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CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (3)

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2017 14:45
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15/08/2015 22:03
 
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  OMELIA del cardinale Piacenza - IN OCCASIONE DELLA SANTA MESSA DEL 13 FEBBRAIO 2014 A MONTILLA - CORSO DI FORMAZIONE PERMANENTE PER I SACERDOTI E SEMINARISTI


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“La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1,6-7).

         Le parole dell’Apostolo Paolo, del quale, nella vita e nella predicazione, fu il ritratto, risultano particolarmente adatte a descrivere la ricchezza, anzi la pienezza di doni di San Giovanni d’Avila, che oggi, commossi, ricordiamo.

         Per volontà del Santo Padre emerito Benedetto XVI, egli è il trentaquattresimo Dottore della Chiesa ed è indicato esplicitamente come modello per tutti coloro che, chiamati a partecipare dell’unico Sacerdozio di Cristo, sono investiti della grazia del ministero.

         Potremmo definire San Giovanni d’Avila un “uomo della sintesi riuscita”, nel quale mai si scorge contraddizione tra le essenziali dimensioni teologica, spirituale e pastorale, che in lui si alimentano reciprocamente, in modo compiuto, e che - ben lo sappiamo - non sempre, purtroppo, nel nostro ministero, sono così armonicamente correlate.

         In realtà, la stima di questo grande santo risale già al Papa Paolo VI, il quale, il 1° giugno del 1970, ebbe ad affermare: “La figura di San Giovanni d’Avila emerge con una finalità, che potremmo definire quasi profetica […]. Seppe reagire, con immediata certezza di fronte ai problemi del sacerdote, sentendo la necessità di purificarsi, di riformarsi, per riprendere il cammino con nuove energie”. E rimangono scolpite nei cuori le parole dell’omelia pronunciata nella celebrazione di canonizzazione, il 31 maggio 1970, che indicano “la fermezza nella vera fede, l’amore autentico alla Chiesa, la santità del Clero, la fedeltà al Concilio [di Trento], l’imitazione di Cristo” come caratteristiche essenziali del neo Santo.

         Gli fa eco Benedetto XVI, affermando del neo-Dottore che: “dotato di ardente spirito missionario, seppe penetrare con singolare profondità i misteri della Redenzione operata da Cristo per l’umanità. Uomo di Dio univa la preghiera costante all’azione apostolica. Si dedicò all’incremento della pratica dei Sacramenti, concentrando il suo impegno nel migliorare la formazione dei candidati al Sacerdozio, dei religiosi e dei laici, in vista di una feconda riforma della Chiesa” (Omelia, 7 ottobre 2012).

         Dobbiamo riconoscere che pochi Dottori della Chiesa hanno avuto un così grande influsso nell’esistenza concreta dei fedeli ed il segreto di tale fecondità nella santità ritengo si possa individuare esattamente nella sintesi armonica che il Santo seppe vivere.

         Fu un autentico profeta nell’annunciare il Vangelo, un maestro di liturgia nella fedele celebrazione dei Divini Misteri, un vero pastore nella guida delle coscienze e nell’accoglienza dei peccatori.

         Quanti equivoci - e quanta menzogna - c’è, ogni volta che le differenti dimensioni del ministero sacerdotale vengono poste in contrapposizione! Quasi che non si possa essere dotti e profondamente vicini al popolo, caritatevoli ed intellettuali insieme, radicati nello Spirito ed attenti alla vita concreta.

         San Giovanni d’Avila ci dimostra, con la sua vita ed il suo insegnamento, che non è così, che non c’è contraddizione tra autentico esercizio della misericordia e la fedeltà dottrinale al dato rivelato, anzi, che Dio sia Misericordia è proprio il cuore del dato rivelato, una Misericordia fatta carne, che interpella quotidianamente, fino alla consumazione della storia, la nostra libertà. Una Misericordia che non si impone mai, ma, sempre, ostinatamente, si propone all’uomo, accettando umilmente anche di restare inefficace, laddove la libertà ostinatamente restasse chiusa all’accoglienza del dono.

         San Giovanni d’Avila aveva chiaro come la riforma della Chiesa, successiva al Concilio di Trento, non potesse trovare attuazione, se non attraverso la formazione del Clero. Pur nelle mutate circostanze, dobbiamo riconoscere che questo assioma è applicabile anche al nostro tempo, che domanda, proprio per la corretta e completa attuazione del Concilio Vaticano II, una rinnovata attenzione alla formazione di tutti i credenti e, in special modo, dei ministri ordinati.

         Formazione che, proprio per la frammentazione della cultura, in cui siamo immersi, domanda urgentemente allo Spirito Santo il dono della sintesi tendenzialmente compiuta di San Giovanni d’Avila. E se non tutti possono giungere alla sua preparazione teologica e sintesi dottrinale, certamente tutti possiamo domandare la sua fedeltà nella celebrazione dei Misteri sacramentali, che si esprimono nella Liturgia, e il suo zelo apostolico e missionario, che si esprimeva, innanzitutto, nella celebrazione dei Sacramenti.

         La pagina evangelica, che la Liturgia ci offre nella festa di San Giovanni d’Avila, è l’eco fedele del suo motto sintetico: “Messor eram” - “Sono stato un mietitore”. Fratelli carissimi, la messe è molta anche oggi, perché molte sono le anime assetate di Dio. Non possiamo soffermarci in una esasperata analisi sociologica, ripetendo, come un mantra, che c’è la crisi della fede, la crisi della partecipazione ecclesiale, la crisi spirituale, la crisi di qualunque aspetto della vita.

         C’è la crisi, se noi siamo in crisi!

         C’è la crisi, se gli uomini di Chiesa non hanno più chiaro che, come dice il Signore: “La messe è molta”. Perché la messe è Sua, è Lui che la fa crescere, mentre a noi, come San Giovanni d’Avila ci ricorda, è chiesto unicamente di riconoscerla e di mietere, lavorando indefessamente, spendendoci integralmente, con passione ed autentico spirito di immolazione, perché tutti possano incontrare e riconoscere il Signore.

         Scrive nella Conferenza inviata al Padre Francesco Gomez, per il Sinodo diocesano di Cordoba (1563), San Giovanni d’Avila: “Chi potrà dire la grandezza dell’onore al quale Cristo innalza il Sacerdote? Chi non donerà il suo cuore, come Simeone, tenendo Cristo nelle sue mani, guardandoLo con i suoi occhi e vedendo Cristo portato da tanto lontano, mediante la lingua, essere abbracciato e preso dentro di sè, nel proprio petto intatto? Chi volesse onorare Cristo, si ricordi di questo onore che riceve da Lui. Chi, lontano dall’altare, volesse camminare composto e con la dovuta gravità, si ricordi di quanto in alto è stato portato e quanto importante era la cosa di cui si è occupato sull’altare. Se il dominio, o la carne, o il mondo lo dovessero tentare fuori dell’altare, si ricordi di quanta considerazione, beneficio e dono ha ricevuto da Dio sull’altare, e dica, come Giuseppe: come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio(Gn 39,9)”. La memoria della grandezza del dono ricevuto è la prima fondante ragione di ogni anelito missionario e di ogni rinnovamento nella santità.

         è questo il senso dell’appello che Papa Francesco rivolge a ciascuno nella recente Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”, nella quale, al numero 3, leggiamo: “Invito ogni cristiano, in qualunque luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo”.

         L’autentico rinnovamento della Chiesa è, allora, questo “rinnovare l’incontro personale con Gesù Cristo”. Solo in questo rinnovato incontro, può fiorire quella vita nuova, nella quale e dalla quale emergono anche possibili nuove vie di evangelizzazione; vie, che non devono condurre “altrove”, ma devono, sempre e comunque, rimandare a Cristo.

         “Messor eram”. Preghiamo la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli e San Giovanni d’Avila, perché ciascuno di noi, Vescovi, sacerdoti e seminaristi, grazie all’esercizio di un fedele ministero apostolico, al termine del corso terreno dell’esistenza, possa rispondere al Signore che ci domanda chi siamo stati: “Sono stato un mietitore”.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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