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Gregorio di Narek, della Chiesa Armena è dichiarato Dottore della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2015 21:10
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09/04/2015 14:30
 
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Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa 
Fu Benedetto XV a intervenire “presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni” e lo stesso Pontefice, rammenta ancora Francesco, volle iscrivere Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale.
Domenica prossima Francesco compirà un gesto analogo con San Gregorio di Narek e questa decisione “inaspettata” è stata salutata con gratitudine dal Cathlicos armeno, Nerses Bedros XIX. “Ve ne siamo immensamente riconoscenti”, ha detto. Gregorio di Narek, vissuto mille anni fa, è “il Santo armeno più amato e più letto”, il cui “Libro delle Lamentazioni” ha affermato il Patriarca degli armeni, era al “capezzale di ogni famiglia armena accanto al Santo Vangelo”.

È stato anche reso noto che il 12 aprile Papa Francesco celebrerà, nella Basilica di San Pietro, la Messa in occasione del centenario del genocidio armeno.


(leggere qui la notizia integrale nella sezione dedicata al genocidio degli Armeni)



Gregorio di Narek nacque molto probabilmente nel 950 nel piccolo villaggio di Narek, da una famiglia di scrittori. Morta la madre mentre Gregorio era ancora in tenera età, suo padre Khosrov, divenuto in seguito arcivescovo, lo affidò insieme al fratello Giovanni alla cugina Anania di Narek, fondatrice della scuola e del villaggio.
Presto fu ordinato prete e divenne abate del monastero, ove condusse una vita piena di umiltà e carità, divisa tra il lavoro e la preghiera, animato da un ardente amore per Cristo e la sua Santissima Madre. Gregorio fu un insigne teologo e uno dei più importanti poeti della letteratura armena.
Tra le sue opere si annoverano un 
Commentario al Cantico dei Cantici, numerosi panegerici ed una raccolta di 95 preghiere in forma poetica dette“Narek” dal nome del monastero ove visse.
Morì verso l’anno 1010 e fu sepolto nello stesso monastero. La sua tomba fu meta di pellegrinaggio fino ai tempi dei massacri perpetrati dai Turchi.

Fedele alla tradizione della sua Chiesa, Gregorio fu un grande devoto della Vergine, e la tradizione vuole che Maria gli sia anche apparsa.
Egli l’ha cantata con accenti ispirati. Tra le sue composizioni sono degne di nota il “
Discorso panegirico alla Beata Vergine Maria” e la Preghiera 80 intitolata: “Dal fondo del cuore, colloquio con la Madre di Dio”. Nel discorso, che sembra ispirato dall’Inno Acatisto, Gregorio approfondisce la dottrina dell’Incarnazione, traendone lo spunto per esaltare e cantare con tenera pietà e stile sublime, l’eccezionale dignità e la magnifica bellezza della Vergine Madre. Lapreghiera 80 è un’opera più matura del discorso. In essa l’autore, sommerso da molti motivi di disperazione, esprime con amore ardente, la certezza di essere aiutato dalla Madre del Giudice.

Annoda e lega
I miei amari sospiri
alle tue domande beate
e profumate d’incenso,
o Pianta di vita
dal frutto di benedizione,
affinché, da te soccorso
e colmo di benefici,
avendo trovato
asilo e luce
presso la tua santa maternità,
io viva per Cristo
tuo Figlio e Signore.
Con le tue lacrime soccorrimi
nel pericolo incombente,
o tu benedetta
fra tutte le donne!
Piega le ginocchia
per ottenere la mia riconciliazione,
o tu che sei
la Madre di Dio!
Abbi cura di me misero,
o Tabernacolo dell’Altissimo!
A me caduto,
protendi la mano,
o Tempio celeste!
 





[Modificato da Caterina63 12/04/2015 15:45]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/04/2015 09:02
 
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In this Feb. 22, 2008 file photo released by the Vatican's L'Osservatore Romano newspaper, Pope Benedict XVI, left foreground, is seen during a ceremony with Armenian Catholic patriarch Nerses Bedros XIX Tarmouni, at right in black, for St. Gregory "the Illuminator" at the Vatican. Pope Francis on Sunday, April 12, 2015 will declare the little-known 10th-century Armenian mystic St Gregory a doctor of the church, one of the highest honors a pope can bestow during a mass concelebrated with the patriarch. (AP Photo/L'Osservatore Romano, HO)

  in qusta foto, il 22 febbraio 2008, Benedetto XVI benediva la statua in Vaticano di Gregorio di Narek "l'illuminato" alla presenza del Patriarca della Chiesa Armena.





[Modificato da Caterina63 12/04/2015 13:28]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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FRANCISCUS PP.


LITTERAE APOSTOLICAE


quibus sanctus Gregorius Narecensis
Doctor Ecclesiae universalis renuntiatur.

 

Ad perpetuam rei memoriam.

“Vidimus stellam eius in oriente et venimus adorare eum” (Mt 2,2).

Stella, quae in orientis caelo apparuerat, in mente et corde Magorum lumen accendit, quod ad quaerendam veram lucem eosdem incitavit, quae mundum illuminat (cfr Io 8,12), Dominum Iesum Christum, longum post iter Bethleem inventum adoratumque: “Viderunt puerum cum Maria matre eius, et procidentes adoraverunt eum” (Mt 2,11).

Inde a primis saeculis christianae religionis in oriente alias innumeras stellas accendit Spiritus Sanctus, scilicet sanctos prudentesque homines, qui suae vitae exemplis ac doctrina ad Dei mysteria cognoscenda et Christum conveniendum expeditius effecerunt iter. Stella perquam fulgida, quae numquam est exstincta, fuit etiam presbyter et monachus sanctus Gregorius Narecensis, magister et dilecti populi Armeni decus. Insignis hic theologus, mysticus et poeta sua sapientia evangelica ac insigni sua doctrina theologica, nostro quoque tempore suae genti Ecclesiaeque universali loqui pergit, quem inde ab antiquis temporibus ipsa uti sanctum colit. Continuata eius fama cum meditationum precationumque libro coniungitur, cuius titulus Liber Lamentationum, sed qui vulgo ab Armeno populo est cognominatus Narecensis.

Praeter Evangelium in Armenia de scripto agitur maxime venerato et evulgato. Post hoc volumen finitum Gregorius Narecensis de se addit: “minimus inter poetas, postremus inter doctores”. Reapse eius perspectis scriptis, quae magno poetico afflatu pervaduntur atque amplo cultu, alto mystico sensu ac latis biblicis cognitionibus distinguuntur, procul dubio non est “minimus inter poetas” neque “postremus inter doctores”.

Ad verisimiliores opiniones in historica regione Andzevatsik circiter anno CML natus est. Eius pater, Khosrov Andzevatsi, luculentus fuit scriptor ac serius actuosus episcopus. Gregorius in familia litterarum cultrice adolevit, quae ipsius institutionem fulsit. Praeter parentem, traditio etiam duorum fratrum rettulit nomina, quorum senior fuit Ioannes et iunior Sahak, atque magistrum Ananiam Narekatsi, qui eius matris fuit consobrinus et monasterii Narecensis abbas, qui ad eius iuvenis familiaris alumnique spiritalem culturalemque provectionem multum contulit.

Gregorius iuvenis monasterium Narecense est ingressus, quod saeculo X apud ripam meridianam orientalem lacus Van conditum est, ubi praeclara aderat schola Sacrarum Scripturarum et patrologiae, atque ubi omnem suam religiosam intellectualemque vitam exegit, sanctitatis et mysticae experientiae fastigium attingens atque suam doctrinam variis in theologicis mysticisque operibus exprimens demonstransque. Dogmaticis quoque controversiis operam dedit, respuens potissimum haereticas opinationes sectae Thondrakianorum, ac quoad doctrinam etiam oppugnatus et falso insimulatus. Iam vivens Gregorius Narecensis sanctitatis miraculorumque egregia est circumdatus fama et praeclarae doctrinae et impensae spiritalitatis est habitus vir. Circiter anno MV e vita cessit, id est paulo post Librum Lamentationum scriptum, anno vero MIII. In monasterio Narecensi, prope templum sanctae Sandukht est sepultus. Continuo post obitum sanctus est veneratus atque ad eius sepulcrum accedere consueverunt Armeni fideles. Eius memoriam firmius tenuit populus, etiam post territorium anno MLXXI vastatum. Ferales post eventus et caedes annorum MCMXV-MCMXVI sive monasterium sive sancti monachi Armeni sepulcrum prorsus deleta sunt.

Gregorii Narecensis nomen Armenae Ecclesiae in calendarium mature est illatum atque die XXVII mensis Februarii festum statutum est. Hac die eius memoria etiam apud Martyrologium Romanum invenitur, ubi Armenus monachus ut sanctus exhibetur, magnus quidem mysticus ac “doctor Armenorum”. Suas propter eximias theologicas cogitationes nec non doctrinae dogmaticae mysticaeque vim saeculorum decursu crebrescentem famam obtinuit. Eius intercessioni complura miracula sunt adscripta. Haud ille multum scripsit. Ipsius maxime celebratum opus fuit Liber Lamentationum. Quaedam eiusdem sunt relatae laudationes (Sanctae Crucis, Dei Matris, sanctorum Apostolorum, sancti Iacobi Nisibensis), hymni et odes (circiter viginti carmina religiosa), in Canticum Canticorum commentarium atque epistula tractatus abbati Kedchav missa in qua de Ecclesiae mysteriis et de haeresi Thondrakianorum agitur. Quaedam an ad eum pertineant dubitatur, scilicet Commentarium in Iob, “Oratio de recta fide inculcanda et de integra virtute tenenda”, homilia de conscientiae examine, canon precationum, consolationis sermo pro defunctis, commentarium denique in precationem quae est Pater Noster.

Altas ob suas theologicas sententias, novas suas cogitationes et suae poesis vim sive a populo sive a doctis hominibus semper est magni aestimatus. Magis ac magis quibusdam Ecclesiae Patribus est comparatus, scilicet Ioanni Chrysostomo, Ephraem Syro, Gregorio Illuminatori. Ipsius opus gradatim omnem vitae religiosae cultusque provinciam pervasit: poesim, miniaturam, musicam, hagiographiam, liturgiam et laographiam.

Insuper Gregorius Narecensis ante omnia defensorem se praestat et theologum supernaturalis efficaciae sacramentorum. Copia de hac re tractanda ei praebita est doctrinae erroribus Thondrakianorum, qui religionis christianae originem repetere prae se ferebant, hierarchiam, sacramenta, Ecclesiam et liturgiam respuentes. Ipsorum quidem caritatis fraternique amoris una erant praecepta. Gregorius saepenumero de his egit ut efficaciam sacramentorum et ministerium sacramentale transmissionis Ecclesiaeque mediationis confirmaret, gratiae divinae vitaeque interioris comprobans momentum.

Quoad alias eiusdem dogmaticas sententias, Gregorius Narecensis principem locum Sanctissimae Trinitati tribuit, cuius effigiem in hominis anima cernit ac potissimum cum theologalibus virtutibus comparationem instituit. Ad eiusdem mentem trinitarium mysterium intellegitur cum Verbum incarnatum consideratur. Hoc modo trinitaria familiaritas obtinetur Eius, qui ante omnia saecula natus est a Patre. Sat scimus relationem, qua Spiritus Sanctus distinguitur ab aliis duabus Personis, aliter Orientalem interpretari quam traditionem Latinam, saeculis quaestione Filioque obstrictam. Constantinopolitana formula firmiter retenta, Gregorius Narecensis trinitarium Incarnationis nexum in lucem profert, traditioni Armenae fidelis. Intellegit insuper Spiritum Sanctum veluti caritatis experientiam inter Patrem et Filium, affirmans porro tres divinas Personas in creationis opere implicari.

Peculiarem locum obtinet Panaghia, “Ea quae nihil aliud est quam sanctitas”, “Tota Sancta”, cuius Gregorius extollere titulos “Matris Domini” non desinit et “Matris Dei”, cuiusque totam puritatem magnificat et maxime angelicam innocentiam collustrat Eius quae e Creatoris manibus intemerata orta est. Unde necessitas adest magna in Maria privilegia praesumendi, quae cum divinae maternitatis munere coniunguntur, ut Immaculata Conceptio et Assumptio in caelum, atque utique “absoluta coram peccato Deiparae invulnerabilis natura, atque ipsius officium Mediatricis, ut inter Deum et Hominem pontis”. Verbum LXXX Gregorii merito “inter praeclariores precationes [Mariales], ex hominis corde manantes” recensetur.

Aliae theologicae et mysticae considerationes Gregorii Narecensis Verbi Incarnationi dicantur, perfecti hominis ac Dei, cuius divinitatem et ab aeterno generationem semper tuita est Ecclesia Armena; Ecclesiae, quae est credentium populus, Christi Sponsa, Domini Arca, omnium credentium mater, quae christifideles coniungit cum angelis cuiusque nationales peculiaritates in universalem Ecclesiam confluere debent; sacramentis, iis potissimum quae ad christianam initiationem attinent, nominatim baptismo qui hominem per Ecclesiae mediatricem actionem novam creaturam efficit, confirmationi sacri chrismatis unctione quae Trinitatis in christiani anima inhabitationem corroborat, paenitentiae tandem sacramento.

Apud Gregorium admodum peculiaris pars de re mystica agit, quae non est experientia rerum tantum humanarum vel naturalis spiritus elatio, sed Dei tactus, fructus superioris illuminationis, quae homini praebetur quaeque directo cum fidei actu nectitur, id est absolutae acceptione fiduciae, tota deditione qua sua in vita homo se manifestanti, loquenti, invadenti Deo reserat, cuius ideo experientia ad transformantem beatificantemque coniunctionem perducit.

Experientiae mysticae Narecensis peculiaritas haec prae se fert summatim elementa: I certum deformitatis peccati sensum; II transcendentiae Dei sensum, qui secum fert totam peccati repulsam; III humanae finitionis coram Deo sensum; IV perceptionem humanum verbum ad exprimendum et se exprimendum omnino esse incongruum; V perceptionem decretorium esse gratiae opus, quae humani verbi vacuitatem superat et imbecillitatem ac plenitudini omnipotentiaeque redemptrici divini Verbi reserat; VI progressum tandem cuiusdam habitus, qui definitur “mystica abyssi”, ubi apophasis substituitur aphasia, quae est dicendi incapacitas, quae summatim perstringit inter “verbum” et “Verbum” dialecticae salvificae difficultatem.

Sanctus iam vivus habitus et post mortem, ipse ob perfectam fidei orthodoxiam potissimum eminet. Suae nationis Ecclesiae persequens traditionem, Concilii Oecumenici Ephesini (anni CDXXXI) christologiam ipse tenuit, ita ut in Concordiae Formulaexplicatur, quam Ioannes Antiochenus confecit, quamque verbum de verbo anno CDXXXIII accepit Cyrillus Alexandrinus, Ecclesiae doctor: “Nos itaque confitemur Dominum nostrum Iesum Christum, Dei Filium, Unigenitum, perfectum Deum et perfectum hominem”.

Doctrinalis eius haereditas prorsus peculiaritate pollet. Eius ad mentem theologia magis est ars Deo quam de Deo loquendi. Cum quidem omni dolo et omni fucato sermone exuitur, ut Creatoris intuitus directo attingatur, homo sui peccati fit conscius, sed magis redemptionis gratiam percipit, id est divinum amorem eiusque potentiam. Arbitramur insuper eius doctrinam bonum esse universalis Ecclesiae, liquidam aquam ac panem omni aetate alentem et in omnibus regionibus.

Has cunctas propter causas, sacri Armeniae Pastores saepius a Summis Pontificibus flagitarunt ut sanctus Gregorius Narecensis doctor proclamaretur Ecclesiae Universalis. Postulationem memoramus, quam anno MCMLXXXVIII Patriarcha Ioannes Petrus XVIII Kasparian Summo Pontifici sancto Ioanni Paulo II attulit. Ad Praefecti tunc Congregationis pro Doctrina Fidei, Iosephi S.R.E. Cardinalis Ratzinger consilium, inquisitiones de sanctitate et doctrina sancti Gregorii Narecensis agitari sunt coeptae, quae copiosos fructus genuerunt. Hac de re multum quoque egit Patriarcha Narcissus Petrus XIX Tarmouni, qui Summo Pontifici Benedicto XVI postulationem iteravit. Cum primum saeculum adpeteret Armenorum caedis (ab anno MCMXV), idem Patriarcha a Nobis quaesivit ut sanctus Gregorius universalis Ecclesiae Doctor proclamaretur, hac vertente centenaria memoria. Nobis consentientibus, Positio super Ecclesiae Doctoratu parata est. Congregatio pro Doctrina Fidei candidati eminentem doctrinam est suffragata. Theologi Consultores Congregationis de Causis Sanctorum, in congressione peculiari die XIII mensis Ianuarii anno MMXV coadunati, peculiaritatem, universalitatem theologicumque pondus scriptorum sancti Gregorii iudicaverunt et unanimiter comprobaverunt, qui mirabiliter theologiam et mysticam coniunxit. Die XVII mensis Februarii eiusdem anni, Causam ponente Venerabili Fratre Nostro Angelo S.R.E. Cardinali Amato, Congregationis de Causis Sanctorum Praefecto, Sessio Plenaria Cardinalium Episcoporumque eiusdem Dicasterii habita est, qui in doctrina sancti Armeni ea signa agnoverunt, quae requiruntur ad proclamationem Doctoris Ecclesiae. In Audientia die XXI mensis Februarii anno MMXV eidem Praefecto concessa, libenter Cardinalium Episcoporumque vota recepimus, statuentes Nos Doctoris Ecclesiae universalis titulum sancto Gregorio Narecensi collaturos, interveniente sollemni celebratione in Papali Basilica S. Petri, die XII mensis Aprilis.

Quod hodie, Deo iuvante cunctaque plaudente Ecclesia, praesertim pastoribus et fidelibus Armenorum, factum est. In Petriano enim templo, plurimis adstantibus S.R.E. Cardinalibus sacrisque et Romanae Curiae et Catholicae Ecclesiae Praesulibus cum Patriarcha Ciliciae Armenorum, acta omnia confirmantes et petitorum vota perlibenter implentes, haec inter divinum sacrificium pronuntiavimus verba:

“Nos, vota plurimorum Fratrum in Episcopatu multorumque christifidelium totius orbis explentes, de Congregationis de Causis Sanctorum consulto, praehabito voto Congregationis pro Doctrina Fidei ad eminentem doctrinam quod attinet, certa scientia ac matura deliberatione deque apostolicae potestatis plenitudine Sanctum Gregorium Narecensem, presbyterum et monachum, Ecclesiae universalis Doctorem declaramus. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”.

Haec edicimus et statuimus decernentes praesentes Litteras firmas, validas atque efficaces semper exstare ac permanere suosque plenos atque integros effectus sortiri et obtinere; sicque rite indicandum esse ac definiendum; irritumque ex nunc et inane fieri, si quidquam secus, super his, a quovis, auctoritate qualibet, scienter sive ignoranter attentari contigerit.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die duodecimo mensis Aprilis, Dominica II Paschae seu Divinae Misericordiae, anno Domini bismillesimo quinto decimo, Pontificatus Nostri tertio.

 






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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12/04/2015 13:27
 
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SANTA MESSA PER I FEDELI DI RITO ARMENO


Basilica Vaticana
II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), 12 aprile 2015

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL'INIZIO DELLA CELEBRAZIONE

Cari fratelli e sorelle armeni,
cari fratelli e sorelle!

In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.

Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”; «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9; Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia.
Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage” (cfr Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

Cari fedeli armeni, oggi ricordiamo con cuore trafitto dal dolore, ma colmo della speranza nel Signore Risorto, il centenario di quel tragico evento, di quell’immane e folle sterminio, che i vostri antenati hanno crudelmente patito. Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!

Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra testimonianza.

Saluto e ringrazio per la sua presenza il Signor Serž Sargsyan, Presidente della Repubblica di Armenia.

Saluto cordialmente anche i miei fratelli Patriarchi e Vescovi: Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni; Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia; Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici; e i due Catholicossati della Chiesa Apostolica Armena e il Patriarcato della Chiesa Armeno-Cattolica.

Con la ferma certezza che il male non proviene mai da Dio, infinitamente Buono, e radicati nella fede, professiamo che la crudeltà non può mai essere attribuita all’opera di Dio e, per di più, non deve assolutamente trovare nel suo Santo Nome alcuna giustificazione. Viviamo insieme questa Celebrazione fissando il nostro sguardo su Gesù Cristo Risorto, Vincitore della morte e del male!





OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO







 






San Giovanni, che era presente nel Cenacolo con gli altri discepoli quella sera del primo giorno dopo il sabato, riferisce che Gesù venne in mezzo a loro, disse: «Pace a voi!», e «mostrò loro le mani e il fianco» (20,19-20), mostrò le sue piaghe. Così essi riconobbero che non era una visione, era proprio Lui, il Signore, e furono pieni di gioia.

Otto giorni dopo Gesù venne di nuovo nel Cenacolo e mostrò le piaghe a Tommaso, perché le toccasse come lui voleva, per poter credere e diventare anch’egli un testimone della Risurrezione.

Anche a noi, oggi, in questa Domenica che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, il Signore mostra, mediante il Vangelo, le sue piaghe. Sono piaghe di misericordia. È vero: le piaghe di Gesù sono piaghe di misericordia. Nelle [loro] sue piaghe noi siamo stati guariti.

Gesù ci invita a guardare queste piaghe, ci invita a toccarle, come ha fatto con Tommaso, per guarire la nostra incredulità. Ci invita soprattutto ad entrare nel mistero di queste piaghe, che è il mistero del suo amore misericordioso.

Attraverso di esse, come in una breccia luminosa, noi possiamo vedere tutto il mistero di Cristo e di Dio: la sua Passione, la sua vita terrena – piena di compassione per i piccoli e i malati – la sua incarnazione nel grembo di Maria. E possiamo risalire a ritroso tutta la storia della salvezza: le profezie – specialmente quella del Servo di Jahweh –, i Salmi, la Legge e l’alleanza, fino alla liberazione dall’Egitto, alla prima pasqua e al sangue degli agnelli immolati; e ancora ai Patriarchi fino ad Abramo e poi nella notte dei tempi fino ad Abele e al suo sangue che grida dalla terra. Tutto questo possiamo vedere attraverso le piaghe di Gesù Crocifisso e Risorto, e come Maria nel Magnificat possiamo riconoscere che “la sua misericordia si stende di generazione in generazione” (cfrLc 1,50).

Di fronte agli eventi tragici della storia umana rimaniamo a volte come schiacciati, e ci domandiamo “perché?”. La malvagità umana può aprire nel mondo come delle voragini, dei grandi vuoti: vuoti di amore, vuoti di bene, vuoti di vita. E allora ci domandiamo: come possiamo colmare queste voragini? Per noi è impossibile; solo Dio può colmare questi vuoti che il male apre nei nostri cuori e nella nostra storia. È Gesù, fatto uomo e morto sulla croce, che colma l’abisso del peccato con l’abisso della sua misericordia.

San Bernardo, in un suo commento al Cantico dei Cantici (Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151), si sofferma proprio sul mistero delle piaghe del Signore, usando espressioni forti, audaci, che ci fa bene riprendere oggi. Dice che «attraverso le ferite del corpo si manifesta l’arcana carità del cuore [di Cristo], si fa palese il grande mistero dell’amore, si mostrano le viscere di misericordia del nostro Dio».

Ecco, fratelli e sorelle, la via che Dio ci ha aperto per uscire, finalmente, dalla schiavitù del male e della morte ed entrare nella terra della vita e della pace. Questa Via è Lui, è Gesù, Crocifisso e Risorto, e sono in particolare le sue piaghe piene di misericordia.

I Santi ci insegnano che il mondo si cambia a partire dalla conversione del proprio cuore, e questo avviene grazie alla misericordia di Dio. Per questo, sia davanti ai miei peccati sia davanti alle grandi tragedie del mondo, «la coscienza si turberà, ma non ne sarà scossa perché mi ricorderò delle ferite del Signore. Infatti “è stato trafitto per i nostri delitti” (Is 53,5). Che cosa vi è di tanto mortale che non possa essere disciolto dalla morte di Cristo?» (ibid.).

Tenendo lo sguardo rivolto alle piaghe di Gesù Risorto, possiamo cantare con la Chiesa: «Il suo amore è per sempre» (Sal 117,2); la sua misericordia è eterna. E con queste parole impresse nel cuore, camminiamo sulle strade della storia, con la mano nella mano del nostro Signore e Salvatore, nostra vita e nostra speranza.

 


 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ARMENI


 

Cari fratelli e sorelle armeni,

un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo (cfr Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Non vi è famiglia armena ancora oggi, che non abbia perduto in quell’evento qualcuno dei suoi cari: davvero fu quello il “Metz Yeghern”, il “Grande Male”, come avete chiamato quella tragedia. In questa ricorrenza provo un sentimento di forte vicinanza al vostro popolo e desidero unirmi spiritualmente alle preghiere che si levano dai vostri cuori, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità.

Ci è data un’occasione propizia di pregare insieme nell’odierna celebrazione, in cui proclamiamo Dottore della Chiesa san Gregorio di Narek. Esprimo viva gratitudine per la loro presenza a Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, a Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici.

San Gregorio di Narek, monaco del X secolo, più di ogni altro ha saputo esprimere la sensibilità del vostro popolo, dando voce al grido, che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio e aperta alla speranza del suo intervento salvifico, capace di trasformare ogni cosa. «In virtù della sua potenza, io credo con una speranza che non tentenna, in sicura attesa, rifugiandomi nelle mani del Potente ... di vedere Lui stesso, nella sua misericordia e tenerezza e nell’eredità dei Cieli» (San Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni, XII).

La vostra vocazione cristiana è assai antica e risale al 301, anno in cui san Gregorio l’Illuminatore guidò alla conversione e al battesimo l’Armenia, la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo. Quell’evento spirituale ha segnato in maniera indelebile il popolo armeno, la sua cultura e la sua storia, nelle quali il martirio occupa un posto preminente, come attesta in modo emblematico la testimonianza sacrificale di san Vardan e dei suoi compagni nel V secolo.

Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce (cfr Rm 8,31-39). Come ebbe a dirvi san Giovanni Paolo II: «La vostra storia di sofferenza e di martirio è una perla preziosa, di cui va fiera la Chiesa universale. La fede in Cristo, redentore dell’uomo, vi ha infuso un coraggio ammirevole nel cammino, spesso tanto simile a quello della croce, sul quale avete avanzato con determinazione, nel proposito di conservare la vostra identità di popolo e di credenti» (Omelia, 21 novembre 1987).

Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Il Papa Benedetto XV, che condannò come «inutile strage» la Prima Guerra Mondiale (AAS, IX [1917], 429), si prodigò fino all’ultimo per impedirlo, riprendendo gli sforzi di mediazione già compiuti dal Papa Leone XIII di fronte ai «funesti eventi» degli anni 1894-96. Egli scrisse per questo al sultano Maometto V, implorando che fossero risparmiati tanti innocenti (cfr Lettera del 10 settembre 1915) e fu ancora lui che, nel Concistoro Segreto del 6 dicembre 1915, affermò con vibrante sgomento: «Miserrima Armenorum gens ad interitum prope ducitur»,  (AAS, VII [1915], 510).

Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che offendono Dio e la dignità umana. Anche oggi, infatti, questi conflitti talvolta degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Tutti coloro che sono posti a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali sono chiamati ad opporsi a tali crimini con ferma responsabilità, senza cedere ad ambiguità e compromessi.

Questa dolorosa ricorrenza diventi per tutti motivo di riflessione umile e sincera e di apertura del cuore al perdono, che è fonte di pace e di rinnovata speranza. San Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembra pronunciare per noi parole profetiche: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile» (Libro delle Lamentazioni, LXXII). Quanto ci colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà! Come ci sentiamo piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: «Ricordati, [Signore,] … di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia (...) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (ibid., LXXXIII).

Dio conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh. Si tratta di popoli che, in passato, nonostante contrasti e tensioni, hanno vissuto lunghi periodi di pacifica convivenza, e persino nel turbine delle violenze hanno visto casi di solidarietà e di aiuto reciproco. Solo con questo spirito le nuove generazioni possono aprirsi a un futuro migliore e il sacrificio di molti può diventare seme di giustizia e di pace.

Per noi cristiani, questo sia soprattutto un tempo forte di preghiera, affinché il sangue versato, per la forza redentrice del sacrificio di Cristo, operi il prodigio della piena unità tra i suoi discepoli. In particolare rinsaldi i legami di fraterna amicizia che già uniscono la Chiesa Cattolica e la Chiesa Armena Apostolica. La testimonianza di tanti fratelli e sorelle che, inermi, hanno sacrificato la vita per la loro fede, accomuna le diverse confessioni: è l’ecumenismo del sangue, che condusse san Giovanni Paolo II a celebrare insieme, durante il Giubileo del 2000, tutti i martiri del XX secolo. Anche la celebrazione di oggi si colloca in questo contesto spirituale ed ecclesiale. A questo evento partecipano rappresentanze delle nostre due Chiese e si uniscono spiritualmente numerosi fedeli sparsi nel mondo, in un segno che riflette sulla terra la comunione perfetta che esiste tra gli spiriti beati del cielo. Con animo fraterno, assicuro la mia vicinanza in occasione della cerimonia di canonizzazione dei martiri della Chiesa Armena Apostolica, che avrà luogo il 23 aprile prossimo nella Cattedrale di Etchmiadzin, e alle commemorazioni che si terranno ad Antelias in luglio.

Affido alla Madre di Dio queste intenzioni con le parole di san Gregorio di Narek:

«O purezza delle Vergini, corifea dei beati,
Madre dell’edificio incrollabile della Chiesa,
Genitrice del Verbo immacolato di Dio,
(…)
rifugiandoci sotto le ali sconfinate di difesa della tua intercessione,
innalziamo le nostre mani verso di te,
e con indubitata speranza crediamo di essere salvati».
(Panegirico alla Vergine)

Dal Vaticano, 12 aprile 2015

Francesco


   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/04/2015 15:41
 
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  Il discorso di Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni


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In occasione della Santa Messa celebrata nella Basilica di San Pietro per i fedeli di Rito Armeno


Sua Santità e amato Fratello in Cristo,


Grazie alla volontà misericordiosa del Signore, abbiamo l’opportunità di visitare ancora una volta la città di Roma. Siamo venuti con il Presidente della Repubblica di Armenia, Serge Sargsyan, con il Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Aram I, con i Vescovi della Chiesa Armena e con i rappresentantidei fedeli armeni sparsi in tutto il mondo, portando nella nostra anima la gioia della Resurrezione, retaggio della nostra tradizione cristiana, per porgere alla Sua Santità i nostri saluti fraterni e i nostri migliori auguri, e per partecipare, con le nostre preghiere, alla Santa Messa celebrata nella Basilica di San Pietro in ricordo delle vittime del Genocidio Armeno.


Esprimiamo la profonda soddisfazione Nostra e del nostro popolo, per il conferimento da parte della Chiesa Cattolica del titolo di “Dottore della Chiesa” secondo la definizione della Chiesa Cattolica a San Gregorio di Narek, uno dei padri della Chiesa Armena, durante questa cerimonia che testimonia l’amicizia delle nostre due Chiese sorelle. Nel X secolo San Gregorio di Narek, maestro di preghiere e illuminatore dell'universo, rivolse ‘‘dal profondo del cuore colloquio con Dio’’ la preghiera di penitenza e di confessione di tutte le generazioni dell’umanità. Il santo monaco con il suo ‘Libro vivente’, adorato dal popolo armeno, indicò ai ‘‘peccatori e onesti, superbi e umili, buoni e cattivi (Parola 3) la via della salvezza per grazia di Cristo, guidando i devoti di tutti i tempi verso il Signore.


Il nostro popolo, che diede i natali a Gregorio di Narek, durante la sua storia, fu sottoposto a molte vicissitudini e affrontò parecchie tentazioni in nome della sua fede e della sua identità.


Un secolo fa, la Turchia ottomana perpetrò il genocidio del nostro popolo. Secondo un piano premeditato, un milione e mezzo di Armeni furono sterminati con una crudeltà indicibile. Il nostro popolo antico fu sradicato dalla sua culla, dalla sua Patria storica e si disperse nel mondo. Il nostro patrimonio cristiano secolare fu demolito, distrutto e saccheggiato.


Pero, né la sofferenza, né le persecuzioni scossero il nostro popolo che accettò di morire piuttosto che ripudiare la propria Santa Fede e la propria nazione.


Oggi appare davanti ai nostri occhi la grandezza della bravura spirituale di fronte al martirio che la nostra nazione manifestò, proclamando di nuovo la formula dell’identità stabilita ancora nel V secolo, e ricordando di possedere la cristianità non come un abito, ma come colore della nostra pelle. (Storico Eghishe).


Con la caritatevole misericordia del Signore, il nostro popolo, dopo parecchie atrocità e privazioni, raddrizzò la propria schiena, portando avanti una nuova vita nelle comunità della Diaspora e sotto l’egida dello Stato ristabilito nella parte orientale dell’Armenia. Il nostro popolo segui il suo percorso di recupero con uno straordinario coraggio nell’affrontare le numerose privazioni e le difficoltà. E anche oggi la nostra nazione vive nel blocco delle frontiere imposte da parte di Turchia e dall'Azerbaijan, lotta per la vita libera in Nagorno-Karabakh, continua a impegnarsi per il riconoscimento del Genocidio degli Armeni e rivendica il diritto alla memoria, alla verità storica. All’epoca, l’umanità non riuscì a impedire il Genocidio degli Armeni, di sopprimere le conseguenze e fu il testimone dell’Olocausto, dei genocidi di Cambogia, di Ruanda, di Darfur e altri.


Ancora oggi l’umanità e le singole nazioni, a causa dei conflitti armati, delle guerre e degli atti di terrorismo, vive in privazioni e in difficoltà e paga per la sua fede versando il proprio sangue. Noi siamo convinti che il riconoscimento universale del Genocidio degli Armeni, come un esempio importante di realizzazione della giustizia, della protezione dei diritti umani, contribuirà alla creazione di un mondo più sicuro e legittimo.


In questo senso il 100anniversario del Genocidio degli Armeni è un potente richiamo al mondo a non essere indifferenti di fronte ai patimenti e ai martiri odierni e a fare più sforzi per fermare le aggressioni ingiuste e per prevenire le violenze che temprano la gente nella sofferenza. Ecco il frutto che deve germogliaredalla radice del martirio.


Durante questa Santa Messa, offerta in occasione del Centenario del Genocidio Armeno, in ricordo delle anime per le nostre vittime innocenti, noi ricordiamo i Venerandi Predecessori di Sua Santità, Papa Benedetto XV, che fece sentire la sua voce di protesta riguardante il Genocidio degli Armeni, e il Santo Papa Giovanni Paolo II, che nel 2001, con una dichiarazione congiunta, riconobbe e condannò il Genocidio degli Armeni. A questo riguardo la pubblicazione deidocumenti inediti, custoditi negli Archivi Vaticani è di grande importanza.


Il nostro popolo esprime la sua profonda gratitudine alle nazioni, organizzazioni e individui che ebbero il coraggio e la convinzione di non solo riconoscere e condannare ad alta voce il genocidio armeno, ma anche di realizzare missioni umanitarie, prendendo cura degli orfani, dando rifugio ai sopravvissuti e aiutandoli a superare parecchie difficoltà.


Il 23 Aprile 2015, in occasione del 100º anniversario del genocidio degli Armeni, in Santa Sede di Etchmiadzin, con la partecipazione orante delle nostre Chiese sorelle, inclusi irappresentanti di Sua Santità, illustri ospiti e fedeli armeni di tutto il mondo, sarà annunciata la canonizzazione di innumerevoli vittime del genocidio che scelserola corona delmartirio in nome della propria fede e della propria patria. Chiederemo l’intercessione di questi nostri santi martiri che aderiscano all’esercito delle schiere celesti, affinché la pace divina propaghi sulla vita umana e che le tragedie del genocidio non abbiano più luogo nel mondo.


Amato Fratello in Cristo, condividiamo la Sua opinione che il martirio non conosce differenze confessionali. Infatti, i martiri ci uniscono come figli e servitori di un unico Signore Gesù Cristo affinché impariamo e ci impegniamo a stabilire l’amore, la giustizia, la pace nel mondo e ad avviare un dialogo tra le religioni e le civiltà come ci insegna il messaggio scritturale: Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci a carità e a buone opere (Ebrei 10:24).


Ci auguriamo che la nostra preghiera e le nostre suppliche rivolte al cielo, da questa Sacra Basilica di San Pietro, siano udite dal Nostro Padre e la Sua grazia e la Sua benedizione sostengano i nostri sforzi per il nostro cammino nell’instaurazione della pace nel mondo. Preghiamo Dio per il benessere della Sua Santità, per la prosperità della Chiesa Cattolica e chiediamo che la misericordia, l'amore e le grazie di Dio siano con noi e con tutti,invocando le parole esternate dal cuoredi San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa e l'Illuminatore dell'Universo :


"Tu che sei potente per trovare tutte le soluzioni necessarie,


donami uno spirito di salvezza,


una destra di protezione,


una mano caritatevole,


un ordine di bontà,


una luce di misericordia,


una parola di rinnovamento,


un motivo di perdono,


un bastone di aiuto per conservare la vita.


Perché Tu sei speranza di rifugio, oh Signore Gesù Cristo,


benedetto con il Padre per il Tuo Spirito Santo


nei secoli dei secoli.” ( Gregorio di Narek, Parola 59)


Amen


   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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16/05/2015 21:10
 
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il video della Messa, da non perdere.....

www.youtube.com/watch?v=OYCQZVIDAx8








[SM=g1740733]


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