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Quando e come un Papa favorisce l'eresia .....

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2016 23:30
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29/03/2016 20:51
 
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LUNEDÌ 28 MARZO 2016

La rivoluzione pastorale

A quanto è stato riferito, il 19 marzo scorso il Papa avrebbe firmato l’esortazione apostolica post-sinodale contenente i risultati degli ultimi due Sinodi dei Vescovi: la III assemblea generale straordinaria su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” (5-19 ottobre 2014) e la XIV assemblea generale ordinaria su “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” (4-25 ottobre 2015). La pubblicazione è attesa per la metà di aprile.

 

Il 14 marzo il Card. Walter Kasper, nel corso di una conferenza tenuta a Lucca, ha annunciato: «Tra pochi giorni uscirà un documento di circa duecento pagine in cui Papa Francesco si esprimerà definitivamente sui temi della famiglia affrontati durante lo scorso sinodo e in particolare sulla partecipazione dei fedeli divorziati e risposati alla vita attiva della comunità cattolica. Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». A leggere questo annuncio bomba del Cardinale tedesco, sembrerebbe di capire che l’esortazione apostolica costituirà uno “strappo” alla tradizione in materia di matrimonio e famiglia.
 
 
Il 19 marzo, vale a dire il giorno stesso della presunta firma del documento, il Prof. Alberto Melloni ha pubblicato su Repubblica un editorialesull’argomento. L’esponente della “Scuola di Bologna” sembrerebbe rassicurarci: «Nessuna spaccatura. Ma una sintesi, tra rigoristi e progressisti. Francesco disorienta ancora una volta chi sperava di “incastrarlo” nel dibattito sinodale sulla famiglia e sulla comunione ai divorziati. O chi pensava di mettere in contraddizione, dentro il sinodo e nella platea dei fedeli, la supposta rigidità di una “dottrina” con una “apertura” che il Papa sintetizza nell’espressione “misericordia”. L’Esortazione post-sinodale su cui oggi Francesco apporrà la sua firma, conterrà proprio questa combinazione di elementi. E l’operazione di chi puntava su uno strappo è clamorosamente fallita». 
Si potrebbe eccepire: ma il Prof. Melloni che ne sa? Ma lasciamo perdere: da che mondo è mondo, c’è sempre stato qualcuno che, senza averne i titoli, risulta piú informato degli altri. Limitiamoci alle sue affermazioni, che sembrano fondarsi su una conoscenza non approssimativa del documento papale: non ci sarà alcuna rottura, ma ci troveremo di fronte a una superiore sintesi fra le diverse posizioni. Ah, beh, beh! Possiamo tirare un sospiro di sollievo: la rivoluzione è rimandata.
 
Se però proseguiamo nella lettura, il Professore aggiunge: «Il Pontefice, coerentemente con la riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale che è al cuore del concilio Vaticano II, pensa che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una ideologia. E che una “apertura” che non abbia la pretesa di dire la verità che è la persona di Gesú Cristo, sia solo una operazione di marketing. Ha allora superato lo scoglio chiamando a responsabilità i vescovi a cui restituisce poteri effettivi, segnando, come ha detto il cardinale Kasper, una vera e propria “rivoluzione”». 
Sembrava che Melloni prendesse le distanze dalle anticipazioni di Kasper, e invece ecco che le conferma, arrivando al punto di parlare di una vera e propria “rivoluzione”. Sembrerebbe di capire che la rivoluzione consista nel restituire ai Vescovi “poteri effettivi”. Che significa? Che sulla questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla comunione saranno i singoli Vescovi a decidere? 
È possibile; ma ciò non giustifica la frase del Cardinale: «Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». 
Perché proprio millesettecento anni? Forse che millesettecento anni fa erano stati tolti ai Vescovi “poteri effettivi”? Non mi risulta. Se sottraiamo a 2016 millesettecento, otterremo 316, una data non particolarmente significativa. Nel 313 c’era stato l’Editto di Milano. Ma allora che voleva dire Kasper? Che finalmente è terminata l’era costantiniana? Non vedo che cosa c’entri. O non sarà forse un riferimento al 325, anno in cui si svolse il primo concilio ecumenico, quello di Nicea? Sí, ma che c’entra?
 
Rileggiamo con attenzione l’inizio del secondo paragrafo dell’editoriale del Prof. Melloni: «Il Pontefice, coerentemente con la riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale che è al cuore del concilio Vaticano II...». Ah, ecco, abbiamo forse trovato il bandolo della matassa: il Professore fa riferimento al Concilio e alla sua pretesa “riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale”. 
Il Vaticano II è stato il primo concilio pastorale della Chiesa; fino ad allora i concili erano stati o dottrinali o disciplinari. Certamente il primo di essi, il Concilio di Nicea, fu un concilio dottrinale. Ecco allora che si incomincia a capire perché dopo millesettecento anni la Chiesa volterà pagina: perché finalmente abbandonerà l’attitudine dottrinale, assunta a Nicea, per assumerne una nuova, completamente pastorale. Sí, ma questa svolta non era già avvenuta cinquanta anni fa, appunto con la celebrazione del primo concilio pastorale? No, perché quello fu solo un tentativo. Fallito. Si voleva fare un nuovo tipo di concilio, pastorale appunto, per rompere con la tradizione plurisecolare della Chiesa; Papa Giovanni, ingenuamente, senza rendersi conto della manovra, abboccò; ma provvidenza volle che non potesse portare a termine il Concilio; il testimone passò a Paolo VI, il quale, senza sconfessarne l’iniziale fisionomia pastorale, diede al Concilio una chiara impronta dottrinale, seppure un po’ sui generis
 
La svolta, che doveva avvenire — ma non avvenne — cinquant’anni fa, a quanto pare, si realizzerà con l’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco: al centro di essa evidentemente non saranno piú le questioni dottrinali, come era avvenuto finora, ma esclusivamente l’attenzione, tutta pastorale, per la situazione concreta in cui si trovano gli uomini del nostro tempo. Se cosí è, si può parlare di una vera e propria “rivoluzione”? Sarebbe una rivoluzione se si manomettesse la dottrina; ma, visto che la dottrina non viene toccata, che male c’è a fissare l’attenzione sui problemi concreti della vita di ogni giorno?
 
E invece si tratta proprio di una rivoluzione, perché non tocca questo o quel punto della dottrina (in tal caso sarebbe, semplicemente, un’eresia), ma consiste in un cambio radicale di atteggiamento, di prospettiva: una vera e propria “rivoluzione copernicana”. È vero che la dottrina non viene toccata; ma semplicemente perché non interessa piú: è inutile; peggio, dannosa. 
Avete sentito il Prof. Melloni: «Il Pontefice … pensa che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una ideologia». La dottrina è tendenzialmente ideologica; la dottrina divide, provoca le guerre di religione; la dottrina è l’arma di cui si servono i dottori della legge, gli scribi e i farisei per giudicare e condannare. Meglio dunque preoccuparsi della vita concreta, incontrare le persone nella loro condizione reale, cercare ciò che unisce, collaborare con tutti, a prescindere dalle differenze che ci distinguono. Questo atteggiamento può essere definito, appunto, “pastorale”. 
 
Bisognerebbe che qualcuno, prima o poi, si decidesse a fare la storia di questo nuovo orientamento della Chiesa. Giustamente Mons. Brunero Gherardini, nella sua conferenza al convegno sul Vaticano II (16-18 dicembre 2010), paragona la pastorale all’Araba Fenice (“che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”), ma poi non ricostruisce l’origine e il successivo sviluppo storico del nuovo approccio pastorale della Chiesa. A me sembra, ma potrei sbagliarmi, che esso sia in qualche modo connesso con l’influsso della filosofia moderna sulla teologia cattolica, in modo particolare da parte dell’idealismo e del marxismo. 

Questo è particolarmente evidente nella teologia della liberazione e nella teologia politica, dove viene chiaramente dichiarato il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia (su tale contrapposizione si vedano l’istruzione della CDF su alcuni aspetti della “teologia della liberazione” Libertatis nuntius del 6 agosto 1984, parte X, n. 3, e la conferenza del Card. Joseph Ratzinger tenuta in Messico nel maggio 1996, in particolare il quinto paragrafo); ma potrebbe aver determinato anche il nuovo orientamento pastorale. L’argomento, ovviamente, andrebbe approfondito. In ogni caso, un dato è certo: non ci troviamo di fronte a un atteggiamento ideologicamente neutro e spiritualmente innocuo; esso è portatore di una carica fortemente ideologica. La dottrina può, certo, trasformarsi in ideologia (quando, da descrizione oggettiva della realtà, quale dovrebbe essere, si risolve in teoria astratta che tenta di imporsi alla realtà); il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia è, in sé, ideologia allo stato puro.
 
Non sta a me emettere giudizi, ma ho l’impressione che ci troviamo di fronte all’ultimo tentativo di assalto alla Chiesa da parte del modernismo. Finora il modernismo non era riuscito a imporsi, perché si era sempre mosso su un piano dottrinale, e su questo piano risultava relativamente facile alla Chiesa individuare le eresie e condannarle. Ecco allora che, nel corso del Novecento, il modernismo ha cambiato strategia (evolvendosi cosí in “neomodernismo”): se continuiamo ad attaccare la dottrina, non andremo da nessuna parte; la dottrina lasciamola cosí com’è; semplicemente, ignoriamola; perseguiamo i nostri obiettivi percorrendo un’altra strada, la via pastorale. Per motivi pastorali, è possibile fare tutto ciò che la dottrina proibisce. Una volta ammesso ciò che finora era proibito, a poco a poco, diventerà scontato e pacificamente accettato da tutti; la dottrina rimarrà un’anticaglia del passato, da conservare in museo, sotto una campana di vetro. E la rivoluzione è fatta. Senza spargimento di sangue.
 

 


Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai

Prima Francesco e poi padre Lombardi hanno ridetto per l'ennesima volta che papa Montini permise a quelle suore di prendere la pillola anticoncezionale. Ma è falso. Ecco come è nata quella leggenda metropolitana. E qual è il vero stato della questione....


di Sandro Magister




ROMA, 24 febbraio 2016 – Nella pirotecnica conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico a Roma, papa Francesco ha tra l'altro ritirato fuori la storia che "Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza".

Ed ha aggiunto che "evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del beato Paolo VI, [ciò] era chiaro":

Due giorni dopo, anche padre Federico Lombardi ha ritirato fuori la stessa storia, in un'intervista alla Radio Vaticana fatta con l'intento di raddrizzare ciò che era andato storto nelle dichiarazioni del papa riprese dai media, che sul via libera agli anticoncezionali avevano già cantato vittoria:

"Il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il papa. […] L’esempio che [Francesco] ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione".

Ora, che Paolo VI abbia esplicitamente dato quel permesso non risulta per niente. Nessuno è mai stato in grado di citare una sola sua parola in proposito.

Eppure questa leggenda metropolitana continua a stare in piedi da decenni, e puntualmente ci sono cascati anche Francesco e il suo portavoce.

Per ricostruire come è nata questa storia bisogna riandare non al pontificato di Paolo VI ma a quello del suo predecessore Giovanni XXIII.

Era il 1961, e la questione se fosse lecito che delle suore in pericolo d'essere violentate ricorressero a degli anticoncezionali, in una situazione di guerra come quella che imperversava allora in Congo, fu sottoposta a tre autorevoli teologi moralisti:

- Pietro Palazzini, all'epoca segretario della sacra congregazione del concilio e in seguito fatto cardinale;
- Francesco Hürth, gesuita, professore alla Pontificia Università Gregoriana;
- Ferdinando Lambruschini, professore alla Pontificia Università del Laterano, in seguito arcivescovo di Perugia.

I tre formularono assieme i rispettivi pareri in un articolo sulla rivista di area Opus Dei "Studi Cattolici", numero 27, 1961, pp. 62-72, sotto il titolo: "Una donna domanda: come negarsi alla violenza? Morale esemplificata. Un dibattito".

I tre erano tutti favorevoli ad ammettere la liceità di quell'atto, sia pure con argomenti tra loro diversi. E questo parere favorevole non solo passò indenne al vaglio tutt'altro che remissivo del Sant'Uffizio, ma divenne dottrina comune tra i moralisti cattolici di ogni scuola.

Nel 1968 Paolo VI pubblicò l'enciclica "Humanae vitae", che condannò come "intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione".

E questa condanna sarebbe poi entrata nel 1997, con le stesse parole, nel Catechismo della Chiesa cattolica.

Ma anche dopo la "Humanae vitae" la liceità del comportamento delle suore congolesi continuò ad essere pacificamente ammessa, senza che Paolo VI e i suoi successori dicessero alcunché.

Anzi, nel 1993, regnante Giovanni Paolo II, la questione tornò di nuovo sotto i riflettori, questa volta a motivo della guerra non in Congo ma in Bosnia.

Il teologo moralista che quell'anno si fece autorevole portavoce della dottrina comune favorevole alla liceità fu il gesuita Giacomo Perico, con un articolo sulla rivista "La Civiltà Cattolica" stampata con l'imprimatur delle autorità vaticane, col titolo: "Stupro, aborto e anticoncezionali".

In realtà la controversia tra i moralisti, da allora fino a oggi, non riguarda la liceità dell'atto in questione, ma i fondamenti di tale liceità.

C'è chi ritiene la liceità di questo atto una "eccezione", alla quale se ne potrebbero quindi affiancare altre, valutate caso per caso, invalidando con ciò la qualifica di "intrinsecamente cattiva" – e quindi senza eccezione alcuna – applicata dalla "Humanae vitae" alla contraccezione.

E c'è invece chi ritiene l'atto delle suore congolesi o bosniache un atto di legittima difesa dagli effetti di un atto di violenza che non ha niente a che vedere con l'atto coniugale libero e volontario dal quale si voglia escludere la procreazione, sul quale e soltanto sul quale cade la condanna – senza eccezioni di sorta – della "Humanae vitae".

Lo studioso che più nitidamente ha ricostruito lo scontro tra queste due correnti è Martin Rhonheimer, professore di etica e filosofia politica alla Pontificia Università della Santa Croce, nel volume "Ethics of Procreation and the Defense of Human Life", The Catholic University of America Press, Washington, 2010, alle pagine 133-150, che a loro volta riproducono un suo precedente saggio pubblicato nel 1995 su "La Scuola Cattolica", la rivista della facoltà teologica di Milano, e nel 2007 sul "Josephinum Journal of Theology":

> The Use of Contraceptives Under Threat of Rape: An Exception?

A giudizio di Rhonheimer è la seconda tesi la più fedele al magistero della Chiesa, mentre la prima, tipicamente casuistica e "proporzionalista", offre il fianco alle critiche della "Veritatis splendor", l'enciclica di Giovanni Paolo II sulla teologia morale.

Ma curiosamente, è proprio verso questa prima tesi che sembrano pendere – con il presunto conforto di Paolo VI – sia papa Francesco nella conferenza stampa volante del 17 febbraio, sia ancor di più padre Lombardi nell'intervista del 19 alla Radio Vaticana.

L'uno e l'altro, infatti, distinguono tra l'aborto, male assoluto che non ammette eccezione alcuna, e la contraccezione, che invece – dicono – "non è un male assoluto" ma "un male minore" e quindi può essere consentita in "casi di emergenza o situazioni particolari".

Padre Lombardi cita come un altro di questi casi ammessi l'uso del preservativo in situazioni di rischio di contagio, preso in esame da Benedetto XVI nel suo libro-intervista "Luce del mondo" del 2010.

Ma appunto, riduce anche questo a un caso d'eccezione. Ignorando la nota chiarificatrice – di tutt'altro segno – che la congregazione per la dottrina della fede, dando voce a papa Benedetto, diffuse il 22 dicembre 2010 riguardo alle polemiche esplose a seguito di quel libro.

__________


La conferenza stampa di papa Francesco sul volo di ritorno dal Messico a Roma:

> Conferenza stampa del Santo Padre, 17 febbraio 2016

L'intervista di padre Federico Lombardi alla Radio Vaticana del 19 febbraio 2016:

> P. Lombardi commenta i temi affrontati dal papa con i giornalisti

La nota della congregazione per la dottrina della fede del 22 dicembre 2010, a proposito delle polemiche sull'uso del preservativo seguite al libro-intervista di Benedetto XVI "Luce del mondo":

> Nota sulla banalizzazione della sessualità

Le battute finali di quella polemica, con i rimandi a tutti i suoi precedenti momenti:

> Il professor Rhonheimer scrive. E il Sant'Uffizio gli dà ragione (22.12.2010)

__________


La presente nota è uscita inizialmente, nella sola lingua italiana, sul blog "Settimo Cielo":

> Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai

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[Modificato da Caterina63 02/04/2016 12:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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