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L’intervento di Paolo VI al Concilio Vaticano II per la Dei Verbum

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2014 20:12
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L’intervento di Paolo VI al Concilio Vaticano II per la chiarificazione del testo della Dei Verbum (il rapporto fra Scrittura e Tradizione, la verità della Sacra Scrittura e la storicità dei vangeli)
di Giovanni Caprile S.I.

Riprendiamo da Civiltà Cattolica 117 (1966), pp. 214-231, l’articolo che il gesuita p. Giovanni Caprile scrisse a commento della storia della Dei Verbum, con il titolo originale Tre emendamenti allo schema sulla rivelazione. Appunti per la storia del testo.
Per una informazione più precisa accludiamo anche i testi originali della Lettera scritta a nome del papa Paolo VI dal cardinal Cicognani (da Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. V, pars III, pp. 459-461), della risposta del cardinal Ottaviani con gli Adnexa del Philips (da Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. V, pars III, pp. 464-466), delle Risposte della Commissione dottrinale ai Modi dei Padri e del passaggio della relazione del vescovo van Dodewaard relativi alla storicità dei vangeli (da Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, v. IV, pars V, p. 723 e 745). Su questo stesso sito, per un commento divulgativo in chiave catechistica della Dei Verbum, vedi Teologia fondamentale. Una introduzione alla Dei Verbum. “In religioso ascolto della Parola di Dio” di d.Andrea Lonardo

Il Centro culturale Gli scritti (15/4/2009)




Indice


Tre emendamenti allo schema sulla rivelazione. Appunti per la storia del testo
di Giovanni Caprile S.I.

In un articolo apparso recentemente su Études (genn. 1966, pp. 99-113), il rev. Pierre Grelot, noto per i suoi lavori di teologia biblica, ha tracciato un sereno panorama circa le vicende della preparazione dello schema De divina revelatione. Concludendo la sua pregevole esposizione con i dati delle votazioni effettuate
tra il 20 e 22 settembre 1965, egli affermava:

«Fu questa l’ultima tappa del lavoro compiuto dalla Commissione teologica prima del voto finale. Per i futuri storici, che avranno a loro disposizione gli archivi completi del Concilio, sarà interessante paragonare tra loro i 4 o 5 stadi successivi dello schema ed analizzare i rapporti che spiegavano il significato delle modifiche apportate o i motivi di certi rifiuti. A me non è stato possibile addentrarmi, qui, in tali questioni che appartengono ormai alla storia della Chiesa».

Lungi dal voler atteggiarci ad immediati eredi di queste consegne storiche, stimiamo tuttavia non del tutto superfluo compiere qualche passo innanzi, in tale direzione, per lumeggiare alcune vicende poco note circa gli ultimi ritocchi apportati allo schema De divina revelatione. Tanto più che altri, con superficialità proporzionata alla scarsa conoscenza delle cose, hanno già messo in giro una versione dei fatti assolutamente non rispondente a realtà, insinuando, con trasparentissime allusioni, che nell'elaborare il testo della costituzione Dei Verbum, e specialmente in alcuni punti di cui ci occuperemo, si sarebbe fatto ricorso all'ambiguità e al compromesso, preoccupati di cercare un accordo qualsiasi tra progressisti e conservatori. E sarebbe dannoso se, per mancanza di informazioni più esatte, tali dicerie passassero in patrimonio comune.

Cenni sull’iter conciliare dello schema

Per orientare il lettore, sarà bene dare anzitutto le grandi linee delle precedenti vicende conciliari del documento di cui ci occupiamo. Uno schema De fontibus revelationis venne proposto al Concilio il 14 novembre 1962 (19ª congr. gen.) e discusso fino al 21 novembre. Messo ai voti il quesito: se si ritenesse opportuno procedere all'esame dei singoli capitoli, 1.368 Padri espressero parere negativo, 822 furono per il sì, 19 voti furono nulli. Non essendo stati raggiunti i due terzi, giuridicamente il dibattito sarebbe dovuto continuare, anche se di fatto la maggioranza era contraria. Giovanni XXIII sciolse la questione[1] disponendo che il testo fosse ritirato per essere rielaborato da una speciale Commissione mista, presieduta dai cardd. Ottaviani e Bea, e composta di 6 cardinali nominati dal Papa, da tutti i membri della Comm. dottrinale e da tutti i Padri conciliari che erano anche membri o consultori del Segretariato per l'unione dei cristiani. Questa Commissione mista mise a punto il nuovo schema De divina revelatione, del quale il 23 aprile 1963 Giovanni XXIII autorizzò l’invio ai Padri. Da questo momento, in pratica, la Commissione mista non si occupò più dello schema, lasciandone ogni cura alla sola Comm. dottrinale. Paolo VI lasciò che il Concilio discutesse ampiamente il nuovo testo, dal 30 settembre al 6 ottobre 1964; la Commissione dottrinale lo ritoccò sulla scorta delle osservazioni ricevute per iscritto o fatte in aula, ed alla vigilia della chiusura del terzo periodo conciliare i Padri ebbero per le mani il textus emendatus. Per mancanza di tempo le relative votazioni vennero rimandate all'anno successivo, cioè al quarto periodo dei lavori del Concilio.

Intanto, fin dall’inizio del cammino conciliare del nostro schema, tre punti si erano rivelati particolarmente difficili e delicati, a motivo delle diversità delle scuole teologiche, dell’atteggiamento assunto o da assumere di fronte alla moderna esegesi biblica, delle implicazioni ecumeniche derivanti dall'una o dall'altra presa di posizione: tali punti riguardavano i rapporti tra Scrittura e Tradizione (n. 9), l’inerranza biblica (n. 11) e la storicità dei vangeli (n. 19).

Il textus emendatus venne, sottoposto a 20 votazioni, punto per punto, dal 20 al 22 settembre 1965. Risultò che proprio i tre paragrafi predetti avevano raccolto un numero relativamente notevole di voti negativi, ed ancor più numerose proposte di emendamenti. Segno che essi non erano ancora giunti ad una soddisfacente formulazione, e che ancora molto restava da fare in tal senso.

A questo delicato lavoro si accinse la Commissione dottrinale nel periodo di cui appunto ci proponiamo di lumeggiare le vicende, cioè fra la fine di settembre e la fine di ottobre 1965. Il Santo Padre, come diremo più ampiamente in seguito, volle
che all'ultimo esame di questi tre punti fosse presente anche il Card Bea; personalmente poi seguì questi lavori con discretissima sollecitudine, desideroso, come Pastore ed arbitro supremo, di apportare un effettivo contributo di collaborazione alla chiarezza ed al perfezionamento del testo specialmente in tali questioni di fondamentale importanza.

Né il Papa volle limitarsi a questo, giacché anche nei mesi precedenti a Roma e a Castelgandolfo, aveva letto e fatto esaminare osservazioni, proposte, note e suggerimenti giuntigli da varie parti, e si era documentato anche su recentissime pubblicazioni.
Ciò gli era richiesto, dinanzi alla Chiesa intera ed al giudizio della propria coscienza, dalla necessità di raggiungere quel grado di certezza e di sicurezza sufficienti per poter dare il via ad un testo che fosse degno della comune approvazione.









Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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