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Papa Francesco Viaggio Apostolico Cuba, America e Philadelphia 19-27 settembre 2015

Ultimo Aggiornamento: 28/09/2015 12:18
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24/09/2015 23:35
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
A CUBA, NEGLI STATI UNITI D'AMERICA 
E VISITA ALLA SEDE DELL'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE 

(19-28 SETTEMBRE 2015)

VISITA AL CENTRO CARITATIVO DELLA PARROCCHIA ST PATRICK 
E INCONTRO CON I SENZATETTO

SALUTO DEL SANTO PADRE

Washington, D.C.
Giovedì, 24 settembre 2015

[Multimedia]



 

E’ un piacere incontrarvi. Buongiorno! Ascolterete due “prediche”: una in spagnolo e l’altra in inglese!

La prima parola che voglio dirvi è “grazie”. Grazie di accogliermi e per lo sforzo che avete compiuto perché questo incontro si realizzasse.

Qui ricordo una persona che amo tanto, e che è stata molto importante nella mia vita. E’ stata sostegno e fonte di ispirazione. E’ a lui che ricorro quando sono un po’ “inguaiato”. Voi mi ricordate san Giuseppe. I vostri volti mi parlano del suo.

Nella vita di san Giuseppe ci sono state situazioni difficili da affrontare. Una di queste fu quando Maria stava per partorire, per avere Gesù. Dice la Bibbia: «Mentre si trovavano [a Betlemme], si compirono per [Maria] i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,6-7). La Bibbia è molto chiara: non c’era posto per loro nell’alloggio. Immagino Giuseppe, con la sua sposa sul punto di avere il suo figlio, senza un tetto, senza casa, senza alloggio. Il Figlio di Dio è entrato in questo mondo come un homeless. Il Figlio di Dio ha saputo che cos’è cominciare la vita senza un tetto. Possiamo immaginare le domande di Giuseppe in quel momento: Come? Il Figlio di Dio non ha un tetto per vivere? Perché siamo senza casa? Perché siamo senza un tetto? Sono domande che molti di voi possono farsi ogni giorno, e ve le fate. Come Giuseppe vi domandate: perché siamo senza un tetto, senza una casa? E a noi che abbiamo un tetto e una casa, sono domande che pure faranno bene: perché questi nostri fratelli sono senza casa, perché questi nostri fratelli non hanno un tetto?

Le domande di Giuseppe rimangono presenti oggi, accompagnando tutti coloro che nel corso della storia hanno vissuto e si trovano senza una casa.

Giuseppe era un uomo che si poneva delle domande, ma soprattutto era un uomo di fede. E’ stata la fede a permettere a Giuseppe di trovare la luce in quel momento che sembrava completamente buio; è stata la fede a sostenerlo nelle difficoltà della sua vita. Per la fede Giuseppe ha saputo andare avanti quando tutto sembrava fermarsi.

Davanti a situazioni ingiuste, dolorose, la fede ci offre quella luce che dissipa l’oscurità. Come fu per Giuseppe, la fede ci apre alla presenza silenziosa di Dio in ogni vita, in ogni persona, in ogni situazione. Egli è presente in ciascuno di voi, in ciascuno di noi.

Voglio essere molto chiaro: non c’è nessun motivo, nessun tipo di giustificazione sociale, morale, o di altro genere per accettare la mancanza di abitazione. Sono situazioni ingiuste, ma sappiamo che Dio le sta soffrendo insieme con noi, le sta vivendo al nostro fianco. Non ci lascia soli.

Gesù non solo ha voluto essere solidale con ogni persona, non solo ha voluto che nessuno senta o viva la mancanza della sua compagnia, del suo aiuto, del suo amore. Egli stesso si è identificato con tutti quelli che soffrono, che piangono, che patiscono qualche tipo di ingiustizia. Lo dice chiaramente: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

E’ la fede a dirci che Dio è con voi, che Dio è in mezzo a noi e la sua presenza ci spinge alla carità. Quella carità che nasce dalla chiamata di un Dio che non cessa di bussare alla nostra porta, la porta di tutti per invitarci all’amore, alla compassione, a donarci gli uni agli altri.

Gesù continua a bussare alle nostre porte, alla nostra vita. Non lo fa magicamente, non lo fa con trucchi o con cartelli luminosi o con fuochi d’artificio. Gesù continua a bussare alla nostra porta nel volto del fratello, nel volte del vicino, nel volto di chi ci sta accanto.

Cari amici, uno dei modi più efficaci che abbiamo per aiutare lo troviamo nella preghiera. La preghiera ci unisce, ci fa fratelli, ci apre il cuore e ci ricorda una verità bella che a volte dimentichiamo. Nella preghiera, tutti impariamo a dire Padre, Papà, e quando diciamo Padre, Papà, ci ritroviamo come fratelli. Nella preghiera non ci sono ricchi o poveri, ci sono figli e fratelli. Nella preghiera non ci sono persone di prima o di seconda classe, c’è fraternità.

Nella preghiera il nostro cuore trova forza per non diventare insensibile, freddo davanti alle situazioni di ingiustizia. Nella preghiera Dio continua a chiamarci e a spingerci alla carità.

Come ci fa bene pregare insieme; come ci fa bene incontrarci in quello spazio dove ci guardiamo come fratelli e ci riconosciamo bisognosi dell’appoggio gli uni degli altri. E oggi voglio pregare con voi, voglio unirmi a voi perché ho bisogno del vostro appoggio e della vostra vicinanza. Voglio invitarvi a pregare insieme, gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Così possiamo portare avanti questo sostegno che ci aiuta a vivere la gioia che Gesù è in mezzo a noi. E che Gesù ci aiuti a risolvere le ingiustizie che Lui ha conosciuto per primo. Ve la sentite di pregare insieme? Io comincio in spagnolo e voi continuate in inglese.

Padre nostro…

E prima di lasciarvi, mi piacerebbe darvi la benedizione di Dio:

Il Signore vi benedica e vi protegga;
il Signore vi guardi con benevolenza e vi mostri la sua bontà;
il Signore vi guardi con amore e vi conceda la sua pace
 (cfr Nm 6,24-26).

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!






VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
A CUBA, NEGLI STATI UNITI D'AMERICA 
E VISITA ALLA SEDE DELL'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE 

(19-28 SETTEMBRE 2015)

VESPRI CON IL CLERO, RELIGIOSI E RELIGIOSE

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cattedrale di S. Patrizio, New York
Giovedì, 24 settembre 2015

[Multimedia]



 

Due sentimenti sento oggi nei confronti dei miei fratelli islamici. Il primo, il mio saluto perché si celebra oggi il giorno del sacrificio. Avrei voluto che il mio saluto fosse più caloroso. E il secondo sentimento è la vicinanza davanti alla tragedia che il loro popolo ha sofferto oggi a La Mecca. In questo momento di preghiera mi unico, ci uniamo nell’invocazione a Dio, nostro Padre onnipotente e misericordioso.

Ascoltiamo l’Apostolo: «Siete ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove» (1 Pt 1,6). Queste parole ci ricordano qualcosa di essenziale: la nostra vocazione è da vivere nella gioia.

Questa bella cattedrale di san Patrizio, costruita in molti anni con il sacrificio di tanti uomini e donne, può essere un simbolo dell’opera di generazioni di sacerdoti, di religiosi e di laici americani che hanno contribuito all’edificazione della Chiesa negli Stati Uniti. Sono molti i sacerdoti e consacrati di questo Paese che, non solo nel campo dell’educazione, hanno avuto un ruolo centrale nell’aiutare i genitori a dare ai propri figli il cibo che li nutre per la vita! Molti lo fecero a costo di sacrifici straordinari e con carità eroica. Penso, ad esempio, a santa Elisabetta Anna Seton, che fondò la prima scuola cattolica gratuita per ragazze in America, o a san Giovanni Neumann, fondatore del primo sistema di educazione cattolica in questo Paese.

Questa sera, cari fratelli e sorelle, sono venuto a pregare con voi, sacerdoti, consacrate, consacrati, perché la nostra vocazione continui a costruire il grande edificio del Regno di Dio in questo Paese. So che voi, come corpo sacerdotale, di fronte al popolo di Dio, avete sofferto molto nel non lontano passato sopportando la vergogna a causa di tanti fratelli che hanno ferito e scandalizzato la Chiesa nei suoi figli più indifesi… Come nell’Apocalisse, vi dico che voi “venite dalla grande tribolazione” (cfr 7,14). Vi accompagno in questo momento di dolore e difficoltà; come pure ringrazio Dio per il servizio che realizzate accompagnando il popolo di Dio. Allo scopo di aiutarvi a seguire nel cammino della fedeltà a Gesù Cristo, mi permetto di fare due brevi riflessioni.

La prima riguarda lo spirito di gratitudine. La gioia di uomini e donne che amano Dio attrae altri ad essi; sacerdoti e consacrati chiamati a trovare e irradiare una permanente soddisfazione per la loro chiamata. La gioia sgorga da un cuore grato. E’ vero: abbiamo ricevuto molto, tante grazie, tante benedizioni, e ce ne rallegriamo. Ci farà bene ripercorrere la nostra vita con la grazia della memoria. Memoria di quella prima chiamata, memoria del cammino percorso, memoria di tante grazie ricevute…, e soprattutto memoria dell’incontro con Gesù Cristo in tanti momenti lungo il cammino. Memoria dello stupore che produce nel nostro cuore l’incontro con Gesù Cristo. Sorelle e fratelli, consacrati e consacrate, chiedere la grazia della memoria per far crescere lo spirito di gratitudine. Chiediamoci: siamo capaci di enumerare le benedizioni ricevute, o ce le siamo dimenticate?

Un secondo ambito è lo spirito di laboriosità. Un cuore grato è spontaneamente sospinto a servire il Signore e a intraprendere uno stile di vita operoso. Nel momento in cui ci rendiamo conto di quanto Dio ci ha dato, il cammino della rinuncia a se stessi per lavorare per Lui e per gli altri diventa una via privilegiata per rispondere al suo grande amore.

E però, se siamo onesti, sappiamo quanto facilmente questo spirito di generoso lavoro e sacrificio personale può essere soffocato. Vi sono due modi perché ciò possa accadere e ambedue sono esempio della “spiritualità mondana”, che ci indebolisce nel nostro cammino di uomini e donne consacrati, e oscura il fascino, lo stupore del primo incontro con Gesù Cristo.

Possiamo essere intrappolati nel misurare il valore dei nostri sforzi apostolici dal criterio dell’efficienza, della funzionalità e del successo esterno che governa il mondo degli affari. Non che queste cose non siano importanti! Ci è stata affidata una grande responsabilità e giustamente il Popolo di Dio si aspetta delle verifiche. Ma il vero valore del nostro apostolato viene misurato dal valore che esso ha agli occhi di Dio. Vedere e valutare le cose dalla prospettiva di Dio ci richiama ad una costante conversione al primo tempo della chiamata e, non c’è bisogno di dirlo, esige una grande umiltà. La croce ci mostra un modo diverso nel misurare il successo: a noi spetta seminare, e Dio vede i frutti delle nostre fatiche. Se talvolta le nostre fatiche e il nostro lavoro sembrano infrangersi e non portare frutto, noi seguiamo Gesù Cristo…; e la sua vita, umanamente parlando, si concluse con un fallimento: il fallimento della croce.

L’altro pericolo emerge quando diventiamo gelosi del nostro tempo libero, quando pensiamo che circondarci di confort mondani ci aiuterà a servire meglio. Il problema di questo modo di ragionare è che può offuscare la potenza della quotidiana chiamata di Dio alla conversione, all’incontro con Lui. Pian piano ma sicuramente diminuisce il nostro spirito di sacrificio, il nostro spirito di rinuncia e di laboriosità. E pure allontana la gente che sta soffrendo per la povertà materiale ed è costretta a fare sacrifici più grandi dei nostri, senza essere consacrati. Il riposo è una necessità, come lo sono i momenti di tempo libero e di ricarica personale, ma dobbiamo imparare come riposare in maniera che approfondisca il nostro desiderio di servire in modo generoso. La vicinanza ai poveri, ai rifugiati, ai migranti, agli malati, agli sfruttati, agli anziani che soffrono la solitudine, ai carcerati e a tanti altri poveri di Dio ci insegnerà un altro tipo di riposo, più cristiano e generoso.

Gratitudine e laboriosità: questi sono i due pilastri della vita spirituale che desideravo condividere questa sera con voi, sacerdoti, consacrate e consacrati. Vi ringrazio per le preghiere, per le attività e per i sacrifici quotidiani che svolgete nei diversi campi del vostro apostolato. Molti di questi sono conosciuti solo da Dio, ma recano molto frutto alla vita della Chiesa.

Vorrei, in modo speciale, esprimere la mia ammirazione e la mia gratitudine alle Religiose degli Stati Uniti. Che cosa sarebbe questa Chiesa senza di voi? Donne forti, lottatrici; con quello spirito di coraggio che vi pone in prima linea nell’annuncio del Vangelo. A voi, Religiose, sorelle e madri di questo popolo, voglio dire “grazie”, un “grazie” grandissimo… e dirvi anche che vi voglio molto bene.

So che molti di voi stanno affrontando le sfide dell’adattamento in un panorama pastorale in evoluzione. Come san Pietro, vi chiedo che, davanti a qualsiasi prova che dovete affrontare, non perdiate la pace, e di rispondere come fece Cristo: ringraziò il Padre, prese la sua croce e guardò avanti.

Cari fratelli e sorelle, tra poco, tra qualche minuto, canteremo il Magnificat. Mettiamo nelle mani della Madonna l’opera che ci è stata affidata; uniamoci a Lei nel ringraziare il Signore per le grandi cose che ha fatto e per le grandi cose che continuerà a fare in noi e in quanti abbiamo il privilegio di servire. Così sia.





[Modificato da Caterina63 25/09/2015 09:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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