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L’intervento di Paolo VI al Concilio Vaticano II per la Dei Verbum

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2014 20:12
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06/12/2014 20:07
 
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I. Rapporto tra Scrittura e Tradizione


Un raffronto tra il textus emendatus e quello definitivamente approvato e promulgato il 18 novembre 1965, ci farà subito vedere un'importante aggiunta che compare in quest'ultimo, e di cui appunto vogliamo dire qualcosa.

Testo emendato

«...S. Scriptura est locutio Dei, quatenus divino afflante Spiritu, scripto consignata, S. autem Traditio verbum Dei, a Christo Domino et a Spiritu Sancto Apostolis concreditum, successoribus eorum integre trasmittit, ut illud, praelucente Spiritu Veritatis, praeconio suo fideliter servent, exponant atque diffundant. Quapropter etc...» (n. 9).

Testo definitivo

«...S. Scriptura est locutio Dei quatenus divino afflante Spiritu scripto consignatur; Sacra autem Traditio verbum Dei, a Christo Domino et a Spiritu Sancto Apostolis concreditum, successoribus eorum integre trasmittit, ut illud, praelucente Spiritu veritatis, praeconio suo fideliter servent, exponant atque diffundant; quo fit ut Ecclesia certitudinem suam de omnibus revelatis non per solam Sacram Scripturam
hauriat. Quapropter etc…»

Le proposte di emendamento

Senza entrare in merito alla questione se la Tradizione debba considerarsi solo interpretativa o anche costitutiva, l'aggiunta sottolinea lo stretto legame di essa con la Scrittura e la sua importanza come mezzo indispensabile per ottenere la piena certezza su alcune verità rivelate.
Nella votazione del 21 settembre 1965, il paragrafo n. 9, abbinato col seguente, aveva raccolto 2.214 placet e 34 non placet. Però, quando s'era votato sul capitolo nel suo insieme, 354 Padri avevano presentato emendamenti, 111 dei quali proponevano, differenziandosi talvolta nella formulazione, la seguente aggiunta:
«quo fit ut non omnis doctrina catholica ex (sola) Scriptura (directe) probari queat». Altri 3 Padri proponevano un emendamento quasi identico, da inserirsi, però, verso la fine del n. 10, che riguarda i rapporti tra Scrittura e Tradizione da un lato e Magistero ecclesiastico dall'altro.

A questa seconda proposta parve accedere, negli ultimi giorni di settembre, la Commissio parva advisoria - cioè la Sottocommissione deputata al primo esame dei modi per darne poi parere alla Commissione plenaria - accordandosi sul seguente
inserimento al n. 10: «Quod quidem Magisterium... ea omnia ex hoc uno fidei deposito haurit quae tamquam divinitus revelata credenda proponit; non autem ex S. Scriptura omnis doctrina catholica directe demonstrari potest. Patet igitur etc.».
Una nota avrebbe spiegato il senso di directe, e cioè: «in oppositione ad indirecte, quia in ipsa S. Scriptura docetur Sacrum Magisterium Ecclesiae». In tal modo s'intendeva assicurare il valore costitutivo della Tradizione, apparendo chiaro, dai termini usati, che il deposito della fede non si riteneva contenuto nella sola Scrittura.

In un secondo momento, si stimò meglio che l'aggiunta venisse fatta al n. 9, ed in tal senso, infatti, si provvide nel preparare il testo dattiloscritto dell'expensio modorum da sottoporre alla Commissione dottrinale in adunata plenaria. L'aggiunta, presentata come sostanzialmente concordante con la proposta dei 111 Padri, diceva: «quo fit ut non omnis doctrina catholica ex Sacra Scriptura directe probari queat»; ed era giustificata: «proponitur ut admittatur praedicta additio de qua omnes concordant, et in qua subtiliores quaestiones vitantur. Omnia autem indirecte ex
Scriptura demonstrari possunt, in quantum Scriptura aperte docet existentiam Magisterii et indefectibilitatis Ecclesiae».

Le decisioni detta Commissione dottrinale

Nelle adunanze plenarie della Commissione dottrinale, svoltesi, il 1°, il 4 ed il 6 ottobre, la discussione su questo punto dovette essere piuttosto intricata e, qualche volta, accalorata. Ciò per la diversità dei pareri, specialmente su tre punti fondamentali: cosa dire, dove e come dirlo.

Come prima cosa non fu approvato il ritocco suggerito per il n. 9; probabilmente non dovette sfuggire che esso presentava l'inconveniente di optare per una soluzione: o per quella secondo cui tutto, almeno indirecte, si può provare dalla Scrittura; o per la sentenza opposta, in quanto la spiegazione data in nota alla parola indirecte (nel senso che tutto può essere provato dalla Scrittura in quanto questa apertamente insegna l’esistenza del Magistero e l’indefettibilità della Chiesa) sembrerebbe insinuare esserci delle verità contenute esclusivamente nella Tradizione, senza alcun fondamento vero e proprio nella Scrittura.

Non più felice fu il tentativo di inserire un’aggiunta chiarificatrice al paragrafo seguente (n. 10). Il 4 ottobre, è vero, la Commissione si era pronunziata favorevolmente, con voto, circa la opportunità dell’aggiunta, anzi con una seconda votazione ne aveva prescelto, fra quattro, anche la formulazione che sembrava migliore:
«Sacrae Scripturae complexum mysterii christiani referunt, quin omnes veritates revelatae in eis expresse enuntientur»[2]. Ma due giorni dopo la formula venne respinta. Pare doversi collocare a questo punto - e si spiegherebbe, così, l’atteggiamento della Commissione - la richiesta di qualcuno che, dopo aver trovato poco chiara la formula già approvata, sostenne energicamente doversi inserire fin dal principio, cioè fin dal n. 9, la chiara affermazione della dottrina sulla duplice fonte. Lo stato di tensione creatosi in seguito a tale richiesta avrebbe facilitato la decisione di accantonare ogni mutamento. Tanto più che, già in antecedenza, c’erano in proposito due tendenze nella Commissione. Mentre alcuni, cioè, facendo appello al discorso pontificio del 21 novembre 1964[3], estendevano soprattutto a questo caso l’accenno fatto dal Papa ai dubbi esistenti in materia, altri affermavano che il testo della costituzione, così come stava, era stato approvato in congregazione generale a forte maggioranza, e che quindi la Commissione non aveva il potere di cambiarlo. In altre parole, costoro, non volevano turbare quell’equilibrio domandato fin dal principio dai Padri conciliari e raggiunto così faticosamente riconoscendo l’importanza ed il valore della Tradizione, ma astenendosi dall'affermare che la sua maggiore ampiezza di contenuto rispetto alla Scrittura si riferisse alla quantità numerica della realtà trasmessa: mai, infatti, nel testo la Scrittura era presentata come la codificazione di tutta la rivelazione, e si era anche evitato di presentare la Tradizione come un supplemento quantitativo della Scrittura, ad eccezione di quanto riguarda il canone dei libri sacri. Meglio, perciò, non turbare l'equilibrio.

Ecco perché, nelle prime bozze a stampa della expensio modorum, troviamo che, quanto all'aggiunta al n. 9, si risponde: «Additio non admittitur»; ed a quella proposta per il n. 10 si dice parimente: «Post longiorem disceptationem Commissio statuit nihil huiusmodi addendum esse in textu». E si spiegava: «Cum Commissio nostra a praecedenti et iam notissima positione nullatenus recedere intenderit, textum substantialiter immutatum censuit esse servandum». E così il testo precedente, nonostante i modi suggeriti, non venne toccato.

Risonanze delle decisioni della Commissione

Tutto ciò provocò non piccolo disappunto specialmente in quelli che, dentro o fuori della Commissione, non erano riusciti ad ottenere che nei due paragrafi qui ricordati fosse più chiaramente ed esplicitamente messo in evidenza il ruolo anche «costitutivo» della Tradizione nel complesso del deposito della rivelazione. Forse proprio in questi momenti si cominciò a pensare, ed in certo modo anche a richiedere, un qualche intervento personale del Papa, per correggere quelli che si giudicavano gravi difetti nella stesura del testo, ma che pure erano stati approvati dalla maggioranza della Commissione, con voto, al termine di serie discussioni. Ci si dichiarava pronti a ritornare sull'argomento convocando di nuovo la Commissione, la quale avrebbe potuto far propri i suggerimenti ricevuti e come tali proporli ai Padri conciliari. Si prospettò pure, discretamente, sebbene in forma ipotetica, la possibilità di un documento analogo alla Nota praevia, da far pervenire direttamente alla Commissione per metterla in grado di presentare in aula un testo già perfezionato.

Personalmente, anche il S. Padre parve inclinare alla convenienza che, nella maniera e nel punto più adatto dello schema, si dicesse chiaramente e più esplicitamente qualcosa della natura costitutiva della Tradizione, quale fonte della rivelazione. Almeno Così sembrava discretamente insinuare una citazione tratta da sant'Agostino[4], da lui fatta trasmettere, il 24 settembre, alla Commissione. Ma può darsi anche che la cosa non eccedesse la portata di un semplice invito - com’era accaduto in altri casi ed in circostanze analoghe - a considerare la questione tenendo presente anche l’autorità del testo che veniva segnalato in spirito di collaborazione e non d’imposizione. Ad ogni modo, puntualmente trasmesso a chi di dovere, questo testo - non si comprende bene il perché - non venne mai mostrato e notificato alla Commissione.

In quei giorni intanto (siamo già a cavallo tra la prima e la seconda settimana d’ottobre), e poi ancora in quelli successivi, voci diverse giungevano al Santo Padre. Alcuni si lagnavano dell’atteggiamento assunto dalla Commissione; altri si facevano portavoce delle ansietà provocate dal modo insoddisfacente con cui
la Commissione dottrinale avrebbe trattato alcuni punti, ed invocava un intervento autoritario e chiarificatore del Papa. C’era, invece, chi lo rassicurava che il testo del 2° capitolo, in cui appunto si conteneva il n. 9; era buono, senza rischio di interpretazioni nocive. Un porporato, particolarmente competente in materia, suggeriva una via, che sarà poi quella effettivamente seguita. Egli proponeva di riconsiderare con ogni attenzione la necessità o almeno l’opportunità di dire esplicitamente, accedendo alla motivata richiesta di un notevole numero di Padri, che non ogni dottrina cattolica si può provare dalla sola Scrittura. Si sarebbe trattato, in fin dei conti, di ulteriormente precisare - lasciata da parte la questione della quantità numerica - che la Tradizione ci dà una più esplicita e completa manifestazione della rivelazione divina, fino al punto che essa può, in alcuni casi, essere determinante per averne l’esatta conoscenza e comprensione. Un’affermazione del genere, si faceva pure notare, era del tutto in armonia col testo, a cui, senza intaccare la sostanza, avrebbe portato un utile completamento. Inoltre, la formula proposta (quo fit ut non omnis doctrina catholica ex sola S. Scriptura probari queat) aveva il vantaggio d’essere in linea con il Concilio di Trento,
secondo l’interpretazione da tutti ammessa e convalidata dalla prassi costante della Chiesa[5]; e finalmente, mentre affermava l’insufficienza della S. Scrittura sul piano gnoseologico, lasciava aperta la questione dell’insufficienza della medesima sul piano propriamente costitutivo: in altre parole, si sarebbe espressamente affermato con essa che non ogni dottrina cattolica si può provare dalla sola Scrittura e, quindi, che bisogna ricorrere anche alla Tradizione, ma non si sarebbe escluso che qualche dottrina cattolica sia contenuta soltanto nella Tradizione.

L'intervento del Santo Padre

Prima di stabilire se riconvocare o no la Commissione dottrinale, magari allargandola con l'apporto di nuovi pareri, il Santo Padre andava maturando la propria decisione. Volle, per esempio, sapere quale fosse stata, in concreto, l'attività della speciale Commissione mista (Comm. dottrinale, Segret. per l'unione e altri 6 membri) istituita da Giovanni XXIII per riesaminare e rielaborare congiuntamente il testo dello schema sulla rivelazione. Seppe, così, che ufficialmente là competenza della revisione era rimasta mista e che lo schema discusso in aula nel1964 aveva ricevuto anche l'approvazione del Segretariato, al quale la Segreteria generale non aveva mai mancato di far pervenire le osservazioni dei Padri,così com'era stato fatto con la Commissione dottrinale. In seguito, però, col tacito consenso del Segretariato, che non aveva mai sollevato eccezione alcuna, dell'ulteriore revisione s'era interessata unicamente la Commissione dottrinale.

Il 12 ottobre 1965, le questioni concernenti lo schema De divina revelatione formarono oggetto di un colloquio fra il Papa e i cardinali Moderatori. Qualche giorno dopo, il 14 ottobre, uno di essi esponeva anche per iscritto al Santo Padre il proprio avviso, mettendo in luce i diversi motivi che inducevano a giudicare favorevolmente la soluzione di equilibrio tenuta dallo schema e adottata dalla Commissione, la quale aveva agito nella misura del mandato ricevuto da una preponderante maggioranza conciliare. Se, per tranquillizzare ogni ansietà, si ritenesse ancora necessario dire qualcosa di più nel testo, si potrebbe aggiungere
che, indubbiamente, non tutta la verità cattolica si può con certezza attingere dalla sola Scrittura senza l'aiuto della Tradizione e del Magistero. Questa soluzione avrebbe sostanzialmente ribadito la posizione cattolica di fronte a quella protestante, senza toccare questioni ancora discusse tra i cattolici ed in cui il Concilio non aveva voluto addentrarsi; avrebbe lasciato la via aperta ad ulteriori indagini; senza mettere in minoranza, per così dire, nessuna delle sentenze tenute dagli studiosi, ma senza imporre neppure un peso non necessario alla difesa della verità cattolica e dell'importanza della Tradizione.
È probabile che questo nuovo parere, che coincideva con quello dell'altro cardinale, abbia rassicurato il Santo Padre a procedere sulla via che gia riteneva doversi intraprendere, anche perché, nel frattempo, aveva fatto consultare altri teologi[6], ricevendone parere favorevole sia circa la convenienza di una qualche aggiunta al testo, sia circa, la bontà delle formule proposte[7]. Il 14 ottobre, il Papa dispose che fosse recapitato alla Commissione un appunto, già preparato il giorno 12, contenente i suggerimenti fatti dal primo dei due cardinali di cui s’è detto. Il 17 ottobre fu presa la decisione definitiva e ne venne subito data comunicazione al Presidente della Commissione dottrinale con lettera del Segretariato di Stato (18 ottobre): pur riconoscendo, con gratitudine e apprezzamento il lavoro compiuto, il Santo Padre disponeva che la Commissione fosse ancora una volta convocata per un nuovo riesame dello Schema De divina rivelazione. Con le osservazioni che venivano accluse, non si intendeva alterare sostanzialmente né lo schema stesso né l’opera della Commissione, sì bene perfezionarla in alcuni punti di grande importanza dottrinale, in modo da poter tranquillamente procedere, in tema di tanta responsabilità davanti alla Chiesa e alla propria coscienza, all’approvazione richiesta per la promulgazione del relativo decreto. Il Santo Padre desiderava altresì, che alla prossima riunione della Commissione fosse invitato anche il Card. Bea, presidente del Segretariato per l’unione dei cristiani che già faceva parte, in qualità di co-presidente, della speciale Commissione mista istituita da Giovanni XXIII.

Circa il punto specifico di cui ci occupiamo, il Santo Padre chiedeva alla Commissione di voler benevolmente, ma liberamente considerare l’opportunità di perfezionare il testo relativo alla Tradizione, senza però alterarlo, integrandolo con l’aggiunta di una delle 7 formule proposte o di altra equipollente, le quali, oltretutto, sembravano incontrare l'approvazione anche di rappresentanti qualificati della cosiddetta maggioranza.

La commissione si riunì nel pomeriggio del 19 ottobre, alle 16.30, nella sala delle congregazioni, in Vaticano, per essere messa a conoscenza della lettera del Segretario di Stato al Cardinale Presidente Ottaviani, e per redigere i testi dei passi controversi da sottoporre all'approvazione del Papa prima di trasmetterli, per la stampa, alla Segreteria Generale.

Data lettura del documento pontificio, di cui, per altro, ciascuno aveva avuto copia, si passò ad esaminare il quesito circa i rapporti tra Scrittura e Tradizione. Prese la parola il card Bea, il quale, a titolo personale, non avendo prima consultato i membri del Segretariato, illustrò brevemente l’opportunità di completare il testo del n. 9 con una delle formule proposte, tra le quali disse di preferire la terza.

Venuti ad una prima votazione indicativa delle preferenze, i 28 voti dei presenti si divisero così tra le 7 formule proposte[8]: 5 alla prima; nessuno alla seconda; 16 alla terza; 1 alla quarta; 2 alla quinta; 1 alla sesta; 2 alla settima. La seconda votazione di ballottaggio tra la 1ª e la 3ª formula, diede a quest'ultima 19 voti, cioè esattamente i due terzi; 8 alla prima, e 1 voto alla quinta.

Questo fu il cammino, attraverso il quale l'emendamento da noi esaminato si inserì nello schema, a maggiore chiarificazione di questo.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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