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La falsa teologia dell'uomo di oggi

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2017 16:13
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31/10/2015 12:25
 
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  Réginald Garrigou-Lagrange. Dove va la Nuova Teologia? Ritorna al modernismo

 
Laudetur Jesus Christus!

Continuiamo ad approfondire i prodromi di ciò che il concilio Vaticano II ha traghettato e di cui oggi,  nella temperie in cui siamo, subiamo le conseguenze. Per questo riproponiamo l’importante testo di R. Garrigou-Lagrange pubblicato mesi fa nell’originale francese con le “note di commento” in italiano di P. Pasqualucci [qui].

L’attualità dell’articolo dell’insigne teologo ci sembra fuori discussione, così come la sua capacità di fornire utilissimi spunti di riflessione. Lo riproponiamo pertanto in versione italiana, effettuata ad opera della nostra Redazione. Le “note di commento” sono state riviste e modificate dall’Autore, in particolare la n. 4. È stata aggiunta una “nota” interamente nuova, la n. 7, dedicata alla confutazione di chi vuol negare il concetto dellasostanza per poter poi respingere il dogma della transustanziazione. Tema particolarmente cogente, oggi.

Richiamo, in particolare l'attenzione sulle preziose "note di commento" di Paolo Pasqualucci nonché sulla peculiarità dell'apporto del suo approccio interdisciplinare. Egli non esita ad affrontare anche gli aspetti della fisica moderna che possono aiutarci nella comprensione delle idee e teorie sviluppatesi e dunque della realtà che veicolano, per meglio conoscere la Realtà, quella vera.


GARRIGOU-LAGRANGE, Réginald:
Dove va la Nuova Teologia? Ritorna al modernismo
Redazione e “Note di commento” di Paolo Pasqualucci

* * *
 
In un recente libro di Padre Henri Bouillard, Conversion et grâce chez saint Thomas d’Aquin, 1944, p. 219, si legge: “Quando lo spirito evolve, una verità immutabile si mantiene solo grazie a un’evoluzione simultanea e correlativa di tutte le nozioni, che preservi lo stesso rapporto tra di esse. Una teologia non attuale sarebbe una falsa teologia”[1].
Ora, nelle pagine precedenti e in quelle successive sostiene che la teologia di San Tommaso, in molte delle sue parti importanti, non è più attuale. Per esempio, San Tommaso ha concepito la grazia santificante come una forma (principio radicale di operazioni sovrannaturali che hanno come principio  prossimo le virtù infuse e i sette doni): “I concetti utilizzati da San Tommaso non sono altro che concetti  aristotelici applicati alla teologia” (Ibid., p. 213 ss.).

Qual è la conseguenza? “Rinunciando alla Fisica aristotelica, il pensiero moderno ha abbandonato i concetti, gli schemi, le opposizioni dialettiche che avevano senso solamente in funzione di essa” (p. 224). Esso ha dunque abbandonato la nozione di forma.
Come potrà evitare il lettore di concludere che la teologia di San Tommaso non essendo più attuale, sia una falsa teologia?

Ma allora, come mai i Papi ci hanno raccomandato così spesso di seguire la dottrina di San Tommaso? Come afferma la Chiesa nel Codice di Diritto Canonico, [del 1917], can. 1366, n. 2: “Philosophiae rationalis ac theologiae studia et alumnorum in his disciplinis institutionem professores omnino pertractent ad Angelici Doctoris rationem, doctrina, et principia, eaque sancte teneant”a.
Inoltre, com’è possibile che “una verità immutabile” sussista, se i due concetti che essa unisce con il verbo essere sono essenzialmente mutevoli?
 
Un rapporto immutabile è concepibile solamente se vi è qualcosa d’immutabile nei due termini che esso raccorda. Altrimenti, sarebbe come affermare che una gabbia di ferro possa immobilizzare le onde del mare.
 
Indubbiamente, i due concetti che vengono uniti in un’affermazione immutabile vengono in primo luogo confusi e poi distinti, come il concetto di natura, di persona, di sostanza, di accidente, di transustanziazione, di presenza reale, di peccato, di peccato originale, di grazia, etc. Ma se nella loro essenza fondamentale questi concetti non fossero immutabili, come potrebbe essere immutabile l’affermazione che li unisce tramite il verbo essere? Come si potrebbe sostenere che la presenza reale della sostanza del Corpo di Cristo nell’Eucaristia richieda la transustanziazione, se tali concetti fossero essenzialmente mutevoli? Come si potrebbe sostenere che il peccato originale che è in noi dipende da una colpa volontaria del primo uomo, se il concetto di peccato originale fosse essenzialmente instabile?
Come si potrebbe sostenere che il giudizio particolare dopo la morte sia irrevocabile per l’eternità, se tali concetti sono destinati a cambiare? E infine, come si può sostenere che tutte queste proposizioni siano immutabilmente vere, se la stessa nozione di verità dovesse cambiare, e se fosse necessario sostituire la definizione tradizionale della verità (la conformità del giudizio alla realtà extramentale e alle sue leggi immutabili) con quella proposta negli ultimi anni dalla filosofia dell’azione: la conformità del giudizio con le esigenze dell’azione o della vita umana che evolve continuamente?

* * *

1. Le stesse formule dogmatiche conservano la loro immutabilità?

Il padre H. Bouillard, op. cit., p. 221, replica: l’affermazione che si esprime in esse rimane. Ma aggiunge, ibid.: “Probabilmente ci si chiederà forse se sia ancóra possibile considerare contingenti i concetti implicati nelle definizioni conciliari. Ciò non significherebbe forse compromettere il carattere irrevocabile di tali definizioni? Il Concilio di Trento, sess. 6, cap. 7, can. 10, per esempio, ha impiegato il concetto di causa formale nel suo insegnamento sulla giustificazione. Per questo stesso fatto, esso non ha forse consacrato questo uso e conferito al concetto di grazia formale un carattere definitivo? Niente affatto. Non era certamente intenzione del Concilio quella di canonizzare un concetto aristotelico, e nemmeno un concetto teologico concepito sotto l’influsso di Aristotele. Esso voleva semplicemente affermare, contro i protestanti, che la giustificazione è un rinnovamente interiore… A questo scopo ha utilizzato dei concetti comuni nella teologia del tempo.Ma essi possono essere sostituiti con altri, senza modificare il senso del suo insegnamento”. (Il corsivo è nostro.)
 
Indubbiamente il Concilio non ha canonizzato il concetto aristotelico di forma insieme a tutte le sue relazioni con gli altri concetti dello Stagirita. Ma l’ha approvata come un concetto umano stabile, nel senso in cui tutti definiscono ciò che costituisce formalmente una cosa (in questo caso la giustificazione)[2]. In questo senso, esso distingue la grazia santificante dalla grazia attuale, affermando che essa è un dono sovrannaturale, infuso, inerente all’anima e tramite il quale l’uomo è formalmente giustificato (cfr. Denzinger, 799, 821). Se i Concili definiscono la fede, la speranza, la carità come virtù infuse permanenti, il loro principio radicale (la grazia abituale o santificante) dev’essere anch’esso un dono infuso permanente, e pertanto distinto dalla grazia attuale o da una mozione divina transitoria.
 
Come si può sostenere il senso di questo insegnamento del Concilio di Trento: “la grazia santificante è la causa formale della giustificazione”, se “si sostituisce il concetto di causa formalecon un altro”? Non dico “se lo si sostituisce con un equivalente verbale”; dico, seguendo il ragionamento del padre H. Bouillard, “se lo si sostituisce con un altro”.
Se è un altro, non è più il concetto di causa formale: quindi, non è più vera l’affermazione del Concilio: “la grazia santificante è la causa formale della giustificazione”. Bisogna accontentarsi di dire: la grazia è stata concepita all’epoca del Concilio di Trento come causa formale della giustificazione, ma oggi è necessario concepirla diversamente; questo concetto passato non è più attuale e quindi non è più vero, perché una dottrina che non è più attuale, si è detto, è una falsa dottrina[3].
 
Si ribatterà: si può sostituire il concetto di causa formale con un altro equivalente. Qui si gioca con le parole (insistendo in un primo momento su un altro e poi su equivalente), dal momento che non si tratta solamente di equivalenza verbale, ma di un altro concetto. Cosa diventa, in tal modo, il concetto stesso di verità?[4]
 
Dunque si riaffaccia di nuovo una questione molto grave: la proposizione conciliare è mantenuta come vera “per conformitatem cum ente extramentali et legibus eius immutabilibus, an per conformitatem cum exigentia vitae humanae quae semper evolvitur”b?
 
È palese il pericolo insito nella nuova definizione della verità, non più adaequatio rei et intellectus, ma conformitas mentis et vitae. Quando Blondel, nel 1906, propose questa sostituzione, non ne aveva previsto tutte le conseguenze nel campo della fede. Con tutta probabilità, egli stesso ne sarà stato successivamente spaventato, o per lo meno molto turbato[5]. A quale vita ci si riferisce in questa definizione: “conformitas mentis et vitae”? Alla vita umana. E come evitare la proposizione modernista: “Veritas non est immutabilis plusquam ipse homo, quippe quae cum ipso, in ipso et per ipsum evolvitur”c (Denz. 2058)? Si comprenderà ora perché Pio X abbia detto a proposito dei modernisti: “aeternam veritatis notionem pervertuntd (Denz. 2080).

È molto pericoloso affermare: “i concetti cambiano, le affermazioni restano”. Se il concetto stesso di verità cambia, le affermazioni non rimangono più vere allo stesso modo, né mantengono lo stesso senso. Quindi il significato di ciò che è stabilito nei Concili non è più conservato, come si pretende.
Disgraziatamente, la nuova definizione della verità si diffonde tra quanti dimenticano ciò che aveva detto Pio X: “Magistros autem monemus, ut rite hoc teneant Aquinatem vel parum deserere,praesertim in re metaphysica, non sine magno detrimento esse. Parvus error in principio, sic verbis ipsius Aquinatis licet uti, est magnus in finee. (Enc. Pascendi.)
A maggior ragione se si disprezza ogni metafisica, ogni ontologia, e se si tende a sostituire la filosofia dell’essere con quella del fenomeno, o con quella del divenire, o con quella dell’azione.

Quella che si può trovare nella nuova definizione della teologia non è forse una nuova definizione della verità: “La teologia non è nient’altro che una spiritualità o un’esperienza religiosa che ha trovato la sua espressione intellettuale”? Cosa dovremmo dunque pensare di affermazioni come la seguente: “Se la teologia ci può aiutare a comprendere la spiritualità, quest’ultima a sua volta sconvolgerà in molti casi i nostri quadri teologici, e ci costringerà a concepire diversi tipi di teologia... Ad ogni grande spiritualità è sempre corrisposta una grande teologia”. Ciò vuol forse dire che due teologie possono essere vere, anche se si oppongono contraddicendosi sulle loro tesi capitali? Si risponderà di no, se si conserva la definizione tradizionale della verità. Si risponderà di sì, se si adotta la nuova definizione del vero concepito non in rapporto all’essere e alle sue leggi immutabili, ma in rapporto a differenti esperienze religiose. Ciò ci avvicina singolarmente al modernismo.

Si ricorderà che il 1º dicembre 1924 il Sant’Uffizio condannò dodici proposizioni estratte dalla filosofia dell’azione [di Blondel]; tra di esse era inclusa, al n. 5, la nuova definizione della verità: “Veritas non invenitur in ullo actu particulari intellectus in quo haberetur conformitas cum obiecto, ut aiunt scholastici, sed veritas est semper in fieri, consistitque in adaequatione progressiva intellectus et vitae, scil. in motu quodam perpetuo, quo intellectus evolvere et explicare nititur id quod parit experientia vel exigit actio: ea tamen lege ut in toto progressu nihil unquam ratum fixumque habeatur”f. L’ultima di queste proposizioni condannate è la seguente: “Etiam post fidem conceptam, homo non debet quiescere in dogmatibus religionis, eisque fixe et immobiliter adherere, sed semper anxius manere progrediendi ad ulteriorem veritatem, nempeevolvendo in novos sensus, immo et corrigendo et quod credit”g[6] .
Molti ritornano oggi a questi errori, senza alcuna cautela.

Ma allora, come si può sostenere che la grazia santificante sia essenzialmente soprannaturale, gratuita, per nulla dovuta alla natura umana o a quella angelica?
Ciò è ben chiaro per San Tommaso, che alla luce della Rivelazione ammette questo principio: le facoltà, gli “habitus” e i loro atti sono specificati dal loro oggetto formale: ora, l’oggetto formale dell’intelligenza umana e persino quello dell’intelligenza angelica sono immensamente inferiori all’oggetto proprio dell’intelligenza divina: la Divinità o la vita intima di Dio (cf. Iª, q. 12, a. 4). Ma se si trascura ogni metafisica per accontentarsi dell’erudizione storica e dell’introspezione psicologica, il testo di San Tommaso diviene incomprensibile[7]. Da questo punto di vista, cosa si potrà conservare della dottrina tradizionale sulla distinzione non contingente ma necessariadell’ordine della grazia e di quello della natura?

Su questo soggetto, nel recente libro del padre H. de Lubac [1896-1991], Surnaturel (Études historiques), 1946, p. 164, a proposito della probabile impeccabilità degli angeli nell’ordine naturale[8], si legge: “Niente annuncia in San Tommaso la distinzione che forgerà più tardi un certo numero di teologi tomisti, tra ‘Dio autore dell’ordine naturale’ e ‘Dio autore dell’ordine sovrannaturale’... come se la beatitudine naturale... dovesse risultare, nel caso degli angeli, da un’attività infallibile, impeccabile”. Item, p. 275.

Al contrario, san Tommaso distingue spesso il fine ultimo sovrannaturale dal fine ultimo naturale, e per quanto riguarda il demonio afferma, De malo, q. 16, a. 3: “Peccatum diaboli non fuit in aliquo quod pertinet ad ordinem naturalem, sed secundum aliquid supernaturale”hItem, Iª, q. 63, a. 1, ad 3.
In questa maniera, si arriva a disinteressarsi completamente delle pronunciata maiora della dottrina filosofica di San Tommaso, vale a dire delle ventiquattro tesi tomiste approvate nel 1916 dalla Sacra Congregazione degli Studi.

Non solo, ma il padre Gaston Fessard S.J., in Les Études del novembre 1945, p. 269-270, parla del “felice assopimento che protegge il tomismo canonizzato, ma anche, come diceva Péguy, ‘seppellito’, mentre sopravvivono i pensieri votati, nel suo nome, alla contraddizione”.

Nel numero di aprile 1946 della stessa rivista, si dice che il neotomismo e le decisioni della Commissione biblica sono un “argine, ma non una risposta”. E cosa viene proposto in luogo del tomismo, come se nell’enciclica Aeterni Patris Leone XIII si fosse sbagliato e come se nell’enciclicaPascendi Pio X, rinnovando questa stessa raccomandazione, fosse andato fuori strada? Dove va a parare questa nuova teologia con i nuovi maestri ai quali s’ispira? Dove, se non nello scetticismo, nella stravaganza e nell’eresia? Sua Santità Pio XII ha affermato recentemente, in un discorso pubblicato dall’Osservatore romano del 19 settembre 1946: “Plura dicta sunt, at non satis explorata ratione, ‘de nova theologia’, quae cum universis semper volventibus rebus, una volvatur, semper itura, nunquam perventura. Si talis opinio amplectenda esse videatur, quid fiet de nunquam immutandis catholicis dogmatibus, quid de fidei unitate et stabilitate?”i.
 
* * *

2. Applicazione dei nuovi princìpi alle dottrine del peccato originale e dell’Eucarestia.

Qualcuno dirà che esageriamo, ma anche un piccolo errore sulle nozioni prime e sui primi principi ha delle conseguenze incalcolabili, non previste dagli erranti. Le conseguenze delle nuove tesi di cui abbiamo appena parlato devono andare dunque ben al di là delle previsioni degli autori che abbiamo citato. Sarebbe difficile non riuscire a vedere tali conseguenze in alcuni fogli dattilografati che vengono distribuiti (alcuni a partire dal 1934) al clero, ai seminaristi, agli intellettuali cattolici: vi si trovano le asserzioni e le negazioni più singolari sul peccato originale e sulla presenza reale.

Prima di menzionare queste novità si avvisa il lettore dicendogli che per quanto esse di primo acchito possano sembrare folli, a guardarle da più vicino non sono prive di verosimiglianza; inoltre, sono ammesse da più persone. Le intelligenze superficiali vi si lasciano sedurre, e la formula “una dottrina che non è più attuale non è più vera” si fa strada. Alcuni sono tentati di concludere: “la dottrina dell’eternità delle pene dell’inferno non è più attuale, a quanto sembra, e perciò non è più vera”. È scritto nel Vangelo che un giorno la carità di molti si raffredderà e che molti saranno sedotti dall’errore.

Rispondere è uno stretto obbligo di coscienza per i teologi che difendono la Tradizione della Chiesa. In caso contrario, essi mancherebbero gravemente al loro dovere, e ne dovrebbero rendere conto di fronte a Dio.

* * *

Nei fogli ciclostilati distribuiti in Francia in questi ultimi anni (almeno a partire dal 1934, a giudicare da quelli che abbiamo sotto mano) si insegnano le dottrine più stravaganti e false sul peccato originale.
In essi, l’atto di fede cristiana non è più concepito come un’adesione sovrannaturale e infallibile alle verità rivelate propter auctoritatem Dei revelantisj, ma come un’adesione dello spirito a una prospettiva generale dell’universo. È la percezione di ciò che è possibile e più probabile ma non dimostrabile. La fede diviene un insieme di opinioni probabili. Da questo punto di vista, Adamo sembra essere non l’individuo da cui discende il genere umano, ma piuttosto una collettività.

Quindi non si vede più come si possa mantenere la dottrina rivelata del peccato originale così come viene spiegata da San Paolo, Rom 5, 18: “Sicut per unius delictum in omnes homines in condemnationem, sic et per unius iustitiam in omnes homines in justificationem vitae. Sicut enimper inobaedientiam unius peccatores constituti sunt multi, ita per unius oboeditionem iusti constituentur multi”k. Tutti i Padri e la Chiesa, interprete autorizzata della Scrittura, tanto nel suo magistero ordinario come in quello solenne, hanno sempre inteso che Adamo sia stato un individuo, come Cristo, e non una collettività[9]. Quel che ci si propone ora è di prendere in considerazione una tesi contraria all’insegnamento dei Concili d’Orange e di Trento (Denz. 175, 789, 791, 793)[10].

Oltretutto, da questo nuovo punto di vista l’incarnazione del Verbo sarebbe un momento dell’evoluzione universale.
L’ipotesi dell’evoluzione materiale del mondo viene estesa all’ordine spirituale: il mondo sovrannaturale sarebbe in evoluzione verso l’avvento plenario del Cristo.

Il peccato in quanto realtà che colpisce l’anima è qualcosa di spirituale e quindi atemporale. Poco importa agli occhi di Dio, dunque, che esso abbia avuto luogo al principio della storia dell’umanità o nel córso dei secoli.
Il peccato originale non sarebbe più, dunque, in noi, un peccato che dipende da una colpa volontaria del primo uomo, ma proverrebbe dalle colpe degli uomini che hanno influito sull’umanità.

In questo modo si vuole cambiare la natura stessa della teologia – non solo il suo modo d’esposizione; e ancor più quella del dogma, che non è più considerato dal punto di vista della fede infusa nella Rivelazione divina, interpretata dalla Chiesa nei suoi Concili. Non si prendono più in considerazione i Concili stessi, ma si adotta qui il punto di vista della biologia, integrata dalle elucubrazioni più stravaganti, che ricordano quelle dell’evoluzionismo hegeliano, il quale a sua volta dei dogmi cristiani non conserva più altro che il nome.

Così facendo si seguono i razionalisti e si fa ciò che i nemici della fede desiderano: si riduce la fede stessa a un insieme di opinioni in costante cambiamento e che non hanno più alcun valore. Cosa resta della parola di Dio data al mondo per la salvezza delle anime?

In questi fogli, intitolati Comment je crois [Come io credo], si legge, a p. 15: “Se noi cristiani vogliamo conservare al Cristo le qualità che fondano il Suo potere e la nostra adorazione, non potremmo far altro o miglior cosa che accettare fino in fondo i concetti più moderni dell’Evoluzione. Sotto la pressione combinata della Scienza e della Filosofia, il Mondo s’impone sempre più alla nostra esperienza e al nostro pensiero come un sistema interconnesso di attività che si elevano gradualmente verso la libertà e la coscienza. L’unica interpretazione soddisfacente di questo processo è quella di considerarlo irreversibile e convergente. Così si delinea davanti a noi unCentro cosmico Universale in cui tutto termina, tutto si comunica, tutto si integra. Ebbene, a mio avviso è in questo polo psichico dell’Evoluzione universale che è necessario porre e riconoscere la pienezza del Cristo... Scoprendo un vertice del mondo, l’Evoluzione rende il Cristo possibile, esattamente come il Cristo, dando un senso al Mondo, rende possibile l’Evoluzione.
“Sono perfettamente cosciente di cosa ci sia di vertiginoso in questa idea... ma immaginando una simile meraviglia, non faccio altro che trascrivere in termini di realtà psichica le espressioni giuridiche in cui la Chiesa ha racchiuso la sua fede... Mi sono lanciato per conto mio, senza esitare, nell’unica direzione verso cui mi sembra possibile far progredire e quindi salvare la mia fede.
“Il cattolicesimo mi aveva deluso, a prima vista, per le sue rappresentazioni ristrette del Mondo e per la sua mancanza di comprensione del ruolo della Materia. Ora riconosco che, seguendo il Dio incarnato che esso mi rivela, non posso essere salvato in altro modo che formando un’unità con l’universo. In un sol colpo vengono soddisfatte, rassicurate e guidate le mie aspirazioni ‘panteiste’ più profonde. Il Mondo intorno a me diventa divino...
Una convergenza generale delle religioni verso un Cristo universale, che, nel fondo, le soddisfi tutte; questa mi sembra essere l’unica conversione possibile per il Mondo e la sola forma immaginabile per una Religione dell’avvenire”[11].

Quindi il mondo materiale si sarebbe evoluto verso lo spirito, e il mondo dello spirito evolverebbe naturalmente, per così dire, verso l’ordine sovrannaturale e verso la pienezza del Cristo. Così, l’Incarnazione del Verbo, il corpo mistico, il Cristo universale sarebbero delle tappe dell’Evoluzione, e – secondo questo punto di vista – di un progresso costante sin dall’origine; non sembra che si sia verificata una caduta all’inizio della storia dell’umanità, ma un progresso costante del bene che trionfa sul male secondo le leggi stesse dell’evoluzione. Il peccato originale sarebbe in noi la conseguenza delle colpe degli uomini che hanno esercitato un’influenza nefasta sull’umanità.
Ecco cosa rimane dei dogmi cristiani in questa teoria che si allontana dal nostro Credo nella misura in cui essa si avvicina all’evoluzionismo hegeliano.

Nei fogli citati si afferma: “Mi sono lanciato nell’unica direzione verso cui mi sembra possibile far progredire e quindi salvare la mia fede”. La fede stessa si salverebbe dunque solo se progredisce, e cambierebbe così tanto che non si potrebbe più riconoscere in essa la fede degli Apostoli, dei Padri e dei Concili. Si tratta di un modo di applicare il principio della nuova teologia: “una dottrina che non è più attuale, non è più vera”, e per alcuni è sufficiente che essa non sia più attuale in certi àmbiti. Ne segue che la verità è sempre in fieri, mai immutabile. Essa è la conformità del giudizio non con l’essere e con le sue leggi necessarie ma con la vita che evolve continuamente. Si vede bene dove ci conducono le proposizioni condannate dal Sant’Uffizio il 1º dicembre 1924, e che abbiamo citato qui sopra: “Nulla propositio abstracta potest haberi ut immutabiliter vera”l. “Etiam post fidem conceptam, homo non debet quiescere in dogmatibus religionis, eisque fixe et immobiliter adhaerere, sed semper anxius manere progrediendi ad ulteriorem veritatem, nempe evolvendo in novos sensus, immo et corrigendo id quod creditm. Cfr. Monitore ecclesiastico, 1925, p. 194.

* * *

Troviamo un esempio di simile deviazione a proposito della Presenza reale in alcuni fogli dattilografati che circolano da qualche mese all’interno del clero. Vi si afferma che fino ad ora il vero problema della Presenza reale non è stato ben posto: “Per rispondere a tutte le difficoltà che ci si è creati, si è detto: il Cristo è presente a modo di sostanza... Questa spiegazione evita il vero problema. Aggiungiamo che, nella sua chiarezza ingannevole, essa sopprime il mistero religioso. A dire il vero, non v’è più qui un mistero, ma solo un prodigio”.
 
Sarebbe stato dunque San Tommaso a non aver saputo porre il problema della presenza reale, e la sua soluzione: praesentia corporis Christi per modum substantiae [presenza del Corpo di Cristo al modo della sostanza], sarebbe illusoria; la sua chiarezza sarebbe una chiarezza ingannevole.
Ci si avverte che la nuova spiegazione proposta “implica evidentemente che, come metodo di riflessione, si sostituisca il metodo scolastico con quello cartesiano e spinoziano”.
 
Un po’ più avanti si legge: per quanto riguarda la transustanziazione, “questo termine non è privo d’inconvenienti, come anche l’espressione ‘peccato originale’. Esso corrisponde al modo in cui gli scolastici concepiscono questa trasformazione, e la loro concezione è inammissibile”.
 
Qui non è più solo da San Tommaso che ci si allontana, ma dal Concilio di Trento, sess. XIII, cap. 4 e can. 2 (Denz. 877, 884), poiché esso ha definito la transustanziazione una verità di fede, ed ha persino detto: “quam quidem conversionem catholica Ecclesia aptissime transubstantiationem appellat”n. E oggi questi nuovi teologi vengono a dirci: “questo termine non è privo di inconvenienti... risponde a una concezione inammissibile”.

“Secondo il punto di vista della Scolastica, la realtà della cosa è ‘la sostanza’; la cosa non potrà pertanto mai cambiare realmente se la sostanza non cambia... per mezzo della transustanziazione. Secondo la nostra prospettiva attuale... allorquando, in virtù dell’offerta che ne è stata fatta secondo un rito stabilito dal Cristo, il pane e il vino sono divenuti il simbolo efficace del sacrificio del Cristo, e di conseguenza della sua presenza spirituale, il loro essere religioso è cambiato”, non la loro sostanza[12]. E si aggiunge: “È questo ciò che possiamo designare col termine di transustanziazione”.
Ma è chiaro che non si tratta più della transustanziazione definita dal Concilio di Trento, “conversio totius substantiae vini in Sanguinem, manentibus duntaxat speciebus panis et vini”o(Denz. 884). È evidente che il significato stabilito dal Concilio non viene mantenuto dall’introduzione di queste nuove nozioni. Il pane e il vino sono diventati solamente “il simbolo efficace della presenza spirituale del Cristo”. [Sono intesi come il simbolo di una presenza spirituale, non c’è più la presenza reale].
 
Ciò ci avvicina singolarmente alla posizione modernista, che non afferma la presenza reale del Corpo di Cristo nell’Eucarestia. Essa si limita a dire, da un punto di vista pratico e religioso: abbi nei confronti dell’Eucarestia lo stesso atteggiamento che hai nei confronti dell’umanità del Cristo.
 
Negli stessi fogli, il mistero dell’Incarnazione viene inteso in modo simile: “Nonostante il Cristo sia veramente Dio, non si può affermare che per mezzo di lui vi fosse una presenza reale di Dio nella terra di Giudea... Dio non era presente in Palestina più di quanto non lo fosse altrove. L’unica cosa che possiamo affermare è che il segno efficace di tale presenza divina si è manifestato in Palestina nel primo secolo della nostra era”[13].
 
Si aggiunge infine: “il problema della causalità dei sacramenti è un falso problema, generato da una maniera equivocata di porre la questione”.

* * *

Non crediamo che gli autori di cui abbiamo appena parlato abbiano abbandonato la dottrina di San Tommaso: semplicemente, essi non vi hanno mai aderito e non l’hanno mai compresa adeguatamente. Ciò è doloroso e inquietante.

Con questo modo d’insegnare, cos’altro si può fare se non formare degli scettici? Infatti, non viene proposto nulla di stabile per rimpiazzare la dottrina di San Tommaso. E poi si pretende di essere sottomessi alle direttive della Chiesa; ma in cosa consiste tale sottomissione?

Un professore di teologia ci scrive: “In effetti è sul concetto stesso di verità che verte il dibattito e, senza che ci se ne renda ben conto, si giunge al modernismo tanto nel pensiero come nell’azione. Gli scritti di cui Lei mi parla sono molto letti in Francia. Essi esercitano una grande influenza, è vero, sugli spiriti mediocri: le persone serie non abboccano. Bisogna scrivere per coloro che hanno il sincero desiderio di essere illuminati”.

Secondo alcuni, la Chiesa avrebbe riconosciuto l’autorità di San Tommaso solamente nel campo della teologia, e non direttamente in quello della filosofia. Al contrario, l’enciclica Aeterni patris di Leone XIII parla soprattutto della teologia di San Tommaso. Anche le ventiquattro tesi tomiste proposte nel 1916 dalla Santa Congregazione degli Studi sono di ordine filosofico, e se questepronunciata maiora di San Tommaso non fossero certe, cosa potrebbe valere la sua teologia, che vi ha costantemente fatto ricorso?

Infine, come abbiamo già ricordato, Pio X ha scritto: “magistros autem monemus, ut rite hoc teneant Aquinatem vel parum deserere praesertim in re metaphysica non sine magno detrimento esse. Parvus error in principio magnus est in fine”p.

Da dove provengono queste tendenze? Un sagace osservatore mi scrive: “si raccolgono i frutti della frequentazione senza precauzioni dei corsi universitari. Si vuole frequentare i maestri del pensiero moderno per convertirli e ci si lascia convertire da loro. Si accettano poco a poco le loro idee, i loro metodi, il loro sdegno della scolastica, il loro storicismo, il loro idealismo e tutti i loro errori. Se questa frequentazione è utile per degli spiriti già formati, è sicuramente pericolosa per gli altri”.

C o n c l u s i o n e

Dove va la nuova teologia? Torna al modernismo. Perché ha accettato la proposta che le è stata fatta: quella di sostituire la definizione tradizionale della verità, adaequatio rei et intellectus, come se fosse chimerica, con la definizione soggettiva adaequatio realis mentis et vitae. Ciò viene espresso più esplicitamente nella proposizione sopra citata, estratta dalla filosofia dell’azione e condannata dal Sant’Uffizio il 1º dicembre 1924: “Veritas non invenitur in ullo actu particulari intellectus in quo haberetur conformitas cum obiecto ut aiunt scholastici, sed veritas est semper in fieri, consistitque in adaequatione progressiva intelletctus et vitae, scil. in motu quodam perpetuo, quo intellectus evolvere et explicare nititur id quod parit experientia vel exigit actio : ea tamen lege ut in toto progressu nihil unquam ratum fixumque habeaturq (Monitore ecclesiastico, 1925, t. I, p. 194).
 
La verità non è più la conformità del giudizio col reale extramentale e con le sue leggi immutabili, ma la conformità del giudizio con le esigenze dell’azione e della vita umana che evolve continuamente. Si sostituisce la filosofia dell’essere o ontologia con la filosofia dell’azione che definisce la verità in funzione non più dell’essere ma dell’azione.
 
Si sfocia così nella posizione modernista: “Veritas non est immutabilis plus quam ipse homo, quippe quae cum ipso, in ipso et per ipsum evolvitur”r (Denz. 2058). Per questo Pio X affermava dei modernisti: “aeternam veritatis notionem pervertunts (Denz. 2080).
 
È ciò che aveva previsto il nostro maestro, padre M. B. Schwalm, nei suoi articoli sulla Revue thomiste, 1896, p. 36 ss., 413; 1897, p. 62, 239, 627; 1898, p. 578, a proposito della filosofia dell’azione, del dogmatismo morale del padre Laberthonnière, della crisi dell’apologetica contemporanea, delle illusioni dell’idealismo e di quanto queste minaccino la fede.
 
Ma molti, pensando che il padre Schwalm esagerasse, hanno poco a poco dato diritto di cittadinanza alla nuova definizione della verità ed hanno più o meno cessato di difendere la definizione tradizionale del vero: la conformità del giudizio con l’essere extramentale e con le sue leggi immutabili di non contraddizione, di causalità, etc. Per loro, il vero non è più ciò che è, ma ciò che diviene e cambia continuamente.

Ora, cessare di difendere la definizione tradizionale della verità, permettere che si affermi che essa sia chimerica, che bisogna sostituirla con un’altra vitalista ed evoluzioniata, porta al relativismo più completo, e questo è un grave errore.
 
Inoltre – e questo è un fatto su cui non ci si sofferma mai – ciò porta a dire esattamente quel che i nemici della Chiesa vogliono sentir dire. Quando si leggono le loro opere più recenti, la contentezza che essi ne traggono è evidente, ed essi stessi propongono interpretazioni dei nostri dogmi, in materia di peccato originale, del male cosmico, dell’Incarnazione, della Redenzione, dell’Eucarestia, della reintegrazione universale finale, del Cristo cosmico, della convergenza di tutte le religioni in un centro cosmico universale[14].
 
Si comprende pertanto perché il Santo Padre, nel suo recente discorso riportato dall’Osservatore Romano del 19 settembre 1946, si sia espresso in questi termini a proposito della “nuova teologia”: “Si talis opinio amplectenda esse videatur, quid fiet de numquam immutandis catholicis dogmatibus, quid de fidei unitate et stabilitate?”t. D’altra parte, poiché la Provvidenza permette il male solamente per un bene superiore e poiché si può osservare in molti un’eccellente reazione contro gli errori che abbiamo appena sottolineato, ci si può aspettare che queste deviazioni saranno l’occasione per un vero rinnovamento dottrinale e per uno studio approfondito delle opere di San Tommaso, il cui valore spicca sempre di più, quando lo si compari alla deriva intellettuale contemporanea[15].
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   continua nelle Note sotto
 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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