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LETTERE OMELIE DISCORSI di Agostino di Ippona

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2017 21:42
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Omelia 3

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Omelia 88

Omelia 89

Omelia 90

Omelia 91

Omelia 92

Omelia 93

Omelia 94

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Omelia 96

Omelia 97

Omelia 98

Omelia 99

Omelia 100

Omelia 101

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Omelia 103

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Omelia 118

Omelia 119

Omelia 120

Omelia 121

Omelia 122

Omelia 123

Omelia 124

 

Inizio ]







LETTERA 197

Scritta alla fine del 419 o all'inizio del 420.

Agostino a Esichio, vescovo di Salona, sulle settimane di Daniele e la fine dei tempi, dimostrando che quelle riguardano la prima venuta di Cristo (nn. 1 e 5) e che la fine del mondo non può venire prima che sia predicato il Vangelo a tutte le genti (nn. 2-4).

AGOSTINO A ESICHIO BEATISSIMO SUO SIGNORE.

Le settimane di Daniele.

1. Posso finalmente rispondere alla Santità tua approfittando del ritorno di Cornuto, tuo figlio e nostro collega nel sacerdozio, latore della lettera con cui hai avuto la cortesia d'informarti presso la mia umile persona, e compio il dovere di contraccambiarti i saluti rispettosi raccomandandomi vivamente alle tue preghiere assai gradite al Signore, o beatissimo mio signore e fratello. Quanto a certe espressioni profetiche spesso ripetute, sulle quali hai desiderato che io ti scrivessi qualcosa, mi è parso più opportuno inviare alla tua Beatitudine le spiegazioni delle medesime espressioni tratte dai trattati di quel santo e dottissimo personaggio che è Girolamo, caso mai tu non le avessi. Se invece tu le avessi già e non avessero soddisfatto il tuo quesito, ti chiedo che non ti dispiaccia di farmi sapere la tua opinione a tal riguardo e in qual senso tu stesso intendi i medesimi vaticini profetici. Per conto mio penso che le settimane di cui parla Daniele bisogna intenderle riferite soprattutto al tempo passato, poiché non oso computare il tempo (che ci separa) dalla seconda venuta del Salvatore, la quale avverrà alla fine del mondo. Non penso nemmeno che alcun profeta abbia fissato in anticipo il numero degli anni che passeranno prima di detta fine, ma che abbiano molto più peso le parole del Signore: Nessuno può conoscere i tempi che il Padre ha riserbati al proprio arbitrio 1.

Ignota a tutti la fine del mondo.

2. Riguardo a ciò che dice Cristo in un altro passo, e cioè: Nessuno sa né il giorno né l'ora 2alcuni lo intendono nel senso che pensano di poter computare i tempi ma che nessuno può sapere solo il giorno e l'ora precisi. Ora, senza dire che la Sacra Scrittura usa spesso il termine " giorno " e " ora " nel senso di " tempo " in genere, nella Scrittura è detto assai chiaramente che quei tempi ci sono ignoti. Il Signore, infatti, interrogato dai suoi discepoli su tale argomento, rispose loro: Nessuno può sapere i tempi che il Padre ha riserbati al suo arbitrio 3. Ora Gesù non disse: " il giorno " o " l'ora ", ma: i tempi, termine, questo, che non suole essere usato per indicare un breve spazio di tempo come un giorno o un'ora, soprattutto se teniamo presente l'espressione della lingua greca, dalla quale sappiamo che è stato tradotto nella nostra lingua il medesimo libro dove sta scritto, sebbene la traduzione latina non lo abbia reso con sufficiente fedeltà. Nel greco infatti si legge:  i nostri invece traducono questi due termini con la parola " tempi ", sebbene essi abbiano tra di loro una notevole differenza. I Greci infatti chiamano bensì  tempi determinati, ma non quelli che passano nel volgere delle età, bensì quelli che si pensa siano relativi a circostanze opportune o inopportune per fare qualcosa, come la mietitura, la vendemmia, il caldo, il freddo, la pace, la guerra eccetera, mentre chiamano  il corso normale dei tempi.

Differenza tra  e 

3. Gli Apostoli inoltre non rivolsero certo quella domanda come se volessero sapere solo l'ultimo giorno o l'ultima ora, cioè una piccola parte del giorno, ma se era quello il tempo opportuno in cui sarebbe stato ricostituito il regno di Israele. Fu allora che sentirono rispondersi: Nessuno può conoscere i tempi che il Padre si è riserbati al proprio arbitrio; cioè i . Ora, se questi termini si traducessero in latino con tempora aut opportunitates, neppure così si renderebbe l'esatto senso di essi, poiché sono chiamati  le circostanze sia opportune che inopportune. Calcolare dunque i tempi, cioè i  per sapere quando sarà la fine del mondo e la venuta del Signore, mi pare non sia altro che voler sapere ciò che Cristo stesso ha detto che nessuno può sapere.

Il mondo finirà dopo l'annuncio del Vangelo a tutte le genti.

4. Orbene, l'opportunità di quel tempo non giungerà prima che il Vangelo sia predicato in tutto il mondo per servire di testimonianza a tutte le genti. Ciò è affermato in modo assai chiaro dal Salvatore che dice:Questo Vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo a testimonianza per tutte le genti e allora verrà la fine 4. Che cosa vuol dire: allora verrà, se non che " non verrà prima "? Noi dunque non sappiamo quanto tempo dovrà passare in seguito, ma non dobbiamo affatto dubitare che non verrà prima d'allora. Se dei servi di Dio si sobbarcassero alla fatica di percorrere tutta la terra per calcolare nel miglior modo possibile a quanti popoli non è stato ancora predicato il Vangelo, potremmo in qualche modo sapere quanto tempo ancora dovrà passare fino alla fine del mondo. Se poi a causa di regioni irraggiungibili e inabitabili non si può pensare che dei servi di Dio possano percorrere tutta la terra e riferire con esattezza quanti popoli e quanti abitanti sono ancora all'oscuro del Vangelo di Cristo, penso che sia molto meno possibile capire nelle Sacre Scritture quanto spazio di tempo ci separi ancora dalla fine del mondo, dal momento che leggiamo in esse: Nessuno può conoscere i tempi riserbati dal Padre al proprio arbitrio 5Pertanto, anche se ci fosse stato riferito con assoluta certezza che il Vangelo è predicato tra tutti i popoli, nemmeno allora potremmo dire quanto tempo resterebbe ancora prima della fine; potremmo solo dire che questa s'avvicina ormai sempre più. Ma ci si potrebbe replicare che i popoli romani e la maggior parte di quelli barbari furono evangelizzati in brevissimo tempo e che la conversione di alcuni popoli alla fede cristiana non è stata lenta, ma talmente rapida che non è incredibile possano essere evangelizzati completamente tutti i rimanenti popoli nei pochi anni, se non della nostra vita, che siamo già vecchi, almeno dei giovani destinati ad arrivare alla vecchiaia. Ma se la cosa avverrà proprio così, sarà più facile dimostrarlo con esperienza diretta quando sarà avvenuta, che scoprirlo nelle Sacre Scritture prima che avvenga.

Meglio una prudente ignoranza che una falsa scienza.

5. Mi ha costretto a dire ciò l'opinione di un tale che anche il presbitero Girolamo 6 bolla di temerarietà per avere osato spiegare le settimane di Daniele come riguardanti la seconda venuta di Cristo e non già la prima. Se per i tuoi meriti superiori Dio rivelerà o ha già rivelato qualcosa di meglio alla santa umiltà del tuo cuore, ti prego di volermelo cortesemente comunicare. Accogli inoltre questa mia risposta come quella d'una persona la quale preferirebbe sapere anziché ignorare ciò che mi hai domandato; siccome però non sono riuscito a saperlo, preferisco confessare una cauta ignoranza anziché professare una falsa scienza.




 

DISCORSO 299/A
DISCORSO SUL NATALE DEGLI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Il medesimo giorno, non il medesimo anno, il martirio degli Apostoli. La triplice domanda del Signore a Pietro.

1. Oggi è sorto il giorno natalizio dei beatissimi Apostoli Pietro e Paolo; non del natale per cui si entra in relazione con il mondo, ma di quello che libera dal mondo. In realtà, a causa della debolezza umana, l'uomo nasce per la tribolazione; per la carità di Cristo, i martiri nascono per la corona. E per loro merito, questo giorno ci è stato fissato per celebrarne la solennità e per imitarne la santità: in modo che, avendo presente il ricordo della gloria dei martiri, siamo indotti ad amare in loro quel che odiarono i loro uccisori e, resi amanti della virtù, possiamo onorarne la passione. Nella virtù è acquistato il merito, nella passione è resa la ricompensa. Unico il giorno dei due martiri, dei due Apostoli: secondo quanto abbiamo ricevuto dalla tradizione della Chiesa, subirono il martirio non in un solo giorno, ma nello stesso giorno. Oggi, per primo, lo subì Pietro, oggi, in un altro anno, lo subì Paolo: il merito rese pari la passione, la carità fu ansiosa di andare incontro a quel giorno; queste disposizioni coltivò negli Apostoli colui che viveva in loro, che in loro era tribolato, che con loro pativa, che li sosteneva combattenti, che li coronava vincitori. Ascoltiamo pertanto dal Vangelo il merito di Pietro; dalla Lettera dell'Apostolo ascoltiamo il merito di Paolo. Il Vangelo è stato appena proclamato, abbiamo ora ascoltato: Il Signore disse a Pietro: Simon Pietro, mi ami tu? Quello rispose: Ti amo, Signore. Gli disse di nuovo il Signore: Pasci le mie pecore 1Una terza volta altro non gli chiede che quanto gli aveva domandato per due volte. Al Signore importava rivolgergli una triplice domanda; dovendo rispondere una terza volta, Pietro era ormai turbato. Dice infatti il Vangelo: Pietro rimase addolorato che il Signore lo interrogasse per la terza volta e disse: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo. E il Signore: Pasci le mie pecore 2. Egli che domanda quel che sa, vuole insegnare qualcosa. Il Signore che sapeva, rivolgendo una terza volta la domanda, che volle allora insegnare a Pietro? Che pensiamo, Fratelli, se non che la carità volesse ritemprare la debolezza e Pietro potesse capire come chi aveva negato tre volte per timore era tenuto ad una triplice confessione per amore? Il merito di Pietro, aver pascolato le pecore di Dio; dall'altra parte, ascoltiamo il merito di Paolo: annunziandogli la sua futura passione, e per affrancarlo dal timore con il suo esempio, diceva al proprio discepolo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno. Lo vincolò con la sua testimonianza e soggiunse: Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna 3.

Sacrificio a Dio il martirio di Paolo. Il dolce di questa vita non è il paradiso. Dio debitore in forza della sua promessa.

2. Convinti di questo anche noi, secondo la nostra capacità, ci rendiamo opportuni per quelli che sono ben disposti e inopportuni per quelli di cattiva volontà. Si rende opportuno all'affamato chi porge il pane; si rende inopportuno al malato chi costringe a prender cibo. All'uno il cibo viene presentato, all'altro viene imposto: all'uno la refezione torna gradita, all'altro spiacevole, ma l'amore non trascura nessuno dei due. Riceviamo perciò quali esempi i meriti degli Apostoli e liberiamoci non solo dal timore delle sofferenze, ma, se sarà necessario, assoggettiamoci persino ad esse. Ascoltate quel che giunge a dire il medesimo Apostolo: Presto sarò immolato 4. L'immolazione serve al sacrificio: sapeva che la sua passione era un sacrificio a Dio. Non offerto da coloro che uccidevano, ma, ad offrire al Padre un tale sacrificio, era quel Sacerdote che aveva detto: Non temete coloro che uccidono il corpo 5Dice Paolo: È imminente l'ora della mia liberazione 6. Che dici dunque o Paolo, o infaticabile: è per il riposo che speri in quella liberazione? È imminente - dice - l'ora della mia liberazione. Che hai fatto? Che speri? Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede 7. Come ha conservato la fede se non in quanto non si è lasciato intimorire dai persecutori? Annunzia la parola in ogni occasione opportuna e non opportuna. Quanto ci è funesto allora se, presi da timore, veniamo meno alla fedeltà verso colui che ci insegna ad amare le cose migliori ed a temere quelle assai grandi! Tutto ciò che di dolce può avere questa vita non è il paradiso, non è il cielo, non è il regno di Dio, non è la società degli Angeli, non è la comunità di vita con quei cittadini della Gerusalemme celeste. Si levi il cuore al cielo e si abbia la terra sotto i piedi. Il Signore ci ha insegnato a non far conto delle cose della terra e ad amare quelle eterne. Ci ha istruiti, ci ha guariti e ci guarisce per sua degnazione: non ha trovato infatti dei sani, ma il medico viene dai malati. Il calice della passione è amaro, ma guarisce completamente ogni malattia; il calice della passione è amaro, ma per primo lo ha bevuto il medico, perché il malato non esitasse a bere. Si beva dunque questo calice, dal momento che lo ha dato chi sa cosa dare e a chi dare: se, invece, non vuole che sia bevuto, può guarire in altro modo, purché tuttavia guarisca. Quanto a noi, almeno mettiamoci sicuri nelle mani di così esperto Medico, assolutamente certi che egli non vorrà valersi di ciò che non ci giova. Il debito, infatti, che esigeva Paolo, lo richiedeva come dovuto per merito. E che merito? Ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede. Queste cose hai compiuto: che attendi? Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi renderà in quel giorno 8. Non dice 'dà', ma 'renderà': se renderà, era in debito. Ma aveva forse ricevuto un prestito da diventare debitore? Deve la corona, rende la corona, non in quanto debitore dietro un nostro prestito, ma dietro sua promessa: quando infatti ne coronava i meriti, non è che non coronava i doni suoi.


[Modificato da Caterina63 27/06/2016 18:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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