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Don J.Michel Glize analisi dettagliata sul termine Chiesa conciliare o del concilio

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2015 10:41
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10/02/2015 10:36
 
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  III. RISPOSTA AGLI ARGOMENTI


       25. Al primo argomento, si risponde che, secondo quanto affermato da Benedetto XVI nel suo Discorso del 2005, nella mente delle attuali autorità l’espressione Chiesa conciliare ha il medesimo senso dell’espressione «Chiesa della Controriforma» o «Chiesa post-tridentina». L’attributo ha qui un senso puramente cronologico e con esso si vuole indicare non la Chiesa in quanto tale né un’altra Chiesa distinta dalla Chiesa cattolica, bensì il periodo più recente della sua storia. Certo, è vero la recente realtà della Chiesa comporta qualcosa di più che una semplice successione cronologia e che, come riconobbe Paolo VI, a partire dall’ultimo Concilio «il fumo di satana» è entrato nella Chiesa. Ma da ciò non si può concludere né che gli attuali detentori dell’autorità considerino la Chiesa da essi governata come una Chiesa formalmente diversa dalla Chiesa cattolica, né che di fatto vi sia uno scisma notorio e in atto tra due Chiese.

        26. Al secondo argomento, si risponde che mons. Lefebvre parla della «Roma cattolica», ma non di una «Roma modernista». Parla, con estrema precisione, di una «Roma di tendenza neo-modernista, neo-protestante, che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che ne sono derivate». Nella sua mente, dunque, le due Rome non si trovano sullo stesso piano. Mons. Lefebvre non vuole dire che esistono due Rome o due Chiese diametralmente opposte, come due corpi mistici e due società. Vuole dire che esiste Roma e la Chiesa, unico Corpo mistico di Cristo, il cui capo visibile è il Papa, Vescovo di Roma e Vicario di Cristo; ma esistono anche delle tendenze nefaste che si sono introdotte in questa Chiesa, a causa delle false idee che pervadono gli spiriti di coloro che detengono il potere a Roma.

        27. Al terzo argomento, si risponde che mons. Lefebvre prima afferma: «È uno spirito nuovo», e poi, di seguito, parla di questa nuova chiesa riformata, affermando che essa si è «introdotta nella Chiesa cattolica». L’espressione, dunque, non designa un’altra chiesa distinta dalla Chiesa cattolica, ma una corrente nefasta che imperversa all’interno dell’unica Chiesa.

        28. Al quarto argomento, si risponde che, in quella stessa conferenza, mons. Lefebvre afferma: «Non vogliamo dire che non ci sia Chiesa al di fuori di noi, non si tratta di questo». Ciò significa che, a suo avviso, la Chiesa non si identifica adeguatamente con coloro che rifiutano il Concilio, per distinzione rispetto a tutti coloro che accettano il Concilio e che costituirebbero pertanto un’altra Chiesa. Nella sua intenzione, le espressioni che impiega non indicano un’altra Chiesa costituita come società distinta, bensì uno spirito e una tendenza che, nella Chiesa, vanno contro il fine della Chiesa. D’altra parte, nel seguito di tale conferenza, mons. Lefebvre precisa: «Noi apparteniamo alla Chiesa visibile, alla società dei fedeli sotto l’autorità del Papa, perché noi non rifiutiamo l’autorità del Papa, ma ciò che egli fa. Noi riconosciamo al Papa la sua autorità, ma, quando se ne serve per fare il contrario di ciò per cui gli è stata data, è evidente che non possiamo seguirlo»[30]. La distinzione non è tra due Chiese, ma tra due direttive di governo promananti dallo stesso capo all’interno della stessa Chiesa.

       29. Al quinto argomento, si risponde che le espressioni impiegate debbono intendersi nel contesto di tutta la predicazione di mons. Lefebvre. Bisogna, in altre parole, tenere presente la portata retorica o metaforica che l’oratore ha voluto loro imprimere. Così «Uscire dalla Chiesa ufficiale» non significa rompere con una Chiesa per unirsi ad un’altra. Qui mons. Lefebvre esprime semplicemente l’attitudine prudenziale della Fraternità che cerca di proteggere le anime dal contagio modernista, evitando di entrare in contatto con le persone contagiose, senza per questo aprire uno scisma. La legge divinamente rivelata si limita a dire che, se il Papa divenisse fautore di eresia, o addirittura peggio, la Chiesa dovrebbe evitarlo. Non spetta a noi giudicare se, nello scenario aperto dal Concilio Vaticano II, i vari Papi che si sono avvicendati sulla cattedra di Pietro sono da considerarsi fautori di eresia, o peggio ancora. Mons. Lefebvre, nella sua prudenza, non si è mai arrischiato a dire che questi Papi sono eretici formali e notori[31].

Qui ci limitiamo ad osservare che, se pure si ammette a titolo di mera ipotesi (dato non concesso) che i Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI sono caduti nell’eresia formale, da ciò non si deduce necessariamente che essi per diritto divino sono decaduti dal sommo pontificato. Il Caietano[32], in effetti, ricorda che si possono citare almeno sei passi della Sacra Scrittura in cui Dio comanda appunto di non intrattenere relazioni con l’eretico formale e notorio[33]. Il passo più significativo è quello dell’Epistola di san Paolo a Tito, capitolo III, versetto 10, in cui l’Apostolo ci insegna che la Chiesa deve evitare di intrattenere relazioni col Papa, se questi la distoglie dal suo fine. Il termine «devita» usato qui da san Paolo può avere soltanto due sensi.
Può significare conseguenza (poiché il Papa eretico ha perso il pontificato, la Chiesa deve evitarlo, ossia non considerarlo più come suo capo) e in tal caso legittimerebbe l’ipotesi sedevacantista. Ma può anche significare concomitanza (il Papa ritenuto eretico dev’essere evitato dalla Chiesa, perché, pur restando vero Papa, il suo governo diventa abitualmente fonte di grave scandalo) e in tal caso legittimerebbe la posizione della Fraternità San Pio X. È pur sempre possibile evitare di intrattenere relazioni abituali di obbedienza e di sottomissione con un Papa fautore del modernismo e del liberalismo, senza per questo considerarlo decaduto dal papato. Il che mantiene la possibilità di obbedire quando non vi sia più alcun pericolo per la fede o la morale. È una distinzione che può apparire sottile. Ma anche la situazione che essa tenta di spiegare lo è. Sarebbe forse fuori luogo pensare che tale distinzione, in un contesto del genere, sia stata ispirata a mons. Lefebvre dalla prudenza soprannaturale?

Un buon riassunto di questa attitudine si trova nella Dichiarazione di fedeltà alle posizioni della Fraternità Sacerdotale San Pio X: «Io sottoscritto riconosco Benedetto XVI come Papa della santa Chiesa cattolica. Perciò sono disposto a pregare pubblicamente per lui in quanto Sommo Pontefice. Rifiuto di seguirlo quando si allontana dalla Tradizione cattolica, particolarmente in materia di libertà religiosa e di ecumenismo, come pure nelle riforme che sono nocive alla Chiesa».
Questo «rifiuto di seguirlo» corrisponde al «devita» di san Paolo e non esclude il «riconosco». Di conseguenza, nella conferenza in esame, le parole di mons. Lefebvre alludono semplicemente ad una misura di protezione pubblica, il che del resto è chiaramente dimostrato dal seguito del discorso: «Allontanarsi da essi è come allontanarsi dalle persone che hanno l’AIDS. Non possiamo rischiare di prenderci la malattia. Ora, costoro hanno un AIDS spirituale, una malattia contagiosa. Se vogliamo mantenerci sani, non dobbiamo stare con loro»[34].



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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