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Convegno sul Vaticano II .... tanto per capirci qualcosa....

Ultimo Aggiornamento: 27/08/2015 12:54
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10/08/2015 21:15
 
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Convegno sul Vaticano II. Mons. Athanasius Schneider, Il primato del culto di Dio come fondamento di ogni vera teologia pastorale

 
Proseguiamo nell'analisi delle relazioni del Convegno di Roma sul concilio. Quella ora proposta è di Mons. Shneider, che è stata in questi giorni ripresa con ampio risalto anche da Sandro Magister , che la connota come "la richiesta di un nuovo Sillabo per il XXI secolo.

In effetti, Mons. Athanasius Schneider, dopo un lungo e articolato excursus di taglio teologico pastorale sulle "luci del Concilio" - che si collocano in quel livello, citato da Mons. Gherardini, nel quale il concilio riprende le verità già definite - ha affermato che la 'rottura' si manifesta nella svolta antropocentrica e nel campo Liturgico, mentre nella Sacrosantum Concilium non ce n'è traccia, ed è individuabile nel chiasso ermeneutico delle applicazioni contrastanti e nei gruppi eterodossi. In conclusione, egli ha invocato un "sillabo" con valore dottrinale, con completamenti e correzioni autorevoli in campo liturgico e pastorale. Ma, prima di questo, tutta la sua trattazione è una sintesi mirabile e magistrale della missione e della realtà della Chiesa, operata riprendendo e tracciando il filo conduttore fornito dai testi selezionati del Concilio stesso e dei pronunciamenti dei Papi, seguendone il filo aureo attraverso citazioni puntuali e rivelative; il che non toglie valore alla invocazione conclusiva, evidentemente mossa dagli effetti, ormai sotto gli occhi di tutti, delle applicazioni sconsiderate che hanno vanificato quel vero spirito che animava i papi del Concilio e certamente la pars maior et sanior dei Padri Conciliari.
Segue il testo della relazione:
____________________
Proposte per una corretta lettura del Concilio Vaticano IIIl primato del culto di Dio come fondamento di ogni vera teologia pastorale. Conferenza tenuta a Roma il 17 dicembre 2010. L'autore è vescovo ausiliare di Karaganda 
di Athanasius Schneider

I. Il fondamento teologico della teologia pastorale

Per parlare correttamente della teoria e della prassi pastorale è necessario prima essere consapevole del loro fondamento e del loro scopo teologico. Lo scopo della Chiesa è lo stesso scopo dell’Incarnazione: “propter nostram salutem”. Così la fede e la preghiera della Chiesa s’esprime: “Qui propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de caelis et incarnatus est et homo factus est”. Questa salvezza significa la salvezza dell’anima per la vita eterna. In ciò consiste anche la finalità di tutto l’ordinamento giuridico e pastorale della Chiesa, come ci dice l’ultimo canone del Codice del Diritto Canonico: “prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet” (can. 1752).

Il contenuto della salvezza dell’anima umana consiste nella santità, nel rinnovo e anzi nella perfezione dell’originaria dignità umana in Cristo. Dio ha creato l’uomo secondo Sua immagine e Sua somiglianza (cfr. Gen 1, 26) e quest’opera è mirabile, come dice la Chiesa nella liturgia: “Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti”. Ma ancora più mirabile è il rinnovo e il perfezionamento di questa immagine avvenuto per l’opera della redenzione: “mirabilius reformasti”. Il rinnovo, la perfezione nuova, la santità consiste nell’inimmaginabile grazia della partecipazione dell’uomo alla natura Divina stessa: “Divinitatis esse consortes”. Questa partecipazione alla natura divina significa essere figli addottivi di Dio, essere figli nell’Unico Figlio, Gesù Cristo.

Gesù Cristo, l’unico Figlio di Dio secondo la natura, si è fatto per Sua vera Incarnazione il primogenito tra molti fratelli: “primogenitus in multis fratribus” (Rm 8, 29). Per mezzo del Suo sacrificio redentore Cristo offre all’uomo la grazia della vita Divina. La stessa vita Divina nel mistero della Santissima Trinità è presente nell’umanità del Figlio di Dio: “in Ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter”, in Lui tutta la divinità abita corporalmente (Col 2, 9). Cristo incarnato è pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1, 14). Lo Spirito Santo distribuisce da questa fonte di vita Divina per mezzo della Chiesa, che è il Corpo Mistico di Cristo, nella liturgia dei sacramenti, la grazia della filiazione Divina e tutte le altre grazie di santità necessarie. Così si può meglio capire ciò che ha insegnato il Concilio Vaticano II: “Liturgia est culmen ad quod actio Ecclesiae tendit et simul fons unde omnis eius virtus emanat” (Sacrosanctum Concilium, n. 10). “La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore” (Sacrosanctum Concilium, n. 10).

II. Un vademecum pastorale del Concilio Vaticano II

Nel contesto del discorso circa il primato del culto e dell’adorazione che si devono rendere a Dio, il Concilio ci presenta nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium una solida sintesi di una sana e teologicamente valida teologia pastorale, una sorta di vademecum pastorale con le seguenti sette caratteristiche: “la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l'unico vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e cambino la loro condotta facendo penitenza [cfr. Gv 17, 3; Lc 24, 17; At 2, 38]. Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la fede e la penitenza; deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato [cfr. Mt 28, 20], ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, per manifestare attraverso queste opere che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini” (ibid., 9).

Da questa breve sintesi fornitaci dal Concilio possiamo stabilire le seguenti sette note essenziali di teoria e prassi pastorale.
  1. Il dovere di annunciare il Vangelo a tutti i non credenti (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 9)

    Tale annuncio deve essere esplicito, cioè la fede in Gesù Cristo alla quale si arriva per mezzo della grazia della conversione e della penitenza. Quindi non vi è spazio per una teoria e una prassi di cosiddetto “cristianesimo anonimo”; non c’è nessuna ammissione di vie di salvezza alternative alla via di Cristo: Cristo è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Questo è ciò che il Concilio insegna nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, dicendo: “questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza” (n. 14). Al punto n. 8 di questa stessa costituzione dogmatica, il Concilio dice: “Unicus Mediator Christus” (cfr. anche ibid., n. 28). Gli uomini salvati nell’eternità lo sono per l’accettazione nella loro vita terrena dei meriti dell’unico Mediatore Gesù Cristo (cfr. ibid., n. 49). Il Concilio Vaticano II istruisce riportando la seguente citazione del Concilio Tridentino: “per Filium eius Iesum Christum, Dominum nostrum, qui solus noster Redemptor et Salvator est” (ibid., n. 50). Nella Dichiarazione sulla libertà religiosa il Concilio insegna che ogni uomo è redento da Cristo Salvatore ed è chiamato alla filiazione Divina che può ricevere soltanto per mezzo della grazia della fede (cfr. Dignitatis humanae, n. 10).

    Papa Paolo VI nel suo discorso per l’apertura della seconda sessione del Concilio nell’anno 1963 così insegnava: “Gesù Cristo è l’unico e il sommo Maestro e Pastore, e l’unico Mediatore fra Dio e gli uomini” (Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II. Constitutiones, Decreta, Declarationes, Città del Vaticano 1966, p. 905). Lo stesso Papa ripeteva al Concilio l’anno seguente: “Gesù Cristo è l’unico Mediatore e Redentore” (ibd., p. 989). L’insegnamento del Concilio così prosegue: “E poiché chi non crede è già condannato, è evidente che le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita” (Ad gentes, n. 8). L’attività missionaria è un sacro dovere della Chiesa, poiché è la volontà di Dio stesso che ribadisce la necessità della fede in Cristo e del battesimo per la salvezza eterna (cf. ibid., n. 7).
  2. Il dovere di predicare ai fedeli la fede (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 9)

    Il compito primario della Chiesa consiste nel preoccuparsi che la fede dei fedeli cresca e sia protetta dal pericolo dell’errore: ciò significa quindi prendersi cura della purezza, della completezza e della vitalità della fede. Già nel discorso per l’apertura del Concilio Vaticano II il Beato Papa Giovanni XXIII dichiarava inequivocabilmente, in un modo ancora più efficace, come il principale dovere del Concilio fosse la protezione e la promozione della dottrina della fede: “ut sacrum christianae doctrinae depositum efficaciore ratione custodiatur atque proponatur” (loc. cit., p. 861). Il Beato Pontefice prosegue sostenendo come, nell’esercizio di questo suo dovere nel nostro tempo, la Chiesa non debba mai distogliere i propri occhi dal sacro patrimonio della verità, ricevuto dalla Tradizione. Il Concilio deve trasmettere la dottrina cattolica integra, senza diminuirla e senza distorcerla: “integram, non imminutam, non detortam tradere vult doctrinam catholicam”. Papa Giovanni molto realisticamente osserva come ciò non sia a tutti gradito. E’ quindi necessario, dice il Papa, che l’intera dottrina cristiana sia accolta nei nostri giorni da parte di tutti, e ciò senza tralasciare alcuna sua parte: “oportet ut universa doctrina christiana, nulla parte inde detracta, his temporibus nostris ob omnibus accipiatur” (ibd., 864).

    Nell’accettare e promuovere l’intera dottrina della fede deve essere seguito un modo accurato quanto alla forma e ai concetti, e ciò sull’esempio del Concilio di Trento e del Concilio Vaticano I, secondo quanto ribadisce Papa Giovanni XXIII. Nella Dichiarazione sulla libertà religiosa il Concilio ammonisce i fedeli perché “s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue” (Dignitatis humanae, n. 14). Inoltre essi hanno “il dovere grave di conoscere pienamente la verità rivelata, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza” (ibd.). Nella Costituzione pastoraleGaudium et Spes, il Concilio esorta: “Amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l'amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva” (n. 28). Papa Paolo VI nel discorso per l’apertura della seconda sessione del Concilio Vaticano II affermava: “Il fondamento del rinnovamento della Chiesa deve essere uno studio più impegnativo ed una promozione più ricca della verità Divina” (cfr. loc. cit., p. 913).

    Nel Decreto sull’apostolato dei fedeli laici il Concilio si esprime in questi termini: “In questo nostro tempo si diffondono gravissimi errori che cercano di abbattere dalle fondamenta la religione, l'ordine morale e la stessa società umana” (Apostolicam actuositatem, n. 6). Nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes il Concilio costatava come già a quel tempo si divulgassero gravi errori morali ed esortava tutti i cristiani a difendere e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro dello stato matrimoniale (cfr. n. 47). Il Concilio nello stesso documento riprova i costumi immorali in relazione al matrimonio e alla virtù della castità, dicendo che la dignità del matrimonio e della famiglia “è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare” (ibid.). Il Concilio dà un insegnamento inequivocabile sulla castità matrimoniale: “I figli della Chiesa nel regolare la procreazione non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina (cfr. Pio XI, Casti Connubii). Del resto, tutti sappiamo che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli uomini” (ibid., n. 51).

    Nel Decreto sull’attività missionaria il Concilio esorta perché sia esclusa ogni forma di indifferentismo, di sincretismo, di confusionismo (Ad Gentes, n. 15). Nella costituzioneGaudium et Spes il Concilio rigetta un umanesimo puramente terrestre e antireligioso (cfr. n. 56). Lo stesso documento conciliare parla di un umanesimo ateista che non soltanto minaccia la fede, ma persino esercita un’influenza negativa e globalizzante su tutte le sfere della vita sociale: “Moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione. A differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione o farne praticamente a meno, non è più un fatto insolito e individuale. Oggi infatti non raramente un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo. Tutto questo in molti paesi non si manifesta solo a livello filosofico, ma invade in misura notevolissima il campo delle lettere, delle arti, dell'interpretazione delle scienze umane e della storia, anzi la stessa legislazione: di qui il disorientamento di molti” (ibid., n. 7).

    Papa Paolo VI nella sua omelia in occasione dell’ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II afferma che il Concilio propone agli uomini del nostro tempo una dottrina teocentrica e teologica sulla natura umana e sul mondo (cfr. loc. cit., pp. 1064-1065). Nell’omelia tenuta nella settima sessione pubblica del Concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965, Papa Paolo VI spiega che, nonostante la generale indole pastorale del Concilio, esso intende proporre la perenne ed autentica dottrina della Chiesa, escludendo il relativismo dottrinale; il Concilio compie un’opera “che non storicizza, non relativizza alle metamorfosi della cultura profana la natura della Chiesa sempre eguale e fedele a se stessa, quale Cristo la volle e la autentica tradizione la perfezionò, ma la rende meglio idonea a svolgere nelle rinnovate condizioni dell’umana società la sua benefica missione” (loc. cit., pp. 1039-1040).

    Nel discorso tenuto il medesimo anno 1965, in occasione dell’ottava sessione pubblica del Concilio, Papa Paolo VI critica il comportamento di coloro i quali interpretano scorrettamente e abusivamente l’intenzione del Beato Papa Giovanni XXIII circa l’adattamento pastorale della Chiesa alle nuove necessità del nostro tempo (“l’aggiornamento”). Inoltre il Papa propone lo spirito del Concilio a questo riguardo e mette tutti in guardia contro il relativismo dottrinale e giuridico, affermando che Papa Giovanni XXIII “a questa programmatica parola non voleva certamente attribuire il significato che qualcuno tenta di darle, quasi essa consenta di «relativizzare» secondo lo spirito del mondo ogni cosa nella Chiesa, dogmi, leggi, strutture, tradizioni, mentre fu così vivo e fermo in lui il senso della stabilità dottrinale e strutturale della Chiesa da farne cardine del suo pensiero e della sua opera. Aggiornamento vorrà dire d’ora innanzi per noi penetrazione sapiente dello spirito del celebrato Concilio e applicazione fedele delle sue norme, felicemente e santamente emanate” (loc. cit., pp. 1053-1054). Nel testo originale latino Paolo VI non usa la parola “aggiornamento”, ma la parola “accomodatio”. La famosa espressione “aggiornamento” del Beato Giovanni XXIII è divenuta ormai leggendaria. Nella sua intenzione originale questa espressione non ha nulla a che vedere con un relativismo dottrinale, giuridico o liturgico.

    Il nuovo e benevolo atteggiamento pastorale di paziente comprensione e di dialogo con la società fuori della Chiesa, non comporta un relativismo dottrinale. Papa Paolo VI difende il Concilio da una tale possibile accusa nella citata omelia durante la settima sessione pubblica: “Questo atteggiamento... è stato fortemente e continuamente operante nel Concilio, fino al punto da suggerire ad alcuni il sospetto che un tollerante e soverchio relativismo al mondo esteriore, alla storia fuggente, alla moda culturale, ai bisogni contingenti, al pensiero altrui, abbia dominato persone ed atti del Sinodo ecumenico, a scapito della fedeltà dovuta alla tradizione e a danno dell’orientamento religioso del Concilio medesimo. Noi non crediamo che questo malanno si debba ad esso imputare nelle sue vere e profonde intenzioni e nelle sue autentiche manifestazioni” (loc. cit., p. 1067). Paolo VI difende qui soltanto le vere e profonde intenzioni e le autentiche manifestazioni del Concilio, non entrando nel merito delle persone.

    Il Concilio rigetta espressamente ogni tipo di sincretismo religioso nell’attività missionaria ed esige che le tradizioni particolari dei popoli vengano illuminate dalla luce del Vangelo, lasciando intatto il primato della cattedra di Pietro (cfr. Ad Gentes, n. 22).







 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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