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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Il Giubileo Anno Santo 1950 con Pio XII

Ultimo Aggiornamento: 09/12/2014 22:55
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Dio Onnipotente ed eterno.
Con tutta l'anima Ti ringraziamo per il gran dono dell'Anno Santo.
Che l'Anno Santo sia per tutti un anno di purificazione e santificazione di vita interiore e di riparazione.
L'Anno del gran ritorno e del gran perdono...
Da a coloro che soffrono persecuzioni per la fede il Tuo Spirito di fortezza, per unirli indissolubilmente a Cristo ed alla Sua Chiesa.
Da o Signore la pace ai nostri giorni; pace alle anime; pace alle famiglie; pace alla Patria; pace alle Nazioni.
Da agli infermi la rassegnazione e la salute; ai giovani la forza della fede; alle fanciulle la purezza; ai padri la prosperità e la santità della famiglia; alle madri l'efficacia della loro missione educatrice; agli orfani la tutela affettuosa; ai profughi ed ai prigionieri la Patria; a tutti la Tua grazia in preparazione ed in pegno della Tua felicità nel Cielo.
Così sia.
Pius PP. XII









Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII
IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE

Venerdì, 23 dicembre 1949 (1)

 

L'attesa dei popoli

Non mai forse, come in questa vigilia che apre il fausto evento del nuovo anno giubilare, il Nostro cuore di Padre e di Pastore vi ha sentiti così stretti e vicini a sé, diletti figli e figlie dell'universo. Ci par di vedere e di ascoltare - né il nostro cuore C'inganna - il palpito di milioni e milioni di fedeli con Noi concordi quale coro immenso di fervide grazie, di vivi desideri, di umili invocazioni al Padre, datore di ogni bene, al Figlio, espiatore di ogni colpa, allo Spirito Santo, dispensatore di ogni grazia.

Sospinti da un profondo desiderio di liberazione spirituale, attratti dal fascino dei beni celesti, dimentichi per breve ora degli assilli terreni, voi vi rivolgete a Noi e quasi ripetete, ma in buon senso e con retta intenzione, la preghiera che fu già rivolta al Redentore (Mc 8,11-12;Lc 11,16): dacci un segno dal cielo.

Ebbene, «hodie scietis quia veniet Dominus, et mane videbitis gloriam eius»; il segno che attendete vi sarà oggi annunziato; il segno, anzi il mezzo di remissione e di santificazione domani stesso vi sarà dato, nel momento in cui per le Nostre mani la mistica Porta sarà ancora una volta rimossa, aprendo l'adito al massimo tempio della Cristianità, simbolo del Redentore Gesù, a Noi dato per Maria, affinché tutti, incorporati in Lui, troviamo la salvezza: «Ego sum ostium. Per me si quis introierit, salvabitur» (Io 10, 9).

Da tutta la Chiesa di Cristo, che ha distese le sue membra sopra ogni plaga del nostro pianeta, in questi giorni si affisano gli sguardi a Roma, a questa Sede Apostolica, scaturigine perenne di verità, di salvezza, di bene.

Ci è noto quante speranze voi riponete in questo Anno Santo. Ferma è nel Nostro cuore la fiducia che la Provvidenza divina voglia operare in esso e per esso le meraviglie della sua misericordia verso la umana famiglia. E Ci sostiene la speranza che l'Angelo del Signore non incontri ostacoli nel suo cammino, bensì trovi spianate le vie e aperti i cuori da quel buon volere che piega il Cielo verso la terra.

Noi stessi, cui la Provvidenza divina ha riservato il privilegio di annunziarlo e donarlo al mondo intero, sentiamo il presagio della sua importanza per il prossimo mezzo secolo.

Ci sembra che l'Anno Santo 1950 abbia da essere determinante anzitutto per l'auspicata rinnovazione religiosa del mondo moderno, e risolutivo di quella crisi spirituale che stringe le anime del nostro tempo. L'auspicata armonia dei valori celesti e terreni, divini ed umani, ufficio e dovere della nostra generazione, si compirà o almeno si affretterà, se i fedeli di Cristo dureranno saldi nei concepiti propositi, proseguiranno tenaci nelle opere intraprese e non si lasceranno sedurre da vane utopie, né sviare da interessi ed egoismi di parte.

Determinante altresì per l'avvenire della Chiesa, all'interno impegnata nello sforzo di rendere più schietta e più diffusa tra il popolo la santità dei suoi membri, mentre all'esterno si studia di trasfondere e di espandere il suo spirito di giustizia e di amore anche nelle civili istituzioni. 

L'apertura della Porta Santa

Animati da questi sentimenti e da questi voti, penetrati della dignità di una tradizione che risale ai tempi del Nostro Predecessore Bonifacio VIII, Noi domani, nell'aprire con tre colpi di martello la Porta Santa, saremo consapevoli di compire non un atto puramente tradizionale, ma un rito simbolico di alta portata, non soltanto per i cristiani, ma per tutta l'umanità.

Noi vorremmo che quel triplice colpo risuoni nel fondo delle anime di tutti coloro che hanno orecchie per intendere (cf Mt 11, 15). 

Anno Santo, anno di Dio,
di Dio, la cui maestà e grandezza condanna il peccato; 
di Dio, la cui bontà e misericordia offre il perdono e la grazia a chi è disposto ad accoglierlo;
di Dio, che in questo Anno Santo vuole appressarsi ancor più all'uomo e tenersi a lui più che mai vicino.

Quanti fanno del peccato una semplice «debolezza» e della debolezza perfino una virtù! «Equidem», scriveva già il pagano Sallustio,(2) «nos vera vocabula rerum amisimus, quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur». Trasformando artificiosamente il senso delle parole nelle più importanti questioni della vita pubblica e privata, essi nascondono ciò che la coscienza non vuol chiarire; coonestano ciò che l'intimo della loro anima condanna; negano ciò che dovrebbero lealmente riconoscere.

Quanti pongono al posto del vero Dio i loro idoli, ovvero, pur affermando la loro credenza in Dio e la loro volontà di servirlo, si fanno di Lui una idea, che è il prodotto dei loro propri desideri, delle loro proprie tendenze, delle loro proprie debolezze! Iddio nella sua immensa grandezza, nella sua immacolata santità, Iddio la cui bontà comprende così bene i cuori che Egli stesso ha formati (cf. Ps 32, 15) e la cui benignità è sempre pronta a venire in loro aiuto, non è rettamente conosciuto da molti. Perciò tanti cristiani per pura abitudine, tanti sbadati e incuranti, e d'altra parte tante anime tormentate e senza speranza, come se il Cristianesimo non fosse esso stesso la «buona novella».

False idee di Dio, vane creazioni di spiriti troppo umani, che l'Anno Santo deve dissipare e scacciare dai cuori!

L'anno del gran ritorno e del gran perdono

La spontanea simpatia, con cui i popoli ne hanno accolto l'annunzio, conferma la fiducia che Noi stessi vi abbiamo riposto. Non sarà dunque una festività chiassosa, non un pretesto di pie distrazioni, neppure un vanitoso sfoggio di forze cattoliche nel senso inteso dal mondo, che fa consistere il felice successo nei momentanei consensi delle moltitudini. L'Anno Santo deve operare più seriamente e più a fondo nelle anime, deve stimolare e promuovere più largamente le virtù private e pubbliche, deve essere ed apparire più intimamente e schiettamente cristiano. 

Esso dovrà corrispondere all'arcano volere di Dio, dovrà segnalarsi come anno del gran ritorno, anno del gran perdono, nella misura almeno che l'età nostra è stata, anche nel recente passato, epoca di apostasia e di colpa.

I. ANNO DEL GRAN RITORNO

Invito paterno

Rivolgiamo dunque fin da oggi al mondo intero la Nostra voce, affinché da tutti gli uomini e da ciascuno, da ogni plaga e da ogni lido, con l'urgenza propria dell'ora straordinaria che volge, si compia l'auspicato grande ritorno. Il Nostro vuole essere soprattutto invito di padre che vive, fatica, soffre, prega e spera per il bene e la felicità dei figli. E tutti gli uomini sulla terra sono Nostri figli, saltem iure et destinatione, anche coloro che Ci abbandonarono, che Ci offesero, che Ci fecero e Ci fanno patire.

Figli lontani, smarriti, delusi e amareggiati, particolarmente voi, ai quali ingannevoli voci e forse anche incauta visione delle cose hanno spento nel cuore l'affetto che già nutrivate per la Santa Chiesa, non vogliate respingere l'offerta di riconciliazione che Dio stesso vi offre per Nostro mezzo e in un tempo veramente accettevole. Siate fin da ora persuasi che dolci sono le vie del ritorno alla casa del Padre e pieno di gaudio l'abbraccio che vi aspetta.

Ritorno a Dio degli increduli, degli atei e dei pagani

Segni anzitutto questo Anno Santo il ritorno a Dio di quelle anime che, per cause varie e molteplici, hanno perduto di vista ed estinto nel cuore l'immagine e il ricordo del loro Creatore, da cui è la loro vita, come l'esistenza di tutti gli esseri, e nel quale è riposto il loro sommo bene.

O che ne siano lontani per inerte e agnostico atteggiamento verso il massimo problema della vita; o che si dicano soddisfatti di una fittizia visione dell'universo, dove si nega il necessario posto al primo Principio spirituale di quanto è o può essere; o che, intolleranti della sua indistruttibile presenza, stoltamente gelosi del suo supremo dominio, a Lui muovono folle guerra, tentando di soffocare la testimonianza che di Lui danno le creature tutte e il loro stesso cuore; essi soffrono lo spasimo di un esilio, l'isolamento dall'universo, il vuoto di un deserto, a cui da se stessi si sono condannati, accettando l'ateismo. Per loro non vi è che un rimedio, il ritorno: ritorno alla riflessione e al buon senso umano, ritorno alla ricerca profonda e serena della ragione delle cose, risalendo grado per grado la scala del creato dall'effetto alle cause, finché non riposi pienamente appagata la mente investigatrice; ritorno infine alla umiltà e alla docilità della creatura. Apparirà ai loro occhi, e potranno quasi toccarlo nella irrefragabile testimonianza delle sue opere, il Dio dei viventi, il Padre nostro, l'amore che tormenta, finché non sia posseduto.

Il cuore Ci dice che quest'Anno Santo vedrà molti di tali ritorni, come vedrà moltiplicarsi le conversioni alla fede cristiana dei pagani in terra di Missione. Vi tornerà certamente di conforto il conoscere che dal Giubileo del 1925 ad oggi si è più che raddoppiato il numero dei cristiani in quei lontani territori; mentre in alcune regioni dell'Africa la Chiesa visibile è divenuta un caposaldo della vita sociale, mediante l'influsso cristiano profondamente esercitato sui costumi pubblici e privati. Ma col più vivo dolore dell'animo Nostro non possiamo distaccare il pensiero dai gravi pericoli che sovrastano o che hanno già funestato la religione e le sue istituzioni in altri Paesi dell'Europa e dell'Asia, come nella Cina sterminata, ove tragici rivolgimenti hanno ridotto fiorite di vita a cimiteri di morte.

Ritorno a Gesù Cristo dei peccatori

Segni l'Anno Santo il ritorno a Gesù Cristo Redentore per le anime allettate dalle lusinghe del peccato e lontane dalla casa del Padre. Sono credenti e cattolici, cui pur troppo lo spirito, debole quanto la carne, rende transfughi dai propri doveri e dimentichi dei veri tesori, o per lungo volgere di anni, o in un abituale alternarsi di diserzioni e di labili incontri. Si illudono, se ritengono di possedere la vita cristiana e a Dio accetta, senza che la grazia santificante dimori abitualmente nei loro cuori.

Dai facili compromessi fra terra e cielo, tempo ed eternità, senso e spirito, sono tratti nel pericolo di morire di miseria e di fame, lontani da quel Gesù che non riconosce per suoi coloro che vogliono servire due padroni. Per questi piagati nello spirito, lebbrosi, paralitici, tralci staccati senza linfa vitale, l'Anno Santo sia tempo di guarigione e di ravvedimento. L'angelo della piscina Probatica vuol rinnovare per loro tutti il prodigio delle acque risanatrici; chi non vorrà bagnarvisi? 

Il vecchio Padre della parabola evangelica attende ansioso, sulla soglia della Porta Santa, che il figlio traviato ritorni contrito; chi vorrà ostinarsi nel deserto della colpa?

Ritorno alla Chiesa dei dissidenti

Oh, se questo Anno Santo potesse salutare anche il grande e da secoli atteso ritorno all'unica vera Chiesa di molti credenti in Gesù Cristo, per vari motivi da lei separati! Con gemiti inenarrabili lo Spirito, che è nei cuori buoni, leva oggi come un grido d'implorazione la stessa preghiera del Signore: ut unum sint (Io 17,11). Giustamente pensosi dell'audacia, con cui si muove il fronte unico dell'ateismo militante, quel che da lungo tempo si domandava, oggi s'invoca ad alta voce: Perché ancora separazioni, perché ancora scismi? A quando l'unione concorde di tutte le forze dello spirito e dell'amore?

Se altre volte dalla Sede Apostolica è partito l'invito alla unità, in questa occasione Noi lo ripetiamo più caldo e paterno, spinti come Ci sentiamo dalle invocazioni e suppliche di tanti e tanti credenti sparsi su tutta la terra che, dopo i tragici e luttuosi avvenimenti sofferti, volgono gli occhi verso questa stessa Sede, come all'àncora di salvezza del mondo intero. Per tutti gli adoratori di Cristo - non esclusi coloro che in una sincera ma vana attesa l'adorano promesso nelle predizioni dei Profeti e non venuto - Noi apriamo la Porta Santa, e insieme le braccia e il cuore di quella paternità, che per inscrutabile disegno divino Ci è stata comunicata da Gesù Redentore.

Ritorno del mondo ai disegni di Dio ...

Sia finalmente questo Giubileo l'anno del gran ritorno dell'intera umanità ai disegni di Dio.

Il mondo moderno, nello stesso modo che ha tentato di scuotere il soave giogo di Dio, ha insieme rigettato l'ordine da Lui stabilito, e con la medesima superbia dell'angelo ribelle, all'inizio della creazione, ha preteso di istituirne un altro a suo arbitrio.

Dopo quasi due secoli di tristi esperienze e di traviamenti, quanti hanno ancora mente e cuore retti confessano che simili disposizioni e imposizioni, le quali hanno nome ma non sostanza di ordine, non han dato i risultati promessi, né rispondono alle naturali aspirazioni dell'uomo. Questo fallimento si è manifestato in un duplice terreno: quello dei rapporti sociali e quello dei rapporti fra le nazioni. 

... sul terreno sociale

Nel campo sociale il travisamento dei disegni di Dio si è operato alla radice stessa, deformando la divina immagine dell'uomo. Alla sua reale fisionomia di creatura, avente origine e destino in Dio, è stato sostituito il falso ritratto di un uomo autonomo nella coscienza, legislatore insindacabile di se stesso, irresponsabile verso i suoi simili e verso la compagine sociale, senz'altro destino fuori della terra, senz'altro scopo che il godimento dei beni finiti, senz'altra norma se non quella del fatto compiuto e dell'appagamento indisciplinato delle sue cupidigie.

Di qui è sorto e si è consolidato per interi lustri nelle più svariate applicazioni della vita pubblica e privata quell'ordine soverchiamente individualistico, che è oggi quasi dappertutto in grave crisi. Ma nulla di meglio vi hanno apportato i successivi innovatori, i quali, movendo dalle stesse errate premesse e per altra via declinando, hanno condotto a conseguenze non meno funeste, fino al totale sovvertimento dell'ordine divino, al disprezzo della dignità della persona umana, alla negazione delle più sacre e fondamentali libertà, al predominio di una sola classe sulle altre, all'asservimento di ogni persona e cosa allo Stato totalitario, alla legittimazione della violenza e all'ateismo militante.

Ai sostenitori dell'uno e dell'altro sistema sociale, ambedue lontani e contrari ai disegni di Dio, suoni persuasivo l'invito a tornare ai princìpi naturali e cristiani, che fondano la effettiva giustizia nel rispetto delle legittime libertà; di guisa che con la riconosciuta eguaglianza di tutti nella inviolabilità dei propri diritti si spenga l'inutile lotta che esaspera gli animi nell'odio fraterno.

Ma oltre a questi voti, che formano la costante sollecitudine del Nostro ufficio apostolico, Noi rivolgiamo una paterna esortazione a coloro che ripongono tutta la loro speranza nelle promesse di una dottrina e di capi, che si professano esplicitamente materialisti ed atei.

Umili ed oppressi, per quanto triste sia la vostra condizione, fermi restando in voi il diritto di rivendicare il giusto, e negli altri il dovere di riconoscervelo, ricordate che possedete un'anima immortale e un destino trascendente.

Non vogliate cambiare i beni celesti ed eterni coi caduchi e temporanei, specialmente in questa età in cui dappertutto uomini onesti e provvide istituzioni hanno più validamente raccolto il vostro grido e compreso il vostro dramma, risoluti a guidarvi per le vie della giustizia.

Quella fede e quella speranza, che riponete non di rado in uomini altrettanto asseveranti nel promettere, quanto certi di non poter ottenere quella rapida soluzione di tutti i vostri problemi, che fanno brillare dinanzi ai vostri occhi - problemi di cui qualcuno è difficilmente solubile per la limitatezza stessa della natura umana -, riservatele in primo luogo alle promesse di Dio che non inganna.

Le legittime sollecitudini, che vi assillano per il pane quotidiano e per una conveniente dimora - indispensabili alla vita vostra e delle vostre famiglie - fate che non contrastino coi vostri destini celesti, che non vi facciano dimentichi o noncuranti dell'anima vostra e dei tesori imperituri che Dio vi ha affidati nelle anime dei vostri figli, che non vi oscurino la visione né v'impediscano il conseguimento di quei beni eterni, che saranno la vostra felicità perpetua e si concretano nel supremo valore per cui siamo creati: Dio nostra beatitudine. Soltanto una società illuminata dai dettami della fede, rispettosa dei diritti di Dio, certa del conto che i suoi capi responsabili dovranno rendere al Giudice supremo nell'intimo della loro coscienza e al cospetto dei vivi e dei morti, soltanto una tale società saprà riconoscere e interpretare rettamente i vostri bisogni e le vostre giuste aspirazioni, difendere e propugnare i vostri diritti, saggiamente guidarvi nell'adempimento dei vostri doveri, secondo la gerarchia dei valori e l'armonia della convivenza domestica e civile stabilite dalla natura.

Non dimenticate che senza Dio la prosperità materiale è per chi non la possiede una tormentosa ferita, ma per chi l'ha, un adescamento mortale. Senza Dio la coltura intellettuale ed estetica è un fiume tagliato dalla sua sorgente e dalla sua foce: esso si riduce a un pantano, si riempie di sabbia e di fango.  

... sul terreno internazionale

Attendiamo infine per questo Anno Santo il ritorno della società internazionale ai disegni di Dio, secondo i quali tutti i popoli nella pace e non nella guerra, nella collaborazione e non nell'isolamento, nella giustizia e non nell'egoismo nazionale, sono destinati a formare la grande famiglia umana, avviata alla comune perfezione, nel reciproco aiuto e nella equa distribuzione dei beni, che sono tesoro di Dio affidato agli uomini.

Diletti figli, se mai occasione ci parve propizia per esortare i reggitori di popoli a pensieri di pace, questa dell'Anno Santo Ci sembra quanto mai opportuna. Essa è e vuole significare anche un potente richiamo e insieme un contributo alla fraternità delle genti.

In questa Madre dei popoli, che è Roma, converranno innumerevoli gruppi di pellegrini, diversi per stirpe, per nazione, per lingua, per costumi, per sentimenti. E fra queste stesse mura convivranno, s'incontreranno per le medesime vie, riposeranno nei medesimi alberghi, parteciperanno ai medesimi riti, si disseteranno alle medesime fonti dello spirito, godranno dei medesimi conforti, coloro cui fu comandato di seminare la morte e coloro che ne soffrirono gli spaventosi effetti, colui che invase e colui che vi soggiacque, chi recinse i campi di ferro spinato e chi vi patì dura prigionia. Non abbiamo Noi dunque ragione di credere che queste migliaia e migliaia di Nostri devoti figli e figlie diverranno l'avanguardia fedele nella crociata per la pace e che con la Nostra benedizione porteranno seco nella loro patria il pensiero e la forza della pace di Cristo, affine di guadagnare colà nuove reclute per una così santa causa?

Dio non voglia che questa «tregua di Dio», ispiratrice augurale di pacifici consigli, venga turbata o violata da insani propositi non solo tra le nazioni, ma tra i diversi ceti di un medesimo paese. Quella mano sacrilega si condannerebbe da sé alla giusta ira di Dio e si attirerebbe l'immancabile esecrazione di tutta l'umanità.

Grande ritorno dunque Noi Ci attendiamo in questo Anno di grazie straordinarie, grande per il numero dei figli, cui riserviamo il più affettuoso amplesso, grande per la lontananza da cui proverranno alcuni di loro, grande per le vaste e benefiche ripercussioni, che non mancheranno di derivarne. Ai Nostri figli, a tutti gli uomini di buona volontà sia caro l'impegno di non deludere le speranze del Padre comune, che tiene le braccia alzate al cielo, perché la nuova effusione della misericordia divina sul mondo superi ogni misura.  

II. ANNO DEL GRAN PERDONO

Dio amore misericordioso

Per questo incontro di amore compassionevole e benigno, che da Roma divamperà su tutta la terra, ogni ritorno a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa e ai divini disegni si suggellerà con l'amorevole abbraccio del Padre delle misericordie, che ogni colpa e ogni pena condona a chi ama. Gesù ci ha svelato il vero volto di Dio, raffigurandolo nel padre che accoglie, abbraccia, perdona il figliuol prodigo al suo accorato e fiducioso ritorno nella casa, da cui si era stoltamente allontanato.

Se il Giubileo per gli uomini è tempo di straordinario ritorno, per Dio sarà occasione di più largo e amorevole perdono.  

Pentimento ed espiazione

E chi non ha bisogno del perdono di Dio? Tuttavia il Signore, se è pronto a perdonare, non dispensa il peccatore dal sincero pentimento e dalla giusta espiazione.

L'Anno Santo sia dunque principalmente anno di pentimento e di espiazione. Il pentimento e la espiazione interiori e volontari sono l'indispensabile presupposto di ogni umano rinnovamento, significano l'arresto nella china, esprimono il riconoscimento dei propri peccati, manifestano la serietà del buon volere.

E maggiori valori acquista l'espiazione volontaria, quando sia collettiva e venga prestata in unione col primo Espiatore delle umane colpe, Gesù Cristo nostro Redentore.

Espiate, diletti figli, in questo Anno Santo che ricorda la grande espiazione del Calvario, le vostre e le altrui colpe; seppellite con un sincero pentimento tutto il passato, persuasi che se la presente generazione è stata colpita così duramente dai castighi, fabbricati con le sue stesse mani, è perché ha più coscientemente e protervamente peccato.

Sfilano, come in lugubre rassegna dinanzi ai Nostri occhi, i volti addolorati degli orfani, delle vedove, delle madri in attesa di un ritorno che forse non verrà, dei perseguitati per la giustizia e per la religione, dei prigionieri, dei profughi, degli esuli forzati, dei detenuti; dei disoccupati, degli oppressi, dei sofferenti nello spirito e nella carne, delle vittime di ogni ingiustizia. Tante e tante lacrime che irrorano la faccia della terra, tanto e tanto sangue che la imporpora, mentre sono in sé espiazione e in molti casi non per proprie colpe, esigono alla lor volta altra espiazione, perché sia distrutta la colpa e sorrida di nuovo la gioia.

Chi vorrà straniarsi da questo mondo di espiazione, che ha per capo il medesimo divino Crocifisso e abbraccia la intiera Chiesa militante?  

Perdono fra gli uomini

Con sì larghe promesse da parte di Dio, forse non mai Anno Santo venne più opportunamente a consigliare mitezza, indulgenza e perdono tra uomo ed uomo.

Quando in tempi recenti, prendendo a motivo una guerra sfortunata o colpe politiche, si scatenarono ondate di rappresaglie, sconosciute finora nella storia almeno per il numero delle vittime, il Nostro cuore fu invaso da acerbo dolore, non solo per la sventura che moltiplicava le sventure e gettava nel lutto migliaia di famiglie spesso innocenti, ma perché con sommo rammarico vi vedevamo la tragica testimonianza dell'apostasia dallo spirito cristiano.

Chi vuol essere sinceramente cristiano deve saper perdonare. «Servo iniquo ... - ammonisce la parabola evangelica (Mt 18, 33) -, non dovevi anche tu aver pietà di un tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?».

La carità e la misericordia, allorché soccorrono equi motivi, non contrastano col dovere della retta amministrazione della giustizia, bensì l'imprudente intolleranza e lo spirito di rappresaglia, soprattutto quando la vendetta sia esercitata dal pubblico potere contro chi ha piuttosto errato che peccato, o quando la stessa pena meritamente inflitta si prolunghi oltre ogni limite ragionevole.

Ispiri il Signore consigli di riconciliazione e di concordia a quanti sono investiti di pubbliche responsabilità, e, senza pregiudizio del bene comune, si ponga fine a quei residui di leggi straordinarie, che non riguardano i delitti comuni meritevoli di giusta punizione, e che, dopo lunghi anni dalla cessazione del conflitto armato, provocano in tante famiglie e in tanti individui sensi di esasperazione contro la società in cui sono costretti a soffrire.

Larga condonazione

Noi torniamo perciò a supplicare le supreme Autorità degli Stati, specialmente cristiani, in nome di Gesù Cristo medesimo che precedette con l'esempio immolandosi per i suoi stessi uccisori, affinché vogliano esercitare generosamente il loro diritto di grazia, mandando ad effetto, nell'occasione così solenne e propizia dell'Anno Santo, quei temperamenti della giustizia punitiva, che dalle leggi di ogni Paese civile sono previsti.

La religione e la pietà, che, come Ci auguriamo, ispireranno quegli atti di benevolenza, non che svigorire la forza delle leggi o scemare il rispetto nei cittadini, saranno anzi di valido motivo ai beneficati col ritorno alla libertà agognata o con l'accorciamento della pena, per risorgere moralmente e riparare, ove sia il caso, al passato con un sincero e duraturo ravvedimento nel segno della fede.

Noi, e insieme con Noi tanti cuori di congiunti afflitti, domandiamo questo conforto, perché la letizia dei figli è gaudio del Padre. E fin da ora esprimiamo un pubblico e fervido ringraziamento a quei Governanti, che già hanno, in varia misura, favorevolmente accolto il Nostro voto o Ci hanno lasciato qualche speranza di ottenerne l'adempimento.   

Invito a Roma

«Securus iam carpe viam»

Diletti figli, eccovi aperto il Nostro cuore alla vigilia dell'apertura della Porta Santa; leggetevi le Nostre intenzioni le Nostre speranze, i Nostri voti.

Raccogliete il Nostro invito alla casa paterna; da vicino e da lontano, da ogni regione e continente, da tutte le frontiere e per ogni strada, valicando gli oceani e solcando i cieli, venite a questa Roma, che a voi apre le sue braccia sempre materne: «Securus iam carpe viam, peregrinus ab oris - occiduis quisquis venerandi culmina Petri - ... petis».(3)

Voi, che già per lunghi anni lasciaste il focolare domestico e vi tempraste alle asperità dei lunghi viaggi con gli eserciti in guerra, con le torme dei profughi, degli emigranti, degli sfollati, riprendete la via, ma questa volta in letizia, quasi legioni pacifiche di oranti e di penitenti verso la patria comune dei cristiani.  

«Roma mihi patria»

Poiché, senza privilegi di stirpe o di casta, Roma è la patria di tutti; ogni cristiano può e deve dire «Roma mihi patria». Qui si manifesta più particolarmente la soprannaturale provvidenza di Dio per le anime; qui attinsero i santi le norme e le ispirazioni dei loro eroismi; questa terra benedetta conobbe i trionfi dei primi martiri e fu la palestra d'invitti confessori. Qui è la rupe immota, dove ancorerete i vostri aneliti: il luogo e l'antico tropaeum del sepolcro glorioso del Principe degli Apostoli, che sorregge la Cattedra viva del Vicario di Cristo.

Nello splendore delle basiliche, nel decoro delle solenni liturgie, nelle penombre degli antichi cimiteri cristiani, accanto alle insigni reliquie dei Santi, respirerete un'aura di santità, di pace e di universalità, che varrà a dare alla vostra vita un profondo e cristiano rinnovamento.

E voi, diletti figli di Roma, a Noi più vicini e legati da più immediato ministero pastorale, che più volte in questo passato decennio Ci avete dato indubbie prove di attaccamento filiale, non sarete secondi a nessuno nell'adeguarvi coi vostri propositi e con la vostra condotta agli alti fini dell'Anno Santo. A voi si addice una carità particolare nell'accogliere i fratelli giunti di lontano, una esemplare morigeratezza dei costumi, una fervorosa pratica dei doveri religiosi. 

Accolga l'onnipotente e misericordioso Dio questi Nostri voti, e su voi che Ci ascoltate, su tutti gli uomini di buona volontà, su coloro di cui attendiamo il ritorno, scenda, come pegno delle più larghe misericordie del cielo, la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XI, 
 Undecimo anno di Pontificato, 2 marzo 1949 - 1° marzo 1950, pp. 327 - 340
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 2, pp. 121 - 133.

(1) PIO PP. XII, Radiomessaggio Non mai forse sull'Anno Santo di Dio alla vigilia del Santo Natale, [A tutto il mondo], 24 dicembre 1949: AAS 42(1950). pp. 121-133.

(2Catil. 52.

(3PAULUS DIACONUS, Carmina, VIII,19-21: MGH Poetae lat. aevi carol., t I, p. 46.














[Modificato da Caterina63 09/12/2014 22:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA*

Giovedì, 2 marzo 1950


 

Siate i benvenuti diletti figli, che  sotto la invisibile ma valida guida del vostro e Nostro carissimo Cardinale Vicario — vi siete qui adunati per chiedere e ricevere la Benedizione del Vescovo di Roma e Successore di Pietro a conforto e a sprone del vostro apostolato nel tempo quaresimale.

Ai parroci, zelanti collaboratori nella vigna romana del Signore, e ai sacri oratori della Quaresima, sono dovuti speciali riguardi. Gli straordinari doveri e uffici dell'Anno Santo Ci costringono — pur Nostro malgrado —, debitori come siamo a tutti per amore di Cristo, a un « razionamento » dei Nostri discorsi. Tuttavia fra questi deve trovar posto una breve ma pur fervida parola a voi e alle anime affidate alle vostre cure.

L'Urbe e il mondo stanno sotto il segno del Gran Giubileo. Questo Giubileo significa forza e grazia per i singoli, per la Chiesa e per la umanità. Anno di intimo raccoglimento alla Luce delle eterne verità. Anno, per molti, di riconquistata pace fra cielo e terra, fra Dio e l'uomo. Anno di approfondimento religioso per tutti coloro, a cui le esigenze e gli allettamenti del mondo hanno turbato o annebbiato lo sguardo verso l'unum necessarium.

Anno di vivificante manifestazione della Communio Sanctorum, della comunanza di grazie e di amore, fondata in Cristo, fra la Chiesa militante, purgante e trionfante, formando il tesoro inesauribile della Chiesa che si offre largamente a quanti ad esso si approssimano con fame e sete di giustizia.

Anno di rafforzamento e d'incremento della unità cattolica grazie al contatto personale, sensibile e tangibile del Capo visibile della Chiesa coi fedeli, i quali da ogni parte — per numero e per distanze geografiche incomparabilmente più che in passato — accorrono a Roma, alla Sede di Pietro.

In un tale Anno poter salire sui pulpiti della Eterna Città, affine di rendere le anime, mediante il rigore della penitenza quaresimale, mature per il giubilante Alleluia di Pasqua e la effusione di grazie della Pentecoste, è una missione che deve riempire ogni cuore apostolico di indicibile gioia, di fervoroso zelo, di ardente amore, pronto ad ogni sacrificio.

DI INDICIBILE GIOIA :

Se per un peccatore convertito, secondo la divina parola del Redentore, si fa più festa in cielo che per novantanove giusti che di penitenza non hanno bisogno (cfr. Luc. 15, 7), come potrebbe il vostro cuore non fremere di riconoscenza e di beatitudine al pensiero che la vostra parola, illuminata dallo spirito di Dio e fecondata dalla grazia del Signore, potrà divenire per molti vostri fratelli e sorelle impulso verso quel ritorno, che è uno dei grandi scopi dell'Anno Santo?

La Roma di oggi non e più quella di un tempo, la Roma dei nostri padri e dei nostri nonni, la quale, senza pregiudizio della sua posizione e della sua missione centrale religiosa e spirituale, aveva un raccoglimento e una pace, che la distinguevano e la distanziavano da altre metropoli.

Alla Roma di oggi, con quasi due milioni di abitanti, dei quali non pochi, massime nei sobborghi, vivono in miserevoli condizioni, è rimasto ben poco di quel raccoglimento e di quella pace. Seminare il buon seme di Cristo fra raffiche di vento, in mezzo alle agitazioni e alla dissipazione delle folle, in un terreno disseccato da tante cure puramente temporali, ingombrato dalle spire delle passioni, delle cupidigie e delle rivalità, è ben duro lavoro, che, pur senza essere sterile di consolazioni e di gioie, riserva anche all'industrioso seminatore delusioni e amarezze.

Per uscire da questo stato di fatto, dalle esigenze che esso pone, dalle miserie che esso produce, vi è una sola via, il rifugiarsi in quella letizia della propria vocazione, che scaturisce da fede profonda e di essa incessantemente si alimenta, e che giorno per giorno, ora per ora, fa conoscere e sperimentare al sacerdote la grandezza e la felicità della sua missione, specialmente quando la mole dei suoi doveri cominciasse a sgomentarlo; ond'egli può dire con l'Apostolo delle Genti : «Quasi tristes, semper autem gaudentes; sicut egentes; multos autem locupletantes» (2 Cor. 6, 10). Semper autem gaudentes: con queste parole di S. Paolo sulle vostre labbra e nei vostri cuori salite sui pulpiti della Città Eterna nel gaudio dell'Anno Santo. E questa letizia nutrita da motivi soprannaturali e il lavoro apostolico da essa ispirato e infiammato riporterà sul suolo romano e nei cuori romani vittorie, di cui voi e Noi dinanzi a Dio e agli occhi della Cristianità potremo andare santamente alteri.

DI FERVOROSO ZELO :

Essere nella cura delle anime e sui pulpiti delle grandi città significa — oggi più che mai — trovarsi all'avanguardia nella milizia di Cristo. Significa essere fra quelli, sui quali, più che su altri, grava il pondus diei et aestus; fra quelli, al cui spirito soprannaturale, alla cui provata esperienza, alla cui incondizionata fedeltà e dedizione è più che ad altri, affidata la sorte della Chiesa e del gregge di Cristo. E quando al vostro zelo, alla vostra vigilanza, alla vostra predicazione è affidato il patrimonio spirituale di una Città, che si chiama Roma, allora voi sapete che cosa indica anche per voi e per i vostri ascoltatori l'ammonimento profetico del primo Vescovo dell'Urbe « Fuerunt . . . pseudoprophetae in populo, sicut et in vobis erunt, magistri mendaces, qui introducunt sectas perditionis » (2 Petr. 2, 1).

Sul suolo romano si compie dinanzi allo sguardo del mondo intiero un formidabile incontro fra gli assertori e i negatori della fede cristiana. Questo suolo, che vide già la lotta fra il vecchio Cesarismo e il giovane Cristianesimo, è oggi di nuovo divenuto arena spirituale, ove sono in contesa non solo i più alti beni della vita cristiana, ma anche i presupposti fondamentali della stessa dignità umana.

Quando dunque voi vi trovate sul pulpito dinanzi ai vostri ascoltatori romani, parlate loro nello spirito del primo Papa, empitevi e penetratevi dell'inestinguibile zelo per il bene delle anime, che rese vittoriosa la missione di lui, contro tutte le umane previsioni. Fate che coloro, i quali vi ascoltano, sentano e sperimentino che questo spirito e questo zelo di Pietro ha anche oggi fra i ministri del santuario e gli annunziatori del Vangelo una folta schiera di seguaci a tutto pronti ; e siate persuasi che il popolo della Nostra diocesi romana vi corrisponderà con la stessa fedeltà e che anche molti di coloro, i quali erano già caduti vittime delle seduzioni dei falsi profeti, troveranno la via del ritorno.

DI ARDENTE E GENEROSO AMORE:

Il mondo di oggi, disavvezzato dal genuino amore, fattosi servo dell'odio e delle discordie, è una terribile prova della verità del detto ciceroniano: « Ut magnas utilitates adipiscimur conspiratione hominum atque consensu, sic nulla tam detestabili pestis est, quae non homini ab homine nascatur » (Cicer. De officiis I. 2 n. 5). Nessun terremoto, nessuna carestia, nessuna epidemia, nessuna calamità originata dalle forze della natura, può paragonarsi all'inimmaginabile cumulo di sofferenze, che l'uomo, chiuso all'amore, dominato dall'odio, apporta ai suoi simili.

Colui, che come apostolo del Vangelo, come annunziatore delle verità eterne e della buona novella, si trova di fronte al mondo, non può e non deve operare che in nome dell'amore. Il paolino « aes sonans aut cymbalum tinniens » (1 Cor. 13, 1), per nessun altro vale più inesorabilmente, quanto per il predicatore, alla cui parola fa difetto l'unzione della carità. Vi possono essere predicatori, a cui manca il dono della facondia. Un apostolato senza facondia è possibile. Un apostolato senza amore è una contraddizione in termini. Abbiate perciò sempre dinanzi ai vostri occhi la sentenza di un grande Romano e di un grande Papa: « Qui charitatem erga alterum non habet, praedicationis officium suscipere nullatenus debet » (S. Gregorii M. Honzil. 17 in Evang. n. i - Migne PL, t. 76 col. 1139).

Diletti figli! È stata per Noi una intima gioia il poter iniziare la splendida serie delle beatificazioni e canonizzazioni di questo grande Anno giubilare con la glorificazione di una di quelle eroiche figure sacerdotali, che la Provvidenza suole di tempo in tempo inviare e donare al centro della Cristianità. Il giorno della sua beatificazione e durante il susseguente triduo la Roma cattolica ha mostrato che cosa sono per lei coloro, i quali in difficili e torbidi momenti sanno farsi suoi animatori, consiglieri e guide. L'umile, semplice Vincenzo Pallotti, tutto dedito alla causa dei poveri, il cui apostolato di verità e di amore in Roma era potuto sembrare caduto in una passeggiera dimenticanza, ha ora riportato nella sua Città natale e fra i suoi concittadini un trionfo di riconoscenza, che onora non meno il cuore dei romani che Colui al quale questa gratitudine era rivolta. Il giorno in cui i suoi resti mortali furono portati attraverso le vie dell'Urbe, che furono già testimoni del suo zelo, Roma ha tributato al suo semplice ma grande figlio una dimostrazione di riverente ammirazione, che lascia nell'ombra tutte le onoranze terrene.

Possa l'esempio di questo Apostolo di Roma, la cui predicazione era sempre diretta all'unum necessarium, e il cui frutto era il suo confessionale bramosamente ricercato e circondato da straordinari effetti di grazia, essere a voi lume e conforto nell'esercizio del vostro ministero. Possa lo spirito di Vincenzo Pallotti rinnovarsi in ognuno di voi e dare al vostro apostolato quaresimale, con la grazia divina, quell'irresistibile fluido di amore, di cui la umanità dubbiosa, incerta, errante e sofferente di oggi ha tanto bisogno. In questa fiduciosa attesa invochiamo su voi tutti la luce e la potente assistenza di Dio, mentre, in pegno dei più eletti favori celesti, v'impartiamo di cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 5 - 9
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 5 - 6, pp. 302 - 306.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI FEDELI CONVENUTI A ROMA PER LA 
CANONIZZAZIONE DI SANTA MARIA GORETTI
*

Piazza San Pietro - Sabato, 24 giugno 1950


 

Venerabili Fratelli e diletti figli,

Per un amoroso disegno della Provvidenza divina l'esaltazione suprema di una umile figlia del popolo è stata celebrata in questo vespro luminoso con una solennità senza pari e in forma sin qui unica negli annali della Chiesa: nella vastità e nella maestà di questo luogo di mistero, fatto tempio sacro, cui è volta il firmamento che canta le glorie dell'Altissimo; da voi così bramata, prima che da Noi disposta; con un concorso di fedeli numerosissimo, quale non videro mai eguale le altre canonizzazioni; e soprattutto quasi così imposta dall'abbagliante fulgore e dalla inebriante fragranza di questo giglio, ammantato di porpora, che or ora con intimo gaudio abbiamo ascritto all'albo dei Santi : la piccola e dolce Martire della purezza : Maria Goretti.

Perchè, diletti figli, siete accorsi in così sterminato numero alla sua glorificazione? Perchè, ascoltando o leggendo il racconto della sua breve vita, così somigliante a una limpida narrazione evangelica per semplicità di linee, per colore di ambiente, per la stessa fulminea violenza della morte, vi siete inteneriti fino alle lacrime? Perchè Maria Goretti ha conquistato così rapidamente i vostri cuori, fino a divenirne la prediletta, la beniamina? Vi è dunque in questo mondo, apparentemente travolto e immerso nell'edonismo, non soltanto una sparuta schiera di eletti assetati di cielo e di aria pura, ma folla, ma immense moltitudini, sulle quali il soprannaturale profumo della purezza cristiana esercita un fascino irresistibile e promettente : promettente e rassicurante.

Se è vero che nel martirio di Maria Goretti sfolgorò soprattutto la purezza, in essa e con essa trionfarono anche le altre virtù cristiane. Nella purezza era l'affermazione più elementare e significante del dominio perfetto dell'anima sulla materia; nell'eroismo supremo, che non s'improvvisa, era l'amore tenero e docile, obbediente ed attivo verso i genitori; il sacrificio nel duro lavoro quotidiano; la povertà evangelicamente contenta e sostenuta dalla fiducia nella Provvidenza celeste; la religione tenacemente abbracciata e voluta conoscere ogni dì più, fatta tesoro di vita e alimentata dalla fiamma della preghiera; il desiderio ardente di Gesù Eucaristico, ed infine, corona della carità, l'eroico perdono concesso all'uccisore: rustica ghirlanda, ma così cara a Dio, di fiori campestri, che adornò il bianco velo della sua prima Comunione, e poco dopo il suo martirio.

Così questo sacro rito si svolge spontaneamente in un'accolta popolare per la purezza. Se alla luce di ogni martirio fa sempre amaro contrasto la macchia di una iniquità, dietro a quello di Maria Goretti sta uno scandalo, che all'inizio di questo secolo parve inaudito. A distanza di quasi cinquant'anni, tra la spesso insufficiente reazione dei buoni, la congiura del malcostume, valendosi di libri, di illustrazioni, di spettacoli, di audizioni, di mode, di spiagge, di associazioni, tenta di scalzare in seno alla società e alle famiglie, a danno principalmente della fanciullezza anche tenerissima, quelli che erano i presidi naturali della virtù.

O giovani, fanciulli e fanciulle dilettissimi, pupille degli occhi di Gesù e dei Nostri, — dite — siete voi ben risoluti a resistere fermamente, con l'aiuto della grazia divina, a qualsiasi attentato che altri ardisse di fare alla vostra purezza?

E voi, padri e madri, al cospetto di questa moltitudine, dinanzi alla immagine di questa vergine adolescente, che col suo intemerato candore ha rapito i vostri cuori, alla presenza della madre di lei, che, educatala al martirio, non ne rimpianse la morte, pur vivendo nello strazio, ed ora s'inchina commossa ad invocarla, — dite — siete voi pronti ad assumere il solenne impegno di vigilare, per quanto è da voi, sui vostri figli, sulle vostre figlie, affine di preservarli e difenderli contro tanti pericoli che li circondano, e di tenerli sempre lontani dai luoghi di addestramento alla empietà e alla perversione morale?

Ed ora, o voi tutti che Ci ascoltate, in alto i cuori! Sopra le malsane paludi e il fango del mondo si stende un cielo immenso di bellezza. È il cielo che affascinò la piccola Maria; il cielo a cui ella volle ascendere per l'unica via che ad esso conduce: la religione, l'amore di Cristo, la eroica osservanza dei suoi comandamenti.

Salve, o soave e amabile Santa! Martire sulla terra e angelo in cielo, dalla tua gloria volgi lo sguardo su questo popolo, che ti ama, che ti venera, che ti glorifica, che ti esalta. Sulla tua fronte tu porti chiaro e fulgente il nome vittorioso di Cristo (cfr. Apoc. 3, 12); sul tuo volto virgineo è la forza dell'amore, la costanza della fedeltà allo Sposo divino; tu sei Sposa di sangue, per ritrarre in te l'immagine di Lui. A te, potente presso l'Agnello di Dio, affidiamo questi Nostri figli e figlie qui presenti e quanti altri sono a Noi spiritualmente uniti. Essi ammirano il tuo eroismo, ma anche più vogliono essere tuoi imitatori nel fervore della fede e nella incorruttibile illibatezza dei costumi. A te i padri e le madri ricorrono, affinchè tu li assista nella loro missione educativa. In te per le Nostre mani trova rifugio la fanciullezza e la gioventù tutta, affinchè sia protetta da ogni contaminazione e possa incedere per il cammino della vita nella serenità e nella letizia dei puri di cuore. Così sia.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 121 - 123
 Tipografia Poliglotta Vaticana

  A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 11, pp. 597 - 599.



 

 

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI MAESTRI CATTOLICI ITALIANI E AL PELLEGRINAGGIO
INTERNAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE 
DELLE INFERMIERE E ASSISTENTI MEDICO-SOCIALI*

Mercoledì, 6 settembre 1950

 

Siate benvenuti, diletti figli e figlie; Noi vi salutiamo con la medesima gioia, col medesimo affetto, col quale vi abbiamo accolti nelle Udienze passate.

Un nuovo motivo di letizia è per Noi questa volta il magnifico accrescimento e progresso della vostra Associazione, che dopo il 1946 ha visto triplicato il numero dei suoi iscritti, meritando così oggi, con tanto maggiore ampiezza, l'elogio che allora vi rivolgemmo. Voi mostrate invero uno zelo e una attività indefessa, non solo nella scuola stessa, ma anche in tutta una serie di opere efficacissime, come sono la scuola popolare, le biblioteche popolari, le cattedre ambulanti di cultura popolare, alle quali voi date una inconfondibile impronta cristiana e cattolica.

Il tema fondamentale del vostro presente congresso mette bene in luce l'ufficio dell'insegnante come educatore del popolo; ufficio il cui contenuto essenziale può riassumersi così: Educate i fanciulli affidati alle vostre cure in guisa da renderli cristiani timorati di Dio e che vivono intensamente la loro fede; allora si formerà come da se stesso un popolo costituito da uomini, « ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle sue responsabilità » (cfr. Radio-messaggio Natalizio 1944).

Il giovane normale — vorremmo dire lo scolaro medio — raramente ha bisogno di una educazione individuale particolarmente adattata. Guardate la sana e giovane pianta, che nel prato o sulla montagna, da sè stessa, in virtù del suo principio vitale, assorbe dal terreno e dall'aria gli elementi di cui ha bisogno per il suo sviluppo. Non diversamente il fanciullo, l'adolescente, prende da tutto ciò che lo circonda, nella famiglia, nella chiesa, nella scuola, da quanto vede, ode, legge, esperimenta, con un prodigioso dono di osservazione e di recettività, gli elementi coi quali egli forma il suo temperamento, il suo carattere, le sue personali inclinazioni.

Diletti figli e figlie! Avete voi ben considerato quale invidiabile campo di azione vi è stato attribuito, di quale magnifico ministero siete investiti? Quando durante cinque, otto anni, in intimo contatto coi medesimi giovani, trasmettete loro in larga' misura preziose ed utili cognizioni; quando al tempo stesso, quasi senza accorgervene, date loro l'esempio di una vita cristiana, tutta rivolta a Dio e fermamente radicata nella fede? Una istituzione come la scuola agisce a modo di una forza della natura, lentamente e in una maniera quasi impercettibile, ma costantemente e con sicuro successo, per il bene o per il male — in voi per il bene.

Perciò Noi benediciamo voi e la vostra santa attività; benediciamo la vostra lotta contro la « congiura del mal costume »; ne seguiamo giorno per giorno i felici incrementi; la sosteniamo con la Nostra incessante preghiera.

In attestato della Nostra fiducia, in pegno dell'amore e della grazia del divino Amico dei fanciulli, impartiamo a voi e ai vostri alunni, come a tutti coloro che vi sono cari, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

Votre ministère d'insigne charité corporelle et spirituelle, très chères filles, est particulièrement digne de Notre dilection. Il est d'une inappréciable valeur, en ces temps surtout, où, trompé, séduit, plus ou moins inconsciemment, par un matérialisme, parfois ouvertement affiché, plus souvent habilement déguisé, le monde marche à travers la vie d'ici-bas, les yeux et le cœur fixés à terre, sans un regard en haut, sans idéal et sans joie. Béni soit votre dévouement, qui dans les corps affaiblis par la maladie, défigurés par les plaies, paralysés par l'infirmité, voit le temple vivant de l'Esprit Saint; qui, dans les cœurs mornes et découragés, fait briller la douce espérance de la guérison, s'il plait à Dieu, ou l'espérance, plus douce encore, de la proche délivrance et de la vie etérnellement bienheureuse. A vous donc, à tous ceux qui sont l'objet de votre aimante sollicitude, Nous donnons avec toute l'affection de Notre cœur paternel la Bénédiction Apostolique.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 193 - 194
 Tipografia Poliglotta Vaticana




 

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI MEDICI CONDOTTI*

 

Lunedì, 18 settembre 1950

 

 

 

Siamo ben lieti di ricevervi, diletti figli, e illustri Signori, e di darvi l'attestato della Nostra stima e della Nostra par ticolare benevolenza, tanto a causa della bellezza e della utilità del vostro ufficio, quanto per la dedizione con la quale lo esercitate.

 

Abituato ad una vita di fatica, spesso penosa, il campagnuolo, il coltivatore della terra, sa sopportare lungamente gl'incomodi ed il malessere, e, a differenza di molti abitanti delle città, quando vi chiama, è segno, generalmente parlando, che la malattia è seria, la sofferenza difficilmente tollerabile; talvolta anche la cura rudimentale e non adatta, che egli, ignaro, ha voluto applicare prima di ricorrere a voi, non ha fatto che aggravare il male. Allora alla vostra scienza, alla vostra abilità, il vostro cuore viene ad aggiungere il balsamo della sua delicatezza, e così colui stesso che, mentre era sano, poteva sembrare rude e indifferente, spesso diviene nella malattia sensibile come un fanciullo, e come un fanciullo sente il bisogno di conforto morale. Dopo il sacerdote, nessuno può darlo meglio del medico. In tal guisa egli guadagna la fiducia del malato e della famiglia, e con ciò stesso acquista su di loro e sulla popolazione del luogo un influsso profondo e volentieri accettato.

 

Il medico cristiano, o almeno degno per la sua onestà di questa fiducia, può far molto per risollevare la moralità del popolo, per frenare o reprimere abusi, vizi, abitudini, che la coscienza riprova. A lui, in non pochi casi, spetta altresì il dovere delicato di preparare ed agevolare il ministero del sacerdote, di dissipare pregiudizi e apprensioni irragionevoli e funeste.

 

Tuttavia, se il vostro ufficio è bello per il bene che fa al prossimo, è per voi austero; è una occasione di abnegazione non solo frequente, ma continua, occasione di travagli e di disagi, talvolta nemmeno debitamente apprezzati, nè compensati dalla riconoscenza, nè equamente retribuiti. Non di rado, inoltre, il me dico condotto, pur dando al servizio dei suoi assistiti tutto il suo cuore e tutta l'opera sua, prova un senso di solitudine, soprattutto se egli non può tenere presso di sè la sua famiglia e provvedere, nel piccolo e sperduto Comune cui forse si trova legato, alla retta istruzione ed educazione dei figli. Perciò esprimiamo l'augurio che alle vostre giuste aspirazioni di ordine morale ed economico sia data conveniente soddisfazione per il maggior vantaggio vostro e di tutti coloro ai quali prestate le vostre assidue cure.

 

E ora guardate coraggiosamente in alto, diletti figli, e sentirete discendere in voi la luce e il conforto del divino Medico della umanità. La vostra virtù, la vostra bontà, non rimarranno senza una più eccelsa ricompensa. Iddio si rivelerà meglio a voi, e nella lealtà del vostro spirito voi risponderete fedeli ai suoi inviti. Noi chiediamo al Signore questa grazia, mentre invochiamo su di voi, su quanti vi sono cari, su tutto il campo della vostra benefica attività, sui vostri malati, le più abbondanti benedizioni del Cielo.

 


 

 

 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 209 - 210
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
DURANTE IL RITO DELLA SOLENNE DEFINIZIONE 
DOMMATICA DELL' ASSUNZIONE DELLA 
BEATISSIMA VERGINE IN ANIMA E IN CORPO AL CIELO*

Mercoledì, 1° novembre 1950

 

Venerabili Fratelli e diletti figli e figlie, accorsi alla Nostra presenza, e voi tutti che Ci ascoltate in questa Roma santa e in ogni regione del mondo cattolico!

Commossi per la proclamazione, come dogma di fede, dell'assunzione della Beatissima Vergine in anima e in corpo al cielo ; esultanti per il gaudio che inonda il cuore di tutti i credenti, appagati nei fervidi loro desideri ; proviamo irresistibile il bisogno di elevare insieme con voi un inno di ringraziamento all'amabile provvidenza di Dio, che ha voluto riservare a voi la letizia di questo giorno e a Noi il conforto di cingere la fronte della Madre di Gesù e Madre nostra, Maria, col fulgido diadema, che ne corona le singolari prerogative.

Per imperscrutabile disegno divino, sugli uomini della presente generazione, così travagliata e dolorante, smarrita e delusa, ma anche salutarmente inquieta nella ricerca di un gran bene perduto, si apre un lembo luminoso di cielo, sfavillante di candore, di speranza, di vita beata, ove siede Regina e Madre, accanto al Sole della giustizia, Maria.

Da lungo tempo invocato, questo giorno è finalmente Nostro ; è finalmente vostro. Voce di secoli — anzi, diremmo, voce della eternità — è la Nostra, che, con l'assistenza dello Spirito Santo, ha solennemente definito l'insigne privilegio della Madre celeste. E grido di secoli è il vostro, che oggi prorompe nella vastità di questo venerando luogo, già sacro alle glorie cristiane, approdo spirituale di tutte le genti, ed ora fatto altare e tempio per la vostra traboccante pietà.

Come scosse dai palpiti dei vostri cuori e dalla commozione delle vostre labbra, vibrano le pietre stesse di questa Patriarcale Basilica, e insieme con esse pare che esultino con arcani fremiti gl'innumerevoli e vetusti templi, innalzati per ogni dove in onore dell'Assunta, monumenti di un'unica fede e piedistalli terrestri del trono celeste di gloria della Regina dell'universo.

In questo giorno di letizia, da questo squarcio di cielo, insieme con l'onda dell'angelica esultanza, che si accorda con quella di tutta la Chiesa militante, non può non discendere sulle anime un torrente di grazie e d'insegnamenti, suscitatori fecondi di rinnovata santità.

Perciò a così eccelsa creatura Noi leviamo fidenti gli occhi da questa terra, in questo nostro tempo, tra questa nostra generazione, e a tutti gridiamo : in alto i cuori!

Alle tante anime inquiete ed angosciate, triste retaggio di una età sconvolta e turbolenta, anime oppresse ma non rassegnate, che non credono più alla bontà della vita e solo ne accettano, quasi costrette, l'istante, l'umile ed ignorata fanciulla di Nazaret, ora gloriosa nei cieli, aprirà visioni più alte, e le conforterà a contemplare a quale destino e a quali opere fu sublimata Colei, che, eletta da Dio ad essere Madre del Verbo incarnato, accolse docile la parola del Signore.

E voi, più particolarmente vicini al Nostro cuore, ansia tormentosa dei Nostri giorni e delle Nostre notti, sollecitudine angosciosa d'ogni nostra, ora, voi, poveri, malati, profughi, prigionieri, perseguitati, braccia senza lavoro e membra senza tetto, sofferenti di ogni genere e di ogni paese ; voi a cui il soggiorno terreno sembra dar solo lacrime e privazioni, per quanti sforzi si facciano e si debbono fare, affine di venirvi in aiuto, — innalzate lo sguardo verso Colei, che prima di voi percorse le vie della povertà, del disprezzo, dell'esilio, del dolore, la cui anima stessa fu trafitta da una spada ai piedi della Croce, ed ora fissa non titubante l'occhio nell'eterno lume.

A questo mondo senza pace, martoriato dalle reciproche diffidenze, dalle divisioni, dai contrasti, dagli odi, perchè in esso è affievolita la fede e quasi spento il senso dell'amore e della fraternità in Cristo, mentre supplichiamo con tutto l'ardore che l'Assunta segni il ritorno del calore d'affetto e di vita nei cuori umani, non Ci stanchiamo di rammentare che nulla mai deve prevalere sul fatto e sulla consapevolezza di essere tutti figli di una medesima Madre, Maria, che vive nei cieli, vincolo di unione per il Corpo mistico di Cristo, quale novella Eva, e nuova madre dei viventi, che tutti gli uomini vuol condurre alla verità e alla grazia del suo Figlio divino.

Ed ora prostrati devotamente preghiamo! ».


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 279 - 280
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 15, pp. 779 - 781.






DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PROFESSORI E AGLI ALUNNI DELLE SCUOLE MEDIE DI ROMA*

Sabato, 4 novembre 1950

 

Commossi, più di quel che Noi stessi potremmo dire, diletti figli e figlie, che rappresentate qui la Scuola Media, Insegnanti e discepoli, accogliamo con gioia le vostre persone e i doni che venite ad offrirCi. Questi doni, senza parlare del loro valore artistico, sono come la traduzione, in pari tempo materiale e spirituale, dei pensieri che Noi svolgemmo dinanzi a voi in occasione del vostro Congresso dell'anno scorso: la Cattedra, dono degl'Insegnanti; il « libretto missionario », dono degli alunni. È veramente la risposta filiale alle Nostre paterne esortazioni, e come la loro risonanza prolungata trasmessa alle future generazioni.

Una cattedra! una cattedra di Maestro: Cattedra docentis! Non è forse il Magistero — come dicevamo allora — il primo ufficio della Nostra Sede Apostolica? Voi Ci offrite una cattedra, facendone rilevare il significato simbolico con le figure — personaggi storici e allegorici — che vi ha intagliate lo scalpello dell'artista. Su questa cattedra pontificale, sulla Cattedra di Pietro, Noi siamo assisi unicamente perché Vicario di Cristo. Noi siamo il suo Rappresentante sulla terra; siamo l'organo per mezzo del quale fa sentire la sua voce Colui che è il solo Maestro di tutti (Ecce dedi verba mea in ore tuo - Ier. 1, 9), il Cristo, il Verbo eterno del Padre, nato dalla Vergine immacolata, trono, cattedra della divina Sapienza. Non è forse quel che l'intero universo cattolico ha sentito nel fondo della sua anima, quel che Noi stessi abbiamo sentito più che tutto l'universo, nel fondo della Nostra, or sono tre giorni, nell'istante, solenne fra tutti, in cui, con atto supremo del Nostro Magistero, abbiamo proclamato la gloria di Maria trionfante presso il suo Figlio, gloriosa in cielo nella sua anima e nel suo corpo? Questo pensiero vi ha fatto incidere sul davanti della cattedra, come luminoso commento del Papa docente: Unus est Magister vester (cfr. Matth. 23, 8). Ricevete dunque l'espressione della Nostra riconoscenza, che Noi vi indirizziamo con tutta l'effusione del cuore.

Ma i Nostri ringraziamenti si volgono anche a voi, cari adolescenti, alunni delle scuole medie, qui presenti, e ai vostri compagni e compagne di studio. Lo stesso insegnamento di Cristo, di cui i vostri Professori, con l'offerta di questa cattedra, hanno affermato la divina grandezza, voi volete, a vostro modo e coi mezzi a vostra disposizione, diffondere in lontane regioni, facendo pervenire « alla gioventù di una terra ove la parola di Gesù è ancora poco conosciuta » il vostro « libretto missionario », quel pane nutritivo che è la dottrina emanante dalla bocca dell'unico Maestro, e trasmessa dalla Chiesa.

Tuttavia questo dono, pur così prezioso, non sarebbe sufficiente, se il piccolo libro, attraversando i mari, passasse dalle vostre mani a quelle dei vostri piccoli fratelli lontani, senza che la vostra propria intelligenza sia pienamente illuminata e il vostro proprio cuore infiammato e vivificato dalle verità e dalle preci che quel libretto contiene.

Dai vostri insegnanti voi ricevete, anche sotto il velo della scienza profana, lo spirito cristiano: imparate dunque a scoprire sotto quel velo le opere di Dio, di cui i cieli narrano la gloria (Ps. 18, 2). Soprattutto mettete nello studio della religione tutta la diligenza di cui siete capaci; studiatela, gustatela, amatela, voi che bramate di farla studiare, gustare, amare dai giovani di altri popoli. In cambio del dono che voi loro inviate, quei vostri fratelli ignoti pregheranno per voi, e la loro preghiera contribuirà a far fiorire, risplendere e fruttificare in voi tutte le virtù cristiane, che, anche grazie al vostro dono, saranno germogliate nei loro cuori.

Noi abbiamo la più grande fiducia nella potenza della loro ingenua preghiera per attirare su di voi le più elette grazie celesti, in pegno delle quali impartiamo di gran cuore a voi, Insegnanti, e ai vostri Colleghi, a voi, alunni, e ai vostri condiscepoli, non meno che alle vostre famiglie, la Nostra Apostolica, Benedizione.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 297 - 298
 Tipografia Poliglotta Vaticana






DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO 
DEGLI EDITORI DI LIBRI E RIVISTE
*

Sala del Concistoro - Domenica, 10 dicembre 1950

 

Dopo avere ammirato il ricco dono di libri, da voi destinati così alla Nostra biblioteca personale, come alla beneficenza libraria della Santa Sede, non possiamo mancare di manifestarvi la Nostra viva gratitudine, pregandovi di trasmettere l'espressione di questa Nostra riconoscenza anche a tutti coloro che hanno contribuito a così munifico omaggio.

Ma la vista di cotesta imponente raccolta di pregevolissime pubblicazioni Ci ha fatto altresì riflettere sul particolare significato dell'opera vostra.

Noi viviamo nell'epoca della cinematografia e della televisione. Senza dubbio ambedue hanno tratto a sè una notevole parte del tempo, che prima apparteneva alla parola stampata. Eppure accade che proprio esse creano al buon libro un accresciuto valore. Poichè, pur riconoscendo pienamente la importanza della tecnica e dell'arte del « film », tuttavia l'influsso unilaterale che esso esercita sull'uomo, e specialmente sulla gioventù, con la sua azione quasi puramente visiva, porta con sè un tale pericolo di decadimento intellettuale, che si comincia già a considerarlo come un pericolo per tutto il popolo. Tanto più quindi è officio del buon libro di educare il popolo ad una più profonda comprensione delle cose, a pensare e a riflettere.

Noi vi auguriamo quindi una sempre più intima consapevolezza della vostra responsabilità verso l'uomo, che prende in mano il vostro libro, e il cui più alto valore, il suo perfezionamento intellettuale e morale, deve, attraverso questa lettura, avanzare, progredire, e mai soffrire danno. Questa coscienza della vostra responsabilità, che è anche responsabilità dinanzi a Dio, vorremmo che fosse uno dei frutti del vostro Convegno; Convegno che è anche Pellegrinaggio.

La vostra pietà e il vostro senso religioso vi hanno ispirato il pensiero di prender parte, qui nel centro della Cristianità, a questo avvenimento mondiale dell'Anno Santo, a questo solenne spettacolo di una comunanza di fede, di sentimento e di amore, fondata in Dio e che sovrasta tutte le ristrettezze, le discordie, le meschinità umane, e unisce tutti i figli dell'orbe cattolico a formare un sol cuore e un'anima sola.

Possa questo pellegrinaggio giubilare darvi la consapevolezza che la forza di salute, di rinnovamento, di conforto, di luce, del Vangelo di Cristo non è per spegnersi. Il lume di Cristo sta dinanzi a nuove ascensioni e a nuovi splendori. Una cristianità giunta a una viva e profonda coscienza della sua fede e dei suoi ideali non ha alcun motivo di pusillanimità e di sgomento. Essa ha da dare alla umanità di oggi — e voi potete collaborare altamente a questa missione — assai più e di più grande e definitivo di quel che molti suppongono.

Con tali sentimenti ed auguri impartiamo di vero cuore a voi, alle vostre famiglie e ai vostri lavori la Nostra Apostolica Benedizione.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 357 - 358
 Tipografia Poliglotta Vaticana







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AD UN GRUPPO DI PARLAMENTARI D'ITALIA
*

Mercoledì, 13 dicembre 1950

 

La visita, che oggi riceviamo, di un folto gruppo di dirigenti la cosa pubblica d'Italia nel Senato e nella Camera dei Deputati, è omaggio di cui Ci gode l'animo di rilevare la particolare importanza, soprattutto nelle circostanze che l'accompagnano.

La vostra premurosa venuta e la cordiale accoglienza Nostra non hanno nè possono avere che un solo significato: da parte vostra, dare al Vicario di Cristo un pubblico attestato di quella fede che vi ha condotti a partecipare alle grazie straordinarie dell'Anno Santo; da parte Nostra, dirvi con quale viva sollecitudine seguiamo la vostra grave e delicata fatica, e — lasciateCi aggiungere — la Nostra compiacenza per lo zelo che voi mostrate nell'adempimento dei vostri ardui doveri e per la coscienza religiosa, con cui tanta parte delle due Camere veglia sui problemi dello spirito e promuove le opere morali e sociali, imperiosamente richieste dalla tormentata ora presente. Di questa vostra coscienza religiosa Ci è chiara testimonianza la vostra presenza e il desiderio che essa Ci esprime di una Nostra parola.

Chiunque, ai giorni nostri, è chiamato a collaborare nell'opera legislativa, assume con ciò stesso un ufficio, da cui dipendono spesso la vita o la morte, la contentezza o la esacerbazione, il progresso o il decadimento d'innumerevoli esseri umani. Dal momento in cui depongono la loro scheda nell'urna, migliaia di elettori mettono la loro sorte nelle vostre mani. Per la durata della legislatura, la loro felicità o infelicità, la loro prosperità economica, sociale, culturale, spirituale, sono, più o meno definitivamente, sospese al voto affermativo o negativo, che voi date alle proposte di legge, le quali formano oggetto delle vostre discussioni e deliberazioni.

È per questo che voi, pur associati in sincera volontà per il bene della Nazione, andate sperimentando, come pochi altri, l'inferiorità dell'uomo ai doveri della vita specialmente pubblica, e che non vi è superiorità d'ingegno, profondità di scienza, vastità di coltura, singolarità di doti, che garantisca, in così complessa concorrenza di uffici, il necessario favorevole successo ai fini del buon governo dello Stato. Voi sentite come questo non si regge con le sole forze umane, ma occorre lume di sapienza dall'alto, affinchè qualunque cosa facciate nell'interesse del Paese, sia in voi constantemente virtù, probità, integrità, e a quella dedichiate interamente voi stessi, lasciando da parte ogni mira personale.

A voi, come a quanti sono collocati in posizione di superiorità e di comando, possono applicarsi le parole di Gesù Cristo : « Filius hominis non venit ministrari, sed ministrare » (Matth. 20, 28): la superiorità è un servizio, il comando non un arbitrio, ma un atto di ubbidienza alle leggi eterne della verità e della giustizia.

E voi sentite altresì — come tutti debbono sentire — quanta forza occorra da Dio, per reagire fermamente, nell'esercizio del dovere, contro l'egoismo e l'orgoglio, e proporre sempre ai vantaggi particolari — dell'individuo del gruppo, del partito — i vantaggi comuni, e ciò unicamente al lume della giustizia, della carità, della fede.

A voi pertanto è doveroso tener presente, nel travaglio della vostra missione e della vostra responsabilità, l'avvertimento del Salmo, confortato dalla esperienza universale : « Se il Signore non edifica la casa, invano si affaticano gli edificatori. - Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode » (Ps. 126, 1).

Questa superna assistenza voi siete venuti a implorare da Dio con la vostra manifestazione collettiva di fede e di pietà religiosa mentre è vicino a chiudersi l'Anno Santo.

E noi, interpretando il vostro pensiero, chiediamo al Signore che l'indulgenza di questo gran Giubileo, così fruttuoso per tutti e così consolante per Noi, si effettui per le vostre persone e per l'Italia in ogni sorta di grazie; che per la divina assistenza e per la vostra saggezza siano resi meno duri alla Patria i trepidi giorni che essa con tutto il mondo attraversa; che questo diletto popolo sia con tutti i popoli fratelli salvo, oggi e sempre, dalla calamità di nuove guerre, per attuare, in una pace feconda di lavoro e di civile progresso, i fini terreni ed eterni della umanità redenta da Cristo.

Con questi sensi, raccogliendo nel Nostro cuore i voti e le preghiere di ciascuno di voi, impartiamo con affetto a voi stessi, alle vostre famiglie, alle popolazioni dalle quali avete ricevuto il man dato parlamentare, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 369 - 370
 Tipografia Poliglotta Vaticana






DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AGLI SCIENZIATI DELL'ISTITUTO 
NAZIONALE ITALIANO DI GEOFISICA
*

Mercoledì, 19 dicembre 1950

 

Il pensiero che vi ha condotti verso di Noi è più che un atto di filiale devozione verso il Vicario di Cristo e Capo visibile della Chiesa. È un omaggio che la scienza viene a rendere al Creatore. La vastità e la profondità di quella, che forma l'oggetto dei vostri studi, vi procura, a ogni nuova scoperta, non non certo la mediocre illusione di aver dissipato i misteri della natura, ma la soddisfazione incomparabilmente più nobile di vedere ampliarsi e diversificarsi indefinitamente il campo delle vostre ricerche e quindi di prendere una sempre più larga conoscenza delle opere del Creatore e delle leggi con le quali le governa. Il pianeta, sul quale l'uomo vive e si muove, è il teatro dei fenomeni più vari e meravigliosi. La terra nasconde nel suo seno ricchezze preziose e insieme forze formidabili. Essa stessa subisce alla sua volta l'azione di altre forze esteriori, le une a lei vicine nel sistema solare, le altre infinitamente lontane, come le radiazioni cosmiche, impercettibili ai sensi e conosciute sola mente per i loro effetti.

Tutto questo voi studiate nella sua immensa complessità, non solo come osservatori — bella e lodevole curiosità, del resto, degna dello spirito umano —, ma come infaticabili ricercatori delle cause, da uomini pensosi di rendere utili e benefiche ai vostri simili anche quelle forze che sarebbero per sè le più temibili.

Proseguite dunque i vostri studi e i vostri lavori nell'ammirazione del Creatore e Ordinatore sovrano dell'universo, nella dedizione al bene e al progresso della umanità!


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, p. 373
 Tipografia Poliglotta Vaticana







RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
PER CELEBRARE IL NATALE DELL'ANNO SANTO

Sabato, 23 dicembre 1950

 

 I


LA FINE DELL’ANNO SANTO

Un anno è già trascorso, Venerabili Fratelli e diletti figli, dall’ultima vigilia di Natale, da quella giornata memoranda, quando, fra la trepida attesa del mondo cattolico, promulgammo e iniziammo il gran Giubileo, che ha impresso un solco così profondo nella vita della Chiesa e ha superato ogni più felice previsione.

Ci pare ancora di udire, come eco di ieri, i colpi di martello, che aprirono quel santo varco, divenuto approdo spirituale di tutte le genti, e di ascoltare il giubilo con cui i fedeli ne accolsero l’annunzio.

Volò allora da quella sacra soglia l’Angelo del Signore ai quattro angoli della terra, quasi a radunare e convogliare verso la Patria comune dei credenti le innumerevoli schiere dei romei, anelanti di purificarsi nelle acque salutari della penitenza, bramosi di compiere il gran ritorno e di meritare il gran perdono.

Oggi il medesimo Angelo pare che dica, come in un lontano giorno l’Arcangelo Rafael a Tobia: «Benedite sulla terra il Signore e ringraziate Iddio. Ecco, io risalgo a Colui che mi ha inviato. Scrivete tutte le cose che vi sono accadute» (Tob. 12, 20).

La parola fine, che le leggi della presente vita impongono ad ogni cosa più cara e santa e ad ogni evento più lieto e fecondo, sarà segnata anche sulle Porte sante giubilari, lasciando nei cuori un senso al tempo stesso di gioia serena e di rimpianto nostalgico, simile a quello che accompagnava i tre Apostoli nella discesa dal Tabor.

Se è una cosa degna e giusta rendere grazie in ogni tempo e in ogni luogo al Padre datore di ogni bene perfetto, con tanto maggior ardore domani, quando avremo apposto il sigillo sulla Porta santa, si leverà dal Nostro cuore e dalle Nostre labbra l’inno della riconoscenza, al quale si accorderanno con particolare esultanza, in mille accenti diversi, ma pur in un solo sentimento, le voci del mondo cattolico.

Incomparabili meraviglie

Sostando per l’ultima volta sulla soglia calcata dai passi di tanti pellegrini venuti a cercarvi la purificazione e il perdono, si ripresenteranno alla Nostra mente, quasi in un’unica visione, tutte le meraviglie di quest’anno veramente incomparabile, gli splendori magnifici delle grandi funzioni liturgiche, i fulgori invisibili, ma tanto più belli, delle anime rinnovellate e santificate nelle lacrime del pentimento al tribunale della penitenza, nelle lacrime dell’amore ai piedi degli altari.

Rivivranno al Nostro pensiero le solenni Canonizzazioni e Beatificazioni, viva testimonianza di quanto può attuare l’umana natura sorretta dalla grazia divina e di quante opere benefiche è feconda in ogni tempo la Chiesa.

Riudiremo gl’irrefrenabili clamori di giubilo, le devote preghiere, i canti, il cui entusiasmo faceva vibrare le volte della Basilica Vaticana, e questa, incapace di contenere le moltitudini sempre crescenti, si allargava al di fuori, distendendo le grandi braccia del suo colonnato. Rivedremo in spirito le giornate di Pasqua e del Corpus Domini; il vespero della Canonizzazione di S. Maria Goretti; la mattina, luminosa d’insolito arcano splendore, della proclamazione del Dogma dell’Assunzione di Maria. Rivedremo le grandi processioni di penitenza e di propiziazione che onorarono, per le vie di Roma cristiana, le venerande immagini del Crocifisso e della Vergine. Si affolleranno alla Nostra mente i ricordi di tanti Congressi, che hanno avuto come oggetto le scienze sacre o i problemi dell’apostolato; gli echi delle Nostre parole che la voce viva dei popoli, come quella della stampa e della radio, diffondevano nel mondo; i Documenti pontifici indirizzati a tanta varietà di persone in particolar modo la Enciclica «Humani generis » e la Nostra Esortazione al Clero, da cui attendiamo i più abbondanti frutti.

Commoventi ricordi

E passeranno dinanzi al Nostro ricordo con profonda nostalgia le care immagini dei vostri volti. Di voi anzitutto, Venerabili Fratelli nell’Episcopato, che in numero così imponente accorreste a Noi e tanto docilmente ascoltaste la Nostra parola. E poi i vostri volti, diletti figli e figlie. Mai non potremo dimenticare l’espressione dei vostri occhi, anche più dei movimenti delle vostre labbra, che venivano a confidarCi le vostre pene e le vostre intime speranze. Commozione indicibile che inteneriva anche il Nostro cuore, ogniqualvolta siamo scesi in mezzo al caro Nostro popolo cristiano.

Nessuna sollecitudine, nessuna stanchezza è mai valsa a sottrarCi alle vostre brame, a farCi tralasciare i Nostri incontri con voi. Ammettervi alla Nostra presenza, aspettarvi anzi e desiderarvi, era per Noi più un bisogno del cuore che un dovere del Nostro ufficio pastorale. E tutte le volte che Ci dilungavamo a salutarvi, chiamandovi nazione per nazione, diocesi per diocesi, parrocchia per parrocchia, gruppo per gruppo, volevamo come raccogliere tutte le vostre voci, tutte le vostre preghiere, che voi bramavate di far passare per le Nostre mani per presentarle a Gesù.

Come avremmo allora voluto stringervi tutti al Nostro cuore; fare sentire a tutti come Noi rendevamo tenerezza per tenerezza; far penetrare in voi tutti la parola della fiducia e della speranza. A voi specialmente, prediletti di Gesù e Nostri, poveri e malati, che in alcuni giorni formavate l’ornamento più bello della Basilica Vaticana e nei quali vedevamo sempre il più ricco, il più prezioso tesoro della Chiesa.

Ritrovamento della tomba del Principe degli Apostoli

Se però durante l’Anno Santo la Confessione di S. Pietro in Vaticano è stata testimone e centro di così imponenti manifestazioni della unità dei cattolici di tutto il mondo nella fede e nell’amore, la gloria di questo luogo sacro ha avuto anche in un altro aspetto il suo compimento, gli scavi sotto la Confessione medesima, almeno in quanto concernono la tomba dell’Apostolo, (ricerche alle quali Noi volgemmo l’animo fin dai primi mesi del Nostro pontificato), e il loro esame scientifico, sono stati, nel corso di questo Anno giubilare, condotti felicemente a termine. Nel più breve tempo una documentata pubblicazione porterà a conoscenza del pubblico il risultato delle diligentissime esplorazioni.

Questo risultato è stato di somma ricchezza e importanza. Ma la questione essenziale è la seguente: È stata veramente ritrovata la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo Sì. La tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata.

Una seconda questione, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del Santo. Sono state esse rinvenute? Al margine del sepolcro furono trovati resti di ossa umane, dei quali però non è possibile di provare con certezza che appartenessero alla spoglia mortale dell’Apostolo. Ciò lascia tuttavia intatta la realtà storica della tomba. La gigantesca cupola s’inarca esattamente sul sepolcro del primo Vescovo di Roma, del primo Papa; sepolcro in origine umilissimo, ma sul quale la venerazione dei secoli posteriori con meravigliosa successione di opere eresse il massimo tempio della Cristianità.

II


I FRUTTI DELL’ANNO SANTO

Ma ora i milioni di uomini, accorsi dai quattro punti cardinali al centro della cattolicità per prendere parte a questo avvenimento mondiale dell’Anno Santo, per lucrare il giubileo, per ritemprarsi in un bagno di purificazione e di santificazione, per attingere con gaudio, il più vicino possibile alla sorgente, le grazie dalle fonti del Salvatore (cf. Is. 12, 3), si contenteranno forse di far ritorno alle loro patrie come privilegiati fra le centinaia di milioni che non hanno potuto godere di un tale favore? di ridir loro le belle cose di cui sono stati testimoni? di riposarsi, in questi ricordi, dalle tristi e ordinarie realtà per qualche tempo dimenticate? No, essi debbono ora persuadersi della missione che loro spetta, in pari tempo onorifica e piena di responsabilità, di farsi presso i loro fedeli, con le parole e con l’esempio, messaggeri e propagatori dello spirito, onde il loro cuore trabocca.

Come un albero nel giardino del padre di famiglia, l’Anno Santo è splendidamente fiorito, e se i suoi fiori vedono, nel suo declino, i loro petali cospargere il suolo, è per lasciare ora crescere e maturare i frutti. Poiché bisogna che questi crescano e maturino! Il mondo ne ha fame e sete, mentre le sue condizioni di vita, le sue miserie materiali e spirituali, sono ben lungi dal dargli la legittima soddisfazione che attende. Le necessità e le cure quotidiane occupano ed esauriscono tutte le energie di tanti cuori, che non trovano più il tempo, né l’agio, né il gusto di accordare alle cose dell’anima quel minimo che è essenziale dovere di ogni cristiano.

Anche là ove con un assiduo lavoro il clero secolare e regolare, secondato dalla fervida collaborazione dei laici, fa prosperare la vita religiosa, il numero dei cristiani spiritualmente denutriti, illanguiditi o vacillanti nella fede, è ancora tale che la sollecitudine materna della Chiesa non può disinteressarsene.

Strappare questi figli della Chiesa dal loro stato di comoda ma pericolosa letargia, è l’urgente dovere che ora s’impone all’apostolato cattolico.

Ostacoli all’apostolato della Chiesa

Ogni attento osservatore che sa considerare e valutare le circostanze presenti nella loro concreta realtà, rimane necessariamente colpito dalla vista dei gravi ostacoli che si oppongono all’apostolato della Chiesa. Come la colata di lava incandescente che metro per metro scende lungo il pendio del vulcano, così l’onda devastatrice dello spirito del secolo avanza minacciosa e si propaga in tutti i campi della vita, in tutte le classi della società.

Il suo andamento e il suo ritmo, non meno che i suoi effetti, variano secondo i diversi Paesi, da un più o meno consapevole disconoscimento dell’influsso sociale della Chiesa, fino alla sistematica diffidenza, che in alcune forme di governo prende il carattere di aperta ostilità e di vera persecuzione.

Noi abbiamo piena fiducia che i Nostri diletti figli e figlie avranno la chiaroveggenza e il coraggio di affrontare e adempire risolutamente gli obblighi che da una tale condizione di cose derivano. Senza amarezza, ma anche senza debolezza, essi si adopereranno a dissipare coi fatti i pregiudizi e i sospetti di non pochi traviati, accessibili ancora a una serena e oggettiva esposizione; essi faranno loro comprendere che, lungi dall’esservi la minima incompatibilità tra la fedeltà alla Chiesa e la dedizione agl’interessi e al benessere del popolo e dello Stato, i due ordini di doveri, che il vero cristiano deve aver sempre presenti al suo spirito, sono intimamente uniti nella più perfetta armonia.

Con deliberato proposito passiamo in questa occasione sotto silenzio alcune dissonanze, che in tempi recenti si sono manifestate fra cattolici e appartenenti ad altre società religiose e che in parte si sono poco opportunamente infiltrate nel campo delle discussioni politiche. Vogliamo sperare che, al di fuori di tali non meno spiacevoli che nocive polemiche, si troveranno, in tutti i ceti non cattolici, uomini e donne di buona volontà che giustamente in pensiero per i pericoli, da cui è minacciato al presente il sacro retaggio della fede cristiana, nutriranno nel loro cuore altri pensieri che non quelli di fraterna disunione e discordia.

I grandi assenti

Se taluno fosse tentato di perdere di vista questa necessità e questo dovere, che guardi dunque — per quanto sia possibile — ciò che avviene presso alcuni popoli, chiusi quasi da una ferrea muraglia, e osservi in quali condizioni essi sono ridotti nella loro vita spirituale e religiosa.

Egli vedrebbe allora milioni di fratelli e di sorelle cattolici, legati per antiche e sante tradizioni di fedeltà a Cristo e di unione filiale con questa Sede Apostolica; vedrebbe popolazioni i cui fasti eroici per la conservazione e la difesa della fede sono scritti a caratteri indelebili negli annali della Chiesa; li vedrebbe, diciamo, spesso privati dei loro diritti civili e della loro stessa libertà e incolumità personale, e tagliati fuori da ogni viva, sicura e inviolata comunicazione col centro della Cristianità anche per le cose più intime delle loro coscienze, mentre su di loro pesa l’angoscia di sentirsi quasi soli e talvolta di credersi come abbandonati!

Sotto la cupola di Michelangelo, dove risonavano le voci dei pellegrini di tutti i Paesi liberi, osannanti nelle lingue più diverse con le stesse parole di fede, coi medesimi cantici di giubilo, il loro posto era vuoto. Quale vuoto e quanto doloroso al cuore del Padre comune, al cuore di tutti i fedeli uniti in una stessa credenza, in un medesimo amore. Ma essi, i grandi assenti, erano tanto più presenti, quando in quelle folle innumerevoli, coscienti della loro fede cattolica, sembrava battere un sol cuore, vivere una sola anima, che ne faceva la misteriosa, ma efficace unità.

A tutti questi confessori di Cristo, che portano ingiustamente visibili o invisibili catene, che soffrono contumelia per il nome di Gesù (Act. 5, 41), in questa fine dell’Anno Santo, inviamo il Nostro commosso, grato e paterno saluto. Possa esso giungere sino a loro, varcare le mura delle loro prigioni, i fili spinati dei campi di concentramento e di lavoro forzato, laggiù, in quelle lontane regioni impenetrabili agli sguardi della umanità libera, sulle quali un velo di silenzio è disteso, che non varrà però a impedire il giudizio finale di Dio, né il verdetto imparziale della storia.

Nel nome dolcissimo di Gesù Noi li esortiamo a sostenere generosamente le loro sofferenze e le loro umiliazioni, con le quali essi apportano un contributo d’inestimabile valore alla grande crociata di preghiera e di penitenza, che con la estensione dell’Anno Santo a tutto l’orbe cattolico prenderà il suo inizio.

E che le loro e le nostre preghiere abbraccino, in una effusione di carità, secondo l’esempio di Cristo, degli Apostoli e dei veri seguaci del Redentore, anche quelli che oggi si trovano ancora nelle file dei persecutori.

III

 
LA PACE INTERNA DEI POPOLI

Se ora volgiamo il Nostro sguardo all’avvenire, si presenta come il primo urgente problema la pace interna di ciascun popolo. Purtroppo la lotta per la vita, il pensiero del lavoro e del pane, dividono in campi avversi uomini, che pur abitano la medesima terra e sono figli di una medesima patria. Da una parte e dall’altra, essi hanno la esigenza, in sé legittima, di essere considerati e trattati non come oggetti, ma come soggetti della vita sociale, soprattutto nello Stato e nella economia nazionale.

Perciò molte volte, e con sempre maggior insistenza, Noi abbiamo segnalato la lotta contro la disoccupazione e lo sforzo verso una ben intesa sicurezza sociale come una condizione indispensabile per unire tutti i membri di un popolo, alti e bassi, in un sol corpo.

Ora, oserebbe forse lusingarsi di servire la causa della pace interna colui che oggi vedesse egoisticamente nei gruppi che si oppongono ai suoi propri interessi la fonte di tutte le difficoltà e l’ostacolo al risanamento e al progresso?

Oserebbero lusingarsi di servire la causa della pace interna quelle organizzazioni, che per la tutela degli interessi dei loro membri non ricorressero più alle norme del diritto e del bene comune, ma si appoggiassero sulla forza del numero organizzato e sulla debolezza degli altri, che non sono egualmente organizzati e che tendono sempre a subordinare l’uso della forza alle regole del diritto e del bene comune?

La pace interna quindi i popoli non possono attenderla che da uomini, governanti o governati, capi o seguaci i quali nella tutela dei loro particolari interessi e delle loro proprie opinioni non si ostinano né si rimpiccoliscono nelle loro vedute, ma sanno allargare i loro orizzonti ed elevare le loro mire al bene di tutti. Se in non pochi Paesi si lamenta una deplorevole mancanza di partecipazione delle giovani generazioni alla vita pubblica, la causa non è forse anche che ad esse troppo poco o troppo raramente si è offerto il fulgido e affascinante esempio di uomini come quelli che abbiamo ora descritti?

Sotto la superficie di incontestabili difficoltà politiche ed economiche si nasconde dunque una più grave miseria spirituale e morale: il gran numero di spiriti stretti e di cuori meschini, di egoisti e di « arrivisti », di coloro che corrono col più in auge, che si lasciano muovere — sia illusione o pusillanimità — dallo spettacolo delle grandi masse, dai clamori delle opinioni, dall’ebbrezza dell’eccitazione. Da sé soli essi non muoverebbero un passo, come sarebbe il dovere di cristiani vivi, per avanzare, guidati dallo spirito di Dio, fermamente alla luce dei princìpi eterni, con imperturbabile fiducia nella sua divina Provvidenza. Ecco la vera, la intima miseria dei popoli.

Come la termite nelle case, essa li corrode interiormente e, prima che apparisca al di fuori, li rende impari alla loro missione. Così, accelerati dalla guerra, ma preparati già da lungo tempo, i fondamenti del regime industriale capitalistico hanno subito essenziali mutamenti. Popoli asserviti da secoli si aprono il cammino verso l’indipendenza; altri, fino ad ora privilegiati, si sforzano, per antiche e nuove vie, a conservare la loro condizione. Il sempre più alto e più generale anelito verso la sicurezza sociale non è che l’eco dello stato di una umanità, in cui nei singoli popoli molte cose, che erano o sembravano tradizionalmente solide, son divenute labili e incerte.

Perché dunque questa comunanza d’incertezze e di pericoli, creata dalle circostanze, non genera anche nei singoli popoli una solidarietà fra uomini? Non sono forse, in questo aspetto, le sollecitudini del datore di lavoro anche quelle dei suoi operai? Non è forse in ogni popolo la produzione industriale più che mai legata alla produzione agricola per l’influsso reciproco della loro destinazione? E voi, voi che rimanete insensibili alle angustie del profugo, errante senza un tetto, non dovreste voi sentirvi solidali con lui, la cui misera sorte di oggi potrebbe essere la vostra di domani?

Perché questa solidarietà di quanti si trovano senza tranquillità e nel pericolo non dovrebbe divenire per tutti la via sicura, donde può venire la salvezza? Perché questo spirito di solidarietà non dovrebbe essere come il premio dell’ordine sociale naturale nelle sue tre forme essenziali: famiglia, proprietà, Stato, per ricondurle alla loro organica collaborazione, adattata alle condizioni del presente? Alle condizioni del presente le quali, nonostante tutte le difficoltà, sono però un dono di Dio, per riaffermare il nostro spirito cristiano?

IV


LA PACE

Gli uomini, privi di questo senso cristiano, alcuni delusi del passato, altri fanaticamente protesi verso un idolo del futuro, in ogni caso malcontenti del presente: ecco un grave pericolo per la pace interna dei popoli e in pari tempo per la loro pace esterna.

Non intendiamo qui di alludere all’aggressore che viene dal di fuori, orgoglioso della sua forza, spregiatore di ogni diritto e di ogni carità. Esso trova tuttavia nelle crisi dei popoli, nella loro mancanza di coesione spirituale e morale una validissima arma, e quasi le sue truppe ausiliarie nell’interno stesso del Paese.

Occorre dunque che i popoli non si lascino indurre da motivi di prestigio o da idee antiquate a creare difficoltà politiche ed economiche all’interno rafforzamento di altri popoli disconoscendo o non curando il pericolo a tutti comune.

Occorre che essi comprendano come i loro naturali e più fidi alleati sono là ove il pensiero cristiano, o almeno la fede in Dio, hanno valore anche per gli affari pubblici, e non assumano per unica base un supposto interesse nazionale o politico, trascurando o non tenendo in conto le profonde differenze nella concezione fondamentale del mondo e della vita.

Ciò che Ci detta questi avvertimenti è la vista dell’equivoco e della irresolutezza nel fronte dei sinceri amici della pace, dinanzi a così grave pericolo. E poiché abbiamo a cuore il bene di tutte le Nazioni, stimiamo che la stretta unione di tutti i popoli padroni del loro destino, congiunti da sentimenti di reciproca fiducia e di mutuo aiuto, è il solo mezzo per la difesa della pace o la miglior garanzia per il suo ristabilimento.

Purtroppo però in queste ultime settimane la linea di frattura, che nel mondo esterno divide in opposti schieramenti l’intera comunità internazionale, si è fatta sempre più profonda, mettendo a repentaglio la pace del mondo. Mai la storia umana non ha conosciuto più gigantesca discordia, le cui dimensioni si misurano con la vastità stessa della terra. In un deprecabile contrasto odierno le armi riuscirebbero talmente sterminatrici da renderla quasi «inanis et vacua » (Gen. 1. 2), solitudine e caos, simile al deserto non della sua alba, ma del suo tramonto. Tutte le nazioni vi sarebbero travolte, e il conflitto si ripercuoterebbe e moltiplicherebbe tra gli stessi cittadini di un medesimo Paese, ponendone in estremo pericolo tutte le istituzioni civili e i valori dello spirito, dal momento che il dissidio ormai assomma in sé tutti i più ardui problemi in altri tempi dibattuti separatamente.

 L’immane pericolo che sovrasta esige imperiosamente, in ragione della sua gravità, che si faccia tesoro di ogni opportuna circostanza per dar luogo alla saggezza e alla giustizia di trionfare nel segno della concordia e della pace. Se ne approfitti per ravvivare i sensi della bontà e della pietà verso tutti i popoli, i quali sinceramente e unicamente aspirano alla pace e alla tranquillità della vita. Torni a regnare negli organismi internazionali la fiducia scambievole, che presuppone la sincerità delle intenzioni e la lealtà delle discussioni. Si aprano le barriere, si rompano i reticolati, si dia, a ciascun popolo, libero sguardo nella vita di tutti gli altri, si tolga quella segregazione di alcuni Paesi dal resto del mondo civile, così dannosa per la causa della pace.

Sollecitudini della Chiesa per la pace del mondo

Quanto desidererebbe la Chiesa di concorrere a spianare la via a questo contatto fra i popoli! Per lei Oriente e Occidente non rappresentano opposti princìpi, ma partecipano ad un comune retaggio, al quale hanno ambedue potentemente contribuito e sono chiamati a contribuire anche nell’avvenire. In forza della sua divina missione, essa è per tutti i popoli madre, per tutti quelli che cercano la pace, fedele soccorritrice e guida sapiente.

Una somma ingiuria

Eppure — summa iniuria! — da parti ben note Ci si muove l’accusa di volere la guerra e di collaborare a tal fine con Potenze « imperialistiche », che — si afferma — sperano più dalla forza di micidiali strumenti bellici che dall’attuazione del diritto.

Che altro possiamo Noi rispondere a così acerbo oltraggio se non: Scrutate gli agitati dodici anni del Nostro Pontificato, indagate ogni parola sgorgata dalle Nostre labbra, ogni periodo uscito dalla Nostra penna: voi non vi troverete che incitamenti alla pace.

 Rammentate specialmente il fatale mese di agosto del 1939, quando, mentre più assillanti si facevano i timori di un sanguinoso conflitto mondiale, dalle rive del lago di Albanoelevammo la Nostra voce, scongiurando nel nome di Dio Governanti e popoli di risolvere i loro dissensi con comuni e leali intese. Nulla è perduto con la pace — esclamammo —, tutto può essere perduto con la guerra!

Provatevi a considerare tutto ciò con animo sereno e onesto, e dovrete riconoscere che, se vi è ancora in questo mondo, straziato da contrastanti interessi, un sicuro porto, ove la colomba della pace, possa posare tranquillamente il suo piede, esso è qui, in questo territorio consacrato dal sangue dell’Apostolo e dei martiri, ove il Vicario di Cristo non conosce dovere più santo né più grata missione che di essere instancabile propugnatore di pace.

Così abbiamo fatto in passato. Così faremo in futuro, finché al divino Fondatore della Chiesa piacerà di lasciare sulle Nostre deboli spalle la dignità e il peso di supremo Pastore.

Invito alla preghiera

Lunga, scabrosa, ingombra di pruni e di spine è la via che conduce alla vera pace. Però la grande maggioranza degli uomini è volentieri pronta a sopportare tutti i sacrifici, pur di rimanere preservata dalla catastrofe di una nuova guerra. Tuttavia così grande è tale impresa e così deboli i mezzi puramente naturali, che i nostri sguardi si volgono in alto e le nostre mani si elevano supplicanti verso la maestà di Colui, che dallo splendore della divinità si è abbassato fino a noi ed è divenuto come « uno di noi ».

La potenza del Signore, che volge i cuori dei governanti dovunque gli piace, come rivi d’acqua di cui regola il corso (cf. Prov. 21, 1), può frenare la tempesta, che scuote la barca, ove si trovano sgomenti non soltanto i compagni di Pietro, ma l’intiera umanità. Tuttavia per i figli della Chiesa è un sacro dovere implorare con le loro preghiere e coi loro sacrifici che il Signore del mondo, Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli (Rom. 9, 5), comandi ai venti e al mare, e al tormentato genere umano conceda la « tranquillitas magna » (Matth. 8. 26) della vera pace.

Con questi sentimenti impartiamo di cuore a voi, diletti figli e figlie, e a quanti nel vasto mondo ascoltano la Nostra voce, l’Apostolica Benedizione.


 

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 377 - 388
 Tipografia Poliglotta Vaticana

   






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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09/12/2014 22:55
 
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PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII 
ALLA VERGINE ASSUNTA IN CIELO*


 

 

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini.

1. — Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi;

e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l'anelito della nostra devozione e del nostro amore.

2. — Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l'umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell'anima vostra nel contemplare faccia a faccia l'adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza;

e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell'anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinchè apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell'incanto delle creature.

3. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio;

e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

4. — Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli ;

e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra Patria.

5. — Noi crediamo infine che nella gloria, ove voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, voi siete; dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi;

e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

 


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII, 
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 281 - 282
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 15, pp. 781 - 782.






PREGHIERA DEL SANTO PADRE PIO XII 
PER LA CONSACRAZIONE DELLA CHIESA
E DEL GENERE UMANO 
AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA* 
 


Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio! supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto e difesa nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l'immensa bontà del vostro materno Cuore.

A Voi, al vostro Cuore Immacolato, in quest'ora tragica della storia umana, ci affidiamo e ci consacriamo, non solo in unione con la Santa Chiesa, corpo mistico del vostro Gesù, che soffre e sanguina in tante parti e in tanti modi tribolata, ma anche con tutto il mondo straziato da feroci discordie, riarso in un incendio di odio, vittima della propria iniquità.

Vi commuovano tante rovine materiali e morali; tanti dolori, tante angoscie di padri e di madri, di sposi, di fratelli, di bambini innocenti; tante vite in fiore stroncate; tanti corpi lacerati nell'orrenda carneficina; tante anime torturate e agonizzanti, tante in pericolo di perdersi eternamente!

Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la pace! e anzitutto quelle grazie che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano, conciliano, assicurano la pace! Regina della pace, pregate per noi e date al mondo in guerra la pace che i popoli sospirano, la pace nella verità, nella giustizia, nella carità di Cristo. Dategli la pace delle armi e la pace delle anime, affinché nella tranquillità dell'ordine si dilati il regno di Dio.

Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono ancora nelle ombre della morte; concedete loro pace e fate che sorga per essi il Sole della verità, e possano, insieme con noi, innanzi all'unico Salvatore del mondo ripetere: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in -ra agli uomini di buona volontà! (Luc. 2, 14).

Ai popoli separati per l'errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che professano per Voi singolare devozione, e presso i quali non c'era casa ove non si tesse in onore la vostra veneranda icone (oggi forse occultata e riposta per giorni migliori), date la pace e riconduceteli all'unico ovile di Cristo, sotto l'unico e vero Pastore.

Ottenete pace e libertà completa alla Chiesa santa di io; arrestate il diluvio dilagante del neopaganesimo; fomentate nei fedeli l'amore alla purezza, fa pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinché il popolo di [di che servono Dio aumenti in meriti e in numero.

Finalmente, siccome al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il genere umano, perchè, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro segno e pegno di vittoria e salvezza; così parimenti noi in perpetuo consacriamo anche a Voi, al vostro Cuore Immacolato, Madre nostra e Regina del mondo: affinché il vostro core e patrocinio affrettino il trionfo del Regno di Dio, tutte le genti, pacificate tra loro e con Dio, Vi proclamino beata, e con Voi intonino, da un'estremità all'altra della terra, l'eterno Magnificat di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la Verità Vita e la Pace.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IV, 
Quarto anno di Pontificato, 2 marzo 1942 - 1° marzo 1943, pp. 453-454
Tipografia Poliglotta Vaticana


   





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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