato il Papa, non è possibile “un vero dialogo ecumenico”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Tra poco più di un mese, la strada del dialogo cattolico-ortodosso fisserà sul calendario una nuova data-evento. Ancora un volta un incontro, un abbraccio, annullerà fisicamente per qualche istante quella distanza che esiste e resiste da un millennio e che, dal Vaticano II in qua, viene considerata in costante riduzione. Il 30 novembre a Istanbul, il Patriarca di Costantinopoli e il Vescovo di Roma saranno ancora una volta di fronte all’altro e Papa Francesco rivela i suoi sentimenti in vista di quell’incontro. Ai membri dell’“Orientale Lumen – Fondazione americana che porta il nome della Lettera Apostolica che Giovanni Paolo II pubblicò il 2 maggio del ’95, dedicandola proprio all’unità con i cristiani d’Oriente – il Papa confida e affida, attraverso la preghiera, le sue aspettative:

“La visita del vescovo di Roma al Patriarcato Ecumenico ed il nuovo incontro tra il Patriarca Bartolomeo e la mia persona saranno segni del profondo legame che unisce le sedi di Roma e di Costantinopoli e del desiderio di superare, nell’amore e nella verità, gli ostacoli che ancora ci separano”.

Ai membri della Fondazione, guidati in questi giorni di pellegrinaggio romano dal metropolita ortodosso di Diokeia, Kàllistos, Papa Francesco ricorda che il valore spirituale alla base di ogni itinerario geografico ispirato dalla fede è il “rinnovamento interiore”:

“Queste dimensioni sono assolutamente essenziali per procedere anche lungo la strada che porta alla riconciliazione e alla piena comunione tra tutti i credenti in Cristo. Non vi è un vero dialogo ecumenico senza la disponibilità ad un rinnovamento interiore e alla ricerca di una maggiore fedeltà a Cristo e alla sua volontà”.

Un pellegrinaggio, prosegue Papa Francesco, che vuole fare memoria di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. L’esempio di questi due Santi, afferma, “è sicuramente illuminante per tutti noi, perché essi hanno sempre testimoniato un’ardente passione per l’unità dei cristiani”:

“Tra le tante cose che si potrebbero menzionare, che San Giovanni XXIII, nel momento in cui annunciò la convocazione del Concilio Vaticano II, indicò tra le finalità proprio l’unità dei cristiani, e che San Giovanni Paolo II ha dato un notevole impulso all’impegno ecumenico della Chiesa cattolica con la sua Lettera enciclica Ut Unum Sint”.

Al termine dell’udienza, Papa Francesco ha chiesto di pregare per lui, affinché per l’intercessione di suoi due Santi predecessori, possa svolgere il ministero di vescovo di Roma “al servizio della comunione e dell’unità della Chiesa, seguendo in tutto la volontà del Signore”.



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
ALLA DELEGAZIONE DELLA "ORIENTALE LUMEN FOUNDATION" IN AMERICA

Sala dei Papi 
Venerdì, 24 ottobre 2014

 

Cari Fratelli in Cristo,

saluto con affetto tutti i partecipanti al pellegrinaggio ecumenico, promosso dalla Orientale Lumen Foundation e guidato dal Metropolita Kàllistos di Diokleia, che ringrazio per le sue parole. In questi giorni voi fate tappa qui a Roma. Grazie per la vostra presenza.

Ogni pellegrinaggio cristiano è non solo un itinerario geografico, ma soprattutto l’occasione di un cammino di rinnovamento interiore per andare sempre più verso Cristo Signore “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). Queste dimensioni sono assolutamente essenziali per procedere anche lungo la strada che porta alla riconciliazione e alla piena comunione tra tutti i credenti in Cristo. Non vi è un vero dialogo ecumenico senza la disponibilità ad un rinnovamento interiore e alla ricerca di una maggiore fedeltà a Cristo e alla sua volontà.

Sono lieto di apprendere che in questo vostro pellegrinaggio avete scelto di fare memoria dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che sono stati canonizzati lo scorso aprile. Questa scelta sottolinea il loro grande contributo allo sviluppo di rapporti sempre più stretti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. L’esempio di questi due Santi è sicuramente illuminante per tutti noi, perché essi hanno sempre testimoniato un’ardente passione per l’unità dei cristiani, scaturita dal docile ascolto della volontà del Signore, che nell’ultima Cena ha pregato il Padre perché i suoi discepoli “siano una sola cosa” (Gv 17,21).

In questo momento, desidero ricordare soltanto, tra le tante cose che si potrebbero menzionare, che San Giovanni XXIII, nel momento in cui annunciò la convocazione del Concilio Vaticano II, indicò tra le finalità proprio l’unità dei cristiani, e che San Giovanni Paolo II ha dato un notevole impulso all’impegno ecumenico della Chiesa cattolica con la sua Lettera enciclica Ut Unum Sint. Durante questo vostro pellegrinaggio a Roma, cari fratelli, vorrei chiedervi di pregare anche per me, affinché, con l’intercessione di questi due Santi miei predecessori, possa svolgere il mio ministero di vescovo di Roma al servizio della comunione e dell’unità della Chiesa, seguendo in tutto la volontà del Signore.

Nei prossimi giorni, il vostro pellegrinaggio farà tappa al Fanar, dove incontrerete il Patriarca Ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I. Vi prego di trasmettergli i miei cordiali e fraterni saluti insieme all’assicurazione del mio affetto e della mia stima. Come sapete, anch’io mi sto preparando a fare visita al Patriarcato Ecumenico il prossimo novembre in occasione della festa dell’Apostolo Sant’Andrea, in risposta al gentile invito di Sua Santità Bartolomeo I. La visita del vescovo di Roma al Patriarcato Ecumenico ed il nuovo incontro tra il Patriarca Bartolomeo e la mia persona saranno segni del profondo legame che unisce le sedi di Roma e di Costantinopoli e del desiderio di superare, nell’amore e nella verità, gli ostacoli che ancora ci separano.

Augurandovi un buon proseguimento del vostro pellegrinaggio, con abbondanti doni spirituali, vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi imparto la mia Benedizione!



 

[Modificato da Caterina63 24/10/2014 15:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
28/11/2014 17:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN TURCHIA

(28-30 NOVEMBRE 2014)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Ankara
Venerdì, 28 novembre 2014

[Multimedia]


 

Signor Presidente,
Distinte Autorità,
Signore e Signori,

sono lieto di visitare il vostro Paese, ricco di bellezze naturali e di storia, ricolmo di tracce di antiche civiltà e ponte naturale tra due continenti e tra differenti espressioni culturali. Questa terra è cara ad ogni cristiano per aver dato i natali a san Paolo, che qui fondò diverse comunità cristiane; per aver ospitato i primi sette Concili della Chiesa e per la presenza, vicino ad Efeso, di quella che una venerata tradizione considera la “casa di Maria”, il luogo dove la Madre di Gesù visse per alcuni anni, meta della devozione di tanti pellegrini da ogni parte del mondo, non solo cristiani, ma anche musulmani.

Tuttavia, le ragioni della considerazione e dell’apprezzamento per la Turchia non sono da cercarsi unicamente nel suo passato, nei suoi antichi monumenti, ma si trovano nella vitalità del suo presente, nella laboriosità e generosità del suo popolo, nel suo ruolo nel concerto delle nazioni.

È per me motivo di gioia avere l’opportunità di proseguire con voi un dialogo di amicizia, di stima e di rispetto, nel solco di quello intrapreso dai miei predecessori, il beato Paolo VIsan Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dialogo preparato e favorito a sua volta dall’azione dell’allora Delegato Apostolico Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, poi a san Giovanni XXIII, e dal Concilio Vaticano II.

Abbiamo bisogno di un dialogo che approfondisca la conoscenza e valorizzi con discernimento le tante cose che ci accomunano, e al tempo stesso ci permetta di considerare con animo saggio e sereno le differenze, per poter anche da esse trarre insegnamento.

Occorre portare avanti con pazienza l’impegno di costruire una pace solida, fondata sul rispetto dei fondamentali diritti e doveri legati alla dignità dell’uomo. Per questa strada si possono superare i pregiudizi e i falsi timori e si lascia invece spazio alla stima, all’incontro, allo sviluppo delle migliori energie a vantaggio di tutti.

A tal fine, è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione –, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa. La libertà religiosa e la libertà di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell’amicizia, diventando un eloquente segno di pace.

Il Medio Oriente, l’Europa, il mondo attendono questa fioritura. Il Medio Oriente, in particolare, è da troppi anni teatro di guerre fratricide, che sembrano nascere l’una dall’altra, come se l’unica risposta possibile alla guerra e alla violenza dovesse essere sempre nuova guerra e altra violenza.

Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente a causa della mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace! Questo atteggiamento conduce ad utilizzare con lealtà, pazienza e determinazione tutti i mezzi della trattativa, e a raggiungere così concreti obiettivi di pace e di sviluppo sostenibile.

Signor Presidente, per raggiungere una meta tanto alta ed urgente, un contributo importante può venire dal dialogo interreligioso e interculturale, così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo, che umilia gravemente la dignità di tutti gli uomini e strumentalizza la religione.

Occorre contrapporre al fanatismo e al fondamentalismo, alle fobie irrazionali che incoraggiano incomprensioni e discriminazioni, la solidarietà di tutti i credenti, che abbia come pilastri il rispetto della vita umana, della libertà religiosa, che è libertà del culto e libertà di vivere secondo l’etica religiosa, lo sforzo di garantire a tutti il necessario per una vita dignitosa, e la cura dell’ambiente naturale. Di questo hanno bisogno, con speciale urgenza, i popoli e gli Stati del Medio Oriente, per poter finalmente “invertire la tendenza” e portare avanti con esito positivo un processo di pacificazione, mediante il ripudio della guerra e della violenza e il perseguimento del dialogo, del diritto, della giustizia.

Fino ad oggi, infatti, siamo purtroppo ancora testimoni di gravi conflitti. In Siria e in Iraq, in particolar modo, la violenza terroristica non accenna a placarsi. Si registra la violazione delle più elementari leggi umanitarie nei confronti di prigionieri e di interi gruppi etnici; si sono verificate e ancora avvengono gravi persecuzioni ai danni di gruppi minoritari, specialmente - ma non solo -, i cristiani e gli yazidi: centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo.

La Turchia, accogliendo generosamente una grande quantità di profughi, è direttamente coinvolta dagli effetti di questa drammatica situazione ai suoi confini, e la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutarla nel prendersi cura dei profughi. Insieme alla necessaria assistenza umanitaria, non si può rimanere indifferenti di fronte a ciò che ha provocato queste tragedie. Nel ribadire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale, voglio anche ricordare che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare.

E’ necessario un forte impegno comune, basato sulla fiducia reciproca, che renda possibile una pace duratura e consenta di destinare finalmente le risorse non agli armamenti, ma alle vere lotte degne dell’uomo: la lotta contro la fame e le malattie, la lotta per lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia del creato, in soccorso di tante forme di povertà e marginalità che non mancano nemmeno nel mondo moderno.

La Turchia, per la sua storia, in ragione della sua posizione geografica e a motivo dell’importanza che riveste nella regione, ha una grande responsabilità: le sue scelte e il suo esempio possiedono una speciale valenza e possono essere di notevole aiuto nel favorire un incontro di civiltà e nell’individuare vie praticabili di pace e di autentico progresso.

Che l’Altissimo benedica e protegga la Turchia e la aiuti ad essere un valido e convinto artefice di pace! Grazie!

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/11/2014 08:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

VISITA AL PRESIDENTE DEGLI AFFARI RELIGIOSI AL DIYANET


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Ankara
Venerdì, 28 novembre 2014

[Multimedia]



 

Signor Presidente,
Autorità religiose e civili,
Signore e Signori,

E’ per me motivo di gioia incontrarvi oggi, nel corso della mia visita al vostro Paese. Ringrazio il Signor Presidente di questo importante Ufficio per il cordiale invito, che mi offre l’occasione di intrattenermi con leaders politici e religiosi, musulmani e cristiani.

E’ tradizione che i Papi, quando viaggiano in diversi Paesi come parte della loro missione, incontrino anche le autorità e le comunità di altre religioni. Senza questa apertura all’incontro e al dialogo, una visita papale non risponderebbe pienamente alle sue finalità, così come anch’io le intendo, nella scia dei miei venerati Predecessori. In questa prospettiva, sono lieto di ricordare in modo speciale l’incontro che il Papa Benedetto XVI ebbe, in questo medesimo luogo, nel novembre 2006.

Le buone relazioni e il dialogo tra leader religiosi rivestono infatti una grande importanza. Essi rappresentano un chiaro messaggio indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze. Tale amicizia, oltre ad essere un valore in sé, acquista speciale significato e ulteriore importanza in un tempo di crisi come il nostro, crisi che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere popolazioni.

Vi sono infatti guerre che seminano vittime e distruzioni; tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale, all’aria, all’acqua, alla terra.

Veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo. Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro.

In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche.

Alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni. Ciò richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. In particolare, i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei  valori presenti nelle loro rispettive tradizioni.
Noi, Musulmani e Cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno… elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini. Riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà (cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità cattolica di Ankara, 29 novembre 1979).  

Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti. A questo proposito, vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. Ce ne sono due milioni. E’ questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere.

Con soddisfazione ho appreso delle buone relazioni e della collaborazione tra il Diyanet e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Auspico che esse proseguano e si consolidino, per il bene di tutti, perché ogni iniziativa di dialogo autentico è segno di speranza per un mondo che ha tanto bisogno di pace, sicurezza e prosperità. E anche dopo il dialogo con il Signor Presidente, auguro che questo dialogo interreligioso divenga creativo di nuove forme.

Signor Presidente, esprimo nuovamente la mia riconoscenza a Lei e ai Suoi collaboratori per questo incontro, che ricolma il mio cuore di gioia. Sono grato inoltre a tutti voi, per la vostra presenza e per le vostre preghiere che avrete la bontà di offrire per il mio servizio. Da parte mia, vi assicuro che pregherò altrettanto per voi. Il Signore ci benedica tutti.

   




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/11/2014 16:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Messa a Istanbul. Francesco: ascoltare lo Spirito, senza resistenze - Testo Integrale




Il Papa nella Cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul - REUTERS





29/11/2014 



 


Nel pomeriggio Papa Francesco ha celebrato la Messa nella Cattedrale Cattolica dello Spirito Santo a Istanbul. Di seguito il testo integrale dell’omelia del Pontefice:




All’uomo assetato di salvezza, Gesù nel Vangelo si presenta come la fonte a cui attingere, la roccia da cui il Padre fa scaturire fiumi di acqua viva per tutti coloro che credono in Lui (cfr Gv 7,38). Con questa profezia, proclamata pubblicamente a Gerusalemme, Gesù preannuncia il dono dello Spirito Santo che riceveranno i suoi discepoli dopo la sua glorificazione, cioè la sua morte e risurrezione (cfr v. 39).

Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che arricchiscono il popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il corpo di Cristo. Tutta la vita e la missione della Chiesa dipendono dallo Spirito Santo; Lui realizza ogni cosa.

La stessa professione di fede, come ci ricorda san Paolo nella prima Lettura di oggi, è possibile solo perché suggerita dallo Spirito Santo: «Nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3b). Quando noi preghiamo, è perché lo Spirito Santo suscita la preghiera nel cuore. Quando spezziamo il cerchio del nostro egoismo, usciamo da noi stessi e ci accostiamo agli altri per incontrarli, ascoltarli, aiutarli, è lo Spirito di Dio che ci ha spinti. Quando scopriamo in noi una sconosciuta capacità di perdonare, di amare chi non ci vuole bene, è lo Spirito Santo che ci ha afferrati. Quando andiamo oltre le parole di convenienza e ci rivolgiamo ai fratelli con quella tenerezza che riscalda il cuore, siamo stati certamente toccati dallo Spirito Santo.

È vero, lo Spirito Santo suscita i differenti carismi nella Chiesa; apparentemente, questo sembra creare disordine, ma in realtà, sotto la sua guida, costituisce un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi ed esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa.

La moltitudine delle membra e dei carismi trova il suo principio armonizzatore nello Spirito di Cristo, che il Padre ha mandato e che continua a mandare, per compiere l’unità tra i credenti. Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore. La Chiesa e le Chiese sono chiamate a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, ponendosi in un atteggiamento di apertura, di docilità e di obbedienza. E’ Lui che armonizza la Chiesa. Mi viene in mente quella bella parola di San Basilio il Grande: “Ipse harmonia est”. Lui stesso è l’armonia.

Si tratta di una prospettiva di speranza, ma al tempo stesso faticosa, in quanto è sempre presente in noi la tentazione di fare resistenza allo Spirito Santo, perché scombussola, perché smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ed è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo. E anche la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo quando lascia da parte la tentazione di guardare se stessa. E noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito. Egli è freschezza, fantasia, novità.

Le nostre difese possono manifestarsi con l’arroccamento eccessivo sulle nostre idee, sulle nostre forze – ma così scivoliamo nel pelagianesimo –, oppure con un atteggiamento di ambizione e di vanità. Questi meccanismi difensivi ci impediscono di comprendere veramente gli altri e di aprirci ad un dialogo sincero con loro. Ma la Chiesa, scaturita dalla Pentecoste, riceve in consegna il fuoco dello Spirito Santo, che non riempie tanto la mente di idee, ma incendia il cuore; è investita dal vento dello Spirito che non trasmette un potere, ma abilita ad un servizio di amore, un linguaggio che ciascuno è in grado di comprendere.

Nel nostro cammino di fede e di vita fraterna, più ci lasceremo guidare con umiltà dallo Spirito del Signore, più supereremo le incomprensioni, le divisioni e le controversie e saremo segno credibile di unità e di pace. Segno credibile che il nostro Signore è risorto, è vivo. Con questa gioiosa certezza, abbraccio tutti voi, cari fratelli e sorelle: il Patriarca Siro-Cattolico, il Presidente della Conferenza Episcopale, il Vicario Apostolico Mons. Pelâtre, gli altri Vescovi ed Esarchi, i presbiteri e i diaconi, le persone consacrate e i fedeli laici, appartenenti alle differenti comunità e ai diversi riti della Chiesa Cattolica. Desidero salutare con fraterno affetto il Patriarca di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, il Metropolita Siro-Ortodosso, il Vicario Patriarcale Armeno Apostolico e gli esponenti delle Comunità Protestanti, che hanno voluto pregare con noi durante questa celebrazione. Esprimo loro la mia riconoscenza per questo gesto fraterno. Un pensiero affettuoso invio al Patriarca Armeno Apostolico Mesrob II, assicurandogli la mia preghiera.

Fratelli e sorelle, rivolgiamo il nostro pensiero alla Vergine Maria, Santa Madre di Dio. Insieme a Lei, che ha pregato nel cenacolo con gli Apostoli in attesa delle Pentecoste, preghiamo il Signore perché mandi il suo Santo Spirito nei nostri cuori e ci renda testimoni del suo Vangelo in tutto il mondo. Amen!  

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
30/11/2014 00:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

PREGHIERA ECUMENICA


PAROLE DEL SANTO PADRE


Chiesa Patriarcale di San Giorgio, Istanbul
Sabato, 29 novembre 2014

[Multimedia]



 

Santità, Fratello carissimo,

la sera porta sempre con sé un sentimento misto di gratitudine per il giorno vissuto e di trepidante affidamento di fronte alla notte che scende. Questa sera il mio animo è colmo di gratitudine a Dio, che mi concede di trovarmi qui a pregare insieme con Vostra Santità e con questa Chiesa sorella, al termine di una intensa giornata di visita apostolica; e al tempo stesso il mio animo è in attesa del giorno che liturgicamente abbiamo iniziato: la festa di sant’Andrea Apostolo, che di questa Chiesa è il Fondatore e il Patrono.

Attraverso le parole del profeta Zaccaria, il Signore ci ha donato ancora una volta, in questa preghiera vespertina, il fondamento che sta alla base del nostro protenderci tra un oggi e un domani, la salda roccia su cui possiamo muovere insieme i nostri passi con gioia e con speranza; questo roccioso fondamento è la promessa del Signore: «Ecco, io salvo il mio popolo dall’oriente e dall’occidente … nella fedeltà e nella giustizia» (8,7.8).

Sì, venerato e caro Fratello Bartolomeo, mentre Le esprimo il mio sentito “grazie” per la Sua fraterna accoglienza, sento che la nostra gioia è più grande perché la sorgente è oltre, non è in noi, non è nel nostro impegno e nei nostri sforzi, che pure doverosamente ci sono, ma è nel comune affidamento alla fedeltà di Dio, che pone il fondamento per la ricostruzione del suo tempio che è la Chiesa (cfr Zc 8,9). «Ecco il seme della pace» (Zc 8,12); ecco il seme della gioia. Quella pace e quella gioia che il mondo non può dare, ma che il Signore Gesù ha promesso ai suoi discepoli, e ha donato loro da Risorto, nella potenza dello Spirito Santo.

Andrea e Pietro hanno ascoltato questa promessa, hanno ricevuto questo dono. Erano fratelli di sangue, ma l’incontro con Cristo li ha trasformati in fratelli nella fede e nella carità. E in questa sera gioiosa, in questa preghiera vigiliare vorrei dire soprattutto: fratelli nella speranza - e la speranza non delude! Quale grazia, Santità, poter essere fratelli nella speranza del Signore Risorto! Quale grazia – e quale responsabilità – poter camminare insieme in questa speranza, sorretti dall’intercessione dei santi fratelli Apostoli Andrea e Pietro! E sapere che questa comune speranza non delude, perché è fondata non su di noi e sulle nostre povere forze, ma sulla fedeltà di Dio.

Con questa gioiosa speranza, colma di gratitudine e di trepidante attesa, formulo a Vostra Santità, a tutti i presenti, e alla Chiesa di Costantinopoli il mio cordiale e fraterno augurio per la festa del Santo Patrono. E vi chiedo un favore: di benedire me e la Chiesa di Roma.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
30/11/2014 12:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

 


DIVINA LITURGIA


PAROLE DEL SANTO PADRE


Chiesa Patriarcale di San Giorgio, Istanbul 
Domenica, 30 novembre 2014

 

[Multimedia]


 


 

 

 

Santità, carissimo fratello Bartolomeo,

 

molte volte, come arcivescovo di Buenos Aires, ho partecipato alla Divina Liturgia delle comunità ortodosse presenti in quella città, ma trovarmi oggi in questa Chiesa Patriarcale di San Giorgio per la celebrazione del santo Apostolo Andrea, primo dei chiamati e fratello di san Pietro, patrono del Patriarcato Ecumenico, è davvero una grazia singolare che il Signore mi dona.

 

Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee.

 

Questo vale soprattutto per noi cristiani, perché per noi la verità è la persona di Gesù Cristo. L’esempio di sant’Andrea, il quale insieme con un altro discepolo accolse l’invito del Divino Maestro: «Venite e vedrete», e «quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,39), ci mostra con chiarezza che la vita cristiana è un’esperienza personale, un incontro trasformante con Colui che ci ama e ci vuole salvare. Anche l’annuncio cristiano si diffonde grazie a persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate. Ancora una volta l’esempio dell’apostolo Andrea è illuminante. Egli, dopo avere seguito Gesù là dove abitava ed essersi intrattenuto con Lui, «incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù» (Gv 1,40-42). È chiaro, pertanto, che neanche il dialogo tra cristiani può sottrarsi a questa logica dell’incontro personale.

 

Non è un caso, dunque, che il cammino di riconciliazione e di pace tra cattolici ed ortodossi sia stato, in qualche modo, inaugurato da un incontro, da un abbraccio tra i nostri venerati predecessori, il Patriarca Ecumenico Atenagora e Papa Paolo VIcinquant’anni fa, a Gerusalemme, evento che Vostra Santità ed io abbiamo voluto recentemente commemorare incontrandoci di nuovo nella città dove il Signore Gesù Cristo è morto e risorto.

 

Per una felice coincidenza, questa mia visita avviene qualche giorno dopo la celebrazione del cinquantesimo anniversario della promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità di tutti i cristiani, Unitatis redintegratio. Si tratta di un documento fondamentale con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali.

 

In particolare, con quel Decreto la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse «hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli» (n. 15). Conseguentemente, si afferma che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei cristiani di oriente e occidente è di somma importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente, non solo per quello che riguarda le tradizioni liturgiche e spirituali, ma anche le discipline canoniche, sancite dai santi padri e dai concili, che regolano la vita di tali Chiese (cfr nn. 15-16).

 

Ritengo importante ribadire il rispetto di questo principio come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo. Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e della esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse. Tale comunione sarà sempre frutto dell’amore «che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5), amore fraterno che dà espressione al legame spirituale e trascendente che ci unisce in quanto discepoli del Signore.

 

Nel mondo d‘oggi si levano con forza voci che non possiamo non sentire e che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo.

 

La prima di queste voci è quella dei poveri. Nel mondo, ci sono troppe donne e troppi uomini che soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l’alta percentuale di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento dei terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle. Essi ci chiedono non solo di dare loro un aiuto materiale, necessario in tante circostanze, ma soprattutto che li aiutiamo a difendere la loro dignità di persone umane, in modo che possano ritrovare le energie spirituali per risollevarsi e tornare ad essere protagonisti delle loro storie. Ci chiedono inoltre di lottare, alla luce del Vangelo, contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell’indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà.

 

Una seconda voce che grida forte è quella delle vittime dei conflitti in tante parti del mondo. Questa voce la sentiamo risuonare molto bene da qui, perché alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana. Penso con profondo dolore alle tante vittime del disumano e insensato attentato, che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani, che pregavano nella moschea di Kano, in Nigeria. Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo. La voce delle vittime dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra i cattolici ed ortodossi. Del resto, come possiamo annunciare credibilmente il Vangelo di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano ad esistere rivalità e contese? (cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 77).

 

Una terza voce che ci interpella è quella dei giovani. Oggi purtroppo sono tanti i giovani che vivono senza speranza, vinti dalla sfiducia e dalla rassegnazione. Molti giovani, poi, influenzati dalla cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento. Le nuove generazioni non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva la speranza se noi non saremo capaci di valorizzare e trasmettere l’autentico umanesimo, che sgorga dal Vangelo e dall’esperienza millenaria della Chiesa. Sono proprio i giovani – penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé – sono loro che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre – sanno vedere oltre - sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce, che è tanto Santità.

 

Caro fratello, carissimo fratello, siamo già in cammino, in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino. Siamo sicuri che lungo questa strada siamo sorretti dall’intercessione dell’Apostolo Andrea e di suo fratello Pietro, considerati dalla tradizione i fondatori delle Chiese di Costantinopoli e di Roma. Invochiamo da Dio il grande dono della piena unità e la capacità di accoglierlo nelle nostre vite. E non dimentichiamoci mai di pregare gli uni per gli altri.

 

 




BENEDIZIONE ECUMENICA E FIRMA DELLA DICHIARAZIONE CONGIUNTA

Istanbul
Domenica, 30 novembre 2014

[Multimedia]







 

Noi, Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro che ci consente, in presenza dei membri del Santo Sinodo, del clero e dei fedeli del Patriarcato Ecumenico, di celebrare insieme la festa di Sant’Andrea, il primo chiamato ed il fratello dell’Apostolo Pietro. Il nostro ricordo degli Apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono.

In occasione dell’incontro a Gerusalemme dello scorso maggio, nel quale abbiamo ricordato lo storico abbraccio tra i nostri venerabili predecessori Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Atenagora, abbiamo firmato una dichiarazione congiunta. Oggi, nella felice occasione di un ulteriore fraterno incontro, vogliamo riaffermare insieme le nostre comuni intenzioni e preoccupazioni.

Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi.
Vogliamo inoltre sostenere il dialogo teologico promosso dalla Commissione Mista Internazionale, che, istituita esattamente trentacinque anni fa dal Patriarca Ecumenico Dimitrios e da Papa Giovanni Paolo II qui al Fanar, sta trattando attualmente le questioni più difficili che hanno segnato la storia della nostra divisione e che richiedono uno studio attento e approfondito. A tal fine, assicuriamo la nostra fervente preghiera come Pastori della Chiesa, chiedendo ai fedeli di unirsi a noi nella comune invocazione che «tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv  17,21).

Esprimiamo la nostra comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente. Siamo uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione.
Riconoscendo gli sforzi già fatti per offrire assistenza alla regione, ci appelliamo al contempo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono perseguitati e sono stati costretti con la violenza a lasciare le loro case.

Sembra addirittura che si sia perduto il valore della vita umana e che la persona umana non abbia più importanza e possa essere sacrificata ad altri interessi. E tutto questo, tragicamente, incontra l’indifferenza di molti. Come San Paolo ci ricorda: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Questa è la legge della vita cristiana e in questo senso noi possiamo dire che c’è anche un ecumenismo della sofferenza. Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze quotidiane può essere uno strumento efficace di unità. La terribile situazione dei cristiani e di tutti coloro che soffrono in Medio Oriente richiede non solo una costante preghiera, ma anche una risposta appropriata da parte della comunità internazionale.

Le grandi sfide che ha di fronte il mondo nella situazione attuale, richiedono la solidarietà di tutte le persone di buona volontà.
Pertanto, riconosciamo l’importanza anche della promozione di un dialogo costruttivo con l’Islam, basato sul mutuo rispetto e sull’amicizia.
Ispirati da comuni valori e rafforzati da un genuino sentimento fraterno, musulmani e cristiani sono chiamati a lavorare insieme per amore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, specialmente nelle regioni dove essi, un tempo, vissero per secoli in una coesistenza pacifica e adesso soffrono insieme tragicamente per gli orrori della guerra. Inoltre, come leader cristiani, esortiamo tutti i leader religiosi a proseguire e a rafforzare il dialogo interreligioso e a compiere ogni sforzo per costruire una cultura di pace e di solidarietà fra le persone e fra i popoli.

Ricordiamo anche tutti i popoli che soffrono a causa della guerra. In particolare, preghiamo per la pace in Ucraina, un Paese con un’antica tradizione cristiana, e facciamo appello alle parti coinvolte nel conflitto a ricercare il cammino del dialogo e del rispetto del diritto internazionale per mettere fine al conflitto e permettere a tutti gli Ucraini di vivere in armonia. 

I nostri pensieri sono rivolti a tutti i fedeli delle nostre Chiese nel mondo, che salutiamo, affidandoli a Cristo nostro Salvatore, perché possano essere testimoni instancabili dell’amore di Dio. Innalziamo la nostra fervente preghiera a Dio affinché conceda il dono della pace, nell’amore e nell’unità, a tutta la famiglia umana.

«Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi» (2 Ts 3,16).













[Modificato da Caterina63 30/11/2014 22:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
01/12/2014 13:40
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN TURCHIA

(28-30 NOVEMBRE 2014)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE 
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALLA TURCHIA

Volo Papale 
Domenica, 30 novembre 2014

[Multimedia]


 

(Padre Lombardi)

Allora, Santità, grazie mille per essere con noi, grazie mille per questo saluto così cordiale e amichevole che Lei ha voluto fare proprio per tutti, per ognuno di noi. Adesso passiamo alla seconda parte, culturale, quella con le domande. Abbiamo alcune persone che si sono messe in lista e al primo posto noi mettiamo le due colleghe turche, che sono naturalmente interessate, perché le domande noi ci aspettiamo che siano sul viaggio. E’ un viaggio in cui ha fatto tantissime cose, quindi possiamo approfondire molti aspetti. Allora, invito Yasemin a venire per fare la prima domanda. Yasemin è della televisione turca, ha già fatto il viaggio qui con Papa Benedetto, quindi è esperta di viaggi di Papi in Turchia.

(Yasemin Taskin)

Buona sera, Santità. La mia domanda è naturalmente sul viaggio. Il presidente Erdogan ha parlato di “islamofobia”; lei, naturalmente, si è soffermato più su una attuale cristianofobia in Medio Oriente, ciò che succede ai cristiani, alle minoranze. Considerando anche il richiamo al dialogo interreligioso, cosa si può fare di più? Cioè, basta il dialogo interreligioso? Si può andare oltre? E, secondo Lei, cosa devono fare i leader mondiali? Io chiedo questo a Lei perché Lei non è solo il capo spirituale dei cattolici, ma ormai è un leader morale globale, e quindi anche in questo senso vorrei sapere concretamente cosa si può fare, se si può andare oltre …

(Papa Francesco)

Lei ha fatto domande per un libro!… Sul dialogo interreligioso vorrei dire qualcosa, sulla islamofobia e sulla cristianofobia: queste tre cose.

Sull’islamofobia: è vero che davanti a questi atti terroristici, non solo in questa zona ma anche in Africa, c’è una reazione e si dice: “Se questo è l’islam, mi arrabbio!”. E tanti islamici sono offesi, tanti, tanti islamici. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”. Io capisco questo e credo che – almeno io credo, sinceramente – che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi: non si può dire. Come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti, perché anche noi ne abbiamo, in tutte le religioni ci sono questi gruppetti. Io ho detto al Presidente [Erdogan]: “Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader: il leader religioso, il leader accademico, tanti intellettuali, e i leader politici”. Questa è stata la mia risposta. Perché noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”. Questa è la prima cosa.

Cristianofobia: è vero! Non voglio usare parole un po’ addolcite, no. Noi cristiani, ci cacciano via dal Medio Oriente. Alcune volte, come abbiamo visto in Iraq, nella zona di Mosul, devono andarsene e lasciare tutto, o pagare la tassa, che poi non serve… E altre volte ci cacciano via con i guanti bianchi. Per esempio, in uno Stato, una coppia, il marito vive qua, la donna vive là… No, che il marito venga a vivere con la donna. No, no: che la donna lasci e lasci libera la casa. Questo succede in alcuni Paesi. E’ come se volessero che non ci siano più cristiani, che non rimanga niente di cristiano. In quella zona c’è questo. E’ vero, è un effetto del terrorismo, nel primo caso, ma quando si fa diplomaticamente, con i guanti bianchi, è perché c’è un’altra cosa dietro, e questo non è buono.

E terzo, il dialogo interreligioso. Ho avuto forse la conversazione più bella, più bella in questo senso, con il Presidente degli Affari Religiosi e la sua équipe. Già quando è venuto il nuovo Ambasciatore della Turchia, un mese e mezzo fa, a consegnare le Lettere credenziali, ho visto un uomo eccezionale, un uomo di profonda religiosità. E anche il Presidente di quell’ufficio era della stessa scuola. E loro hanno detto una cosa bella: “Adesso sembra che il dialogo interreligioso sia arrivato alla fine. Dobbiamo fare un salto di qualità, perché il dialogo interreligioso non sia solo: - Come pensate voi questo?... Noi questo… - Dobbiamo fare un salto di qualità, dobbiamo fare il dialogo tra persone religiose di diverse appartenenze”. E’ bello questo, perché sono l’uomo e la donna che si trovano con un uomo e una donna e scambiano le loro esperienze: non si parla solo di teologia, si parla di esperienza religiosa. E questo sarebbe un passo avanti bellissimo, bellissimo. Mi è piaciuto tanto, quell’incontro. E’ di alta qualità.

Tornando ai due primi aspetti, soprattutto a quello dell’islamofobia, dobbiamo sempre distinguere qual è la proposta di una religione dall’uso concreto che di quella proposta fa un determinato governo. Forse dice: “Io sono islamico – io sono ebreo – io sono cristiano”. Ma tu governi il tuo Paese non come islamico, non come ebreo, non come cristiano. C’è un abisso. Bisogna fare questa distinzione, perché tante volte si usa il nome, ma la realtà non è quella della religione. Non so se ho risposto…

(Yasemin Taskin)

Grazie, Santità.

(Padre Lombardi)

Ha risposto molto abbondantemente. Adesso Esma [Cakir] vuole venire, la nostra seconda signora turca in questo viaggio. E’ dell’Agenzia di informazione.

(Esma Cakir)

Buona sera, Santità. Qual è il significato di quel momento di preghiera così intenso che ha avuto nella Moschea? E’ stato per Lei, Santo Padre, un modo di rivolgersi a Dio? Quale cosa in particolare vuole condividere con noi?

(Papa Francesco)

Io sono andato lì, in Turchia, sono venuto come pellegrino, non come turista. E sono venuto precisamente, il motivo principale era la festa di oggi: sono venuto proprio per condividerla con il Patriarca Bartolomeo, un motivo religioso. Ma poi, quando sono andato in Moschea, io non potevo dire: “No, adesso sono turista”. No, era tutto religioso. E ho visto quella meraviglia! Il muftì mi spiegava bene le cose, con tanta mitezza, e anche con il Corano, dove si parlava di Maria e di Giovanni il Battista, mi spiegava tutto… In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. E ho detto: “Preghiamo un po’?” – “Sì, sì”, ha detto lui. E io ho pregato: per la Turchia, per la pace, per il muftì… per tutti… per me, che ho bisogno… Ho pregato, davvero… E ho pregato per la pace, soprattutto. Ho detto: “Signore, finiamola con la guerra…”. Così, è stato un momento di preghiera sincera.

(Padre Lombardi)

Adesso chiediamo al nostro ortodosso dell’équipe, che è Alexey Bukalov, uno dei nostri anziani, che ha fatto tantissimi viaggi: lui è russo ed è ortodosso. E allora aveva chiesto di poter fare una domanda, dato che è stato un viaggio in cui i rapporti con gli ortodossi sono stati fondamentali.

(Alexey Bukalov)

Grazie. Grazie, padre Lombardi. Santità, nel ringraziarLa per quello che fa per il mondo ortodosso, voglio sapere: dopo questa visita e dopo questo incontro straordinario con il Patriarca di Costantinopoli, che prospettive ci sono per i contatti con il Patriarcato di Mosca? Grazie.

(Papa Francesco)

Il mese scorso, in occasione del Sinodo, è venuto, come delegato del Patriarca Kirill, Hilarion. Lui ha voluto parlarmi, non come delegato al Sinodo, ma come presidente della Commissione per il dialogo ortodosso-cattolico. Abbiamo parlato un po’.

Prima dirò qualcosa su tutta l’Ortodossia, e poi “arriverò” a Mosca. Io credo che con l’Ortodossia siamo in cammino. Loro hanno i sacramenti, hanno la successione apostolica… siamo in cammino. Che cosa dobbiamo aspettare? Che i teologi si mettano d’accordo? Mai arriverà quel giorno, glielo assicuro, sono scettico. Lavorano bene, i teologi, ma ricordo quello che si diceva che avesse detto Atenagora a Paolo VI: “Noi andiamo avanti da soli e mettiamo tutti i teologi in un’isola, che pensino!”. Io pensavo che fosse una cosa non vera, ma Bartolomeo mi ha detto: “No, è vero, ha detto così”. Non si può aspettare: l’unità è un cammino, un cammino che si deve fare, che si deve fare insieme. E questo è l’ecumenismo spirituale: pregare insieme, lavorare insieme, tante opere di carità, tanto lavoro che c’è… Insegnare insieme… Andare avanti insieme.
Questo è l’ecumenismo spirituale. Poi c’è l’ecumenismo del sangue, quando ammazzano i cristiani; abbiamo tanti martiri… incominciando da quelli in Uganda, canonizzati 50 anni fa: erano metà anglicani, metà cattolici; ma quelli [che li hanno uccisi] non hanno detto: “Tu sei cattolico… Tu sei anglicano…”. No:  “Tu sei cristiano”, e il sangue si mischia. Questo è l’ecumenismo del sangue. I nostri martiri ci stanno gridando: “Siamo uno! Già abbiamo un’unità, nello spirito e anche nel sangue”. Io non so se qui ho raccontato quell’aneddoto di Amburgo, del parroco di Amburgo…
L’ho raccontato? Quando io ero in Germania, sono dovuto andare ad Amburgo per fare un battesimo. E il parroco portava avanti la causa di canonizzazione di un sacerdote che è stato ghigliottinato dai nazisti perché insegnava la catechesi ai bambini. E a un certo punto, nel fare quello studio, ha scoperto che dietro di lui, nella fila, c’era un pastore luterano, condannato alla ghigliottina per lo stesso motivo. Il sangue di loro due si è mischiato. E questo parroco è andato dal vescovo e ha detto: “Io non vado avanti in questa causa solo per il prete: o per tutti e due o per nessuno!”. Questo è l’ecumenismo del sangue, che ci aiuta tanto, ci dice tanto. E credo che dobbiamo andare coraggiosamente su questo cammino. Sì, condividere le cattedre universitarie, si fa, ma avanti, avanti...

Dirò una cosa che forse qualcuno non può capire, ma… Le Chiese cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve trovare un’altra strada.

Adesso, “atterriamo” a Mosca. Con il Patriarca Kirill… io gli ho fatto sapere, e anche lui è d’accordo, c’è la volontà di trovarci. Gli ho detto: “Io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo”; e anche lui ha la stessa volontà.
Ma in questi ultimi tempi, con il problema della guerra, il poveretto ha tanti problemi lì, che il viaggio e l’incontro con il Papa è passato in secondo piano. Ma tutti e due vogliamo incontrarci e vogliamo andare avanti. Hilarion ha proposto, per una riunione di studio che ha questa Commissione in cui lui presiede la delegazione della Chiesa ortodossa russa, di approfondire il tema del Primato, perché si deve portare avanti quella domanda che aveva fatto Giovanni Paolo II: “Aiutatemi a trovare una forma di Primato su cui possiamo andare d’accordo”. Questo è quello che posso dirLe.

(Alexey Bukalov)

Grazie, Santità.

(Papa Francesco)

Grazie a Lei.

(Padre Lombardi)

Grazie mille. Allora, adesso chiamiamo Mimmo Muolo, per il gruppo italiano, il giornalista di “Avvenire”.

(Mimmo Muolo)

Buona sera, Santità.

(Papa Francesco)

Stai bene?

(Mimmo Muolo)

Bene, grazie. Santità, sono onorato di farLe questa domanda a nome dei giornalisti italiani. Mi ha colpito una frase che Lei ha detto questa mattina durante la Divina Liturgia: “Voglio assicurare a ciascuno di voi che per giungere alla meta sospirata della piena unità la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza”. Vorremmo che Lei ci spiegasse di più questa frase, se è possibile, e se riguardava appunto il problema del Primato a cui Lei accennava prima.

(Papa Francesco)

Quella non è un’esigenza: è un accordo, perché anche loro lo vogliono; è un accordo per trovare una forma che sia più conforme a quella dei primi secoli.
Una volta ho letto una cosa che mi ha fatto pensare. Fra parentesi, quello che io sento di più profondo in questo cammino dell’unità è l’omelia che ho fatto ieri, sullo Spirito Santo. Soltanto il cammino dello Spirito Santo è quello giusto, perché Lui è sorpresa, Lui ci farà vedere dov’è il punto; è creativo… Il problema – questo forse è un’autocritica, ma è più o meno quello che ho detto nelle congregazioni generali prima del Conclave – la Chiesa ha il difetto, l’abitudine peccatrice, di guardare troppo se stessa, come se credesse di avere luce propria. Ma guarda: la Chiesa non ha luce propria. Deve guardare Gesù Cristo! La Chiesa, i primi Padri la chiamavano “mysterium lunae”, il mistero della luna, perché? Perché dà luce, ma non propria, è quella che viene dal sole. E quando la Chiesa guarda troppo se stessa, vengono le divisioni. Ed è quello che è successo dopo il primo millennio.
Oggi a tavola, parlavamo del momento, di un posto - non ricordo quale - dove un cardinale è andato a dare la scomunica del Papa al Patriarca: ha guardato se stessa, in quel momento, la Chiesa! Non ha guardato Gesù Cristo. E io credo che tutti questi problemi che vengono tra di noi, tra i cristiani - almeno parlo della nostra Chiesa cattolica - vengono quando guarda se stessa: diventa autoreferenziale.
Oggi Bartolomeo ha usato una parola che non è “autoreferenziale” ma assomigliava abbastanza, molto bella … non la ricordo adesso, ma molto bella, molto bella [il termine, tradotto in italiano, era “introversione”]. Loro accettano il Primato: nelle Litanie, oggi, hanno pregato per il “Pastore e Primate”. Come dicevano? “Ποιμένα καί Πρόεδρον”, “Colui che presiede…”.
Lo riconoscono, lo hanno detto oggi, davanti a me. Ma per la forma del Primato, dobbiamo andare un po’ al primo millennio per ispirarci. Non dico che la Chiesa ha sbagliato, no. Ha fatto la sua strada storica. Ma adesso la strada storica della Chiesa è quella che ha chiesto san Giovanni Paolo II: “Aiutatemi a trovare un punto d’accordo alla luce del primo millennio”. Il punto chiave è questo. Quando si rispecchia in se stessa, la Chiesa rinuncia ad essere Chiesa per essere una “Ong teologica”.

(Padre Lombardi)

Grazie, Santità. Adesso invitiamo la nostra amica Irene Hernández Velasco, che è di “El Mundo”, e che è al suo ultimo viaggio, perché poi viene trasferita… a Parigi…, e quindi a lei la parola.

(Irene Hernández Velasco)

Grazie Santità. Io volevo chiederLe dell’inchino storico, che ieri ha fatto di fronte al Patriarca di Costantinopoli. Soprattutto vorrei sapere come pensa di affrontare le critiche di quelli che forse non capiscono questi gesti di apertura, soprattutto quelli dell’area un po’ ultraconservatrice, che guardano sempre con un po’ di sospetto questi suoi gesti di apertura…

(Papa Francesco)

Mi permetto di dire che questo non è un problema solo nostro: è anche un problema loro [degli ortodossi].
Loro hanno il problema di alcuni monaci, di alcuni monasteri che sono su questa strada. Per esempio, un problema che dal tempo del beato Paolo VI si discute, è la data della Pasqua. E non ci mettiamo d’accordo! Perché farla nella data della prima luna dopo il 14 Nisan ha il pericolo che con gli anni va avanti, avanti e avremmo il rischio – i nostri pronipoti – di celebrarla ad agosto!
E dobbiamo cercare… Il beato Paolo VI ha proposto una data fissa, una domenica di aprile, concordata. Bartolomeo è stato coraggioso, per esempio, in due casi - ne ricordo uno, ma ce n’è un altro. In Finlandia, alla piccola comunità ortodossa, lui ha detto: “Festeggiate la Pasqua con i luterani, nella data dei luterani”, perché in un Paese di minoranza cristiana non ci siano due Pasque. Ma anche gli orientali cattolici… Ho sentito una volta a tavola, in Via della Scrofa… si preparava la Pasqua nella Chiesa cattolica, e c’era un orientale cattolico che diceva: “Ah no, il nostro Cristo risuscita un mese dopo! Il tuo Cristo risuscita oggi?” – E l’altro: “Il tuo Cristo è il mio Cristo”. La data della Pasqua è importante.
Ci sono le resistenze a questo, da parte loro e da parte nostra. Questi gruppi conservatori… dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, di catechizzare, di dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare. Perché tu non puoi annullare una persona dicendo: “Questo è un conservatore”. No. Questo è figlio di Dio tanto quanto me. Ma tu vieni, parliamo. Se lui non vuole parlare è un problema suo, ma io ho rispetto. Pazienza, mitezza e dialogo.

(Padre Lombardi)

Grazie, Santità. E invitiamo Patricia Thomas, della AP, che fa la domanda a nome del gruppo americano. E’ una grande viaggiatrice con il Papa, rappresenta il pool delle televisioni americane.

(Patricia Thomas)

Salve. Vorrei fare una domanda sul Sinodo, se mi permette. Durante il Sinodo c’è stata un po’ di polemica sul linguaggio, per come la Chiesa dovrebbe trattare gli omosessuali. Il primo documento parlava di accogliere i gay e parlava molto positivamente di loro. Lei è d’accordo con questo linguaggio?

(Papa Francesco)

Prima dirò una cosa: io vorrei che il tema principale delle vostre notizie sia questo viaggio. Ma io risponderò, risponderò, tranquilla. Ma che non venga forse che questo più éclatant: la gente ha bisogno di essere informata sul viaggio. Ma ti risponderò. Il Sinodo è un percorso, è un cammino. Primo.
Secondo: il Sinodo non è un parlamento.
E’ uno spazio protetto perché possa parlare lo Spirito Santo. Tutti i giorni si faceva quel briefing con Padre Lombardi e altri padri sinodali, che dicevano cosa si era detto in quel giorno. Erano cose contrastanti, alcune. Poi, alla fine di questi interventi, è stata fatta quella bozza, che è la prima relatio. Poi questa è stata documento di lavoro per i gruppi linguistici che hanno lavorato su di esso, e poi hanno dato i loro apporti che sono stati resi pubblici: erano nelle mani di tutti i giornalisti. Cioè, come questo gruppo linguistico - inglese, spagnolo, francese, italiano - ha visto ogni parte di quella [prima relazione]. Tra cui anche quella parte che dice Lei.
Poi, tutto è tornato alla commissione redattrice e questa commissione ha cercato di inserire tutti gli emendamenti. Ciò che è sostanziale rimane, ma tutto deve essere ridotto, tutto, tutto. E quello che è rimasto di sostanziale è nella relazione finale. Ma non finisce lì: anche questa è una redazione provvisoria, perché è diventata i “Lineamenta” per il prossimo Sinodo.
Questo documento è stato inviato alle Conferenze episcopali, che devono discuterlo, inviare i loro emendamenti; poi si fa un altro “Instrumentum laboris” e poi l’altro Sinodo ne farà delle sue. E’ un percorso. Per questo non si può prendere un’opinione, di una persona o di una bozza. Il Sinodo dobbiamo vederlo nella sua totalità. Io non sono neanche d’accordo – ma questa è un’opinione mia, non voglio imporla – non sono d’accordo che si dica: “Oggi questo padre ha detto questo, oggi questo padre ha detto quello”. No, si dica che cosa è stato detto, ma non chi l’ha detto, perché – ripeto – non è un parlamento, il Sinodo, è uno spazio ecclesiale protetto, e questa protezione è perché lo Spirito Santo possa lavorare. Questa è la mia risposta.

(Padre Lombardi)

Grazie, Santità. E allora, adesso passiamo la parola a Antoine-Marie Izoard, invece, del gruppo francese.

(Antoine-Marie Izoard)

Santità, innanzitutto direi che le famiglie di Francia, i fedeli La aspettano, con tanta gioia.

Lei è riuscito a passare poco tempo con i rifugiati, questo pomeriggio. E allora, perché non è stato possibile durante questo viaggio, visitare un campo? E ancora, se Lei pensa gentilmente di poterci dire se pensa di potere andare presto in Iraq?

(Papa Francesco)

Sì. Io volevo andare in un campo, e il Dr. Gasbarri ha fatto tutti i calcoli, ha fatto di tutto, ma ci voleva un giorno in più, e non era possibile. Non era possibile per tante ragioni, non solo personali. E allora ho chiesto ai Salesiani che lavorano con i ragazzi rifugiati, di portarli. E sono stato con loro prima di andare a visitare l’Arcivescovo armeno malato all’ospedale e poi all’aeroporto, alla fine. E ho avuto un dialogo con loro. E qui approfitto per ringraziare il governo turco: è generoso, è generoso. Io ho dimenticato il numero di rifugiati che ha…

(Alberto Gasbarri)

Sono circa un milione in tutto il Paese.

(Papa Francesco)

Un milione! Ma tu sai cosa significa un milione di persone che ti vengono lì e tu devi pensare alla loro salute, alla loro alimentazione, a dare un letto, una casa… E’ stato generoso. E voglio pubblicamente ringraziarlo. E poi, l’altra domanda?...

(Antoine-Marie Izoard)

L’Iraq.

(Papa Francesco)

Sì. In Iraq io voglio andare. Ho parlato con il Patriarca Sako, ho inviato il Cardinale Filoni, e per il momento non è possibile. Non solo perché io non voglio. Se in questo momento io andassi, ciò creerebbe un problema abbastanza serio alle autorità, di sicurezza… Ma mi piacerebbe tanto e lo voglio. Grazie.

(Padre Lombardi)

Abbiamo ancora due domande per concludere il giro che avevamo previsto. Thomas Jansen, per il gruppo tedesco, e Hiroshi Isida, il giapponese. Invito Thomas a venire.

(Thomas Jansen)

Santo Padre, qualche giorno fa ha visitato il Parlamento Europeo a Strasburgo: ha parlato anche con il presidente Erdogan sull’Unione Europea e l’entrata della Turchia?

(Papa Francesco)

No, di questo tema non abbiamo parlato con Erdogan. E’ curioso: abbiamo parlato di tante cose, ma di questo non abbiamo parlato.

(Padre Lombardi)

Allora, Hiroshi Ishida: quindi, andiamo in Asia.

(Hiroshi Ishida)

Santità, sono lieto di fare la domanda in rappresentanza dei giornalisti giapponesi. Per me, questo viaggio sarà l’ultimo in cui potrò seguirLa perché a gennaio tornerò in Giappone. Ma l’aspetterò con gioia il prossimo anno a Nagasaki con i fedeli. Quindi vorrei chiederLe, a proposito della “terza guerra mondiale” e delle armi nucleari: Lei, durante la cerimonia tenuta a settembre a Redipuglia ha detto che probabilmente la terza guerra mondiale è già combattuta “a pezzi” in tutto il mondo. Il prossimo anno sarà il 70.mo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, nonché della tragedia della bomba atomica di Hiroshima e di Nagasaki. Tuttora nel mondo vi sono numerose armi nucleari. Cosa pensa della tragedia di Hiroshima e Nagasaki, e come pensa che noi esseri umani dovremmo comportarci con queste armi nucleari e con la minaccia delle radiazioni? Grazie.

(Papa Francesco)

Io devo dire due cose.

Primo: è un’opinione personale, ma sono convinto che noi stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi, a capitoli, dappertutto. Dietro questo ci sono inimicizie, problemi politici, problemi economici – non solo, ma ce ne sono tanti, per salvare questo sistema dove il dio denaro è al centro, e non la persona umana – e commerciali. Il traffico delle armi è terribile, è uno degli affari più forti in questo momento. E per questo io credo che si moltiplica questa realtà, perché si danno le armi. Penso all’anno scorso in settembre, quando si diceva che la Siria avesse le armi chimiche. Io credo che la Siria non fosse in grado di produrre le armi chimiche. Chi gliele ha vendute? Forse alcuni degli stessi che l’accusavano di averne? Non so. Ma su questo affare delle armi c’è tanto mistero.

Secondo. L’energia atomica. E’ vero: l’esempio di Hiroshima e di Nagasaki… L’umanità non ha imparato, non ha imparato. E’ incapace di apprendere l’elementare, in questo argomento. Dio ci ha dato il creato perché noi di questa “in-cultura” primordiale facessimo “cultura”. La possiamo portare avanti. E l’uomo l’ha fatto, ed è arrivato anche all’energia nucleare, che può servire per tante cose, ma la utilizza anche per distruggere il creato, l’umanità. E questa diventa una seconda forma di “in-cultura”: quell’in-cultura primordiale che l’uomo doveva trasformare in cultura diventa un’altra in-cultura, la seconda. E questa è un’in-cultura - non voglio dire la fine del mondo - ma è un’in-cultura terminale. Poi si dovrà ricominciare da capo, ed è terribile come le vostre due città hanno dovuto ricominciare daccapo.

(Padre Lombardi)

Allora, facciamo un’ultima domanda con la Giansoldati che si era iscritta per il gruppo italiano e poi dopo concludiamo.

(Franca Giansoldati)

Santità, Lei è reduce da questo viaggio in Turchia. Non ho sentito nulla sugli armeni. L’anno prossimo sarà il centenario del genocidio degli armeni e il governo turco ha una posizione negazionista. Volevo sapere cosa pensa di questo. E Lei prima ha parlato anche del martirio del sangue che richiama direttamente quello che è accaduto qui e che è costato la vita a un milione e mezzo di persone.

(Papa Francesco)

Grazie. Io oggi sono andato all’ospedale armeno a visitare l’Arcivescovo armeno che è lì, ammalato da tempo, da tanto tempo… Ho avuto contatti, in questo viaggio, con gli armeni. Il governo turco ha fatto un gesto, l’anno scorso: l’allora primo ministro Erdogan ha scritto una lettera nella data di questa ricorrenza; una lettera che alcuni hanno giudicato troppo debole, ma è stata – a mio giudizio – grande o piccolo, non so, un tendere la mano.
E questo è sempre positivo.
Io posso allungare la mano così o posso allungare la mano così, aspettando cosa mi dice l’altro per non mettermi in imbarazzo. E questo è positivo, quello che ha fatto l’allora primo ministro. Una cosa che a me sta molto a cuore è la frontiera turco-armena: se si potesse aprire, quella frontiera, sarebbe una cosa bella! So che ci sono problemi geopolitici nella zona, che non facilitano l’apertura di quella frontiera. Ma dobbiamo pregare per la riconciliazione dei popoli. So anche che c’è buona volontà da ambedue le parti – così credo – e dobbiamo aiutare perché che questo si faccia.
L’anno prossimo sono previsti tanti atti commemorativi di questo centenario, ma speriamo che si arrivi su una strada di piccoli gesti, di piccoli passi di avvicinamento. Questo è quello che mi viene da dire in questo momento. Grazie.

(Padre Lombardi)

Grazie mille, Santità. Grazie di questa amplissima conferenza, di questa conversazione estremamente serena, che ha dato a tutti noi grande gioia e grande pace, devo dire. Per concludere, volevo chiederLe solo se dice due parole di augurio per la KTO, che è la televisione cattolica francese, che festeggia i 15 anni di vita.

(Papa Francesco)

La KTO… Un cordiale saluto, un cordiale saluto e i miei migliori auguri che vada avanti per aiutare a capire bene le cose che accadono nel mondo. Tanti auguri, e che il Signore vi benedica.

E vi ringrazio per la vostra amabilità, e per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Ne ho bisogno. Grazie.

(Padre Lombardi)

Grazie mille a Lei, Santità, veramente, di questo dono.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/12/2014 00:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

<header class="entry-header">

  Francesco-Bartolomeo: bei gesti, nessun vero passo avanti


</header>

I gesti di cordialità e di rispetto per il Papa da parte del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, sono una notizia positiva. Ma la dottrina sullo Spirito Santo e la questione del primato nella Chiesa restano i veri nodi che impediscono la piena unità. E su questi le parole di Bartolomeo non segnano alcun progresso reale. La giurisdizione del vescovo di Roma deriva dal dogma e non può essere accantonata senza commettere un grave peccato contro la fede.

di monsignor Antonio Livi

Gli echi di stampa a commento dell’incontro del Papa con il patriarca Bartolomeo a Istanbul hanno fatto sperare i cristiani sensibili alle esigenze dell’ecumenismo che ci sia stato un altro importante passo avanti in direzione della ricomposizione dell’unità tra tutti i credenti in Cristo. Ma, oltre ai commenti giornalistici, che hanno i loro insuperabili limiti intrinseci (vedi quanto ho scritto recentemente sul blog www.isoladipatmos.com), l’opinione pubblica cattolica ha diritto ad avere anche qualche commento rigorosamente teologico.

Papa Francesco e il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I.

Francesco I e Bartolomeo I.

Il tema dell’ecumenismo è infatti facilmente strumentalizzabile da chi, più che la fede professata e vissuta dai cristiani, è interessato ai processi socio-politici connessi alle “relazioni esterne” tra la Chiesa Cattolica e le altre comunità cristiane. Mentre quella – la fede professata e vissuta dai cristiani – richiede che il discorso sia sempre rapportata alla verità della rivelazione divina, queste – le “relazioni esterne” tra la Chiesa Cattolica e le altre comunità cristiane (in questo caso, il variegato mondo dell’Ortodossia) – possono essere presentate sotto il profilo dei buoni rapporti istituzionali tra le diverse autorità religiose della nostra Europa e del Vicino Oriente. E questo profilo, indubbiamente importante per i sociologi e gli analisti delle vicende geopolitiche dell’attualità, è di scarso interesse per un credente.

Per di più, pochi, tra i lettori di giornali e tra i teleascoltatori hanno avuto modo di essere illuminati su che cosa sia davvero l’ecumenismo e a quali risultati si spera possa condurre. Gli stessi giornalisti confondono l’ecumenismo con il dialogo interreligioso, e la differenza non è da poco se ci si rivolge ai credenti. Infatti, mentre il dialogo interreligioso si può agganciare alla Scrittura soltanto nella sua forma “apostolica” (di evangelizzazione, di apostolato ad fidem), l’ecumenismo ha un rapporto testuale strettissimo con la rivelazione divina e pertanto con la fede professata e vissuta dai credenti di tutte le comunità cristiane. Essi sanno o dovrebbero sapere che Cristo stesso ha voluto che tutti coloro che credono in Lui siano “una sola cosa”, come Egli è una sola cosa con il Padre e con lo Spirito Santo. Per l’unità di tutti i credenti Cristo ha pregato il Padre e continua a operare con efficacia divina, per mezzo del suo Spirito, il quale ispira e dona la forza necessaria ai ministri della sua Chiesa. Tutto ciò è stato solennemente ricordato dal decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, del Vaticano II, e ogni fedele ne può leggere una sintesi chiara e aggiornata nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

In base a questa dottrina, già da secoli è sorto il cosiddetto “movimento ecumenico”, ad opera di cristiani cattolici e di cristiani acattolici, ossia appartenenti (per professione di fede) a quelle comunità cristiane che nei secoli passati si sono separate da Roma: gli ortodossi, i protestanti, gli anglicani. I motivi della separazione sono diversi, ma il principale è il rifiuto di accettare il “ministero petrino”, ossia il primato di giurisdizione del vescovo di Roma sugli altri vescovi. La rottura dell’unità dei cristiani si è verificata appunto nella forma dello “scisma”, ossia come disconoscimento della funzione che Cristo stesso ha affidato a Pietro, capo del collegio apostolico, allo scopo di garantire l’indefettibilità della Chiesa mediante il carisma dell’infallibilità nella custodia e nell’interpretazione della verità rivelata e il potere di santificare e di governare tutti i battezzati.

Qual è la meta del movimento ecumenico? Contribuire, con gli studi teologici, la preghiera e il dialogo fraterno, a far sì che i cattolici e i fedeli delle altre comunità cristiane superino le divisioni, lo scisma. Ciò significa vivere e operare con l’intenzione di assecondare la volontà di Cristo, espressamente rivelata agli Apostoli e scritta nei Vangeli, il quale chiede ai cristiani di restare uniti o di superare le divisioni, storicamente prodotte, più che da equivoci dottrinali, dalle interferenze dei poteri politici nella vita delle comunità religiose. Il caso dello scisma anglicano, provocato nel Cinquecento dal rifiuto di Enrico VIII di riconoscere la giurisdizione del Papa sulle questioni canoniche che lo riguardavano, è paradigmatico.

San Tommaso Moro, primo ministro del re d’Inghilterra, preferì subire la decapitazione comminata da Enrico VIII piuttosto che riconoscere la legge da lui promulgata, secondo la quale la suprema giurisdizione sui cristiani in Inghilterra non era più del vescovo di Roma ma del re stesso, da allora capo della Chiesa cosiddetta “anglicana”. I documenti del processo che portò alla condanna di sir Thomas More mostrano come le ragioni dell’umanista martire non fossero di natura politica ma di natura squisitamente teologica. La resistenza alla divisione non ha altro motivo spirituale che la fedeltà a Cristo e alla Chiesa come Lui la vuole. Così, l’impegno per ripristinare l’unità non può che far leva sulla fede e suoi veri fondamenti, mettendo da parte interessi temporali che alla pratica effettiva di tale fede possano opporsi.

Ora, l’incontro di papa Francesco con il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, non interessa tutto l’orizzonte dell’ecumenismo, ma solo quello più importante per la vita della Chiesa e che riguarda lo “scisma d’Oriente”, con la separazione delle “chiese autocefale” che hanno assunto la denominazione di “Ortodossia”, ritenendo che la vera fede cristiana si sia persa in Occidente con i concili ecumenici dell’epoca moderna, dopo quello di Firenze. E l’incontro di papa Francesco con il patriarca di Costantinopoli non riguarda nemmeno tutte il mondo dell’Ortodossia, perché il patriarca di Costantinopoli non rappresenta tutti gli ortodossi e tanto meno quelli che fanno capo al patriarca di Mosca.

Si tratta comunque di un gesto di rispetto e di amicizia tra istituzioni che è stato giustamente esaltato come un “passo avanti” perché ha un grande valore simbolico – e si sa che nei rapporti tra istituzioni i messaggi pubblici passano anche attraverso gesti simbolici. Del resto, si tratta di un gesto che fa seguito a tanti altri che in precedenza sono stati prodotti dal beato Paolo VI, da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Nel frattempo, il lavoro dei teologi, i quali debbono superare le incomprensioni che l’Ortodossia nutre nei riguardi del primato del vescovo di Roma, continua lentamente, senza per ora aver raggiunto risultati sostanziali.

Chi tra i commentatori cattolici è animato da buone intenzioni ma non ha le idee chiare sugli scopi dell’ecumenismo, pensa che sarebbe ora di abbandonare il lavoro dei teologi e risolvere i problemi “pragmaticamente”, cioè con l’esibizione di “buoni sentimenti” e con suggestive scene di amicizia fraterna davanti alle telecamere. Pia illusione: mettere da parte il dogma – il cui rifiuto è stato all’origine dello scisma – non porterebbe mai a ricomporre l’unità dei cristiani con una sola professione di fede. Perché la fede cristiana è un corpo unico di dottrina rivelata, e i suoi elementi essenziali (che si chiamano “articuli fidei”, per dire appunto le articolazioni, ossia le membra di un unico corpo) non possono essere separati uno dall’altro o uno dall’insieme.

La dottrina sullo Spirito Santo, che la Chiesa di Roma introdusse nel Simbolo Niceno-costantinopolitano mille anni or sono, riguardava il dogma trinitario, e su questo dogma iniziò a formarsi il dissenso teologico – motivato certamente da incomprensioni e fraintendimenti – che portò allo scisma d’Oriente. Il riavvicinamento tra la Chiesa d’Oriente (di lingua greca) quella di Occidente (di lingua latina) fu poi possibile, anche se provvisoriamente, solo sulla base di chiarimenti dottrinali sulla differenza tra dogma e interpretazioni teologiche, come ho avuto occasione di spiegare in un convegno teologico sul “Filioque” svoltosi recentemente preso l’Ateneo Pontifico Regina Apostolorum. I gesti esteriori di amicizia e l’esibizione di buoni sentimenti non risolvono alcun problema se servono soltanto a mettere da parte le questioni dogmatiche.

Ciò vale anche per la questione del primato, anch’essa di natura dogmatica. Non si può progredire sulla strada della ricomposizione dell’unità con gli ortodossi se non si rende accettabile – non con il cedimento sul dogma ma con l’intesa sulla sua possibile interpretazione teologica e sui possibili adattamenti alle necessità della multiforme prassi ecclesiale – il dogma del ministero del vescovo di Roma, che comprende le prerogative volute da Cristo proprio per l’unità della Chiesa, come è stato definito dal magistero ecclesiastico, dal Concilio Vaticano I (vedi la costituzione dogmatica Pastor Aeternus) fino al Concilio Vaticano II incluso (vedi la costituzione dogmatica Lumen gentium).

Ecco allora come “vedere”, da cattolici, l’evento recente di Istanbul. Ci dobbiamo compiacere del fatto che il patriarca Bartolomeo abbia ricevuto con gesti di cordialità e di rispetto il capo della Chiesa Cattolica. Ma, a parte i gesti, le sue parole non segnano alcun progresso reale nell’intesa sul dogma. Egli infatti ha detto che la visita del vescovo di Roma fa ben sperare «che l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta della nostra comune tradizione, la quale da sempre rispettava e riconosceva nel corpo della Chiesa un primato di amore, di onore e di servizio, nel quadro della sinodalità, affinché con una sola bocca ed un sol cuore si confessi il Dio Trino e si effonda il suo amore nel mondo».

Come si vede, il primato, secondo Bartolomeo, non va attribuito dai cristiani al vescovo di Roma ma al corpo della Chiesa, ossia all’insieme di tutti i vescovi (“sinodalità”). Poi Bartolomeo, riferendosi al campo ortodosso, ha aggiunto che “la divina provvidenza attraverso l’ordine costituito dai santi concili ecumenici, ha assegnato la responsabilità del coordinamento e della espressione della omofonia delle santissime Chiese ortodosse locali” proprio al patriarca ecumenico di Costantinopoli, cioè a lui stesso. Già questo “coordinamento” non assomiglia per nulla a una funzione primaziale, e poi non riguarda tutta la Chiesa ma solo gli ortodossi.

Da parte sua, nemmeno papa Francesco ha potuto affrontare la questione cruciale ma si è accontentato di ricordare che «la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli». Poi ha auspicato la futura realizzazione di accordi istituzionali che portino al ristabilimento della piena comunione, la quale – ha detto per rassicurare gli ortodossi – «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno. […]. Per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze». Ben sapendo che la fede comune non si dà senza la comune accettazione dei medesimi dogmi.

A torto quindi molti commentatori, come quelli di Vatican Insider, hanno scritto che “per l’attuale successore di Pietro il ripristino della piena comunione tra cristiani cattolici e ortodossi sarebbe possibile già ora, senza porre ai fratelli ortodossi pre-condizioni di carattere teologico o giurisdizionale”. Dico “a torto” perché la giurisdizione del vescovo di Roma deriva direttamente, nei suoi elementi essenziali, dal dogma; questi commentatori, ripetendo gli slogan di Enzo Bianchi, fingono di ignorare che l’accantonamento del dogma sarebbe per i cattolici un peccato contro la fede, e agli occhi degli ortodossi, così attaccati alla tradizione dogmatica dei primi Concili ecumenici, apparirebbe come un miserabile espediente politico dei “latini” per dissimulare le loro vere intenzioni.

© La Nuova Bussola Quotidiana (02/12/2014)



   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
03/12/2014 15:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 3 dicembre 2014

[Multimedia]



 

Saluto ai malati nell'Aula Paolo VI

Buongiorno!

Voi oggi siete qui perché il tempo è bruttino, e qui non piove, grazie a Dio… E dopo voi potete vedere l’udienza sul maxischermo. Grazie tante della vostra visita, e vi chiedo di pregare per me.

[il Papa va in mezzo ai malati. Alla fine aggiunge:]

Adesso voi rimanete qui, seguite l’udienza sul maxischermo, senza pioggia, qui, tranquilli. Adesso preghiamo la Madonna per chiedere la benedizione: Ave Maria, …

[Benedizione]

E prepariamoci per il Natale, pensando che Gesù viene. Vi auguro che Gesù venga nel cuore di ognuno di voi, e vi benedica e vi dia forza per andare avanti. E pregate per me! Grazie!


Viaggio Apostolico in Turchia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Ma, non sembra tanto buona la giornata, è un po’ bruttina… Ma voi siete coraggiosi e a brutta giornata buona faccia, e andiamo avanti! Questa udienza si svolge in due posti diversi, come facciamo quando piove: qui in piazza e poi ci sono gli ammalati in Aula Paolo VI. Io li ho già incontrati, li ho salutati, e loro seguono l’udienza tramite il maxischermo, perché sono malati e non possono venire sotto la pioggia. Li salutiamo di qua con un applauso.

Oggi voglio condividere con voi alcune cose del mio pellegrinaggio che ho compiuto in Turchia da venerdì scorso a domenica. Come avevo chiesto di prepararlo e accompagnarlo con la preghiera, ora vi invito a rendere grazie al Signore per la sua realizzazione e perché possano scaturire frutti di dialogo sia nei nostri rapporti con i fratelli ortodossi, sia in quelli con i musulmani, sia nel cammino verso la pace tra i popoli. Sento, in primo luogo, di dover rinnovare l’espressione della mia riconoscenza al Presidente della Repubblica turca, al Primo Ministro, al Presidente per gli Affari Religiosi e alle altre Autorità, che mi hanno accolto con rispetto e hanno garantito il buon ordine degli eventi. Questo richiede lavoro, e loro hanno lo hanno fatto questo volentieri. Ringrazio fraternamente i Vescovi della Chiesa cattolica in Turchia, il Presidente della Conferenza episcopale, tanto bravo, e ringrazio per il loro impegno le comunità cattoliche, come pure ringrazio il Patriarca Ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, per la cordiale accoglienza. Il beato Paolo VI e san Giovanni Paolo II, che si recarono entrambi in Turchia, e san Giovanni XXIII, che fu Delegato Pontificio in quella Nazione, hanno protetto dal cielo il mio pellegrinaggio, avvenuto otto anni dopo quello del mio predecessore Benedetto XVI. Quella terra è cara ad ogni cristiano, specialmente per aver dato i natali all’apostolo Paolo, per aver ospitato i primi sette Concili, e per la presenza, vicino ad Efeso, della “casa di Maria”. La tradizione ci dice che lì è vissuta la Madonna, dopo la venuta dello Spirito Santo.

Nella prima giornata del viaggio apostolico ho salutato le Autorità del Paese, a larghissima maggioranza musulmano, ma nella cui Costituzione si afferma la laicità dello Stato. E con le Autorità abbiamo parlato della violenza. E’ proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Per questo ho insistito sull’importanza che cristiani e musulmani si impegnino insieme per la solidarietà, per la pace e la giustizia, affermando che ogni Stato deve assicurare ai cittadini e alle comunità religiose una reale libertà di culto.

Oggi prima di andare a salutare gli ammalati sono stato con un gruppo di cristiani e islamici che fanno una riunione organizzata dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso, sotto la guida del Cardinale Tauran, e anche loro hanno espresso questo desiderio di continuare in questo dialogo fraterno fra cattolici, cristiani e islamici.

Nel secondo giorno ho visitato alcuni luoghi-simbolo delle diverse confessioni religiose presenti in Turchia. L’ho fatto sentendo nel cuore l’invocazione al Signore, Dio del cielo e della terra, Padre misericordioso dell’intera umanità. Centro della giornata è stata laCelebrazione Eucaristica che ha visto riuniti nella Cattedrale pastori e fedeli dei diversi Riti cattolici presenti in Turchia. Vi hanno assistito anche il Patriarca Ecumenico, il Vicario Patriarcale Armeno Apostolico, il Metropolita Siro-Ortodosso ed esponenti Protestanti. Insieme abbiamo invocato lo Spirito Santo, Colui che fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore. Il Popolo di Dio, nella ricchezza delle sue tradizioni e articolazioni, è chiamato a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, in atteggiamento costante di apertura, di docilità e di obbedienza. Nel nostro cammino di dialogo ecumenico e anche dell’unità nostra, della nostra Chiesa cattolica, Colui che fa tutto è lo Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo fare, accoglierlo e seguire le sue ispirazioni.

Il terzo e ultimo giorno, festa di sant’Andrea Apostolo, ha offerto il contesto ideale per consolidare i rapporti fraterni tra il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, successore dell’apostolo Andrea, fratello di Simon Pietro, che ha fondato quella Chiesa. Ho rinnovato con Sua Santità Bartolomeo I l’impegno reciproco a proseguire sulla strada verso il ristabilimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi. Insieme abbiamo sottoscritto una Dichiarazione congiunta, ulteriore tappa di questo cammino. E’ stato particolarmente significativo che questo atto sia avvenuto al termine della solenne Liturgia della festa di sant’Andrea, alla quale ho assistito con grande gioia, e che è stata seguita dalla duplice Benedizione impartita dal Patriarca di Costantinopoli e dal Vescovo di Roma. La preghiera infatti è la base per ogni fruttuoso dialogo ecumenico sotto la guida dello Spirito Santo, che come ho detto è Colui che fa l’unità.

Ultimo incontro – questo è stato bello e anche doloroso - è stato quello con un gruppo di ragazzi profughi, ospiti dei Salesiani. Era molto importante per me incontrare alcuni profughi dalle zone di guerra del Medio Oriente, sia per esprimere loro la vicinanza mia e della Chiesa, sia per sottolineare il valore dell’accoglienza, in cui anche la Turchia si è molto impegnata. Ringrazio ancora una volta la Turchia per questa accoglienza di tanti profughi e ringrazio di cuore i salesiani di Istanbul. Questi Salesiani lavorano con i profughi, sono bravi! Ho incontrato anche altri padri e un gesuita tedeschi e altri che lavorano con i profughi ma quell’oratorio salesiano dei profughi è una cosa bella, è un lavoro nascosto. Ringrazio tanto tutte quelle persone che lavorano con i profughi. E Preghiamo per tutti i profughi e i rifugiati, e perché siano rimosse le cause di questa dolorosa piaga.

Cari fratelli e sorelle, Dio onnipotente e misericordioso continui a proteggere il popolo turco, i suoi governanti e i rappresentanti delle diverse religioni. Possano costruire insieme un futuro di pace, così che la Turchia possa rappresentare un luogo di pacifica coesistenza fra religioni e culture diverse. Preghiamo inoltre perché, per intercessione della Vergine Maria, lo Spirito Santo renda fecondo questo viaggio apostolico e favorisca nella Chiesa il fervore missionario, per annunciare a tutti i popoli, nel rispetto e nel dialogo fraterno, che il Signore Gesù è verità, pace e amore. Solo Lui è il Signore.

 


Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins de langue française. 
Alors que le temps de l’Avent prépare nos cœurs à la venue parmi nous du Prince de la paix, je vous invite à prier sans cesse pour que ce Voyage Apostolique en Turquie porte des fruits d’unité entre chrétiens et de paix au Moyen Orient.
Que Dieu vous bénisse !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese. Siccome il Tempo di Avvento prepara i nostri cuori alla venuta tra noi del Principe della pace, vi invito a pregare senza sosta perché questo Viaggio Apostolico in Turchia porti frutti di unità tra i cristiani e di pace in Medio Oriente.
Che Dio vi benedica!]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including the various groups from England, Malaysia, Nigeria, Australia and the United States of America. Upon all of you, and your families, I invoke joy and peace in the Lord Jesus. God bless you all!

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente i vari gruppi provenienti da Inghilterra, Malaysia, Nigeria, Australia e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace nel Signore Gesù. Dio vi benedica!]

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache, insbesondere an die Mitglieder und Freunde der Schönstatt-Bewegung in Deutschland. Bitten wir den Heiligen Geist, alle Bemühungen um ein friedliches Zusammenleben der verschiedenen Religionen und Kulturen fruchtbar zu machen und die Einheit der Christen im Glauben und in der Liebe wachsen zu lassen, damit sie allen Völkern Jesus Christus verkünden, der der Weg, die Wahrheit und das Leben ist. Von Herzen segne ich euch alle.

[Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini e visitatori provenienti dai paesi di lingua tedesca, in particolare ai membri e amici del movimento di Schönstatt in Germania. Invochiamo lo Spirito Santo affinché renda fecondo ogni impegno per la pacifica coesistenza fra religioni e culture diverse, e faccia crescere l’unità dei cristiani nella fede e nella carità, per annunciare a tutti i popoli Gesù Cristo che è via, verità e vita. Di cuore vi benedico tutti.]

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Argentina, México, Paraguay, Bolivia, Chile y otros países latinoamericanos. Que la preparación del nacimiento del Señor, en este tiempo de Adviento, les haga crecer en el amor a Jesús y en el deseo de comunicarlo a los demás. Muchas gracias y que Dios los bendiga a todos.

Dirijo uma saudação cordial aos peregrinos de língua portuguesa, particularmente aos membros das Romarias Quaresmais de São Miguel, no Arquipélago dos Açores. Queridos amigos, obrigado pela vossa presença e sobretudo pelas vossas orações! Peçamos ao Espírito Santo, artífice da unidade da Igreja, que aplane a estrada para a plena comunhão de todos os cristãos no Senhor Jesus. Que Deus vos abençoe a vós e a vossos entes queridos! Obrigado!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai membri delle «Romarias Quaresmais de São Miguel», nelle Isole Azzorre. Cari amici, grazie per la vostra presenza e soprattutto per le vostre preghiere! Chiediamo allo Spirito Santo, artefice dell’unità nella Chiesa, che appiani la strada verso la piena comunione di tutti i cristiani nel Signore Gesù. Dio benedica voi e quanti vi sono cari! Grazie!]

أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية وخصوصًا بالقادمينَ من الشّرق الأوسط. أيُّها الأعزّاء، لنترفَّعْ عن الإختلافاتِ التي لا تزالُ تفصِلُنا ولنطلُب من اللهِ عطيَّةَ الوحدةِ الكامِلَةِ والقُدرَةَ على قبولِها في حياتِنا. ليُبارِككُم الربّ!

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente. Carissimi, guardiamo oltre le differenze che ancora ci separano e invochiamo da Dio il dono della piena unità e la capacità di accoglierlo nelle nostre vite. Il Signore vi benedica!]

Serdecznie witam polskich pielgrzymów. Drodzy bracia i siostry, dziękując Bogu za to, że dał mi możliwość spotkać się z braćmi chrześcijanami, którzy żyją w Turcji i na Bliskim Wschodzie, proszę Was, byście modlili się ze mną za nich, aby mocni wiarą, miłością i nadzieją byli dla całego Kościoła znakiem braterskiej komunii. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

[Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, mentre ringrazio Dio per avermi dato la possibilità di incontrare i fratelli cristiani che vivono in Turchia e in Medio Oriente, vi chiedo di pregare con me per loro, perché, forti di fede, di amore e di speranza, siano per tutta la Chiesa un segno di comunione fraterna. Sia lodato Gesù Cristo!]

* * *

Porgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto il Movimento Africa Mission, accompagnato dal Vescovo di Piacenza-Bobbio, Mons. Ambrosio, e dal Vescovo di Moroto, Mons. Guzzetti; il gruppo Rai Senior, il Rotary di Ancona e la comunità di Capodarco Padre Gigi Movia. Saluto i partecipanti al Convegno Famiglia e Lavoro; gli organizzatori del Presepe itinerante di Pavullo e la Rete delle Città del Pallio, come pure i granatieri di Sardegna. Il tempo che ci prepara al Natale favorisca in tutti un rinnovato impegno di adesione a Cristo e di solidarietà verso i fratelli più bisognosi.

Rivolgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria di San Francesco Saverio, Patrono delle Missioni. Cari giovani, in particolare voi studenti di Sogliano e dell’Istituto Maestre Pie Filippini di Nettuno, il suo vigore spirituale vi stimoli a prendere sul serio la fede nella vostra vita; la sua fiducia in Cristo Salvatore sostenga voi, cari ammalati, nei momenti di maggiore difficoltà; e la sua dedizione apostolica ricordi a voi, cari sposi novelli, la necessità della reciproca donazione nel rapporto coniugale. Che Dio benedica tutti!




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:30. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com