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Commento e Omelie sul Vangelo di Giovanni di Agostino

Ultimo Aggiornamento: 23/02/2015 20:35
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23/02/2015 11:21
 
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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI


Sant’Agostino


 


[Omelie 21-30]


 


OMELIA 21


E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati.


Esultiamo e rendiamo grazie, perché non solo siamo diventati cristiani, ma siamo Cristo. Capite, fratelli, vi rendete conto della grazia di Dio verso di noi? Stupite ed esultate: noi siamo diventati Cristo. Se lui è il capo e noi le membra, lui e noi siamo l'uomo totale. Pienezza di Cristo è il capo e sono le membra. Che vuol dire il capo e le membra? Cristo e la Chiesa.


[Si cresce amando.]


1. Ieri, secondo che il Signore si è degnato concederci e come ci è stato possibile, abbiamo spiegato, e, nella misura delle nostre capacità, abbiamo capito che le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili; e che il Padre non fa una cosa e il Figlio un'altra, ma fa tutto per mezzo del Figlio che è il suo Verbo e del quale sta scritto: Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto (Gv 1, 3). Esaminiamo oggi le parole che seguono, invocando e sperando la misericordia del Signore per giungere, se egli lo ritiene opportuno, a comprendere la verità; e se ciò non sarà possibile, ci sia almeno concesso di non cadere nell'errore. E' meglio infatti non sapere che sbagliare: certamente, però, è meglio sapere che ignorare. Perciò, prima di tutto dobbiamo fare ogni sforzo per capire; se ci riusciremo, ringrazieremo Dio; ma se per ora non riusciremo a pervenire alla verità, ci sia almeno concesso di non cadere in errore. Dobbiamo infatti tener presente chi siamo noi e di che cosa ci occupiamo. Siamo uomini che ci portiamo dietro il peso della carne nel cammino di questa vita, e che, sebbene rinati dal seme della parola di Dio, tuttavia siamo stati rinnovati in Cristo in modo tale da non essere ancora del tutto spogliati di Adamo. Infatti appare chiaro e manifesto che quanto c'è in noi di mortale e di corruttibile che appesantisce l'anima (cf. Sap 9, 15), proviene da Adamo; e quanto c'è in noi di spirituale che eleva l'anima, è dono e misericordia di Dio, il quale inviò il suo unico Figlio affinché partecipasse con noi alla nostra morte e ci conducesse alla sua immortalità. Cristo ci è stato dato come maestro, per insegnarci a non peccare; come intercessore se, dopo aver peccato, ci pentiamo e ci convertiamo; come avvocato, se ci ripromettiamo dal Signore qualcosa di buono; come datore di beni insieme al Padre, perché Padre e Figlio sono un solo Dio. Egli diceva tutte queste cose agli uomini come uomo; occulto come Dio e visibile come uomo, per fare dèi quelli che evidentemente erano uomini; lui che da Figlio di Dio diventò figlio dell'uomo per far diventare figli di Dio i figli degli uomini. Dalle sue stesse parole apprendiamo che a questo scopo egli utilizzò le risorse della sua sapienza. Parla come piccolo a coloro che sono piccoli, egli che è piccolo e insieme grande; noi invece siamo piccoli, e grandi solo in lui. Egli parla come una mamma che cura e allatta i piccoli, facendoli crescere a forza di amore.


2. Prima aveva detto: Il Figlio da sé non può far nulla, ma solamente ciò che vede fare dal Padre. Ci siamo resi conto che il Padre non fa delle opere a parte, affinché il Figlio le veda e a sua volta faccia ciò che ha visto fare dal Padre suo. Queste parole: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, significano che il Figlio è tutto del Padre e che tutta la sua essenza e potenza derivano da colui che lo ha generato. Ha poi aggiunto che egli fa le stesse cose che fa il Padre e le fa nello stesso modo; affinché non si pensi che il Padre fa delle opere e il Figlio delle altre, ma che, in virtù della medesima potenza, il Figlio fa le medesime cose che fa il Padre, giacché il Padre opera per mezzo del Figlio. Prosegue quindi dicendo ciò che oggi abbiamo sentito leggere: Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa(Gv 5, 19-20). Di nuovo il pensiero umano si disorienta. Il Padre mostra al Figlio ciò che egli fa; quindi, dirà qualcuno, il Padre compie qualche opera separatamente, affinché il Figlio possa vedere ciò che egli fa. Di nuovo si affaccia al pensiero umano l'immagine di due artigiani: un artigiano che insegna la sua arte al figlio, e gli mostra ciò che fa affinché a sua volta quello faccia altrettanto: gli mostra tutto ciò che egli fa. Mentre allora il Padre opera, il Figlio se ne sta inoperoso per vedere quello che fa il Padre? E' certo che tutto è stato fatto per mezzo di lui, e niente è stato fatto senza di lui. Vediamo perciò in che senso il Padre mostra al Figlio ciò che fa, pur rimanendo vero che il Padre non fa nulla se non per mezzo del Figlio. Che cosa ha fatto il Padre? Il mondo. Dopo aver fatto il mondo, il Padre lo ha mostrato al Figlio, affinché a sua volta facesse qualcosa di simile? Ci si mostri dunque il mondo fatto dal Figlio. In verità tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto; e anche il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 3 10). Ora, se il mondo è stato fatto per mezzo di lui, e tutto per mezzo di lui è stato fatto e niente il Padre fa senza di lui, dove mostra il Padre al Figlio ciò che fa se non nel Figlio stesso per mezzo del quale opera? Quale è infatti questo luogo dove viene mostrata al Figlio l'opera del Padre, come se questi operasse fuori del Figlio, il quale stia lì a guardare la mano del Padre per vedere come fa? Dov'è quell'inseparabile Trinità? Dov'è il Verbo, del quale si dice che è la potenza e la sapienza di Dio (1 Cor 1, 24)? Dov'è quanto la Scrittura dice della sapienza: è lo splendore della luce eterna (Sap 7, 26)? Dov'è quanto di essa altrove è scritto:essa estende la sua potenza da un'estremità all'altra del mondo, e tutto dispone con soavità (Sap 8, 1)? Se il Padre fa una cosa, la fa per mezzo del Figlio. Se la fa per mezzo della sua sapienza e della sua potenza, non gli fa vedere niente fuori di lui, ma è in lui stesso che gli mostra ciò che fa.


3. Cosa vede il Padre, o piuttosto, cosa vede il Figlio nel Padre in modo da operare anche lui? Potrei anche dirlo, ma prima dammi uno che possa capire; o potrei pensarlo, senza riuscire a dirlo; o forse neppure pensarlo. E' infatti di tanto superiore a noi quella divinità, di quanto Dio è superiore agli uomini, l'Immortale ai mortali, l'Eterno a coloro che sono temporali. Ci soccorra egli stesso con la sua ispirazione e con il suo dono, si degni in qualche modo di irrorarci da quella fonte di vita e di ristorare la nostra sete, affinché non ci inaridiamo in questo deserto. Chiamiamolo Signore quegli stesso che abbiamo imparato a chiamare Padre. Egli stesso ha autorizzato questa nostra audacia; però dobbiamo vivere in modo tale da non meritarci il rimprovero: Se sono Padre, dov'è l'onore che mi è dovuto? Se sono Signore, dov'è il rispetto che mi è dovuto? (Ml 1, 6). Diciamogli dunque: Padre nostro! Ma a chi diciamo: Padre nostro? Al Padre di Cristo. E colui che dice Padre nostro al Padre di Cristo, cosa dice a Cristo, se non Fratello nostro? Non è certo Padre nostro così come è Padre di Cristo, in quanto mai Cristo ci ha associati a sé in modo da non fare alcuna distinzione tra lui e noi. Egli è il Figlio uguale al Padre e a lui coeterno; noi invece siamo stati creati per mezzo del Figlio, adottati per mezzo dell'Unigenito. Per questo, mai si è sentito sulla bocca di nostro Signore Gesù Cristo, quando parlava con i discepoli, chiamare "Padre nostro" il Padre suo, il sommo Iddio, ma sempre: "Padre mio", oppure "Padre vostro". Non disse mai: "Padre nostro"; al punto che una volta usò queste due espressioni distinte: Vado al Dio mio e Dio vostro. Perché non disse Dio nostro? Aggiunse: al Padre mio e Padre vostro (Gv 20, 17); ma non disse: Padre nostro. Unì le due espressioni facendo risaltare la distinzione; distinzione che non è separazione. Vuole che noi siamo una cosa sola in lui, ma afferma che lui è una sola cosa con il Padre.


4. Per quanto dunque riusciamo ad intendere e per quanto riusciamo a vedere, ancorché diventassimo uguali agli angeli, non potremo mai vedere come vede il Figlio. Noi, infatti, anche quando non vediamo, siamo qualcosa. E che altro siamo, quando non vediamo, se non uomini che non vedono? Siamo tuttavia almeno uomini che non vedono; e per vedere ci rivolgiamo a colui che vogliamo vedere; e si realizza in noi una visione che non esisteva quando tuttavia noi esistevamo. Esiste infatti l'uomo che non vede; e questo medesimo uomo, quando vede, si chiama uomo che vede. Nell'uomo, quindi, il vedere non si identifica con l'essere uomo; poiché se il vedere coincidesse con l'essere uomo, non ci sarebbe mai in nessun momento un uomo che non vede. E siccome esiste l'uomo che non vede e che vuol vedere ciò che non vede, questo uomo è un soggetto che cerca ed è un soggetto che si volta per vedere. E quando si è ben voltato e comincia a vedere, è un uomo che vede, lui che prima era un uomo che non vedeva. Il vedere, quindi, è qualcosa che viene e che va: viene quando l'uomo si volta verso un oggetto, se ne va quando egli ne distoglie lo sguardo. Si può forse dire questo del Figlio? Assolutamente no. Non ci fu mai un tempo in cui il Figlio non vedesse, e che poi abbia cominciato a vedere; anzi, vedere il Padre è lo stesso per lui che essere Figlio. Noi, infatti, volgendoci al peccato, perdiamo la luce, e, convertendoci a Dio, riceviamo la luce. Una cosa è la luce che ci illumina, e altra cosa noi che veniamo illuminati. La luce che ci illumina, non si allontana da sé né perde il suo splendore, appunto perché è luce. Il Padre dunque mostra al Figlio ciò che fa, nel senso che il Figlio vede tutto nel Padre, e il Figlio è tutto nel Padre. Vedendo, il Figlio è nato, e, nascendo, vede. Non che un tempo non fosse nato e poi sia nato, come non ci fu un tempo in cui non vedesse e poi abbia visto; ma in lui vedere è lo stesso che essere, essere immutabile, esistere senza inizio e senza fine. Non s'intenda dunque in senso materiale che il Padre sta seduto, compie un'opera e la mostra al Figlio, e il Figlio vede quello che fa il Padre e a sua volta fa altrettanto in altro luogo o con altra materia. Tutte le cose - infatti - sono state fatte per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato fatto. Il Figlio è il Verbo del Padre; niente Dio ha detto che non abbia detto nel Figlio. Dicendo, infatti, nel Figlio ciò che avrebbe fatto per mezzo del Figlio, generò il Figlio stesso per mezzo del quale avrebbe fatto tutte le cose.


5. E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (Gv 5, 20). Nuovo motivo di turbamento. Chi potrà, infatti, convenientemente investigare un così misterioso segreto? Ma colui che già si è degnato parlarci, egli stesso ce lo rivelerà. Non ci avrebbe parlato, se non perché intendessimo la sua parola. Essendosi degnato di parlarci, ha suscitato in noi il desiderio di ascoltare; vorrà forse lasciare insoddisfatto il desiderio d'intendere la sua parola, quel desiderio che egli stesso ha suscitato in noi? Abbiamo detto, come abbiamo potuto, che il Figlio non conosce nel tempo e che il conoscere e il vedere del Figlio non si distinguono dal Figlio stesso, ma che il Figlio è questa stessa visione, e che è la conoscenza e la sapienza del Padre; e abbiamo detto che questa sapienza e questa visione eterne esistono ab aeterno e sono coeterne a colui dal quale procedono; e che non esiste qui alcuna variazione di tempo, né nasce qualcosa che prima non c'era né perisce quello che c'era. Abbiamo cercato di dire tutto questo. Ed allora che valore ha qui il tempo, dato che il Signore dice: gli mostrerà opere maggiori di queste? Il senso di "mostrerà" è che dovrà mostrargliele; "mostrò" è una cosa, "mostrerà" un'altra; "mostrò" si riferisce al passato, "mostrerà" si riferisce al futuro. Che cosa stiamo dicendo, fratelli? Ecco colui che dicevamo essere coeterno al Padre, che non è soggetto ad alcuna variazione di tempo, ad alcun movimento di spazio, ad alcuna successione di momenti o di luoghi; che sempre permane al cospetto del Padre vedendolo, e dalla visione del Padre attinge la sua esistenza; ebbene egli ci parla nuovamente in termini di tempo: gli mostrerà - dice - opere maggiori di queste.Vuole dunque il Padre mostrare qualcosa al Figlio che il Figlio ancora non conosce? E allora? Come si deve intendere questa frase? Osserva come il Signore nostro Gesù Cristo che era lassù in cielo, adesso si trova quaggiù in terra. Quando era lassù? Quando ha detto: Tutto ciò che il Padre fa, lo fa anche il Figlio e nel medesimo modo.Perché ora quaggiù? Gli mostrerà opere maggiori di queste. O Signore Gesù Cristo nostro Salvatore, Verbo di Dio per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose; che cosa ti deve mostrare il Padre che tu ancora non sappia? C'è qualcosa del Padre che ti è nascosto? Che cosa ci può essere per te di nascosto nel Padre, dal momento che non ti è nascosto il Padre? quali opere maggiori ti deve mostrare? o di quali opere sono maggiori quelle che deve mostrarti? Infatti avendo parlato di opere maggiori di queste,dobbiamo renderci conto rispetto a quali opere sono maggiori.


6. Riportiamoci alla circostanza da cui ebbe origine questo discorso. Fu quando guarì quell'uomo che era ammalato da trentotto anni e gli comandò, dopo averlo guarito, che prendesse il suo lettuccio e se ne andasse a casa. A causa di questo i Giudei, con i quali stava parlando, montarono su tutte le furie. Egli stava dicendo parole di cui non rivelava il significato, che insinuava solo a chi era in condizione di capire, mentre lo celava a chi era adirato. L'indignazione dei Giudei, provocata dalla guarigione che il Signore aveva operato di sabato, fu l'occasione di questo discorso. Ascoltando dunque questo discorso, si tenga conto della circostanza in cui fu pronunciato, richiamandoci a quell'infermo da trentotto anni che fu istantaneamente guarito fra lo stupore e l'indignazione dei Giudei. Essi erano più intenti a cercare nel sabato le tenebre che la luce del miracolo. Rivolgendosi a costoro che erano in preda all'ira, il Signore disse: Gli mostrerà opere maggiori di queste. Maggiori di queste! Di quali? Voi avete visto guarire un uomo che era ammalato da trentotto anni; ebbene, il Padre mostrerà al Figlio opere maggiori di queste. Quali sono le opere maggiori di queste? Il Signore prosegue, e dice:Come, infatti, il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Decisamente queste opere sono maggiori. E' molto più importante difatti la risurrezione di un morto che la guarigione di un infermo: questa è una delle opere "maggiori". Ma quando il Padre mostrerà queste opere al Figlio? Ora il Figlio non le conosce? Ma allora, colui che parlava, non sapeva risuscitare i morti? Colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, doveva forse ancora imparare a risuscitare i morti? Colui che ci fece vivere quando non esistevamo, aveva ancora da imparare a risuscitarci? Che cosa vuol dire, dunque, con queste parole?


[Cristo impara.]


7. Il Figlio di Dio è disceso fino a noi, e colui che prima parlava come Dio, ha cominciato a parlare come uomo. Ed è proprio uomo colui che è Dio, perché Dio si è fatto uomo. Si è fatto ciò che non era, continuando ad essere ciò che era. Si è unito l'uomo a Dio, così da essere uomo colui che era Dio; non però nel senso che diventato uomo non fosse più Dio. Ascoltiamo dunque, anche come fratello, colui che ascoltavamo come Creatore: come Creatore perché è il Verbo che era in principio, come fratello perché è nato da Maria Vergine; come Creatore che esisteva prima di Abramo, prima di Adamo, prima della terra, prima del cielo, prima di tutte le cose corporali e spirituali; come fratello perché viene dal seme di Abramo, dalla tribù di Giuda, da una vergine d'Israele. Sapendo dunque che colui che ci parla è Dio ed è uomo, distinguiamo le parole di Dio e le parole dell'uomo; talvolta, infatti, ci dice cose che si riferiscono alla sua maestà, tal'altra cose che si riferiscono al suo stato di umiltà. Egli è l'altissimo, e si è fatto umile per innalzare noi che siamo umili. Che cosa ha detto dunque? Il Padre mi mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati(Gv 5, 20). Quindi è a noi che le mostrerà, queste opere maggiori, non a lui. E' perché il Padre le mostrerà a noi che egli dice: affinché ne siate meravigliati. Ha spiegato che cosa voleva dire con la frase: Il Padre mi mostrerà ... Perché non ha detto: il Padre mostrerà a voi, ma ha detto: mostrerà al Figlio? Perché noi pure siamo membra del Figlio; e come membra impariamo: e anche lui, in qualche modo, impara attraverso le sue membra. In che senso si può dire che impara in noi? Nello stesso modo che soffre in noi. Come possiamo provare che soffre in noi? Lo possiamo provare con quella voce che si udì dal cielo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4). Non è forse lui che verrà come giudice alla fine del mondo e, collocando i giusti alla sua destra e gli iniqui alla sua sinistra, dirà: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno: perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare? E alla domanda: Signore, quando ti abbiamo veduto affamato?, risponderà: Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 34 ss.). E adesso siamo noi che ci rivolgiamo a colui che ha detto queste cose, e gli chiediamo: O Signore, quando mai tu dovrai imparare, tu che insegni ogni cosa? Egli subito ci risponde conforme alla nostra fede: Ogni volta che il più piccolo dei miei fratelli impara, anch'io imparo.


8. Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo e noi le membra, l'uomo totale è lui e noi. E' questo che dice l'Apostolo: Così non saremo più dei bambini, sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina. Prima aveva detto: Finché perveniamo tutti all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, a formare l'uomo maturo, al livello di statura che attua la pienezza del Cristo (Ef 4, 14 13). Pienezza di Cristo sono dunque il capo e le membra. Cosa vuol dire il capo e le membra? Il Cristo e la Chiesa. Arrogarci tale prerogativa sarebbe da parte nostra folle orgoglio, se Cristo medesimo non si fosse degnato farci questa promessa tramite lo stesso Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e, ciascuno per la sua parte, membra di lui (1 Cor 12, 27).


9. Quando dunque il Padre insegna qualcosa alle membra di Cristo, è a Cristo che insegna. E' meraviglioso e perfino incredibile, ma è così: a Cristo viene mostrato ciò che Cristo sapeva, e per mezzo di Cristo stesso. Cosa meravigliosa e grande! Ma è la Scrittura che lo dice. Oseremo smentire la parola di Dio, o non cercheremo piuttosto di penetrarne il senso e rendere grazie all'autore di tanto dono? Che cosa voglio dire affermando che viene insegnato a Cristo per mezzo di Cristo? Che viene insegnato alle membra per mezzo del Capo. Ecco, puoi vederlo in te stesso: mettiamo che vuoi afferrare qualcosa con gli occhi chiusi; la mano non sa dove dirigersi, eppure la mano è un tuo membro, perché non è separata dal tuo corpo. Apri gli occhi, e la mano vedrà dove dirigersi, il membro potrà seguire la direzione indicatagli dalla testa. Ora se questo si verifica in te: che il tuo corpo guida il tuo corpo, e per mezzo del tuo corpo viene mostrato qualcosa al tuo corpo, perché ti meravigli se dico che viene mostrato al Cristo per mezzo di Cristo? Il capo mostra perché le membra vedano; il capo insegna e le membra imparano; tuttavia il Capo e le membra sono un sol uomo. Egli non ha voluto separarsi da noi, ma si è degnato amalgamarsi a noi fino a fondersi con noi. Era molto lontano da noi. Ci può essere, infatti, una distanza maggiore di quella che esiste fra la creatura e il Creatore, fra Dio e l'uomo, fra la giustizia e l'iniquità, fra l'eternità e la creatura mortale? Ecco come era lontano il Verbo, che era in principio Dio presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. In che modo, dunque, si è avvicinato al punto da essere ciò che noi siamo, e da essere noi in lui? Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).


[La preghiera di Cristo.]


10. E' questo ciò che vuole mostrarci. E' questo ciò che mostrò ai suoi discepoli, che lo videro nella carne. Che cosa dunque? Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Gv 5, 21). Alcuni il Padre e altri il Figlio, forse? No, perché è certo che tutto è stato fatto per mezzo di lui. Cosa vogliamo dire con questo, fratelli miei? Cristo risuscitò Lazzaro; quale morto risuscitò il Padre, perché Cristo vedesse come doveva fare a risuscitare Lazzaro? O forse quando Cristo risuscitò Lazzaro, non fu anche il Padre a risuscitarlo, ma il Figlio solo senza il Padre? Leggete quella pagina del Vangelo, e vedrete che il Figlio invoca il Padre per la risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 41-44). Come uomo invoca il Padre, come Dio opera insieme col Padre. Quindi Lazzaro che risuscitò, fu risuscitato dal Padre e dal Figlio, e per dono e grazia dello Spirito Santo. L'intera Trinità realizzò quell'opera meravigliosa. Non si deve perciò intendere questa frase: come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole, nel senso che alcuni vengono risuscitati e vivificati dal Padre, altri dal Figlio, ma quanti il Padre risuscita e fa vivere, questi medesimi anche il Figlio risuscita e fa vivere; perché tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato fatto. E per far vedere che egli possedeva, sebbene datagli dal Padre, pari potestà, per questo aggiunse: così anche il Figlio fa vivere chi vuole, dimostrando così la sua volontà. E affinché nessuno dicesse: il Padre risuscita i morti per mezzo del Figlio, ma il Padre in virtù della sua potestà mentre il Figlio per potestà altrui, come un ministro o un angelo che compia qualche opera; volle precisare la sua potestà dicendo: così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Il Padre non vuole una cosa e il Figlio un'altra, ma, come unica è la loro sostanza, così unica è la loro volontà.


11. E chi sono questi morti che il Padre e il Figlio fanno rivivere? Son forse quelli di cui abbiamo parlato: Lazzaro, il figlio della vedova (cf. Lc 7, 14-15), la figlia del capo della sinagoga (cf. Lc 8, 54-55)? Già conosciamo infatti queste risurrezioni operate da Cristo Signore. Ma qui il Signore ci vuole insinuare un'altra cosa, e precisamente la risurrezione dei morti che tutti aspettiamo, non quella conseguita da alcuni affinché credessero tutti gli altri. Lazzaro risuscitò, ma poi dovette nuovamente morire; noi invece risorgeremo per vivere eternamente. Questa risurrezione chi la compie, il Padre o il Figlio? Per essere precisi, il Padre nel Figlio; è quindi opera del Figlio, e del Padre nel Figlio. Che prova abbiamo che egli parla di questa risurrezione? Avendo detto: come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Affinché non pensassimo a quella risurrezione dei morti che compie come miracolo e non per la vita eterna, prosegue dicendo: poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 21-22). Che vuol dire questo? Stava parlando della risurrezione dei morti e diceva che come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole; perché immediatamente si riferisce, quasi come prova, al giudizio, dicendo: poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, se non perché intende parlare di quella risurrezione dei morti che avrà luogo nel giudizio?


[I rivoli e la fonte.]


12. Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 20). Dianzi, quando diceva: il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa,credevamo che il Padre facesse qualcosa che il Figlio non fa. Come se il Padre operasse e il Figlio stesse a vedere. Così infatti voleva suggerire alla nostra mente un modo d'intendere grossolano, come se il Padre facesse qualcosa che il Figlio non fa, e il Figlio stesse lì a vedere l'opera che il Padre gli mostra; quindi come se il Padre facesse qualcosa che il Figlio non fa. Adesso, invece, vediamo che il Figlio fa qualcosa che il Padre non fa. Vedete come il Signore ci scuote e ci agita dal profondo dell'anima! Ci porta di qua e di là senza tregua, impedendoci di acquietarci nella sapienza della carne. Ci tiene sospesi e in tensione per purificare la nostra anima; purificandola vuole prepararla ad accogliere la verità, per poterla così colmare di essa. Dove vogliono portarci queste parole? cosa diceva prima il Signore, e cosa dice ora? Prima diceva che il Padre mostra al Figlio quello che fa; e mi sembrava di vedere il Padre che agisce e il Figlio che sta a guardare; adesso invece vedo il Figlio agire e il Padre senza far niente:il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio. Vuol dire che quando il Figlio si metterà a giudicare, il Padre starà a guardare senza giudicare? Che significano queste parole? come bisogna intenderle? Signore, che cosa vuoi dire? Tu sei il Verbo di Dio, e io non sono altro che un uomo. Tu dici che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Altrove leggo che tu dici: Io non giudico nessuno; c'è chi indaga e giudica (Gv 8, 15 50); di chi parli quando dici che c'è chi indaga e giudica, se non del Padre? E' lui che esamina le ingiurie rivolte a te, è lui che giudica e condanna. In che senso vien detto qui che il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Interroghiamo anche Pietro e ascoltiamo quello che egli dice nella sua epistola: Cristo patì per noi, lasciandoci l'esempio, affinché ne seguiamo le orme. Lui che peccato non fece e nella cui bocca non fu trovato inganno; lui che oltraggiato non restituiva l'oltraggio, maltrattato non minacciava ma si rimetteva a colui che giudica con giustizia (1 Pt 2, 21-23). Come può allora essere vero che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio?Siamo colti da turbamento, un turbamento che ci fa sudare, ma sudando ci purifichiamo. Facciamo ogni sforzo, con l'aiuto della grazia di Dio, per penetrare le profondità misteriose di queste parole. Forse siamo temerari a voler discutere e scrutare le parole di Dio. Ma perché sono state dette, se non perché le conoscessimo? perché sono risuonate alle nostre orecchie, se non perché le ascoltassimo? perché le abbiamo ascoltate, se non per intenderle? Ci sostenga dunque il Signore, e, secondo la sua misericordia, ci conceda d'intenderle in qualche modo; che se ancora non ci è dato di bere alla fonte, ci sia almeno consentito di bere ai rivoli. Vedi, Giovanni stesso è come un rivolo sgorgato per noi, che dall'alto ha fatto arrivare fino a noi il Verbo: lo ha abbassato e quasi sotterrato, affinché non ci spaventassimo della sua altezza, ma ci accostassimo a Colui che si è umiliato per noi.


13. Senza dubbio l'espressione: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio contiene, se badiamo bene, un significato vero e vigoroso. Questa espressione significa che agli uomini nel giudizio non si mostrerà se non il Figlio. Il Padre non si vedrà, il Figlio sì. In che forma il Figlio sarà visibile? Nella forma in cui è asceso al cielo. Nella forma di Dio è occulto come il Padre, mentre nella forma di servo si è reso visibile. Il Padre - dunque - non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; s'intende ogni giudizio in forma visibile. In questo giudizio in forma visibile giudicherà il Figlio, perché è lui che apparirà a coloro che dovranno essere giudicati. La Scrittura ci dice assai chiaramente che egli comparirà in modo visibile. Quaranta giorni dopo la sua risurrezione ascese al cielo alla vista dei suoi discepoli (At 1, 3 9); e un angelo disse loro: Uomini di Galilea, perché state guardando in cielo? Questo Gesù che, tolto a voi, è stato elevato al cielo, verrà nello stesso modo in cui l'avete veduto salire al cielo (At 1, 11). Come lo videro salire? Con la medesima carne che essi avevano toccato e palpato, in cui avevano perfino verificato, toccandole, le ferite; in quel corpo con cui per quaranta giorni era andato avanti e indietro assieme a loro, manifestandosi a loro realmente, non illusoriamente come un fantasma, un'ombra, uno spirito, ma, come egli stesso dichiarò, senza alcun inganno: Palpatemi e costatate: uno spirito non ha carne ed ossa, come vedete che ho io (Lc 24, 39). Senza dubbio quel corpo non soggetto alla morte né a invecchiamento, merita di abitare fin d'ora in cielo. L'età della giovinezza, alla quale Cristo giunse crescendo dall'infanzia, non conosce declino verso la vecchiaia, permane eternamente nella maturità raggiunta al momento della sua ascensione, e così apparirà a coloro ai quali volle fosse predicata la sua parola prima della sua venuta. Verrà dunque nella forma di uomo; la vedranno anche gli empi, la vedranno quelli che saranno alla sua destra e la vedranno anche i separati alla sua sinistra, così come sta scritto: Vedranno colui che hanno trafitto (Zc 12, 10; Gv 19, 37). Se vedranno colui che hanno trafitto, vuol dire che vedranno il corpo stesso che hanno trafitto con la lancia: la lancia non può trafiggere il Verbo. Gli empi potranno vedere solo ciò che hanno potuto ferire. Non potranno vedere Dio nascosto nel corpo. Potranno vederlo, dopo il giudizio, coloro che saranno, alla sua destra. Questo è dunque il senso delle parole: Il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio: il Figlio verrà per il giudizio in modo visibile, e soltanto lui si presenterà agli uomini nel corpo umano, e dirà a quelli che saranno a destra: Venite, benedetti del Padre mio, a ricevere il regno, e a quelli che saranno alla sua sinistra: Andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25, 34 41).


[Non tutti potranno vedere Dio.]


14. Ecco, apparirà la forma di uomo ai buoni e ai cattivi, ai giusti e agli iniqui, ai fedeli e agli infedeli, a quelli che saranno nella gioia e a quelli che saranno nel pianto, a quelli che saranno pieni di confidenza e a quelli che saranno pieni di confusione: apparirà agli occhi di tutti. Una volta vista quella forma nel giudizio, e una volta compiuto il giudizio, secondo quanto è stato detto: che il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, perché il Figlio apparirà nel giudizio in quella medesima forma che prese da noi; che cosa avverrà poi? quando si potrà vedere la forma di Dio che tutti i fedeli sospirano? quando si potrà vedere quel Verbo che era in principio, Dio presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? quando si potrà vedere quella forma di Dio della quale l'Apostolo dice: Lui di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari a Dio (Fil 2, 6)? Eccelsa è quella natura nella quale si riconosce l'uguaglianza del Padre e del Figlio: è ineffabile, incomprensibile, soprattutto a noi che siamo tanto piccoli. Quando si potrà vedere? Ecco, a destra ci sono i giusti e a sinistra gli iniqui; tutti ugualmente vedono l'uomo, vedono il Figlio dell'uomo, vedono colui che fu trafitto, che fu crocifisso, che fu umiliato; vedono colui che è nato dalla Vergine, vedono l'agnello della tribù di Giuda; ma il Verbo, Dio presso Dio, quando lo vedranno? Egli sarà presente anche allora, ma sarà visibile soltanto la forma di servo. Apparirà la forma di servo ai servi, e sarà riservata la forma di Dio ai figli. I servi, dunque, diventino figli; quelli che sono alla destra vadano a prendere possesso dell'eredità eterna promessa loro da tempo, e nella quale i martiri credettero senza vederla e per la cui promessa non esitarono a versare il loro sangue. Vadano e vedranno. E quando vi andranno, cosa vedranno? Lo dica il Signore stesso: Andranno quelli al fuoco eterno, i giusti invece alla vita eterna (Mt 25, 46).


[L'amore non sarà deluso.]


15. Ecco, ha nominato la vita eterna. Forse ci ha detto questo perché là vedremo e conosceremo il Padre e il Figlio? Che senso avrebbe vivere in eterno, se non dovessimo vedere il Padre e il Figlio? Ascolta un altro passo in cui il Signore nomina la vita eterna e spiega che cosa è la vita eterna (cf. Gv 17, 3). Non temere, non t'inganno. Non invano ho fatto questa promessa ai miei amici: Chi ha i miei comandamenti e li osserva: ecco chi mi ama; e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14, 21). Rispondiamo al Signore e diciamogli: Signore Dio nostro, è una così grande cosa se ti manifesterai a noi? e che? non ti sei manifestato anche ai Giudei? non ti hanno visto anche quelli che ti hanno crocifisso? ti manifesterai nel giudizio, quando staremo alla tua destra: forse che allora non ti vedranno anche quelli che staranno alla tua sinistra? che significa che ti manifesterai a noi? forse che adesso, mentre ci parli, non ti vediamo? Il Signore risponde: Io mi manifesterò nella forma di Dio, adesso vedete soltanto la forma di servo. Non ti defrauderò, o uomo fedele! credi e vedrai. Tu mi ami e non mi vedi: sarà proprio l'amore che ti porterà a vedere. Ama e persevera nell'amore; non defrauderò il tuo amore; io che ho mondato il tuo cuore. A che scopo infatti ho mondato il tuo cuore, se non perché tu potessi vedere Dio? Infatti beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Ma questo - ribatte il servo quasi discutendo con il Signore -, questo non l'hai spiegato quando hai detto: I giusti andranno alla vita eterna. Tu non hai detto: Andranno a vedermi nella forma di Dio e andranno a vedere il Padre, al quale io sono uguale. Tieni conto di quello che altrove ha detto: Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3).


16. Ebbene, dopo il giudizio, che il Padre ha rimesso totalmente al Figlio, non giudicando lui nessuno, che cosa accadrà? Come è il seguito? Affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. I Giudei onoravano il Padre, ma disprezzavano il Figlio. Il Figlio infatti veniva considerato come servo e il Padre veniva onorato come Dio. Il Figlio si presenterà come uguale al Padre affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre ... Questo è quanto noi ora crediamo. Non ci venga a dire il Giudeo: io onoro il Padre, ma il Figlio che c'entra? Ecco la risposta: Chi non onora il Figlio, non onora il Padre (Gv 5, 23). Sei un mentitore: insultando il Figlio, rechi ingiuria al Padre. Il Padre ha mandato il Figlio e tu disprezzi il suo inviato. Come puoi dire che onori colui che lo ha inviato, se bestemmi l'inviato?


17. Ecco, dirà qualcuno, il Figlio è l'inviato; quindi il Padre che lo ha inviato, è più grande. Guardati da ogni interpretazione grossolana. L'uomo vecchio ti suggerisce immagini vecchie, ma tu devi riconoscere la novità che c'è nell'uomo nuovo. Egli che è nuovo per te, ma che è più antico del mondo, che è perpetuo ed eterno, ti richiami all'intelligenza spirituale. Il Figlio è forse inferiore perché si dice che è stato inviato? Si parla di "missione", non di "separazione". Nelle cose umane, rispondi, è questo che si vede: chi manda è superiore a chi viene mandato. Ma le cose umane ingannano l'uomo, le cose divine, invece, lo purificano. Non badare alle cose umane, dove chi manda appare superiore a chi viene mandato. Quantunque le stesse cose umane ti smentiscano: così, ad esempio, quando uno cerca moglie e non può farlo da sé, manda un amico a lui superiore a chiederla. E ci sono molti altri casi in cui si sceglie uno che è superiore per inviarlo ad un altro che è inferiore. Perché trovi tanta difficoltà nel fatto che uno manda e l'altro è mandato? Il sole invia i suoi raggi e non se ne separa; la luna invia il suo splendore senza compiere alcuna separazione; e lo stesso succede con la luce che una lampada diffonde. In queste cose vedo un invio senza separazione. Ora, se cerchi degli esempi nelle cose umane, o eretica vanità (benché, come ho detto, le stesse cose umane in molti casi forniscano argomenti convincenti contro di te), tuttavia considera la grande differenza che esiste tra le cose divine e quelle umane dalle quali cerchi esempi per quelle divine. L'uomo che manda non va, rimane fermo; va colui che è mandato. Colui che manda si muove forse insieme a colui che è mandato? Ma il Padre che manda il Figlio, non si separa dal Figlio. Ascolta quello che dice lo stesso Signore: Ecco, viene l'ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me (Gv 16, 32). Come ha potuto mandare quello con il quale è venuto? come ha potuto mandare quello dal quale non si è allontanato? Altrove dice: Il Padre, il quale dimora in me, compie le sue opere (Gv 14, 10). Ecco, il Padre è presente in lui e in lui opera. Colui che invia non si è allontanato dall'inviato, perché l'inviato e colui che lo invia sono una medesima cosa.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/02/2015 11:22
 
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OMELIA 22


Chi ascolta le mie parole e crede, è passato dalla morte alla vita.


Chi ascolta la parola di Cristo, e ci crede, passa dalla morte alla vita. Vuoi camminare? Cristo è la via. Non vuoi sbagliare? Cristo è la verità. Non vuoi morire? Cristo è la vita. Lui solo è la meta, lui solo è la via. La sua voce ci ha destati dalla morte, e credendo in lui camminiamo verso la pienezza della vita.


1. La lezione evangelica di oggi - continuazione dei sermoni tenuti ieri e l'altro ieri - ci proponiamo di commentarla punto per punto, non come meriterebbe, ma secondo le nostre forze; come voi, del resto, attingete a questa fonte non secondo la sua abbondanza, ma secondo la vostra capacità limitata. Né possiamo noi far risuonare alle vostre orecchie la voce potente della fonte, ma solo quanto possiamo attingere, e questo noi trasmettiamo ai vostri sensi, persuasi che il Signore opera nei vostri cuori più efficacemente di quel che possiamo noi parlando alle vostre orecchie. Il tema è profondo, e chi lo tratta non è all'altezza, essendo piuttosto modesto. Tuttavia, colui che essendo grande per noi si fece piccolo, c'infonde speranza e fiducia. Poiché, se egli non ci incoraggiasse e non ci invitasse a comprenderlo, ma ci abbandonasse come esseri trascurabili (dato che non potremmo accogliere la sua divinità, se egli non avesse assunto la nostra condizione mortale e non fosse sceso fino a noi per annunciarci il suo Vangelo); se insomma non si fosse reso partecipe di quanto in noi v'è di abietto e infimo, non potremmo convincerci che ha assunto la nostra pochezza appunto per comunicarci la sua grandezza. Dico questo perché nessuno ci consideri presuntuosi se osiamo esporre queste cose, e nessuno disperi di poter intendere, con l'aiuto di Dio, ciò che il medesimo Figlio di Dio si è degnato rivelargli. E' da credere, dunque, che era sua intenzione che noi intendessimo ciò che si è degnato dirci. E se non ci riusciamo, pregheremo e ci farà dono di questa comprensione colui che, senza essere pregato, ci ha fatto dono della sua parola.


[La fede, la pietà e l'intelligenza.]


2. Ecco, rendetevi conto della profondità di queste parole: In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Gv 5, 24). Tutti certamente aspiriamo alla vita eterna. Ebbene, egli ci ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna. Si può dunque pensare che egli abbia voluto farci ascoltare la sua parola senza darci modo d'intenderla? Perché, se la vita eterna consiste nell'ascoltare e nel credere, tanto più consisterà nel comprendere. La pietà è il fondamento della fede, e il frutto della fede è l'intelligenza, che ci fa pervenire alla vita eterna. Allora non si leggerà più il Vangelo: colui che ora ci ha dato il Vangelo, riposte tutte le pagine che si leggono, fatta tacere la voce del lettore e del commentatore, si mostrerà a tutti i suoi che staranno al suo cospetto con cuore purificato e col corpo non più soggetto alla morte; li purificherà e li illuminerà, ed essi vivranno e vedranno che in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio(Gv 1, 1). Adesso dunque rendiamoci conto chi siamo noi e chi è colui che stiamo ascoltando. Cristo è Dio e parla con degli uomini. Vuol essere capito? Ce ne renda capaci. Vuol essere visto? Ci apra gli occhi. Non è senza motivo che ci parla; è vero quello che ci promette.


3. Chi ascolta le mie parole - dice - e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non subisce giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Dove e quando passiamo dalla morte alla vita, così da non incorrere nel giudizio? E' in questa vita che si passa dalla morte alla vita; proprio in questa vita che ancora non è vita. In che consiste questo passaggio? Chi ascolta la mia parola - dice - e crede a colui che mi ha mandato. Crederai e compirai questo passaggio, se metterai in pratica tali parole. Ma è possibile passare restando fermi? Certo che è possibile. Uno può restare fermo col corpo, e con l'anima compiere il passaggio. Dove era prima, per dove passa e dove va? Passa dalla morte alla vita. Ecco un uomo che non si muove e nel quale si realizza quanto stiamo dicendo. Egli sta lì fermo e ascolta; forse non credeva e, ascoltando, crede: un momento fa non credeva e adesso crede. E' come se avesse compiuto un passaggio dalla regione dell'infedeltà alla regione della fede, muovendosi col cuore, non col corpo, e muovendosi in meglio; perché anche quelli che abbandonano la fede si muovono, ma in peggio. Vedi come in questa vita, che, come dico, non è ancora vita, si passa dalla morte alla vita per non incorrere nel giudizio. Perché ho detto che non è ancora vita? Se questa fosse vita, il Signore non avrebbe detto a quel tale: Se vuoi venire alla vita, osserva i comandamenti (Mt 19, 17). Non gli ha detto: Se vuoi venire alla vita eterna; non ha aggiunto "eterna", ma ha detto semplicemente vita. Quella presente non si può nemmeno chiamare vita, non essendo la vera vita. Quale è la vera vita se non quella che è eterna? Ascolta che cosa dice l'Apostolo a Timoteo: Raccomanda ai ricchi di questo mondo di non essere orgogliosi e di non riporre la loro speranza nelle instabili ricchezze, ma nel Dio vivo, che ci dà in abbondanza ogni cosa, affinché ne godiamo. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano liberali, generosi. A che scopo? Ascolta ciò che segue: Si accumulino per l'avvenire un tesoro posto su solide basi, che assicuri loro la vera vita (1 Tim 6, 17-19). Se devono accumularsi un tesoro per l'avvenire su solide basi che assicuri loro la vera vita, vuol dire che la loro vita attuale è una vita falsa. A che scopo, infatti, assicurarsi la vera vita, se uno già la possiede? Si deve raggiungere quella vera? bisogna emigrare da quella falsa. Donde e dove bisogna emigrare? Ascolta, credi, e realizzerai il passaggio dalla morte alla vita, e non incorrerai nel giudizio.


4. Che significa: non incorrerai nel giudizio? Nessuno potrà spiegarcelo meglio dell'apostolo Paolo, che dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il male (2 Cor 5, 10). Paolo dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo; e tu presumi di non dover comparire in giudizio? No, rispondi tu, non è che io mi riprometta questo, ma credo a colui che me lo promette. E' il Salvatore che parla, è la Verità che promette, è lui che mi ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna, è passato dalla morte alla vita e non incorrerà nel giudizio. Io quindi ho ascoltato la parola del mio Signore e ho creduto. Da infedele che ero, son diventato fedele; secondo la sua parola, io son passato dalla morte alla vita, e non incorro nel giudizio. Non è presunzione mia, è promessa sua. Paolo, dunque, dice il contrario di Cristo, il servo dice il contrario del Signore, il discepolo contraddice il maestro, l'uomo contraddice Dio, se mentre il Signore dice: Chi ascolta e crede, è passato dalla morte alla vita e non cade sotto giudizio, l'Apostolo dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo? Vorrà dire che non incorre nel giudizio chi deve comparire in tribunale? Non mi pare che sia così.


[Giudizio e condanna.]


5. Ce lo rivela il Signore nostro Dio, e, per mezzo delle sue Scritture, c'insegna come si debba intendere il giudizio. Vi esorto a stare attenti. La parola "giudizio" a volte significa pena, altre volte discriminazione. Se si prende come discriminazione, allora sì che tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il male. La discriminazione consiste appunto nel distribuire i beni ai buoni e i mali ai cattivi. Perché se il giudizio dovesse intendersi sempre in senso negativo, il salmo non direbbe: Giudicami, o Dio (Sal 42, 1). Potrebbe stupire l'espressione:Giudicami, o Dio. L'uomo infatti è solito dire: Iddio mi perdoni! Perdonami, o Dio! Ma chi direbbe: Giudicami, o Dio? E invece questo è un ritornello quando si recita il salmo: il lettore intona e il popolo risponde. Forse che qualcuno si impressiona e trova difficoltà a rivolgere a Dio questo ritornello: Giudicami, o Dio? No, il popolo credente canta, e non ritiene un cattivo desiderio quello che gli viene suggerito dalla lettura divina; anche se capisce poco, è convinto di cantare una cosa buona. Ma il salmo non ci lascia senza spiegazione: nel seguito, infatti, mostra di quale giudizio intende parlare, non di condanna ma di separazione. Dice infatti: Giudicami, o Dio. Che significa giudicami? Ecco che vien detto: separa la mia causa da quella di gente non santa. E' per questo giudizio di separazione che tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. E invece, quando dice: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorrerà nel giudizio, ma passa dalla morte alla vita, intende parlare di giudizio di condanna. Che significa non incorrerà nel giudizio? Che non incorrerà nella condanna. Proviamo, con le Scritture alla mano, che dove è detto giudizio si deve intendere condanna. In questa medesima pagina del Vangelo, del resto, sentirete che il termine giudizio viene usato solo nel senso di condanna o di pena. E l'Apostolo, scrivendo a quelli che mancavano di rispetto a quel Corpo che voi fedeli ben conoscete, e a causa di ciò minacciando i castighi del Signore, dice: E' per questo che ci son molti infermi tra voi e numerosi sono i malati che muoiono. Molti, infatti, perfino morivano. L'Apostolo prosegue dicendo: Che se ci esaminassimo noi stessi, non verremmo giudicati dal Signore, cioè se ci correggessimo da soli, non verremmo corretti dal Signore. Quandperò veniamo giudicati, veniamo corretti dal Signore, per non esser condannati con questo mondo (1 Cor 11, 30-32). Ci sono dunque di quelli che vengono giudicati, cioè puniti qui per essere risparmiati dopo; ci sono altri che qui vengono trattati con indulgenza, e di là saranno trattati con maggior severità; altri, finalmente, non emendatisi quaggiù con i castighi correttivi di Dio, saranno ugualmente puniti lassù ma non più a scopo emendativo: costoro, che hanno disprezzato il Padre che li colpiva, proveranno il giudice che punisce. C'è quindi un giudizio che Dio, cioè il Figlio di Dio, riserva alla fine al diavolo e ai suoi angeli, e con lui a tutti gli infedeli e agli empi; a questo giudizio non verrà sottoposto chi adesso, credendo, passa dalla morte alla vita.


6. E affinché tu non pensassi che, credendo, non avresti dovuto morire secondo la carne, e intendendo materialmente le sue parole subito non dicessi a te stesso: Il mio Signore mi ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, è passato dalla morte alla vita, e siccome io ho creduto, quindi non dovrò morire; sappi che la morte è il tributo che devi pagare per la condanna inflitta ad Adamo. Cadde sopra di lui, nel quale tutti eravamo presenti, la condanna: Sarai colpito dalla morte .. (Gn 2, 17). La sentenza divina non può essere annullata. E solo quando avrai pagato questo tributo della morte dell'uomo vecchio, verrai accolto nella vita eterna dell'uomo nuovo, e passerai dalla morte alla vita. Compi fin d'ora il passaggio dalla morte alla vita. Quale è la tua vita? E' la fede: Il giusto vive della fede (Ab 2, 4; Rm 1, 17). Che dire allora degli infedeli? Essi sono morti. A siffatti morti apparteneva, quanto al corpo, quel tale di cui il Signore disse: Lascia i morti seppellire i morti (Mt 8, 22). In questa vita, quindi, vi sono dei morti e dei vivi, anche se apparentemente tutti sono vivi. Chi sono i morti? Quelli che non credono. Chi sono i vivi? Quelli che credono. Cosa dice ai morti l'Apostolo? Svegliati, tu che dormi. Ma dirai: parla di sonno, non di morte. Ascolta come prosegue: Svegliati tu che dormi, e risorgi dalla morte. E come se il morto chiedesse: e dove andrò? l'Apostolo continua: E Cristo ti illuminerà (Ef 5, 14). Quando, credendo in Cristo, sei da lui illuminato, tu passi dalla morte alla vita: permani nella vita alla quale sei passato e non incorrerai nel giudizio.


7. Così spiega il Signore, aggiungendo: In verità, in verità vi dico. Affinché non intendessimo le sue parole: è passato dalla morte alla vita, come riferite alla risurrezione futura, e volendo mostrare come nel credente si compia questo passaggio e che questo passaggio dalla morte alla vita è il passaggio dall'infedeltà alla fede, dall'iniquità alla giustizia, dalla superbia all'umiltà, dall'odio alla carità, egli con solennità dichiara: In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è questa ... Poteva essere più esplicito? In questo modo ci ha già chiarito il suo pensiero, che cioè si compie adesso il passaggio al quale Cristo ci esorta. Viene l'ora. Quale ora? ... ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l'avranno ascoltata vivranno (Gv 5, 25). Si è già parlato di questi morti. Credete voi, miei fratelli, che in mezzo a questa folla che mi ascolta non ci siano di questi morti? Quelli che credono e operano in conformità alla vera fede, son vivi e non morti; ma quelli che non credono, o credono alla maniera dei demoni, che cioè tremano di paura e vivono male (cf. Gc 2, 19), che confessano il Figlio di Dio e sono privi di carità, son piuttosto da considerarsi morti. E certamente l'ora di cui parla il Signore è tuttora presente: non è una delle dodici ore del giorno. Da quando egli parlò fino al tempo presente, e sino alla fine del mondo, quest'ora è in corso. E' l'ora di cui parla Giovanni nella sua epistola: Figlioli, è iniziata l'ultima ora (1 Io 2, 18). E' questa l'ora, è adesso. Chi vive, viva; chi era morto, risorga; ascolti, chi giaceva morto, la voce del Figlio di Dio, si alzi e viva. Il Signore lanciò un grido verso il sepolcro di Lazzaro, e colui che era morto da quattro giorni, risuscitò. Colui che già si decomponeva, uscì fuori all'aria libera; era sepolto sotto una grossa pietra, la voce del Signore penetrò la durezza della pietra; ma il tuo cuore è così duro che quella voce divina non è ancora riuscita a spezzarlo. Risorgi nel tuo cuore, esci fuori dal tuo sepolcro. Perché quando stavi morto nel tuo cuore, giacevi come in un sepolcro, ed eri come schiacciato sotto il peso della cattiva abitudine. Risorgi e vieni fuori! Che significa: Risorgi e vieni fuori? Credi e confessa. Colui che crede risorge, e colui che confessa esce fuori. Perché diciamo che colui che confessa viene fuori? Perché prima della professione di fede, era occulto; ma dopo la professione di fede, viene fuori dalle tenebre alla luce. E che cosa vien detto ai ministri, in seguito alla professione di fede? Lo stesso che Gesù disse presso il sepolcro di Lazzaro: Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Così come è stato detto agli Apostoli, che sono i ministri del Signore: Ciò che scioglierete in terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 18, 18).


8. Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Come potranno vivere? In virtù della vita stessa. Di quale vita? Di Cristo? Come si dimostra che vivranno in virtù della vita che è Cristo? Io sono - egli dice - la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Vuoi tu camminare? Io sono la via. Vuoi evitare l'errore? Io sono la verità. Vuoi sfuggire alla morte? Io sono la vita. Questo ti dice il tuo Salvatore: Non hai dove andare se non vieni a me, e non c'è via per cui tu possa camminare se io non sono la tua via. Adesso dunque è in corso quest'ora, è in corso sicuramente questo avvenimento che non cessa di compiersi. Risorgono quelli che erano morti e passano alla vita. Ricevono la vita alla voce del Figlio di Dio, e di lui vivono se perseverano nella sua fede. Il Figlio, infatti, possiede la vita ed è in grado di comunicarla ai credenti.


9. In che senso egli ha la vita? Ha la vita così come l'ha il Padre. Ascolta ciò che egli dice: Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv 5, 26). Fratelli, cerco di spiegarvelo come posso. Queste, infatti, son parole che turbano il nostro piccolo intelletto. Perché ha aggiunto in se stesso? Non era sufficiente dire: Come il Padre ha la vita, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita? Ha aggiunto: in se stesso: cioè come il Padre ha la vita in se stesso così anche il Figlio ha la vita in se stesso. Dicendo in se stesso, ha voluto inculcarci qualcosa. Il segreto è racchiuso in questa espressione. Bussiamo perché egli ci apra. Signore, che cosa hai voluto dire? Perché hai aggiunto in se stesso? Forse l'apostolo Paolo, che tu hai fatto vivere, non aveva la vita? Sì, l'aveva. E gli uomini che erano morti e risuscitano e, credendo alla tua parola, passano dalla morte alla vita, una volta compiuto il passaggio, non avranno anch'essi in te la vita? Sì, l'avranno, perché io stesso poc'anzi ho detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Gv 5, 24). Dunque, coloro che credono in te hanno la vita, ma di proposito non hai detto che ce l'hanno in se stessi. Parlando invece del Padre, tu dici: Come il Padre ha la vita in se stesso, e subito riferendoti a te: così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso. Ha concesso al Figlio di avere la vita come ce l'ha lui. Come ce l'ha il Padre? In se stesso. E al Figlio come ha concesso di averla? In se stesso.Paolo, invece, come ce l'aveva? Non in se stesso, ma nel Cristo. E tu, fedele, come hai la vita? Non in te stesso, ma nel Cristo. Vediamo se questo dice l'Apostolo: Vivo, non già io, ma vive in me Cristo (Gal 2, 20). La vita nostra, in quanto nostra, in quanto cioè dipende dalla nostra propria volontà, non può essere che cattiva, peccaminosa e iniqua; la vita degna, invece, è in noi ma proviene da Dio, non da noi. E' da Dio che deriva questo dono, non da noi. Cristo ha la vita in se stesso, come il Padre, perché è il Verbo di Dio. Egli non vive ora bene, ora male; l'uomo, invece, prima vive male, poi bene. Chi vive male, vive di suo; chi vive bene, è perché è passato alla vita di Cristo. Se sei diventato partecipe della vita, vuol dire che non eri ciò che hai poi ricevuto, anche se, per poter ricevere, esistevi. Il Figlio di Dio non è esistito un tempo senza vita, da ricevere la vita in un secondo tempo; perché, se avesse avuto la vita in questo modo, non l'avrebbe in se stesso. Che significa, dunque, in se stesso? Significa che egli è la vita stessa.


[Cristo luce inestinguibile.]


10. Cercherò di esprimermi in maniera ancora più semplice. Uno, ad esempio, accende la lucerna. La fiamma che splende nella lucerna, quel fuoco, ha la luce in se stesso. I tuoi occhi, invece, che, prima di accendere la lucerna, erano al buio e non vedevano nulla, adesso anch'essi hanno la luce, ma non in se stessi. Perciò, se si distolgono dalla lucerna, ricadono nelle tenebre; se nuovamente si volgono verso di essa, tornano ad essere illuminati. Quel fuoco, però, manda la luce finché dura: se gli vuoi sottrarre la luce, lo spegni, perché senza luce non può esistere. Ma Cristo è luce inestinguibile e coeterna al Padre: sempre arde, sempre splende, sempre riscalda. Se non riscaldasse, come potremmo cantare col salmo: Non c'è chi possa sottrarsi al suo calore? (Sal 18, 7). Tu, invece, nel peccato eri gelido; voltati e avvicinati a lui, se vuoi riscaldarti; se ti allontani, ridiventi freddo. Nel tuo peccato eri tenebroso, volgiti verso di lui se vuoi essere illuminato; ma se volti le spalle alla luce, ricadrai nell'oscurità. Pertanto, siccome in te eri tenebra, illuminato non diventerai luce, anche se sarai nella luce. Dice infatti l'Apostolo: Foste un tempo tenebre, adesso invece siete luce nel Signore (Ef 5, 8). Dopo aver detto adesso siete luce, aggiunge nel Signore. In te dunque eri tenebra, nel Signore sei luce. Perché sei luce? Sei luce in quanto partecipi della sua luce. E se ti allontani dalla luce che t'illumina, ricadi nelle tue tenebre. Non è così di Cristo, non è così del Verbo di Dio. Perché? Perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso, cosicché la sua non è una vita partecipata nel tempo ma una vita immutabile; anzi egli stesso è vita. Così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso. Come ce l'ha il Padre, così ha dato al Figlio di averla. Con quale differenza? Con la differenza che il Padre l'ha data e il Figlio l'ha ricevuta. Ma che forse esisteva già il Figlio, quando l'ha ricevuta? E' però ammissibile che Cristo sia stato un tempo senza luce, lui che è la sapienza del Padre, e del quale è detto: è lo splendore della luce eterna (Sap 7, 26)? Dire quindi ha dato al Figlio è come dire: ha generato il Figlio; generandolo, infatti, gli ha dato la vita. Come gli ha dato l'essere, così gli ha dato di essere vita, e precisamente di essere vita in se stesso. Che significa essere vita in se stesso? Che egli non ha bisogno di avere la vita da nessun altro, ma è egli stesso la pienezza della vita, da cui tutti i credenti, purché vivano, ricevono la vita. Ha dato a lui di avere la vita in se stesso: ha dato a lui, in quanto egli è il suo Verbo, in quanto in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio.


11. Essendosi poi il Verbo fatto uomo, cosa gli ha dato il Padre? Gli ha dato il potere di giudicare, perché è figlio d'uomo. In quanto è Figlio di Dio, gli ha dato di avere la vita in se stesso così come il Padre ha la vita in sé (Gv 5, 27 26); e in quanto è figlio dell'uomo, gli ha dato il potere di giudicare. Questo è quanto ho esposto ieri alla vostra Carità: che nel giudizio è l'uomo che si vedrà, e Dio non si vedrà mentre, dopo il giudizio, Dio potrà esser visto da coloro che avranno superato il giudizio, ma non potrà mai essere visto dagli empi. E siccome nel giudizio si vedrà Cristo-uomo in quella medesima forma che aveva quando salì al cielo, perciò il Signore aveva detto prima: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 22). Questo medesimo concetto riprende poi dicendo: Gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio d'uomo. Sembra con queste parole voler rispondere a te che chiedi: Perché gli ha dato il potere di giudicare? quando mai è stato senza questo potere? non aveva forse il potere di giudicare quando in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? e non aveva il potere di giudicare quando per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose (Gv 1, 1 3)? Ma io dico: gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo, nel senso che il Figlio ha ricevuto tale potere perché Figlio dell'uomo.Infatti, come Figlio di Dio ha sempre avuto tale potere. Ha ricevuto quel potere colui che fu crocifisso. Colui che accettò la morte ricevette la vita. Il Verbo di Dio non conobbe mai la morte, fu sempre in possesso della vita.


[Fede senza riserve.]


12. Qualcuno di noi, a proposito della risurrezione, potrebbe dire: Ecco, noi siamo già risorti; chi ascolta Cristo, chi crede, passa dalla morte alla vita e non incorre nel giudizio; viene l'ora, anzi è già venuta, in cui chi ascolta la voce del Figlio di Dio, vivrà; era morto, ha ascoltato, ed ecco che risorge; che senso ha parlare di un'altra risurrezione? Abbi riguardo per te, non essere precipitoso in una affermazione di cui poi tu debba pentirti. Esiste certamente questa risurrezione che avviene ora: gli infedeli erano morti, ed erano morti anche gli iniqui, ed ora vivono, in quanto giusti, e passano dalla morte dell'infedeltà alla vita della fede. Ma non pensare che non ci sarà in seguito anche la risurrezione del corpo; devi credere che ci sarà altresì la risurrezione del corpo. Ascolta quanto dice il Signore dopo aver parlato di questa risurrezione che avviene mediante la fede, e lo dice appunto perché nessuno, pensando che esista soltanto questa, abbia a cadere nella disperazione e nell'errore di coloro che pervertono i sentimenti altrui affermando che la risurrezione è già avvenuta, e dei quali l'Apostolo dice che pervertono la fede di alcuni (2 Tim 2, 18). Credo che il loro ragionamento sia presso a poco questo: Ecco, il Signore ha detto: Chi crede in me, passa dalla morte alla vita; quindi la risurrezione dei fedeli che prima erano infedeli, è un fatto che già si compie; che senso ha, allora, parlare di un'altra risurrezione? Rendiamo grazie al Signore Dio nostro, che sostiene i vacillanti, guida gli esitanti e conferma i dubbiosi. Ascolta le parole che seguono, perché non c'è motivo di avvolgerti in una caligine di morte. Se è vero che hai creduto, credi tutto. Che cos'è, mi domandi, questo tutto che devo credere? Ascolta: Non vi meravigliate di ciò, cioè non vi meravigliate che il Padre abbia dato al Figlio il potere di giudicare. Ma questo - ci dice - avverrà alla fine del mondo. In che senso alla fine del mondo? Ascolta: Non vi meravigliate di ciò; perché viene l'ora. Qui non dice: ed è questa. Parlando della risurrezione mediante la fede, che ha detto? Viene l'ora, ed è questa (Gv 5, 28 25). Invece, parlando di quest'altra risurrezione dei corpi, dice: Viene l'ora, senza aggiungere ed è questa, perché sarà alla fine del mondo.


13. E come mi dimostri, domandi tu, che il Signore parla di questa risurrezione futura? Se ascolti con un po' di pazienza, tu stesso potrai averne la dimostrazione. Proseguiamo, dunque: Non vi meravigliate di ciò; perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri ... (Gv 5, 28). Quale prova più evidente che si tratta della risurrezione dei morti? Finora non aveva parlato di quelli che sono nei sepolcri; aveva detto: i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che avranno ascoltato vivranno (Gv 5, 25). Non dice che gli uni vivranno e gli altri saranno dannati, perché tutti quelli che credono vivranno. Di quelli che giacciono nei sepolcri, invece, che cosa dice? Tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno. Non dice che udranno e vivranno; poiché se vissero male e giacciono nei sepolcri, risorgeranno per la morte e non per la vita. Vediamo dunque chi sono quelli che usciranno dai sepolcri. Quando, dianzi, si diceva che i morti, ascoltando e credendo, vivranno, non si è fatta alcuna distinzione. Allora non è stato detto che i morti udranno la voce del Figlio di Dio e che, dopo averla udita, alcuni vivranno e altri saranno condannati, ma chetutti quelli che l'avranno ascoltata, vivranno; poiché vivranno solo quelli che credono, vivranno solo quelli che possiedono la carità, e nessuno di essi perirà. Riferendosi, invece, a quelli che sono nei sepolcri, dice che udranno la sua voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Gv 5, 29). Qui giudizio sta ad indicare quella condanna di cui in precedenza aveva parlato: Chi crede in me è passato dalla morte alla vita, e non incorre nel giudizio (Gv 5, 24).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/02/2015 11:22
 
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OMELIA 23


Voi non volete venire a me per avere la vita.


Nel Cristo, Dio fatto uomo, troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi, la sua condiscendenza ci prende per mano, la sua divinità ci fa giungere alla meta.


[Scavare in profondità.]


1. In un passo del Vangelo il Signore dice che il saggio uditore della sua parola deve rassomigliare all'uomo che, volendo costruire, scava in profondità fino ad arrivare al fondamento stabile della roccia, e sopra di essa innalza la sua costruzione al sicuro dell'impeto della corrente del fiume. E così quando questo sopraggiunge con tutta la sua violenza, s'infrange contro la solidità di quella casa, anziché ridurla in rovine (cf. Mt 7, 24-25). La sacra Scrittura è da considerare come un campo in cui noi vogliamo costruire. Non dobbiamo essere pigri né superficiali. Scaviamo in profondità, fino ad arrivare alla pietra. E la pietra era Cristo (1 Cor 10, 4).


2. La lezione di oggi ci riferisce come il Signore attesti di non aver bisogno della testimonianza degli uomini, perché ne ha una superiore alla loro. Ed ecco la natura di questa testimonianza: Le opere che io faccio mi rendono testimonianza; e aggiunge: E mi rende testimonianza il Padre che mi ha mandato (Gv 5, 36-37). Egli afferma di aver ricevuto dal Padre le opere stesse che egli compie. Gli rendono testimonianza le opere, gli rende testimonianza il Padre. E Giovanni, allora, non gli ha reso alcuna testimonianza? Certo che gliel'ha resa, ma come una lucerna; e non per confortare gli amici, ma per confondere i nemici. Già il Padre aveva predetto: Ho preparato una lucerna al mio Consacrato: riempirò di confusione i suoi nemici; sopra di lui, invece, rifulgerà la mia santità (Sal 131, 17-18). Immaginati di essere di notte e di veder risplendere una lucerna, di guardarla e di esultare alla sua luce. Ma la lucerna ti dice che esiste il sole, che è quello in cui tu devi esultare: e, benché arda nella notte, ti comanda di vivere nell'attesa del giorno. Non si può dire, dunque, che non fosse necessaria la testimonianza di quell'uomo. A quale scopo sarebbe stato mandato, se non fosse stato necessario? Ma affinché l'uomo non si accontentasse della lucerna, illudendosi che gli bastasse quella luce, il Signore non disse che la lucerna fosse inutile, ma neppure che ci si poteva fermare ad essa. La Sacra Scrittura ci offre un'altra testimonianza. In essa è certamente Dio che rende testimonianza a suo Figlio; e in quella Scrittura che è la Legge di Dio, donata loro per il ministero di Mosè servitore di Dio, i Giudei avevano riposto la loro speranza. Ma il Signore dice: Scrutate le Scritture, nelle quali pensate di avere la vita eterna; esse stesse mi rendono testimonianza; eppure, voi non volete venire a me per avere la vita (Gv 5, 39-40). Pensate di trovare nella Scrittura la vita eterna? Ebbene, interrogatela per sapere a chi rende testimonianza, e vedrete che cosa è la vita eterna. E poiché, in nome di Mosè volevano ripudiare Cristo come avversario delle istituzioni e dei precetti di Mosè, nuovamente li convince di errore, servendosi di un'altra lucerna.


3. Tutti gli uomini, in effetti, sono come delle lucerne, che si possono accendere e spegnere. Le lucerne, quando sono piene di sapienza, risplendono e sono spiritualmente fervide; mentre, quando si spengono, mandano cattivo odore. I servi di Dio si conservarono lucerne ardenti in virtù dell'olio della sua misericordia, non in virtù delle loro forze. Sì, perché è la grazia gratuita di Dio l'olio delle lucerne. Più di tutti loro io ho lavorato, afferma una famosa lucerna; e affinché non si credesse che egli ardeva per risorse proprie, ha aggiunto: Non già io, ma la grazia di Dio con me (1 Cor 15, 10). Tutte le profezie che precedono l'avvento del Signore, sono una lucerna; di essa l'apostolo Pietro dice: Abbiamo meglio confermata la parola profetica, alla quale fate bene a volgere lo sguardo, come a lucerna che brilla in luogo buio, finché non spunti il giorno, e si levi la stella del mattino nei vostri cuori (2 Pt 1, 19). I profeti sono lucerne, e tutte le profezie nel loro insieme sono come una grande lucerna. E cosa sono gli Apostoli? Non sono lucerne anch'essi? Certamente. Solo il Cristo non è una lucerna: egli non si accende né si spegne; perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv 5, 26). Anche gli Apostoli quindi sono lucerne: ed essi rendono grazie perché vengono accesi con la luce della verità, ardono in virtù dello Spirito di carità, li alimenta l'olio della grazia di Dio. Se non fossero lucerne, di essi non direbbe il Signore: Voi siete la luce del mondo. E dopo aver detto loro: Voi siete la luce del mondo, li avverte che non devono considerarsi luce, come è quella di cui si dice: Era la vera luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo(Gv 1, 9). E' proprio questo che l'evangelista afferma del Signore per distinguerlo da Giovanni Battista. Di Giovanni infatti egli aveva detto: Non era lui la luce, ma veniva per rendere testimonianza alla luce (Gv 1, 8). Tu potresti chiederti: perché non era la luce colui del quale Cristo afferma che era una lucerna (Gv 5, 35)? Non era luce, in confronto all'altra luce. C'era la vera luce - dice l'evangelista - che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Così, avendo detto ai discepoli: Voi siete la luce del mondo, affinché non si arrogassero in alcun modo ciò che è proprio di Cristo, e affinché il vento della superbia non spegnesse la loro fiammella, il Signore subito ha aggiunto: Una città non può star nascosta se è situata su di un monte; né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, perché risplenda per tutti quelli che sono in casa. E perché non disse che gli Apostoli erano lucerne, ma disse che erano come coloro che accendono la lucerna che deve essere collocata sul candelabro? Ascolta come li abbia definiti anche lucerne: Similmente risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché, vedendo le vostre buone opere, glorifichino - non voi, ma - il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 14-16).


[E' Dio che rende beata l'anima.]


4. Mosè ha reso testimonianza a Cristo, e testimonianza a Cristo hanno reso Giovanni Battista, e tutti i profeti e gli Apostoli. Ma al di sopra di tutte queste testimonianze, Cristo pone la testimonianza delle sue opere. Gli è che per mezzo di quelli era sempre Dio che rendeva testimonianza a suo Figlio. Ma ora in un altro modo Dio rende testimonianza al Figlio: è per mezzo del suo stesso Figlio che Dio rivela il Figlio, anzi, per mezzo del Figlio rivela se stesso. Se l'uomo riuscirà ad arrivare a lui, non avrà più bisogno di lucerne e, scavando davvero in profondità, avrà finalmente costruito l'edificio sulla roccia viva.


5. Come vedete, fratelli, la lezione di oggi non presenta difficoltà; ma c'è da pagare il debito di ieri. So infatti di aver soltanto differito il debito contratto ieri, e il Signore si è degnato di offrirmi oggi l'occasione di pagarlo. Richiamate dunque alla memoria ciò che dovete chiedere a Dio, se vogliamo in qualche modo, col dovuto rispetto e con umiltà salutare, elevarci non contro Dio, ma verso Dio. Eleviamo a lui l'anima nostra, effondendola sopra di noi, come nel salmo faceva colui al quale si chiedeva Dov'è il tuo DioHo meditato - egli dice - queste cose, ed ho effuso sopra di me l'anima mia (Sal 41, 4-5). Eleviamo, dunque, l'anima non contro Dio, ma a Dio, come dice un altro salmo: A te, o Signore, ho elevato l'anima mia (Sal 24, 1). Ed eleviamola col suo aiuto; poiché l'anima nostra è pesante. Perché è pesante? Perché il corpo che si corrompe, appesantisce l'anima, e la dimora terrena opprime la mente presa da molti pensieri (cf. Sap 9, 15). Forse potremmo riuscire a raccogliere il nostro spirito dal molteplice all'uno, e riportarlo all'unità sottraendolo alla dispersione (il che è impossibile, già l'ho detto, se non ci aiuta colui il quale vuole che eleviamo a lui l'anima nostra); e così forse comprenderemo, almeno in parte, come il Verbo di Dio, l'Unigenito del Padre, insieme con lui eterno e a lui uguale, non possa fare se non ciò che ha visto fare al Padre, mentre lo stesso Padre non fa niente senza il Figlio che vede quanto egli fa. Mi sembra che in questo passo il Signore Gesù abbia voluto suggerire qualcosa di grande a quanti impegnano la loro attenzione, comunicare qualcosa di grande a quanti ne sono capaci, e gli incapaci stimolare alla ricerca affinché, vedendo che non lo comprendono, se ne rendano capaci mediante una vita degna. Ci ha voluto suggerire che l'anima e la mente razionale, di cui l'uomo, a differenza del bruto, è dotato, non può ricevere la vita, la felicità e la luce, se non dall'essenza stessa di Dio. L'anima agisce per mezzo del corpo e nel corpo, tenendolo a sé soggetto; e per mezzo delle cose corporali i sensi possono ricevere piacevoli o sgradevoli impressioni, e per questo, cioè per la coesistenza e unione stretta che esiste in questa vita tra il corpo e l'anima, l'anima riceve diletto o tristezza secondo che le impressioni dei sensi sono piacevoli o sgradevoli. Tuttavia la beatitudine, che può rendere beata l'anima stessa, non si realizza se non mediante la partecipazione a quella vita sempre viva, a quella sostanza immutabile ed eterna che è Dio. E così come l'anima, che è inferiore a Dio, comunica la vita a ciò che è inferiore ad essa, cioè al corpo, così non può, l'anima, ricevere la vita che la rende felice, se non da ciò che è superiore all'anima stessa. L'anima è superiore al corpo, e Dio è superiore all'anima. L'anima arricchisce ciò che è inferiore e riceve da chi le è superiore. Si ponga al servizio del suo Signore, se non vuol essere calpestata dal suo servo. In ciò consiste, o miei fratelli, la religione cristiana, che viene predicata in tutto il mondo suscitando la reazione degli avversari, i quali protestano quando sono vinti e infieriscono quando prevalgono. Questa è la religione cristiana, che consiste nel rendere onore ad un solo Dio, non a molti dèi. Non c'è che un solo Dio che può rendere beata l'anima. Essa diventa beata partecipando alla vita di Dio. Non diventa beata, l'anima debole, partecipando alla vita di un'anima santa; né diventa beata, l'anima santa, partecipando alla vita dell'angelo; ma se l'anima debole cerca la beatitudine, la cerchi laddove ha trovato la sua beatitudine l'anima santa. Tu non troverai la beatitudine nell'angelo, ma dove la trova l'angelo, lì la troverai anche tu.


[Resurrezione dell'anima e del corpo.]


6. Ciò premesso e assodato: che l'anima razionale non può trovare la sua felicità se non in Dio, che il corpo non può vivere se non mediante l'anima, e che questa è come qualcosa d'intermedio tra Dio e il corpo; prestate attenzione e ricordate con me, non la lezione di oggi su cui ci siamo fermati abbastanza, ma quella di ieri che stiamo meditando e commentando ormai da tre giorni, scavando con tutte le nostre forze per arrivare fino alla roccia viva. Cristo è il Verbo; Cristo è il Verbo di Dio presso Dio; Cristo è il Verbo, e il Verbo è Dio. Cristo, Dio e il Verbo non sono che un solo Dio. A lui rivolgi lo sguardo, o anima, lasciando da parte e anche trascendendo tutto il resto; verso questa meta dirigi i tuoi passi. Non c'è creatura più potente di questa, non c'è creatura più sublime di questa, che si chiama anima razionale; al di sopra di essa non c'è che il Creatore. Dicevo, dunque, che Cristo è il Verbo, che è il Verbo di Dio, che è Dio; ma Cristo non è soltanto il Verbo, perché il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi(Gv 1, 14). Cristo quindi è il Verbo ed è carne; poiché Lui, di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari a Dio. Che sarebbe stato di noi, quaggiù nell'abisso, deboli e attaccati alla terra e perciò nell'impossibilità di raggiungere Dio? Potevamo essere abbandonati a noi stessi? No assolutamente. Egli annientò se stesso prendendo la forma di servo (Fil 2, 6-7); senza, però, abbandonare la forma di Dio. Si fece dunque uomo colui che era Dio, assumendo ciò che non era senza perdere ciò che era; così Dio si fece uomo. Da una parte qui trovi il soccorso alla tua debolezza, dall'altra qui trovi quanto ti occorre per raggiungere la perfezione. Ti sollevi Cristo in virtù della sua umanità, ti guidi in virtù della sua umana divinità, ti conduca alla sua divinità. Tutta la predicazione cristiana, o fratelli, e l'economia della salvezza incentrata nel Cristo, si riassumono in questo e non in altro: nella risurrezione delle anime e nella risurrezione dei corpi. Ambedue erano morti: il corpo a causa della debolezza, l'anima a causa dell'iniquità; ambedue erano morti ed era necessario che ambedue, l'anima e il corpo, risorgessero. In virtù di chi risorge l'anima, se non in virtù di Cristo Dio? In virtù di chi risorge il corpo, se non in virtù di Cristo uomo? Anche il Cristo possedeva l'anima umana, tutta l'anima umana; non soltanto la parte irrazionale, ma anche quella razionale che si chiama mente. Ci sono stati certi eretici, espulsi dalla Chiesa, i quali ritenevano che il corpo di Cristo non possedesse l'anima razionale, ma un'anima presso a poco come quella dei bruti; sì, perché se si toglie l'anima razionale, non rimane altra vita che quella dei bruti. Essi sono stati espulsi, e con ragione sono stati espulsi. Accetta, dunque, il Cristo tutto intero: Verbo, anima razionale e carne. Questo è il Cristo nella sua totalità. Risorga la tua anima dall'iniquità in virtù della sua divinità e risorga il tuo corpo dalla corruzione in virtù della sua umanità. Pertanto, o carissimi, non vi sfugga la profondità di questa pagina, che a me pare piuttosto notevole, e osservate che qui in sostanza il Cristo parla dello scopo della sua venuta, che è precisamente la risurrezione dell'anima dall'iniquità e la risurrezione dei corpi dalla corruzione. Vi ho già detto che le anime risorgono in virtù della sostanza stessa di Dio, e i corpi risorgono in virtù dell'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo.


7. In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre; poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Gv 5, 19). Il cielo, la terra, il mare; le cose che sono in cielo, sulla terra, nel mare; le cose visibili e le invisibili, gli animali della terra, gli alberi fruttiferi dei campi; ciò che nuota nell'acqua e vola nell'aria e brilla in cielo; inoltre gli Angeli, le Virtù, i Troni, le Dominazioni, i Principati e le Potestà, tutto è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 3). Forse che Dio ha fatto tutto questo, e, dopo averlo fatto, lo ha mostrato al Figlio perché il Figlio facesse un altro mondo pieno di tutte queste cose? Certamente no. E allora? Ciò che fa il Padre, le stesse cose - le stesse cose non altre - fa anche il Figlio - e non le fa in altra maniera, ma - nel medesimo modo. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Gv 5, 19-20). Il Padre mostra al Figlio come si risuscitano le anime; perché vengono risuscitate per mezzo del Padre e del Figlio, e non possono vivere, le anime, se non di Dio che è la loro vita. Ora, dato che le anime non possono vivere se Dio non è la loro vita, allo stesso modo che esse sono la vita dei corpi; ciò che il Padre mostra al Figlio, cioè quanto egli fa, lo fa per mezzo del Figlio. Poiché non mostra al Figlio facendo, ma mostrando fa per mezzo del Figlio. Il Figlio infatti vede il Padre che gli mostra quanto fa prima ancora di farlo, e da questo mostrare del Padre e vedere del Figlio si ha come risultato l'opera del Padre compiuta per mezzo del Figlio. In questo modo vengono risuscitate le anime, se riescono a vedere questa unità perfetta del Padre che mostra e del Figlio che vede; e così, per opera del Padre che mostra e del Figlio che vede, si compie la creazione. E questo che si compie per opera del Padre che mostra e del Figlio che vede, non è il Padre né il Figlio, poiché tutto ciò che compie il Padre per mezzo del Figlio è inferiore al Padre e al Figlio. Chi può comprendere ciò?






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/02/2015 11:25
 
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OMELIA 24


La moltiplicazione dei pani.


Bisogna saper capire il linguaggio dei miracoli. Essendo Cristo il Verbo di Dio, ogni suo gesto è una parola. Non dobbiamo fermarci ad ammirare la potenza di questo miracolo, dobbiamo esplorarne la profondità. Possiede dentro qualcosa che suscita esteriormente la nostra ammirazione.


[La fede eleva e purifica.]


1. I miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, sono opere divine, che sollecitano la mente umana a raggiungere Dio attraverso le cose visibili. Siccome Dio non è una realtà che si possa vedere con gli occhi, e siccome i suoi miracoli, con i quali regge il mondo intero e provvede ad ogni creatura, per la loro frequenza finiscono per passare inosservati, al punto che quasi nessuno si accorge dell'opera di Dio che anche nel più piccolo seme appare mirabile e stupenda; Dio si è riservato, nella sua misericordiosa bontà, di compiere a tempo opportuno talune opere fuori del normale corso degli avvenimenti naturali, affinché, quanti hanno fatto l'abitudine alle cose di tutti i giorni, rimanessero impressionati, vedendo, non opere maggiori, ma insolite. Governare il mondo intero, infatti, è un miracolo più grande che saziare cinquemila persone con cinque pani (cf. Gv 6, 5-13). Tuttavia, di quel fatto nessuno si stupisce, di questo gli uomini si stupiscono, non perché sia più grande, ma perché è raro. Chi, infatti, anche adesso nutre il mondo intero, se non colui che con pochi grani crea le messi? Cristo operò, quindi, come Dio. Allo stesso modo, infatti, che con pochi grani moltiplica le messi, così nelle sue mani ha moltiplicato i cinque pani. La potenza era nelle mani di Cristo; e quei cinque pani erano come semi, non affidati alla terra, ma moltiplicati da colui che ha fatto la terra. E' stato dunque offerto ai sensi tanto di che elevare lo spirito, è stato offerto agli occhi tanto di che impegnare l'intelligenza, affinché fossimo presi da ammirazione, attraverso le opere visibili, per l'invisibile Iddio; ed elevati alla fede, e mediante la fede purificati, sentissimo il desiderio di vedere spiritualmente, con gli occhi della fede, l'invisibile, che già conosciamo attraverso le cose visibili.


2. E tuttavia non è sufficiente considerare questo aspetto nei miracoli di Cristo. Interroghiamo direttamente i miracoli, e sentiamo cosa ci dicono di Cristo. Essi possiedono, a intenderli bene, un loro linguaggio. Poiché, essendo Cristo il Verbo, cioè la Parola di Dio, ogni azione del Verbo è per noi una parola. Abbiamo udito la grandezza di questo miracolo, investighiamone la profondità. Non accontentiamoci di gustarlo superficialmente, penetriamone la profondità. Questo stesso che di fuori suscita la nostra ammirazione, contiene dentro qualcosa. Abbiamo visto, abbiamo ammirato qualcosa di grande, di sublime, di divino, che solo Dio può compiere; e, a motivo dell'opera, abbiamo innalzato lodi all'autore. Se ci accade di vedere in un codice lettere elegantemente composte, non ci limitiamo a lodare lo stile dello scrittore che le ha fatte così ordinate, uguali e belle, ma vogliamo anche attraverso la lettura intendere ciò che per mezzo di esse lo scrittore ha voluto dirci. La stessa cosa accade qui: coloro che ammirano questo fatto esteriormente, si dilettano della bellezza, ammirandone l'autore; chi, invece, l'intende è come se leggesse. Una pittura si guarda in modo diverso da uno scritto. Quando vedi una pittura, basta vedere per lodare; quando vedi uno scritto, non ti basta vedere, senti anche il bisogno di leggere. E, infatti, se vedi uno scritto che non sai leggere, tu dici: cosa c'è scritto qui? Dopo aver visto lo scritto, ti domandi che cosa c'è scritto. Colui al quale chiedi la spiegazione di ciò che hai visto, ti aiuterà a vedere qualche altra cosa che tu non hai visto. Egli ha occhi diversi dai tuoi, anche se tutti e due vedete il medesimo scritto. Gli è che non sapete ugualmente interpretare quei segni. Tu vedi e lodi l'autore; l'altro vede, loda, ma altresì legge e capisce. Sicché, dopo aver visto e lodato, cerchiamo ora di leggere e di capire.


3. Il Signore è salito su un monte. Il Signore in alto sul monte ci aiuta a capire meglio che il Verbo sta in alto. Ciò che è avvenuto sul monte, non è quindi cosa di poco conto né trascurabile, ma va attentamente considerata. Egli ha visto le turbe, si è accorto che avevano fame e misericordiosamente le ha nutrite, non solo con bontà, ma altresì con potenza. Che avrebbe giovato, infatti, la sola bontà, quando occorreva il pane con cui nutrire quella folla affamata? Se alla bontà non si fosse associata la potenza, quella folla sarebbe rimasta digiuna e affamata. Sì, perché anche i discepoli che si trovavano col Signore in mezzo alla folla che aveva fame, anch'essi volevano nutrirla affinché non venisse meno, ma non sapevano come. Il Signore chiese dove si sarebbero potuti comprare dei pani per nutrire le turbe. E la Scrittura osserva: Però diceva ciò per metterlo alla prova, cioè per mettere alla prova il discepolo Filippo a cui aveva rivolto la domanda Perché egli sapeva che cosa stava per fare (Gv 6, 6). Perché lo metteva alla prova, se non per far vedere l'ignoranza del discepolo? E ciò non senza un significato. Il significato si vedrà quando comincerà a rivelarci il mistero dei cinque pani; allora vedremo perché il Signore in questa circostanza ha voluto dimostrare l'ignoranza del discepolo, chiedendo ciò che egli sapeva già. A volte si chiede ciò che non si sa, con l'intenzione di ascoltare per imparare; altre volte, invece, si chiede ciò che si sa, con l'intenzione di sapere se lo sa quello cui rivolgiamo la domanda. Il Signore sapeva l'una e l'altra cosa: sapeva ciò che chiedeva, in quanto sapeva ciò che stava per fare, e sapeva che Filippo era ignaro. Perché allora gli ha rivolto la domanda, se non per far vedere la sua ignoranza? Vedremo poi, come ho detto, perché ha fatto questo.


4. Andrea dice: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci, ma cos'è mai questo per tanta gente? Dopo che Filippo, interpellato, aveva risposto che non sarebbero bastati duecento denari di pane, per rifocillare una così grande folla, si è scoperto che c'era un ragazzo con cinque pani d'orzo e due pesci. Disse Gesù: Fateli sedere. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero, dunque, gli uomini, in numero di quasi cinquemila. Gesù allora prese i pani e, rese grazie, ordinò che i pani fossero spezzati e messi davanti alla gente seduta. Non erano più cinque pani, ma quanti ne aveva aggiunti il Signore che li aveva moltiplicati. E altrettanto fece coi pesci, finché ne vollero. Non soltanto quella folla fu saziata, ma avanzarono dei frammenti, che ordinò fossero raccolti perché non andassero perduti. E con i frammenti riempirono dodici ceste (Gv 6, 8-13).


[I cinque pani e i cinque libri di Mosè.]


5. Diremo brevemente, perché dobbiamo correre. I cinque pani significano i cinque libri di Mosè. Giustamente essi non sono di frumento, ma di orzo, perché appartengono al Vecchio Testamento. Ora, voi sapete che l'orzo è fatto in modo che con fatica si arriva al midollo, poiché il midollo è ricoperto da un involucro di paglia così tenace e aderente che si fa fatica a toglierlo. Così è la lettera del Vecchio Testamento: è avvolta nell'involucro di significati materiali. Però se si arriva al midollo, nutre e sazia. Un ragazzo portava cinque pani e due pesci. Vogliamo domandarci chi era questo ragazzo? Probabilmente era il popolo d'Israele, il quale portava i pani come un bambino, senza mangiarli. Le cose che portava, chiuse erano un peso, e solo se scoperte nutrivano. I due pesci, poi, mi sembra vogliano significare quei due sublimi personaggi del Vecchio Testamento, che venivano unti per santificare e reggere il popolo: cioè il sacerdote e il re. Finché avvolto nel mistero, venne colui che era stato simboleggiato da quei due personaggi; venne finalmente colui che era adombrato nel midollo dell'orzo e che si nascondeva sotto la paglia di questo. Egli venne per riunire e realizzare nella sua persona le due figure, quella del sacerdote e quella del re: del sacerdote in quanto egli offrì se stesso come vittima per noi a Dio, del re in quanto egli stesso ci regge. E così ci vengono svelati i misteri che erano tenuti nascosti. Siano rese grazie a colui, che in se stesso realizzò le promesse del Vecchio Testamento. Ordinò che si spezzassero i pani; mentre questi venivano spezzati, si moltiplicarono. Niente di più vero. Quanti libri infatti vengono fuori da quei cinque libri di Mosè quando, come se si spezzassero, vengono esposti e spiegati! L'involucro dell'orzo era simbolo dell'ignoranza che avvolgeva il primo popolo. Di quel popolo è detto: Quando leggono Mosè, un velo ricopre il loro cuore (2 Cor 3, 15)Il velo ancora non era stato tolto, perché ancora non era venuto Cristo: e ancora non era stato squarciato il velo del tempio, come lo fu al momento della crocifissione. Poiché dunque il popolo sotto la legge era nell'ignoranza, il Signore volle mostrare l'ignoranza del suo discepolo, mettendolo alla prova.


[Il midollo dell'orzo.]


6. Niente è privo di significato, in ogni cosa c'è un riferimento; basta, però, saperlo cogliere. Così il numero delle persone che furono saziate, simboleggiava il popolo che viveva sotto il dominio della legge. Erano cinquemila, proprio perché simboleggiavano coloro che stavano sotto la legge, che si articola nei cinque libri di Mosè. Per la stessa ragione gli infermi che giacevano sotto quei cinque portici, non riuscivano a guarire. Ebbene, colui che guarì il paralitico (Gv 5, 2-9) è il medesimo che qui nutre la folla con cinque pani. Il fatto che essi fossero distesi sull'erba (Gv 6, 10), dice che possedevano una sapienza carnale e in essa riposavano. Infatti tutta la carne è erba (cf. Is 40, 6)Che significano poi i frammenti, se non ciò che il popolo non poté mangiare? Ci sono segreti profondi che la massa non può comprendere. Che resta da fare, allora, se non affidare questi segreti a coloro che sono capaci d'insegnarli agli altri, come erano gli Apostoli? Ecco perché furono riempite dodici ceste. Questo fatto è mirabile per la sua grandezza, utile per il suo carattere spirituale. Quelli che erano presenti si entusiasmarono, e noi, al sentirne parlare, rimaniamo freddi. E' stato compiuto affinché quelli lo vedessero, ed è stato scritto affinché noi lo ascoltassimo. Ciò che essi poterono vedere con gli occhi, noi possiamo vederlo con la fede. Noi contempliamo spiritualmente ciò che non abbiamo potuto vedere con gli occhi. Noi ci troviamo in vantaggio rispetto a loro, perché per noi è stato detto: Beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 29). Aggiungo che forse a noi è concesso di capire ciò che quella folla non riuscì a capire. Ci siamo così veramente saziati, in quanto siamo riusciti ad arrivare al midollo dell'orzo.


[Il verbo di Dio profeta.]


7. In conclusione, come reagì la gente di fronte al miracolo? Quella gente, vedendo il miracolo che Gesù aveva fatto, diceva: Questo è davvero il profeta (Gv 6, 14).Probabilmente ritenevano che Cristo fosse un profeta, perché ancora stavano seduti sull'erba. Ma egli era il Signore dei profeti, l'ispiratore e il santificatore dei profeti, e tuttavia un profeta, secondo quanto a Mosè era stato annunciato: Susciterò per loro un profeta simile a te (Dt 18, 18). Simile secondo la carne, superiore secondo la maestà. E che quella promessa del Signore si riferisse a Cristo, noi lo apprendiamo chiaramente dagli Atti degli Apostoli (cf. At 7, 37). Lo stesso Signore dice di se stesso: Un profeta non riceve onore nella sua patria (Gv 4, 44). Il Signore è profeta, il Signore è il Verbo di Dio e nessun profeta può profetare senza il Verbo di Dio; il Verbo di Dio profetizza per bocca dei profeti, ed è egli stesso profeta. I tempi che ci hanno preceduto hanno avuto profeti ispirati e ripieni del Verbo di Dio: noi abbiamo avuto come profeta il Verbo stesso di Dio. Cristo è profeta e Signore dei profeti, così come è angelo e Signore degli angeli. Egli stesso è detto angelo del grande consiglio (Is 9, 6 sec. LXX). E, del resto, che dice altrove il profeta? Non un inviato né un angelo, ma egli stesso verrà a salvarci (cf. Is 35, 4); cioè a salvarci non manderà un messaggero, non manderà un angelo, ma verrà egli stesso. Chi verrà? Verrà l'angelo stesso. Non per mezzo d'un angelo, ma per mezzo di lui che è angelo e anche il Signore degli angeli. Infatti, in latino angelo vuol dire messaggiero, araldo. Se Cristo non annunciasse nulla non sarebbe angelo, e così se non profetizzasse non sarebbe profeta. Egli ci sprona alla fede e alla conquista della vita eterna. Egli annuncia cose presenti e predice cose future. Egli è angelo perché annuncia cose presenti, è profeta perché predice le future. Egli è il Signore degli angeli e dei profeti, perché è il Verbo di Dio fatto carne.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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OMELIA 25


Sono disceso per fare la volontà di colui che mi ha mandato.


Cristo è venuto ad insegnarci l'umiltà, facendo non la sua volontà, ma la volontà di colui che lo ha mandato. Accostiamoci a lui, penetriamo in lui, incorporiamoci a lui, in modo da fare non la nostra volontà, ma la volontà di Dio. E così egli non ci caccerà fuori, perché siamo membra sue, perché egli ha voluto essere il nostro capo insegnandoci l'umiltà.


1. La lezione che oggi dobbiamo commentare è la continuazione della lezione evangelica di ieri. Compiuto il miracolo con cui Gesù nutrì cinquemila persone con cinque pani, le turbe si entusiasmarono e cominciarono a dire che quello era il grande profeta che doveva venire nel mondo. E l'evangelista così prosegue: Ma Gesù, saputo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo solo, sul monte (Gv 6, 15)Questo ci fa capire che il Signore, che stava seduto sul monte con i suoi discepoli, vedendo le turbe che venivano a lui era disceso dal monte e aveva nutrito le turbe giù in basso. Come avrebbe potuto, infatti, ritirarsi di nuovo sul monte se prima non ne fosse disceso? C'è un significato nel fatto che il Signore scese dal monte per nutrire le turbe. Le nutre e poi risale.


2. Ma perché si ritirò sul monte quando si accorse che lo volevano rapire per farlo re? E come? non era già re, lui che temeva di diventarlo? Sì, era re: ma non di quelli che vengono proclamati dagli uomini, bensì tale da elargire il regno agli uomini. Non ci suggerisce anche qui qualcosa Gesù, le cui azioni sono parole? Il fatto che volevano rapirlo per farlo re, e che, perciò, egli, tutto solo, si ritirò sul monte; questo fatto non ci dice nulla, non ci suggerisce nulla, non ha nessun significato per noi? Rapirlo, significava forse voler prevenire il tempo del suo regno? Egli non era venuto, per regnare subito: regnerà in futuro; ed è per questo che noi diciamo: Venga il tuo regno (Mt 6, 10). Certo, da sempre egli regna insieme con il Padre in quanto è Figlio di Dio, Verbo di Dio, Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Ma i profeti avevano predetto il suo regno anche in quanto è Cristo fattosi uomo, e in quanto ha dato ai suoi fedeli di essere cristiani. Ci sarà dunque un regno dei cristiani, che è in formazione, che ora si prepara, e viene acquistato dal sangue di Cristo. E un giorno avverrà la manifestazione del suo regno, allorché apparirà lo splendore dei suoi santi, dopo il giudizio che egli compirà: quel giudizio che, lo ha predetto egli stesso, sarà fatto dal Figlio dell'uomo (cf. Gv 5, 22). Di questo regno l'Apostolo dice: Quando consegnerà il regno a Dio Padre (1 Cor 15, 24). E il Signore stesso, riferendosi a questo regno, dice così: Venite, benedetti del Padre mio, a prender possesso del regno che è stato preparato per voi fin dall'inizio del mondo (Mt 25, 34). Ma i discepoli e le turbe che credevano in lui, pensarono che egli fosse già venuto per regnare. Volerlo rapire per farlo re, significava voler anticipare il suo tempo, che egli teneva nascosto, per manifestarlo al momento opportuno, e opportunamente proclamarlo alla fine del mondo.


3. Come vedete, volevano farlo re, cioè anticipare e inaugurare anzitempo la manifestazione del regno di Cristo, il quale prima doveva essere giudicato, e poi avrebbe giudicato. Quando fu crocifisso, anche quelli che avevano sperato in lui, perdettero la speranza nella sua risurrezione. Risorto da morte, ne trovò due che, sfiduciati, parlavano tra di loro, commentando con pena quanto era accaduto. Egli apparve ad essi come in incognito e, siccome i loro occhi erano come velati per poterlo riconoscere, s'introdusse nella loro conversazione. Essi, mettendolo a parte dei loro discorsi, dissero che quel profeta potente in opere e parole era stato ucciso dai capi dei sacerdoti. E noi - dissero - speravamo che egli fosse colui che deve liberare Israele (Lc 24, 21)la vostra speranza era fondata, la vostra speranza era autentica: in lui è la redenzione d'Israele. Ma perché tanta fretta? Voi volete rapirlo. Anche un altro passo ci indica questo significato. Quando i discepoli lo interrogarono sulla sorte finale del regno: E' questo il tempo e il momento in cui manifesterai il regno d'Israele? Avevano fretta, pretendevano che fosse già arrivato il momento. Era come volerlo rapire per farlo re. Ma egli rispose ai discepoli che per il momento egli solo ascendeva: Il Padre con la sua autorità ha stabilito tempi e momenti che non spetta a voi conoscere. L'importante per voi è che, con la discesa dello Spirito Santo, riceverete un potere divino e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in Giudea e Samaria e fino ai confini del mondo (At 1, 6-8).Voi volete già una dimostrazione del regno; prima però io devo raccoglierlo. Voi amate l'altezza e volete raggiungerla; ma dovete seguirmi per la strada dell'umiltà. E' in questo senso che era stato predetto: Ti circonderà l'assemblea dei popoli, e tu per essa ritorna in alto (Sal 7, 8); cioè, affinché ti circondi l'assemblea dei popoli, affinché tu possa raccogliere la moltitudine, ritorna in alto. E così fece: nutrì la moltitudine, e risalì in alto, sul monte.


4. Ma perché l'evangelista dice che fuggì? Infatti, se proprio non voleva, non l'avrebbero preso né l'avrebbero rapito; poiché se non voleva, neppure si sarebbe fatto riconoscere. Ora, affinché sappiate che questo è avvenuto non senza un motivo misterioso, non per una necessità, ma secondo una disposizione piena di significato, lo vedrete adesso in quel che segue; giacché apparve a quelle medesime turbe che lo cercavano, e, intrattenendosi con esse, trattò a lungo del pane celeste. Non trattò forse del pane celeste con quelle medesime turbe, alle quali si era sottratto per non essere rapito? Non poteva allora impedire che lo prendessero, come fece poi quando parlava con loro? Aveva, dunque, un significato la sua fuga. Che vuol dire: fuggì? Vuol dire: non poteva essere capita la sua altezza. Quando non capisci una cosa, dici che ti sfugge. Ecco perché fuggì di nuovo, solo, sul monte (Gv 6, 15)E' il primogenito dei morti che ascende sopra tutti i cieli, e che intercede per noi (cf. Col 1, 18; Rm 8, 34).


[Gesù tarda a venire.]


5. Mentre stava lassù in alto, egli che è l'unico sacerdote che penetrò nel santuario al di là della tenda, il popolo rimaneva fuori ad aspettare. Era infatti figura di questo sacerdote, il sacerdote dell'antica alleanza che entrava, una volta l'anno, nel Santo dei Santi (cf. Eb 9, 12). Mentre, dunque, egli stava lassù in alto, in quale situazione si trovavano i discepoli nella barca? Egli stava lassù in alto; in basso la barca raffigurava la Chiesa. Se nella vicenda della barca non ravvisiamo subito la Chiesa, tutto ci sembrerà senza significato e puramente occasionale; ma se vediamo espressa nella Chiesa la realtà di quelle figure, allora le azioni di Cristo diventano per noi un linguaggio ben preciso. Fattasi sera - continua l'evangelista - i suoi discepoli discesero al mare e, montati su una barca, arrivarono all'altra riva del mare, verso Cafarnao.L'evangelista considera come già avvenuto ciò che invece accadrà più tardi. Arrivarono all'altra riva del mare, a Cafarnao. E torna indietro a raccontare in che modo ci arrivarono. Attraversarono il lago remando. E mentre essi remavano in direzione di quel luogo dove prima diceva che erano già arrivati, ricapitolando ci racconta che cosa accadde: S'era già fatto buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti (Gv 6, 16-17). Era buio perché non era ancora sorta la luce: S'era già fatto buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti. Avvicinandosi la fine del mondo, crescono gli errori, sovrabbondano i terrori, dilaga l'iniquità, si moltiplica l'infedeltà. E la luce, che l'evangelista Giovanni chiaramente identifica con la carità - tanto che egli dice: Chi odia il proprio fratello, è nelle tenebre (1 Io 2, 11) -, rapidamente va estinguendosi. Crescono le tenebre dell'odio fraterno, crescono ogni giorno più, e Gesù ancora non viene. Da che cosa si vede che crescono queste tenebre? Siccome abbonderà l'iniquità, si raffredderà la carità di molti (Mt 24, 12). Crescono le tenebre, e Gesù tarda a venire. Le tenebre che vanno crescendo, la carità che va raffreddandosi, l'iniquità che va moltiplicandosi, questi sono i flutti che agitano la barca. Le tempeste e i venti sono le grida che alzano i malvagi. Raffreddandosi la carità di molti, si levano minacciosi i flutti che agitano la barca.


6. Per il gran vento che soffiava, il mare si agitava. Le tenebre crescevano, la comprensione diminuiva, l'iniquità aumentava. Avevano remato per circa venticinque o trenta stadi (Gv 6, 18-19)I discepoli frattanto avanzavano decisamente, né quei venti, né la tempesta, né i flutti, né le tenebre impedivano alla barca di avanzare e di tenere il mare. In mezzo a tutti quegli ostacoli, la barca andava avanti. Perché l'iniquità che va moltiplicandosi e la carità di molti che si raffredda, sono come i flutti che vanno crescendo, come le tenebre che infittiscono, come il vento che infuria. Con tutto ciò la barca camminava. Chi - infatti - avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (Mt 24, 13). Né dobbiamo trascurare il numero degli stadi. Non può essere senza significato il particolare: Essi avevano remato per circa venticinque o trenta stadi, quando Gesù li raggiunse. Bastava dire venticinque oppure trenta, dato che si trattava di un calcolo approssimativo, non di una affermazione precisa. Sarebbe stata forse compromessa la verità se l'evangelista, nel fare il suo calcolo, avesse detto "circa trenta stadi", oppure "circa venticinque stadi"? Da venticinque è passato a trenta. Esaminiamo il numero venticinque. Come si compone, con quale numero si forma? Si forma con il cinque. E il numero cinque si riferisce alla legge. Cinque sono i libri di Mosè, cinque sono i portici che raccoglievano gli infermi e cinque i pani che hanno nutrito cinquemila persone. Dunque il numero venticinque è simbolo della legge: perché cinque per cinque fa venticinque, il quadrato di cinque. Ma alla legge prima che venisse il Vangelo, mancava la perfezione. E la perfezione è racchiusa nel numero sei. In sei giorni Dio completò, cioè portò a perfezione il mondo (cf. Gn 1): moltiplicando cinque per sei si ha trenta, il che vuol dire che la legge si compie, cioè raggiunge la sua perfezione, nel Vangelo. Gesù raggiunge coloro che compiono la legge. E come li raggiunge? Calcando i flutti, calpestando l'orgoglio del mondo, passando sopra tutte le grandezze del secolo. E ciò tanto più avviene quanto più il tempo passa e l'età del mondo cresce. Aumentano in questo mondo le tribolazioni, aumentano i mali, aumentano i crolli, si arriva al colmo: Gesù avanza, calcando i flutti.


7. E sono tali le tribolazioni, che anche quelli che hanno creduto in Gesù, che si sforzano di perseverare sino alla fine, si spaventano e temono di venir meno. Cristo viene calcando i flutti, calpestando le ambizioni e le alterigie del mondo, e il cristiano si spaventa. Forse che questo non gli è stato predetto? E' comprensibile che i discepoli, vedendo Gesù camminare sui flutti, abbiano avuto paura (Gv 6, 19); così come i cristiani, nonostante la loro speranza nel secolo futuro, quando vedono umiliata la grandezza di questo mondo, sono colti da turbamento per il crollo delle cose umane. Se aprono il Vangelo, se aprono le Scritture, vedono che tutto ciò è stato predetto: che, cioè, il Signore si comporta così. Egli abbassa l'alterigia del mondo per essere glorificato dagli umili. A proposito di questa alterigia è stato predetto: Distruggerai città solidissime; i nemici sono disfatti, sono rovine eterne, e ne hai distrutto le città (Sal 9, 7). Perché temete, o cristiani? Cristo vi dice: Sono io, non temete. Di che cosa vi spaventate, di che avete paura? Sono io che vi ho predetto tutto questo, sono io che lo compio, ed è necessario che avvenga così: Sono io, non temete! Volevano allora prenderlo nella barca; lo avevano riconosciuto, erano felici e ormai rassicurati. E subito la barca raggiunse la terra verso la quale erano diretti (Gv 6, 20-21)Raggiunta finalmente la riva, dall'acqua passano alla terra ferma, dal mare agitato al porto sicuro, dal cammino alla meta.


8. L'indomani la folla che era rimasta sull'altra riva (dalla quale erano partiti), notò che c'era una sola barca e che Gesù non era salito nella barca con i suoi discepoli, ma questi se n'erano andati soli. Altre barche vennero da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane ringraziandone il Signore. Quando, dunque, la folla vide che Gesù non era là, e nemmeno i suoi discepoli, salì nelle barche e si recò a Cafarnao in cerca di Gesù (Gv 6, 22-24)C'è il presentimento di un grande miracolo. Videro, infatti, che soltanto i discepoli erano saliti nella barca e che lì non c'era altra barca. Vennero poi anche delle barche da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, per mezzo delle quali le turbe lo avevano seguito. Siccome, dunque, non era salito con i suoi discepoli e non c'era là altra barca, in qual modo Gesù aveva attraversato così rapidamente il mare, se non camminando sulle onde, per mostrare la sua prodigiosa potenza?


   


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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OMELIA 26


ll pane che io darò è la mia carne offerta per la vita del mondo.


O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato.


1. Quando nostro Signore Gesù Cristo, come abbiamo sentito dalla lettura del Vangelo, affermò di essere lui il pane disceso dal cielo, i Giudei cominciarono a mormorare dicendo: Ma non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come può dire dunque: Sono disceso dal cielo? (Gv 6, 42). Essi erano lontani da quel pane celeste, ed erano incapaci di sentirne la fame. Avevano la bocca del cuore malata; avevano le orecchie aperte ma erano sordi, vedevano ma erano ciechi. Infatti, questo pane richiede la fame dell'uomo interiore; per cui in altro luogo il Signore dice: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, poiché essi saranno saziati (Mt 5, 6). E l'apostolo Paolo dice che la nostra giustizia è Cristo (cf. 1 Cor 1, 30). Perciò chi ha fame di questo pane, deve sentir fame di giustizia: ma della giustizia che discende dal cielo, della giustizia che Iddio dà, non di quella che l'uomo si fa da sé. Se, infatti, l'uomo non si facesse una sua giustizia, non direbbe il medesimo Apostolo a proposito dei Giudei: Misconoscendo la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio (Rm 10, 3)Così erano costoro: incapaci d'intendere il pane del cielo, perché, sazi della propria giustizia, non sentivano fame della giustizia di Dio. Cosa s'intende qui per giustizia di Dio e giustizia degli uomini? Per giustizia di Dio s'intende non la giustizia per cui Dio è giusto, ma quella che Dio comunica all'uomo, affinché l'uomo sia giusto per grazia di Dio. E quale era, invece, la giustizia di quei tali? Una giustizia che essi presumevano dalle loro forze, illudendosi di poterla compiere appoggiandosi sulla propria virtù. Ora, nessuno può adempiere la legge, senza l'aiuto della grazia, che è il pane che discende dal cielo. Compie la legge - dice in maniera concisa l'Apostolo, - soltanto chi ama (Rm 13, 10): chi ama non il denaro, ma chi ama Dio; chi ama non la terra o il cielo, ma colui che ha fatto il cielo e la terra. Donde attinge, l'uomo, questo amore? Ascoltiamo lo stesso Apostolo: L'amore di Dio viene riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). Il Signore, che avrebbe donato lo Spirito Santo, affermò di essere il pane che discende dal cielo, esortandoci a credere in lui. Mangiare il pane vivo, infatti, significa credere in lui. Chi crede, mangia; in modo invisibile è saziato, come in modo altrettanto invisibile rinasce. Egli rinasce di dentro, nel suo intimo diventa un uomo nuovo. Dove viene rinnovellato, lì viene saziato.


[La fede ha le sue radici nel cuore.]


2. Che cosa ha risposto, allora, Gesù a quei tali che mormoravano? Non mormorate tra voi. Come a dire: so perché non avete fame, so perché non comprendete e quindi non cercate questo pane. Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato (Gv 6, 43-44). Mirabile esaltazione della grazia! Nessuno può venire se non è attratto. Se non vuoi sbagliare, non pretendere di giudicare se uno è attratto o non è attratto, né di stabilire perché viene attratto questo e non quello. Cerca di prendere le parole come sono e cerca d'intenderle bene. Non ti senti ancora attratto? Prega per essere attratto. Cosa voglio dire con ciò, o fratelli? Voglio forse dire che se veniamo attratti dal Cristo, allora crediamo nostro malgrado, siamo costretti e non siamo più liberi? Ebbene, può accadere che uno entri in chiesa contro la sua volontà, e, contro la sua volontà, si accosti all'altare e riceva il Sacramento, ma credere non può se non vuole. Se il credere fosse un'azione esteriore, potrebbe avvenire anche contro la nostra volontà, ma non è col corpo che si crede. Ascolta l'Apostolo: E' col cuore che si crede per ottenere la giustizia. E che cosa dice poi? e colla bocca si fa la professione per avere la salvezza (Rm 10, 10)E' dalle radici del cuore che sorge la professione di fede. Ti accadrà di sentire uno professare la fede, senza per questo sapere se egli crede davvero. Ma se ritieni che egli non creda, non puoi chiamare, la sua, una professione di fede: perché, professare, significa esprimere ciò che si ha nel cuore. E se nel cuore hai una cosa e ne dici un'altra, tu dici delle parole ma non fai una professione di fede. Poiché dunque è col cuore che si crede in Cristo, per cui la fede non può essere una cosa forzata, e d'altra parte chi è attratto sembra che sia costretto a credere contro sua volontà, in che modo possiamo risolvere il problema posto dalle parole: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato?


3. Si dirà che se uno è attratto, viene suo malgrado. Ma se viene suo malgrado, vuol dire che non crede: e se non crede non viene. Non si va a Cristo camminando, ma credendo. Non si raggiunge Cristo spostandoci col corpo, ma con la libera decisione del cuore Così quella donna che toccò un lembo della veste del Signore, toccò più che tutta la folla che lo schiacciava, tanto che il Signore domandò: Chi mi ha toccato? I discepoli stupiti, esclamarono: La folla ti preme d'ogni parte, e tu dici: chi mi ha toccato? Ma egli riprese: Qualcuno mi ha toccato (Lc 8, 45-46)La donna lo tocca, la folla preme. Che significa toccare se non credere? Per questo, a quella donna che dopo la risurrezione si voleva gettare ai suoi piedi, disse: Non mi toccare: non sono ancora asceso al Padre (Gv 20, 17)Come a dire: Tu credi che io sia soltanto ciò che vedi: non mi toccare. Che vuol dire? Vuol dire: tu credi che io sia solo ciò che appaio, non credere più così. Questo è il significato delle parole: Non mi toccare: non sono ancora asceso al Padre; cioè per te non sono ancora asceso, in quanto io non mi sono mai allontanato da lui. Se non poteva toccarlo mentre stava in terra, come avrebbe potuto toccarlo quando fosse asceso al Padre? In tal modo, con tale spirito vuole che lo si tocchi; e così lo toccano coloro che lo toccano con fede, ora che egli è asceso al Padre, ora che sta alla destra del Padre, essendo uguale al Padre.


[Ciò che ci piace ci attrae.]


4. Così, quando ascolti: Nessuno viene a me se non è attratto dal Padre, non pensare di essere attratto per forza. Anche l'amore è una forza che attrae l'anima. Non dobbiamo temere il giudizio di quanti stanno a pesare le parole, ma sono incapaci d'intendere le cose di Dio; i quali, di fronte a questa affermazione del Vangelo, potrebbero dirci: Come posso credere di mia volontà se vengo attratto? Rispondo: Non è gran cosa essere attratti da un impulso volontario, quando anche il piacere riesce ad attrarci. Che significa essere attratti dal piacere? Metti il tuo piacere nel Signore, ed egli soddisfarà i desideri del tuo cuore (Sal 36, 4). Esiste anche un piacere del cuore, per cui esso gusta il pane celeste. Che se il poeta ha potuto dire: "Ciascuno è attratto dal suo piacere" (Virg., Ecl. 2), non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l'uomo che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo. Se i sensi del corpo hanno i loro piaceri, perché l'anima non dovrebbe averli? Se l'anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: I figli degli uomini si rifugiano all'ombra delle tue ali; s'inebriano per l'abbondanza della tua casa, bevono al torrente delle tue delizie; poiché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce noi vediamo la luce (Sal 35, 8-10). Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte della patria eterna, ed egli capirà ciò che dico. Certamente, se parlo ad un cuore arido, non potrà capire. E tali erano coloro che mormoravano tra loro. Viene a me - dice il Signore - chi è attratto dal Padre.


[Rivelandosi a noi, Dio ci attrae.]


5. Ma perché uno deve essere attratto dal Padre, se il Cristo stesso ci attrae? Perché dice che uno deve essere attratto dal Padre? Se dobbiamo essere attratti, lo saremo da colui al quale una donna innamorata dice: Correremo dietro l'odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3). Ma consideriamo, o fratelli, e, per quanto è possibile, cerchiamo d'intendere ciò che ha voluto dirci. Il Padre attira al Figlio coloro che credono nel Figlio, in quanto sono persuasi che egli ha Dio per Padre. Dio Padre, infatti, ha generato il Figlio uguale a sé; e il Padre attrae al Figlio colui che, nella sua fede, sente e sa che colui in cui crede è uguale al Padre. Ario ha creduto che il Figlio fosse una creatura: il Padre non lo ha attirato, perché chi ritiene che il Figlio non sia uguale al Padre non pensa rettamente del Padre. Che dici, Ario? Che discorsi stai facendo, o eretico? Chi è Cristo? Non è vero Dio, rispondi, ma una creatura del vero Dio. Il Padre non ti ha attratto: perché non hai capito chi è il Padre, di cui rinneghi il Figlio. Ti sei fatta del Figlio un'idea sbagliata. Non sei attratto dal Padre, e tanto meno sei attratto al Figlio, che è ben altro di ciò che tu dici. Fotino dal canto suo dice: Cristo è solo uomo, non è anche Dio. Se uno pensa così, vuol dire che il Padre non lo ha attratto. Colui che il Padre ha attratto, ha detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Non sei come un profeta, non sei come Giovanni, non sei come un qualsiasi uomo giusto; tu sei l'unico, l'eguale, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro è stato attratto, ed è stato attratto dal Padre:Beato te, Simone figlio di Giovanni, perché non carne e sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16, 16-17)Questa rivelazione è essa stessa un'attrazione. Tu mostri alla pecora un ramo verde, e l'attrai. Mostri delle noci ad un bambino e questo viene attratto: egli corre dove si sente attratto; è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione; è il suo cuore che rimane avvinto. Ora se queste cose, che appartengono ai gusti e ai piaceri terreni, esercitano tanta attrattiva su coloro che amano non appena vengono loro mostrate - poiché veramente "ciascuno è attratto dal suo piacere" -, quale attrattiva eserciterà il Cristo rivelato dal Padre? Che cosa desidera l'anima più ardentemente della verità? Di che cosa dovrà l'uomo essere avido, a quale scopo dovrà custodire sano il palato interiore, esercitato il gusto, se non per mangiare e bere la sapienza, la giustizia, la verità, l'eternità?


6. E dove l'anima potrà essere saziata? Dove si trova il sommo bene, la verità totale, l'abbondanza piena. Qui in terra, anche se ci sostiene l'autentica speranza, è più facile aver fame che esser saziati. Beati - dice infatti il Signore - coloro che hanno fame e sete di giustizia, - cioè che hanno fame e sete qui, in terra - perché saranno saziati (Mt 5, 6). Ma dove saranno saziati? In cielo. Così, dopo aver detto: Nessuno viene a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, cosa aggiunge? E io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Gv 6, 44). Gli do ciò che ama, e gli rendo ciò che spera; vedrà ciò che senza vedere ha creduto, mangerà ciò di cui adesso ha fame e sarà saziato con ciò di cui adesso ha sete. Dove? Nella risurrezione dei morti, perché io lo risusciterò nell'ultimo giorno.


[Dio possiede l'arte di attrarre.]


7. Sta scritto nei profeti: Saranno tutti ammaestrati da Dio (Gv 6, 45). Perché vi cito questo, o Giudei? Voi non siete stati ammaestrati dal Padre, come potete conoscermi? Tutti i figli del Regno saranno ammaestrati da Dio, non dagli uomini. Anche se ascoltano dalla voce degli uomini, ciò che comprendono vien loro comunicato interiormente: è frutto di una illuminazione, di una rivelazione interiore. Che fanno gli uomini con l'annuncio che risuona di fuori? Che faccio io adesso che vi parlo? Faccio giungere alle vostre orecchie il suono delle parole. Se dentro di voi non ci fosse chi ve ne dà la rivelazione, io parlerei a vuoto e vane sarebbero le mie parole. Il coltivatore dell'albero è fuori, il Creatore è dentro. Colui che pianta e colui che irriga agiscono all'esterno, come appunto facciamo noi; ma né chi pianta, è qualcosa, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere (1 Cor 3, 7). Questo significa saranno tutti ammaestrati da Dio. Tutti chi? Chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene a me(Gv 6, 45)Ecco, come esercita la sua attrattiva il Padre: attrae col suo insegnamento, senza costringere nessuno. Ecco come attrae. Saranno tutti ammaestrati da Dio:attrarre è l'arte di Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene a me. Sì, attrarre è proprio di Dio.


8. E allora, fratelli? Se chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene al Cristo, Cristo non gli ha insegnato niente? E allora perché gli uomini non hanno visto il Padre come maestro, mentre hanno visto il Figlio? Gli è che il Figlio parlava, e il Padre insegnava. Io, che sono uomo, a chi insegno, o fratelli, se non a chi ascolta la mia parola? Se io, essendo uomo, insegno a chi ascolta la mia parola, anche il Padre insegna a colui che ascolta il suo Verbo, la sua Parola. E se il Padre insegna a chi ascolta il suo Verbo, domandati chi è Cristo e troverai che è appunto il Verbo del Padre: In principio era il Verbo. Non dice l'evangelista che in principio Dio creò il Verbo, così come la Genesi dice: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1, 1). La ragione è che il Verbo non è una creatura. Lasciati attrarre dal Padre al Figlio. Lasciati ammaestrare dal Padre, ascolta il suo Verbo. Quale Verbo, dici tu, devo ascoltare? In principio era il Verbo. Il Verbo non è stato creato, ma era; e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. E in che modo gli uomini fatti di carne potranno udire questo Verbo? Perché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 14).


9. Il Signore ci spiega anche questo, e ci aiuta a capire il significato delle sue parole: Chi ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene a me. E subito aggiunge quanto si sarebbe potuto presentare alla nostra mente: Non che alcuno abbia veduto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha veduto il Padre (Gv 6, 46)Che vuol dire? Io ho visto il Padre, voi non avete visto il Padre: e tuttavia se venite a me è perché il Padre vi attrae. E cos'è essere attratti dal Padre se non apprendere dal Padre? E apprendere dal Padre cos'è se non ascoltare il Padre? E ascoltare il Padre cos'è se non ascoltare il Verbo del Padre, che sono io? Quando io affermo: Chiunque ha ascoltato il Padre e ha accolto il suo insegnamento, voi potreste obiettare: Se non abbiamo mai visto il Padre, come abbiamo potuto accogliere il suo insegnamento? Vi rispondo: Non che alcuno abbia veduto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha veduto il Padre. Io conosco il Padre; io vengo da lui, ma come viene la parola da colui al quale essa appartiene; non come una parola che suona e passa, ma come la Parola che permane presso chi la pronuncia e che attrae chi l'ascolta.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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OMELIA 27


Cristo dimora in noi, e noi in lui.


Ciò che il Signore si ripromette, dandoci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, è che noi dimoriamo in lui, e lui in noi. Dimoriamo in lui come sue membra, dimora in noi come suo tempio. E' l'unità che ci compagina come membra; ma chi crea l'unità è la carità.


1. Abbiamo ascoltato dal Vangelo le parole del Signore, che fanno seguito al discorso precedente. Ora, su questo tema del corpo del Signore, che egli diceva di voler offrire come cibo per la vita eterna, ci sembra doveroso da parte nostra, e oggi quanto mai opportuno, esporre alle vostre orecchie e alle vostre menti qualche riflessione. Ci ha spiegato come farà a distribuire questo suo dono, in che modo cioè ci darà la sua carne da mangiare, dicendo: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui (Gv 6, 57)La prova che si è veramente mangiato e bevuto il suo corpo e il suo sangue, è questa: che lui rimane in noi e noi in lui, che egli abita in noi e noi in lui, che noi siamo uniti a lui senza timore di essere abbandonati. Con linguaggio denso di mistero ci ha insegnato e ci ha esortati ad essere nel suo corpo, uniti alle sue membra sotto il medesimo capo, a nutrirci della sua carne senza mai separarci dalla sua comunione. Se non che molti dei presenti non compresero e si scandalizzarono: ascoltando tali parole non riuscivano ad avere se non pensieri secondo la carne, ciò che essi stessi erano. Ora, l'Apostolo con tutta verità dice che pensare secondo la carne conduce alla morte (Rm 8, 6). Il Signore ci dà la sua carne da mangiare; ma intendere questo secondo la carne è morte, mentre il Signore ci dice che nella sua carne si trova la vita eterna. Non dobbiamo quindi intendere secondo la carne neppure la carne, come si deduce dalle parole che seguono.


[Il segreto di Dio impegna la nostra attenzione.]


2. Molti, non dei suoi nemici, ma dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: Questo linguaggio è duro; chi lo può intendere? (Gv 6, 61). Se questo linguaggio apparve duro ai discepoli, immaginate ai nemici. Era necessario tuttavia che così fosse espresso ciò che non era comprensibile a tutti. Anziché provocare avversione, i segreti di Dio devono impegnare la nostra attenzione. Quelli, invece, defezionarono non appena sentirono il Signore parlare così: non pensarono che annunciava qualcosa di arcano e che sotto il velo di queste parole nascondeva un grande dono. Le intesero arbitrariamente, in senso puramente umano, e pensarono che Gesù potesse e volesse distribuire ai credenti in lui la carne di cui il Verbo era rivestito, facendola a pezzi. Questo linguaggio è duro - essi dicono - e chi lo può intendere?


3. Ma Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di questo ... Essi avevano parlato tra loro in modo da non farsi sentire da lui; ma egli, che li conosceva nell'intimo, ascoltandoli dentro di sé, rispose e disse: Ciò vi scandalizza? Cioè, vi scandalizza il fatto che io abbia detto che vi do da mangiare la mia carne e da bere il mio sangue? E' questo che vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima? (Gv 6, 62-63). Che significano queste parole? Risolvono la loro difficoltà? Sciolgono il dubbio che li ha scandalizzati? Queste parole certamente avrebbero chiarito, se essi le avessero comprese. Credevano che egli volesse dare loro in cibo il suo corpo; egli dice che salirà in cielo, e vi salirà tutto intero: Quando vedrete il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima, allora crederete che egli non distribuisce il suo corpo nel modo che voi credete: almeno allora capirete che la sua grazia non si consuma con dei morsi.


4. E aggiunge: E' lo spirito che vivifica, la carne non giova nulla (Gv 6, 64)Prima di spiegare, con l'aiuto del Signore, queste parole, non dobbiamo trascurare ciò che ha detto prima: Se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima. Cristo è il Figlio dell'uomo, nato dalla vergine Maria. Ha cominciato dunque ad essere figlio dell'uomo qui in terra, dove ha assunto la carne, che appunto proviene dalla terra. Perciò il profeta aveva detto: la verità è sorta dalla terra (Sal 84, 12). Cosa vuol dire dunque: Se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima? Nessun problema se avesse detto: Se vedrete il Figlio di Dio ascendere dov'era prima. Egli invece ha parlato del Figlio dell'uomo che ascende dov'era prima. Come poteva il Figlio dell'uomo essere in cielo, dal momento che cominciò ad esistere qui in terra? Ha detto dov'era prima, come se, mentre diceva queste cose, non fosse in cielo. In un altro passo dice: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Non dice che "era"; dice: il Figlio dell'uomo che è in cielo. Parlava stando in terra, e affermava di essere in cielo. E non disse: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio di Dio che è in cielo. Che cosa si propone, con queste parole, se non farci intendere ciò che già nel precedente discorso noi abbiamo cercato d'inculcare alla vostra Carità, e cioè che Cristo, Dio e uomo, è una sola persona, non due, sicché non accada che per noi le persone della Trinità siano quattro invece di tre? Cristo è uno solo: il Verbo, l'anima e la carne sono un solo Cristo; il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo sono un solo Cristo. E' Figlio di Dio da sempre, Figlio dell'uomo nel tempo, e tuttavia un solo Cristo nell'unità della persona. Era in cielo quando parlava in terra. Era Figlio dell'uomo in cielo così come era Figlio di Dio in terra: Figlio di Dio in terra nella carne assunta, Figlio dell'uomo in cielo nell'unità della persona.


5. Che significano le parole che seguono: Elo Spirito che vivifica, la carne non giova nulla? Egli ci consente di rivolgerci a lui, non per contraddirlo ma nel desiderio di apprendere: O Signore, maestro buono, come è possibile che la carne non giovi nulla, quando tu hai dichiarato: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita (Gv 6, 54)? Forse che la vita non serve a nulla? E perché allora siamo ciò che siamo, se non per avere la vita eterna, che tu prometti di darci mediante la tua carne? In che senso allora la carne non giova nulla? Non giova nulla la carne nel senso in cui costoro la intesero: essi la intesero nel senso della carne morta fatta a pezzi, come si vende al macello, non nel senso della carne vivificata dallo Spirito. E' detto che la carne non giova nulla, come è detto che la scienza gonfia. Dobbiamo allora odiare la scienza? Niente affatto! In che senso la scienza gonfia? Quando è sola, senza la carità. Infatti l'Apostolo aggiunge: mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1)Alla scienza unisci la carità, e la scienza ti sarà utile, non da sé sola, ma a motivo della carità. Così anche in questo caso: la carne non giova nulla, cioè la carne da sola; se però, alla carne si unisce lo spirito, allo stesso modo che alla scienza si unisce la carità, allora gioverà moltissimo. Se, infatti, la carne non giovasse nulla, il Verbo non si sarebbe fatto carne, per abitare fra noi. Se tanto ci ha giovato il Cristo mediante la carne, come si può dire che la carne non giova nulla? Ma è lo Spirito che mediante la carne ha operato la nostra salvezza. La carne fu come il vaso: considera ciò che portava, non ciò che era. Sono stati mandati gli Apostoli: forse che la loro carne non ci ha giovato? E se ci ha giovato la carne degli Apostoli, poteva non giovarci la carne del Signore? Come è giunto a noi il suono della loro parola, se non mediante la voce della carne? E come ha potuto essere composta la Scrittura? Tutto ciò è opera della carne, guidata però, come suo strumento, dallo spirito. Elo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla, ma nel senso che quelli la intesero, non nel senso in cui io do da mangiare la mia carne.


[Amare l'unità.]


6. Perciò dice: Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita (Gv 6, 64). Abbiamo già detto, o fratelli, che cosa ci raccomanda il Signore nel darci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue: che noi dimoriamo in lui e lui in noi. Ora, noi dimoriamo in lui, se siamo le sue membra; egli dimora in noi, se siamo il suo tempio. E' l'unità che ci compagina facendoci diventare membra di Cristo Ma che cos'è che crea questa unità se non la carità? E la carità di Dio donde nasce? Domandalo all'Apostolo. La carità di Dio - egli risponde - è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). E' lo Spirito - dunque - che vivifica: lo Spirito, infatti, fa vivere le membra. Ma lo Spirito non fa vivere se non le membra che trova nel corpo che esso anima. Lo spirito che è in te, o uomo, lo spirito che ti fa essere uomo, fa vivere forse un membro che trova separato dal tuo corpo? Dico il tuo spirito per dire la tua anima: la tua anima fa vivere soltanto le membra che compongono il tuo corpo; se un membro viene amputato, non è più vivificato dalla tua anima, perché non appartiene più all'unità del tuo corpo. Queste considerazioni devono ispirarci amore per l'unità e orrore per la separazione. Niente deve temere un cristiano, quanto l'essere separato dal corpo di Cristo. Chi infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più suo membro; se non è suo membro, non può essere animato dal suo Spirito. Che se qualcuno - dice l'Apostolo - non possiede lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm 8, 9).E' lo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla. Le parole che io vi ho dette sono spirito e vita. Che significa sono spirito e vita? Significa che devono essere intese in senso spirituale. Tu le hai intese in senso spirituale? Allora sono spirito e vita. Le hai intese in senso materiale? Esse sono sempre spirito e vita, ma non lo sono per te.


[La fede ci unisce a Dio, l'intelligenza ci fa vivere di lui.]


7. Ma vi sono tra voi alcuni che non credono (Gv 6, 65). Non dice: Vi sono tra voi alcuni che non capiscono; ma, spiegando il motivo per cui non capiscono, dice: Vi sono tra voi alcuni che non credono; ecco perché non capiscono: perché non credono. Il profeta disse: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9 sec LXX). Per mezzo della fede ci uniamo a lui, per mezzo dell'intelligenza veniamo vivificati. Prima uniamoci a lui per mezzo della fede, per essere poi vivificati per mezzo dell'intelligenza. Chi non si unisce al Signore, gli oppone resistenza e chi gli oppone resistenza non crede. E come può essere vivificato colui che resiste al Signore? Egli volta le spalle al raggio della luce che dovrebbe illuminarlo: non distoglie lo sguardo, ma chiude la sua mente. Vi sono - dunque - alcuni che non credono. Credano e si aprano; si aprano e saranno illuminati. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che credevano, e chi lo avrebbe tradito (Gv 6, 65)Era presente anche Giuda. Alcuni si scandalizzarono; Giuda rimase, non col desiderio d'intendere le parole del Signore ma col proposito di tendergli insidie. E siccome era rimasto, il Signore fece un'allusione a lui. Non fece il suo nome, ma neppure tacque, affinché tutti fossero presi da timore, sebbene uno solo di essi sarebbe andato perduto. Dopo aver parlato così e aver fatto la distinzione tra i credenti e i non credenti, spiegò anche il motivo per cui uno non crede: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6, 66). Credere, dunque, è un dono; credere non è una cosa da poco. Se credere è una grande cosa, rallegrati se sei credente, ma non insuperbirti: che cosa hai infatti, che tu non abbia ricevuto? (1 Cor 4, 7).





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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OMELIA 28


A Gerusalemme per la festa delle Capanne.


Il Cristo si reca alla festa, non palesemente, ma come di nascosto, per non essere ucciso; indicando così ai suoi membri, in cui egli è sempre presente come capo, la condotta da tenere. Egli non fece ricorso alla sua potenza divina, per una condiscendenza alla nostra debolezza.


1. In questo capitolo del Vangelo, o fratelli, nostro Signore Gesù Cristo dà alla nostra fede una prova efficacissima della sua umanità. Sempre, con quel che dice e con quel che fa, ha di mira questo: che lo si creda come Dio e come uomo: Dio che ci ha creati, uomo che è venuto a cercarci; Dio che è sempre col Padre, uomo che è con noi nel tempo. Non avrebbe potuto cercare l'uomo che aveva creato, se non si fosse fatto egli stesso creatura. Ricordatevi di questa verità e non perdetela mai di vista: che Cristo si è fatto uomo senza cessare di essere Dio. Colui che ha creato l'uomo, ha assunto l'umana natura restando Dio. Non è da credere, dunque, che abbia perduto la sua potenza quando come uomo si occultò, ma che abbia voluto offrire un esempio alla nostra debolezza. Fu preso, infatti, quando volle, fu ucciso quando volle. Ma siccome ci sarebbero state le sue membra, cioè i suoi fedeli, che non avrebbero avuto la potenza che aveva il nostro Dio, il fatto di rimanere nascosto e di occultarsi per non essere ucciso, era il segno di quanto avrebbero fatto le sue membra, nelle quali egli stesso era. Non bisogna credere infatti che il Cristo sia nel capo senza essere anche nel corpo, ma egli è tutto intero nel capo e nel corpo. Ciò che si riferisce alle sue membra, quindi, si riferisce a lui; ma non tutto ciò che si riferisce a lui necessariamente si riferisce alle sue membra. Se egli non si identificasse con le sue membra, non avrebbe detto: Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4). Saulo infatti non perseguitava lui ma le sue membra, cioè i suoi fedeli, che erano in terra. Tuttavia non ha voluto dire i "miei santi", i "miei servi", e nemmeno, qualifica più eccelsa ancora, i "miei fratelli", ma ha detto: me, cioè le mie membra di cui io sono il capo.


[Una consolazione per la nostra debolezza.]


2. Premesso questo, credo che in questo capitolo, che adesso è stato letto, non dovremo far fatica; spesso infatti nel Capo viene indicato ciò che dovrà accadere nel corpo.Dopo di ciò - dice il Vangelo - Gesù percorreva la Galilea; non voleva infatti più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo (Gv 7, 1). Con questo, come ho detto, voleva offrire un esempio alla nostra debolezza. Non aveva perduto la sua potenza, ma voleva consolare la nostra fragilità. Ci sarebbe stato infatti, come dicevo, qualche fedele che si sarebbe nascosto per sottrarsi ai persecutori; e, affinché ciò non dovesse essergli rinfacciato come un delitto, il Capo ha creato un precedente che poteva trovare conferma in alcune membra. In questo senso l'evangelista dice: Non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo, come se Cristo non potesse muoversi tra i Giudei senza farsi uccidere dai Giudei. In effetti, quando volle, dimostrò la sua potenza: quando, ad esempio, ormai all'inizio della passione, i Giudei volevano prenderlo, disse loro: Chi cercate? Risposero: Gesù. E lui: sono io. Non si nascose, ma si presentò e si fece avanti. Di fronte a tale dichiarazione, quelli non resistettero, ma indietreggiarono e caddero in terra (Gv 18, 4-6). Ma siccome egli era venuto per patire, si rialzarono, lo presero, lo portarono dal giudice e lo uccisero. Ma che cosa fecero? Ciò che nella Scrittura era stato predetto: La terra fu consegnata in mano all'empio (Gb 9, 24); la carne fu data in potere dei Giudei; e questo perché fosse tagliata come una borsa, e ne uscisse il prezzo del nostro riscatto.


3. Ora si avvicinava la festa dei Giudei, detta Scenopegia (Gv 7, 2). Chi ha letto le Scritture sa cosa era la festa della Scenopegia. In quel giorno si costruivano tende, simili a quelle nelle quali i Giudei avevano abitato quando, usciti dall'Egitto, peregrinavano nel deserto. Era una festa che si celebrava con particolare solennità. Con tale celebrazione i Giudei volevano ricordare i benefici del Signore, essi che avrebbero poi ucciso il Signore. Orbene, in questo giorno di festa - per la verità, i giorni di festa erano più d'uno, ma i Giudei parlavano di giorno di festa, sebbene i giorni fossero più d'uno - i suoi fratelli si rivolsero a Cristo Signore. Prendete il termine fratelli nel senso che sapete; il termine infatti non vi è nuovo. I parenti della vergine Maria venivano chiamati fratelli del Signore. Era consuetudine, nella Scrittura, chiamare fratelli tutti i parenti di qualsiasi grado, contrariamente al nostro uso e al nostro modo di esprimerci. Chi di noi chiamerebbe fratello lo zio o il figlio della sorella? Eppure la Scrittura chiama fratelli anche questi parenti. Abramo e Lot, ad esempio, sono chiamati fratelli, benché Abramo fosse zio paterno di Lot (cf. Gn 11, 27-31; 17, 8; 14, 14); così Labano e Giacobbe sono chiamati fratelli, pur essendo Labano zio materno di Giacobbe (cf. Gn 28, 2; 29, 10-15). Quando, dunque, sentite parlare dei fratelli del Signore, pensate ai parenti di Maria, non ad altri suoi figli. Allo stesso modo infatti che nel sepolcro in cui fu posto il corpo del Signore, né prima né poi vi giacque alcun morto, così il grembo di Maria né prima né poi concepì alcun mortale.


4. Abbiamo detto chi erano i fratelli; ascoltiamo ora che cosa dissero: Parti di qui e vattene nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai. I discepoli conoscevano le opere del Signore, ma essi le ignoravano. Questi fratelli, cioè questi parenti, erano, sì, legati al Cristo da vincoli di sangue, ma la parentela stessa rendeva ad essi più difficile la fede in lui. Non è una nostra opinione; lo dice il Vangelo, e voi l'avete appena ascoltato. Essi continuano con l'aria di voler insegnare al maestro: Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifestati al mondo. E, aggiunge l'evangelista: Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui (Gv 7, 3-5). Perché non credevano in lui? Perché cercavano la gloria umana. Anche nel suggerimento che gli danno, i fratelli appaiono preoccupati della sua gloria: Sai fare dei miracoli: fatti conoscere; cioè mostrati a tutti per ottenere la lode di tutti. Era la carne che parlava alla carne: la carne senza Dio alla carne con Dio. Era la prudenza della carne che parlava al Verbo che si è fatto carne e abitò fra noi (cf. Gv 1, 14).


[Eccelsa è la patria, umile la via.]


5. Che cosa risponde il Signore? E Gesù disse loro: Il mio tempo non è ancora giunto, il vostro invece è sempre pronto (Gv 7, 6). Cosa vuol dire? Non era ancora giunto il tempo di Cristo? Perché allora il Cristo era venuto se il suo tempo non era ancora giunto? Non abbiamo sentito l'Apostolo dire: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio (Gal 4, 4)? Se dunque Cristo fu mandato nella pienezza del tempo, fu mandato quando doveva essere mandato, venne quando era opportuno che venisse, e allora che significa: IL mio tempo non è ancora giunto? Notate, fratelli, con quale animo gli parlavano: come se volessero consigliare un loro fratello. Gli davano consigli sul modo di arrivare alla gloria: secondo la mentalità del mondo, e, mossi da affetto terreno, lo esortavano a non rimanere nascosto e ignorato. La parola del Signore quindi:IL mio tempo non è ancora giunto, era la risposta al loro consiglio di gloria: il tempo della mia gloria non è ancora giunto. Notate come è profonda la sua risposta. Essi lo esortano a cercare la sua gloria, ma egli vuole che l'esaltazione sia preceduta dalla umiliazione e intende giungere alla gloria percorrendo la strada dell'umiltà. Quei discepoli che volevano sedersi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra, cercavano anch'essi la gloria; miravano alla meta, ma non vedevano la via; il Signore li richiamò alla via, onde potessero con sicurezza raggiungere la patria. Eccelsa è la patria, umile è la via. La patria è la vita di Cristo, la via è la sua morte; la patria è lassù ove Cristo dimora presso il Padre, la via è la sua passione. Chi ricusa la via, non cerca la patria. Insomma, a coloro che cercavano la gloria risponde: Siete pronti a bere il calice che io sto per bere? (Mt 20, 22). Ecco come si arriva alla sublime altezza cui aspirate. Egli certamente si riferiva al calice dell'umiltà e della passione.


6. Dunque egli dice: IL mio tempo non è ancora giunto, il vostro invece - cioè la gloria del mondo - è sempre pronto. Questo è il tempo di cui Cristo, cioè il corpo di Cristo, per bocca del profeta dice: Quando mi sarò preso il tempo, giudicherò la giustizia (Sal 74, 3). Ora non è tempo di giudicare, ma di sopportare gli iniqui. Adesso dunque il corpo di Cristo sopporti e tolleri l'iniquità dei malviventi. Procuri tuttavia di avere la giustizia per poter giungere al giudizio; perché è per mezzo della giustizia che arriverà al giudizio. Che dice nel salmo la Scrittura proprio per quelle membra che sopportano l'iniquità di questo mondo? Il Signore non respingerà il suo popolo. E' davvero tribolato il suo popolo in mezzo agli indegni, agli iniqui, ai bestemmiatori, ai biasimatori, ai calunniatori, ai persecutori e, per quanto dipende da loro, agli uccisori. Sì, è tribolato, ma il Signore non respingerà il suo popolo, e non abbandonerà la sua eredità, finché la giustizia si convertirà in giudizio (Sal 93, 14-15). Finché la giustizia,posseduta ora dai suoi santi, si convertirà in giudizio, quando, cioè, si compirà ciò che è stato loro detto: Sederete sulle dodici sedi per giudicare le dodici tribù d'Israele (Mt 19, 28). L'Apostolo possedeva la giustizia, ma non ancora il potere di giudicare, a proposito del quale dice: Non sapete che giudicheremo gli angeli? (1 Cor 6, 3). Ora è dunque il tempo di vivere secondo giustizia; poi verrà il tempo di giudicare coloro che avranno vissuto male. Finché la giustizia si trasformerà in giudizio. Il tempo del giudizio sarà quello di cui ha parlato adesso il Signore: Il mio tempo non è ancora giunto. Verrà il tempo della gloria: colui che è venuto nell'umiltà verrà nella gloria; colui che è venuto per essere giudicato verrà per giudicare; colui che è venuto per essere ucciso dai morti verrà a giudicare i vivi e i morti. Dio verrà manifesto, - dice il salmo - il nostro Dio non tacerà (Sal 49, 3). Perché verrà manifesto? Perché prima è venuto nascosto. Allora non tacerà; poiché quando venne nascosto è stato condotto come pecora al macello, e come agnello davanti a chi lo tosa non ha aperto bocca (Is 53, 7). Verrà e non tacerà. Ho taciuto - dice - ma non sempre tacerò (Is 42, 14 sec. LXX).


[Il nostro tempo.]


7. Ma ora che cosa devono fare quelli che sono in possesso della giustizia? Ciò che si legge in quel medesimo salmo: In attesa che la giustizia si converta in giudizio; e la possiedono tutti i retti di cuore (Sal 93, 15). Vi domandate forse chi sono i retti di cuore. La Scrittura c'insegna che i retti di cuore sono coloro che sopportano i mali del mondo, senza mettere Dio sotto accusa. Non vi pare, o fratelli, che questi siano un'eccezione? Non so perché, ma quando uno è colpito da una disgrazia, subito se la prende con Dio, mentre dovrebbe prendersela con se stesso. Quando fai qualcosa di buono, ti congratuli con te stesso; quando ti capita un guaio te la prendi con Dio. Questo significa avere il cuore storto, non retto. Se correggerai questa stortura e perversità, ti accadrà di fare il contrario. Prima cosa facevi? Lodavi te stesso per i doni di Dio, e incolpavi Dio per i tuoi guai. Una volta che il tuo cuore si sarà convertito e sarà diventato retto, ringrazierai il Signore per i suoi doni e accuserai te stesso per i tuoi guai. E' così che fanno i retti di cuore. Orbene, uno che ancora non era retto di cuore, perché amareggiato di fronte alla fortuna dei cattivi e alla sfortuna dei buoni, dopo essersi corretto, dice: Com'è buono il Dio d'Israele verso i retti di cuore! Ma poco mancò - quando non ero retto di cuore -, che i miei piedi vacillassero, poco mancò che i miei passi si sviassero. Perché? Perché provai invidia per i peccatori, osservando la loro pace (Sal 72, 1-3). Vidi, dice, che i cattivi erano felici, e Dio non mi è piaciuto più, perché avrei voluto che Dio non permettesse la felicità dei cattivi. Cerchiamo di capire: non è che Dio permetta questo; ma siamo portati a considerare felice un cattivo solo perché non sappiamo cosa sia la felicità. Cerchiamo dunque di essere retti di cuore: il tempo della nostra gloria non è ancora giunto. Diciamo a coloro che, come i fratelli del Signore, amano il mondo: Il vostro tempo è sempre pronto, mentre il nostro non è ancora giunto. Osiamo dir questo anche noi. Dal momento che noi siamo il corpo di nostro Signore Gesù Cristo, siamo sue membra, e con animo grato riconosciamo in lui il nostro capo, diciamolo pure, poiché egli stesso si è degnato dirlo per noi. All'insulto di coloro che amano il mondo, rispondiamo: Il vostro tempo è sempre pronto, mentre il nostro non è ancora giunto. A noi infatti l'Apostolo dice: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando giungerà il nostro tempo? Quando comparirà Cristo, che è la vostra vita, allora anche voi comparirete con lui nella gloria (Col 3, 3-4).


8. Cosa aggiunge poi il Signore? Il mondo non può odiare voi. Che altro significa questo se non che il mondo non può odiare quelli che lo amano, che sono dei falsi testimoni? Voi infatti dite male al bene e bene al male. Odia, invece, me, perché io attesto contro di lui che le sue opere sono cattive. Salite voi a questa festa. Perché dicequesta festa? Perché voi ne approfittate per cercare la gloria umana. Che significa questa? Perché voi andate a questa festa per cercare gioie mondane, trascurando quelle eterne. Io non vengo a questa festa, perché il mio tempo non s'è ancora compiuto. In occasione di questa festa voi cercate la gloria umana; il mio tempo, però, il tempo della mia gloria, non è ancora giunto. Il mio giorno di festa non coincide e non passa con questi giorni, ma durerà in eterno. Questa sarà la vera festa: gioia senza fine, eternità senza difetto, serenità senza nubi. E dette loro queste cose restò in Galilea. Ma saliti che furono i suoi fratelli alla festa, allora salì anch'egli; non palesemente, ma come di nascosto (Gv 7, 7-10). Non andò a quella festa nel senso che non vi si recò a cercare la gloria temporale, ma per dare insegnamenti salutari: correggere gli uomini, richiamarli alla festa eterna, distoglierli dall'amore di questo mondo e convertirli a Dio. Ma perché andò alla festa quasi di nascosto? Neppure questo fatto è privo di significato. Mi sembra, o fratelli, che anche col fatto di recarsi alla festa di nascosto, il Signore abbia voluto suggerirci qualcosa. Il seguito del racconto ci dice che il Signore andò durante la festa, cioè durante quei giorni di festa, per insegnare pubblicamente. Ma dice quasi di nascosto, per non farsi vedere dagli uomini. Non è senza ragione che Cristo si recò di nascosto alla festa, dal momento che egli stesso si nascondeva in quella festa. Anche ciò che vi dico è nascosto. Venga dunque manifestato, si tolga il. velo e appaia ciò che era nascosto.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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OMELIA 29


Intelligenza e fede.


Vuoi intendere? Credi. L'intelligenza è premio della fede. Ma che significa credere in Cristo? Significa credere e amare sinceramente, credere e penetrare in lui, incorporandoci alle sue membra. Questa è la fede che Dio vuole da noi, e non può trovarla se non è lui stesso a donarcela.


1. Vediamo il seguito del Vangelo, che oggi è stato letto, e parliamone secondo che il Signore ci concede. Ieri si era arrivati fin dove si dice che i Giudei, sebbene non avessero visto il Signore Gesù nel tempio per la festa, tuttavia parlavano di lui: Alcuni dicevano: E' buono. Altri invece: No, anzi inganna la gente (Gv 7, 12). Ciò è stato detto a conforto dei futuri predicatori della parola di Dio, che, pur essendo veritieri, sarebbero stati considerati seduttori (2 Cor 6, 8). Se sedurre significa ingannare, né Cristo è seduttore né i suoi Apostoli, né deve esserlo alcun cristiano. Se invece sedurre significa condurre qualcuno da una posizione ad un'altra mediante la persuasione, bisogna vedere da dove e dove lo si vuol condurre: se dal male al bene, il seduttore è buono; se dal bene al male, il seduttore è cattivo. Se dunque per seduzione intendiamo condurre gli uomini dal male al bene, potessimo tutti essere chiamati seduttori ed esserlo davvero!


2. Orbene, il Signore salì alla festa più tardi, quando ormai si era a metà della festa, e cominciò a insegnare. Ed i Giudei erano stupefatti e dicevano: Come mai costui conosce le lettere, senza averle imparate? (Gv 7, 14-15). Colui che prima rimaneva nascosto, ora parlava in pubblico e insegnava, senza che nessuno gli mettesse le mani addosso. Se si nascondeva, era per darci un esempio; se ora non si lasciava prendere era per convincerci della sua potenza. I Giudei erano stupiti del fatto che egli insegnasse. Probabilmente tutti erano stupiti, ma non tutti si convertivano. E quale era il motivo del loro stupore? Perché molti sapevano dove era nato e come era stato educato; non l'avevano mai visto andare a scuola, ed ora lo sentivano discutere intorno alla legge, citare i testi della legge, cose che nessuno avrebbe potuto fare senza essere andato a scuola. Di qui il loro stupore. Ma il loro stupore offrì al Maestro l'occasione d'inculcare una verità più elevata; prendendo dunque lo spunto da questo loro stupore e dalle loro parole, prese a dire qualcosa di profondo degno di essere attentamente considerato. Perciò richiamo l'attenzione della vostra Carità, non solo ad ascoltare per vostra utilità, ma altresì a pregare per noi.


[La dottrina del Padre è il Verbo del Padre.]


3. Cosa rispose il Signore a coloro che, stupiti, dicevano: Come mai costui conosce le lettere senza averle imparate? La mia dottrina - rispose - non è mia, ma di colui che mi ha mandato (Gv 7, 16). Ecco la prima profonda verità. Sembra che in queste poche parole si contraddica. Non dice infatti: Questa dottrina non è mia; ma dice: La mia dottrina non è mia. Se non è tua, come può esser tua? Se è tua, come può non esser tua? Tu dici ad un tempo mia non mia. Se egli avesse detto: questa dottrina non è mia, non ci sarebbe problema. Ora, fratelli, per giungere alla soluzione, cercate d'intendere prima i termini del problema. Poiché se uno non ha chiaro il problema che si presenta, come può intenderne la spiegazione? Il problema dunque consiste nel fatto che dice mia non mia: c'è, sembra, contraddizione nell'espressione mia non mia. Ora, se consideriamo attentamente ciò che dice nel prologo lo stesso santo evangelista: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1), troviamo la soluzione di questo problema. Quale è la dottrina del Padre, se non il Verbo del Padre? Cristo stesso è la dottrina del Padre, dato che egli è il Verbo del Padre. Siccome però il Verbo non può essere di nessuno, ma dev'essere di qualcuno, chiamò sua la dottrina, in quanto la dottrina è lui stesso; e la chiamò non sua, in quanto egli è il Verbo del Padre. Infatti che cos'è tanto tuo quanto tu stesso? e che cos'è tanto meno tuo quanto tu stesso, se ciò che tu sei è di un altro?


4. Il Verbo, dunque, è insieme Dio ed è Verbo di una dottrina immutabile, che non risuona per mezzo di sillabe fugaci, ma che permane con il Padre, e alla quale dottrina, immutabile, noi possiamo rivolgerci, richiamati da suoni che passano. Ciò che passa non ci richiama a cose transitorie. Siamo richiamati ad amare Dio. Tutto ciò che vi ho detto, è un insieme di sillabe, che, percuotendo e facendo vibrare l'aria, sono giunte al vostro udito e risuonando sono volate via. Non deve tuttavia passare l'esortazione che vi ho rivolta, perché non passa colui che vi ho esortato ad amare; e se, richiamati da sillabe che passano, vi convertirete a lui, neppure voi passerete, ma rimarrete con lui che sempre rimane. In ciò consiste la grandezza della dottrina di Cristo, la sublimità e l'eternità che sempre rimane e a cui ci richiamano le cose temporali che passano, quando sono veri segni e non solamente indicazioni ambigue. Tutti i segni che esprimiamo con dei suoni, significano qualcosa che è distinto dal suono. Dio non è due brevi sillabe, e noi non rendiamo culto né adoriamo due brevi sillabe, e neppure vogliamo arrivare a quelle due sillabe, il suono delle quali cessa appena si è fatto sentire, e non si può sentire il suono della seconda se non cessa quello della prima. Permane, dunque, qualcosa di grande quando si dice "Dio", anche se cessa subito il suono di questa parola. Cercate d'intendere così la dottrina di Cristo in modo da arrivare al Verbo di Dio; e quando sarete arrivati al Verbo di Dio, considerando che il Verbo era Dio,comprenderete la verità dell'espressione: la mia dottrina; considerando, poi, di chi è il Verbo, comprenderete l'esattezza dell'altra espressione: non è mia.


5. Per farla breve, dirò alla vostra Carità, che mi sembra che il Signore Gesù Cristo dicendo: la mia dottrina non è mia, abbia inteso dire: Io non sono da me. Quantunque infatti diciamo e crediamo che il Figlio è uguale al Padre, e che tra di loro non c'è alcuna differenza di natura e di sostanza, e che tra colui che ha generato e colui che è stato generato non è intercorso alcun intervallo di tempo, tuttavia, salvo e fermo questo, altro è il Padre e altro è il Figlio. Il Padre non sarebbe tale se non avesse il Figlio; né il Figlio sarebbe Figlio se non avesse il Padre; tuttavia il Figlio è Dio e procede dal Padre, mentre il Padre è Dio ma non procede dal Figlio. Il Padre è Padre del Figlio ma non è Dio derivante dal Figlio; questi invece è Figlio del Padre, e anche come Dio procede dal Padre. Infatti Cristo Signore è detto Luce che viene dalla Luce. Di conseguenza, la Luce che non ha origine dalla Luce (il Padre), e la Luce uguale che ha origine dalla Luce (il Figlio), non sono due luci, ma una medesima Luce.


[La fede necessaria per l'intelligenza.]


6. Rendiamo grazie a Dio se abbiamo capito. E se qualcuno ha capito poco, non chieda di più all'uomo, ma si rivolga a colui dal quale può sperare di più. Noi possiamo, come operai, stando fuori di voi, piantare e irrigare, ma è Dio che fa crescere (1 Cor 3, 6). La mia dottrina - dice - non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Colui che dice di non aver capito, ascolti un consiglio. Al momento di rivelare una verità così importante e profonda, Cristo Signore si rese conto che non tutti l'avrebbero capita, e perciò nelle parole che seguono dà un consiglio. Vuoi capire? Credi. Dio infatti per mezzo del profeta ha detto: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9 sec. LXX). E' questo che intende il Signore, quando proseguendo dice: Se qualcuno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio, o se io parlo da me stesso (Gv 7, 17). Che significa se qualcuno vuol fare la volontà di lui? Io avevo detto: se qualcuno crederà; e questo consiglio avevo dato: se non hai capito, credi! L'intelligenza è il frutto della fede. Non cercare dunque di capire per credere, ma credi per capire; perché se non crederete, non capirete. Sicché, dopo averti consigliato, per poter capire, l'obbedienza della fede, e avendoti fatto osservare che lo stesso Signore Gesù Cristo nelle parole che seguono dà questo medesimo consiglio, vediamo che dice: Se qualcuno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina ... Che vuol dire conoscerà? Vuol dire "capirà". E che vuol dire se qualcuno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina ... Che vuol dire "capirà", tutti ci arrivano; che, invece, la frase se qualcuno vuol fare la volontà di lui è un appello alla fede, perché ce ne rendiamo conto è necessaria la spiegazione dello stesso nostro Signore, il quale ci deve dire se veramente fare la volontà del Padre di lui significa credere. Chi non sa che fare la volontà di Dio consiste nel compiere l'opera di lui, nel fare quanto a lui piace? Lo afferma esplicitamente lo stesso Signore in un altro passo: Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato (Gv 6, 29). Dice credere in lui, non "credere a lui". Sì, perché se credete in lui, credete anche lui; non però necessariamente chi crede a lui, crede anche in lui. I demoni credevano a lui, ma non credevano in lui. Altrettanto si può dire riferendoci agli Apostoli: crediamo a Paolo, ma non crediamo in Paolo; crediamo a Pietro, ma non crediamo in Pietro. Ecco, a chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli è tenuta in conto di giustizia (Rm 4, 5). Che significa dunque credere in lui? Credendo amarlo e diventare suoi amici, credendo entrare nella sua intimità e incorporarsi alle sue membra. Questa è la fede che Dio vuole da noi; ma che non può trovare in noi se egli stesso non ce la dà. E' questa la fede che in un altro passo l'Apostolo definisce in modo perfetto dicendo: In Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la incirconcisione, ma la fede che opera nella carità (Gal 5, 6). Non una qualunque fede, ma la fede che opera nella carità. Sia questa la tua fede, e comprenderai quanto occorre circa la dottrina. Cosa comprenderai? Che questa dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato (Gv 7, 16); cioè comprenderai che Cristo Figlio di Dio, che è dottrina del Padre, non è da sé, ma è Figlio del Padre.


[L'eresia dei Sabelliani.]


7. Questa affermazione dissolve l'eresia sabelliana. I Sabelliani, infatti, hanno osato dire che il Figlio è lo stesso che il Padre; sono due nomi ma una sola persona. Se fossero due nomi e una sola persona, Cristo non direbbe: La mia dottrina non è mia. Se la tua dottrina non è tua, o Signore, di chi è, se non c'è un altro di cui possa essere? I Sabelliani non hanno compreso le tue parole perché non hanno visto la Trinità, ma hanno seguito l'errore del loro cuore. Noi, cultori della Trinità e dell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e di un solo Dio, ci rendiamo conto che la dottrina di Cristo non è sua. E' per questo che egli dichiara di non parlare per conto suo, perché Cristo è il Figlio del Padre, e il Padre è Padre di Cristo: il Figlio è Dio, perché procede da Dio Padre; il Padre è Dio ma non perché procede da Dio Figlio.


8. Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria (Gv 7, 18). Così farà colui che viene chiamato Anticristo, che si innalza - come dice l'Apostolo - sopra ogni essere che è chiamato Dio, o si adora come Dio (2 Thess 2, 4). Il Signore riferendosi precisamente a costui che sarebbe venuto a cercare la sua gloria e non la gloria del Padre, disse ai Giudei: Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste (Gv 5, 43). Predice loro che accoglieranno l'Anticristo, il quale viene a cercare la gloria del suo nome, pieno di vento e non di verità, e perciò passeggero e pur tuttavia apportatore di rovine. Il Signore nostro Gesù Cristo, invece, ci offre un grande esempio di umiltà. Egli è uguale al Padre, perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e con assoluta verità ha affermato: Da tanto tempo sono con voi e ancora non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me vede il Padre (Gv 14, 9); e con altrettanta verità ha dichiarato: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Ora, se egli è una cosa sola col Padre, uguale al Padre, Dio da Dio, Dio presso Dio, coeterno al Padre, come lui immortale e immutabile, come lui fuori del tempo e insieme creatore e ordinatore di tutti i tempi, e tuttavia venne nel tempo, prese la forma di servo, si mostrò come uomo (Fil 2, 7) e non cerca la sua gloria ma quella del Padre; che dovrai fare tu uomo, che quando riesci a fare qualcosa di buono cerchi la tua gloria, e, quando fai qualcosa di male, pensi a scaricarne su Dio la colpa? Tieni presente la tua condizione di creatura e riconosci il Creatore. Sei il servo, non disprezzare il Signore; sei stato adottato, ma non per i tuoi meriti; cerca, o uomo che sei stato adottato come figlio, la gloria di colui che ti ha elargito questa grazia, la gloria che cercò il suo Unigenito Figlio. Chi invece cerca la gloria di colui che l'ha mandato, è veritiero e non c'è ingiustizia in lui (Gv 7, 18). Nell'Anticristo c'è ingiustizia e non è veritiero, perché egli viene a cercare la propria gloria, non la gloria di colui che l'ha mandato, mandato nel senso che gli è stato permesso di venire. Quanti, dunque, apparteniamo al corpo di Cristo, se non vogliamo cadere nei lacci dell'Anticristo, non cerchiamo la nostra gloria. Se infatti il Cristo cercò la gloria di colui che l'ha mandato, non dobbiamo tanto più noi cercare la gloria di colui che ci ha creati?





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/02/2015 11:30
 
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OMELIA 30


La presenza di Cristo nel Vangelo.


Ascoltiamo il Vangelo come se ascoltassimo Cristo in persona, e non stiamo a dire: beati quelli che poterono vederlo! IL Signore è in cielo, ma è anche qui con la sua verità. Il corpo in cui risuscitò è lassù, ma la sua verità è diffusa in ogni luogo.


1. Il brano del santo Vangelo, che è stato letto adesso, è la continuazione di quello che già abbiamo spiegato alla vostra Carità. Ascoltavano il Signore che parlava discepoli e Giudei; sentivano parlare la Verità uomini sinceri e uomini menzogneri; sentivano parlare la Carità amici e nemici; sentivano parlare il Buono buoni e cattivi. Ascoltavano gli uni e gli altri, ma egli sapeva distinguere gli uni dagli altri: vedeva e prevedeva chi erano quelli ai quali giovavano, o avrebbero giovato, le sue parole. Vedeva nell'animo di quelli che erano presenti allora e vedeva già in noi che saremmo venuti dopo. Cerchiamo di ascoltare il Vangelo come se il Signore fosse qui presente; e non diciamo: fortunati quelli che poterono vederlo! perché molti di quelli che lo videro lo uccisero; mentre molti tra noi, che non l'abbiamo visto, abbiamo creduto. Ogni parola, uscita dalla bocca del Signore, è stata affidata agli scritti per noi, e per noi come un tesoro è stata conservata, per noi viene proclamata e lo sarà anche per quelli che verranno dopo di noi, sino alla fine del mondo. Il Signore è lassù in cielo; ma come verità egli è anche qui. Il corpo del Signore nel quale egli risuscitò, può essere in un sol luogo; ma la sua verità è diffusa ovunque. Ascoltiamo, dunque, il Signore e comunichiamo agli altri la ricchezza che egli ci consente di attingere dalle sue parole.


2. Mosè non vi ha forse dato la legge? Ma nessuno di voi osserva la legge! Perché cercate di uccidermi? Per questo cercate di uccidermi, perché nessuno di voi osserva la legge; poiché se osservaste la legge, nella stessa Scrittura riconoscereste il Cristo, e non lo uccidereste ora che è presente. Essi gli risposero, o meglio, la folla gli rispose. Gli rispose come folla, non in maniera ordinata ma agitata: ecco la risposta di quella folla agitata: Tu sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti? (Gv 7, 19-20). Come se dirgliindemoniato non fosse peggio che ucciderlo. E' chiamato indemoniato colui che scacciava i demoni. Che altro poteva dire una folla agitata? Quale altro odore poteva esalare un pantano smosso? Ma da che cosa era agitata la folla? Dalla verità. Il fulgore della luce turbava gli occhi malati della folla. Coloro infatti che hanno gli occhi malati non sopportano il fulgore della luce.


[La tranquillità della verità.]


3. Ma il Signore, per niente turbato, tranquillo nella sua verità, non rese male per male né insulto per insulto (cf. 1 Pt 3, 9). Se avesse detto loro: siete voi indemoniati, avrebbe senz'altro detto la verità. Essi infatti non avrebbero potuto insultare così la Verità se non fossero stati ispirati dalla falsità del diavolo. Che cosa rispose invece? Ascoltiamolo con calma e assaporiamo la sua calma: Un'opera sola ho compiuto e tutti ne siete stupiti (Gv 7, 21). Come a dire: che fareste se vedeste tutte le mie opere? Tutto ciò che vedevano nel mondo era opera sua, e non vedevano lui che tutto aveva fatto. Un'opera sola aveva compiuto, aveva cioè guarito un uomo di sabato, ed erano rimasti turbati. Come se, trattandosi di un malato guarito di sabato, lo avesse guarito una persona diversa da colui che li scandalizzò per aver guarito un uomo di sabato. Chi può guarire gli altri se non colui che è la salute stessa, e che dà anche agli animali la salute che ha dato a quest'uomo? Si trattava, infatti, della salute del corpo. Si ricupera la salute del corpo, e tuttavia poi si muore; quando si ricupera, si differisce la morte, non si elimina. Purtuttavia, o fratelli, anche questa salute proviene dal Signore, da chiunque venga procurata; chiunque sia a procurarla con cure e medicine, è dono di Dio, da cui viene ogni salute, e a cui è detto nel salmo: Salverai, o Signore, gli uomini e gli animali, così come hai moltiplicato, o Dio, la tua misericordia. Poiché tu sei Dio, l'abbondanza della tua misericordia si estende sia alla salute del corpo umano che alla salute degli animali che sono privi della parola. Però tu, che dai la salute fisica che è comune al corpo degli uomini e degli animali, non riservi forse una salute speciale agli uomini? Esiste certamente un'altra salute, che non solo non è comune agli uomini e agli animali, ma che neppure è comune a tutti gli uomini, buoni e cattivi. Sicché, dopo aver parlato di quella salute che indistintamente ricevono gli uomini e gli animali, ecco che cosa aggiunge il salmo a proposito di quella salute che devono sperare gli uomini, ma soltanto quelli buoni: I figli degli uomini, però, si rifugeranno all'ombra delle tue ali; si inebrieranno per l'abbondanza della tua casa, e tu li disseterai al torrente della tua dolcezza; perché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 7-10). Questa è la salute riservata ai buoni, che il salmista chiama figli degli uomini, mentre prima aveva detto: Tu, o Signore, salverai gli uomini e gli animali. Ma come? quelli non sono figli degli uomini? Avendo parlato prima diuomini e poi di figli degli uomini, ha inteso dire che una cosa sono gli uomini e un'altra i figli degli uomini? Non credo, tuttavia, che lo Spirito Santo abbia fatto questa distinzione senza un motivo. Uomini si riferisce al primo Adamo, figli degli uomini al Cristo. E' probabile infatti che dicendo uomini voglia indicare gli appartenenti al primo uomo, e dicendo figli degli uomini, quelli che appartengono al Figlio dell'uomo.


4. Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne fate le meraviglie. E soggiunge: Mosè vi ha dato la circoncisione. E' stato un privilegio aver ricevuto la circoncisione da Mosè. Non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi (Gv 7, 22). Fu Abramo, infatti, il primo che ricevette la circoncisione dal Signore (cf. Gn 17, 10). E voi circoncidete un uomo di sabato. E' Mosè che ve lo dice. La legge vi prescrive di circoncidervi nell'ottavo giorno della nascita (cf. Lv 12, 3), e la legge vi prescrive di riposare nel settimo giorno (cf. Es 20, 10). Ora, se l'ottavo giorno dalla nascita coincide col settimo giorno, cioè col sabato, che fate? Riposate per osservare il sabato, oppure circoncidete per adempiere il precetto sacro dell'ottavo giorno? Io so - egli dice - che cosa fate. Circoncidete l'uomo di sabato. Perché? Perché la circoncisione appartiene ai segni della salute, e gli uomini non devono privarsi della salute in giorno di sabato. Dunque non vi adirate contro di me perché di sabato ho risanato un uomo intero, se l'uomo riceve di sabato la circoncisione per adempiere la legge di Mosè (Gv 7, 22-23). Se la circoncisione data per mezzo di Mosè, è un'istituzione che si riferisce alla salute, perché vi indignate contro di me che opero la salute in giorno di sabato?


5. Probabilmente la circoncisione era un segno che annunciava il Signore, contro cui si indignavano costoro perché guariva e salvava. Era prescritto che si praticasse la circoncisione nell'ottavo giorno. E che cos'è la circoncisione se non una spogliazione della carne? La circoncisione, quindi, significa spogliare il cuore delle cupidigie carnali, e non senza motivo fu stabilito di compierla su quel membro che è destinato alla procreazione dei mortali. Per mezzo di un solo uomo è venuta la morte, così come per mezzo di uno solo è venuta la risurrezione dei morti (cf. 1 Cor 15, 21); e a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte (Rm 5, 12). Tutti nascono col prepuzio, perché tutti nascono col peccato d'origine; e Dio non ci libera, né dal peccato in cui nasciamo, né dai peccati che noi aggiungiamo vivendo male, se non per mezzo del coltello di pietra che è Cristo Signore: La pietra infatti era Cristo (1 Cor 10, 4). Circoncidevano con coltelli di pietra: la pietra era simbolo di Cristo, ma ora che egli era presente non lo riconoscevano, anzi, volevano ucciderlo. E perché la circoncisione doveva aver luogo nell'ottavo giorno, se non perché egli risorse dopo il settimo giorno della settimana, nel giorno detto del Signore? Dunque la risurrezione di Cristo, avvenuta nel terzo giorno dopo la passione, ottavo giorno della settimana, è la nostra circoncisione. Ascolta come l'Apostolo esorta quelli che sono stati circoncisi con la vera pietra: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3, 1-2). Egli parla a dei circoncisi: Cristo è risorto, egli vi ha liberato dai desideri carnali, vi ha liberato dalle perverse concupiscenze, vi ha tolto quel superfluo con cui eravate nati e quanto di peggio avevate aggiunto vivendo male. Voi che siete stati circoncisi per mezzo della "pietra", perché avete ancora il gusto delle cose della terra? Insomma, dal momento che Mosè vi ha dato la legge, e dal momento che voi circoncidete un uomo anche di sabato, cercate di capire il significato di questa opera buona che io ho fatto risanando completamente un uomo di sabato: è stato guarito perché avesse la salute del corpo, e ha creduto per avere la salute dell'anima.


[L'uomo nuovo.]


6. Non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! (Gv 7, 24). Che vuol dire? Voi che in ossequio alla legge di Mosè circoncidete anche di sabato, non ve la prendete con Mosè; ve la prendete invece con me perché io ho guarito un uomo di sabato. Voi giudicate in modo soggettivo; cercate invece di tener conto della verità. Io non mi metto al di sopra di Mosè, dice il Signore che pure era anche il Signore di Mosè. Considerateci tutti e due semplicemente come due uomini e giudicate fra noi due, però giudicate secondo giustizia; non condannate lui per esaltare me, ma onorate me cercando di capire lui. A questo proposito in altra circostanza, egli disse ai Giudei: Se credete a Mosè, crederete a me, poiché di me egli ha scritto (Gv 5, 46). Adesso, qui, non vuole dire questo, ma sembra volersi porre al di sopra di loro, alla pari con Mosè. In ossequio alla legge di Mosè voi circoncidete anche di sabato, e volete che di sabato io mi astenga da un'azione benefica come è quella di guarire un uomo? Il Signore della circoncisione e Signore del sabato, è l'autore della salvezza. Vi è stato comandato di astenervi dalle opere servili di sabato; ma se avete ben capito, astenersi dalle opere servili vuol dire non peccare. Chi, infatti, commette peccato è servo del peccato (Gv 8, 34). E' forse un'opera servile guarire un uomo di sabato? Voi mangiate e bevete (dico questo parafrasando le parole di nostro Signore Gesù Cristo), e perché mangiate e bevete in giorno di sabato, se non perché queste sono azioni necessarie alla salute? Con ciò dimostrate che in giorno di sabato assolutamente non si devono tralasciare le opere della salute. Dunque non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! Considerate me e Mosè come uomini: giudicate secondo verità, non condannerete né Mosè né me; e, riconoscendo la verità, riconoscerete me, perché io sono la verità (Gv 14, 6).





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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