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CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (3)

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2017 14:45
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 Cari Sacerdoti, riprendiamo questa rubrica ricordando quelle precedenti:


CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (2)


CRISI DEL SACERDOZIO? cerchiamo di capire le ragioni...


Ratzinger:Cari Sacerdoti non siate mediocri

Servitori della vostra gioia (*)

Quando con questa lettura dell’Antico Testamento si arriva al suo nucleo e la parola di Dio viene accettata come terra di vita, si stabilisce spontaneamente il contatto con colui che noi riteniamo per fede come Parola vivente di Dio.

Mi sembra che non a caso questo salmo (119) nella Chiesa antica costituiva la grande profezia della risurrezione, la descrizione del nuovo David e di Gesù Cristo, sacerdote definitivo.

Imparare a vivere non significa imparare una tecnica qualunque, ma vuol dire superare la morte.

Il mistero di Gesù Cristo, la sua morte e risurrezione risplendono, quando la passione della Parola e la sua indistruttibile energia di vita diventa esperienza.

Perciò qui non c’è più bisogno di grandi applicazioni alla nostra particolare spiritualità. Appartiene per costituzione al sacerdozio quella specie di esclusione dei leviti dalla legge, la mancanza di terra, l’abbandono in Dio. La storia di vocazione in Lc. 5,1-11, che avevamo preso ad esaminare all’inizio, termina non diversamente con le parole: «essi abbandonarono tutto e lo seguirono» (v. 11).

Senza questo atto di distacco non c'è sacerdozio. La chiamata alla sequela non sarebbe possibile senza questo segno di libertà e di rifiuto di compromesso. Di conseguenza io penso che il celibato, come distacco da un futuro terreno e da una vita familiare propria, conservi un suo grande significato, anzi la sua indispensabilità, affinché il fondamentale abbandono in Dio possa persistere e diventare concreto.

Ciò significa che il celibato vanta dei diritti su tutto il modo di organizzare la vita. Non può corrispondere al suo significato se noi in tutto il resto seguiamo la tendenza al possesso e le regole del gioco della solita vita di oggi.

Prima di tutto esso non può resistere, se noi non rendiamo effettivo al centro della nostra vita l’atto di dimorare in Dio. Il salmo 16, come il salmo 119, rappresenta una forte allusione alla necessità di una costante contemplativa familiarità con la parola di Dio, la quale solamente può diventare la nostra dimora. L’aspetto comunitario della pietà liturgica, qui sicuramente presente, viene in evidenza quando il salmo 16 parla del Signore come «mio calice» (v. 5).

Secondo il modo di parlare dell’Antico Testamento questa sarà un’allusione al calice festivo, che passava durante il pasto cultuale, o al calice del destino, il calice dell’ira o della salvezza. Nel Nuovo Testamento il sacerdote che prega può considerare questa, in modo speciale, come un’allusione a quel calice, attraverso il quale il Signore, nel senso più profondo, è diventato nostra terra: il calice eucaristico, nel quale dispensa se stesso come nostra vita.

La vita sacerdotale alla presenza di Dio in questo modo viene concretizzata come vita nel mistero eucaristico. Nel più profondo l’Eucaristia è la terra,( che è diventata nostra parte di eredità e della quale possiamo dire: «Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità» (v. 6).

 

Adesso si impongono ancora due annotazioni di carattere fondamentale.

3. Due conclusioni fondamentali dai testi biblici

a)      L’unità dei due Testamenti

In questa preghiera sacerdotale dell’Antica e della Nuova Alleanza attribuisco speciale importanza al fatto che vi si manifesta vitalmente l’unità interna dei Testamenti, l’unità della spiritualità biblica e dei suoi fondamentali atti vitali.

Questo è molto significativo, perché uno dei motivi principali della crisi, motivata esegeticamente e teologicamente, della figura del sacerdote è stata la separazione dell’Antico Testamento dal Nuovo, la cui relazione era ancora vista solo nella tensione di opposizione dialèttica tra legge e Vangelo. Si riteneva come certo che i servizi neotestamentari non avevano assolutamente nulla a che vedere con gli uffici dell’Antico Testamento. La possibilità di rappresentare il sacerdozio sotto forma di ritorno all’Antico Testamento apparve addirittura come la confutazione inattaccabile dell’idea cattolica di sacerdozio.

La cristologia, si diceva, significa l’abolizione definitiva di ogni sacerdozio, lo smantellamento delle frontiere tra sacro e profano, come anche il distacco da tutta la storia delle religioni e dalla loro idea di sacerdozio. Soprattutto, quando nella raffigurazione del sacerdote della Chiesa si proponevano rapporti con l’Antico Testamento o con il patrimonio concettuale della storia delle religioni, si ritenne tutto questo come segno della mancanza dell’elemento cristiano nella Chiesa e come dimostrazione contro la figura del sacerdote nella Chiesa.

E così ci si trovava più che mai tagliati fuori dalla comune corrente sorgiva della pietà biblica e dell’esperienza umana ed esiliati in una realtà profana, il cui cristomonismo in realtà aveva dissolto la stessa figura del Cristo della Bibbia.

Questo poi si collegava al fatto che si inventava un Antico Testamento come contrapposizione di legge e profeti, in cui la legge era identificata con il culto e con i sacerdoti, i profeti con la critica al culto e con una semplice etica della solidarietà, che trova Dio non nel tempio, ma nel prossimo.

Al tempo stesso si arrivò a identificare il culto come legge e, dall’altra parte, a caratterizzare la pietà profetica come fede nella grazia. Come conseguenza di tutto questo il luogo del Nuovo Testamento era stabilito nell’anticulto, nella semplice solidarietà, e, in ogni caso, qualunque ulteriore tentativo di accedere al sacerdozio, secondo questa impostazione di base, non poteva condurre a risultati solidi e convincenti.

La discussione di tutto questo intreccio di pensiero deve ancora essere svolta. Colui che recita il salmo sacerdotale 16 insieme agli altri salmi ad esso collegati, specialmente il salmo 119, si accorge bene anche di un’altra cosa: la fondamentale contrapposizione di culto e profeti, di sacerdozio e profezia o cristologia, in se stessa finisce semplicemente per crollare.

Infatti questo salmo è in ugual misura una preghiera sacerdotale e profetica. In esso si mostra chiaramente la più pura e profonda pietà profetica proprio come pietà sacerdotale. E se è così, si tratta di un testo cristologico. E se è così, la cristianità al suo inizio lo ha ritenuto come una preghiera di Gesù Cristo, che Cristo di nuovo consegna a noi, perché noi possiamo di nuovo recitarla con lui (cf At 2,25-29).

In esso si esprime profeticamente il sacerdozio nuovo di Gesù Cristo, e in esso appare chiaramente come il sacerdozio nella Nuova Alleanza sussiste e deve sussistere ancora da Cristo nell’unità di tutta la storia della salvezza. Da esso si può capire che il Signore non elimina la legge, ma la porta a compimento e la trasferisce nuovamente nella Chiesa, dopo averla veramente «elevata» a espressione della grazia. L’Antico Testamento appartiene a Cristo e in Cristo a noi. La fede può avere vita solo nell’unità dei Testamenti.

 

b)      Sacro e profano

Con questo sono già arrivato alla mia seconda annotazione. Con il ricupero dell’Antico Testamento deve essere superata la diffamazione del sacro e la mistificazione del profano.

Naturalmente, il cristianesimo è fermento, il sacro non è qualcosa di definitivo e di compiuto, ma qualcosa di dinamico.

Il sacerdote è soggetto a quel mandato: andate nel mondo e fate miei discepoli gli uomini! (Mt 28,19). Ma questa dinamica della missione, questa interiore apertura e ampiezza del Vangelo non si può scambiare con la formula: andate nel mondo e fatevi voi stessi mondo! Andate nel mondo e confermatelo nella sua profanità! Si tratta del contrario.

È il santo mistero di Dio, il chicco di senape del Vangelo, che non si mescola col mondo, ma è destinato a penetrare in tutto il mondo. Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro, il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici.

Eugenio Ionesco, uno dei padri del teatro dell’assurdo, in una intervista del 1975 ha espresso tutto questo con tutta la passione di un uomo del nostro tempo, che cerca ed ha sete.

Ne cito qualche frase: «La Chiesa non vuole perdere la clientela; essa anzi vuole guadagnare nuovi clienti. Questo dà come risultato una specie di mondanizzazione, che è veramente penosa».

«Il mondo si perde, la Chiesa si perde nel mondo, i parroci sono ingenui e mediocri (è certo che lo potrebbe dire ben a proposito anche dei vescovi!); sono soltanto uomini mediocri come tutti gli altri e si sentono felici di essere piccoli borghesi di sinistra. In una Chiesa ho sentito un parroco dire: Siate lieti, stringiamoci la mano... Gesù vi augura con giovialità una buona giornata! Presto si installerà un bar per la comunione del pane e del vino e si offriranno panini e spumante. Questo mi appare di una incredibile ingenuità, di una totale mancanza di spiritualità. La fraternità non è né mediocrità né cameratismo. Noi abbiamo bisogno di ciò che è fuori del tempo; infatti che cos’è la religione senza santità? A noi non resta niente, niente di stabile, tutto è in movimento. Eppure abbiamo bisogno di una roccia».

In questo contesto mi vengono in mente anche alcune delle stimolanti frasi di Peter Handke nella recente opera «Attraverso i villaggi». Dice così: «Nessuno ci vuole e nessuno mai ci ha voluti... le nostre case sono spalliere di disperazione sospese nel vuoto... Noi non siamo su una falsa strada, ma su alcuna affatto... Come è abbandonata l’umanità, come è abbandonata l’umanità!»

Se si ascoltano queste voci di uomini che, vivendo, soffrendo e amando, vivono consapevolmente nel mondo odierno, io credo che appaia chiaro che si può offrire un servizio a questo mondo solo evitando banali accondiscendenze. Esso ha bisogno non di conferme, ma di trasformazione, della radicalità del Vangelo.

 _________________

(*) del cardinale Joseph Ratzinger - Papa Benedetto XVI - in "Servitori della vostra gioia" - Meditazioni sulla spiritualità sacerdotale - Ancora quarta edizione 2008 - pagg.122-129

 Si consiglia di sfogliare altri testi di Ratzinger - Benedetto XVI: vedi qui e ancora qui, grazie

   




[Modificato da Caterina63 22/10/2016 10:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/08/2015 22:03
 
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  OMELIA del cardinale Piacenza - IN OCCASIONE DELLA SANTA MESSA DEL 13 FEBBRAIO 2014 A MONTILLA - CORSO DI FORMAZIONE PERMANENTE PER I SACERDOTI E SEMINARISTI


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“La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1,6-7).

         Le parole dell’Apostolo Paolo, del quale, nella vita e nella predicazione, fu il ritratto, risultano particolarmente adatte a descrivere la ricchezza, anzi la pienezza di doni di San Giovanni d’Avila, che oggi, commossi, ricordiamo.

         Per volontà del Santo Padre emerito Benedetto XVI, egli è il trentaquattresimo Dottore della Chiesa ed è indicato esplicitamente come modello per tutti coloro che, chiamati a partecipare dell’unico Sacerdozio di Cristo, sono investiti della grazia del ministero.

         Potremmo definire San Giovanni d’Avila un “uomo della sintesi riuscita”, nel quale mai si scorge contraddizione tra le essenziali dimensioni teologica, spirituale e pastorale, che in lui si alimentano reciprocamente, in modo compiuto, e che - ben lo sappiamo - non sempre, purtroppo, nel nostro ministero, sono così armonicamente correlate.

         In realtà, la stima di questo grande santo risale già al Papa Paolo VI, il quale, il 1° giugno del 1970, ebbe ad affermare: “La figura di San Giovanni d’Avila emerge con una finalità, che potremmo definire quasi profetica […]. Seppe reagire, con immediata certezza di fronte ai problemi del sacerdote, sentendo la necessità di purificarsi, di riformarsi, per riprendere il cammino con nuove energie”. E rimangono scolpite nei cuori le parole dell’omelia pronunciata nella celebrazione di canonizzazione, il 31 maggio 1970, che indicano “la fermezza nella vera fede, l’amore autentico alla Chiesa, la santità del Clero, la fedeltà al Concilio [di Trento], l’imitazione di Cristo” come caratteristiche essenziali del neo Santo.

         Gli fa eco Benedetto XVI, affermando del neo-Dottore che: “dotato di ardente spirito missionario, seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al Sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa” (Omelia, 7 ottobre 2012).

         Dobbiamo riconoscere che pochi Dottori della Chiesa hanno avuto un così grande influsso nell’esistenza concreta dei fedeli ed il segreto di tale fecondità nella santità ritengo si possa individuare esattamente nella sintesi armonica che il Santo seppe vivere.

         Fu un autentico profeta nell’annunciare il Vangelo, un maestro di liturgia nella fedele celebrazione dei Divini Misteri, un vero pastore nella guida delle coscienze e nell’accoglienza dei peccatori.

         Quanti equivoci - e quanta menzogna - c’è, ogni volta che le differenti dimensioni del ministero sacerdotale vengono poste in contrapposizione! Quasi che non si possa essere dotti e profondamente vicini al popolo, caritatevoli ed intellettuali insieme, radicati nello Spirito ed attenti alla vita concreta.

         San Giovanni d’Avila ci dimostra, con la sua vita ed il suo insegnamento, che non è così, che non c’è contraddizione tra autentico esercizio della misericordia e la fedeltà dottrinale al dato rivelato, anzi, che Dio sia Misericordia è proprio il cuore del dato rivelato, una Misericordia fatta carne, che interpella quotidianamente, fino alla consumazione della storia, la nostra libertà. Una Misericordia che non si impone mai, ma, sempre, ostinatamente, si propone all’uomo, accettando umilmente anche di restare inefficace, laddove la libertà ostinatamente restasse chiusa all’accoglienza del dono.

         San Giovanni d’Avila aveva chiaro come la riforma della Chiesa, successiva al Concilio di Trento, non potesse trovare attuazione, se non attraverso la formazione del Clero. Pur nelle mutate circostanze, dobbiamo riconoscere che questo assioma è applicabile anche al nostro tempo, che domanda, proprio per la corretta e completa attuazione del Concilio Vaticano II, una rinnovata attenzione alla formazione di tutti i credenti e, in special modo, dei ministri ordinati.

         Formazione che, proprio per la frammentazione della cultura, in cui siamo immersi, domanda urgentemente allo Spirito Santo il dono della sintesi tendenzialmente compiuta di San Giovanni d’Avila. E se non tutti possono giungere alla sua preparazione teologica e sintesi dottrinale, certamente tutti possiamo domandare la sua fedeltà nella celebrazione dei Misteri sacramentali, che si esprimono nella Liturgia, e il suo zelo apostolico e missionario, che si esprimeva, innanzitutto, nella celebrazione dei Sacramenti.

         La pagina evangelica, che la Liturgia ci offre nella festa di San Giovanni d’Avila, è l’eco fedele del suo motto sintetico: “Messor eram” - “Sono stato un mietitore”. Fratelli carissimi, la messe è molta anche oggi, perché molte sono le anime assetate di Dio. Non possiamo soffermarci in una esasperata analisi sociologica, ripetendo, come un mantra, che c’è la crisi della fede, la crisi della partecipazione ecclesiale, la crisi spirituale, la crisi di qualunque aspetto della vita.

         C’è la crisi, se noi siamo in crisi!

         C’è la crisi, se gli uomini di Chiesa non hanno più chiaro che, come dice il Signore: “La messe è molta”. Perché la messe è Sua, è Lui che la fa crescere, mentre a noi, come San Giovanni d’Avila ci ricorda, è chiesto unicamente di riconoscerla e di mietere, lavorando indefessamente, spendendoci integralmente, con passione ed autentico spirito di immolazione, perché tutti possano incontrare e riconoscere il Signore.

         Scrive nella Conferenza inviata al Padre Francesco Gomez, per il Sinodo diocesano di Cordoba (1563), San Giovanni d’Avila: “Chi potrà dire la grandezza dell’onore al quale Cristo innalza il Sacerdote? Chi non donerà il suo cuore, come Simeone, tenendo Cristo nelle sue mani, guardandoLo con i suoi occhi e vedendo Cristo portato da tanto lontano, mediante la lingua, essere abbracciato e preso dentro di sè, nel proprio petto intatto? Chi volesse onorare Cristo, si ricordi di questo onore che riceve da Lui. Chi, lontano dall’altare, volesse camminare composto e con la dovuta gravità, si ricordi di quanto in alto è stato portato e quanto importante era la cosa di cui si è occupato sull’altare. Se il dominio, o la carne, o il mondo lo dovessero tentare fuori dell’altare, si ricordi di quanta considerazione, beneficio e dono ha ricevuto da Dio sull’altare, e dica, come Giuseppe: come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio(Gn 39,9)”. La memoria della grandezza del dono ricevuto è la prima fondante ragione di ogni anelito missionario e di ogni rinnovamento nella santità.

         è questo il senso dell’appello che Papa Francesco rivolge a ciascuno nella recente Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”, nella quale, al numero 3, leggiamo: “Invito ogni cristiano, in qualunque luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo”.

         L’autentico rinnovamento della Chiesa è, allora, questo “rinnovare l’incontro personale con Gesù Cristo”. Solo in questo rinnovato incontro, può fiorire quella vita nuova, nella quale e dalla quale emergono anche possibili nuove vie di evangelizzazione; vie, che non devono condurre “altrove”, ma devono, sempre e comunque, rimandare a Cristo.

         “Messor eram”. Preghiamo la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli e San Giovanni d’Avila, perché ciascuno di noi, Vescovi, sacerdoti e seminaristi, grazie all’esercizio di un fedele ministero apostolico, al termine del corso terreno dell’esistenza, possa rispondere al Signore che ci domanda chi siamo stati: “Sono stato un mietitore”.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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LA PASTORALE INADEGUATA

 
 



di P. Giovanni Cavalcoli, OP - 23 aprile 2013



Gli intenti del Concilio Vaticano II

Il Beato Giovanni XXIII nel famoso discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia del Concilio Vaticano II, evidenziava come scopo del Concilio non fosse tanto quello di condannare specifici errori del presente, quanto piuttosto quello di proporre il messaggio cristiano in uno stile ed in un linguaggio moderni, adatti all’uomo del nostro tempo.

Il Papa precisava come esistessero già le condanne; esse erano presupposte e non dovevano essere dimenticate; si trattava invece di dare la prevalenza al tono propositivo, senza per questo escludere totalmente, il che non avrebbe avuto senso proprio per il carattere pastorale del Concilio, la condanna degli errori, e questa condanna effettivamente ci fu, anche se il Concilio si limitò a denunce generiche senza entrare in dettagli e senza citare i nomi degli autori. Inoltre il Concilio ritenne di abbandonare la formula tradizionale del canone e dell’anathema sit, il che non significava assolutamente che le condanne conciliari potevano esser prese alla leggera.

Così nel Concilio troviamo la condanna dell’ateismo, del materialismo, dell’individualismo, del secolarismo, dell’antropocentrismo, del liberalismo, del relativismo dogmatico e morale, dello sfruttamento dei lavoratori, del disprezzo per poveri e i deboli, del delitto politico, della corsa agli armamenti, della guerra di aggressione, dell’aborto, delle dittature, del totalitarismo statale, del razzismo, dello sfruttamento della donna e dei minori, dell’ingiustizia sociale, delle sperequazioni economiche.

Inoltre il Concilio si guardò bene, nel riformare la Curia Romana, dall’abolire il Dicastero addetto alla sorveglianza dottrinale ed alla difesa della fede, che fino ad allora era chiamato “Sant’Offizio”. Invece questo ufficio, col nuovo nome più chiaro di “Congregazione per la Dottrina della Fede”, fu adeguato allo spirito del rinnovamento conciliare col perdere quel carattere di esclusivo ed eccessivo intervento repressivo e sanzionatorio ed acquistare un’impostazione ed uno stile più umani ed evangelici, per i quali la confutazione ragionata e motivata dell’errore era finalizzata alla valorizzazione dei lati positivi delle dottrine erronee e delle qualità umane e culturali dell’errante, mediante l’uso di procedimenti interpretativi e correttivi più aggiornati e l’assicurazione all’errante di una maggiore possibilità di difendersi e di spiegare le sue posizioni. Le pene poi venivano mitigate. Nel contempo veniva abolito l’Indice dei libri proibiti.

Questa saggia impostazione del Concilio si sarebbe dovuta assumere con quell’equilibrio che esso suggeriva; e invece purtroppo spesso negli ambienti dell’episcopato e delle istituzioni accademiche, sotto la spinta dei cosiddetti “progressisti”, che in realtà erano dei criptomodernisti, nacque l’uso, aggravatosi in questi ultimi decenni, di tollerare il rifiorire di vecchi errori e il sorgere di nuovi, per timore si essere trattati da Pastori preconciliari e nella convinzione di riconoscere così il pluralismo e la libertà di espressione.


Che cosa allora è successo

E’ successo che numerosi errori già condannati nel passato sono risorti e, non venendo condannati, hanno provocato in molti la convinzione o l’impressione che la precedente condanna fosse stata superata o annullata dal nuovo clima dottrinale e pastorale avviato dal Concilio. Ciò si è accompagnato al risorgere di quelle idee moderniste che sostenevano la mutabilità dei concetti dogmatici, senza che anche questo increscioso fenomeno sia stato adeguatamente represso, il che ha generato in molti una mentalità storicista, relativista ed evoluzionista, che ha favorito il disprezzo delle antiche condanne e la tranquilla assunzione degli errori moderni, riconosciuti peraltro come tali solo dagli esperti della storia delle idee e delle eresie, giacchè in realtà molte dottrine presentate come nuove ed avanzate, agli occhi degli storici seri del pensiero, sono quasi sempre il ritorno, magari con termini o sfumature diversi, di errori di tempi immediatamente precedenti il Concilio o anche antichi o antichissimi risalenti a volte addirittura ai filosofi presocratici, come per esempio gli aforismi di Eraclito, Anassagora, Pitagora, Epicuro, Democrito, Parmenide o Protagora o le mitologie dell’antica India o della Cina.

Potremmo fare molti esempi di questi errori condannati dalla Chiesa prima del Vaticano II risalendo nei secoli sino agli inizi del cristianesimo, errori che restano tali e che quindi il Concilio non ha affatto smentito, ma che anzi esso presuppone, almeno implicitamente: la negazione della dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio; la negazione della trascendenza, dell’immutabilità e dell’impassibilità divine; la negazione della divinità di Cristo; la negazione dei miracoli e delle profezie; l’idea che in Cristo Dio si muti in uomo; la negazione della Redenzione e quindi della Messa come sacrificio espiatorio e riparatore; la negazione della corporeità sensibile di Cristo risorto; la negazione della gerarchia ecclesiastica; l’idea che tutti e sempre sono in grazia; la possibilità di salvezza anche per gli atei e per chi è fuori della Chiesa; l’identificazione della Chiesa col mondo; l’idea che ogni religione sia salvifica; la negazione della coppia primitiva e della trasmissione della colpa originale per generazione; l’idea che Dio non castiga ma fa solo misericordia; Dio perdona anche chi non si pente; la negazione dell’esistenza di dannati nell’inferno; la negazione dell’esistenza del diavolo; la concezione dell’uomo come essere soprannaturale o divino; la negazione dell’immutabilità del dogma; la concezione della fede non come verità ma come esperienza o come prassi, oppure la fede come essenzialmente legata al dubbio o all’incredulità; la negazione della legge morale naturale; l’esaltazione dell’omosessualità; la liceità della fecondazione artificiale, dei rapporti sessuali extramatrimoniali e dell’uso degli antifecondativi; l’aborto e l’eutanasia intesi come diritti; il sacerdozio della donna.

Così similmente si crede che la dottrina delle due nature nel Concilio di Calcedonia non sia più attuale, si rifiuta il dogma dell’anima umana come forma sostanziale del corpo insegnato dal Concilio di Viennes nel 1312; si respinge la condanna di Eckhart fatta da Clemente V nel 1329; si nega il dogma dell’immortalità dell’anima proclamato dal Concilio Lateranense V nel 1513; si pensa che la condanna di Lutero fatta dal Concilio di Trento sia sbagliata; si crede che la condanna del liberalismo fatta dal Beato Pio IX sia superata; non si tiene conto della condanna del panteismo fatta dal Concilio Vaticano I e da S.Pio X; si disprezza l’enciclica Pascendi di S.Pio X; non si tien più conto degli errori di Rosmini condannati dal S.Offizio nel 1887; non ci si cura della condanna della massoneria fatta da Leone XIII, del comunismo fatta da Pio XI, nonché della scomunica dei comunisti fatta da Pio XII nel 1949; non ci si cura della condanna dello spiritismo fatta dal S.Offizio nel 1918; non si bada ai pericoli di un certo ecumenismo segnalati da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos; ci si è dimenticati degli errori segnalati da Pio XII nella Humani Generis; si rifiuta il monito circa il teilhardismo fatta dal S.Offizio nel 1959.

Non parliamo poi delle contaminazioni del cattolicesimo che sorgono dal fatto di mescolarlo col pensiero del Rinascimento italiano, di Cartesio, di Lutero, dell’illuminismo, dell’empirismo, di Kant, di Fichte, di Schelling, di Hegel, di Marx, di Freud, dell’esistenzialismo, di Husserl, di Heidegger, di Severino, del pensiero indiano, del buddismo e di altri.


La situazione attuale

Come ho già detto, la mancanza di interventi correttivi o critici da parte di vescovi o istituti accademici o uomini di cultura cattolici porta molti a credere che tutte queste teorie e queste idee tutto sommato siano divenute ammesse ed accettabili: la Chiesa, si pensa, ha mutato opinione o si è corretta in seguito a studi più critici e più documentati. Se vogliamo essere moderni, aggiornati e seguaci del Concilio, – tale è il pensiero di molti – dobbiamo seguire questi pubblicisti, giornalisti, filosofi, teologi, moralisti, esegeti, vescovi e cardinali che oggi hanno assunto posizioni contrarie a quelle tradizionali presentate qui sopra. Il fatto che Roma o altre autorità ecclesiastiche non intervengano si crede essere segno che Roma tacitamente riconosce di essersi sbagliata.

Questa crisi della fede all’interno della Chiesa stessa e tra gli stessi pastori, esclusi, s’intende, il Papa, nonché lo stesso Magistero, che godono del carisma dell’infallibilità, può essere caratterizzata con cinque attributi: soggettivismo, buonismo, relativismo, modernismo, secolarismo.

Soggettivismo. La fede non viene concepita più come ascolto di una dottrina insegnataci da Gesù Maestro, per il tramite della Chiesa, ma come incontro immediato, esistenziale, affettivo ed esperienziale con Cristo, anche senza passare attraverso il Magistero della Chiesa: un concetto tipicamente protestante della fede, la quale appare congiuntamente non come l’adeguarsi del nostro intelletto ad una verità oggettiva – ciò che S.Paolo chiama “obbedienza della fede” –, ma come libera espressione della coscienza soggettiva, che si ritiene direttamente illuminata da Dio, eventualmente per mezzo della Scrittura, ma nel senso di sola Scriptura.

Buonismo. La fede quindi non è virtù dell’intelletto, alla quale segue la carità come effetto della volontà, ma la fede è risolta nella carità e con essa confusa. La fede non è atto del conoscere, ma è coinvolgimento pratico dell’intera persona, ciò che in realtà appartiene alla carità e non alla fede. La carità in qualche modo si sostituisce alla verità. Non si fonda sulla verità, non presuppone la verità, ma appare essa stessa come fondamento della verità.

Alla base di questa visione c’è una disfunzione e un disordine nel rapporto tra intelletto e volontà. Bisogna dire che in passato si mancava alla carità in nome della verità (vedi il processo a Giordano Bruno); oggi si manca alla verità in nome della carità (il rahnerismo a piede libero).

Relativismo. Poiché ogni uomo ha bisogno di verità, si crede che di fatto tutti sono nella verità intesa come carità. Quindi tutti sono buoni e in buona fede, seppure ognuno a modo proprio. Infatti il rispetto della diversità, della libertà e del pluralismo richiede che la verità non sia un dato oggettivo, universale, vincolante, uno per tutti, ma sia qualcosa di relativo alla coscienza soggettiva e creativa di ciascuno, in quanto ognuno è diverso dagli altri.

Da qui un falso concetto della libertà religiosa, che praticamente è l’assolutizzazione della coscienza individuale, è liberalismo ed indifferentismo religiosi: perché affannarsi ad annunciare il Vangelo? Tanto tutti conoscono già la verità, tutti si salvano, tutti sono in grazia, tutti sono perdonati, tutti hanno buona intenzione e buona volontà. Nessuno fa il male volontariamente.

Secondo costoro tutti sono nella verità, anche se la mia verità contraddice alla tua. Ma comunque Dio è in tutti e salva tutti. Non esiste un’opposizione netta, assoluta, immutabile, universale ed oggettiva tra vero e falso: una medesima cosa può essere vera per me e falsa per te. Tutti abbiamo ragione. Dipende dal punto di vista. Quindi non si devono condannare errori ed eresie. Tutt’al più si può esprimere il proprio parere ma si devono rispettare anche le idee degli altri, per quanto contrarie alle nostre.

Sarebbe bene quindi per alcuni chiudere la Congregazione per la Dottrina della Fede, organismo che ancora riflette una superata mentalità preconciliare, inquisitoriale. La fede non è una certezza, ma una semplice opinione tra le altre, per sua natura è dialogo, confronto, convive col dubbio e con la stessa incredulità. Solo così si è aperti e tolleranti; altrimenti si diventa degli integralisti e dei talebani.

Secolarismo. Osserviamo che la fede ha perso il suo orientamento speculativo, contemplativo, spirituale, trascendente, soprannaturale, escatologico, benchè si continui ad usare questi termini, come fa Rahner, ma falsificandoli e secolarizzandoli. In realtà Rahner – e lo dice esplicitamente – non crede affatto nell’immortalità dell’anima e in una vita dopo la morte, ma per lui la salvezza è solo qui.

Dio non è al di sopra o al di là della storia, ma solo nella storia. Non c’è un altro mondo oltre a questo e superiore a questo, ma il cristianesimo è solo per questo mondo che è l’unico mondo. Non c’è un sacro oltre al profano, ma lo stesso profano è sacro (Rahner). Il sacerdozio non è fondato da Cristo, ma emana dal Popolo di Dio (“Chiesa dal basso”), per cui non esistono gerarchie (“struttura piramidale”), ma tutti siamo fratelli ugualmente sacerdoti (Schillebeeckx). L’azione della Chiesa è un’azione politica e non soprannaturale (teologia della liberazione).

Cristo non trascende il mondo ma è il vertice evolutivo del mondo -“Punto Omega” -: cristologia “cosmica” (Teilhard de Chardin). Infatti non è lo spirito (divino) che crea la materia, ma è la materia che si trasforma in spirito e diventa Dio (ancora Teilhard, cf Darwin, Schelling e Bruno).

Modernismo. Tutte queste idee e prospettive sono elaborate nella convinzione di essere moderni e di intrattenere un dialogo e un confronto con la modernità, sulla scia dell’impostazione innovativa del Concilio. L’idea in se stessa è buona, ma il guaio è che qui la “modernità”, invece di essere vista come un complesso di dati da vagliare alla luce del Vangelo, onde tenere il positivo e respingere il negativo, è considerata essa stessa un assoluto, alla luce del quale prendere dal Vangelo solo quello che si concilia con la modernità. E’ l’errore gravissimo del modernismo di ieri e di oggi.


Filiali suggerimenti ai vescovi

Il collegio dei vescovi in unione col Papa continua e continuerà sempre a costituire la guida infallibile nella fede cattolica, quale che sia il modo col quale il Magistero si esprime, semplice o solenne, ordinario o straordinario. Può sbagliare solo il singolo vescovo o un gruppo di vescovi (per esempio una conferenza nazionale) se non sono in comunione col Papa.

Spetta dunque ai vescovi, fraternamente uniti nella collegialità, rimediare a questa grave crisi di fede. Benedetto XVI non per nulla ha indetto l’Anno della Fede tuttora in corso ed aveva in programma la pubblicazione di un’enciclica sulla fede, se i modernisti, evidentemente allarmati, non lo avessero fermato. Tuttavia ritengo che sia bene che il nuovo Papa metta in atto il progetto di Papa Benedetto, senza paura dei modernisti. Sono loro che devono cedere, non certo Roma.

Bisogna tornare ad avere autentica stima per la virtù teologale della fede, che è l’inizio della salvezza. Se la fede è sana e forte, allora possono esercitarsi tutte le altre virtù, innanzitutto la carità. Ma se la fede è annacquata o confusa con altre cose per quanto importanti, tutto crolla e nulla si può costruire. La fede può stare senza la carità benchè con difficoltà: ma la carità non può assolutamente esistere senza la fede, se non vuol decadere a mera filantropia, a emozione o, peggio, a sfogo di istinti soggettivi.

Ma la fede è verità, per cui occorre tornare ad aver rispetto per la verità, certo nella carità. Ma non c’è carità senza la verità. Il giusto rispetto per la coscienza soggettiva e per la libertà religiosa non dev’essere una scusa per disprezzare la verità oggettiva, universale ed immutabile. L’autorità ecclesiastica deve saper contemperare saggiamente il rispetto per la coscienza soggettiva con la cura del bene comune in fatto di dottrina della fede, promovendo la sana dottrina e sostenendo i suoi divulgatori ed apostoli, e confutando con buone ragioni e in modo persuasivo gli errori continuamente insorgenti, opponendo opportuni rimedi e correggendo amorevolmente con giustizia gli erranti e i ribelli.

Questa funzione dei vescovi, per quanto oggi soffra una grave crisi, è una funzione vitale di quella Chiesa che Cristo ha fondato garantendole che non sarà vinta delle forze dell’inferno. Per quanto dunque oggi la situazione sia angosciante e scandalosa, come cattolici siamo assolutamente sicuri che questa crisi sarà superata con la forza dello Spirito Santo per una Chiesa più santa e più forte di prima, vera luce delle genti e sacramento universale di salvezza.



da Riscossa cristiana  23 Aprile 2013 


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/08/2015 10:16
 
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Benedetto XVI diede l'esempio e scrisse la Sacramentum Caritatis per suffragare la Norma della Chiesa, e venne respinto, bastonato, oltraggiato, umiliato.... Auspichiamo al cardinale Sarah di avere più successo di Benedetto per il bene della Chiesa, dei Sacerdoti  e dei Fedeli stessi   







Il cardinale Robert Sarah: 
“Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”

 

Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta.“Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”


 

Fraternamente CaterinaLD

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Il Concilio Vaticano II come Cavallo di Troia


Il Concilio come Cavallo di Troia o, se preferite, il Concilio come un capro espiatorio

Sfogliando articoli di alcuni anni orsono, siamo circa nel 2001 a riguardo di quanto andiamo ad analizzare, abbiamo riesumato questa "lettera al direttore" da una rivista diocesana per evidenziare alcuni errori di valutazione espressi sia da colui che pone un elenco, sia però anche dal Direttore che non offre affatto dei chiarimenti e risponde in modo ideologico aumentando la confusione.

Veniamo subito al dunque, ecco la lettera e la risposta.

Gli errori del Concilio

Caro Direttore, se mi chiede che cosa resti del Concilio, non so rispondere ma posso elencare alcuni «effetti» prodotti da un sì grande avvenimento:

- vergogna e disprezzo dell’abito talare (preti e frati che gettarono la tonaca alle ortiche per abbandonare il sacerdozio o per ricoprirsi di stracci);
- altari trasformati in tavole o mense;
- canto gregoriano sostituito da lagne insopportabili;
- confessionali vuoti anche dall’altra parte;
- ci si accosta alla Comunione senza devozione e senza convinzione (e si consente che vi accedano anche i non cattolici);
- ecumenismo dissennato;
- senso di inferiorità e di colpa della Chiesa (conseguenza: nessuno si converte più alla religione cattolica);
- seminari vuoti;
- chiese sempre più vuote.
Non è tutto ma può bastare.

R. G.

LA RISPOSTA

Posso capire la difficoltà di una persona che è stata educata alla fede in epoca preconciliare e non si ritrova in alcuni aspetti esteriori della Chiesa di oggi. Ma trovo francamente assurdo, oltre che totalmente ingiusto, imputare al Concilio («il grande catechismo dei tempi moderni» come lo ha chiamato Paolo VI) tutti i difetti di una società sempre più secolarizzata, quale è la nostra.

Anzi, possiamo dire esattamente il contrario: senza quel grande evento di grazia, oggi, la Chiesa non avrebbe quella vitalità che invece mostra in tante parti del mondo. E se ci fosse bisogno di una riprova, basterebbe osservare cosa avviene nelle Chiese ortodosse, dove purtroppo non c’è stata una riflessione, come quella del Vaticano II, per cercare di parlare all’uomo di oggi: lì chiese e seminari sono più vuoti dei nostri, anche se si continua a cantare in gregoriano.

Come si fa poi a contrapporre il Vaticano II alla Tradizione? Ma tutta la Tradizione ci ripete, da sempre, che l’infallibilità promessa da Cristo alla Chiesa, oltre che appartenere al Papa, quando «quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli... proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale» risiede «pure nel corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col successore di Pietro soprattutto in un Concilio Ecumenico» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 891).

E chi siamo per poter dire di aver ragione noi anziché le migliaia di vescovi, riuniti in Concilio?

___________________

Ciò che abbiamo rilevato è che hanno sbagliato entrambi.

La risposta più onesta da dare (perdonateci ma questa non è superbia o presunzione, più semplicemente oggettività, acquisizione di informazioni e approfondimenti che forse, nel 2001, non c'erano ancora stati) era ed è la seguente:

Innanzi tutto non è corretto parlare di "effetti del concilio", tutta la serie di elenco che segue da parte del lettore che pone i quesiti, era già in atto ancor prima del Concilio Vaticano II, anzi bisognerebbe risalire al Protestantesimo con il suo liberalismo e il Sola Scriptura, giungere al Rinascimento e al suo umanesimo per spiegare la genesi delle idee che hanno trionfato poi al Concilio.

Ed è certo che se la Chiesa ha resistito agli assalti del protestantesimo nel XVI secolo, del giansenismo nel XVII secolo, del naturalismo filosofico nel XVIII secolo, senza dimenticare prima anche l'Illuminismo, del Romanticismo, del liberalismo nel XIX secolo e del modernismo nella prima metà del XX secolo, lo si deve alla Chiesa nel suo ministero petrino, in particolare da San Pio X con la sua denuncia del Modernismo nella Pascendi Dominici grecis che racchiude tutto un movimento detto anche "progressismo", e pure con Pio XII che condannerà la Nouvelle Theologiae e che avvertirà proprio sotto il suo Pontificato negli anni '50, gli anni d'oro del boom economico, l'affermarsi di una grave crisi interna alla Chiesa con l'inizio degli abbandoni religiosi, richieste di spretamento per sposarsi, aumento dei preti operai ed implicati nella politica, insofferenza fra coniugi e crisi matrimoniali (Pio XII è il Papa che ha dedicato un vasto magistero per gli Sposi cristiani), abbandono della dottrina e del catechismo, disertare dalla Messa della domenica a vantaggio delle "uscite fuori porta del week-end" la nuova forma festiva della domenica con annesse partite di calcio e della domenica lavorativa, tanto che fu Pio XII ad ufficializzare la Messa "prefestiva" del sabato sera per intenderci, per venire incontro a quanti - per motivo di lavoro domenicale - non potevano andare a Messa la Domenica... e non dimentichiamo il boom della musica e la nascita delle discoteche e del nuovo "sballo" giovanile....

Insomma, quelli che il lettore definisce "effetti del concilio" in verità erano già in atto nel mondo e dentro la Chiesa prima del concilio, solo che la Chiesa, effettivamente, li frenava. Ma non è stato alcun "decreto" del concilio a liberalizzare queste derive, la questione è molto più complessa.

 

C'è una bellissima e recente espressione del Vescovo monsignor Athanasius Schneider, Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakhstan e uno dei vescovi più impegnati in difesa delle verità cattoliche, che afferma e spiega  come "le buone intenzioni del concilio sono finite in mano di uomini senza Dio...".

Leggiamo un passo: «Per qualche misteriosa ragione – sottolinea Schneider – Dio ha permesso che le buone intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II cadessero nelle mani di uomini senza Dio e ideologi-rivoluzionari liturgici. Hanno messo la sacra liturgia di Santa Romana Chiesa in stato di prigionia, in una sorta di esilio ad Avignone». (1)

Perciò se da una parte è vero come ha risposto il Direttore che trova "assurdo ed ingiusto" dare la colpa al Concilio per quei difetti elencati, dall'altra parte non è una risposta vera dire che è "esattamente il contrario" ossia che la "salvezza" della Chiesa è venuta dal Concilio.... la Chiesa quella" vitalità" ce l'aveva, l'ha sempre avuta e l'avrebbe continuata ad avere anche senza il Concilio.

E se per questo Direttore la risposta è "guardare" alla Chiesa Ortodossa, bè, fa cadere un tantino le braccia e lascia alquanto perplessi sull'ignoranza dei fatti che dilagano nella Chiesa.

Se per "vitalità" si intende - come lascia intendere la risposta - la riforma liturgica dal momento che la Chiesa Ortodossa infatti non l'ha cambiata, dimostra una grande ignoranza perchè, se lì le chiese sono vuote è perchè non hanno mai avuto la Domenica come centro catalizzatore della comunità parrocchiale e diocesana, in tal senso le chiese ortodosse sono sempre state più "vuote" delle nostre (e non è neppure vero perchè nelle "feste comandate" quale sono il Natale, la Pasqua, e persino i Santi Patroni del loro calendario, le chiese ortodosse sono stracolme e per le feste dei Patroni non riducono tutto a tarallucci e vino come avviene da noi con le pro-loco, e da loro per fare la Confessione sacramentale si rispetta un periodo di digiuno e di penitenza). Ed è un paragone inutile ed assurdo dal momento che, avendo essi il clero sposato, ci si dovrebbe chiedere piuttosto come mai i seminari si sono svuotati anche da loro mentre da noi si svuotarono per il motivo opposto, ossia a causa del celibato?

Questa era la domanda da fare.

Non possiamo qui ora analizzare - punto per punto - le questioni sollevate dal lettore, ma possiamo fare una panoramica dando una risposta più oggettiva dei fatti.

Il concilio Vaticano II, senza dubbio, aveva come fondamento (dalle parole di Giovanni XXIII - vedi qui ) quanto espresso da Papa Giovanni XXIII che l'ha voluto: "Questo si richiede ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana, che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio. Per cui constatiamo che gli uomini del nostro tempo non sono progrediti nei beni dell’animo di pari passo come nei beni materiali. Ne consegue che essi ricercano più negligentemente i valori che non vengono meno; che, al contrario, aspirano ordinariamente ai molteplici piaceri del mondo che il progresso tecnico offre con tanta facilità, e che - ciò che va considerato nuovo e temibile - si è formata ed ha raggiunto molti popoli una corrente di persone, agguerrita come un esercito, che negano l’esistenza di Dio."

E quanto alla presunta carenza di "vitalità" scandita dalle parole del Direttore, è lo stesso Giovanni XXIII a smentirlo, dice infatti sempre nel medesimo testo riportato: "Quanto alla Chiesa, essa non è rimasta inerte di fronte alle vicissitudini dei popoli, al progresso delle scienze e delle tecniche, alle mutate condizioni della società, ma ha seguito tutto questo con vigile attenzione; si è posta con tutte le forze contro le ideologie di coloro che riducono tutto a materia o tentano di sovvertire i fondamenti della fede cattolica; ha attinto infine dal suo seno rigogliose energie che incitano al sacro apostolato, alla pietà, ad intervenire fattivamente in tutti i campi dell’attività umana; e questo anzitutto con l’opera del sacro clero, che con la dottrina e la virtù ha dimostrato di essere all’altezza di adempiere i suoi compiti, e poi con l’azione di laici che si sono resi sempre più consapevoli delle responsabilità loro affidate nella Chiesa, e in modo particolare del dovere, dal quale ognuno è vincolato, di impegnarsi nel collaborare con la gerarchia ecclesiastica." (Humanae salutis n.5)

ed anzi, rincara la dose Giovanni XXIII nel fare le lodi alla Chiesa prima del Concilio:

"Cosicché, se vediamo profondamente cambiato l’aspetto della società umana, anche la Chiesa cattolica si presenta ai nostri occhi ampiamente mutata e rivestita di una forma più perfetta: dotata cioè di una più robusta compattezza nell’unità, potenziata dal supporto di una più feconda dottrina, più bellamente fulgida per splendore di santità, sicché essa appare del tutto pronta a combattere le sante battaglie della fede." (Humanae salutis n.5)

A ben vedere, leggendo, è proprio la maturata " forma più perfetta: dotata cioè di una più robusta compattezza nell’unità, potenziata dal supporto di una più feconda dottrina, più bellamente fulgida per splendore di santità"che ora la Chiesa avrebbe potuto affrontare il mondo intero, la Chiesa, sottolinea il Pontefice era "pronta a combattere le sante battaglie della fede".

 

Ma qualcosa è andato storto e il primo a dirlo, a riconoscerlo, fu Paolo VI.

Riferendosi alla situazione della Chiesa di quegli anni, Paolo VI afferma nell'Omelia del 29 giugno 1972, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, una vera catastrofe e non nasconde di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio».

C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E - continua sempre il Papa - non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza..."

Questo il quadro sconcertante descritto da Paolo VI.

«Per qualche misteriosa ragione – sottolinea Schneider – Dio ha permesso che le buone intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II cadessero nelle mani di uomini senza Dio e ideologi-rivoluzionari liturgici. Hanno messo la sacra liturgia di Santa Romana Chiesa in stato di prigionia, in una sorta di esilio ad Avignone»

Infine, il Direttore risponde al lettore:

"Come si fa poi a contrapporre il Vaticano II alla Tradizione? Ma tutta la Tradizione ci ripete, da sempre, che l’infallibilità promessa da Cristo alla Chiesa, oltre che appartenere al Papa, quando «quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli... proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale» risiede «pure nel corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col successore di Pietro soprattutto in un Concilio Ecumenico» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 891)."

Innanzi tutto non ci sembra che il lettore abbia fatto questa osservazione - a meno che una parte della lettera non sia stata censurata all'origine - ma ad ogni modo cosa c'entra questa risposta con i quesiti sollevati dal lettore?

E' vero, non si deve "contrapporre" il Vaticano II alla Tradizione, ma è vero quando parliamo di rottura con la Tradizione e a dirlo è stato anche Benedetto XVI. Lo stesso elenco drammatico riportato sopra da Paolo VI lo esprime chiaramente, una rottura c'è stata e negarlo è da stolti.

 

L’antropocentrismo (denunciato anche da Papa Francesco nella recente Laudato sì) a discapito del cristocentrismo è un dato oggettivo responsabile della deriva che stiamo vivendo. Nell'intervista sopra citata è stato chiesto a mons. Schneider: cosa comporterà questo nel prossimo futuro della Chiesa?

“L’antropocentrismo, in ultima analisi, comporta:
– lo svanimento e la perdita della fede soprannaturale;
– l’eliminazione della grazia Divina e dei mezzi della grazia;
– l’eliminazione del senso soprannaturale dei sacramenti, dando loro un significato puramente sociologico;
– l’eliminazione della preghiera personale e delle concrete opere di penitenza e ascesi;
– l’eliminazione, col tempo, dell’adorazione di Dio, cioè della Santissima Trinità e favorisce l’adorazione dell’uomo e della terra (del clima, dell’oceano etc.);
– la dichiarazione pratica e anche teorica che questa terra è il giardino del paradiso, cioè il paradiso sulla terra (teoria dei Comunisti);
– l’apostasia.

L’antropocentrismo comporterà una spaventosa codardia davanti al mondo e la collaborazione dei fedeli e dei chierici con le ideologie anticristiane. Si verificheranno oggi queste parole del Nostro Divino Maestro e dell’apostolo san Paolo: “Quando si dirà: Pace e sicurezza, allora d’improvviso li colpirà la rovina” (1 Tess. 5,3), “Senza di Me non potete far nulla” (Gv 15,5) e “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)”.

Per concludere, cosa c'entra il Concilio con tutto ciò?
Lo ha spiegato bene mons. Schneider e che abbiamo riportato sopra, e ancor prima di lui lo stesso Pontefice Paolo VI lo aveva detto senza mezzi termini.
Per questo preferiamo parlare più di un concilio usato come un Cavallo di Troia anzichè dare ad esso una colpa diretta (ossia oggettiva, quasi fosse stato indetto per rovinare la Chiesa, piuttosto è stato ed è il fatidico capro espiatorio attraverso il quale nascondere ed occultare le proprie responsabilità) della decadenza che stiamo subendo da cinquant'anni a questa parte.

Di recente è uscito allo scoperto anche il neo Prefetto per il Culto Divino, così riportato dall'Osservatore Romano:
Il cardinale Robert Sarah: “Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”
Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.” (2)

Forse potremo solo suggerire al cardinale Sarah che non "corriamo il rischio di..." e che non si tratta solo di "a volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni....", purtroppo è già avvenuto, è già accaduto e in molte parrocchie è diventata prassi, troppi preti non credono più nella Presenza reale di Gesù nell'Eucaristia ed usano i Sacramenti come proprietà privata, compiono abusi di potere sacerdotale e il clericalismo è triplicato e si è rafforzato, per non parlare dei Movimenti e dei vari Cammini dentro i quali la liturgia è proprietà privata e si fa tutto ciò che proviene dal liberalismo dottrinale. Si impone ai bambini della Prima Comunione di ricevere l'Eucaristia sulla mano, in piedi, nelle liturgie private dei Movimenti o dei Cammini si impone persino di inzuppare l'Ostia Santa in enormi brocche di vino consacrato, come se si stesse facendo una colazione al bar... con un cornetto! E tutto questo, infatti, non era previsto dalla Sacrosanctum Concilium, nè furono richieste dei Padri. Tutto è andato storto e bisogna agire non lamentarsi.

 

A Padre Gabriele Amorth, noto e grande esorcista dei nostri tempi, la Rivista 30Giorni del 2001 - vedi qui - gli poneva questa domanda:

Lei col demonio ci combatte quotidianamente. Qual è il più grande successo di Satana?

Risponde Padre Amorth: "Riuscire a far credere di non esistere. E ci è quasi riuscito. Anche all’interno della Chiesa. Abbiamo un clero e un episcopato che non credono più nel demonio, negli esorcismi, nei mali straordinari che il diavolo può dare, e nemmeno nel potere che Gesù ha concesso di scacciare i demoni.."

parole gravissime e che ruotano attorno ad una conferma papale, quella delle parole di Paolo VI: «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», perchè laddove entra in qualche modo il demonio, entrano le tenebre, la menzogna, la verità viene offuscata e noi "non vediamo più" dove alberga. Ma anche attraverso una teologia modernista attraverso la quale non si crede più nel Demonio, si predica che l'inferno non esiste e che se esiste è vuoto o si svuoterà alla fine del mondo, e tante altre amenità simili.

Il Demonio è entrato nel Concilio (come dentro un Cavallo di Troia appunto) attraverso i suoi servitori modernisti e progressisti i quali lo hanno strumentalizzato, usato, violentato trasformandolo in ciò che loro volevano, ma il Concilio in quanto tale resta valido strumento e supporto utile per la missione della Chiesa. In questo aveva tentato di rimettere le cose un pò in ordine Benedetto XVI con la sua "ermeneutica della continuità" a cominciare dal suo esempio - oggi vituperato dalla Gerarchia cattolica - dal suo Documento Sacramentum Caritatis e con il suo - seppur discusso - Summorum Pontificum con il quale ridava cittadinanza al Rito della Messa di sempre ingiustamente defenestrato, e per la qual cosa ricevette calci e pugni sia dai progressisti-modernisti quanto anche però da un certo mondo tradizionalista fondamentalista che a tutt'oggi continua ad accusarlo perfino di eresia.

Ci sarebbe molto altro da dire e non è escluso che non lo faremo in altri interventi. Ciò che vogliamo ribadire è che per rispondere a certe domande è sempre meglio usare le fonti dirette anzichè appoggiarsi esclusivamente alle proprie opinioni personali. I temi che si affrontano nella Chiesa vanno affrontati sempre in termini oggettivi e mai soggettivi, i quesiti vanno affrontati senza sentimentalismi e senza difese ad oltranza, ma con oggettività vanno valutati i veri problemi come ad esempio il crollo repentino di tutto ciò che nella Chiesa era sacro, ma di questo ci occuperemo a breve in un altro articolo. Un Concilio è uno strumento e non la causa. In questo caso senza alcun dubbio i servitori del Demonio hanno usato il Concilio per far passare le loro prassi e le loro dottrine, la colpa non fu del concilio ma di chi potendo fare qualcosa non la fece.

Sia lodato Gesù Cristo +

__________

NOTE

1) dal sito Lafedequotidiana.it l'intervista a Athanasius Schneider: “Travisati i documenti del Concilio Vaticano II” e qui " Dio ha permesso che le buone intenzioni dei Padri del Concilio Vaticano II cadessero nelle mani di uomini senza Dio e ideologi-rivoluzionari liturgici.."

2) dal sito Lafedequotidiana.it: Il cardinale Robert Sarah: “Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”

 




Fraternamente CaterinaLD

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  Prot. 13/15

Prot. Pers. 10/2015

Mons. Luigi NegriPer Grazia di Dio e della Sede Apostolica Arcivescovo di Ferrara -Comacchio Abate di Pomposa  

    Dall’inizio del mio ministero episcopale presso di voi, molteplici sono state le occasioni 
ordinarie e straordinarie in cui ho potuto celebrare il Santo Sacrificio della Messa nella nostra Basilica Cattedrale di Ferrara, nella Basilica Concattedrale di Comacchio, nell’Abbazia di Pomposa, nella Basilica di San Giorgio fuori le Mura, come in tante altre bellissime chiese che rendono a Dio il culto Suo proprio ed impreziosiscono il territorio e la fede della nostra gente.    In quanto direttamente responsabile della santificazione del popolo a me affidato come guida e pastore, partecipo a tutti voi, la mia personale e pastorale preoccupazione nel rilevare nella nostra società, e non di meno nella nostra amata diocesi, il rischio sempre maggiore della perdita del senso del sacro con tutte le sue drammatiche conseguenze, non solo religiose ma anche etiche e sociali.

I  l Concilio Vaticano II individua nella Liturgia la fonte primaria attraverso cui l’azione di Cristo, tradotta in azione della Chiesa, restaura l’uomo in Uomo. Nella Sacrosantum Concilium infatti al n. 14 della Liturgia si ribadisce che essa «è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione […] non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d'anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri[…]».    In ottemperanza quindi al Concilio e al Magistero della Chiesa Cattolica e ben conscio del mio Ministero presso di voi intendo accogliere con forza l’indicazione conciliare corroborato pienamente dal prezioso Magistero di Papa Benedetto XVI circa la Buona Liturgia come motore propulsivo del corretto credere e come tale necessaria per la ri-formazione dell’ Uomo secondo il cuore di Cristo.

    É particolarmente nella Santissima Eucaristia, infatti, che tale azione di Cristo si fa presente, permanente ed efficace perché in essa «è contenuto l’intero bene spirituale della Chiesa, ovvero Cristo stesso, nostra Pasqua, fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (Redemptionis Sacramentum, n. 2).    In molte delle nostre celebrazioni ho notato che il rischio di non garantire la massima cura per le Specie Eucaristiche è non solo ipotetico ma reale. Provvidenzialmente la Santa Chiesa come madre amorosa ci dona tutti gli strumenti per sfuggire tale rischio e per onorare il Corpo e il Sangue del Signore che ci è donato per la Vita Eterna. Essi sono i documenti del Magistero (1), l’Institutio Generalis Missalis Romani; l’insegnamento dei Romani Pontefici – soprattutto San Giovanni Paolo II (2), Papa Benedetto XVI (3) e Papa Francesco (4) –; la guida dei Pastori e principalmente quella del Vescovo primo e diretto responsabile della Liturgia.


* *** *   

Con questi sentimenti di obbedienza a Cristo Signore, di amore alla Santa Chiesa Cattolica e di paterna cura per il popolo a me affidato

RIBADISCO

i seguenti articoli dell’ Ordinamento Generale del Messale Romano secondo la Editio Typica Tertia, oggi in vigore, ed approfonditi dal più recente documento disciplinare Instructio Redemptionis Sacramentum (5) promulgato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti6 durante il Pontificato di San Giovanni Paolo II:

 160. […]Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, 
tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di 
ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.                                                                                                               Cfr. anche R.S. n. 90.


161. Se la Comunione si fa sotto la sola specie del pane, il sacerdote eleva alquanto l'ostia e la presenta a ciascuno dicendo: Il Corpo di Cristo. Il comunicando risponde: Amen, e riceve il sacramento in bocca o, nei luoghi in cui è stato permesso, sulla mano, come preferisce. Il comunicando, appena ha ricevuto l'ostia sacra, la consuma totalmente[…]                                                                                                                          Cfr. R.S.
n. 91
:


«Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi».                                                                                                                          Cfr. R.S. n. 92:
«Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. 
Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli
».

118. Si preparino pure:[…] il piattello per la Comunione dei fedeli; inoltre il necessario per 
lavarsi le mani. Il calice sia lodevolmente ricoperto da un velo, che può essere o del colore del giorno o bianco.                                                                                                                          CfrR.S. n. 93


150. Poco prima della consacrazione, il ministro, se è opportuno, avverte i fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alla presentazione al popolo dell' ostia consacrata e del calice secondo le consuetudini locali.[…] 
 * *** *
     Considerato quindi il reale pericolo di profanazioni e tenuto conto delle norme vigenti

 DECRETO


1) Che dalla prossima Domenica e per tutta la durata del Tempo di Quaresima, prima della 
distribuzione della Comunione, nella chiesa Cattedrale come in tutte le altre chiese dell’Arcidiocesi, in ogni Santa Messa Domenicale e prefestiva venga letto il seguente messaggio:

«QUANTI RICEVONO IL SIGNORE SULLA MANO LO FACCIANO CON DEVOZIONE, SIANO ATTENTI A NON DISPERDERE ALCUN FRAMMENTO E ASSUMANO SUBITO L’OSTIA DAVANTI AL MINISTRO.SI RICORDA AI FEDELI CHE LA COMUNIONE SI RICEVE IN GINOCCHIO O IN PIEDI; IN QUEST’ULTIMO CASO SI RACCOMANDA CHE, PRIMA DI RICEVERE IL SACRAMENTO, I FEDELI FACCIANO LA DEBITA RIVERENZA ALMENO CHINANDO IL CAPO (7). SI RICORDA INOLTRE CHE QUANTI INTENDONO COMUNICARSI AL CORPO E AL SANGUE DI CRISTO,DEVONO ESSERE NELLE CONDIZIONI DI POTERLO FARE:- SAPPIANO CHE RICEVONO IL SIGNORE GESÙ PRESENTE IN CORPO, SANGUE, ANIMA E DIVINITÀ;-   NON SIANO IMPEDITI DAL DIRITTO CANONICO;- NON SIANO IN STATO DI PECCATO MORTALE, POICHÉ IN TAL CASO È NECESSARIO RICEVERE PRIMA L’ASSOLUZIONE NEL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE».

    In tutte le chiese il suddetto messaggio dovrà rimanere affisso in luogo adatto e ben visibile ai fedeli. A discrezione del parroco o del rettore della chiesa, è bene che tale messaggio sia riletto una volta ogni tanto anche fuori della domenica (almeno una volta al mese) durante la Messa con partecipazione di popolo, soprattutto nelle occasioni di maggiore afflusso di fedeli anche oltre il tempo della Quaresima.


 2) Lì dove sia possibile si dovrà usare il piattello per le comunioni dei fedeli perché siano evitate le indesiderate dispersioni degli inevitabili frammenti del Corpo di Cristo. Al termine dell’uso, lo stesso sia poi purificato con cura insieme agli altri vasi sacri.

3) Si ritorni ad usare in tutte le chiese, specialmente quelle con maggiore afflusso di fedeli e/o turisti, il campanello per richiamare al raccoglimento, nel momento della consacrazione, quanti non dovessero prestare la dovuta attenzione al mistero celebrato.


 * *** *


    Inoltre, considerato il documento della CCDDS, Tabula in Medio Ecclesiae, recentemente ribadite dalla Conferenza Episcopale Italiana attraverso l’Ufficio Liturgico C.E.I. e al fine di recuperare la inscindibilità della dimensione sacrificale della santa Messa da quella commensale e comunitaria,

RIBADISCO

che circa la corretta modalità di predisporre la chiesa o il presbiterio in occasione del conferimento della Prima Comunione ai fanciulli o in occasione della Messa In Coena Domini per la memoria dell’Ultima Cena, ci si deve attenere alle norme liturgiche e pastorali vigenti, secondo le quali è fatto divieto di allestire uno o più tavoli oltre la mensa dell’altare, in quanto risulta «simbolicamente una ripetizione, pedagogicamente una distrazione e pastoralmente qualcosa di inconsistente, poiché distrae il popolo dall’altare, turba la percezione dell’importanza dei singoli elementi dell’architettura della Chiesa e non favorisce affatto la partecipazione dei fedeli» (8).


* *** *

    Circa la corretta modalità da utilizzarsi nello scambio liturgico della Pace, poiché quando 
«i fedeli non comprendono e non dimostrano di vivere, con i loro gesti rituali, il significato corretto del rito della pace, si indebolisce il concetto cristiano della pace e si pregiudica la loro fruttuosapartecipazione all’Eucaristia» (9), si rimanda alla Lettera Circolare della CCDDS pubblicata nella Solennità di Pentecoste l’ 8 giugno 2014, dal titolo L’Espressione Rituale del dono della Pace nella Messa. In modo particolare

RIBADISCO


    N° 6.A: «Se si prevede che lo “scambio della pace” non si svolgerà adeguatamente a motivo delle concrete circostanze o si ritiene pedagogicamente sensato non realizzarlo in determinate occasioni, si può omettere e talora deve essere omesso. Si ricorda che la ribrica del Messale recita: “Deinde, pro opportunitate, diaconus, vel sacerdos, subiungit: Offerte vobis pacem”. ».

    N° 6.C: «Sarà necessario che nel momento dello scambio della pace si evitino definitivamente alcuni abusi come:  
1- L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistente nel Rito romano.
  
2- Lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi il segno della pace tra loro.
  
3- L’allontanamento del sacerdote dall’altare per dare la pace a qualche fedele.
  
4- Che in alcune circostanze, come la solennità di Pasqua e di Natale, o durante le celebrazioni rituali, come il Battesimo, la Prima Comunione, la Confermazione, il Matrimonio, le sacre Ordinazioni, le Professioni religiose e le Esequie, lo scambio della pace sia occasione per esprimere congratulazioni, auguri o condoglianze tra i presenti
»


* *** *   

Seguendo il luminoso esempio di Papa Francesco; considerato il Decreto per la Menzione del Nome di San Giuseppe nelle Preghiere Eucaristiche II, III e IV del Messale Romano emanato il 1 maggio 2013 dalla CCDDS e volendo incentivare la grande devozione a San Giuseppe, patrono della Chiesa

RIBADISCO

che la Santa Sede, nel suddetto documento, ha definito le seguenti formule che spettano al nome di 
San Giuseppe:
 

1) nella Preghiera eucaristica II: "insieme con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli..."
2) nella Preghiera eucaristica III: "con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con San Giuseppe suo sposo, con i tuoi santi apostoli..."
3) nella Preghiera eucaristica III: "con la beata Maria, Vergine e Madre di DIo, con San Giuseppe suo sposo, con gli apostoli..."


CONTRARIIS NON OBSTANTIBUS QUIBUSLIBETTEXTUS ABROGATUSEX AEDE ARCHIEPISOPALI FERRARIENSISDIE 18 MENSIS FEBRUARII A. D. MMXV
                                                                                                       f.to + Luigi Negri
                                                                                         Arcivescovo di Ferrara - Comacchio
                                                                                                      Abate di Pomposa 

don Enrico D'Urso
  Notaio di Curia

_______________________________
note

1 soprattutto la Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis 
Sacramentum del 25 Marzo 2004

2 soprattutto la Lettera Enciclica, Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003

3 soprattutto la Esortazione Apostolica Post Sinodale, Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007

4 Cfr. Decreto per la Menzione del Nome di San Giuseppe nelle Preghiere Eucaristiche II, III e IV del Messale Romano, voluto da Benedetto XVI e confermato il 1 maggio 2013 da Papa Francesco poco tempo dopo la Sua elezione;

5 Cfr. anche la Lettera Circolare dal titolo L’Espressione Rituale del dono della Pace nella Messa,dell’8 giugno 2014, che la CCDDS ha inviato per conto del Santo Padre5 Da ora R.S.

6 Da ora in avanti CCDDS 

7 Nel caso di grandi celebrazioni in cui è previsto un grande numero di fedeli, si aggiungerà, in questo punto, la seguente frase: "VISTA LA NUMEROSA PARTECIPAZIONE DI FEDELI A QUESTA GRANDE CELEBRAZIONE, SI SUGGERISCE CHE L’EUCARISTIA SIA RICEVUTA IN PIEDI, FATTA SALVA LA LIBERTÀ DEI SINGOLI ". 

8 Cfr. Tabula in Medio Ecclesiae della CCDDS e ribadita dall’Ufficio Liturgico Nazionale della C.E.I. 

9 Lettera Circolare L’Espressione Rituale del dono della Pace nella Messa, n°5. Da ora in avanti “Lettera Circolare”





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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21/08/2015 22:06
 
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  Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.
Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.

Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.
Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.
È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.

Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.
E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.

Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...
...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.
Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.
Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.

E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità.

Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.

E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote.
E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.

Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato.

Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.

A noi sembra ingiusto far finta di niente.

Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti alla sua Chiesa. Cari fedeli abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi preti alla Chiesa di Dio.

(Don Alberto Secci - radicatinellafede.blogspot.it)

  LA MESSA DELL'ASSEMBLEA CULLA L'AGNOSTICISMO
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 8 - Settembre 2015

Ciò che non c'è più nella Messa, scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo questione di tempo, e nemmeno molto.

Così è stato con l'ultima riforma liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del nuovo cristianesimo.
Ne vorremmo sottolineare uno tra tutti: la scomparsa del submissa voce per il prete, che corrisponde all’assenza del silenzio per i fedeli. Ci sembra questo uno dei punti che più evidentemente indicano un cambiamento radicale nel rito cattolico. D'altronde è questo che soprattutto appare come scandaloso, per i fedeli che oggi si imbattono nella Messa tradizionale: le lunghe parti in cui il sacerdote, specialmente nel canone, pronunciando le parole sottovoce, non fa sentire alcunché ai fedeli, obbligandoli al silenzio.
Più volte abbiamo constatato che è questo a far problema, più dell'uso del latino.

Eppure questo è un aspetto determinante, che se eliminato, cambia tutto non solo nella messa, ma nel cristianesimo stesso.

Il submissa voce, il sottovoce per il prete e il corrispondente lungo silenzio per i fedeli, “incastra” prete e fedeli alla fede, senza appoggi umani. Il sacerdote all'altare deve stare di fronte a Dio, ripetendo sottovoce le parole di Nostro Signore, rinnovando il Sacrificio del Calvario. È un rapporto diretto, personale, intimo con Dio; certo mediato dalla consegna della Chiesa, che custodisce e trasmette le parole che costituiscono la forma del sacramento, ma che in quell'istante non si posa sull'umano della Chiesa, ma sul miracolo della grazia. Così facendo il prete, nel rito tradizionale, immediatamente insegna ai fedeli che ciò che conta è Dio stesso, la sua azione, la sua salvezza, e che queste ci raggiungono personalmente.

La nuova messa non è così, è tutta comunitaria. Il prete in essa, oltre ad essere tutto rivolto ai fedeli, opera come colui che narra ai fedeli ciò che il Signore ha fatto nell'ultima cena: racconta ai fedeli le parole e i gesti del Signore, così che l'azione sacramentale che ne scaturisce appare tutta mediata dall'attenzione che questi ultimi vi devono mettere. Scompare così per il prete il rapporto personalissimo con Dio nel cuore della messa cattolica, il canone, sostituito da questo estenuante rapporto con chi è di fronte all'altare. La nuova forma della messa comunitaria ha così trasformato il sacerdote, gettato in pasto all'attivismo più sfiancante, che è quello di farsi mediare la fede e il rapporto con Dio sempre dai fedeli. La nuova messa ha prodotto un nuovo clero non più aiutato a stare con Dio, non più ancorato all'atto di fede.

Il continuo dialogo nella messa, tra sacerdote e assemblea, ha anche modificato la concezione di Chiesa: oggi pensiamo la Chiesa come nascente dal basso, dal battesimo e quindi dal popolo cristiano; non la pensiamo più come realmente è, nascente dall'alto, da Dio, dal sacramento dell'Ordine. Chi pensa che la Chiesa sorga dal battesimo, non sopporta più quel prete all'altare, che sottovoce pronuncia le parole che costituiscono il miracolo del sacramento.

Anche i fedeli sono direttamente rovinati dal nuovo rito perché, continuamente intrattenuti dal parlare del prete, hanno disimparato anch'essi a stare di fronte a Dio. Così Dio stesso si trova sostituito dall'assemblea celebrante, che diventa ingombrante ostacolo nell’educazione al personale atto di fede.

In questi ultimi tempi si è tentato nella messa moderna di correre ai ripari, cercando invano di reintrodurvi un po' di silenzio, collocato dopo la lettura del Vangelo, ma anche questo espediente rivela la gravità della nuova posizione. Questo silenzio reintrodotto, solitamente brevissimo, è un silenzio di riposo umano, di meditazione: esso è di tutt'altra natura rispetto a quello prodotto dal submissa voce. Il submissa voce produce un silenzio che avvolge il rapporto intimo del sacerdote con Dio, che dà la sua persona affinché accada l'azione divina che salva. Il silenzio del submissa voce è incentrato sull’azione di Dio e non sulla meditazione dell’uomo, ed è uno dei più grandi richiami al primato della vita soprannaturale, al primato della grazia.

Non c'è nulla da fare, occorre tornare alla Messa di sempre, per tornare alla centralità dell’atto di fede, personale risposta all'azione di Dio.

Sacerdoti e fedeli non possono resistere di fronte al mondo, se non sono costituiti in forza da questo rapporto personalissimo, che nessuna assemblea può sostituire.

L'alternativa? Un agnosticismo pratico, un dubbio di fede pratico, un sospeso dell'anima, riempito dalle parole di un'assemblea che intrattiene per non far pensare.

Osiamo dirlo: la nuova messa, tutta ad alta voce, tutta narrazione e predica, ha cullato i vari agnosticismi, dei preti e dei fedeli, non fermando il dramma dell'apostasia, cioè dell'abbandono pratico della vita cristiana. Ha illuso, dando, nel migliore dei casi, un po' di calore umano a buon mercato, diseducando a una posizione di fede vera, assolutamente necessaria per attraversare la battaglia di questa vita.

Torniamo alla Messa tradizionale, prima palestra del cristianesimo, quello vero.





Una pastorale senza dottrina? No, grazie

da “Studi Cattolici” marzo 2014 - di mons. L. Negri

05/03/2014

Credo che sia innegabile, almeno per le persone dotate di buon senso, ancor prima e più profondamente che di un’autentica coscienza ecclesiale, che la Chiesa e la società vivono un periodo di estrema confusione. Epoca in cui posizioni diverse, il più delle volte senza adeguate motivazioni, vengono affermate come posizioni oggettivamente valide e pertanto indiscutibili. In questo intreccio di banalità, di veri e propri tradimenti nei confronti della tradizione teologica e magisteriale, di irruzione dei mass media in cui, come metteva in guardia tanti anni fa il Papa Paolo VI, la mentalità laicista tenta di dettare le linee interpretative
della fede e dei suoi contenuti fondamentali, si rende necessario e doveroso indicare alcune linee di riflessione e di approfondimento. 

- Prima osservazione.

Riguarda la contrapposizione fra dottrina e pastorale, con una scelta che si porrebbe come esclusiva della pastorale nei confronti della dottrina. Questa distinzione, e divisione, non ha alcun fondamento di carattere magisteriale e neppure teologico. L’evento cristiano è un evento di vita, e quindi di dottrina, perché è la presentazione della verità di Dio e quindi della verità dell’uomo che, fin dai primi tempi, ha assunto una precisa modalità d’essere affermata e comunicata.
Basterebbe ricordare il peso enorme che, nei primi secoli del cristianesimo, ha avuto la forte interrelazione tra dottrina e pastorale nelle professioni di fede delle varie Chiese locali e il loro influsso sulle grandi prese di posizione conciliari nei primi sette secoli della Chiesa, poi sviluppatesi nel magistero ordinario del Papa e dei Vescovi.
Il problema è che il cristianesimo non è una verità, ma vive e propone la verità, che non è soltanto recepita intellettualmente ma, in quanto accolta esistenzialmente, diventa un movimento di vita. 

La pastorale sta alla dottrina come l’accoglimento della verità, la sua custodia, la sua maturazione critica; è il tentativo di rendere vitale la verità che la dottrina proclama nella dimensione personale, famigliare e sociale. Mi piacerebbe chiedere a qualcuno dei fautori di questa distinzione e separazione netta fra dottrina e pastorale: su che cosa si fonderebbe la pastorale se non si fonda più sulla dottrina? Perché sembra non debba più fondarsi, pena il consegnarsi a una posizione ideologica e quindi superata della Chiesa.
Su che cosa si fonderebbe questa pastorale? Che è come chiedersi, in perfetta analogia, su che cosa si fonda l’etica se non sulla verità? Se non si fonda sulla verità, la pastorale si fonderà allora su ciò che l’ideologia mondana suggerisce o propone come indiscutibile.

In alcune di queste posizioni «teologiche» (e scriviamo teologiche 
con un misto di sgomento e di tendenza alla comicità) chi legge ciò che sta dietro questi suggerimenti, che devono essere innovativi perché di rottura con tutto quello che si è praticato finora, si accorge che il retroterra è il massmediaticamente corretto, ovvero ciò che è sentito giusto statisticamente dalla maggioranza, anche quando è una maggioranza costruita falsamente attraverso le pressioni invasive dei mass media. Questo è ciò su cui la pastorale, e ogni attività di carattere pratico, deve misurarsi. È chiaro dunque che il fondamento dell’azione che dovrebbe nascere dalla fede, nasce invece dall’ideologia mondana. Tutt’altra è stata per secoli l’esperienza della Chiesa: la verità si protendeva nella pastorale. 

San Carlo Borromeo definiva il vescovo, il pastore della Chiesa, colui che doveva vivere e proporre la carità
pastorale verso il gregge; che cura il popolo, la sua maturazione culturale, morale, la sua educazione
piena e integrale, in cui la personalità cristiana e quella umana si sintetizzano adeguatamente.
Questo credo sia un dato della tradizione che certamente non deve essere ripetuto pedissequamente, ma non deve essere né distrutto e né superato in modo insensato.

- Seconda osservazione. 

Certamente la Chiesa nello svolgere la sua attività, che è insieme dunque dottrinale e pastorale, deve misurarsi con la realtà obiettiva non tanto del mondo – termine su cui occorrerebbero distinzioni che purtroppo non si fanno più e che quindi rendono del tutto convenzionale e quasi equivoco farvi riferimento – ma, come ci ha ricordato bene il Concilio Vaticano II rinnovando un insegnamento permanente, con i problemi reali degli uomini che vivono in una determinata situazione e che sono coinvolti, consapevolmente o meno, in opzioni di carattere culturale e soggetti a forti pressioni ideologiche.

A questo proposito che la famiglia sia stata sottoposta negli ultimi decenni a un tipo di pressione di carattere ideologico, che di fatto ha teso a snaturare la sua identità, la sua immagine nella Chiesa e nel mondo, è certamente un dato da tenere in considerazione. Non si può pertanto riproporre la dottrina come se non fossero avvenute tali trasformazioni. La riproposizione dell’immagine della famiglia nella sua integralità, comporta un necessario dialogo vivo e capace di assumere le attuali problematiche della vita sociale. Quale che sia la situazione non è mai un valore ma è una sfida ai valori, e i valori – in questo caso per esempio l’immagine cristiana cattolica di famiglia, in cui si realizza pienamente la famiglia naturale – devono essere in grado di ricevere tutte le sfide del nostro tempo, e dunque riproporre oggi il permanente insegnamento di Cristo e della Chiesa sulla famiglia in un modo che riesca il più possibile a rispondere alle problematiche nuove, e talora devastanti, che gli uomini incontrano in tale àmbito.

Percorrere un’altra strada, come viene proposto di fare, avrebbe semplicemente il carattere di un tradimento del cristianesimo. Il cristianesimo non dipende dalla situazione ma investe, dialoga, qualche volta si oppone alla situazione ma solo per rendere possibile l’annunzio di Cristo e la comunicazione della vita cristiana. Se invece si tentasse in qualsiasi modo di sottoporre la dottrina cristiana al gradimento della situazione, o delle forze ideologiche che manipolano la situazione, si opererebbe ancora una volta un tradimento del cristianesimo a vantaggio della mentalità mondana anticattolica.

Il grande filosofo Jean Guitton in uno straordinario libro Il Cristo dilacerato. Crisi e concili nella Chiesa, scritto nelle more della prima sessione del Concilio Vaticano II, a cui partecipava come invitato, afferma che ogni generazione cristiana si è trovata di fronte alla grande sfida: è la fede che giudica il mondo o il mondo che giudica la fede? Tutta la confusione di oggi nasce dal fatto che in spazi sempre più vasti e talora inaspettati della ecclesiasticità sembra si stia dando nuova forma alla grande tentazione ariana e gnostica.
«La gnosi è la madre di tutte le eresie» dice sempre Guitton, ossia la tentazione di sottoporre la fede al mondo anziché investire il mondo della luce pacificante che trasforma la realtà, secondo l’insegnamento della prima enciclica di Papa Francesco Lumen Fidei.

- Infine una velocissima precisazione. 

Il mondo, inteso evangelicamente e secondo la tradizione magisteriale autentica della Chiesa, è una realtà che ha una sua complessità e che contiene germi di contraddittorietà. C’è il mondo che è aperto al mistero, al trascendente e non esclude nessuna possibilità, esercita la ragione come domanda del vero, del bene, del bello e del giusto non in opposizione o eliminando il mistero. Sul filo di questo mondo, che cerca anche senza saperlo o senza esserne cosciente fino in fondo, aleggia la grande idea che la rivelazione è una possibilità che la ragione non può legittimamente escludere.

Il mio grande maestro di metafisica, Gustavo Bontadini, diceva che il pensiero è vero quando realizza l’escludenza delle escludenze, ossia quando non esclude nessuna possibilità.
Ma c’è anche un mondo che ha preso una decisione, consapevole o meno, contro Cristo e contro la Chiesa e vive quindi per eliminare la presenza di Cristo e della Chiesa dal mondo stesso. Il mondo non può essere trattato, nel nostro impegno pastorale, come se fosse il mondo che aspetta Cristo e neanche come se fosse esclusivamente il mondo che rifiuta Cristo.

Fare una scelta esclusiva in questo senso è assolutamente banale e rende la presenza cristiana culturalmente insignificante, perché o la chiude al mondo, e la isola fuori della vita concreta e storica dell’umanità, o la dissolve nella realtà mondana, come se la presenza della Chiesa dovesse consistere nella sua auto-dissoluzione. Io rinnovo nel mio cuore la gratitudine per i grandi maestri di teologia che ho avuto negli anni indimenticabili del mio seminario a Venegono, a contatto con una delle più grandi scuole teologiche della Chiesa del XIX e XX secolo.










[Modificato da Caterina63 07/09/2015 14:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  un saggio  gustoso 

05 settembre 2015

Preti sposati, cornuti e mazziati
 

di Francesco Filipazzi

"Bergoglio si china alla volontà dei tradizionalisti e affossa il Concilio Vaticano II. Ancora chiusure e immobilismo dai pronunciamenti papali sui preti sposati e sul rinnovamento della Chiesa e della teologia in chiave biblica". Non è una barzelletta, ma una dichiarazione vera, rilasciata da un'associazione fondata nel 2003. L'associazione dei preti sposati. 
 
 
Dunque veniamo a sapere che, fra le tante micro associazioni che rivendicano cambiamenti fra i più disparati nel cattolicesimo, c'è un'associazione che rivendica il matrimonio per i preti della Chiesa di Roma. "Sembra talco ma non è", direbbe Pollon. In realtà sapevamo già che esisteva, ma basta una ricerca su internet con le giuste parole chiave per trovare anche rivendicazioni dalle "mogli e amanti dei preti sposati", le quali narrano in maniera lacrimosa le loro difficoltà nell'essere le donne dei preti

Chiedono al Papa di sciogliere i loro uomini dal vincolo del celibato. "Come in quelle favole in cui alla fine arriva una fata buona a sciogliere l'incantesimo che impedisce al principe di amare e essere amato", spiega la giornalista, forse prendendole un po' in giro, forse no. Il Papa dunque diventa la fata turchina, porta le monetine in cambio di dentini, manda via il Bau Bau dall'armadio, risveglia la ragazza punta dall'arcolaio.  

Ma non è finita. "La cosa peggiore quando stai con un prete-racconta - è che pensi di commettere un peccato", dice una di loro. Ma va?  

Insomma, una baracconata così non si vedeva da un pezzo, dai tempi di Milingo, ma si sa, l'era dei diritti inventati avanza e quindi anche noi vegani che mangiamo la carne abbiamo diritto di cittadinanza

Ciò che merita una risata a parte è però il riferimento al Vaticano II, il concilio di serie B (zona retrocessione che non ha proclamato neanche mezzo dogma), di cui abbiamo parlato recentemente, che a quanto pare "Bergoglio" (non Papa Francesco, usano il cognome) starebbe disattendendo. 

Peccato che il Vaticano II dei preti sposati se ne sia fregato altamente e anzi, nel 1967, dunque dopo il Concilio, Papa Paolo VI abbia scritto un'enciclica molto bella dal titolo "Sacerdotalis Caelibatus" (link), nella quale dice appunto che i preti di Santa Romana Chiesa non si devono sposare. Non citiamo San Paolo, quello della Bibbia, perché avendo scritto prima del Vaticano II è derubricato a gioppino del paese, fatto sta che anche un Papa post conciliare dice le stesse cose.
 
 
"Ma cosa mi dici mai?", direbbe Topo Gigio. Dunque uno che si fa sette anni di seminario e non ha capito che il prete non si sposa, non ha capito un tubo? Uno che vive in Italia e non ha capito che un prete non si sposa deve informarsi meglio? 

Ebbene sì, cari preti sposati, è ora di piantarla di inventarsi rivendicazioni inutili e velleitarie e illogiche. Se volete fare i preti sposati, a quanto pare, quella è la porta. Andate a fare gli anglicani, gli ortodossi, trasferitevi in una chiesa orientale. 

Per pietà, fateci il piacere di non prendervela con la San Pio X almeno, che a quanto pare ha il grave peccato di essere "tradizionalista" e quindi i preti cosiddetti lefebvriani sarebbero peggio dei preti sposati. 
Evidentemente nella scala di valori in cui l'immondizia rappresenta il valore più alto, essere preti ligi al proprio dovere, pur non avendo una visione pastorale assimilabile a quella della massa, è molto peggio del voler distruggere la Chiesa con dottrine ridicole. 

Nel mondo alla rovescia certe cose succedono. Fatto sta che dalla San Pio X ci si può confessare con la benedizione papale, con i preti sposati invece, neanche un caffè.  



 


TORNIAMO ALLE MEDITAZIONI SERIE   

Il sacrilegio. Terribile peccato causa di dannazione per molti.
Come si commette e come si ripara



Un peccato che può condurre alla dannazione eterna è il sacrilegio. Disgraziato colui che si mette su questa strada! Commette sacrilegio chi volontariamente nasconde in Confessione qualche peccato mortale, oppure si confessa senza la volontà di lasciare il peccato o di fuggirne le occasioni prossime. Quasi sempre chi si confessa in modo sacrilego compie anche il sacrilegio eucaristico, perché poi riceve la Comunione in peccato mortale.

Racconta San Giovanni Bosco...

"Mi trovai con la mia guida (l'Angelo custode) in fondo a un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso con una porta altissima che era chiusa. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva; un fumo grasso, quasi verde e guizzi di fiamme sanguigne si innalzavano sui muraglioni dell'edificio.
Domandai: 'Dove ci troviamo?'. 'Leggi l'iscrizione che c'è sulla porta'. mi rispose la guida. Guardai e vidi scritto: 'Ubi non est redemptio! , cioè: `Dove non c'è redenzione!', Intanto vidi precipitare dentro quel baratro... prima un giovane, poi un altro e poi altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato.
Mi disse la guida: 'Ecco la causa prevalente di queste dannazioni: i compagni cattivi, i libri cattivi e le perverse abitudini'.
Quei poveri ragazzi erano giovani che io conoscevo.
Domandai alla mia guida: “Ma dunque è inutile lavorare tra i giovani se poi tanti fanno questa fine! Come impedire tutta questa rovina?”
– “Quelli che hai visto sono ancora in vita; questo però è lo stato attuale delle loro anime, se morissero in questo momento verrebbero senz'altro qui!” disse l'Angelo.

Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la velocità di un baleno. Sboccammo in un vasto e tetro cortile. Lessi questa iscrizione: 'Ibunt impii in ignem aetemum! ; cioè: `Gli empi andranno nel fuoco eterno!'.
Vieni con me - soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti a uno sportello che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie di caverna, immensa e piena di un fuoco terrificante, che sorpassava di molto il fuoco della terra.
Questa spelonca non ve la posso descrivere, con parole umane, in tutta la sua spaventosa realtà.

All'improvviso cominciai a vedere dei giovani che cadevano nella caverna ardente.
La guida mi disse: 'L'impurità è la causa della rovina eterna di tanti giovani!'.

- Ma se hanno peccato si sono poi anche confessati.
- Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o del tutto taciute. Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne ha detto solo due o tre. Ve ne sono alcuni che ne hanno commesso uno nella fanciullezza e per vergogna non l'hanno mai confessato o l'hanno confessato male. Altri non hanno avuto il dolore e il proposito di cambiare. Qualcuno invece di fare l'esame di coscienza cercava le parole adatte per ingannare il confessore. E chi muore in questo stato, decide di collocarsi tra i colpevoli non pentiti e tale resterà per tutta l'eternità.
Ed ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio ti ha portato qui? - La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo oratorio che conoscevo bene: tutti condannati per questa colpa. Fra questi ce n'erano alcuni che in apparenza avevano una buona condotta.

La guida mi disse ancora: 'Predica sempre e ovunque contro l'impurità! :. Poi parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: 'Bisogna cambiar vita... Bisogna cambiar vita'.
- Ora che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che anche tu provi un poco l'inferno!
Usciti da quell'orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l'ultimo muro esterno. Io emisi un grido di dolore. Cessata la visione, notai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura."

Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita, racconta che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua confessione.
Usciti di chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: "lo sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all'inferno!". Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire.

Scrive il Padre Francesco Rivignez (l'episodio è riportato anche da Sant'Alfonso) che in Inghilterra, quando c'era la religione cattolica, il re Anguberto aveva una figlia di rara bellezza che era stata chiesta in sposa da diversi principi.

Interrogata dal padre se accettasse di sposarsi, rispose che non poteva perché aveva fatto il voto di perpetua verginità.
II padre ottenne dal Papa la dispensa, ma lei rimase ferma nel suo proposito di non servirsene e di vivere ritirata in casa. II padre l'accontentò.
Cominciò a fare una vita santa: preghiere, digiuni e varie altre penitenze; riceveva i Sacramenti e andava spesso a servire gli infermi in un ospedale. In tale stato di vita si ammalò e morì.
Una donna che era stata sua educatrice, trovandosi una notte in preghiera, sentì nella stanza un gran fracasso e subito dopo vide un'anima con l'aspetto di donna in mezzo a un gran fuoco e incatenata tra molti demoni...
- lo sono l'infelice figlia del re Anguberto.
- Ma come, tu dannata con una vita così santa?
- Giustamente sono dannata... per colpa mia. Da bambina io caddi in un peccato contro la purezza. Andai a confessarmi, ma la vergogna mi chiuse la bocca: invece di accusare umilmente il mio peccato, lo coprii in modo che il confessore non capisse nulla. Il sacrilegio si è ripetuto molte volte. Sul letto di morte io dissi al confessore, vagamente, che ero stata una grande peccatrice, ma il confessore, ignorando il vero stato della mia anima, mi impose di scacciare questo pensiero come una tentazione. Poco dopo spirai e fui condannata per tutta l'eternità alle fiamme dell'inferno.
Detto questo disparve, ma con così tanto strepito che sembrava trascinasse il mondo e lasciando in quella camera un odore ributtante che durò parecchi giorni.

L'inferno è la testimonianza del rispetto che Dio ha per la nostra libertà. L'inferno grida il pericolo continuo in cui si trova la nostra vita; e grida in modo tale da escludere ogni leggerezza, grida in modo costante da escludere ogni frettolosità, ogni superficialità, perché siamo sempre in pericolo.

Quando mi annunciarono l'episcopato, la prima parola che dissi fu questa: "Ma io ho paura di andare all'inferno."

(Card. Giuseppe Siri)




 




[Modificato da Caterina63 09/09/2015 18:37]
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12/10/2015 00:23
 
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EDITORIALE
Il prete omossessuale è un problema per la Chiesa
 

Ho ricevuto diverse mail di commento al mio articolo “Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema”, qualcuno educata, qualcuna un po' meno. Suppergiù, le osservazioni di queste mail sono le seguenti: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no.... (sic) 

di Roberto Marchesini

Ho ricevuto diverse mail di commento al mio articolo “Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema” (clicca qui), qualcuno educata, qualcuna un po' meno. Suppergiù, le osservazioni di queste mail sono le seguenti: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; quindi l'omosessualità di un prete non è un problema. È verissimo: il Magistero distingue tra atti omosessuali e tendenza omosessuale; i primi sono in peccato, la seconda no. Ma non finisce qui.

Nel 1986 la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dall'allora cardinale Ratzinger, ha pubblicato una Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (clicca qui). Una lettera che il santo padre Giovanni Paolo II ha voluto onorare della sua firma, cosa insolita se non eccezionale. In questa lettera leggiamo: «[...] furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata»(§ 3).

Questo giudizio sull'orientamento omosessuale è confluita anche nel catechismo della Chiesa Cattolica (clicca qui), che al § 2358 definisce l'omosessualità come una inclinazione «oggettivamente disordinata». Riassumiamo quindi fino a qui: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; pur non essendo un peccato, l'omosessualità non è né indifferente né buona, bensì oggettivamente disordinata. Veniamo dunque all'ultima affermazione: l'omosessualità di un prete non è un problema. 
Nel 2005 la Congregazione per l'Istruzione Cattolica ha promulgato una Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (clicca qui) nella quale, al § 2, leggiamo: «Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».

La stessa cosa è ribadita della stessa Congregazione in un documento del 2008 intitolato Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio (clicca qui). In questo documento leggiamo: «Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc.)» (§ 10). Dunque, almeno per la dottrina cattolica, l'omosessualità di un prete è un problema.

   



EDITORIALE
Vescovi
 

Siamo diventati bacchettoni con preti e vescovi sul come amministrano i soldi, ma poi li perdoniamo e li incoraggiamo se dicono eresie o se cercano di deviare dalla dottrina facendoci cadere tutti nel baratro. E il vero problema è che oggi non si parla più del Paradiso.

di Andrea Zambrano

Spendete quel che vi pare. Ma portatemi in Paradiso. Avari e faraoni? I preti e i vescovi che ho conosciuto io sono spesso degli spendaccioni che il più delle volte agiscono d'impulso riempiendo le canoniche di cianfrusaglie. Per il solo gusto di non dire di no o di apparire avari, di far sembrare che mancano di qualche attenzione alle loro comunità. Io li conosco questi preti.

Sono stati i preti della mia infanzia, i miei padri nella fede. Avevano sempre la stessa giacca, un po' sciattina, sgualcita e vivevano senza perpetua in stanze fumose mischiate all'odore del ragù abbrustolito. Però quando avevi bisogno aprivano il portafoglio: con una generosità commovente e a volte stupida: fosse per un venditore di fazzoletti magrebino capitato alla porta o per un piazzatore di enciclopedie agiografiche o ammenicoli da sagrestia.

E quando andavi da loro io me la ricordo quella generosità. Se ci fossero oggi e arrivasse un censore dei conti o se qualcuno facesse trapelare da fuori quelle spese, sarebbero messi alla pubblica gogna. Il fatto è che tutti questi preti che io ho conosciuto e che non sono negli elenchi di proscrizione nella nuova caccia di faraoni annidatisi nelle sacre stanze, questi preti di barbe incolte e portafoglio gonfio, ma sempre aperto sapevano parlare della vita eterna e trattavano il denaro con distacco perché consapevoli che non se lo sarebbero portati nell'aldilà.

Ora al prete sono richieste competenze manageriali e se sgarra di qualche euro il bilancio viene trattato come un malfattore. Per di più se viaggia in business. Che se poi il cardinale Pell viaggia in business al limite fa anche bene: ha il fisico di un giocatore di rugby, ce lo vedete stringersi per un'ora di volo nei seggiolini scatoletta di un volo Ryanair? Ma per favore. Siamo diventati bacchettoni con i vescovi che amministrano beni, ma li perdoniamo e li incoraggiamo se dicono eresie o se cercano di deviare dalla retta dottrina facendoci cadere tutti nel baratro. A che giova al vescovo guadagnare il mondo intero, e qualche punto di pil domestico, se poi perde se stesso?

Ché io i soldi glieli lascerei sperperare anche tutti se avessero a cuore solo ed esclusivamente la mia fede. I miei preti erano così, non erano avari ma nemmeno esempi di maniacale razionalizzazione applicata alla pastorale perché sapevano che oltre al portafoglio c'era una vita eterna da conquistare. E a quella si dedicavano. Una volta, prima che il meccanismo dell'8 per mille li rendesse dei funzionari del sacro, i parroci erano acuti amministratori di ingenti fortune parrocchiali costruite con la generosità dei fedeli, ma anche con uno spirito imprenditoriale sano.

Avevano un fondo? Lo davano a lavorare a 3, 4 a volte anche 5 mezzadri. Lo facevano fruttare per sfamare bocche e per promuovere pastorale: campi da calcio, scuole, opere parrocchiali. Tutto era incentrato a far fruttare quel microcosmo che le parrocchie erano.

Infatti non è un caso che quando sul finire della Seconda guerra mondiale i comunisti iniziarono la loro opera di indottrinamento nelle campagne e nei paesi, partirono proprio dall'illudere i contadini che con la vittoria dei Comunisti, i preti latifondisti se ne sarebbero andati via e «diventerete tutti padroni».

Loro intanto continuavano a predicare Gesù, la vita eterna, contro il peccato, tutto il peccato, mica salvaguardando il peccato più alla moda, fedeli e obbedienti alla loro vocazione.

Oggi della vita eterna non se ne parla più e il rischio del clero è quello di mischiarsi con il secolare quel tanto che basta per stravolgere la sua natura. Il caso “Vatileaks due” nasce da questa pretesa da stato di polizia mediatica di cui il clero è succube: «Consegnate i vostri iban e vediamo come gestite il malloppo, che qualche cosa di sconveniente lo troveremo».

Reati finanziari? Macché, sembra che in Vaticano non ce ne sia traccia. Eppure basta una spending review fatta alla “viva il parroco” per farli finire sulla graticola. Io sulla graticola vi metterei perché non mi parlate più del Paradiso, non perché occupate appartamenti nobili, i quali tra l'altro ve li siete trovati non perché volevate vivere da boss, con le maniglie d'oro, ma perché in questi secoli la bella arte a Palazzo era un rimando all'eterno che ci aspetta. E siccome il Palazzo Apostolico era il cuore di questo rimando all'eterno doveva essere bello. Perché ciò che è bello è anche buono, dicevano i greci.

Se avete le mani bucate saranno affari vostri e del vostro titolare. Io da voi vorrei commuovermi mentre celebrate messa, vorrei sentirvi parlare della mia poca fede. Non di come utilizzate ingenti risorse per sistemare o accomodare questo o quello. Sono miserie che ci sono sempre state e sempre ci saranno perché l'avarizia, come la generosità, sono vicende umane, troppo umane. Noi vorremmo vedervi attaccati a quel divino che invece in questo nuovo corso molti di voi hanno dimenticato. Spendete quanto volete, ma rivoglio quella tensione verso l'infinito che avete perso abbandonandovi così facilmente tra le braccia del mondo, che adesso, perfido, vi sta presentando il conto: con tanto di ricevuta fiscale e arretrati a bilancio.

 

 


LE MONETE DEL VANGELO
La Chiesa scossa da Vatileaks
 

Quante volte il Vangelo parla di soldi? Negli ultimi giorni è andato a raffica, nelle letture delle messe quotidiane segnate nella programmazione liturgica. Troppo stretta la coincidenza con le notizie sventagliate in Tv e in tutti i media per denunciare i soldi usati o sprecati da prelati o da istituzioni vaticane.

di Angelo Busetto


Quante volte il Vangelo parla di soldi? Negli ultimi giorni è andato a raffica. Nei Vangeli delle Messe quotidiane segnate nella programmazione liturgica, Mercoledì scorso Gesù raccontava di un tale che progetta di costruire una torre, e siede prima a calcolare se ha i mezzi per portarla a compimento. Giovedì è stata la volta della donna che perde una delle sue dieci monete ed è tutta contenta quando la ritrova, fino a chiamare le amiche; Gesù non dice se avrà speso la moneta per far festa con loro, ma a noi sta bene. 

Poi, venerdì Gesù ha messo a disagio tutti i commentatori con lastoria dell'amministratore disonesto, lodato dal padrone perché aveva agito con scaltrezza. Non è finita. Ieri Gesù ha parlato di chi non sa maneggiare bene nemmeno la ricchezza disonesta; come gli si potrà affidare quella vera? E nel Vanagelo di oggi ecco i farisei che fan bella figura gettando grosse monete nel tesoro del tempio e la vedova elogiata perché, gettando due monetine, vi ha messo tutto quanto aveva per vivere.

Tutti questi soldi citati nel Vangelo ci rimbalzano nel cuore. Troppo stretta la coincidenza con tuttequelle notizie sventagliate in Tv e in tutti i media per denunciare i soldi usati o sprecati da prelati o da istituzioni vaticane. Troppo stringente e puntuale il richiamo di papa Francesco in questi giorni, e non solo, sull'uso del denaro. Gesù avrà fatto una soffiata al Papa, dicendogli che non c’era da aver paura: paginate di Vangelo l’avrebbero accompagnato con perfetto tempismo. Gli avrà anche sussurrato il fatto della borsa di Giuda, o l'episodio dei mercanti scacciati dal tempio, o del tributo pagato lealmente allo Stato. Ma non si sarà dimenticato di ricordargli la donna che ha sprecato un sacco di soldi per comperare una quantità esagerata di profumo da versargli sui piedi. E poi ancora i profumi preziosi del mattino di Pasqua. 

Gli avrà ricordato il daziere Matteo, che papa Francesco tante volte ha visto nel dipinto di Caravaggio, con il bancone pieno di soldi abbandonato subito alla chiamata del Signore, o le tasche di Zaccheo, piene di denaro sporco prontamente restituito alle persone alle quali era stato sottratto e ai poveri. Gesù sapeva e sa ancora bene come andava il mondo e come va adesso. Avessimo sotto gli occhi il suo volto, vedremmo che consola il Papa con un sottile sorriso ironico, ricordandogli di essere stato venduto per trenta denari e la musica forse non è molto cambiata.

Eppure... Eppure questa Chiesa va ancora. Questa Chiesa - abitata da peccatori - è stata ed èluogo di salvezza, casa di bellezza, albergo di carità, madre di santi; ospedale da campo per gli uomini e le donne di tutti i continenti, e tra i feriti non mancano certo i cristiani. Il Vangelo è pieno di ironia e ci ricorda ogni giorno che Dio ha scelto pescatori e peccatori, anime candide e prostitute, delinquenti e  innocenti: per parlare di Lui, costruire chiese e cattedrali, ospedali e scuole, soccorrere poveri e malati, vecchi e bambini, testimoniare una misericordia che attraversa mari e monti in cerca della pecora perduta.

Convertendosi a Gesù e amandolo con tutto il cuore, uomini e donne hanno donato i soldi e tutta lavita, con un'energia che non si spegne e un'inventiva che si rinnova ad ogni tornante della storia. Volete voi che qualche intrigo del Vaticano o dell'intera Chiesa e qualche scandalo di prelati o amministratori - ben miscelato nella salsa di giornalisti e imbonitori - fermino l'opera di Dio che ha posto la sua tenda accanto alle case degli uomini e continua ad abitarvi?

 










[Modificato da Caterina63 09/11/2015 11:46]
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09/06/2016 13:53
 
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Conferenza  


di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre
Fondatore della Fraternità San Pio X

alla conclusione del ritiro sacerdotale a Ecône
6 settembre 1990

ripresa dal n° 87 di Fideliter, maggio-giugno 1992





Il problema resta molto grave, e soprattutto non bisogna minimizzarlo. È questo che bisogna rispondere a tutti i laici che vi chiedono se la crisi finirà, se non vi sarà modo di avere un’autorizzazione per la nostra liturgia, per i nostri sacramenti…

Certo, la questione della liturgia e dei sacramenti è molto importante, ma ancora più importante è quella della fede. Per noi, questa questione è risolta, perché noi abbiamo la fede di sempre, quella del concilio di Trento, del Catechismo di San Pio X, di tutti i concili e di tutti i papi precedenti il Vaticano II, in una parola la fede della Chiesa.

Ma a Roma? La perseveranza e la pertinacia delle false idee e dei gravi errori del Vaticano II continuano. È chiaro.

Don Tam ci ha inviato dei ritagli de L’Osservatore Romano: dei discorsi del Santo Padre, del cardinale Casaroli, del cardinale Ratzinger. Si tratta di documenti ufficiali della Chiesa della cui autenticità non si può dubitare, e si resta stupefatti.

In questi giorni - che sono un po’ disoccupato - ho riletto il libro di Barbier che voi conoscete bene, sul cattolicesimo liberale. È sorprendente vedere come la nostra battaglia sia esattamente la stessa di quella dei grandi cattolici del XIX secolo dopo la Rivoluzione, e di quella dei papi Pio VI, Pio VII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, fino a Pio XII. 
Ora, in che si riassume? Nella Quanta Cura e nel Syllabus di Pio IX, nellaPascendi Dominici Gregis di San Pio X. Questi sono dei documenti sensazionali, che peraltro colpirono al loro tempo, che hanno opposto la dottrina della Santa Sede agli errori moderni. È la dottrina che la Chiesa ha opposto agli errori che si sono manifestati nel corso della Rivoluzione, in particolare nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Ora, si tratta della stessa battaglia che conduciamo noi oggi: vi sono i pro-Syllabus, i pro-Quanta Cura, i pro-Pascendi e vi sono quelli che sono contro. È molto semplice.
Quelli che sono contro questi documenti adottano i principi della Rivoluzione, gli errori moderni. Quelli che sono pro rimangono della vera fede cattolica.

Ora, voi sapete molto bene che il cardinale Ratzinger ha detto ufficialmente che per lui il Vaticano II era un anti-Syllabus. Se esso si è chiaramente posto contro il Syllabus, è dunque perché ha adottato il principio della Rivoluzione. D’altronde, l’ha detto molto chiaramente: «La Chiesa si è aperta alle dottrine che non sono nostre, ma che vengono dalla società…». Tutti capiscono: i principi dell’89, i Diritti dell’uomo.

Noi ci troviamo esattamente nella situazione del cardinale Pie, di Mons. Freppel, di Louis Veuillot, del deputato Keller in Alsazia, di Ketler in Germania, del cardinale Mermillod in Svizzera, che hanno combattuto la buona battaglia, insieme alla grande maggioranza dei vescovi, poiché all’epoca essi avevano la ventura di avere la gran maggioranza dei vescovi con loro. 
Certo, Mons. Dupanloup e alcuni vescovi francesi al suo seguito, costituirono un’eccezione, al pari di alcuni altri in Germania e in Italia che si sono apertamente opposti al Syllabus e a Pio IX, ma si trattò più che altro di casi straordinari.

Vi era questa forza rivoluzionaria degli eredi della Rivoluzione e c’erano i Dupanloup, i Montalembert, i Lamennais… che, per tendere loro la mano, non vollero mai invocare i diritti di Dio contro i diritti dell’uomo. «Noi chiediamo il diritto comune», cioè ciò che conviene a tutti gli uomini, a tutte le religioni, a tutti. Il diritto comune, non i diritti di Dio…

Noi oggi ci ritroviamo nella stessa situazione, non bisogna farsi illusioni: conduciamo una battaglia molto dura. Ma siccome abbiamo l’assicurazione di tutta una serie di papi, non dobbiamo esitare o avere paura.

Certi vorrebbero cambiare questo o quello, quanto meno ricongiungersi a Roma, al Papa… Noi lo faremmo, certo, se essi fossero nella Tradizione e continuassero il lavoro di tutti i papi del XIX secolo e della prima metà del XX. Ma essi stessi riconoscono che hanno intrapreso una strada nuova, che il concilio Vaticano II ha aperto una nuova era e che la Chiesa percorre una nuova tappa.

Io penso che bisogna inculcare questo ai nostri fedeli, in modo tale che essi si sentano solidali con tutta la storia della Chiesa. Perché in definitiva tutto questo risale anche a prima della Rivoluzione: è la battaglia di Satana contro la città di Dio.
Come si risolverà? Questo è un segreto di Dio, un mistero. Ma non bisogna farsene una pena, bisogna avere fiducia nella grazia del Buon Dio.

Che noi si debba combattere contro le idee attualmente in voga a Roma, quelle che esprime il Papa, come Ratzinger, Casaroli, Willebrands e tanti altri… è cosa scontata. Noi li combattiamo perché essi non fanno che ripetere il contrario di quello che i papi hanno detto e affermato solennemente per un secolo e mezzo.

Allora, bisogna scegliere.

E’ quello che ho detto a Papa Paolo VI. Si è costretti a scegliere tra voi, il Concilio, e i vostri predecessori. A chi bisogna rivolgersi? Ai predecessori che hanno affermato la dottrina della Chiesa oppure bisogna seguire le novità del concilio Vaticano II che voi avete confermato?
«Oh, non facciamo della teologia adesso», mi ha risposto.
Dunque è chiaro!

Non dobbiamo esitare un istante, se non vogliamo ritrovarci con quelli che stanno per tradirci. Ci sono di quelli che hanno sempre voglia di guardare dall’altra parte della barricata. Non guardano dalla parte degli amici, di quelli che si difendono sullo stesso terreno di combattimento, guardano sempre un po’ dalla parte del nemico.
Essi dicono che bisogna essere caritatevoli, avere dei buoni sentimenti, che bisogna evitare le divisioni. Dopotutto, costoro dicono anche la Messa buona, non sono così malvagi come si dice…

Ma essi ci tradiscono. Danno la mano a quelli che demoliscono la Chiesa, a quelli che hanno delle idee moderniste e liberali, anche se condannate dalla Chiesa. Dunque, oggi essi fanno il lavoro del diavolo, mentre lavorano con noi per il regno di Nostro Signore e per la salvezza delle anime.

«Oh, a patto che ci diano la Messa buona, si può dare la mano a Roma, non ci sono problemi.» Ecco come stanno le cose! Essi sono in un vicolo cieco,poiché non si può dare la mano ai modernisti e al tempo stesso voler conservare la Tradizione.

Che si abbiamo dei contatti per riportarli alla Tradizione, per convertirli, nel migliore dei casi. Questo è del buon ecumenismo. Ma dare l’impressione che quasi dispiace, e che dopo tutto si possa pure parlare con loro, questo non è possibile. Come parlare con chi oggi dice che siamo congelati come dei cadaveri? Secondo loro, noi non siamo più la Tradizione vivente, siamo persone tristi “senza vita e senza gioia.” C’è da credere che costoro non abbiano mai fatto parte della Tradizione! E’ incredibile. Come volete che si possano avere dei rapporti con questa gente?

Questo talvolta ci pone dei problemi con certi laici molto bravi, che sono con noi e che hanno accettato le consacrazioni, ma che hanno come una specie di interiore rimpianto per non essere più con quelli con cui stavano prima, quelli che non hanno accettato le consacrazioni e che adesso sono contro di noi. «Che peccato. Vorrei andarli a trovare, bere qualcosa con loro, tendere loro la mano». Questo è tradimento. Perché alla prima occasione questi se ne andranno con quelli. Bisogna sapere ciò che si vuole.

Poiché è questo che ha ucciso la cristianità dell’Europa, non solo la Chiesa di Francia, ma anche quella della Germania, della Svizzera… Sono i liberali che hanno permesso alla Rivoluzione di installarsi, proprio perché hanno teso le mani a quelli che non avevano i loro princípi.

Bisogna sapere se anche noi vogliamo collaborare alla distruzione della Chiesa, alla rovina del regno sociale di Nostro Signore oppure se siamo decisi a lavorare per il regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.

Tutti quelli che vogliono venire con noi, a lavorare con noi, Deo gratias, noi li accogliamo, poco importa da dove vengano, ma che non ci chiedano di lasciare la nostra strada per andare con loro a collaborare con gli altri. Non è possibile.

Nel corso del XIX secolo, i cattolici si sono letteralmente dilaniati a proposito del documento del Syllabus, pro, contro, pro, contro…

Voi vi ricordate in particolare del conte di Chambord, che è stato criticato per aver rifiutato la regalità per una questione di bandiera. Ma non fu proprio una questione di bandiera, il conte di Chambord rifiutò di sottomettersi ai princípi della Rivoluzione. Egli disse: «Non accetterò mai di essere il re legittimo della Rivoluzione». E aveva ragione, poiché sarebbe stato acclamato dal paese e dall’Assemblea, ma a condizione di accettare il parlamentarismo e cioè i princípi della Rivoluzione. E allora disse: «No, se devo essere re, lo sarò secondo i miei antenati di prima della Rivoluzione».
E aveva ragione. Bisogna scegliere. Con il Papa egli sceglieva i princípi di prima della Rivoluzione, princípi cattolici e contro-rivoluzionari. E anche noi dobbiamo scegliere di essere contro-rivoluzionari, con il Syllabus, contro gli errori moderni, di essere nella verità cattolica e difenderla.

Questa battaglia fra la Chiesa e i liberali modernisti è quella del concilio Vaticano II. Non bisogna cercare mezzogiorno alle due. E questo va ben oltre.Più si analizzano i documenti del Vaticano II e l’interpretazione che ne danno le autorità della Chiesa, più ci si accorge che non si tratta solo di alcuni errori, l’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità, un certo liberalismo, ma di una perversione dello spirito. Vi è tutta una nuova filosofia basata sulla filosofia moderna del soggettivismo.
Da questo punto di vista è molto istruttivo il libro appena pubblicato da un teologo tedesco, che io spero venga tradotto in francese perché possiate leggerlo. Egli commenta il pensiero del Papa, specialmente in un ritiro che da semplice vescovo predicò in Vaticano. Egli mostra che nel Papa tutto è soggettivo. 
Quando si rileggono i suoi discorsi, ci si accorge che è quello il suo pensiero.Malgrado le apparenze, non è cattolico. Il pensiero che il Papa ha di Dio, di Nostro Signore, viene dal profondo della sua coscienza e non dalla Rivelazione oggettiva a cui aderire con la sua intelligenza. Egli costruisce l’idea di Dio. Ultimamente, in un documento incredibile, ha detto che l’idea della Trinità è potuta sopraggiungere molto tardi, perché bisognava che la psicologia intima dell’uomo fosse capace di cogliere la Santa Trinità. Così, quindi, l’idea della Trinità non sarebbe venuta dalla Rivelazione, ma dal profondo della coscienza. E’ tutta un’altra concezione della Rivelazione, della fede e della filosofia, è una perversione totale.
Come venirne fuori? Io non lo so. Ma in ogni caso è un fatto.

Qui non si tratta di piccoli errori. Ci si trova al cospetto di tutta una filosofia che risale a Cartesio, a Kant, a tutta la linea dei filosofi moderni che hanno preparato la Rivoluzione.

Ecco alcune citazioni del Papa sull’ecumenismo, pubblicare su L’Osservatore Romano del 2 giugno 1989:
«La mia visita nei paesi nordici è una conferma dell’interesse della Chiesa cattolica per il lavoro dell’ecumenismo, che è quello di promuovere l’unità tra tutti i cristiani. Venticinque anni fa il concilio Vaticano II ha insistito chiaramente sull’urgenza di questa sfida alla Chiesa. I miei predecessori hanno cercato di raggiungere questo obiettivo con una perseverante attenzione alla grazia dello Spirito Santo, che è la fonte divina e il garante del movimento ecumenico. Fin dall’inizio del mio pontificato, io ho fatto dell’ecumenismo la priorità della mia sollecitudine per l’azione pastorale.»

E’ chiaro.

E il Papa continua a fare senza sosta altri discorsi sull’ecumenismo, poiché riceve costantemente delegazioni di ortodossi, di ogni religione, di ogni setta.
Ma si può dire che questo ecumenismo non ha fatto fare il minimo progresso alla Chiesa. Esso non ha portato a niente, se non a confortare gli altri nei loro errori, senza cercare di convertirli. 
Tutto quello che si dice è un vero chiacchiericcio: la comunione, l’avvicinamento, desideriamo essere presto in una comunione perfetta, speriamo che da qui a poco ci si possa comunicare nel sacramento dell’unità… E così di seguito. Ma non si fa un passo avanti, ed è impossibile che lo si faccia mai.

Sempre ne L’Osservatore Romano, si trova un discorso di Casaroli rivolto alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo:
«Rispondendo con molto piacere all’invito che mi è stato rivolto di venire da voi a portarvi gli incoraggiamenti della Santa Sede, desidero soffermarmi un po’ – e tutti lo capiscono – su un aspetto specifico della libertà fondamentale di pensare e di agire secondo la propria coscienza, quindi sulla libertà religiosa.» - Ascoltare delle cose simili dalla bocca di un vescovo! «L’anno scorso, Giovanni Paolo II non ha esitato ad affermare, in un messaggio per la Giornata mondiale per la pace, che la libertà religiosa costituisce come una pietra angolare nell’edificio dei diritti dell’uomo.
La Chiesa cattolica e il suo Pastore supremo, che ha fatto dei diritti dell’uomo uno dei grandi temi della sua predicazione, non hanno mancato di ricordare che nel mondo fatto dall’uomo e per l’uomo» - dice Casaroli! - «tutta l’organizzazione della società ha senso solo nella misura in cui essa fa della dimensione umana una preoccupazione centrale» - Di Dio non se ne parla, né della dimensione di Dio nell’uomo, spaventoso! E’ il paganesimo! – e continua: «Ogni uomo, tutto l’uomo, ecco la preoccupazione della Santa Sede, esattamente com’è indubbiamente la vostra.» 

Non resta che ritirare i ponti! Noi non abbiamo alcunché a che fare con questa gente, poiché non abbiamo alcunché in comune con loro.

Ed ecco che il nostro famoso Ratzinger oggi si trova in imbarazzo per aver detto che il Vaticano II era un contro-Syllabus, visto che glielo si rimprovera spesso. Ed ecco perché ha trovato una spiegazione, che ha dato il 27 giugno 1990.
Voi sapete che Roma ha pubblicato un documento fiume per spiegare le relazioni fra il Magistero e i teologi. Visto che non sanno come venire fuori dalle difficoltà che hanno un po’ dappertutto, cercano di correggere i teologi senza condannarli troppo. Vi sono pagine e pagine, che vi si può perdere completamente.
E’ nella presentazione di questo documento che il cardinale Ratzinger esprime il suo pensiero sulla possibilità di poter dire il contrario di ciò che i papi hanno sempre affermato fin dai primi secoli.

«Il documento – dice il cardinale – afferma forse per la prima volta con chiarezza – e in effetti io penso che è vero – che vi sono delle decisioni del Magistero che non possono essere l’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma che sono un ancoraggio sostanziale nel problema – il maligno! – e innanzi tutto un’espressione di prudenza pastorale. Una specie di disposizione provvisoria. – delle decisioni ufficiali della Santa Sede, delle disposizioni provvisorie! – Il nocciolo resta stabile, ma gli aspetti particolari sui quali hanno un’influenza le circostanze del tempo, possono aver bisogno di nuove rettificazioni. A riguardo si possono segnalare le dichiarazioni dei papi del secolo scorso sulla libertà religiosa – se vi piace! – e anche le decisioni antimoderniste dei primi del secolo. – Che forza! – E soprattutto le decisioni della Commissione biblica della stessa epoca. – ma allora queste non le hanno digerite! -».

Ecco tre decisioni del Magistero che si possono accantonare. Che possono cambiare. Ed ecco che si possono segnalare le dichiarazioni dei papi del secolo scorso che hanno bisogno di nuove rettificazioni: «Le decisioni antimoderniste hanno reso un grande servizio, ma dopo aver reso il loro servizio pastorale al loro tempo, nelle loro determinazioni particolari, oggi esse sono sorpassate.» - 
Ed ecco che si volta la pagina del modernismo. Finito, non se ne parli più -

Lui si schermisce per l’accusa che gli si fa di essere contro il Syllabus, contro le decisioni pontificie e il Magistero: “un nocciolo resta” – quale nocciolo? Non si sa! – ma gli aspetti particolari sui quali hanno un’influenza particolare le circostanze del tempo, possono aver bisogno di nuove rettificazioni. 
Ed ecco che il giuoco è fatto. E’ incredibile!

Come volete che ci si fidi di gente come questa, che giustifica la negazione di Quanta Cura, di Pascendi, delle decisioni della Commissione biblica, ecc…

O noi siamo gli eredi della Chiesa cattolica, e cioè di Quanta Cura, diPascendi, insieme con tutti i papi di prima del Concilio e con la grande maggioranza dei vescovi d’allora, per il regno di Nostro Signore e la salvezza delle anime… oppure siamo gli eredi di quelli che si sforzano, anche al prezzo di una rottura con la Chiesa e la sua dottrina, di ammettere i princípi dei diritti dell’uomo, basati su una vera apostasia, in vista di ottenere un posto da servitori nel governo mondiale rivoluzionario. 
Poiché alla fine di questo si tratta: a forza di dire che sono per i diritti dell’uomo, per la libertà religiosa, la democrazia e l’uguaglianza dell’uomo, essi avranno un posto nel governo mondiale, ma che sarà un posto di servitori.

Se vi dico queste cose, è perché mi sembra che bisogna collegare la nostra battaglia a ciò che l’ha preceduta. Poiché questa battaglia molto dura, molto penosa, nella quale ha corso il sangue, non è incominciata col Concilio. La separazione tra la Chiesa e lo Stato, la cacciata dei religiosi e delle religiose, la manomissione di tutti i beni della Chiesa, hanno costituito una vera persecuzione, non solo da noi, ma in Svizzera, in Germania, in Italia. Fu il momento dell’occupazione degli Stati Pontifici, quando il Papa si ritrovò relegato nel Vaticano, in preda a delle cose abominevoli.
E allora, saremmo forse con tutto questo mondo, contro la dottrina dei papi, senza preoccuparci delle proteste che essi hanno elevato per difendere i diritti della Chiesa e di Nostro Signore, per difendere le anime?

Io credo che noi abbiamo veramente un posto e una forza che non vengono da noi. Per l’esattezza, non è la nostra battaglia che conduciamo, è la battaglia di Nostro Signore, continuata dalla Chiesa. Noi non possiamo esitare: o siamo con la Chiesa o siamo contro di essa, noi non siamo per questa Chiesa conciliare che ha sempre meno della Chiesa cattolica, praticamente più niente.

Un tempo, quando il Papa parlava dei diritti dell’uomo, spesso all’inizio richiamava anche i doveri dell’uomo. Oggi è finito: tutto è per l’uomo, tutto è dall’uomo. 
Ho voluto offrirvi alcune considerazioni, perché voi vi fortifichiate e siate coscienti di continuare la battaglia con la grazia del Buon Dio.

Perché è evidente che noi non esisteremmo più se il Buon Dio non fosse con noi. Vi sono state almeno quattro o cinque occasioni nel corso delle quali la Fraternità sarebbe potuta sparire. E grazie a Dio, noi siamo sempre qui a continuare. Essa doveva sparire in particolare in occasione delle consacrazioni, ce l’avevano predetto! Tutti i profeti di sventura e anche i nostri vicini ci dicevano: «Monsignore, non fatelo, è la fine della Fraternità».
Ma no, il Buon Dio non vuole che la nostra battaglia abbia fine. Tutto qui.

Questa battaglia ha avuto i suoi martiri: i martiri della Rivoluzione e tutti quelli che sono stati martirizzati moralmente nel corso di tutte le persecuzioni del XIX e del XX secolo. San Pio X ha sofferto il martirio a causa dei tanti vescovi perseguitati, dei conventi espropriati, dei religiosi cacciati al di là delle frontiere e tante altre cose. E tutto questo sarebbe niente? Sarebbe una falsa battaglia, inutile, una battaglia che condannerebbe le vittime e i martiri? E’ impossibile.

Noi facciamo parte di questa corrente, siamo in questa continuità, ringraziamo il Buon Dio. Noi siamo perseguitati, è evidente, noi siamo i soli scomunicati, i soli perseguitati, ma noi non possiamo non esserlo!

Quindi, che avverrà? Io non lo so. Elia? Leggevo questo nella Scrittura ancora stamattina: «Elia ritornerà e rimetterà tutto a posto». Omnia resistuet. 
Che venga presto!

Umanamente parlando, io non vedo attualmente delle possibilità di accordo. Mi si diceva ieri: «Se Roma accettasse i vostri vescovi e se foste completamente esenti dalla giurisdizione dei vescovi…». 
Prima di tutto essi sono ben lontani dall’accettare una cosa così, poi bisognerebbe che ce ne facciano l’offerta, e io penso che essi non siano pronti, poiché il fondo della difficoltà è proprio il darci un vescovo tradizionalista. Essi vogliono solo un vescovo che abbia il profilo della Santa Sede. Il «profilo», capite che vuol dire questo. 
Essi sanno molto bene che dandoci un vescovo tradizionale costituirebbero una cittadella tradizionalista. E non la vogliono e non l’hanno data neanche agli altri. Quando gli altri dicono che hanno firmato il nostro stesso protocollo, non è vero. Il nostro protocollo prevedeva un vescovo e due membri nella Commissione romana. Roma l’ha tolto dal protocollo, poiché questo non lo voleva ad ogni costo.

Il prossimo primo novembre noi festeggeremo i vent’anni della Fraternità ed io sono intimamente convinto che essa rappresenta quello che il Buon Dio vuole per conservare e mantenere la fede, la verità della Chiesa e quanto si può ancora salvare nella Chiesa. Questo si farà anche grazie ai vescovi che stanno vicini al Superiore generale e svolgono il loro ruolo indispensabile di continuatori della fede, pregando e fornendo le grazie del sacerdozio e della cresima. Queste sono cose insostituibili, di cui si ha assolutamente bisogno.

Tutto questo è veramente consolante e penso che possiamo ringraziare il Buon Dio, e operare nella perseveranza, affinché un giorno si riconosca ciò che noi facciamo. Benché la visita del cardinale Gagnon non ha prodotto molti risultati, essa ha dimostrato quanto meno che noi ci siamo e che la Fraternità fa del bene. Benché non abbiano voluto dirlo esplicitamente, essi sono obbligati a riconoscere che la Fraternità rappresenta una forza spirituale insostituibile per la fede, di cui essi avranno – io spero – la gioia e la soddisfazione di servirsi quando avranno ritrovato la fede tradizionale.

Preghiamo la Santa Vergine, chiediamo alla Madonna di Fatima, in tutti i nostri pellegrinaggi in tutti i paesi, di venire in aiuto alla Fraternità perché essa abbia molte vocazioni. Noi dovremmo avere un po’ più vocazioni, i nostri seminari non sono pieni. Ma io penso che con la grazia di Dio questo verrà.

Grazie per avermi ascoltato. Io vi chiedo di pregare perché io faccia una buona e santa morte, perché adesso mi resta solo questo da fare.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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09/07/2016 00:41
 
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Benedetto XVI diede l'esempio e scrisse la Sacramentum Caritatis per suffragare la Norma della Chiesa, e venne respinto, bastonato, oltraggiato, umiliato.... Auspichiamo al cardinale Sarah di avere più successo di Benedetto per il bene della Chiesa e dei Fedeli stessi   







Il cardinale Robert Sarah: 
“Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”

 

Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta.“Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”


  


LITURGIA
Una messa con orientamento ad Deum
 

Appello del Prefetto per il Culto Divino Sarah per riportare dal prossimo Avvento la celebrazione con un comune orientamento di fedeli e sacerdote. Poi l'annuncio che Papa Francesco gli ha chiesto di studiare una "riforma della riforma e di come arricchire a vicenda le due forme del Rito Romano". 

di Lorenzo Bertocchi

Secondo il Catholic Herald la proposta del cardinale Sarah alla conferenza “Sacra Liturgia” tenutasi a Londra in questi giorni, è la maggiore novità in campo liturgico dopo il Motu Proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI. «E' molto importante» ha detto il prefetto della Congregazione vaticana per il Culto divino «tornare al più presto possibile a un orientamento comune, di sacerdoti e fedeli insieme nella stessa direzione - verso est, o almeno verso l'abside - verso il Signore che viene. Vi chiedo di attuare questa pratica per quanto possibile». Ha detto ai sacerdoti di «avere fiducia che si tratta di qualcosa di buono per la Chiesa», e ha anche suggerito di cominciare concretamente la prima domenica di Avvento, il 27 novembre. A questo suggerimento è partito un lunghissimo applauso dei presenti all'incontro londinese.

Proprio questo suggerimento del 27 novembre appare come una prima novità introdotta da Sarah, visto che già in altre occasioni il prefetto aveva caldeggiato chiaramente il culto ad orientem dall'Offertorio in poi. Ma c'è un'altra novità che appare interessante.

Correva l'anno 2007 quando papa Ratzinger riconsegnava “piena cittadinanza” al rito della messa di S. Pio V, nella versione edita da S. Giovanni XXIII. Un intervento che si collocava nel più ampio movimento della cosiddetta “riforma della riforma” liturgica che il pontificato di Benedetto XVI pareva voler accompagnare. Perché, scriveva Ratzinger nella lettera che spiegava il Motu proprio, «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda», una formula questa molto usata negli ambienti del movimento della “riforma della riforma”, a cui non erano state risparmiate critiche da ambienti tradizionalisti. Critiche, ovviamente, che non erano mancate nemmeno dagli ambienti più progressisti che, con molta virulenza, vedevano questo nuovo movimento liturgico come fumo negli occhi.

Ora, nell'intervento al convegno di “Sacra Liturgia”, il cardinale Sarah ha detto che Papa Francesco gli ha espressamente chiesto di iniziare uno studio proprio sulla “riforma della riforma”, con l'obiettivo di «arricchire le due forme del rito romano». Questa ci pare davvero la novità più interessante dell'intervento a Londra del prefetto al Culto Divino, al di là della proposta del 27 novembre. Ecco le parole precise pronunciate al proposito dal cardinale guineiano:

«Quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile, ha detto Sarah, Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della riforma e di come arricchire le due forme del rito romano. Questo sarà un lavoro delicato che richiede pazienza e preghiera. Ma se vogliamo implementare Sacrosantum concilium più fedelmente, se vogliamo raggiungere ciò che il Concilio desiderava, questa è una questione seria che deve essere attentamente studiata e per cui occorre agire con la necessaria chiarezza e prudenza».

In questo senso il cardinale ha rilevato che «molti gravi fraintendimenti» si sono insinuati nella liturgia post-conciliare, causati sopratutto da un atteggiamento che mette al centro l'uomo anziché Dio. Tra l'altro il porporato africano ha insistito sull'atteggiamento di raccoglimento in ginocchio durante la consacrazione e per la ricezione dell'Eucaristia. Un altra chiara indicazione l'ha riferita alla necessità di provvedere al più presto ad un rinnovamento della formazione liturgica del clero, tra cui ha segnalato la buona prassi di insegnare la forma straordinaria del rito romano per poter sviluppare un completo spirito liturgico del sacerdote.

Il riferimento di fondo per lo studio della “riforma della riforma” viene indicato in quella ermeneutica della continuità più volte richiamata da papa Bendetto XVI nei suoi interventi relativi alla interpretazione del Vaticano II, in particolare, ha detto Sarah, occorre attuare pienamente la costituzione Sacrosantum conciliumperchè «i Padri non intendevano una  rivoluzione, ma una evoluzione».

 

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/10/2016 14:31
 
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La riforma della riforma "si farà". La vuole anche il papa



 

È ciò che Francesco ha detto in privato al cardinale Sarah, salvo poi sconfessare tutto con un comunicato. Ma il prefetto della liturgia la promette di nuovo, in un suo libro da oggi in vendita, dal titolo: "La forza del silenzio" 

di Sandro Magister





ROMA, 6 ottobre 2016 – Con il cardinale Robert Sarah papa Francesco intrattiene un rapporto bifronte. Benevolo da vicino, ostile a distanza.

È Sarah uno di quegli uomini di Chiesa dal presunto "cuore di pietra" contro cui il papa spesso si scaglia, senza far nomi, ad esempio nel risentito discorso di fine sinodo dello scorso 24 ottobre:

> "I cuori chiusi che si nascondono dietro gli insegnamenti della Chiesa…"

Ed è stato Sarah, questa volta con nome e cognome, nella sua qualità di prefetto della congregazione per il culto divino, il bersaglio di un inaudito, umiliante comunicato della sala stampa della Santa Sede di questa estate, contro i suoi propositi di "riforma della riforma" della liturgia:

> Gesù tornerà da Oriente. Ma in Vaticano hanno perso la bussola(14.7.2016)

"Ma chi lo può cacciare? È africano e gode di grande popolarità", mormorano nella corte di papa Francesco.

In effetti, il cardinale Sarah, 71 anni, africano della Guinea, è una figura di prima grandezza nella Chiesa d'oggi, assurto a straordinaria notorietà e a universale ammirazione grazie a un suo libro dello scorso anno che è insieme autobiografia e meditazione spirituale, nello stile delle "Confessioni", dal titolo "Dieu ou rien", Dio o niente: 335 mila copie vendute in tredici lingue:

> Un papa dall'Africa nera (10.4.2015)

E ora Sarah torna in campo con un nuovo grande libro: "La force du silence", la forza del silenzio. È curato come già il precedente da Nicolas Diat e si conclude con un toccante colloquio tra il cardinale e il priore della Grande Chartreuse sulle Alpi francesi, dom Dysmas de Lassus.

Il libro è in vendita da oggi, festa di san Bruno, il fondatore del monachesimo certosino, per ora soltanto in lingua francese per i tipi di Fayard, ma presto anche in italiano, in inglese e in spagnolo, edito rispettivamente da Cantagalli, Ignatius Press e Palabra.

"Contre la dictature du bruit", contro la dittatura del rumore, dice il sottotitolo. E in effetti il rumore assordante della moderna società, penetrato anche nella Chiesa, è la colonna sonora di quel "niente" che è la dimenticanza di Dio, messo a fuoco nel libro precedente.

Mentre viceversa solo il silenzio consente di "sentire la musica di Dio".

La meditazione di Sarah tocca in profondità la vita della Chiesa. Sono frequenti i riferimenti alla liturgia e alle forme spesso disordinate con cui oggi è celebrata, cioè a quel "culto divino" di cui il cardinale ha la cura come prefetto.

Alcuni di questi passaggi – sia critici, sia propositivi – sono riprodotti qui di seguito.

E ce n'è uno in particolare – l'ultimo qui riportato – che mostra come il cardinale Sarah non sia affatto remissivo di fronte ai continui ostacoli che gli sono frapposti da ogni parte.

È là dove il cardinale torna ad assicurare fermamente che "si farà" ciò che il comunicato della scorsa estate aveva preteso di bloccare: cioè quella "riforma della riforma" in campo liturgico senza la quale "ne va dell'avvenire della Chiesa".

A tu per tu papa Francesco aveva raccomandato a Sarah di procedere con questa "riforma della riforma", nell'udienza come sempre calorosa che gli aveva dato lo scorso aprile, come lo stesso cardinale aveva in seguito riferito.

Poi invece, a distanza – e due giorni dopo una seconda udienza amichevole –, era scattato il veto, in quel proditorio comunicato di luglio, di fonte anonima ma comunque approvato a Santa Marta.

Da uomo di fede, Sarah professa obbedienza al papa. O almeno al primo dei due Francesco che si trova di fronte.

__________Risultati immagini per cardinale Sarah"La riforma della riforma si farà, ne va dell'avvenire della Chiesa"

di Robert Sarah

Da "La force du silence", Fayard, 2016



"IL CORPO DI GESÙ DATO A TUTTI, SENZA DISCERNIMENTO" (par. 205)

Oggi, certi preti trattano l'eucaristia con sovrano disprezzo. Vedono la messa come un rumoroso banchetto nel quale i cristiani fedeli all'insegnamento di Gesù, i divorziati risposati, gli uomini e le donne in situazione di adulterio, i turisti non battezzati che partecipano alle celebrazioni eucaristiche delle grandi folle anonime possono avere accesso al corpo e al sangue del Cristo, senza distinzioni.

La Chiesa deve esaminare con urgenza l'opportunità ecclesiale e pastorale di queste immense celebrazioni eucaristiche composte da migliaia e migliaia di partecipanti. C'è un grande pericolo di trasformare l'eucaristia, "il grande mistero della fede", in una banale kermesse e di profanare il corpo e il sangue prezioso del Cristo. I preti che distribuiscono le sacre specie e non conoscono nessuno e danno il corpo di Gesù a tutti, senza discernimento tra i cristiani e i non cristiani, partecipano alla profanazione del santo sacrificio eucaristico. Coloro che esercitano l'autorità nella Chiesa diventano colpevoli, per una forma di complicità volontaria, lasciando che si compia il sacrilegio e la profanazione del corpo del Cristo in queste gigantesche e ridicole autocelebrazioni, in cui davvero pochi percepiscono che ""voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga" (1 Cor 11, 26).

Dei preti infedeli alla "memoria" di Gesù insistono più sull'aspetto festivo e sulla dimensione fraterna della messa che sul sacrificio di sangue del Cristo sulla croce. L'importanza delle disposizioni interiori e la necessità di riconciliarci con Dio accettando di lasciarci purificare dal sacramento della confessione non sono più di moda oggi. Ogni giorno di più occultiano il monito di san Paolo ai Corinti: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi" (cf. 1 Cor 11, 27-30).


"TANTI PRETI CHE ENTRANO TRIONFALMENTE…" (par. 237)

All'inizio delle nostre celebrazioni eucaristiche, come è possibile eliminare il Cristo che porta la sua croce e cammina con sofferenza sotto il peso dei nostri peccati verso il luogo del sacrificio? Ci sono tanti preti che entrano trionfalmente e salgono verso l'altare, salutando a destra e a sinistra, per apparire simpatici. Osservate il triste spettacolo di certe celebrazioni eucaristiche… Perché tanta leggerezza e mondanità nel momento del santo sacrificio? Perché tanta profanazione e superficialità davanti alla straordinaria grazia sacerdotale che ci rende capaci di rendere realmente presente il corpo e il sangue del Cristo con l'invocazione dello Spirito? Perché alcuni si credono in dovere di improvvisare o inventare delle preghiere eucaristiche che nascondono le frasi divine in un bagno di piccolo fervore umano? Le parole del Cristo sono insufficienti, per moltiplicare le parole puramente umane? In un sacrificio così unico ed essenziale, c'è bisogno di queste fantasie e di queste creatività soggettive? "Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole", ci ammonisce Gesù (Mt 6, 7).


"PROCESSIONI FATTE DI DANZE INTERMINABILI"
 (par. 266)

Abbiamo perso il senso più profondo dell'offertorio. Eppure è il momento in cui, come dice il suo nome, tutto il popolo cristiano si offre, non a lato del Cristo, ma in lui, tramite il suo sacrificio che sarà compiuto nella consacrazione. Il Concilio Vaticano II ha mirabilmente sottolineato questo aspetto insistendo sul sacerdozio battesimale dei laici che consiste essenzialmente nell'offrire noi stessi col Cristo in sacrifico al Padre. […]

Se l'offertorio non è più visto che come una preparazione dei doni, come un gesto pratico e prosaico, allora sarà grande la tentazione di aggiungere e d'inventare dei riti per colmare ciò che è percepito come un vuoto. In certe regioni dell'Africa deploro le processioni di offerta, lunghe e rumorose, fatte di danze interminabili. Dei fedeli portano ogni sorta di prodotti e di oggetti che non hanno niente a che vedere con il sacrificio eucaristico. Queste processioni danno l'impressione di esibizioni folcloristiche, che snaturano il sacrificio di sangue del Cristo sulla croce e ci allontanano dal mistero eucaristico, che invece dev'essere celebrato nella sobrietà e nel raccoglimento, poiché anche noi siamo immersi nella sua morte e nella sua offerta al Padre. I vescovi del mio continente dovrebbero prendere delle misure perché la celebrazione della messa non diventi un'autocelebrazione culturale. La morte di Dio per amore per noi è al di là di ogni cultura.


"RIVOLTI AD ORIENTE" (par. 254)

Non basta semplicemente prescrivere più silenzio. Perché ciascuno comprenda che la liturgia ci volge interiormente verso il Signore, sarebbe bene che durante le celebrazioni, tutti insieme, preti e fedeli, siamo corporalmente rivolti verso l'oriente, simbolizzato dall'abside.

Questo modo di fare resta assolutamente legittimo. È conforme alla lettera e allo spirito del Concilio. Le testimonianze dei primi secoli della Chiesa non mancano. "Quando ci alziamo in piedi per pregare, ci rivolgiamo verso l'oriente", precisa sant'Agostino, facendosi eco di una tradizione che risale, secondo san Basilio, agli stessi apostoli. Essendo state concepite le chiese per la preghiera delle prime comunità cristiane, le costituzioni apostoliche preconizzavano nel IV secolo che esse fossero rivolte verso l'oriente. E quando l'altare è rivolto ad occidente, come in San Pietro a Roma, il celebrante deve volgersi verso levante, faccia a faccia con il popolo.

Questo orientamento corporeo della preghiera non è che il segno di un orientamento interiore. […] Il prete non invita il popolo di Dio a seguirlo all'inizio della preghiera eucaristica quando dice: "In alto i cuori", al che il popolo gli risponde: "Sono rivolti al Signore"?

Come prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramento, mi preme ancora una volta ricordare che la celebrazione "versus orientem" è autorizzata dalle rubriche del messale poiché essa è di tradizione apostolica. E non c'è bisogno di un'autorizzazione particolare per celebrare così, popolo e prete, rivolti verso il Signore. Se materialmente non è possibile celebrare "ad orientem", bisogna necessariamente porre una croce sull'altare, ben in vista, come punto di riferimento per tutti. Il Cristo in croce è l'Oriente cristiano.


"SE DIO LO VUOLE, LA RIFORMA DELLA RIFORMA SI FARÀ" (par. 257)

Io rifiuto che si occupi il nostro tempo contrapponendo una liturgia a un'altra, o il rito di san Pio V a quello del beato Paolo VI. Ciò che conta è entrare nel grande silenzio della liturgia; bisogna lasciarsi arricchire da tutte le forme liturgiche latine od orientali che privilegiano il silenzio. Senza questo spirito contemplativo, la liturgia rimarrà un'occasione di lacerazioni piene d'odio e di scontri ideologici, invece di essere il luogo della nostra unità e della nostra comunione nel Signore. È questa l'ora grande di entrare in questo silenzio liturgico, rivolto verso il Signore, che il Concilio ha voluto restaurare.

Ciò che voglio dire ora non entra in contraddizione con la mia sottomissione e la mia obbedienza all'autorità suprema della Chiesa. Desidero profondamente e umilmente servire Dio, la Chiesa e il Santo Padre, con devozione, sincerità e attaccamento filiale. Ma ecco la mia speranza: se Dio lo vuole, quando lo vorrà e come lo vorrà, in liturgia, la riforma della riforma si farà. Nonostante lo stridore di denti, essa verrà, perché ne va dell'avvenire della Chiesa.

Rovinare la liturgia è rovinare il nostro rapporto con Dio e l'espressione concreta della nostra vita cristiana. La Parola di Dio e l'insegnamento dottrinale della Chiesa sono ancora ascoltati, ma le anime che desiderano volgersi verso Dio, offrirgli il vero sacrificio di lode e adorarlo, non sono più afferrate da liturgie troppo orizzontali, antropocentriche e festose, spesso simili ad eventi culturali rumorosi e banali. I media hanno totalmente invaso e trasformato in spettacolo il santo sacrifico della messa, memoriale della morte di Gesù sulla croce per la salvezza delle nostre anime. Il senso del mistero scompare sotto i cambiamenti, gli adattamenti permanenti, decisi in modo autonomo e individuale per sedurre le nostre mentalità moderne profanatrici, segnate da peccato, secolarismo, relativismo e rifiuto di Dio.

In molti paesi occidentali, vediamo i poveri abbandonare la Chiesa cattolica, poiché questa è stata presa d'assalto da persone male intenzionate che si atteggiano da intellettuali e che disprezzano i piccoli e i poveri. Ecco che cosa il Santo Padre deve denunciare con voce alta e forte. Perché una Chiesa senza i poveri non è più la Chiesa, ma un semplice "club". Oggi, in Occidente, quante chiese vuote, chiuse, demolite o trasformate in strutture profane nel disprezzo della loro sacralità e della loro destinazione originale. Tuttavia, so anche quanto sono numerosi i preti e i fedeli che vivono con una zelo straordinario la loro fede e si battono quotidianamente per preservare e abbellire le case di Dio.




 San Francesco dà istruzioni sulla sacra liturgia. Altro che pauperistico: a Dio il meglio e il più prezioso!

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http://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_744_Papa_Francesco.pdf 

I calici non siano di materiale vile, ma prezioso (SanFrancesco d’Assisi).

A CURA DI ANDREA LONARDO
Fonte: www.gliscritti.it , 20 dicembre 2012.

SAN FRANCESCO D'ASSISI, 
PRIMA LETTERA AI CUSTODI: FF 241.

2 Vi prego, più che se riguardasse mestesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e isanti nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. 

3 I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. 

4 E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogoprezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione.

M SAN FRANCESCO D'ASSISI,
LETTERA A TUTTI I CHIERICI, I: FF 208A-209A.

Tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chili amministra illecitamente, quanto siano vili i calici, i corporali e le tovaglie, dove si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui. 

5 E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato in forma miseranda e ricevuto indegnamente e amministrato agli altri senza discrezione. 
Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate con i piedi,

7 perché «l’uomo animale non comprende le cose di Dio». 

8 Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si mette nelle nostre mani e noi lo tocchiamo e lo assumiamo ogni giorno con la nostra bocca?

9 Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre,subito e con fermezza emendiamoci;

11 e dovunque il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo sarà stato collocato e abbandonato in modo illecito, sia rimosso da quel luogo e posto ecustodito in un luogo prezioso. 

12 Ugualmente, dovunque i nomi e le parole scritte del Signore siano trovate in luoghi immondi, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso. 

13 Tutte queste cose, sino alla fine, tutti i chierici sono tenuti ad osservarle più diqualsiasi

altra cosa.

14 E quelli che non faranno questo, sappiano che dovranno renderne «ragione» davanti al Signore nostro Gesù Cristo «nel giorno del giudizio».

M SAN FRANCESCO D'ASSISI,TESTAMENTO: FF 113–114.

E questi e tutti gli altri [sacerdoti] voglio temere, amare e onorare come miei signori.

9 E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori.

10 E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.

11 E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.

12 E i santissimi nomi e le parole di luiscritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.


M TOMMASO DA CELANO,MEMORIALE (COMUNEMENTE DETTO VITA SECONDA), 201: FF 789.

Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero nelluogo più degno possibile il prezzo dellaredenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro.

M CONCILIO LATERANENSE IV, CANONE XIX.

Non vogliamo tollerare che alcuni chierici si servano delle chiese per depositare le suppellettili loro e di altri di modo che esseassomigliano più a case di laici che a delle basiliche di Dio. Essi dimenticano che il Signore non permetteva che un vaso venisse portato per il tempio. Altri non hanno per le loro chiese alcuna cura, permettono che i vasi sacri, i paramenti liturgici, le nappe dell'altare, e perfino i corporali, siano così sporchi che ad alcuni fanno ribrezzo. 
Poiché, dunque, lo zelo della casa di Dio ci divora, proibiamo con ogni fermezza di depositare queste suppellettili nelle chiese, salvo che, in caso di incursioni nemiche, di incendi improvvisi, o di altre urgenti necessità, non si debba cercar rifugio in esse a condizione che passato il pericolo gli oggetti siano riportati alloro posto.

Comandiamo anche che i luoghi di culto, i vasi sacri, i corporali, le vesti cuiabbiamo accennato, siano conservati puliti. È infatti assurdo che si tolleri negli oggetti sacri tale sporcizia, che sarebbe vergognosa anche nelle cose profane.

M CONCILIO LATERANENSE IV, CANONE XX.

Ordiniamo che in tutte le chiese il crisma e l'Eucarestia debbano esser conservati scrupolosamente sotto chiave, perché nessuna mano temeraria possa impadronirsi di essi profanandoli con usi innominabili. Se il custode li abbandona, sia sospeso dall'ufficio per tre mesi; e seper la sua negligenza accadesse qualche cosa di abominevole,sia assoggettato ad una pena più grave.



[Modificato da Caterina63 07/10/2016 10:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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04/11/2016 08:50
 
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 due ottimi articoli che chiariscono in modo breve e semplice due falsi maestri.... chi segue questi falsi maestri, prima o poi entrerà in crisi, se è un sacerdote onesto.....

PICCOLI ERETICI CRESCONO: DAL GRILLO TEOLOGANTE DEL SANT’ANSELMO AL DOMENICANO BURLONE CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

Parlando solo sul piano prettamente teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo.

Autore Padre Ariel
Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel.

Il mio vescovo mi mandò anni fa al Sant’Anselmo di Roma per far la specializzazione. Non terminai neppure il primo semestre, perché dopo aver partecipato a una serie di lezioni tenute dal prof. Elmar Salmann e dal prof. Andrea Grillo, dissi al vescovo che non intendevo proseguire, dato che in quell’ateneo non s’insegnava teologia e sacramentaria cattolica. Il vescovo non la prese bene, mi destituì dall’incarico di cerimoniere, ma accettò la mia decisione. Leggendo quest’ultimo articolo del prof. Grillo [Ndr vedere QUI], mi glorio di quella mia decisione passata. Tu che cosa ne pensi?

Lettera Firmata

 

andrea-grillo
il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, un nome, ed una garanzia, oggi, di eresia …

Andrea Grillo è un uomo intellettualmente sgradevole, come lo sono di prassi le persone d’indole altezzosa. Lo abbiamo visto anche di recente, attraverso il modo in cui ha dibattuto col vaticanista della Rai Aldo Maria Valli, noto a tutti ― anche ai suoi colleghi non in linea con lui ― come uomo amabile dallo stile espressivo delicato e signorile [link del dibattito, QUI].

 

Trovo sgradevole Andrea Grillo non come persona, perché come persona non è affatto sgradevole, tutt’altro! Lo trovo sgradevole sul piano squisitamente teologico, come trovo sgradevoli tutti quei teologastri dell’ultimo cinquantennio che non parlano di Dio e dei Misteri della Fede, ma delle fenomenologie politico-clericali. Si prenda come esempio tra i tanti l’articolo segnalato dal Sacerdote nostro lettore [cf. QUI], lo si analizzi e poi si dica: dove, quante volte, in qual modo Andrea Grillo, parlando della sua fenomelogia clerical-politica di un Sacramento come l’Ordine Sacro, ha menzionato solo di sfuggita Dio, o il Verbo di Dio, il Figlio consustanziale al Padre, che il Sacramento dell’Ordine lo ha istituito per la perpetuazione del Memoriale vivo e santo? Una sola volta lo menziona — ed a sproposito — affinché: «la “presenza di Cristo” esca dalle contrapposizioni storiche tra “transustanziazione” e “consustanziazione”». E ciò equivale a leggere il concetto di “presenza di Cristo” non in una dimensione metafisica, ma come problema politico da risolvere, affinché trionfi il supremo dogma di quel dialogo inaugurato dal falso ecumenismo distruggente, quello che sta protestantizzando la Chiesa da dentro, grazie ai Pony di Troia come Andrea Grillo. Pertanto, in modo intellettualmente molto più onesto, questo accademico dovrebbe fare il sociologo o l’esperto in fenomenologia ecclesiale, anzi meglio ancora: ecclesiastica, non però il teologo sacramentario liturgico, posto che quanti i Sacramenti li vivono e quanti come noi li celebrano per mistero di grazia, hanno con essi tutt’altro rapporto, che è un rapporto di fede, un rapporto mistico, non un rapporto clerical-politico-fenomenologico.

Sempre parlando solo sul piano teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo. E sempre a scanso di equivoci torno a ripetere: “tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca”, perché solo a questo è riferita l’espressione del mirdianomutamente dell’oro delle Verità di fede, nella merda delle eresie. Infatti, per quanto poi riguarda tutto l’altro resto, quest’uomo è sicuramente il più degno ed esemplare cittadino della Repubblica Italiana, la persona più splendida, il marito più fedele al sacro vincolo del matrimonio, il modello di padre di famiglia più lodevole di questo mondo e via dicendo a seguire. Infatti — ribadisco — io non contesto la persona, né le sue indubbie qualità umane e morali, ciò che contesto è solo la sua eterodossia teologica, alla quale ho applicata la parola più appropriata: «Merda». Perché l’eresia rimane ed è tale per ogni buon cattolico: la peggiore merda di Satana, principe della corruzione e della falsificazione, colui che muta il vero in falso ed il falso in vero.

Andrea Grillo è degno allievo del monaco benedettino tedesco Elmar Salmann [cf. QUI], al quale va’ il merito di avere protestantizzato nel corso di un trentennio di suo dominio il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Basti solo ricordare ― e con me lo ricordano molti altri ―, che quando Elmar Salmann teneva tra il 2010 e il 2011 i corsi di preparazione al dottorato presso questo ateneo, soleva dilettarsi a definire il Beato Pio IX come «un caso psichiatrico», citando a suffragio di queste sue idee il Gesuita Giacomo Martina, che risulta esser stato un insigne storico, non però uno psichiatria specializzato in disturbi psicosomatici della personalità pontificia. E menzionando i quattro volumi editi dallo storico Gesuita avverso alla beatificazione di questo Sommo Pontefice [cf. QUI QUI] ― che non risultano essere “verità di fede” ma opinioni di uno studioso ―, il buon Benedettino affermava in che modo quel caso clinico-psichiatrico di Pio IX « si è posto la sua medaglietta sul petto inventandosi un nuovo dogmino », con chiara allusione al dogma della infallibilità pontificia.

Sberleffi teutonico-romanofobi del tutto comprensibili, considerata la testa e la bocca in questione, oltre al fatto che gli adoranti allievi modernisti della corte dei miracoli salmanniana, consigliavano ― ovviamente a livello critico, s’intende! ― la lettura di due opere dell’eretico Hans Küng, tra le quali: Infallibile? Una domanda. Dopo di ché, il sacro fuoco luteran-teutonico di Elmar Salmann procedeva avanti e si abbatteva sul Santo Pontefice Pio X, il quale ― cito testualmente ― «con la sua Pascendi Dominici Gregis, tentò di frenare il progresso e la speculazione scientifica, mentre gli esegeti protestanti facevano meraviglie sul piano delle ricerche filosofiche, teologiche e bibliche». E detto questo merita ricordare che tra il ristretto pubblico beneficiario di siffatte perle di saggezzasalmanniana, era presente come uditore anche il celebre giornalista Giuliano Ferrara, che proprio non mi risulta esser privo di eccellente memoria.

Questo è l’uomo, o meglio il minuscolo eretico che ha messo in cattedra al Sant’Anselmo la propria corte dei miracoli modernista, Andrea Grillo incluso, con questa logica conseguenza: all’interno di quelle mura, oggi non può neppure avvicinarsi ciò che teologicamente e dottrinalmente è cattolico. Basti dire che gli interscambi tra il Sant’Anselmo e la Facoltà teologica valdese spaziano tra l’idolatria pseudo-ecumenica e la vera e propria prostrazione ai protestanti, a tal punto che il Pastore evangelico Paolo Ricca è da anni professore ospite in quel pontificio ateneo.

Questo per dire che se un cattolico, per sua somma sventura, si avvicinasse a siffatto ambiente avvelenato e avvelenante, radicalmente corrotto poiché infarcito di modernismi e protestantismi, verrebbe arso al rogo dai membri della ereticale corte dei miracoli insediata al suo interno da Elmar Salmann, inclusi non pochi monaci sculettanti che lanciavano occhiate languide a vari studenti, perché l’eresia ― per parafrasare il mio Confratello polacco Darius Oko [cf. QUI e QUI] ―, diventa spesso omoeresia, con tutto il nubifrocio universale che ne consegue nella Chiesa, com’ebbi a spiegare io senza troppe perifrasi in un mio libro del 2011.

Molto vi sarebbe da scrivere sull’eretico modernista Andrea Grillo, che dell’ingegno dei grandi modernisti del calibro di Ernesto Buonaiuti, dotati di notevole intelletto, di scienza e di sapienza usata però purtroppo al contrario, non ha proprio niente, perché ormai siamo divenuti mediocri persino nell’eresia. E che il Grillo teologante sia un modernista, è fuori discussione, non perché lo dica io, ma perché lo provano i suoi scritti, le sue idee non cattoliche sulla Eucaristia, sul Sacramento dell’Ordine, sul Sacramento del Matrimonio, o più generalmente sulla dogmatica sacramentaria. Per non parlare dell’ecumenismo, della esaltazione della inter-comunione coi protestanti, dell’ipotesi sugli ordini sacri alle donne, del secondo matrimonio cattolico, per seguire con tutto il devastante corollario che ha portato al collasso le varie aggregazioni luterane e anglicane. Perché con le loro ideologie liberali sostituite ai vecchi dogmi della fede, il loro femminismo esasperato, le loro “donne prete”, le loro pittoresche “vescovesse” lesbiche sposate che adottano bambini con la loro coniuge [cf. QUI], nei concreti fatti, i tanto ammirati teologisti luterani, hanno solo ottenuto il risultato di svuotare le loro chiese, da tempo molto più vuote di quelle cattoliche, dove capita invece che entrino per professare la fede nella Chiesa «una santa cattolica e apostolica» numerosi loro fuoriusciti, in particolare gli anglicani. 
Se infatti il Grillo teologante fosse un teologo cattolico anziché un teologista-ideologico, dovrebbe anzitutto ricordare a se stesso che nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, noi non professiamo la fede nella “molteplicità delle Chiese”, seguitiamo a professare: «Credo la Chiesa una, santa cattolica e apostolica» [Εἰς μίαν, Ἁγίαν, Καθολικὴν καὶ Ἀποστολικὴν Ἐκκλησίαν]. Perché Il Verbo di Dio Incarnato, tramite il Beato Apostolo Giovanni, ci esorta a essere perfetti nell’unità [cf. Gv 17, 23], non nella molteplicità e nella frammentarietà delle “chiese”. Pertanto, l’unico ecumenismo che noi possiamo cattolicamente concepire, è quello che mira a riportare i fratelli separati nell’unità della Chiesa «una, santa cattolica e apostolica», non certo a conferire al loro scisma ereticale il rango di “riforma” ed al loro eresiarca Lutero il rango di “riformatore”.

Ciò malgrado, il Grillo teologante non perde occasione per insistere in modo oggi aperto, non più subliminale, di quanto sarebbe a suo parere opportuno discutere sulla amissione delle donne ai sacri ordini, sebbene dolosamente consapevole che questo discorso è stato chiuso per sempre con un pronunciamento di San Giovanni Paolo II, che rifacendosi a quanto già affermato dal conciliarissimoBeato Paolo VI — e non dalla “vecchia Chiesa” dei Santi Pontefici Pio X o Pio V —, ribadì che la Chiesa«non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale» [vedere documento, QUI]. Affermazione alla quale il Grillo teologante ribatte con sofismi di bassa lega definendola come: «una dichiarazione di “non autorità”» [vedere articolo integrale, QUI]. A quel punto, il Grillo Teologante, giocando più sul giuridico che sul teologico, afferma: «la non irreformabilità di Ordinatio Sacerdotalis che, in una prospettiva più lunga, la autorità ecclesiale potrebbe riconoscere domani di avere la autorità di estendere la ordinazione sacerdotale anche alla donna. Infatti il testo del 1994 è definitive tenendum, ma non in modo assoluto. Solo finché la Chiesa non riterrà di avere quella autorità che nel 1994 ha ritenuto di escludere. Mancando dei requisiti di “infallibilità”, il documento è solo relativamente irreformabile».

Purtroppo, questo giocatore per niente abile, giocando pro domo sua con il fallibile e l’infallibile, non tiene conto del Vangelo e soprattutto della vita del Verbo di Dio Incarnato, proprio quella dinanzi alla quale, i Sommi Pontefici, hanno affermato che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». Semplice il motivo per il quale la Chiesa non si riconosce questa autorità, perchè chi vive una dimensione della fede cristocentica anziché politicocentrica, sa bene che Cristo, con le donne, non aveva problemi di alcun genere, come invece li avevano i giudei soggetti, ancor più che alla Legge Mosaica, alle cavillosità rabbiniche. Basti pensare al genere di scandalo più volte destato dal Cristo che permetteva alle donne di avvicinarlo e persino di toccarlo; in una società e dinanzi a una Legge che non consentiva neppure ai padri stessi, di toccare le proprie figlie, ma soprattutto viceversa, per non parlare dei criteri meticolosi di separazione tra uomini e donne, dei relativi riti di purità e via dicendo. Cose queste di cui, il Cristo, non si curava affatto. E allora perché mai, istituendo il Sacerdozio e l’Eucaristia, non scelse come Sacerdoti delle donne? E qual genere di donne, che stavano vicine a Cristo Dio! 

A partire dalla Mater Dei, nata senza macchia di peccato originale. Perché scelse invece Giuda che lo tradì, Pietro che lo rinnego tre volte, ed altri che, dinanzi alla mal parata, come narra il Vangelo della Passione: «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono»? [cf. Mt 26,56]? Perché non scelse quella figura straordinaria di Maria Maddalena, che lo seguì fin sotto la croce e che giunse per prima il mattino al sepolcro? Probabilmente, il Verbo di Dio, non scelse le donne perché non era ancora un cristiano adulto, non c’era stata ancora la “riforma” del grande “riformatore” Lutero grazie al quale oggi possiamo assistere al grottesco carnevale delle “vescovesse” lesbiche che si pavoneggiano con mitria e pastorale; non c’era ancora stato il post-concilio dei teologi interpreti fautori del loro personale concilio egomenico, ma soprattutto non era stata sviluppata la ermeneutica della discontinuità da parte della Scuola di Bologna di Dossetti & Alberigo. Adesso che però abbiamo avuto questo e molto altro, potremmo andare anche oltre, rispetto a certe “limitatezze” del … povero Cristo, per causa delle quali la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In fondo, basterebbe solo porsi al di sopra di Dio, ed agire di conseguenza come meglio riteniamo opportuno. Non è forse questa l’essenza della bestemmia contro lo Spirito Santo?

Andrea Grillo è un eretico perché nel suo pensiero eterodosso e pseudo ecumenico ricorrono tutti i principali errori indicati nella dichiarazione Dominus Jesus dell’anno 2000, mentre nelle sue errate concezioni della sacra liturgia ricorre tutto ciò che è indicato come errore dalla istruzione Redemptionis Sacramentum, posto che egli stesso si è prestato a gravissimi abusi liturgici in varie chiese parrocchiali della Liguria, dove più volte ha tenuto le omelie al Vangelo al posto del Presbitero durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, che è appunto “sacrificio”, attraverso il quale il pane e il vino si transustanziano nel Corpo e Sangue di Cristo, realmente presente in anima, corpo e divinità. L’Eucaristia non è una luterana transignificazione, né una protestantica transfinalizzazione, né una festosa cena alla maniera calvinista nella quale l’Eucaristia è intesa come mero simbolo svuotato di ogni sacralità. Perché per il Grillo Teologante qualsiasi termine è buono, specie se protestante, fuorché il termine di sacrificio vivo e santo. Senza infatti andare neppure a sfiorare le alte sfere della dogmatica sacramentaria, basterebbe limitarsi a ricordare ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla Santissima Eucaristia:

Nel SS. Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente [cf. CCC, n. 1374]

Ma in fondo, chi sono io, per giudicare una celebrità come il Grillo teologante, lasciato libero da anni di avvelenare le menti con le proprie eresie in un Pontificio Ateneo, direttamente sotto le finestre della Congregazione per la dottrina della fede presieduta dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller e della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti presieduta dal Cardinale Robert Sarah? Se infatti non ci pensano questi due Cardinali, vestiti di rosso non per coreografia, bensì qual simbolo di fedeltà e di obbedienza alla fede sino allo spargimento del loro stesso sangue, preposti come tali a dirigere questi due dicasteri strettamente competenti per le eresie moderniste spacciate dalla cattedra pontificia del Grillo Teologante, dovrei forse pensarci io? Purtroppo non ho la potestas per destituire dalle cattedre certi personaggi palesemente e orgogliosamente non cattolici. Fossi stato in carica al posto di certi Prefetti, lo avrei fatto da tempo, incurante delle ire e degli attacchi della potente cordata dei modernisti che da mezzo secolo a questa parte la fa da padrona all’interno della Chiesa.

Questo per dire quanto io sia memore d’esser davvero poca cosa, dinanzi a questa realtà andata ormai ben oltre la stessa «Immaginazione al potere», perché neppure la più fervida fantasia avrebbe mai immaginato che un giorno, tutto ciò che fu condannato dal Santo Pontefice Pio X, riguardo il Modernismo qual madre di tutte le eresie, avrebbe spadroneggiato all’interno della Chiesa, al punto che oggi sono gli eretici, a punire ed estromettere i devoti alla dottrina e al sacro deposito della fede cattolica, a partire dalle più blasonate università e atenei pontifici, ed in specie quelli più antichi, nei quali non si insegna ai futuri teologi quanto perniciosi siano stati gli errori della eresia protestante, tutt’altro! Si chiama l’eresiarca Lutero «riformatore», si giunge persino a dire che grazie alla “riforma” protestante si è potuto avere, dopo quasi cinque secoli, il Concilio Vaticano II, che «ha accolto le istanze di Lutero» (!?). E se questo non bastasse, si accolgono direttamente i protestanti in casa nostra come professori invitati nelle università ecclesiastiche dove si formano i nostri futuri teologi, gran parte dei quali presbiteri e religiosi, che una volta titolati in eresia mediante il suggello delle sante carte accademiche romane, saliranno poi sui pulpiti delle chiese per annunciare fieramente altrettante eresie, con aura da intellettuali sopraffini e scimmiottando in modo peggiorativo i loro cattivi maestri.

Consapevole pertanto della mia pochezza, lascio che a rispondere alle eterodossie del Grillo teologante sia il Sommo Pontefice San Pio X, che riguardo la corte dei miracoli modernista posta dal capo eretico Elmar Salmann sulle cattedre del Pontificio Anteneo Sant’Anselmo, afferma con parole chiare e inequivocabili quanto sotto segue …

dall’Isola di Patmos, 3 novembre 2016

 

stemma-pio-xDISCORSO DEL SOMMO PONTEFICE PIO X
RIVOLTO AI NUOVI CARDINALI *

Città del Vaticano, 17 aprile 1907

san-pio-x
il Santo Pontefice Pio X, autore della solenne sconfessione dell’eresia modernista [Vedere Pascendi Domici GregisQUI]

Accogliamo colla più viva compiacenza i sentimenti di devozione e di amore figliale verso di Noi e di questa Sede Apostolica, che Ci avete significati in nome vostro e dei vostri dilettissimi confratelli per l’onore della Porpora a cui foste chiamati [1]. Ma se accettiamo i vostri ringraziamenti, dobbiamo pur dire, che le preclare virtù, di cui siete adorni, le opere di zelo, che avete compiute, e gli altri segnalati servigi, che in campi diversi avete resi alla Chiesa, vi rendevano pur degni di essere annoverati nell’albo del Nostro Sacro Senato.

E Ci allieta non solo la speranza, ma la certezza, che anche rivestiti della nuova dignità consacrerete sempre, come per il passato, l’ingegno e le forze per assistere il Romano Pontefice nel governo della Chiesa.

Se sempre i Romani Pontefici hanno avuto bisogno anche di aiuti esteriori per compiere la loro missione, questo bisogno si fa sentire più vivamente adesso per le gravissime condizioni del tempo in cui viviamo e pei continui assalti, ai quali è fatta segno la Chiesa per parte dei suoi nemici.

E qui non crediate, Venerabili Fratelli, che Noi vogliamo alludere ai fatti, per quanto dolorosi, di Francia, perché questi sono largamente compensati dalle più care consolazioni: dalla mirabile unione di quel Venerando Episcopato, dal generoso disinteresse del clero, e dalla pietosa fermezza dei cattolici disposti a qualunque sacrificio per la tutela della fede e per la gloria della loro patria; si avvera un’ altra volta che le persecuzioni non fanno che mettere in evidenza e additare all’ ammirazione universale le virtù dei perseguitati e tutto al più sono come i flutti del mare, che nella tempesta frangendosi negli scogli, li purificano, se fosse necessario, dal fango che li avesse insozzati.

E voi lo sapete, Venerabili Fratelli, che per questo non temeva la Chiesa, quando gli editti dei Cesari intimavano ai primi cristiani: o abbandonare il culto a Gesù Cristo o morire; perché il sangue dei martiri era semente di nuovi proseliti alla fede. Ma la guerra tormentosa, che la fa ripetere: Ecce in pace amaritudo mea amarissima, è quella che deriva dalla aberrazione delle menti, per la quale si misconoscono le sue dottrine e si ripete nel mondo il grido di rivolta, per cui furono cacciati i ribelli dal Cielo. E ribelli pur troppo sono quelli, che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, com’ essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei Concilii, dalle massime dell’ascetica, — sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo senza ribellarsi per non esser tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni, e finalmente sull’ adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via all’eternarovina.

Voi ben vedete, o Venerabili Fratelli, se Noi, che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che Ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a quest’attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede ed annientare il cristianesimo.

Sì, annientare il cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione per loro si restringe alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della così detta scienza critica, che s’impone alla Teologia e la rende schiava. Per la tradizione finalmente tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta al niente l’autorità dei Santi Padri. E tutti questi e mille altri errori li propalano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in un’ aperta condanna e prendere però gli incauti ai loro lacci.

Noi pertanto contiamo assai anche sull’opera vostra, Venerabili Fratelli, perché qualora conosciate coi Vescovi Vostri suffraganei nelle vostre Regioni di questi seminatori di zizzania, vi uniate a Noi nel combattere, Ci informiate del pericolo a cui sono esposte le anime, denunciate i loro libri alle Sacre Congregazioni Romane e frattanto, usando delle facoltà che dai Sacri Canoni vi sono concesse, solennemente li condanniate, persuasi dell’obbligo altissimo che avete assunto di aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di combattere l’ errore e di difendere la verità fino all’ effusione del sangue.

Del resto confidiamo nel Signore, o diletti figli, che ci darà nel tempo opportuno gli aiuti necessarii; e la benedizione Apostolica, che avete invocata, discenda copiosa su voi, sul clero e sul popolo delle vostre diocesi, sopra tutti i venerandi Vescovi e gli eletti figli, che decorarono con la loro presenza questa solenne cerimonia, sui vostri e sui loro parenti; e sia fonte per tutti e per ciascuno delle grazie più elette e delle più soavi consolazioni.

Pius, PP X

___________________

NOTE

[1] Card. Aristide Cavallari, Patriarca di Venezia.

 *  AAS, vol. XL (1907), pp. 259-262.


  - continua


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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 QUEL DOMENICANO BURLONE CHE ESALTA SCHILLEBEECKX



Uno dei gravi difetto di Edward Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati e adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori “non negoziabili”, irrinunciabili. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.


Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli, OP






Caro Padre Giovanni ,

vi seguo da sempre sull’Isola di Patmos e ricordo d’aver letto suoi giudizi critici sul teologo olandese domenicano Schillebeeckx, da lei accusato di modernismo, gnoseologia, ecc.. Giorni fa, mi sono imbattuta in una presentazione fatta sul sito ufficiale dell’Ordine Domenicano [Ndr. QUI], dove questo teologo da lei più volte criticato è presentato nella lista delle “grandi figure domenicane”. Sono un po’ confusa, potrei chiederle una spiegazione?

Francesca Papa
____________________________________________________________________

Edward Schillebeeckx
nella foto: Edward Schillebeeckx – Caratteristica degli ecclesiastici e dei religiosi modernisti, è che rimangono agli annali loro foto ufficiali che li ritraggono di rigore in giacca e cravatta, con in mano un boccale di birra (Kark Rahner) o con una sigaretta (Edward Schillebeeckx), ma nessuno di loro si è fatto immortalare con il proprio abito ecclesiastico o religioso, meno che mai con il breviario o con la corona del rosario in mano …

Sul sito della Provincia domenicana di San Tommaso d’Aquino dell’Ordine dei Frati Predicatori è apparsa la presentazione della figura e dell’opera del domenicano Edward Schillebeeckx per la penna di Padre Gerardo Cioffari, OP [Vedere QUI].

 

L’Autore ne fa grandi lodi, molte delle quali sono immeritate, perché io sin dal 1984 [1], insieme con altri critici e in consonanza con le censure, che Edward Schillebeeckx a suo tempo ha ricevuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ho segnalato in molte occasioni e in alcune pubblicazioni [2], i suoi gravi errori, che trovano la loro radice nella sua gnoseologia storicista e relativista e che mettono la sua teologia in contrasto con la dottrina della fede.

Il fatto che Schillebeeckx sia stato tra gli ispiratori del Catechismo olandese, messo così in rilievo da Gerardo Cioffari, non fa onore a Schillebeeckx, dato che il Catechismo conteneva errori contrari alla fede e così gravi lacune, che il Beato Paolo VI fu costretto a farlo correggere e completare da una commissione cardinalizia appositamente istituita. Il Catechismo Olandesesenza le correzioni apportate da Roma, è la bandiera dell’attuale neo-modernismo filo-protestante e si spaccia falsamente per interpretazione del Concilio Vaticano II.

Il vizio fondamentale della gnoseologia di Schillebeeckx sta in una radicale sfiducia nella ragione, sostituita da una “fede” esperienziale ed atematica, che ricorda molto l’impostazione di Lutero. Egli infatti crede che il concetto non coglie la realtà, quindi non può essere una rappresentazione oggettiva e fedele del reale, ma è l’espressione o interpretazione relativa al soggetto di una precedente “esperienza atematica” della realtà, sicché il concetto si limita ad indicare l’oggetto, senza identificarsi intenzionalmente con esso, ma lo rappresenta solo in forma convenzionale, linguistica o simbolica, così come, per esempio, un cartello stradale indica la direzione da seguire per giungere alla meta, ma non è ancora il luogo che occorre raggiungere.

Da notare che l’ “esperienza atematica” non è l’esperienza dei sensi, ma è una intuizione intellettuale apriorica del reale concreto mista a senso, che Schillebeeckx desume dalla fenomenologia husserliana. Il sapere, quindi, per Schillebeeckx, non inizia con l’esperienza sensibile, come per Aristotele e San Tommaso, ma con questa esperienza o intuizione apriorica, che ricorda anche l’apriorismo cartesiano e kantiano.

L’esperienza sensibile, per Schillebeeckx, non avviene prima della concettualizzazione, come nel tomismo, ma nell’orizzonte dell’esperienza atematica, che non esiste in San Tommaso, e che invece per Schillebeeckx è il punto di partenza del conoscere. Egli ammette che il concetto sia legato all’esperienza del senso, ma esso è formato solo dopo l’esperienza atematica, come interpretazione ed espressione “inadeguata” (nel senso che vedremo) di questa esperienza. Il tutto è accompagnato da una spiccata antipatia per l’astrazione intellettuale, di origine occamistica, che rende Schillebeeckx incapace, in nome di un’indiscreta concretezza e storicità, di cogliere e apprezzare il valore oggettivo e realista dell’astrazione dell’essenza universale dal particolare concreto, e quindi l’indipendenza dell’essere sovratemporale ed immutabile dal temporale e mutevole.

Secondo il vecchio pregiudizio occamista, l’astrarre è inevitabile, ma esso toglie qualcosa o impoverisce il contenuto del conoscere, che sarebbe raggiunto solo dall’esperienza atematica, ed aggiunge un elemento soggettivo, che sarebbe la “interpretazione”, se si tratta di cogliere l’oggetto; o l’espressione concettuale nel linguaggio, se si tratta di comunicarlo agli altri.

Per Schillebeeckx, noi, per mezzo del concetto non possiamo conoscere oggettivamente la realtà, ma solo “interpretarla” secondo categorie mutevoli e diversificate, compresi i dogmi. L’esperienza atematica coglierebbe il reale, ma è in se stessa, in quanto atematica, incomunicabile nel concetto e nel linguaggio. È presto detto che tutto ciò ovviamente è deleterio per la comprensione dei dogmi della fede, il cui contenuto è notoriamente immutabile ed eterno, essendo interpretazione infallibile della Parola di Dio. Per questo, meraviglia sommamente, per non dire che scandalizza, che lo Schillebeeckx sia stato proprio docente di teologia dogmatica. Del resto, casi simili nella storia del pensiero non sono nuovi. Basti pensare che Kant era docente di metafisica. Si direbbe che per Schillebeeckx l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X sia venuta per niente.

Per comprendere la teoria di Schillbeecckx sul concetto, non comprensore ma “indicatore”, possiamo fare un esempio. Se io vedo per la strada il cartello “Bologna”, conosco la direzione che devo mantenere per arrivare a Bologna, ma non posso dire ancora di essere a Bologna. Ma questa separazione dalla realtà si aggrava nella visione Schillbeecckxiana, per la quale il concetto indica la realtà, ma non la fa mai raggiungere.

Così si spiega la dichiarazione di Schillebeeckx citata da Gerardo Cioffari: «L’espressione concettuale non è che l’imperfetta, inadeguata ed astratta esplicitazione dell’atto conoscitivo costituito da una intuizione implicita. Essa dipende sempre da una determinata esperienza terrena, da un dato momento storico e da una particolare cultura».

Questa “intuizione implicita” è un’esperienza originaria pre-concettuale, globale ed ineffabile della realtà, che successivamente viene “interpretata” o espressa in concetti che tendono ad essa, ma non la raggiungono.

La realtà, per Schillebeeckx, è una ed oggettiva; dà la verità, ma gli approcci concettuali sono molti e contingenti, così come sono molti i segnali stradali, che indicano Bologna nelle diverse direzioni. Di una sola realtà, quindi, non si dà un solo concetto, ma molti nel tempo e nello spazio. Da qui la mutabilità e relatività dei concetti dogmatici.

Per esempio, uno è il mistero di Cristo. Ma un conto è la cristologia neotestamentaria, un conto quella calcedonese, un conto quella medioevale, un conto quella moderna. Confrontate tra di loro in assoluto, si contraddicono tra di loro. Esse invece risultano vere, se riferite ciascuna al proprio tempo. Veritas filia temporis. Il concetto ontologico di persona andava bene per i tempi di Calcedonia. Oggi bisogna usare quello esistenzialista. La bandiera si muove a seconda del vento.

Osserviamo altresì che “espressione inadeguata” non è solo sinonimo di “imperfetta” — l’imperfezione è connaturale al concetto umano, soprattutto in teologia, nel senso che il concetto non comprende totalmente la cosa —, ma vuol dire che manca quell’ adaequatio intellectus et rei, che condiziona e costituisce la verità del conoscere. E manca appunto perché il concetto non raggiunge la realtà, non la fa propria, non la assimila, non la interiorizza, ma le resta fuori, impenetrabile, inconoscibile ed estranea, ci gira solo attorno, come nella gnoseologia kantiana.

In tal modo il soggetto — “una determinata esperienza terrena, un dato momento storico, una particolare cultura” — entra, mediante l’ “interpretazione”, a costituire l’oggetto, per cui la verità non è più una semplice adaequatio all’oggetto, ma è relativa al soggetto. È il relativismo gnoseologico. Non posso conoscere la cosa com’è, ma come è per me.  L’oggetto non è in sé, ma è relativo a me. Non c’è più pura oggettività, ma il soggetto concorre a costituire o a formare l’oggetto, come in Kant.

Osserva Gerardo Cioffari: «Non si tratta però di un’affermazione di agnosticismo, in quanto l’inadeguatezza del concetto non significa che non corrisponde ad alcunché di reale, bensì che non coglie adeguatamente il reale, ma lo indica, ne offre la direzione ed il senso. Il che vale specialmente per il discorso su Dio, del quale conosciamo, al dire di S. Tommaso, ciò che non è, e non ciò che è. Di conseguenza la rivelazione resta un mistero insondabile, e le definizioni dogmatiche hanno la funzione di orientarci verso il mistero della salvezza».

Per evitare l’agnosticismo non basta che il concetto corrisponda a “qualcosa di reale”, se poi il concetto non lo raggiunge e non si sa cosa sia questo qualcosa.  Anche per Kant la cosa in sé esiste, ma il  guaio è che è inconoscibile. Occorre invece che la mente sappia qual è l’essenza della cosa. Se manca questo atto della mente, manca la stessa conoscenza, perchè conoscere vuol dire appunto sapere, di una cosa, che cosa è, vuol dire conoscerne l’essenza. La conoscenza è conoscenza di qualcosa.

Riguardo poi alla conoscenza di Dio, bisogna ricordare la distinzione fatta dal Gaetano tra il cognoscere quidditatem, conoscere l’essenza in qualunque modo e il cognoscere quidditative, conoscere per modo di essenza o in forza dell’essenza.

Quando San Tommaso dice che di Dio razionalmente sappiamo solo ciò che non è, piuttosto che ciò che è, si riferisce al conoscere quidditativamente, ossia conoscere Dio per essenza o nella sua essenza propria. E’ impossibile definire l’essenza di Dio o formare un concetto di Dio per genere e differenza, perchè Dio è purissimo Essere, al di sopra di tutti i generi e le specie. Conosciamo Dio quidditativamente solo nella fede e soprattutto nella visione beatifica. Ma ciò non vuol dire che sia del tutto impossibile formare un qualunque concetto di Dio o definirne la essenza — cognoscere quidditatem — in un modo qualunque, per quanto imperfetto ed analogico. Si utilizza, come ci suggerisce la stessa Sacra Scrittura [Es 3,14], la categoria dell’ente, che è al di sopra di tutti i generi,  e quindi meglio di ogni altra si presta per formare un concetto di Dio, come appunto fa San Tommaso con la sua famosa nozione dell’ipsum Esse per Se Subsistens.

Il concetto, come già sapeva Hegel, non è altro che la cosa “nell’elemento del pensiero”; la cosa in quanto pensata, la cosa in anima, come diceva San Tommaso. Questo non vuol dire che non occorra distinguere il pensiero dall’essere, o la cosa dal concetto della cosa. Confondere questi due termini, con la pretesa di conoscere esaustivamente l’oggetto, come fece Hegel, sarebbe idealismo gnostico, più volte condannato da Papa Francesco [3]

Gerardo Cioffari cita poi altre parole di Schillebeeckx: «Teologicamente mi sembra insostenibile e anche impossibile voler fissare una volta per sempre i concetti teologici ricorrendo ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio. Perché ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto. Se viene portata dentro un altro contesto, il significato di quanto era stato asserito viene inevitabilmente spostato».

Un altro grave difetto dello Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati ed adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori  “non negoziabili”, irrinunciabili.

È vero che una medesima cosa può essere espressa in modi diversi. Ma non bisogna prendere a pretesto il mutamento dell’espressione o del linguaggio, cose che possono essere utili o necessarie, per cambiare la cosa. Se si cambia il significato o il concetto di una cosa, la cosa non può più essere la stessa. E se un valore è immutabile, è sleale e ingannevole presentarlo come mutevole. Deve permanere il concetto di ciò che permane e mutare il concetto di ciò che muta. Il sapere, certo, deve progredire; ma se l’oggetto conosciuto è immutabile, non si tratta di cambiar concetto, ma di migliorarlo.

Il linguaggio certamente non è fatto solo di termini verbali o segni linguistici. È troppo evidente che questi variano e mutano. Ma esistono anche modi espressivi di carattere concettuale, come per esempio i concetti metaforici, le immagini, i simboli, i miti, i paragoni, differenti da cultura a cultura, da tempo a tempo in una medesima cultura. È chiaro che anche questi elementi espressivi variano e devono cambiare, restando lo stesso il significato dell’oggetto.

Stando così le cose, bisogna dire che il Magistero della Chiesa fissa una volta per sempre i concetti teologici, soprattutto dogmatici, non ricorrendo anzitutto “ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio”, ma approfondendo il significato della Parola di Dio. Il Magistero non è l’Accademia della Crusca. Esso fissa per sempre tali concetti, soprattutto nelle solenni definizioni dogmatiche, semplicemente perchè le realtà o verità che sono oggetto di queste definizioni sono eterne e divine.

Si tratta dell’interpretazione infallibile, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, di quella Parola di Dio, che “non passa” (Mt 24,35) e che è “stabile come il cielo” [Sal 119,89]. Che poi il Magistero tenga anche alla proprietà del linguaggio, questo è vero; ma sempre e solo al fine di far comprendere al fedele il vero significato del dogma e quindi di quella Parola di Dio che il dogma interpreta.

È quindi falso che «ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto». Al contrario, essa significa qualcosa, ossia la verità di fede, entro qualunque contesto, anche se dev’essere mediata da un certo contesto, perché la verità di fede è una verità universale ed immutabile. Il significato delle verità di fede, quale che sia il contesto nel quale esso viene espresso, è sempre lo stesso, perché esso è al di sopra del tempo ed appartiene all’orizzonte dell’eterno e del divino, non è legato a nessun particolare contesto storico e vale per tutti. Verbum Domini manet in aeternum.

Diverso discorso vale per il linguaggio, col quale la Chiesa esprime la verità dogmatica. Il suo linguaggio è e può effettivamente essere legato al variare dei contesti storici e dei sistemi linguistici. La formula dogmatica, però,  può variare nel suo aspetto linguistico e semantico, ma giammai nel concetto di fede che essa esprime.

Altre dichiarazioni di Schillebeeckx riferite da Gerardo Cioffari: «Il Magistero stabilisce ogni volta nelle mutevoli circostanze temporali quale linguaggio è valido nella Chiesa; in altre parole esso regola l’uso del linguaggio ecclesiastico e stabilisce: Chi non parla così e così della fede, espone, almeno in questa situazione culturale con i suoi presupposti specifici, se non se stesso, certamente gli altri fedeli, al pericolo di alterare il senso inteso del messaggio evangelico riguardo alla realtà salvifica».

Compito della Chiesa non è anzitutto stabilire delle parole o delle formule verbali, ma dei concetti, chiarire i concetti, i concetti di fede, sia pure espressi in parole adatte e comprensibili. Certamente la Chiesa ha la preoccupazione di esprimere il messaggio evangelico nella maniera più adatta, così da farsi comprendere dagli uomini del suo tempo. Ma ciò che le sta più a cuore è di farci sapere che cosa Cristo ci ha insegnato per la nostra salvezza. E per capire queste cose, occorre una gnoseologia che ammetta che l’intelletto coglie il reale mediante il concetto, altrimenti la conoscenza svanisce e noi perdiamo l’altissima dignità che Dio ci ha dato di essere stati creati a sua immagine e somiglianza. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

Varazze, 3 novembre 2016

NOTE

[1] Cf Il criterio della verità in Schillebeeckx, in Sacra Doctrina, 2, 1984, pp.188-205.

[2] Accenno a Schillebeeckx anche nel mio recente articolo “Decadenza e ripresa dell’Ordine Domenicano” [vedere testo QUI].

[3] Cf il mio saggio “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’ Evangelii Gaudium di Papa Francesco, in PATH, 2, 2014, pp.287-316.



Fraternamente CaterinaLD

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Il problema dei preti gay
 

La nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, promulgata dalla Congregazione per il clero e approvata dal Papa, conferma quanto già stabilito nel 2005: la tendenza omosessuale "profondamente radicata" rappresenta un disordine oggettivo di carattere psicologico che la rende incompatibile con l'Ordine sacro. Duro colpo per teologi e preti secondo i quali basta mantenere il celibato.

SI LEGGA ANCHE:
- OMOSESSUALITA', SCHIZOFRENIA ECCLESIASTICA di R. Cascioli

di Lorenzo Bertocchi

«L’idea che i gay non possono essere buoni sacerdoti è stupida, umiliante, ingiusta, e in contrasto con i fatti», lo scrive il gesuita padre Thomas Reese sul National Catholic Reporter, dopo che nei giorni scorsi è stata pubblicata la nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis QUI QUELLA DEL 1985 , promulgata nella Solennità dell’Immacolata Concezione.  QUI IL NUOVO TESTO UFFICIALE 2016

Il nuovo documento mette a tema la formazione dei sacerdoti,rinnovando le vecchie regole che risalivano al 1970, anche se già emendate nel 1985. Con la firma dell’attuale prefetto del Clero, il cardinale Beniamino Stella, il testo, che non piace al gesuita d’oltreoceano, ribadisce quanto già indicato precedentemente, ossia che le persone omosessuali che si accostano ai seminari non possono essere ammesse al sacerdozio.

In particolare, il documento approvato da Papa Francesco riporta quanto indicato da una precedente istruzione che risale al 2005 e che specifica chiaramente come «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». 

E’ precisamente contro questo passaggio che si sviluppa l’analisi del padre Reese, il quale sostiene che una corretta formulazione di questo passo avrebbe dovuto riguardare anche gli eterosessuali che si accostano ai seminari. Scrive, infatti, che il problema è sulla capacità o meno di vivere il celibato, e ciò, dice Reese, vale anche per gli eterosessuali. Il punto è che la Ratio pubblicata nei giorni scorsi indica che le persone omosessuali «si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne».
Inoltre, rileva che occorre tenere conto delle «conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate». Infine, last but not least, c’è il riferimento chiaro all’incompatibilità con il sacerdozio per coloro che “sostengono” la cosiddetta “cultura gay”, elemento che contrasta fortemente con una certa corrente di pensiero, forte anche in seno alla Chiesa, che, invece, sembra essere molto aperta a questo tipo di cultura. 

All’orizzonte c’è il Catechismo della Chiesa Cattolica che al paragrafo 2357 dice chiaramente che gli atti omosessuali contrastano con la legge naturale e sono «oggettivamente disordinati». Come spiegava Benedetto XVI nel libro intervista Luce del mondo, «sarebbe un grande pericolo se il celibato divenisse motivo per avviare al sacerdozio persone che in ogni caso non desiderano sposarsi, perché in fin dei conti anche il loro atteggiamento nei confronti dell’uomo e della donna è in qualche modo alterato, disorientato, ed in ogni caso non è in quell’ordine della creazione del quale abbiamo parlato».

Nonostante il padre Reese auspichi un colossale coming-out di preti omosessuali, che a suo dire sono stimabili dal 20 al 60%, la questione appare più complessa del semplice rispetto del celibato. L'ammissione al sacerdozio infatti richiede una grande solidità psicologica e affettiva, che è per sua natura incompatible con tendenze omosessuali «profondamente radicate», come del resto indica il Catechismo. D’altronde, come si legge nelle regole appena rinnovate, «compete alla Chiesa – nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti istituiti da Cristo - discernere l'idoneità di colui che desidera entrare nel Seminario».

Alla luce di queste considerazioni, e di questi documenti, è interessante sottolineare che il divieto di diventare sacerdote si estende a quanti, non necessariamente con tendenze omosessuali, «sostengono la cosiddetta cultura gay». Cosa si intende per cultura gay? Il documento non lo specifica ma pare ovvio che - proprio per quanto osservato sopra - ci si riferisca a chi ad esempio sostiene la sostanziale equivalenza tra l’orientamento eterosessuale e quello omosessuale, una convinzione che poi risolve la questione del sacerdozio esclusivamente nella capacità di vivere il celibato: capacità pur necessaria, ma che evidentemente non è decisiva. 





BEATIFICAZIONE
 

Laos, uccisi dai comunisti dal 1954 al 1975, diciassette missionari martiri saranno beatificati domani, domenica 11 dicembre. Il loro martirio sta dando i suoi frutti, a mezzo secolo di distanza. Nel paese, tuttora comunista e ateo, la Chiesa sta riacquistando vitalità, con prime ordinazioni di preti e conversioni.

di Giorgio Bernardelli
Mario Borzaga

Sarà un giorno molto importante, domenica 11 dicembre, per la Chiesa in Asia: a Vientiane la piccolissima comunità cattolica del Laos vivrà la beatificazione dei suoi primi martiri -17 tra missionari stranieri e catechisti locali - tutti uccisi tra il 1954 e il 1970 dalle milizie del Pathet Lao, la variante locale della guerriglia comunista. Che è poi anche a Vientiane il movimento che, nel 1975, avrebbe preso il potere al termine di un conflitto parallelo a quello del Vietnam e i cui eredi - ancora oggi - restano al governo in Laos.

Basterebbe questo quadro da solo a spiegare l'eccezionalità dell'evento che, con un intreccio straordinario di caparbietà e pazienza, la Chiesa locale ha ottenuto di poter celebrare nel proprio Paese. C'è voluto un anno e mezzo di tempo dal decreto sul martirio e tanta prudenza nell'organizzare il rito, che sarà presieduto dal cardinale filippino Orlando Quevedo a nome del Papa. Persino i parenti dei religiosi europei uccisi in odium fidei non potranno essere presenti, in un Paese che resta tuttora chiuso ai missionari stranieri. Ma era troppo importante per la Chiesa del Laos che questa beatificazione venisse celebrata comunque a Vientiane. E che venisse celebrata ora.

Sei milioni di abitanti, in maggioranza buddhisti, il Laos vede la presenza di una comunità cristiana che rappresenta l’1% della popolazione e nella quale i cattolici sono appena 45mila. Sparsi in quattro vicariati apostolici sono seguiti da una trentina di sacerdoti in tutto, tra diocesani e religiosi, tutti rigorosamente laotiani. Una comunità fragile, in un Paese che puntualmente ogni anno compare nelle posizioni più problematiche delle graduatorie sul rispetto della libertà religiosa nel mondo. Ma sarà lo stesso una tra le prime Chiese a vedere annoverati nella schiera dei martiri i missionari e catechisti locali uccisi dalle formazioni comuniste nel furore degli anni della decolonizzazione.

Dei diciassette nuovi beati dieci sono francesi: cinque padri dei Mep (i sacerdoti delle Missions Etrangères de Paris, primi evangelizzatori giunti sulle montagne del Laos alla fine del XIX secolo), cinque gli Oblati di Maria Immacolata. E missionario di quest'ultima congregazione era anche il trentino padre Mario Borzaga, l'unico italiano del gruppo, ucciso nel 1960 ad appena 27 anni. Ammazzato insieme al catechista locale Paolo Thoj Xyooj, di etnia hmong, che lo accompagnava nella visita a un villaggio. «Senza di lui non saremmo diventati cristiani», testimonieranno dopo la sua morte alcuni membri della sua comunità. Come il catechista Paolo tra i nuovi beati ci sono anche il prete laotiano Joseph Tien - il primo in assoluto a essere ucciso nel 1954 - e altri quattro laici locali.

I corpi di padre Borzaga e di Paolo Thoj Xyooj non sono mai stati ritrovati: secondo alcuni testimoni i Pathet Lao li avrebbero sepolti in una fossa nelle campagne vicino al villaggio di Phoua Zua. Come il chicco di grano che muore e nella terra porta frutto. «È giunta l'ora di andare - aveva scritto padre Borzaga nel suo diario nel 1958, un anno dopo il suo arrivo in Laos -, di andare solo con Dio, di andare solo per le strade che avevo sognato, verso i figli di Dio... Non sarà sufficiente dare una medicina; dovrai dare la vita, la vita sublime che sei stato chiamato a vivere perché gli altri non muoiano».

E questo seme - nascosto e circondato da mille impedimenti - negli ultimi anni sta comunque ricominciando a germogliare. Con i primi frutti si vedono. Nel 2005 in Laos si è tenuta la prima ordinazione sacerdotale dopo l'ascesa al potere dei comunisti nel 1975. Negli anni successivi, poi, ne sono seguite alcune altre: lo scorso 16 settembre sono stati addirittura tre i nuovi preti ordinati insieme nel vicariato di Luang Prabang. Sopratutto tra le popolazioni tribali che vivono sulle montagne - poi - crescono la conversioni, alimentate dalla testimonianza di fede dei catechisti. Il 2016, infine, ha visto anche un altro segno importante di vitalità per la Chiesa del Laos: in agosto per la prima volta un gruppo di giovani ha potuto partecipare a Phnom Phen, in Cambogia, alla Giornata della gioventù che i cattolici locali hanno tenuto in concomitanza con quella mondiale di Cracovia.

Volti nuovi di un gregge coraggioso, che senza troppo clamore - in un angolo dell'Asia - ha già raccolto il testimone di chi per loro ha donato la vita.

 





[Modificato da Caterina63 10/12/2016 14:22]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Cari confratelli, non abbiate paura a riscoprire la Messa tradizionale!



  Pubblichiamo la predica (del 29 novembre 2016) di Don Rinaldo Bombardelli, Rettore della chiesa della SS. Annunziata, a Trento,
dove la Domenica e nelle feste di precetto egli celebra la S. Messa tradizionale.



Il testo (per la quale pubblicazione è stato ottenuto il permesso del vescovo locale) è stato reso noto con la Lettera n° 87, del 2 gennaio 2017, di Paix Liturgique

Le immagini sono nostre


 
 



S. Messa all'Abbazia benedttina di Le Barroux, Francia


Fratelli e sorelle,

Le letture di oggi ci parlano del desiderio di Dio, del bisogno di cercare Dio e finalmente di poterlo trovare nella persona di Gesù. Isaia parla di nazioni che lo cercano con ansia, Gesù si rivela essere Lui e nessun altro la nostra salvezza. Il profeta descrive nei particolari sia la nostalgia di Dio che alberga nel cuore degli uomini sia la pienezza che solo Dio può offrire loro.

C’è un bellissimo motto che risale ai tempi di San Benedetto che fonda gran parte della spiritualità benedettina e che descrive molto bene l’atteggiamento dell’uomo che desidera aprirsi al mistero di Dio: QUAERERE DEUM. Cercare Dio. 

Oggi più che mai il compito della Chiesa di ciascuno di noi battezzati laici e sacerdoti, è quello di cercare Dio e aiutare i nostri fratelli a trovarLo insieme con noi. La cosa bella è che il Signore ci dà tanti aiuti e strumenti perché la nostra ricerca non sia vana o non si perda nelle mille preoccupazioni della vita e nei vicoli ciechi che troppo spesso essa ci offre.

La nostra bella fede cattolica ci offre la possibilità di poter ascoltare la Sua parola vivente nel Vangelo, nel magistero millenario della Chiesa, nella sicurezza che ci offre la dottrina, nella grazia dei sacramenti, della preghiera e della liturgia. 

E a proposito di liturgia. 

In questa chiesa dedicata a Maria Santissima Annunziata a Trento, (senza nascondere una punta d’orgoglio per appartenere a quella Chiesa Tridentina che ha avuto il dono di ospitare qui a poche decine di metri da dove vi sto parlando uno dei più grandi concili della storia della Chiesa, il Concilio di Trento, concilio che ha portato una grande riforma nella Chiesa interpretata da uno stuolo di Santi e di Sante)... bene a proposito di liturgia abbiamo la grazia di celebrare qui tutte le Domeniche la Santa Messa secondo il rito antico.

Una liturgia che contiene in sé: nei suoi silenzi, nella sua sacralità, nella centralità che essa lascia al Sacrificio di Gesù sulla Croce la risposta a quel Quaerere Deum, cercare Dio, di cui dicevo all’inizio. È una liturgia che attira molto i giovani, anche se questo può sembrare incredibile. 

In realtà, e qui mi permetto di dare un consiglio ai miei confratelli sacerdoti che ora mi stanno ascoltando: noi abbiamo tentato in tanti modi di attirare le giovani generazioni in chiesa e alla Santa Messa. Ricordo da piccolo le “messe beat”, poi talora le messe rock o le messe caratterizzate da particolari e talora stravaganti modi di attirare i giovani. Lo abbiamo fatto in buona fede, magari con grandi aspettative che spesso ci hanno lasciato delusi. 

Cari confratelli sacerdoti, provate a riscoprire la Santa Messa Antica, oltre che essere un nutrimento straordinario per la nostra spiritualità sacerdotale essa attira, e molto, i giovani. Succede in tutto il mondo. Succede anche qui. Perché non dovrebbe succedere anche da voi?

Il mondo ha bisogno di Dio. Le nazioni cercano Dio. La Chiesa può e deve offrire Dio. È il nostro compito, è nostro preciso dovere ed è allo stesso tempo la gioia che riempie la nostra vita. Quella gioia ha un nome preciso: Gesù Cristo Figlio di Maria Santissima.

Ho cominciato la mia riflessione con un motto benedettino, la concludo con un altro motto questa volta attribuito a San Bruno fondatore dei monaci certosini: STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS, “La Croce sta ferma mentre il mondo vi gira atorno”. Gesù è la via, la verità e la vita. Gesù è la nostra salvezza. Abbiamo avuto la fortuna, e Gesù ci chiama beati per questo, di aver visto, di aver sentito e così di avere creduto. 

E quando le preoccupazioni, l’incertezza per il futuro, le angosce del presente, il peso del nostro passato rischieranno di chiuderci di nuovo il cuore, guardiamo la Croce, guardiamo a Gesù. Aggrappiamoci ai sacramenti, in particolare la confessione e la Santa Messa. 

La Croce sta ferma mentre il mondo vi gira attorno, e stare accanto alla Croce qualsiasi cosa accada, significa avere la possibilità di essere tra coloro che vedranno le luci dell’alba del mattino di Pasqua, le lacrime asciugarsi, lo spettacolo del trionfo della vita sulla morte.

Sia lodato Gesù Cristo!





L'ANNIVERSARIO
 

A cento anni dalla nascita, il movimento Familiaris Consortio celebra il suo fondatore, don Pietro Margini.
Da una piccola parrocchia del reggiano ha ispirato quella che oggi è una delle realtà ecclesiali più vivaci.
Come? Intuendo 50 anni prima la crisi odierna del matrimonio e correndovi ai ripari. "Perché le famiglie sante salveranno la Chiesa".

di Andrea Zambrano
Don Pietro Margini

Nel testamento spirituale lasciato alla comunità parrocchiale e alle comunità di famiglie, don Pietro Margini scriveva: “Voglio passare il mio Paradiso a fare del bene con voi”. Quando morì la mattina dell’8 gennaio 1990 le già nutrite comunità di famiglie nate dal suo carisma nei comuni di Sant’Ilario d’Enza e Correggio, le due città in provincia di Reggio Emilia dove dagli anni 40 aveva svolto il ministero sacerdotale di curato e di parroco, non avevano ancora chiaro che cosa volesse dire quella strana profezia.

Ma oggi, a 27 anni dalla sua nascita al cielo e a cento anni dal suo dies natalis (era nato il 5 gennaio 1917, alla vigilia delle apparizioni di Fatima e della Rivoluzione d'Ottobre) si può dire che i frutti di quella lunga semina compiuta nel nascondimento di una parrocchia così periferica nella stessa diocesi di Reggio e Guastalla, siano chiari e soprattutto patrimonio di tutta la Chiesa universale: perché solo la Chiesa ha la capacità di essere glocal, di parlare a tutti gli uomini anche da avamposti considerati provinciali.

Così è stato e il movimento che oggi si ispira alla sua azione instancabile di sacerdote cristocentrico ed eucaristico è una delle realtà del cattolicesimo italiano più vivaci e da guardare con qualche cosa in più del semplice interesse. Si chiama Familiaris Consortio e prende il nome dall’esortazione apostolica di San Giovanni Paolo II Papa che ha rimesso la famiglia cristiana al centro della scena ecclesiale e laicale. Perché tutto nella vita di don Pietro è stato fatto per affermare la famiglia come luogo ordinario, ma privilegiato, in cui cercare la santità. Famiglie unite a Cristo, famiglie amiche e vicine, famiglie che condividono il bene della fede nella quotidianità, famiglie che si mettono insieme per rispondere a quell’emergenza educativa oggi così sotto gli occhi di tutti.

In occasione di questi due anniversari il movimento Familiaris Consortio ha iniziato ieri un triduo speciale che si concluderà domenica 8 in Cattedrale a Reggio Emilia dove il vescovo Massimo Camisasca celebrerà la messa solenne in memoria di un figlio della Chiesa reggiana, che ha dovuto compiere nel corso del ‘900 la tipica traversata nel deserto così comune a tante esperienze di santità.

Quando infatti negli anni ’60 del secolo scorso il giovane curato di Correggio prese possesso della parrocchia di Sant’Eulalia a Sant’Ilario d’Enza, ultimo avamposto reggiano prima del parmense, molte famiglie continuarono ad andare a direzione spirituale e alla confessione da lui. Quel continuo peregrinare lungo la via Emilia trovò una svolta pochi anni dopo, quando alcune famiglie di Correggio, sempre più attratte dalla proposta di vita cristiana del sacerdote, decisero di andare a vivere vicino a lui per continuare quell’opera di Dio che all’epoca, siamo alla vigilia del ’68 e durante il Concilio Vaticano II, era così di difficile decifrazione.

Fu una decisione che provocò scandalo in Diocesi. Per anni, i “correggesi”, così venivano chiamati con quel misto di sufficienza e fastidio, erano visti come una setta. Non mancò negli anni chi mise in giro le più astruse leggende nere sul loro modo di vivere come se si trattasse di comunità di esaltati contro la modernità.

Ma don Pietro continuò nella fedeltà al suo ministero e alla sua Diocesi, convinto com’era che “come i monaci salvarono l’Occidente cristiano, le famiglie sante salveranno la Chiesa dei nostri tempi”, una frase pronunciata molto prima che Benedetto XVI la cristallizzasse nel quaerere Deum delle minoranze creative. Credette nell’istruzione parentale come unico modo per riaffermare quella libertà di educazione che oggi vediamo messa in pericolo dallo statalismo ideologico scolastico; credette nella castità feconda degli sposi, credette nella figura del sacerdote mediator Dei con nel cuore la vita liturgica e ai fianchi le opere di Dio da promuovere. E credette nella centralità di Cristo come unico modo per conoscere Dio. Il tutto in anni in cui la famiglia, la castità, l’educazione, la confessione e il sacerdozio iniziavano a perdere il favore del mondo, fino ad essere palesemente contestati anche in ambito cattolico. E mentre il Gesù della fede iniziava a sganciarsi dal Gesù della storia.

Oggi che il movimento Familiaris Consortio è cresciuto a tal punto da avere più di un migliaio di associati, un movimento giovani, scuole famigliari e una comunità sacerdotale che, tra preti, diaconi e seminaristi, costituisce una delle principali fucine del clero diocesano, quel passato fatto di calunnie sembra soltanto un pallido ricordo, che quasi fa sorridere. La Chiesa di Reggio ha canonicamente approvato gli statuti e forse soltanto oggi si può capire che cosa intendesse don Pietro nel voler passare il suo Paradiso “a fare del bene con voi”.

Il suo lascito spirituale più attuale è stato analizzato ieri sera a Reggio nel corso della presentazione di una raccolta di scritti inediti (“Ti amo Signore”) da don Luca Ferrari, la cui vocazione sacerdotale è maturata proprio sotto la direzione di don Margini e che nel suo ruolo di fondatore della comunità sacerdotale ha tratteggiato la sua visione della Chiesa e del mondo dalla quale si intravede una straordinaria capacità di aver anticipato i tempi correndovi al riparo.

“Don Pietro venne consacrato fin dalla nascita alla Madonna del Carmelo dalla madre e al Sacro Cuore di Gesù dal padre al fronte – spiega don Luca alla Nuova BQ anticipando la relazione -. Il legame alla Madonna e al Sacro Cuore di Gesù, cresciuto fino al pieno compimento della sua vita terrena tanto da aderire in tutto alla volontà di Dio, è la radice tenace di tutto il suo ministero sacerdotale”.

Una vocazione che lo ha portato a scelte precise e coraggiose. “Cerchiamo soltanto di vivere integralmente il Vangelo”, era solito dire a chi gli chiedeva se fosse un’integralista. “Era una sua precisa convinzione: non si può credere a metà, scommettere a metà, vivere a metà. Solo nella sincera adesione alle esigenze di una proposta, puoi conoscerla davvero e sperimentarne i frutti. A questa radicalità evangelica, in un amore vero a Dio e ai fratelli, si ispirano tutti i grandi riformatori nella Chiesa. Ecco perché possiamo guardare alla vita di don Pietro in termini di attualità”. 

Ma quali sono le sue grandi intuizioni in anni, siamo tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’80, che oggi hanno portato frutto?

“Don Pietro ha scommesso sulla modernità di un uomo che riconosce la santità della sua chiamata, e la fonda non nella sua passiva adesione alla moda o alla natura creata, ma nel dialogo di amore con Dio creatore e Signore della storia”, prosegue don Luca.

L’attenzione ai bambini “perché vivano pienamente in ogni età della vita quella ricchezza di fede, speranza e carità che li renderà lieti e fecondi”, l’accompagnamento dei giovani “in un’avventura di fede, valorizzando l’amicizia autentica ed esplorando il cammino del fidanzamento nella scoperta che i ragazzi fanno l’uno dell’altra nel tempo della conoscenza, con un senso di grande libertà e dignità, attraverso proposte graduali ed esigenti”.

Quella di don Pietro è stata una pedagogia dell’educazione all’amore che esaltava “l’accoglienza e la cura della vita di grazia, la valorizzazione della preghiera, della purezza del cuore e della fedeltà”.

E non è un caso che don Pietro fosse sacerdote fino al midollo che ha proposto il sacramento della Riconciliazione valorizzandolo nella libertà di amare e lasciarsi amare unita ad un “paziente lavoro di ascolto, consiglio e aiuto al discernimento, svolto particolarmente attraverso la direzione spirituale personale e di coppia, per educare i giovani e le ragazze a riconoscere il significato del loro cammino”.

“Ai genitori ha proposto di crescere i figli con energia, per educarli all’amore di Dio e dei fratelli “spinto fino al sacrificio di sé”. Se c’è un richiamo che appare oggi controcorrente nella cultura occidentale – prosegue don Luca, che è stato riconfermato recentemente da Papa Francesco Missionario della misericordia -, è proprio questo: una educazione esigente. Ma su questo appello siamo invitati a misurarci. Diceva: “La vita non è un gioco per qualcuno e una tragedia per altri. È una responsabilità per tutti”.

Ecco perché per don Pietro “l’educazione è stata uno strumento eletto di carità. Educare significa aiutare ciascuno a far brillare quella scintilla divina spesso nascosta nel proprio cuore. Il dono più prezioso, vissuto in una infaticabile opera educativa, è stato quello di accompagnare tanti giovani e famiglie a vivere pienamente la loro vocazione, per essere insieme protagonisti della propria vita e della missione della Chiesa. Tanti di questi laici sono così diventati preziosi amici e collaboratori del suo ministero sacerdotale”.

La nascita delle comunità di famiglie, che vivono vicine, anche se questa vicinanza oggi non è più intesa in modalità esclusivamente geografiche, “ci fa testimoniare la bellezza di vivere in comunità, in risposta alla profonda e desolante solitudine che inghiottisce tante promesse di libertà e indipendenza”.

Così oggi “nel Movimento, nato dal suo cuore ed accompagnato con una straordinaria benedizione in questi anni, ancora tanti sposi possono trovare un modo cristiano di vivere ed annunciare il vangelo della famiglia, e a tanti giovani è offerto un cammino di educazione al dono di sé nell’amore, anche attraverso la memoria viva di questo santo sacerdote”.


   


[Modificato da Caterina63 06/01/2017 15:38]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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01/02/2017 17:54
 
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Ritorno al passato
di Padre Giovanni Scalese
 
In questi quattro anni ci è stato fatto il lavaggio del cervello per farci credere che finalmente la Chiesa ha ripreso il cammino che aveva iniziato con il Vaticano II e che era stato poi ingiustificatamente interrotto; il rinnovamento conciliare, dopo cinquant’anni, può finalmente vedere la luce; la Curia sarà una buona volta riformata; si può cominciare a respirare dopo anni di rinchiuso e di oscurità. Significative alcune espressioni del Prof. Grillo: “La fine di un mondo. Forse la fine di un incubo. Sicuramente la fine di un delirio”.
 
Se devo essere sincero, di nuovo io finora ho visto ben poco. Tutte quelle che vengono contrabbandate come novità sono in realtà la riproposizione di tesi sostenute nell’immediato postconcilio e che erano state giustamente accantonate, perché ritenute erronee o quantomeno inopportune dal magistero della Chiesa. L’esempio piú eclatante è, appunto, Amoris laetitia, che sdogana, dopo trent’anni, le posizioni, allora condannate, di Padre Häring.



Ritorno al passato



Circa un anno fa, precisamente il 23 febbraio 2016, scrissi un post su quella che mi sembrava una tendenza serpeggiante nella Chiesa d’oggi: la nostalgia degli anni immediatamente successivi alla conclusione del Concilio Vaticano II (“Formidabili quegli anni”). 

Mi sono tornate in mente quelle riflessioni nei giorni scorsi per due o tre circostanze. La prima è stata la lettura di un articolo del Timonesull’esortazione  apostolica Amoris laetitia, la quale non sarebbe altro che la riproposizione delle tesi sostenute negli anni Ottanta dal Padre Bernhard Häring. La seconda circostanza è stata l’attacco del Prof. Andrea Grillo al Card. Carlo Caffarra sulla rivista Munera, nel quale si rievoca la protesta di un gruppo di teologi italiani alla fine degli anni Ottanta (capeggiata, anche questa, da Padre Häring). In questi giorni, infine, la notizia, data da SandroMagister e confermata dalla rivista dei gesuiti America, della costituzione di una commissione deputata alla revisione dell’istruzione Liturgiam authenticam (28 marzo 2001). 

Potrebbero sembrare — e senz’altro sono — fatti slegati fra loro; c’è però un filo rosso che li accomuna: lo sguardo rivolto al passato.

Il Prof. Grillo potrebbe assentire, confermando che con l’attuale pontificato la Chiesa sta riallacciando i legami con la “grande tradizione cattolica”, legami interrotti dalla “teologia intollerante e sorprendentemente semplificatrice” che era stata fatta propria dal magistero della Chiesa negli ultimi trent’anni. Per quanto anch’io condivida, in linea di principio, la distinzione fra una pseudo-tradizione dell’immediato passato e la “grande tradizione” della Chiesa (si veda il post del 7 marzo 2009), nel caso specifico, ritengo che lo sguardo, di cui sopra, non abbia nulla a che fare con la “grande tradizione cattolica”, ma sia rivolto appunto all’immediato passato, agli anni giovanili di quelli che, con l’attuale pontificato, sono riusciti a raggiungere il potere nella Chiesa e intendono finalmente dare attuazione ai loro antichi progetti, rimasti finora nel cassetto.

In questi quattro anni ci è stato fatto il lavaggio del cervello per farci credere che finalmente la Chiesa ha ripreso il cammino che aveva iniziato con il Vaticano II e che era stato poi ingiustificatamente interrotto; il rinnovamento conciliare, dopo cinquant’anni, può finalmente vedere la luce; la Curia sarà una buona volta riformata; si può cominciare a respirare dopo anni di rinchiuso e di oscurità. Significative alcune espressioni del Prof. Grillo: “La fine di un mondo. Forse la fine di un incubo. Sicuramente la fine di un delirio”.

Se devo essere sincero, di nuovo io finora ho visto ben poco. Tutte quelle che vengono contrabbandate come novità sono in realtà la riproposizione di tesi sostenute nell’immediato postconcilio e che erano state giustamente accantonate, perché ritenute erronee o quantomeno inopportune dal magistero della Chiesa. L’esempio piú eclatante è, appunto, Amoris laetitia, che sdogana, dopo trent’anni, le posizioni, allora condannate, di Padre Häring.

Si trattasse solo della nostalgia di qualche teologo, si potrebbe pure sorridere e chiudere un occhio. Quel che è grave è che qui si tratta invece di interventi di governo che rimettono in discussione il cammino che la Chiesa ha compiuto negli ultimi cinquant’anni. Sembrerebbe che cinquant’anni siano trascorsi invano: si ha l’impressione che tutto ciò che è stato fatto — in campo dottrinale, morale, liturgico, canonico, disciplinare, ecc. — dalla fine del Concilio fino a quattro anni fa debba essere cancellato e si debba tornare all’anno zero, all’8 dicembre 1965, per riprendere il cammino in una direzione opposta a quella che allora fu intrapresa.

Mi sembra molto significativa la decisione (sulla quale mi riservo di tornare in maniera specifica, perché la ritengo estremamente preoccupante) di rimettere in discussione l’istruzione Liturgiam authenticam. Finora, in campo liturgico, la Chiesa aveva percorso una certa strada, caratterizzata da uno sviluppo forse un po’ altalenante, ma comunque abbastanza coerente. La tappa successiva, nella stessa direzione, sembrava dover essere la tanto attesa e discussa “riforma della riforma”. E invece ora si fa dietro front: “Scusate, abbiamo sbagliato strada; solo ora ci siamo accorti che al bivio dovevamo imboccare l’altra strada. Siamo costretti a tornare indietro. Vogliate scusare i disagi”.

Qualcuno interpreta questo “ritorno al passato” come una specie di “rivincita” sul pontificato immediatamente precedente, quello di Benedetto XVI. Io invece vado sempre piú convincendomi che il vero nemico da abbattere non sia tanto Papa Benedetto, quanto piuttosto il suo predecessore, San Giovanni Paolo II. Ratzinger viene considerato un nemico solo in quanto prima, come Cardinale, fu stretto collaboratore di Papa Wojtyla (benché di orientamento teologico diverso, si dimostrò sempre leale) e poi, come Pontefice, proseguí sulla stessa linea. 

Il pontificato di Giovanni Paolo II — durato, non dimentichiamolo, ventisette anni! — deve essere stato, per lo schieramento attualmente al potere, una interminabile tortura: tutti i loro progetti venivano sistematicamente accantonati, in favore di un rinnovamento della Chiesa nel solco della tradizione. Ora che gli oppositori di Papa Wojtyla sono usciti allo scoperto e hanno raggiunto i vertici della Chiesa, è ovvio che il loro desiderio sia quello di cancellare quel pontificato e di smantellare tutto ciò che esso aveva realizzato.

Io stesso mi sono trovato spesso in disaccordo con Giovanni Paolo II su alcune sue scelte pastorali; non mi è mai piaciuto il “culto della personalità” che era stato creato intorno a lui (anche se ora comincio a comprenderne l’utilità); ho criticato l’insolita celerità con cui si sono svolti i processi di beatificazione e canonizzazione (ma, anche in questo caso, penso di capire solo ora il motivo di tanta fretta). Ma non posso non riconoscere la grandezza di Papa Wojtyla e il contributo determinante che egli ha dato alla Chiesa dei nostri giorni: quando assunse il pontificato, la Chiesa era ridotta in condizioni pietose; alla sua morte, ha lasciato una Chiesa che aveva ritrovato una sua identità, una certa sicurezza e, diciamo pure, una certa fierezza. 

La Chiesa di oggi, quella reale che soffre in silenzio, non quella virtuale presentata dai media, è figlia di Giovanni Paolo II, da lui è stata plasmata, e proprio per questo rimane disorientata di fronte a certe decisioni che dànno l’impressione di voler rimettere in discussione ciò che egli fece.

Sono convinto che il tentativo di smantellamento del pontificato wojtyliano sia destinato al fallimento. Nel post del 23 febbraio 2016 spiegavo i motivi per cui non è possibile spostare indietro le lancette della storia. Il contributo che San Giovanni Paolo II ha dato alla Chiesa è un’acquisizione irreversibile. Non che ci si debba fermare a lui: la Chiesa deve ovviamente continuare il suo cammino nella storia, purché lo faccia nella direzione che lui, Santo, le ha indicato.

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/03/2017 20:32
 
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  LA STORIELLA SUL XXI SECOLO DELLA CHIESA
 

Una storiella che fa capire che cosa sta succedendo nella Chiesa: un sacerdote riesce a riportare ad una fede vera i manager di Manhattan: come? Con la predicazione, la messa, la confessione, la vita spirituale. E i risultati sono straordinari. I problemi sorgono quando il suo collaboratore viene mandato a Roma a studiare. E quando torna...

di Ettore Gotti Tedeschi

«C'era una volta un santo  sacerdote che in una locuzione interiore aveva ricevuto l’invito dal Signore  di  occuparsi della conversione di quelle persone  che non avevano tempo per Dio. Persone che vivevano  in un luogo frequentato quasi esclusivamente da uomini d’affari, finanzieri, politici, intellettuali, e così via, cioè  persone considerate a priori non convertibili o persino i veri nemici di Dio perché ricchi e potenti.

Per identificare questo luogo come riferimento esemplificativo, propongo di pensare a Manhattan. Questo santo sacerdote, prima di iniziare la sua missione  fece tre cose. La prima cosa furono gli esercizi spirituali, intensi (quelli di un mese, in silenzio, tipo quelli di sant’Ignazio, per intenderci) in cui chiese al Signore grazie per detta missione. La seconda cosa che fece consistette nel cercare di comprendere l’ambiente in cui avrebbe dovuto cimentarsi, la tipologia persone, professioni, i loro interessi, le loro forze e debolezze, i loro vantaggi e svantaggi, le altre religioni o sette con cui avrebbe dovuto competere, etc...etc...

La terza  cosa che fece consistette nel prepararsi ad affrontare  queste persone in questi ambienti, con argomenti, stili, parole, adeguate e convincenti. Quando si sentì pronto, partì per la sua “Manhattan“ da convertire ed iniziò il suo processo di evangelizzazione. Scelse accuratamente i luoghi (chiese) ove annunciare il Vangelo. Lì conobbe i primi che dimostrarono sensibilità e così scelse le persone (i primi apostoli) con le quali creare gruppi ristretti che gli permettessero di inserirsi nel mondo ove doveva operare. Poco alla volta cominciò a celebrare sante messe che richiamavano tutti, cominciò a confessare come mai era successo, annunciò la parola di Dio come mai si era sentito, senza “rispetto umano”, come quegli uomini necessitavano ed in cuor loro auspicavano.

In tutta la sua Manhattan non si parlava che di lui, dei suoi carismi, del bene che faceva con il magistero, con la preghiera, facendo riscoprire i Sacramenti e le grazie conseguenti. Ma soprattutto celebrando la messa con una liturgia tradizionale che contagiò tutti, confessando come la gente non ricordava più. In questa Manhattan si tornò a scoprire Dio e a conciliarlo con il proprio lavoro, anzi a scoprire che dava senso al lavoro che veniva perfino fatto meglio.

Mentre “i clienti”  del santo sacerdote crescevano a vista d’occhio, crescevano anche le offerte, i contributi economici, dati con entusiasmo affinché la missione contunasse e si espandesse. Il sant’uomo dovette cominciare a cercare giovani, o vecchi, sacerdoti che seguissero i suoi carismi, affittò locali e case per fare formazione e catechesi. Il vescovo locale gli affidò più chiese inutilizzate e gli concesse l’apertura di un seminario. Sembrava un sogno, la fede vera quella fondata solo sulla Verità unica ed eterna era quello che cercavano le persone di Manhattan, quello che volevano perché volevano dare senso alla propria vita, ma nessuno glielo aveva proposto così intensamente finora.

Pensò il sant’uomo: ma perché in così pochi nella Chiesa in questo secolo ci hanno creduto e provato? Bene, dopo alcuni anni i seminari (che ormai erano cresciti di numero e di affluenza) erano ben 14 con più di mille seminaristi. Il sant’uomo decise di creare una struttura, una specie di casa generalizia, a Roma per avere sempre la vicinanza ed il conforto della Chiesa romana e del Papa. Non essendo esperto di ciò e neppure parlando italiano, decise di mandare un seminarista che parlasse italiano, il migliore nauturalmente, il più dotato.

Impiegò quasi un mese per intervistare i suoi e scegliere fra tutti. Poi organizzò per lui un soggiorno a Roma di tre anni, prevedendo per lui anche studi teologici alle univesristà più prestigiose della Chiesa, lo fece metter in contatto con tutti i prelati, vescovi e cardinali di curia, affinche raccontasse la loro storia di successo e potessero aiutarlo a compierla e perfezionarla.  Passarono tre anni, il seminarista, ormai consacrato sacerdote a Roma, dottore in teologia e filosofia, con master in bioetica, in sociologia e in economia,  tornò  finalmente a Manhattan. Era talmente bravo ed esperto, ed il sant’uomo talmente ormai vecchio, che venne deciso di nominarlo al vertice della struttura fondata dal santo sacerdote qualche decina di anni prima.

Il giovane appena nominato pensò di rinfrescarsi la visione di cosa era Manhattan in funzione delle sue esperienze romane e riformulare una strategia adatta ai tempi. Passò mesi a valutare, studiare, sperimentare, colloquiare, etc... Poi andò dal vecchio sacerdote e gli disse che aveva fatto una analisti strategica scientifica ed era arrivato a concludere che la sua fondazione era destinata a fallire. Sarebbe fallita presto perché non aveva inteso cosa è la “realtà” del mondo moderno, perché si fondava su ideali insostenibili nel moderno. L’opera concepita dal vecchio sant’uom, proponeva infatti una vita spirituale inconcepibile nell’era moderna, pratiche religiose vecchie, quando invece  il mondo aveva bisogno di esser compreso nelle sue esigenze.

Tutto doveva cambiare per non fallire: la liturgia  incomprensibile, le confessioni opprimenti, le penitenze insostenibili, i sacramenti misteriosi, un magistero vecchio, un modo di pregare rigido.  Spiegò  che il modo, finora attuato, di interpretare e far vivere la dottrina cristiana non era più competitivo, l’uomo di oggi non poteva sentirsi oppresso dalla religione, che deve invece solo incoraggiarlo, giustificarlo, consolarlo. Il giovane  sacerdote spiegò e  distribuì   le indagini di mercato fatte da “ faith today”  e riconfermò che  se non si fosse riformato tutto  , nel giro si pochi anni la fondazione del santo sacerdote avrebbe  chiuso bottega.

Il vecchio santo sacerdote cercò di obiettare balbettando che le sue chiese invece erano piene e le vocazioni in crescita. La risposta fu immediata: “Solo per ancora poco tempo, ho visto a Roma che è successo, è questione di poco tempo tempo, è indispensabile anticipare i prossimi problemi“. Il vecchio sacerdote non aveva forze per ribattere e gli argomenti erano imposti in modo talmente scientifico e determinato da sembrare forti e convincenti. In pochi mesi la liturgia della messa venne modernizzata, si passò progressivamente a confessioni brevi e comprensive per ogni peccato, si tralasciarono le penitenze, si cominciò a dare la comunione in mano a chiunque, l’omelia nella messa si orientò alla reinterpretazione ed attualizzazione dei Vangeli e si centrò sull’importanza della coscienza soggettiva e sulla comprensione di Dio Padre che per i meriti del Figlio non necessita i nostri meriti. 

Ma  i fedeli  non  capirono e gradirono i cambiamenti, progressivamente le chiese che il vescovo gli aveva messo a disposizione si vuotarono, i seminaristi che erano entrati per diventare santi si convertirono a sette protestanti e i seminari si svuotarono, i contributi crollarono, si faticò persino ad arrivare a fine mese…

Si riuni allora la commissione con il fondatore per interrogare il giovane innovatore sui “successi” ottenuti. Lui cominciò ricordando l’incarico che aveva avuto dal fondatore, le analisi strategiche fatte, continuò spiegando la storia della Chiesa, il pensiero filosofico da Cartesio a Heiddeger, le complessità affrontate dal Vaticano II, le intuizioni di Carl Rahner. Illustrò la globalizzazione e spiegò che nel mondo globale, per evitare conflitti era necessario relativizzare le religioni troppo dogmatiche, cercando di laicizzarle come il luteranesimo, smettendo di evangelizzare per non mancare di rispetto alle altre culture religiose. Spiegò l’importanza della cura della terra , dono di Dio, dell’ambiente e del cattivo uso fatto dagli uomini, nonché azzardò persino ad anticipare, con prudenza, la necessità nel mondo globale, di una religione universale centrata su un bisogno dell’uomo identico per tutti che è la cura dell’ambiente, per poi spiegare all’uomo universale che poiché il creatore dell’ambiente è Dio, si sarebbe successivamente passati a riscoprire Dio, e questo sarebbe stato il nuovo modello di evangelizzazione nel mondo globale.

Parlò 4 ore davanti ai suoi confratelli che non capivano una H. Solo uno, giovane quanto lui, cercò di ribattere dicendo: “Ma noi a Manhattan abbiamo proprio dimostrato il contrario, l’uomo più impegnato, proprio quello che non ha tempo, vuole dar senso a tutto il suo tempo, proprio l’uomo di successo sta comprendendo che cosa è il vero successo nella vita, sta capendo che deve dare un senso alla sua vita e azioni. E sta capendo con noi che solo una fede forte, valori forti, possono dare questo senso. Sta capendo che la “realtà” è conseguenza della mancanza di fede vissuta e della dottrina non predicata. Sta capendo che se non si cura l’ambiente è semmai perché prima non si cura lo spirito.

E chi lo intende sono professionisti, banchieri, imprenditori, oltre a tutti gli altri, non sono poveri disgraziati alla ricerca di una fede consolante”.

Il  giovane nuovo responsabile della istituzione di Manhattan lo tacitò chiedendogli se non avesse mai pensato che quello che lui pensava non fosse invece opera del demonio e che quello che lui diceva non fosse una bestemmia. Poi disse solo una cosa per concludere: “Cosa vi dissi quando tornai da Roma? Che il nostro progetto non stava in piedi e così è successo! Ve lo avevo detto che questa fondazione, che ha sempre ignorato la realtà del mondo terreno era destinata al fallimento, no? Io ho cercato di salvarla, adattandola ai tempi, ma è stato impossibile, troppo tardi. Il mondo non ha più bisogno di noi, io l’ho ben capito, confrontandomi con le altre fedi, facendo analisi strategica, facendo studi teologici, filosofici, bioetici. Capendo tutto… Chi non ha capito va esorcizzato.”


Grande Prova
La seguente è una meditazione del Sacerdote, Padre Gabrielli Quartilio, a più di 200 sacerdoti e più di 10 vescovi negli Esercizi Spirituali Internazionali del Movimento Sacerdotale Mariano, a Collevalenza – Santuario dell’Amore Misericordioso (di Madre Speranza), 21-27 giugno 2015.

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La Fine dei Tempi -

- La Grande Prova

Cari Vescovi e Sacerdoti:



Vorrei iniziare questa meditazione innanzi tutto; un grande grazie alla Santissima Trinità Misericordia Infinita; se siamo qui è per un dono suo, non per nostra scelta; e per il dono che ci ha fatto di Maria, e per il dono del M.S.M.
Un grazie alla Madonna Mediatrice e Regina: la Madonna degli ultimi tempi, rappresentata nel bellissimo quadro che Madre Speranza ha voluto e fatto dipingere, qui sulla destra dell'altare.


In questo quadro il M.S.M. trova la spiegazione di ciò che la Madonna ci chiede con tanta insistenza e forza: "I cenacoli di preghiera", per ottenere il dono dello Spirito Santo che spazzerà via tutta la tenebra che il serpente ha diffuso in tutto il mondo e ovunque anche nella Chiesa. I Cenacoli che noi facciamo non sono altro che una incessante invocazione di questa "LUCE" per sconfiggere la "TENEBRA": ecco perché la Mamma li chiama "come un vaccino" per vincere i mali dei tempi che viviamo ora.


Dopo queste premesse disponiamoci a passare questa giornata con Maria nella preghiera, nella riflessione, nella fraternità, accogliendo quello che Maria vuole da noi oggi. Tutti noi vediamo e sperimentiamo la terribile confusione di oggi, la grande apostasia che ormai ha invaso tutto e tutti; ma ricordiamoci e teniamo presente quello che dice la Madonna a noi del Movimento per essere "Gli Apostoli degli ultimi tempi", per essere pronti alla battaglia allo scatenarsi delle forze del male.


Per questo ho scelto dei brani dai messaggi, dove troviamo descritta la prova, direi nei minimi particolari, con la descrizione dell'apostasia e dell'inganno che hanno oscurato la Verità insegnataci da Gesù e trasmessa dalla Chiesa con fèdeltà nei secoli. In questa prima meditazione mi fermerò a riportare i messaggi che ci descrivono:


1. La fine dei tempi.
2. la grande prova.


La fine dei tempi. Il messaggio apocalittico.


La prima cosa da vedere per essere convinti dei tempi che viviamo, (lasciatemi dire con dolore, perché anche per Don Stefano lo è stato: non tutti: anche nel Movimento c'è chi non crede a certi messaggi) questi sono i tempi che Lei ci descrive, per essere gli "Apostoli degli ultimi tempi”; ed è per questo che lei ha voluto questa SUA "Opera": per combattere la battaglia definitiva tra Lei, la "Donna vestita di sole, e il suo Avversario da sempre.

In questo sta tutto il messaggio di Fatima, che noi abbiamo conosciuto attraverso i messaggi del libro e molti di noi anche vivendo accanto a Don Stefano. Dico questo, perché ora il Movimento HA UN COMPITO IMPORTANTE DA SVOLGERE, nel mondo e nella Chiesa, che non può ignorare:
"Non è questo forse un forte segno che oggi tu mi dai? Vuoi farmi comprendere che la tua schiera è pronta; che i tuoi piccoli bambini ti hanno risposto, che tu hai trionfato nella vita di questi tuoi figli perché, attraverso di essi, realizzerai il trionfo del tuo Cuore Immacolato nel mondo.
Qui a Fatima è stato dato l'annuncio di un mistero che non è stato completamente svelato. Qui a Fatima c'è un messaggio che riflette un fascio di luce sopra tutti gli avvenimenti di questo secolo e su ciò che succederà nel prossimo" (Omelia di Don Stefano a Fatima, 20 novembre 1999).


Da queste parole di Don Stefano capite perché ora è il tempo della battaglia: la Madonna, la nostra Condottiera, e noi, la sua schiera, per combattere la battaglia definitiva.   


Nel suo messaggio del 31 dicembre 1992, la Madonna ci ha indicato I CINQUE SEGNI DELLA FINE DEI TEMPI.


Ora li richiamo brevemente. Notate bene che la Mamma in questo messaggio dice che questi segni: "sono chiaramente indicati nei Vangeli, dalle Lettere di S. Paolo e di S. Pietro; nella Sacra Scrittura.


1 - IL PRIMO SEGNO: LA DIFFUSIONE DEGLI ERRORI: "Verranno falsi celebri teologi, che insegneranno perniciose eresie; falsi maestri, che diffonderanno errori e molti li ascolteranno e li seguiranno: "per colpa loro, si diffonderanno gli errori, la vita cristiana sarà disprezzata, a causa di questo l'apostasia si diffonderà ovunque". (Mt 24,5-9; 2Ts 2,3; 2Pt 2,1-3).


2 - Il SECONDO SEGNO: LO SCOPPIO DI GUERRE E DI LOTTE FRATRICIDI: “Ci saranno carestie e terremoti, il predominio della violenza, dell'odio, ci saranno catastrofi naturali. Con epidemie carestie, inondazioni". (Mt 24,6-12) (Ebola) Aids, i tumori, le malattie rare.


3 - IL TERZO SEGNO: LA SANGUINOSA PERSECUZIONE: ''Voi sarete arrestati, perseguitati ed uccisi. Sarete odiati da tutti a causa mia. Molti abbandoneranno la fede, vi odieranno e vi tradiranno” (Mt 24,9-10).
Mai come in questi anni ci sono stati attentati alle Chiese, persecuzioni vere e proprie solo perché cristiani: Nigeria, Sudan, Iraq, Libia, Pakistan; ma ci sono anche tante altre forme di persecuzione, anche in Italia, Europa, perfino nella Chiesa stessa di oggi: Francescani dell'Immacolata.


4 - IL QUARTO SEGNO: L’ORRIBILE SACRILEGIO: "Da colui che si oppone a Cristo cioè l'anticristo. Entrerà nel tempio, siederà sul trono, facendosi adorare lui stesso come Dio, con potenza di falsi miracoli e prodigi, userà ogni genere di inganno maligno per fare il male". (2Ts 2,4-9). In che cosa consiste l'orribile sacrilegio: si accoglierà la dottrina protestante, e si dirà che la Messa non è un sacrificio ma solo la sacra cena. Questo accordo è già stato fatto con i Luterani, in cui i cattolici possono partecipare ai loro riti, e luterani ai nostri.


5 - IL QUINTO SEGNO: I FENOMENI STRAORDINARI: che avvengono nel firmamento del cielo. Si moltiplicheranno guerre, catastrofi naturali, persecuzioni... la Madonna c'invita a rimanere forti nella fede:
"Lasciatevi portare da Me e raccoglietevi tutti nel sicuro rifugio del mio Cuore Immacolato, che Io vi ho preparato proprio per questi ultimi tempi. … Io sono sempre con voi, per dirvi che la realizzazione di questi segni vi indica con sicurezza che è vicina la fine dei tempi, con il ritorno di Gesù nella gloria”. (31 Dicembre 1992)


Ma prima della liberazione dobbiamo sapere che ci aspettano i tempi che ci descrive la Madonna.


Dopo il messaggio dei 5 segni degli ultimi tempi, vorrei portare alla vostra attenzione un altro messaggio del 13 Maggio del 1994, dove vengono descritti gli ultimi tempi, i tempi conclusivi.
"Dentro il vostro tempo è l’attuazione del messaggio, che a Fatima vi ho dato e contro cui il mio Avversario si è scatenato, ma che ora apparirà in tutta la sua straordinaria importanza per la Chiesa e per tutta l’umanità. È un messaggio apocalittico. Esso riguarda la fine dei tempi. Esso annuncia e prepara il ritorno di mio figlio Gesù nella gloria”. (13 maggio 1994)


Qui la Madonna ci dice che questo messaggio "Apocalittico” riguarda la Chiesa e l'umanità. Per primo la Madonna parla dell'umanità:
“Su questa umanità ritornata pagana, avvolta dal gelo della negazione di Dio e della ribellione alla sua legge di amore, corrotta dal peccato e dal male e su cui Satana domina come sicuro vincitore, Io faccio scendere i raggi di amore e di luce del mio Cuore Immacolato...
Perché solo nel mio Cuore Immacolato troverete rifugio nel momento del castigo, conforto nell’ora della sofferenza, sollievo in mezzo ad indicibili dolori, luce nei giorni della tenebra più densa, refrigerio fra le fiamme del fuoco che consuma, fiducia e speranza in una ormai generale disperazione". (13 Maggio 1994)


Queste parole riguardano l'umanità; ora vediamo cosa dice per la Chiesa. Ora prestate bene attenzione su ciò che dice sulla Chiesa:
"Su questa Chiesa, oscurata e ferita, percossa e tradita, Io faccio scendere i raggi di amore e di luce del mio Cuore Immacolato. Quando in essa sarà entrato l’uomo iniquo, che porterà a compimento l’abominio della desolazione e che avrà il suo culmine nell’orribile sacrilegio, mentre la grande apostasia si sarà ovunque diffusa, allora il mio Cuore Immacolato raccoglierà il piccolo resto fedele che, nella sofferenza, nella preghiera e nella speranza, attenderà il ritorno di mio figlio Gesù nella gloria.
Per questo oggi vi invito a guardare alla grande luce, che da Fatima si è diffusa sulle vicende di questo vostro secolo e che si fa particolarmente forte in questi ultimi tempi. IL MIO è un messaggio apocalittico, perché siete dentro il cuore di ciò che vi è stato annunciato nell’ultimo e così importante Libro della Divina Scrittura.
Affido agli Angeli di luce del mio Cuore Immacolato il compito di portarvi alla comprensione di questi avvenimenti, ora che Io vi ho aperto il libro sigillato”. (13 Maggio 1994)


Vorrei che notaste le ultime parole che affida ai piccolo resto fedele:
"Siete dentro il cuore di ciò che vi è stato annunciato nell’ultimo e così importante Libro della Divina Scrittura”; e che la Madonna ci affida “agli Angeli della luce per portarci alla comprensione di questi avvenimenti" (13 maggio 1994).


A questo proposito riporto le parole dette da Benedetto XVI sul terzo segreto di Fatima nel 2010, durante il viaggio a Fatima. Il Papa rispondeva a un giornalista che chiedeva se nelle visioni di Fatima c'erano incluse le sofferenze della Chiesa di questo tempo (era il momento degli scandali per pedofilia). Il Papa ha risposto:
“La più grande persecuzione alla Chiesa non viene dall'esterno, dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa nel suo interno... Sono indicate realtà del futuro della Chiesa che conosceremo man mano si sviluppano e si mostrano c'è una visione della passione della Chiesa che naturalmente si riflette nella persona del Papa, la terribile crisi della fede, accompagnata da una profonda crisi morale... le soluzioni sono esterne, che riguardano un secolarismo costruttore di barriere contro la fede più preoccupato di pubblicità e di efficienza che della Verità".


A questo punto sono tantissimi i messaggi da analizzare, ed è impossibile vederli tutti; per questo vorrei soffermarmi principalmente sull'anno 1975: Siate nella Gioia.


Siate nella gioia.

"Vivi ogni momento in Me, senza pensare al domani, senza mai preoccuparti di ciò che dovrai fare… Presto tutto sarà piombato nell’oscurità. Allora Io stessa sarò la vostra condottiera… Per questo abituatevi a non guardare alle cose, ma a Me sola… Non guardate a quanto molti oggi fanno contro mio Figlio e contro di Me e si dispongono a fare contro di voi. Si avvicina l’ora delle tenebre, l’ora in cui dovrete bere il calice che mio Figlio ha preparato per ciascuno di voi. Ma neppure guardate a quest’ora, perché non vi prenda la paura e il turbamento. Guardate solo al mio Cuore Immacolato: qui rifugiatevi e riscaldatevi, qui rafforzatevi. Qui sentitevi al sicuro”. (15 marzo 1975)


Qui la Madonna ci avverte: noi siamo chiamati a vivere questi tempi con serenità, guardando solo a Lei, al suo Cuore di Mamma; ma che ci vuole anche consapevoli “dell'ora delle tenebre" e che siamo chiamati a bere il "calice amaro”.


“È ora che incominci a svelarvi parte del mio piano. Anzitutto è necessario che il mio Nemico abbia l’impressione di avere tutto conquistato, di aver ormai ogni cosa nelle sue mani. Per questo gli sarà concesso d’introdursi anche nell’interno della mia Chiesa e riuscirà ad offuscare il Santuario di Dio”. (18 ottobre 1975).
“Satana sta tramando in maniera sempre più aperta nella mia Chiesa. Si è ormai associato tanti miei figli Sacerdoti, illudendoli con il falso miraggio che il marxismo a tutti propone: l’interesse esclusivo dei poveri; un cristianesimo impegnato solo nella costruzione di una più giusta società umana; una Chiesa che si vorrebbe più evangelica e perciò sottratta alla sua istituzione gerarchica. Questa vera divisione nella mia Chiesa, questa vera apostasia da parte di tanti miei figli Sacerdoti, si accentuerà e diventerà anzi una violenta e aperta ribellione”. (31 dicembre 1975)
"Figli miei prediletti. Voi siete la mia trama; il disegno d’amore della vostra Mamma; il dono che Io faccio alla Chiesa perché sia consolata nella passione e nell’apparente morte che l’attende, prima del suo meraviglioso rinnovamento con il trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo". (31 gennaio 1975)


Noi siamo il disegno del suo Amore di Mamma. CAPITE!!!



La grande prova

"Preparatevi a vivere momenti che la storia della Chiesa non ha mai conosciuto e in cui ogni cosa sembrerà sovvertita. Ma nella più grande oscurità Io sarò vostra luce e la vostra guida.
Perciò non temete mai... abbiate la più grande fiducia nel Mio Cuore Immacolato... siete chiamati a vedere il più grande trionfo della Misericordia di Dio nel mondo”. (1 gennaio 1978)


"In questi tempi la Chiesa è chiamata a vivere le ore della agonia e del Getsemani; le ore della passione redentrice; le ore della sua cruenta immolazione sul Calvario… Quale pesante Croce devono portare oggi questi miei amatissimi figli!
La croce dell’apostasia e della mancanza di fede; la croce dei peccati e degli innumerevoli sacrilegi; la croce dell’abbandono e del rifiuto; la croce della condanna e della crocifissione. È vicino per la mia Chiesa il momento dello spargimento del sangue e della sua cruenta immolazione.
Soprattutto in questi tempi, Io sono sempre accanto a questa mia figlia sofferente ed agonizzante, come lo sono stata sotto la Croce, su cui Gesù veniva immolato per la nostra redenzione…
Pregate, figli prediletti, fate penitenza, perché ormai siete entrati nel tempo del grande castigo che il Signore manderà per la purificazione della terra… La vostra sofferenza aumenterà con l’aumentare della prova che è già incominciata.” (1 gennaio 1991)


“La grande prova è giunta per tutti voi, miei poveri figli, così minacciati da Satana e colpiti dagli Spiriti del male…
Mai, come ai vostri giorni, la pace viene tanto minacciata, perché la lotta del mio Avversario contro Dio si fa sempre più forte, insidiosa, continua ed universale”. (1 gennaio 1993).


“È un mistero di amore e di dolore, di luce e di tenebra, di gioia e di sofferenza, di morte e di vita… È una prova tanto grande e dolorosa, che voi non potete neppure immaginare, ma è necessaria per la Chiesa e per tutta l’umanità, perché possa giungere a voi la nuova era, il mondo nuovo, la riconciliazione dell’umanità con il suo Signore”. (2 febbraio 1991)


Siete così entrati nella grande prova.

"Il pericolo che correte è quello di perdere la Grazia e la comunione di vita con Dio, che mio figlio Gesù vi ha ottenuto nel momento della Redenzione, quando vi ha sottratto dalla schiavitù del Maligno e vi ha liberato dal peccato. Ora il peccato non è più considerato un male; anzi spesso viene esaltato come un valore ed un bene… RICONOSCETE IL PECCATO COME IL MALE PIÙ GRANDE, come la fonte di tutti i mali individuali e sociali.
La grande prova è giunta per la Chiesa, tanto violata dagli Spiriti del male, così divisa nella sua unità ed oscurata nella sua santità. Vedete come in essa dilaga l’errore che la conduce alla perdita della vera fede. L’apostasia si diffonde in ogni parte. SPECIALE DONO del mio Cuore Immacolato per questi vostri tempi è il CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, che il mio Papa ha voluto promulgare, quasi suo luminoso e supremo testamento.
Soprattutto per la Chiesa è giunta l’ora della sua grande prova, perché sarà scossa dalla mancanza di fede, oscurata dalla apostasia, ferita dai tradimenti, abbandonata dai suoi figli, divisa dagli scismi, posseduta e dominata dalla massoneria, resa terra fertile da cui spunterà l’albero cattivo dell’uomo malvagio, dell’anticristo, che porterà al suo interno il suo regno.
Quanto più entrerete nel tempo della grande prova, tanto più sperimenterete, in maniera straordinaria, la mia presenza di Mamma accanto a voi per aiutarvi, per difendervi, per proteggervi, per consolarvi, per prepararvi nuovi giorni di serenità e di pace”. (1 gennaio 1993).


Ora lasciatemi fare un piccolo sfogo. Voi sapete che la Madonna ha disposto che passassi gli ultimi anni accanto a Don Stefano, e vi posso dire che erano molte le prove e le sofferenze che ha dovuto affrontare per il Movimento; ma ricordo, per lui era di grandissima sofferenza quando qualche responsabile metteva in dubbio i messaggi e così dubitava sulla la loro veridicità. Nel 2000 molti responsabili non hanno più partecipato agli esercizi spirituali annuali, vari hanno continuato ma poi hanno lasciato. Ricordo a questo proposito; Gerardo, P. Fabio del Salvador, un Vescovo del Perù che per vari anni ha tenuto delle bellissime meditazioni sui messaggi con le relative citazioni bibliche; e tanti altri....


Anche ai nostri giorni penso che per il Movimento sia arrivato il momento di essere pronti a svolgere la missione che Lei, la Condottiera, ci chiede; dobbiamo affrontare delle prove dolorose, perché questi sono i tempi della grande battaglia.


Cosa ci chiede di fare la Madonna, in questi tempi di battaglia.

"Preparatevi a vivere momenti che la storia della Chiesa non ha mai conosciuto e in cui ogni cosa sembrerà sovvertita. Ma nella più grande oscurità Io sarò vostra luce e la vostra guida.
Perciò NON TEMETE MAI.. abbiate la più grande fiducia nel Mio Cuore Immacolato... siete chiamati a vedere il più grande trionfo della Misericordia di Dio nel mondo". (1 gennaio 1978)


Qui la Madonna ci dice di prepararci per questi momenti di grande buio nella Chiesa e noi ora li viviamo questi tempi, in cui si vuole sovvertire la Verità del Vangelo, si vuole trasformare la Fede, solo in pietismo, ecumenismo...
"Come Mamma sono sempre accanto a voi, alla Chiesa ed alla umanità, per condurvi sulla strada dell’attuazione del Volere del Padre… in modo che la santissima e divina Trinità sia sempre più glorificata; dove si trova la sorgente della nostra gioia, e della nostra pace.” (1 gennaio 1993)


La grande prova è iniziata perché siamo minacciati da satana che ci fa perdere il vero senso del peccato, la vera causa di ogni male non solo spirituale ma anche fisico. La grande prova è iniziata in modo particolare per la Chiesa, e la Madonna ci invita a guardarla:
"Vedete come in essa dilaga l’errore che la conduce alla perdita della vera fede. L’apostasia si diffonde in ogni parte. Speciale dono del mio Cuore Immacolato per questi vostri tempi è il Catechismo della Chiesa Cattolica, che il mio Papa ha voluto promulgare, quasi suo luminoso e supremo testamento.” (1 gennaio 1993)


Ecco, carissimi: non ci resta che guardare a Maria come Madre di Dio ma anche come vera Madre nostra e Madre della Chiesa. Siamo chiamati a non lasciarci sopraffare dalla sfiducia, dalla paura, tanto meno dallo scoraggiamento, anche se vediamo che:
"L’ateismo si è organizzato come forza protesa alla conquista del mondo intero e alla completa distruzione della mia Chiesa… Voi, poveri figli miei, siete i più colpiti in una lotta che è soprattutto fra Me e il mio Avversario… prima ancora di annunciarvi la battaglia, da Mamma vi ho invitato a cercarvi un sicuro rifugio… IL MIO CUORE IMMACOLATO: capite ora, figli, perché questo è il più grande dono che il Padre celeste vi offre. Il mio Cuore Immacolato è il vostro più sicuro rifugio e il mezzo di salvezza che, in questi momenti, Dio dà alla Chiesa e all’umanità. E’ l’Opera che Io sto facendo nella mia Chiesa per chiamare a rifugiarsi in Me tutti i Sacerdoti, i miei prediletti…
Questa mia vittoria è già iniziata e presto splenderà su tutta lai Chiesa e sulla intera umanità rinnovata". (8 dicembre 1975)


"Consapevoli che l’ateismo ha fatto naufragare nella fede un grande numero di fedeli, che la dissacrazione è entrata nel Tempio santo di Dio non risparmiando neppure tanti nostri fratelli sacerdoti, che il male e il peccato sempre più dilagano nel mondo, osiamo alzare fiduciosi gli occhi a Te…” (atto di Consacrazione)


Quindi via la sfiducia, via la paura da noi del Movimento: l'unica preoccupazione deve essere quella di entrare e di aiutare altri ad entrare nel sicuro rifugio del Cuore Immacolato di Maria, vivendo la consacrazione al suo Cuore Immacolato "con lo semplicità dei bambini, in spirito di umiltà, di povertà, di fiducia e di filiale abbandono" (31 dicembre 1997).


E questo, anche se ormai è giunto il tempo in cui ...

"Coloro che vi ostacolano, che vi calunniano, che vi disprezzano, che vi emarginano, che vi perseguitano crederanno di fare cosa gradita al Padre Celeste e persino a Me, vostra Mamma Immacolata.
Questo fa parte del tempo tenebroso che vivete. Perché ormai entrate nella fase più dolorosa e più tenebrosa della purificazione e presto la Chiesa sarà scossa da una persecuzione terribile, nuova, che finora non ha ancora conosciuto”. (12 novembre 1988)


Oggi, carissimi, se uno non la pensa come i tanti altri, l'accusa più piccola è: sei un conservatore o Lefrevriano; o peggio ancora: sei contro il Papa, quindi non sei dei Movimento... Sentite cosa ci dice LEI, la Madre della Chiesa:
"Sono particolarmente accanto alla Chiesa in questi ultimi tempi, in cui essa deve vivere l’ora sanguinosa della sua purificazione e della grande tribolazione.
Anche per lei deve compiersi il disegno del Padre Celeste ed è così chiamata a salire il Calvario della sua immolazione. Questa mia amatissima figlia sarà percossa e ferita, tradita e spogliata, abbandonata e condotta al patibolo, ove verrà crocifissa.
Nel suo interno entrerà l’uomo iniquo, che porterà al culmine l’abominio della desolazione, predetta dalle divine Scritture.…”. (1 gennaio 1994)


"Ancora per poco avete da camminare nella luce: presto tutto sarà piombato nell’oscurità. Allora Io stessa sarò la vostra luce e vi guiderò a compiere ciò che il mio Cuore Immacolato desidera.
Per fare questo, figli prediletti, vi devo chiedere ciò che alla vostra natura umana costa di più: vi chiedo di vivere senza pensare al domani, senza preoccuparvi del futuro… Vivete, con perfetto amore e con perfetto abbandono, il presente che Io - attimo per attimo - dispongo per voi.
Per questo abituatevi a non guardare alle cose, ma a Me sola. Non guardate a ciò che vi attende, alle vicende così tribolate di questo vostro tempo…
Si avvicina l’ora delle tenebre, l’ora in cui dovrete bere il calice che mio Figlio ha preparato per ciascuno di voi. Ma neppure guardate a quest’ora, perché non vi prenda la paura e il turbamento.
Guardate solo al mio Cuore Immacolato: qui rifugiatevi e riscaldatevi, qui rafforzatevi. Qui sentitevi al sicuro. Abbandonatevi a questo mio Cuore completamente, senza riserve: solo allora risponderete al mio disegno di salvezza". (15 marzo 1975)
"Nello stesso momento infatti in cui Satana si sarà assiso quale signore del mondo e si sentirà ormai vincitore sicuro, Io stessa gli strapperò dalle mani la preda. Si troverà per incanto a mani vuote e all’ultimo la vittoria sarà soltanto di mio Figlio e mia: questa sarà il trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo”. (19 dicembre 1973)


Sono tanti i segni ormai chiari che, in questi tempi, Satana si è assiso sicuro di vincere, anzi di stravincere; non lasciamoci ingannare: lui non prevarrà: e accogliamo l'invito della Mamma:


“La croce che Gesù vi domanda oggi di portare: vivere accanto a fratelli Sacerdoti che non credono più, che non vivono più, che tradiscono il Vangelo, che sono servi infedeli e restano tuttavia nella Chiesa per essere i ministri di questa infedeltà.
Questa per voi è la croce più pesante, ma rientra in un mio più grande disegno.
Gli avvenimenti decisivi sono ormai iniziati, e questo che voi vivete è il principio. Dovrà ancora approfondirsi e aggravarsi questo scandalo. Dovrete essere chiamati sempre più a soffrire, perché questa vera apostasia dal Vangelo diventerà un giorno generale nella Chiesa, prima della purificazione liberatrice.” (9 luglio 1975)


Proprio oggi un carissimo confratello mi ha raccomandato di non citare per il momento questi messaggi, perché, diceva, è troppo presto, non si è capiti e potremmo allarmare le persone per niente. Ma io dico: sono 40 anni che Lei, la Mamma, ci ha detto queste cose: cosa dobbiamo aspettare!
"E’ il momento in cui questo dovete sapere, per prepararvi consapevolmente alla battaglia. È ora che incominci a svelarvi parte del mio piano.
Anzitutto è necessario che il mio Nemico abbia l’impressione di avere tutto conquistato, di aver ormai ogni cosa nelle sue mani. Per questo gli sarà concesso d’introdursi anche nell’interno della mia Chiesa e riuscirà ad offuscare il Santuario di Dio. Mieterà le vittime più numerose fra i Ministri del Santuario.” (18 ottobre 1975)


L'Avversario deve avere l'impressione che ha tutto in mano, con l'introdursi all'interno della Chiesa, mietendo così tante vittime tra i ministri, e questo, carissimi, noi lo vediamo ogni giorno: e come Movimento Sacerdotale Mariano dobbiamo ancora fare finta che tutto è normale!?!


Risultati immagini per Padre Gabrielli QuartilioPadre Gabrielli Quartilio


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Notate:


Diversi vescovi hanno dato il loro Imprimatur al libro, con i messaggi della Madonna rivelati attraverso Don Stefano Gobbi. Si può trovare queste Imprimatur e anche tutti I messaggi a:
“Ai sacerdoti figli prediletti della Madonna”,
visitate:
http://madonna-sacerdoti.blogspot.it/ 


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[Modificato da Caterina63 03/04/2017 11:55]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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18/05/2017 20:25
 
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Il cardinale Sarah con Benedetto XVI
 

«Con il cardinal Sarah la liturgia è in buone mani». Firmato: Benedetto XVI. Quello che a prima vista può sembrare un semplice atto di stima, è in realtà una vera e propria bomba. Significa infatti che il Papa emerito – pur nel suo stile discreto, con un commento a un libro - scende direttamente in campo a difesa del cardinale Robert Sarah che, come prefetto della Congregazione per il Culto divino, è stato ormai isolato dalle nuove nomine di papa Francesco.

di Riccardo Cascioli

«Con il cardinal Sarah la liturgia è in buone mani». Firmato: Benedetto XVI. Quello che a prima vista può sembrare un semplice atto di stima, è in realtà una vera e propria bomba. Significa infatti che il Papa emerito – pur con il suo stile discreto - scende direttamente in campo a difesa del cardinale Robert Sarah che, come prefetto della Congregazione per il Culto divino, è stato ormai isolato ed emarginato dalle nuove nomine di papa Francesco, e pubblicamente smentito nel suo indirizzo dallo stesso Papa.

Il clamoroso gesto di Benedetto XVI è arrivato sotto forma di post-fazione per un libro del cardinale Sarah, “La force du silence” (Il potere del silenzio), non ancora tradotto in italiano. Il testo di Benedetto XVI dovrebbe essere pubblicato sulle prossime edizioni del libro, ma è stato reso pubblico ieri sera dal sito americano First Things.

In esso Benedetto XVI elogia grandemente il libro del cardinale Sarah e Sarah stesso, definito «maestro spirituale, che parla dal profondo del silenzio con il Signore, espressione della sua unione interiore con Lui, e per questo ha da dire qualcosa a ciascuno di noi».

E alla fine della lettera si dice grato a papa Francesco per «aver nominato un tale maestro spirituale a capo della congregazione per la celebrazione della liturgia nella Chiesa». È una nota che sa più di blindatura che di vera gratitudine. Non è un mistero infatti che nel corso dell’ultimo anno il cardinal Sarah è stato via via esautorato di fatto, prima con la nomina dei membri della Congregazione che ha avuto l’esito di circondare Sarah di personaggi progressisti apertamente ostili alla “riforma della riforma” invocata da Benedetto XVI e che il cardinale guineano tentava di realizzare (clicca qui). Poi l’aperta sconfessione da parte del Papa a proposito della posizione degli altari (clicca qui e qui); quindi la nuova traduzione dei testi liturgici che sarebbe allo studio di una commissione creata a insaputa e contro il cardinale Sarah (clicca qui); infine le mosse per studiare una messa "ecumenica" bypassando la Congregazione stessa (clicca qui).

Si tratta di una deriva che colpisce al cuore lo stesso pontificato di Benedetto XVI che poneva la liturgia al centro della vita della Chiesa. E nel documento ora pubblicato, il Papa emerito rilancia un monito: «Così come per l’interpretazione della Sacra Scrittura, anche per la liturgia è vero che è necessaria una conoscenza specifica. Ma è anche vero della liturgia che la specializzazione può mancare l’essenziale a meno che non sia radicata in una profonda, interiore unione con la Chiesa orante, che sempre di nuovo impara dal Signore stesso cosa sia l’adorazione». Da qui l’affermazione finale che suona come un avvertimento: «Con il cardinale Sarah, maestro del silenzio e della preghiera interiore, la liturgia è in buone mani».

Questo intervento di Benedetto XVI, che cerca di blindare il cardinale Sarah e rimetterlo effettivamente a capo della Congregazione per la liturgia, è senza precedenti. E seppure la forma è quella di un “innocuo” commento a un libro, a nessuno può sfuggire il significato ecclesiale di tale mossa, che indica la preoccupazione del Papa emerito per quanto sta avvenendo nel cuore della Chiesa.

Benedetto XVI interviene ora sulla cosa che forse maggiormente ha caratterizzato il suo pontificato: «La crisi della Chiesa è una crisi della liturgia», ebbe modo di dire, e tale giudizio è stato rilanciato dal cardinale Sarah. Ma non bisogna dimenticare ciò che monsignor Georg Geinswein ha affermato in una recente intervista, in modo solo apparentemente innocente: rispondendo a una domanda sulla confusione che c’è nella Chiesa e alle divisioni che si sono create, disse che Benedetto XVI segue con attenzione tutto ciò che avviene nella Chiesa. E ora vediamo che comincia discretamente a muovere qualche passo.

 

ecco la traduzione integrale da Chiesapostconcilio

Con il Card. Sarah, la Liturgia è in buone mani
Benedetto XVI, papa emerito

Da quando ho letto le Lettere di sant'Ignazio di Antiochia nel 1950, mi ha particolarmente colpito un brano della sua Lettera agli Efesini: “Ѐ meglio tacere e essere [cristiani] che parlare e non esserlo. Insegnare è cosa ottima purché chi lo fa pratichi ciò che insegna. Uno solo è il Maestro che ha parlato e messo in pratica i suoi insegnamenti e anche ciò che ha fatto nel silenzio è degno del Padre. Solo chi ha fatto veramente sue le parole di Gesù è in grado di ascoltare anche il suo silenzio e quindi diventare perfetto, tanto da compiere le cose di cui parla e essere conosciuto per quelle che tace” (15, 1f.). 

Che cosa significa: ascoltare il silenzio di Gesù e conoscerlo attraverso il suo silenzio? Sappiamo dai Vangeli che Gesù spesso trascorreva notti intere da solo “sul monte” in preghiera, in conversazione con il Padre. Sappiamo che i suoi discorsi, le sue parole, provenivano dal silenzio e potevano maturare solo lì. Quindi è ragionevole pensare che la sua parola possa essere compresa correttamente solo se anche noi entriamo nel suo silenzio, se impariamo ad ascoltarlo a partire dal suo silenzio.

Certamente, per poter interpretare le parole di Gesù, è necessaria la conoscenza storica, che ci insegna a comprendere il tempo e il linguaggio del tempo. Ma questo da solo non è sufficiente, se vogliamo davvero comprendere il messaggio del Signore in profondità. Chiunque oggi voglia leggere i commenti sempre più profondi sui Vangeli, alla fine rimane deluso. Impara molte cose utili sulla storia di quell'epoca e una quantità di ipotesi che non contribuiscono per nulla alla comprensione del testo. In definitiva si sente che in tutto quell'eccesso di parole manca qualcosa di essenziale: l'ingresso nel silenzio di Gesù, da cui nasce la sua parola. Se non sappiamo entrare in questo silenzio, ascolteremo sempre la superficie della parola e quindi non possiamo  realmente capire.

Mentre stavo leggendo il nuovo libro del Cardinale Robert Sarah, tutti questi pensieri mi sono di nuovo tornati in mente. Sarah ci insegna ad essere silenziosi con Gesù, vera quiete interiore, e proprio questo ci aiuta a comprendere la parola del Signore in modo nuovo. Naturalmente egli non parla quasi mai di se stesso, ma di quando in quando ci  fa cogliere uno scorcio della sua vita interiore. 
In risposta alla domanda di Nicolas Diat, “Nella sua vita ha mai pensato che le parole stessero diventando troppo ingombranti, troppo pesanti, troppo rumorose?,” risponde: “Nella mia preghiera e nella mia vita interiore, ho sempre sentito il bisogno di un silenzio più profondo, più completo.... I giorni di solitudine, di silenzio e di digiuno assoluto sono stati di grande aiuto. Sono stati una grazia senza precedenti, una purificazione lenta, e un incontro personale con Dio.... I giorni di solitudine, di silenzio e di digiuno, nutriti unicamente dalla Parola di Dio, permettono all'uomo di fondare la sua vita su ciò che è essenziale”. 

Queste linee rendono visibile la fonte da cui il cardinale vive e che dà alle sue parole profonda interiorità. Da questo punto di vista, si possono quindi vedere i pericoli che continuamente minacciano la vita spirituale, anche di sacerdoti e vescovi e che quindi mettono in pericolo la Chiesa stessa, nella quale non è infrequente che la Parola venga sostituita da una prolissità che ne diluisce la grandezza. Vorrei citare una sola frase che può diventare un esame di coscienza per ogni Vescovo: “Può capitare che un sacerdote buono e pio, una volta elevato alla dignità episcopale, cada rapidamente nella mediocrità e nella preoccupazione per il successo mondano. Sopraffatto dal peso dei doveri che incombono su di lui, preoccupato per il suo potere, la sua autorità, e le necessità materiali del suo ufficio, poco a poco finisce il carburante”.

Il cardinale Sarah è un maestro spirituale, che si esprime dalle profondità del silenzio con il Signore, dalla sua unione interiore con Lui, e così ha davvero qualcosa da dire a ciascuno di noi.

Dovremmo essere grati a Papa Francesco per aver nominato un maestro così spirituale come capo della congregazione che è responsabile della celebrazione della liturgia nella Chiesa. Ѐ vero che nella liturgia, come pure nell'interpretazione della Sacra Scrittura, è necessaria la conoscenza specializzata. Ma è anche vero, per quanto riguarda la liturgia, che la specializzazione, in ultima analisi, corre il rischio di tralasciare le cose essenziali se non è fondata su una profonda unione interiore con la Chiesa orante, che impara ogni giorno di nuovo dal Signore stesso ciò che è l'adorazione. Con il cardinale Sarah, come maestro di silenzio e di preghiera interiore, la liturgia è in buone mani.

Benedetto XVI, Città del Vaticano.
______________________
Questo saggio apparirà come post fazione nel prossimo libro del card. Robert Sarah The Power of Silence: Against the Dictatorship of Noise, pubblicato da Ignatius Press. (Edizione italiana: La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, Cantagalli, maggio 2017, pag.400)
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 



Fraternamente CaterinaLD

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22/05/2017 11:29
 
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[SM=g1740717] PER NON DIMENTICARE.....

Cari Amici, il 10 maggio 1981, tre giorni prima dell’attentato, Giovanni Paolo II pronunciò un Regina Coeli davvero infuocato dallo Spirito Santo, in difesa della vita umana e contro l’aborto. ;-) In questo video vi offriamo e proponiamo l’audio originale - da brividi!!! - che sollecitiamo tutti ad ascoltare con molta attenzione, dal momento che parla anche della retta coscienza, del dovere della Chiesa non solo di difendere la vita umana in ogni sua fase, ma che questa difesa è fondamentale per la retta formazione di ogni coscienza, così infatti spiega san Giovanni Paolo II “La Chiesa sempre ha ritenuto il servizio alla coscienza come il suo servizio essenziale…”

www.youtube.com/watch?v=8men3uTMvpc

REGINA COELI

IV Domenica di Pasqua, 10 maggio 1981

1. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

Con queste parole termina il Vangelo di oggi, quarta domenica di pasqua. È Cristo Buon Pastore che pronuncia queste parole. È Cristo, che chiama se stesso “porta delle pecore” (Gv 10, 7).
Desidero riferire queste parole sull’abbondanza della vita prima di tutto al dono della grazia, che ci ha portato Cristo nella sua Croce e nella Risurrezione. Desidero riferirle anzitutto allo Spirito Santo, “che è Signore e dà la vita”, e confessiamo la fede in Lui con le parole che, da sedici secoli, il primo Concilio Costantinopolitano pone sulle labbra della Chiesa.

Lo Spirito Santo è l’autore della nostra santificazione: Egli trasforma l’uomo nel suo intimo, lo divinizza, lo rende partecipe della natura divina (cf. 2 Pt 1, 4), come il fuoco rende incandescente il metallo, come l’acqua sorgiva disseta: “fons vivus, ignis, caritas”. La grazia è comunicata dallo Spirito Santo per il tramite dei sacramenti, che accompagnano l’uomo durante tutto l’arco della sua esistenza. E, mediante la grazia, Egli diventa il dolce ospite dell’anima: “dulcis hospes animae”: inabita nel nostro cuore; è l’animatore delle energie segrete, delle scelte coraggiose, della fedeltà incrollabile. Egli ci fa vivere nell’abbondanza della vita: della stessa vita divina.

E proprio per questa sollecitudine circa l’abbondanza della vita Cristo rivela se stesso come Buon Pastore delle anime umane: Pastore che prevede l’avvenire definitivo dell’uomo in Dio; Pastore che conosce le sue pecore (cf. Gv 10, 14) fino al fondo stesso della verità interiore dell’uomo, il quale può parlare di se stesso con le parole di sant’Agostino: “Inquieto è il mio cuore, finché non riposi in Te” (cf. S. Agostino, Confessiones I, 1).

2. Cari fratelli e sorelle!

Ecco, voi rappresentanti delle parrocchie e delle comunità di tutta Roma siete oggi riuniti in piazza san Pietro per testimoniare che, nel corso di questi mesi e delle ultime settimane, avete pensato alla vita umana, prima di tutto alla vita nascosta sotto il cuore della donna madre, alla vita dei nascituri. Questa vita l’avete fatta oggetto delle vostre meditazioni, del vostro impegno di credenti, di uomini e di cittadini, ma soprattutto ne avete fatto il tema delle vostre preghiere. Avete meditato sulla responsabilità particolare verso la vita concepita, che, secondo il retto sentire dell’uomo, deve essere circondata da una particolare sollecitudine e protezione, da parte sia dei genitori stessi, sia anche della società, in particolare degli uomini che, in diversi modi, sono responsabili di questa vita.

3. Ciò facendo, voi avete dimostrato la vostra solidarietà all’invito dei vostri Vescovi, i quali, durante la Quaresima, hanno attirato l’attenzione di tutta la società sulla grande minaccia che incombe su questo valore fondamentale che è la vita umana e in particolare la vita dei nascituri. È compito della Chiesa riaffermare che l’aborto procurato è morte, è l’uccisione di una creatura innocente. Di conseguenza, la Chiesa considera ogni legislazione favorevole all’aborto procurato come una gravissima offesa dei diritti primari dell’uomo e del comandamento divino del “Non uccidere”.

4. Tutti questi vostri sforzi, tutto il lavoro della Chiesa, in Italia come in ogni altra parte del mondo, che mira ad assicurare la santa inviolabilità della vita concepita, io oggi desidero presentare a Cristo, il quale ha detto: “Sono venuto perché abbiano la vita”. Affinché questi esseri umani più piccoli, più deboli, più indifesi abbiano la vita, affinché questa vita non venga loro tolta prima che nascano, noi appunto a questo serviamo e serviremo in unione col Buon Pastore perché questa è una causa santa.

5. Servendo questa causa, serviamo l’uomo e serviamo la società, serviamo la patria. Il servizio all’uomo si manifesta non solo nel fatto che difendiamo la vita di un nascituro. Esso si manifesta contemporaneamente nel fatto che difendiamo le coscienze umane. Difendiamo la rettitudine della coscienza umana, perché chiami bene il bene e male il male, perché essa viva nella verità. Perché l’uomo viva nella verità, perché la società viva nella verità.

Quando Cristo dice: “Sono venuto perché abbiano la vita...” pensa anche, anzi soprattutto, a quella vita interiore dell’uomo che si manifesta nella voce della retta coscienza.

La Chiesa sempre ha ritenuto il servizio alla coscienza come il suo servizio essenziale: il servizio reso alla coscienza di tutti i suoi figli e figlie – ma anche alla coscienza di ogni uomo. Poiché l’uomo vive la vita degna dell’uomo quando segue la voce della retta coscienza e quando non permette di assordire in se stesso e di rendere insensibile questa coscienza.

Così servono gli uomini – proprio i più poveri e più bisognosi – tutti quegli uomini e quelle donne che, nel mondo, si dedicano alla difesa della vita, della vita dei corpi e delle anime: missionari e missionarie, suore, medici, infermieri, educatori, tecnici. Basti per tutti ricordare ancora, come a noi ben nota, madre Teresa di Calcutta, la cui voce in difesa della vita dei nascituri si alza non solo dall’India, ma anche dai diversi punti della terra. In Giappone, recentemente, ha detto: “Ogni bambino ucciso con l’aborto, è un indice di grande povertà, perché ogni vita umana è importante e ha un carattere speciale per Dio”.

Facendo tutto per salvare l’uomo dalla miseria materiale, madre Teresa – questo mirabile testimone della dignità dell’umanità – fa di tutto per difendere anche la sua coscienza dalla insensibilità e dalla morte spirituale.

Dopo il Regina Coeli

6. Cari fratelli e sorelle!


Eleviamo i nostri cuori nella preghiera alla Madre del Redentore, invitandola alla gioia pasquale, come ora facciamo in questo periodo. E contemporaneamente

Preghiamo la Madre più santa di tutte le madri –
per ogni madre su questa terra
e per ogni bambino nascituro nel suo seno.
Preghiamo per le madri la cui coscienza
è maggiormente minacciata
quando consente
che venga tolta la vita al suo bambino...
Cristo ha detto:
“La donna, quando partorisce è afflitta,
perché è giunta la sua ora;
ma quando ha dato alla luce il bambino,
non si ricorda più dell’afflizione
per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16, 21).
Preghiamo per una tale gioia della vita
anche se riscattata dalla sofferenza
e dalla lotta interiore.
Preghiamo per la gioia delle coscienze.
“perché abbiano la vita
e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/angelus/1981/documents/hf_jp-ii_reg_19810...

gloria.tv/video/Em7aE4ks7N8H3yGTBYAzVTWRM







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ALLARME DI CAFFARRA

 



«Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito». L'ha detto il cardinal Caffarra nella prefazione di un libro sulla figura di don Enzo Casadei. «Il prete disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro».


di Paolo Facciotto


“Il sacerdozio cattolico in Occidente sta vivendo una «morfogenesi» che rischia di cambiare perfino il suo «genoma» divinamente istituito”: queste parole di allarme per il ministero dei preti vengono dal Card. Carlo Caffarra. Sono datate al 19 gennaio scorso, ma in realtà inedite fino a oggi, perché costituiscono la prefazione del libro appena uscito in memoria di un sacerdote cesenate, don Ezio Casadei (1925-2015). 

Parole significative, perché non riguardano la pastorale né la sociologia ecclesiale - temi già ben illustrati dagli spot video dell’otto per mille ed ampiamente discussi in mille convegni e articoli - bensì l’ontologia, il DNA stesso del sacerdozio. Secondo l’arcivescovo emerito di Bologna, il «genoma» del prete così come è stato disegnato e voluto da Dio stesso rischia di trasformarsi pericolosamente in qualcosa d’altro. I motivi indicati a Caffarra: “Straziato come è (il sacerdozio, ndr) dalla tentazione di ridursi ad esercitare le opere di Misericordia corporale e dalla tentazione di conservare ciò che non esiste più».

Ulteriori indizi su tale doppia tentazione, il cardinale non ne fornisce. Ma in un altro brano della prefazione si comprende bene il livello della sua preoccupazione: dal racconto tratteggiato nel libro, a cura di Raffaele Bisulli, “risulta con chiarezza - scrive Caffarra - la coscienza drammatica che don Ezio aveva del suo sacerdozio. Per coscienza drammatica intendo la consapevolezza che il ministero sacerdotale vive nel cuore del dramma il cui prot(o)-agonista è Cristo nella potenza operante del suo atto redentivo. Il secondo attore è la persona umana nella sua libertà. L’ant(i)-agonista è il Satana. La trama si può riassumere in due [non una!] parole: «Misericordia di Dio» - «libertà dell’uomo»”. Quindi la lotta fra Cristo e Satana disegna drammaticamente l’identità del prete.

Caffarra si sofferma sulla “centralità che per questo sacerdote aveva la celebrazione dell’Eucarestia, e la celebrazione del Sacramento della Confessione. E non dammeno, la passione per l’educazione della persona come educazione alla libertà”. Nel libro, intitolato «Don Ezio. Una fede indomabile, un’amicizia fedele», ed. Alpha Service, Cesena, sono proprio quelle sul sacerdozio le pagine più dense.

“C’era in don Ezio - scrive Bisulli - un’acuta consapevolezza del compito primario ed essenziale del prete: quello di essere ministro dei sacramenti dell’Eucarestia e della Confessione. Spesso ricordava a noi che senza il sacerdote non c’era la Messa e non c’era l’Eucarestia, l’unica possibilità di un incontro fisico con Gesù, e che senza il sacerdote non c’era la possibilità di dire a una persona: «Va’ in pace i tuoi peccati sono stati perdonati»”. Frasi semplici e di cristallina chiarezza, oggi non più scontate.

“Don Ezio - prosegue Bisulli - non era in senso stretto un liturgista, anzi qualche volta criticava le scelte che gli specialisti di liturgia avevano imposto nella celebrazione della Messa; altre volte, invece, non era persuaso delle traduzioni delle lettere di san Paolo o dei brani evangelici: pensava che in certi casi avevano fatto perdere il vigore di alcune espressioni di Gesù e di san Paolo, ma questo non gli impediva affatto di amare la celebrazione della Messa che si capiva benissimo aveva un ruolo importantissimo nella sua giornata”.

Bisulli e gli altri amici più stretti lo capirono quando don Ezio, già avanti negli anni, ebbe uno svenimento prima di celebrare Messa nella cappella di palazzo Ghini: non voleva essere trasportato in ospedale, “con la sua proverbiale grinta si arrabbiò e disse che non voleva assolutamente andarci”. Dovette cedere solo perché le ragioni terapeutiche non lasciavano alternative. 

Il “noi” di cui parla ampiamente Bisulli nel tratteggiare la vita di don Casadei, “Billy” per gli amici, è il movimento di Gioventù Studentesca, poi Comunione e Liberazione, che lui incontrò e seguì poi come educatore e responsabile a partire dal 1962 fino alla fine della sua giornata terrena.  

Colpisce, in fondo al libro - presentato il 30 maggio al Teatro Verdi di Cesena alla presenza del vescovo mons. Regattieri - il testo dell’omelia predicata da don Ezio Casadei il 24 giugno 2008 a Macerone per il 60° anniversario della sua ordinazione: “Non c’è gioia più grande di quella di poter dire: «Prendi e mangia Cristo per ristorarti, per non venir meno per via, per la strada». E ancora, dire a uno che è oppresso, come dice la colletta di questa Messa, oppresso dal peccato: «Sei perdonato. Il Signore è con te!»”. Parole semplici, immediate, comprensibili e profonde, nelle quali traspare il «genoma» del prete. Quel DNA che, secondo il Card. Caffarra, rischia una mutazione.





[Modificato da Caterina63 03/06/2017 14:45]
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