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La falsa teologia dell'uomo di oggi

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2017 16:13
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31/10/2015 12:29
 
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La replica di Garrigou-Lagrange mi sembra ineccepibile. Il Tridentino non voleva certamente mettersi a filosofare e tuttavia voleva giustamente servirsi di una “nozione umana stabile”, non soggetta a mutamenti od evoluzione checchesia. E questa nozione è quella di “ciò che costituisce formalmente una cosa”. Formalmente, in che senso? Non nel senso di esteriormente, l’unico oggi attribuito all’espressione, ma in quello della compiutezza di ciò che si configura come esistente, si tratti di realtà sensibile o spirituale. E quindi, nel senso di ciò che si costituisce secondo la sua forma specifica, quella che ne esprime compiutamente la natura o essenza. Come quando diciamo che la forma-uomo, nella quale si esprime la sua natura di uomo, individua l’uomo rispetto a tutto il resto (forma dat esse rei).

È stato Aristotele a cogliere questo significato nel concetto della forma. Nelle celebri pagine dellaFisica nelle quali espone i quattro tipi di causalità, egli dice che nella natura si ha sempre la “forma e il modello” grazie al quale ciò che è nella natura è ciò che è[16]. La “forma” di una cosa è, pertanto, da un certo punto di vista, “causa” di una cosa. Gli Scolastici hanno poi chiamato “causa formale” l’azione causale di questa “forma”. Nell’esempio di scuola, la forma della coppa d’argento è l’idea o modello in base al quale viene plasmato l’argento, che è causa materiale della coppa stessa, essendone nell’esempio la materia da cui viene tratta. La materia viene costituita in un ente od oggetto secondo una forma che è il modello (qui, la coppa) su cui la materia si plasma, ad opera dell’artefice (causa efficiente) per un determinato fine (causa finale). Essa è dunque causa del fatto che l’argento assume quella determinata forma, la forma di quella coppa.

La causa formale non è qualcosa di secondario o accidentale, che può esserci o non esserci: la formaè intesa qui nel senso dell’idea o modello, di quell’immagine in base alla quale la materia viene organizzata (l’immagine o idea ha infatti necessariamente una forma). Senza di essa la materia resterebbe appunto informe, un caos senza capo né coda e non potrebbe nemmeno esser causa di nulla. La causa formale è all’opera in tutta la realtà sia organica che inorganica ed opera già dentro il mondo della materia. L’elettrodinamica quantistica ha rivelato la straordinaria stabilità della materia (secondo precise simmetrie) anche nel suo più intimo sostrato, costituito dal mondo delle particelle subatomiche, stabilità che è il risultato di un ordine (una forma) che può originarsi solo dall’azione di una causa formale e quindi dall’azione consapevole di un Agente. Pertanto, possiamo dire che la realtà materiale, biologica, della pianta implica l’idea o la forma ad essa anteriore della pianta; la realtà fisica, biologica dell’uomo, l’idea dell’uomo. La materia necessita di una forma determinata nella quale attuarsi e quindi di una causa formale che, come tale, è qualcosa di diverso dalla materia stessa e la precede. Infatti, una cosa è la materia di cui è fatta la coppa, altra cosa l’idea stessa della coppa, per cui la coppa reale va concepita come una sintesi di materia e forma.

Tornando al nostro argomento, la “materia “ è qui del tutto spirituale, è l’anima dell’uomo. Essa deve assumere quella forma gradita a Dio, che è costituita dalla perfezione interiore, se vuole esser giustificata e salvarsi. E come raggiunge l’uomo questa forma, come riesce ad essere ciò che deve essere in relazione al fine per il quale l’uomo è l’uomo? Ovvero in relazione al fine della salvezza, che gli consente di godere per l’eternità della Visione Beatifica? Con le sue sole forze? Impossibile, ci insegna la dottrina della Chiesa (“Senza di Me non potete far nulla”, Gv 15, 5). L’ottiene mediante l’opera della “grazia santificante”, causa formale della giustificazione. La Grazia santificante, inerendo gratuitamente alla nostra anima, integra in modo decisivo l’azione del nostro libero arbitrio, costituendoci formalmente come ciò che dobbiamo essere secondo la nostra vera natura, di esseri creati da Dio per regnare un giorno con Lui “in patria”, cioè in Cielo: costituendoci cioè come giusti, secondo la terminologia tradizionale.

Ora, si chiede Garrigou-Lagrange, come è possibile mantenere il senso di questo insegnamento del Tridentino, cioè che “la grazia santificante è la causa formale della giustificazione”, se “si sostituisce una diversa nozione a quella di causa formale?”. Non è possibile. Lo possiamo ben confermare noi, dopo cinquant’anni di interpretazioni pastorali del dogma, aggiornate alle esigenze della “vita” ossia del sentimento e del pensiero del “proprio tempo”, che è il sentire, il pensare moderno, improntato al principio d’immanenza, notoriamente avido di ogni sperimentazione e novità, anche in campo etico: la maggioranza dei cattolici crede oggi che il male non esista, che tutti gli uomini siano già stati giustificati dall’Incarnazione di Cristo Nostro Signore. Tutti salvati. Todos caballeros. La salvezza si è già realizzata per tutti e l’Inferno (se esiste) è in realtà vuoto.
7. La ripulsa del concetto della “sostanza” per eliminare quello della transustanziazione dell’Ostia consacrata, sostituita dal simbolo di una “presenza spirituale” e non più “reale”.
Si è visto che gli anonimi diffusori di ciclostilati pieni di veleno contro la dottrina della Chiesa non accettavano più il concetto della sostanza, perché di origine aristotelica, appartenente quindi ad una filosofia da considerarsi superata. Pertanto il pane e il vino consacrati (“in virtù dell’offerta che ne è stata fatta”, dicevano gli anonimi) non mutano la loro sostanza ma solamente il lorosignificato. Diventano il “simbolo efficace” del Sacrificio di Cristo, ma simbolo della sua “presenza spirituale”. Anzi, simbolo della sola presenza spirituale, che non è certo quella (reale) definita a Trento come “corpo, sangue, anima e divinità”.
 
Il termine “presenza spirituale” è piuttosto vago ed è tipico degli eretici, applicato alla Consacrazione; nel senso che essi, ove ammettano forme di consacrazione, attribuiscono loro unicamente l’effetto di far acquistare al pane e al vino un “significato” nuovo, meramente simbolico, della “presenza spirituale” di Cristo o del suo Sacrificio. Queste concezioni eretiche sono state riprese da tutte quelle teorie che in ambito cattolico, dopo il Vaticano II, hanno tentato di reinterpretare la transustanziazione in termini di “trans-significazione” e simili, applicandovi nozioni correnti nel pensiero contemporaneo, tratte ad esempio dalla fenomenologia.

7.1  Transustanziazione e sostanza.   Niente transustanziazione, dunque. O comunque stravolta nel suo significato. Oggi, con la crisi delle fede che c’è, quanti sono i sacerdoti che ancora vi credono effettivamente? Questa ripulsa della transustanziazione ha un presupposto metafisico: la ripulsa dell Scolastica perché legata alla metafisica e alla fisica di Aristotele. Distrutta completamente la seconda dalla scienza moderna (così si crede), viene a cadere anche la prima. Viene allora a cadere anche il concetto della sostanza, che appartiene alla fisica ma anche alla metafisica dello Stagirita.
 
Perché la Chiesa ha scelto ad un certo punto questo concetto di transustanziazione? È un parolone, di origine erudita, adottato nel Medio Evo per spiegare ancor meglio (contro le eresie) il miracolo della “conversione” totale del pane e del vino nel corpo e nel sangue, nell’anima e nella divinità di Nostro Signore in conseguenza della Consacrazione delle sacre specie operata dal sacerdote, agente in persona Christi grazie al potere dell’Ordine di cui è investito, che gli permette di attuare la rinnovazione incruenta del Sacrificio cruento del Calvario. Se la parola sembra intimorire, il concetto che essa esprime è tuttavia molto semplice e chiaro: il mutamento completo della sostanza di una cosa, mutamente in questo caso non percepibile dall’esterno. La “cosa” è qui il pane, il vino. In seguito alla Consacrazione, pur mantenendo il loro aspetto esteriore immutato, mutano tuttavia completamente la loro sostanza e divengono “corpo, sangue, anima e divinità” ossia “presenza reale” di Nostro Signore.
 
Questo mutare, convertirsi in altro da ciò che si era, è un mutare di sostanza, un trans-mutare:  un andare al di là (trans) sino al punto da trans-sostanziare, se così posso dire, al punto da convertirsi in un’altra sostanza. Ma sempre conservando la forma esteriore intatta, nel nostro caso. L’avverarsi di questo fatto ad ogni Santa Messa validamente celebrata, lo crediamo per fede. Ed è stato confermato da alcuni noti miracoli eucaristici.  Per capire il concetto della transustanziazione, che spiega il fatto nella sua dinamica, non occorre comunque aver studiato filosofia e tanto meno Aristotele. Anche nel parlar comune delle persone meno colte si usa la differenza tra la sostanza e l’apparenza, sia in senso proprio o materiale, che in senso figurato: “questo cibo è privo di vera sostanza, anche se si presenta ben cotto”; “la sostanza della cosa è diversa da come sembra”; “in sostanza, si tratta della stessa cosa, nonostante le apparenze diverse”; e così via.

Considerando il concetto della sostanza solo in relazione alle cose materiali, non v’è dubbio che tra la sostanza e l’aspetto esteriore delle cose stesse noi stabiliamo ora concordanza ora opposizione mediante l’indagine del nostro intelletto, che sempre scruta, osserva, distingue ed unifica a seconda dei casi. Aristotele ha definito la sostanza degli esseri (ousia, in greco) in se stessa e in relazione ai concetti di essenza, sostrato materiale, materia, accidenti o qualità degli esseri o enti che dir si voglia. Come definizione della sostanza si cita in genere un passo della Metafisica: la sostanza “è ciò che è in sé e non in altro” (Met., 1046 a 26).  Vale a dire ciò che trova in se stesso la sua propria ragion d’essere, non in qualcos’altro. San Tommaso ha approfondito il concetto in un noto passo della Summa: “Illa enim subsistere dicimus, quae non in alio sed in se existunt” (Ia , q. 29 a 2c: “Diciamo infatti che sussistono quelle cose che esistono in se stesse, non in altro”). Non la semplice esistenza delle cose ma il loro esistere in quanto sussistenti in loro stesse ; la lorosussistenza, concetto che rispecchia il sussistere della “sostanza” nel senso aristotelico del termine; l’esser in sé che è la sostanza, come esser uno e indipendente di quell’ente specifico, quale esso sia, è “ciò che esiste in sé” come quella realtà che è solo sua e non si confonde mai con altro. Tale “sussistere” non è pertanto meramente descrittivo, ma indica l’esistere di ciò che si pone come sostanza ossia realtà in sé determinata ed indipendente, solo sua e non confondibile con altra. Il “sussistere” delle cose è quindi l’esistere secondo la propria sostanza specifica, grazie alla quale abbiamo le differenze qualitative tra tutti gli enti esistenti. Nell’ambito materiale, non possiamo infatti confondere tra loro uomini, animali, piante, insetti, carne, sangue, etc. Il pane e il vino, che qui ci interessano in modo particolare, sono il risultato di una modificazione apportata dal lavoro dell’uomo a certi prodotti della natura, che di per se stessi sono già degli enti o cose determinate secondo la loro natura specifica, che si configura come la loro ousia o substantia, tale da non permettere di confonderli in nessun modo (l’uva, il grano).

Del pane in quanto cosa finita e determinata dobbiamo dunque ammettere che ha una natura che è solo sua, che è, in quanto pane, ciò che è in sé e giammai in altro, per esprimerci alla maniera di Aristotele, e quindi sussiste individualmente in atto secondo questo suo esser in sé ciò che è, nella sua specifica individualità, per esprimerci alla maniera di san Tommaso. Il termine greco e ancor più quello latino rinviano anche all’idea della sostanza come sub-stanssub-sistit rispetto all’apparenza che pur si riscontra nella medesima cosa della quale la sostanza è sostanza: la sostanza è ciò che sta sotto, ciò che costituisce l’essenza della cosa stessa, la sua natura più profonda, e si mantiene inalterato pur nel mutare degli “accidenti” (termine delle Scuole) o qualità esteriori che lo caratterizzano in quanto ente concreto, in quanto individuo (uomo, animale, pianta con i loro “accidenti” o qualità) o comunque in quanto realtà determinata, indipendente, che può esser anche quella di un ente collettivo, come la Chiesa, onde si parla di sostanza in senso spirituale, ma non per questo meno reale (la sostanza della Chiesa consiste nell’essere il Corpo Mistico di Cristo).

Come esempio dell’immutabilità della sostanza, pensiamo all’essere umano. La sua natura profonda e sostanza specifica la chiameremo humanitas: ciò che fa esser l’esser umano uomo e donna e non animale, pianta, insetto, frutto, minerale, etc.; e che non muta pur nel mutare degli accidenti o qualità esteriori e persino interiori, onde diciamo che un vecchio, nonostante l’indebolirsi (il mutare) delle sue capacità fisiche e mentali, non è certo meno uomo di un giovane, perché la sua sostanza di uomo, la sua humanitas rimane inalterata. Ora, in questa costruzione concettuale che cosa c’è di sbagliato, da doverla rifiutare, in nome della scienza moderna?  Si potrà dire che nel concetto della sostanza resti qualcosa di indimostrabile, del quale lo stesso Aristotele era perfettamente consapevole. Disse infatti che della sostanza “non si dà dimostrazione” (Met. 997 a, 14). E difatti, per restare al pane, come “dimostro” che la sostanza del pane, ciò per cui esso è pane e non altro, è nient’altro che il semplice fatto dell’esser pane? La “dimostrazione” è in un certo senso nella cosa stessa, nel suo sussistere in atto, individualmente determinata e distinta di fronte a me, direbbe un san Tommaso, con le sue caratteristiche specifiche, uniche. La negazione dell’esistenza della sostanza mi ricorda quella dell’esistenza dell’anima da parte dei materialisti dell’Ottocento: facendo l’anatomia del corpo umano, dicevano, non si trova niente che possa apparire come anima: l’anima dunque non esiste.

7.2 La fisica contemporanea nega l’esistenza della sostanza. Ma si può dire che tale concetto sia insostenibile alla luce delle scoperte della scienza contemporanea, che ne avrebbe dimostrato la falsità e comunque l’inutilità? E in ogni caso: quid ad nos? Voglio dire con questo: qualsiasi cosa la fisica contemporanea pensi della struttura della materia, non ci impedisce di credere ad un evento soprannaturale come la transustanziazione, che produce una trasformazione radicale della natura del pane e del vino mediante una causa che agisce sovrannaturalmente all’interno della natura stessa perché costituita questa causa (efficiente) da Dio stesso, che ha creato la natura e le sue leggi.

La fisica contemporanea, costretta in gran parte dalle sue stesse scoperte, è tornata a professare un sostanziale atomismo, dal momento che la struttura intima della materia appare costituita dall’universo quantico, dal mondo delle particelle subatomiche.  Sin dall’inizio del secolo scorso si è discettato sulla fine del concetto della sostanza in fisica e sulla sua sostituzione con quello della “funzione”.  Il neo-kantiano Ernst Cassirer scrisse nel 1910 un saggio al tempo importante su questo tema, intitolato proprio “Concetto di sostanza e concetto di funzione”. Il brillante matematico Hermann Weyl, uno dei tanti seguaci di Einstein, scrisse nel 1923 un saggio (all’epoca molto citato) sulla natura della materia, nel quale attaccava a fondo il concetto di sostanza in fisica, dichiarandolo ormai tramontato, impossibile da applicarsi di fronte alla realtà svelata dal mondo delle particelle, inquadrabile solo secondo il ben noto “principio di indeterminazione” che rende praticamente impossibile applicare la categoria della causalità al modo della fisica classica. Anche se ciò, osservo, sembra dipendere più che altro dalla limitatezza dei nostri strumenti: se determiniamo la posizione dell’elettrone non possiamo simultaneamente coglierne la velocità e viceversa, ragion per cui dobbiamo elaborare delle misurazioni su base statistica, che non sono false ovviamente, ma solamente non precise come richiederebbero la meccanica classica e la natura stessa della cosa.

In questa sede non posso addentrarmi in un’analisi particolareggiata. Mi limito ad alcune considerazioni di carattere generale, sperando che qualcuno le ritenga meritevoli di approfondimento. Weyl, pur criticando qua e là Aristotele, per il suo approccio metafisico, partiva da Kant, il quale, pur scorgendo nella “movibilità” la caratteristica della materia, ancora accettava pienamente il concetto della sostanza come permanere immutabile della materia al di là del carattere mutabile dei fenomeni con i quali essa si presenta a noi. Nella stabilità della materia la materia stessa appariva come sostanza, che è per definizione l’immutabile essenza dell’ente individualmente determinato. Ora, scriveva Weyl, in tutte le concezioni della sostanza, sin dai tempi di Aristotele, si nota questo schema concettuale: si ammette un soggetto o ente “portatore” (Träger) di determinati fenomeni che resta sempre immutato pur nel variare dei fenomeni. Il “portatore” sarebbe appunto la “sostanza”, che mai non muta. Ma questo “portatore”, si chiedeva Weyl, dov’è mai, se la materia è in realtà composta di atomi ed anzi (diciamo oggi) di particelle subatomiche in perenne movimento?  Gli atomi, sottolineava Weyl, “sono individui separati” sempre in moto, separati quantitativamente non per le loro qualità, come se fossero sostanze. Sono le combinazione di queste “quantità” a creare le qualità che appaiono nelle cose. E come si può mantenere l’immutabilità della materia (e quindi il concetto della sostanza) nel moto continuo delle particelle che la costituiscono? Questo mondo di particelle, che a noi appare anzi dominato dal Caso, si può spiegare solo in termini di “funzioni”; funzioni matematiche, ricavabili dalle rilevazioni statistiche delle proprietà del mondo quantico, grazie al calcolo infinitesimale. Al posto della “sostanza” allora la “funzione”, l’equazione che stabilisce matematicamente il rapporto tra il quantum di energia e l’onda elettromagnetica che esso stesso costituisce, le leggi statistiche dei “pacchetti di onde”. In conclusione: il neo-atomismo professato dalla fisica contemporanea e confermato dalle scoperte, renderebbe impossibile il concetto stesso della sostanza. Pertanto: basta con il dogma della transustanziazione, non esiste una “sostanza” da “transustanziare”! Questo il pensiero dei vari Teilhard de Chardin, de Lubac e compagnia cantante. Weyl scriveva: “la materia non è sostanza che si è fatta carne”[17].

Chiosava Cassirer, in un altro suo lavoro sulla filosofia della fisica moderna: “che la materia non possa più pretendere di essere “sostanza incarnata”, ciò risalta chiaramente [secondo quest’impostazione] nel passaggio alla teoria del campo. Il campo [elettromagnetico] infatti è un insieme di pure azioni, di pure relazioni fra “linee di forza” [dell’energia] che non sono più legate necessariamente a un substrato materiale, bensí definiscono l’accadere fisico quasi in libera congiunzione reciproca. Nella teoria del campo, come ha detto Weyl, in un certo senso il continuo spazio-temporale si è addossato il concetto della sostanza”[18]. E questo era proprio il punto di vista dello spinoziano Einstein, che (senza riuscirvi) cercò per tutta la sua lunga vita di estendere il concetto del “campo” all’intera realtà fisica, in modo da poter concepire quello che chiamiamo l’oggetto o l’individuo determinato, l’ente con la sua sostanza e le relative qualità, come un semplice aumento di densità dell’energia di campo, privo quindi di vera e indipendente sostanzialità: una sorta di increspatura nello spazio curvo della materia-energia illimitata ma finita che costituirebbe il cosmo.

Ma si può accettare l’idea che “il continuum spazio-temporale” ossia il campo, nelle sue varie accezioni, dal campo elettromagnetico a quello gravitazionale, si sostituisca al concetto della sostanza, sempre riferito alla materia?  È possibile “definire l’accadere fisico” come “un accadere in libera congiunzione reciproca”?  Libera “congiunzione” di che cosa?  Delle sterminate energie del “campo”, che per ogni punto delle “linee di forza” che costituirebbero l’universo, si incrociano infinite estendendosi all’infinito con i loro pacchetti d’onde, determinabili solo attraverso il calcolo di “funzioni” matematiche di enorme complessità ed astrattezza?  In questo modo, la realtà fisica effettiva, quella corposa del nostro mondo e dello stesso universo, non sembra perdere ogni connotato reale e scorrerci tra le dita come energia (è il caso di dire) che si cerchi di afferrare con le mani?

7.3 La negazione della sostanza contraddice la stabilità della materia e dell’energia. Il fatto è che, sostituendo “il campo” alla “sostanza” si rende la realtà empirica incomprensibile. Concependo gli eventi del mondo fisico come “libera congiunzione reciproca” delle onde di energia o, più modernamente ancora, come “un mondo di avvenimenti, non di cose”[19], come se le “cose” potessero scomparire, sostituite dall’avvenimento, un avvenimento che però non lo è di una cosa [!], si trascura il fatto che la stabilità della materia è una realtà impossibile a negarsi. Essa si fonda a sua volta sulla stabilità dell’energia. E dove c’è  s t a b i l i t à  c’è la sostanza, poiché solo ciò che sussiste non dipendendo da altro per essere ciò che è (ossia la sostanza), può esser stabile nel mutare dei suoi componenti o accidenti.
 
Nel suo libro autobiografico Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965, dedicato agli “incontri” con gli scienziati protagonisti della fisica contemporanea, Werner Heisenberg, a sua volta “protagonista”, mette in bocca queste riflessioni a Niels Bohr, nel periodo 1920-1922, nell’ambito di una discussione sulla “peculiare stabilità della materia quando venga esposta ad agenti esterni”.
“Col termine ‘stabilità’ intendo indicare il fenomeno per cui le stesse sostanze hanno sempre le stesse proprietà: cristallizzano sempre nello stesso modo, reagiscono con altre sostanze secondo modalità sempre uguali…In altre parole, un atomo di ferro, per quanto sottoposto ad ogni sorta di manipolazioni e combinazioni, resta sempre un atomo di ferro, con le stesse proprietà... La natura tende a produrre forme specifiche – naturalmente il termine ‘forme’ va inteso nell’accezione più generale – e a riprodurre queste forme ogni volta che esse vengono modificate o distrutte. È quanto avviene in biologia: pensi alla stabilità degli organismi viventi, a come le strutture più complesse si riproducono sempre uguali, specie per specie…Pensiamo invece alle strutture più semplici delle quali si occupano la fisica e la chimica. L’esistenza di sostanze uniformi e di strutture stabili – i corpi solidi, ad esempio – dipende dalla stabilità degli atomi”[20]. 

Ora, se un atomo di ferro resta sempre tale nonostante le manipolazioni che possa subire, ciò significa che un qualsiasi pezzo di ferro mostra di possedere quella stabilità, derivantegli dalla coesione dei milioni di atomi di ferro che lo compongono, che permette, sul piano del concetto, di individuare l’esistenza della ferrinitas ossia della sostanza del ferro in quanto tale. O, se preferisce, l’esistenza del ferro come sostanza di un ente in sé e per sé determinato, distinto da tutto il resto.

E per la stabilità della materia organica dovremmo forse ragionare diversamente? Non si vede perché. Il grano, l’uva, il sangue, la carne, il frutto, l’animale etc. per tutta la durata del ciclo vitale cui è sottoposto l’organico (assai più breve dell’inorganico) mantengono sempre la loro stabilità, che è quella delle molecole e degli atomi che li costituiscono: mantengono quindi la loro sostanza, che ne individua e mantiene la differenza con ogni altro ente, diverso da loro stessi.

Tuttavia, potrebbe osservare qualcuno, se si deve ammettere che la materia è stabile, non dobbiamo forse ammettere che l’energia non lo è, a causa del suo moto perpetuo, che a noi appare sottoposto al principio di indeterminazione e in definitiva al Caso? Ma il mondo delle particelle subatomiche, che a noi può sembrare caotico, possiede anch’esso la sua stabilità.

Einstein teorizzò l’esistenza del “fotone” ossia della struttura quantistica del raggio luminoso, ipotizzando che l’energia di ogni fotone fosse inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, cosa poi dimostrata dalle misurazioni. A partire dalla scoperta di Einstein consideriamo la radiazione luminosa come composta di “fotoni”. Ma quale sarà il rapporto tra il tutto e la parte ossia fra il “treno d’onde”, come si suol dire, e i singoli fotoni che lo compongono? Si tratta di un rapporto ordinato in un certo e stabile modo: l’energia del treno d’onde è sempre un multiplo di una quantità definita ovvero dell’energia di un “singolo fotone”. I fotoni hanno massa uguale a zero e carica elettrica uguale a zero, tuttavia possiedono energia, momento, spin di rotazione nella direzione del moto. E come avviene l’interazione fra queste particelle e i nuclei atomici? Avviene a un “quanto” alla volta. Ciò si deduce dal fatto che la luce di oggetti posti nello spazio a 10 miliardi di anni luce ci raggiunge perfettamente. La trasmissione della luce nello spazio mostra dunque la presenza di un ordine, di una stabilità non inferiore a quella della materia, con le sue sostanze. Un altro esempio di ordine stabile nel mondo dell’energia è il seguente: La densità media della carica elettrica è zero in tutto l’universo. Se la terra e il sole avessero un eccesso di cariche positive sulle negative e viceversa pari a una parte su 1036 [1 seguito da 36 zeri, 6 volte un milione], la repulsione elettrica tra di loro sarebbe più grande dell’attrazione gravitazionale. Inoltre: l’energia totale delle particelle che entrano in collisione si conserva sempre, anche se ci può essere uno scambio di energia tra una particella e l’altra[21]. Altri esempi si potrebbero addurre.

La materia e l’energia trapassano l’una nell’altra ma sono state costituite entrambe secondo un ordine che permette di parlare per l’una e per l’altra di una stabilità che sempre si mantiene. E per la materia la stabilità ci conduce al concetto della sostanza, che pertanto conserva diritto di cittadinanza in fisica. 

È evidente che il neo-atomismo impostoci dalla scienza contemporanea non ci obbliga a rinunciare al concetto della sostanza e per logica conseguenza al dogma della transustanziazione, che quel concetto presuppone. Ci obbliga a precisarne ancor meglio il fondamento, servendosi proprio delle scoperte della scienza moderna. Le quali dimostrano che è in realtà impossibile rinunciare al concetto della sostanza; tale rinuncia provocherebbe quella del concetto di “stabilità della materia”, con il risultato di rendere incomprensibile la realtà, che si dovrebbe allora considerare nient’altro che un coacervo caotico di particelle, senza capo né coda.

Naturalmente, il discorso deve esser ulteriormente approfondito, introducendovi (come fa giustamente Aristotele) il principio di causalità, nelle sue varie forme, dal momento che “ciò che è in sé e non in altro”, lo è sempre in conseguenza dell’azione di una causa efficiente che opera secondo un fine e quindi in relazione ad una causalità finale, che in ultimo risale sempre a Dio.  La presente nota mi sembra comunque sufficiente per una prima confutazione degli errori circolanti, che dalla filosofia trapassano poi nella teologia, cadendo infine nell’eresia.






  continua...............

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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