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LE BUFALE contro la Chiesa e il Papa.......

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2015 15:19
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13/09/2015 23:41
 
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  facciamo notare come anche questa BUFALA ha superato i SEIMILA "MI PIACE" su FB eppure che era una bufala si capiva al volo.... ma la gente ama la menzogna... chissà perchè 

con questo thread apriamo una nuova sezione dedicata allo smantellamento delle bugie che corrono in rete..... per la prima bufala cliccate qui......

si accusa il cardinale Re di aver detto che lo stupro è un reato minore dell'aborto..... non è propriamente così, il cardinale non ha mai fatto l'accostamento fra i due reati gravi..... clicca qui......


.......

















[Modificato da Caterina63 13/09/2015 23:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Parola di Papa/1 - da IlTimone




 


Francesco piace a tutti! Un caso forse unico nella storia della Chiesa. Ma sorge il sospetto che ciò accada perché vengono taciute o manipolate molte sue affermazioni scomode. Vediamone alcune tra le più significative 



È passato un anno dai primi, sorprendenti passi di Papa Francesco: «E adesso, incominciamo questo cammino », diceva, appena eletto, la sera del 13 marzo 2013. «Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia». Non è più uno sconosciuto. Ci siamo abituati al suo sorriso, al tratto cortese e gioviale, alla sua semplicità e sobrietà, all’instancabile capacità di accoglienza. Ma il Pontefice che i «fratelli cardinali » sono andati a prendere «quasi alla fine del mondo» non è solo questo. Sarebbe riduttivo. Invece, purtroppo, è questa l’immagine che dall’inizio del pontificato vogliono imporci i mass media e i poteri forti che li governano. Bergoglio è anche altro, anzi: è molto di più. Tanti suoi interventi, di una chiarezza esemplare, su argomenti forti come l’esistenza del peccato e la necessità di confessarsi, l’azione del diavolo, la devozione popolare e in particolare quella mariana, come pure sui temi etici e la difesa della famiglia [vedi la seconda parte del dossier], sono stati celati al grande pubblico o “addomesticati”. Si tratta quindi di riscoprire il volto “nascosto” di un Papa che, aldilà delle battute e della giovialità, ci rimanda alla sequela di Cristo e ci insegna come essere cristiani che fanno sul serio. 

Abbiamo perso il “senso del peccato” 

«Tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». Questa è una delle tipiche frasi di Bergoglio - pronunciata nell’omelia in Santa Marta il 29 aprile 2013 - che piacciono ai mass media, perché simpatica. Una battuta scherzosa, che si riferisce all’atteggiamento psicologico di quei cattolici che si accostano al confessionale in modo sbagliato. Ma la riflessione di Papa Francesco sul tema è stata sempre più ampia e profonda di una semplice battuta, correndo sul filo di termini come peccato, colpa, pentimento, confessione, misericordia e perdono, che non vanno più di moda. Il Papa parte dal fatto che siamo tutti peccatori (nessuno escluso), come ricorda nell’udienza generale del 2 ottobre 2013, festa degli Angeli Custodi: «Qualcuno di voi è qui senza i propri peccati? Qualcuno di voi? Nessuno, nessuno di noi. Tutti portiamo con noi i nostri peccati». Nella stessa occasione ha aggiunto: «La Chiesa, che è santa, non rifiuta i peccatori […] è aperta anche ai più lontani, chiama tutti a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal perdono del Padre ». Più di recente, all’omelia in Santa Marta del 31 gennaio 2014, ha puntato il dito su un mondo che sta perdendo il senso del peccato, ricordando la vicenda del re Davide, che si invaghisce di Betsabea e manda apposta il marito di lei, il generale Uria, in prima linea causandone la morte: «Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, è derubricato a “problema da risolvere”.… Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato». Nel contesto culturale odierno, che esclude la dimensione del “peccato”, dell’offesa fatta a Dio disobbedendo alla sua legge, le parole di Francesco evidentemente non piacciono. All’obiezione moralistica «ma i cristiani sono i primi a sbagliare e a peccare», il Papa risponde nell’udienza generale del 29 maggio 2013: «…la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati; anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona». Ecco il punto: Dio perdona sempre. La società in cui viviamo no. Noi no. 

«Chi sono io per giudicare»? 

Non “perdoniamo” il politico che ruba, l’imprenditore che non paga le tasse, il marito che tradisce, il calciatore che non segna, e così via. Viene in mente il celebre film della premiata coppia Bud Spencer-Terence Hill, Dio perdona… io no!, girato nel 1967. Ma quella stessa società che non perdona, travisando con disinvoltura parole dette da Bergoglio, si considera assolta a buon mercato dalle proprie derive nichiliste-edoniste (godiamoci il nulla). Addirittura si sente quasi “benedetta” da interventi papali considerati, a torto, assolutori. La famosa frase «Chi sono io per giudicare un gay?» è diventata, in maniera emblematica, una sorta di mantra per mettersi la coscienza a posto per tutte le associazioni gay e omosessualiste del pianeta, salvo il fatto che è sempre censurata la frase nella sua completezza («Se una persona è gay, cerca il Signore ed ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla»?), laddove è chiaro che se un gay «cerca il Signore» qualche domanda sulla sua (spesso presunta) identità sessuale se la dovrà pur porre… 

Non stanchiamoci di chiedere perdono 

L’ineffabile grande vecchio del laicismo nostrano Eugenio Scalfari (che non deve aver imparato granché dall’incontro con Francesco) è giunto a scrivere che Bergoglio avrebbe sostenuto che il peccato non esiste (subito smentito dalla Sala Stampa vaticana)! Ma il percorso di Francesco è chiaro. Sin dai primi giorni di pontificato, quando nell’omelia della Messa a Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013, ha sostenuto con forza: «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono ». E ancora, nell’omelia della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, il 24 marzo 2013: «Perché Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo?». Perché «ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima ». Insomma, Dio ci dà sempre una possibilità. Nel tweet del 18 novembre 2013, Bergoglio coglie la dinamica della confessione: «Confessare i nostri peccati ci costa un po’, ma ci porta la pace. Noi siamo peccatori, e abbiamo bisogno del perdono di Dio». 
Esattamente il contrario della logica mondana, in cui chi “pecca” è sempre l’altro, e nessuno sente mai la necessità di chiedere perdono a Dio. E non solo: peccato, confessione e perdono sono termini che anche in casa di molti credenti hanno perso di “attualità”. Non è così per Papa Francesco. 

Gesù non vuole nulla in cambio 

Come fa Gesù ad essere così buono, misericordioso e accogliente con noi? Nell’omelia già citata della Domenica delle Palme, il 24 marzo 2013, Francesco spiega che «Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle… prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia». Esemplare, nella prima udienza generale del 27 marzo 2013, il paragone con il buon samaritano del Vangelo: «Dio pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo o guardando dall’altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era povero: non domanda niente. […] Va in suo aiuto». 
È precisamente la logica cristiana della gratuità, oggi così rara, spesso irrisa. Infatti, l’uomo mondano pretende il via libera ai propri progetti, desideri, voglie, si fa padrone della propria vita senza riconoscersi creatura. Al contrario, il perdono e la misericordia di Dio ci fanno riscoprire di essere suoi figli, partecipi della vita di Cristo. Francesco lo dice all’udienza generale del 10 aprile 2013: «Essere cristiani […] vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato». 

Il diavolo esiste e va combattuto 
Sappiamo che illustri teologi, più o meno famosi e acclamati, negano l’esistenza del diavolo. Nel magistero di Francesco il riconoscimento dell’esistenza del demonio e l’invito alla lotta per sconfiggerlo sono punti fermi. Il giorno dopo l’elezione, il 14 marzo 2013, nell’omelia della Messa pro Ecclesia celebrata con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, viene allo scoperto: «Quando non si confessa Gesù Cristo – mi sovviene la frase di Léon Bloy, “Chi non prega il Signore, prega il diavolo” – quando non si confessa Gesù Cristo si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio». Nella stessa omelia precisa: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Per Francesco, il demonio opera anche così: «La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti». 
Chiaro, no? Ma quanti ancora insistono a considerare appunto la Chiesa una ONG? Senza sapere che questa insistenza è farina del diavolo… 

Dio è più forte del male 
La maggiore astuzia del maligno è far credere di non esistere. La mentalità oggi dominante, che si sta impadronendo dell’intelligenza e del cuore delle vecchie e nuove generazioni, ritiene che tutto sia lecito e il male di fatto non c’è; o, meglio, la nozione di male muta a seconda delle circostanze e convenienze. Papa Francesco, nell’udienza generale del 12 giugno 2013, avverte: «Attorno a noi, basta aprire un giornale, [...] vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce». La seconda astuzia del Diavolo è spingerci all’impotenza, perché tanto non c’è niente da fare. Invece, «non dobbiamo credere al maligno che dice che non possiamo fare nulla contro la violenza, l’ingiustizia, il peccato » (tweet del 24 marzo 2013), perché Dio è più forte, il sacrificio di Cristo sulla croce ha vinto il male. Ancora all’udienza del 12 giugno 2013: «Vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l’unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita». Ai giovani dell’Umbria, il 4 ottobre 2013, ricordando San Francesco: «Dio è più grande del male. Dio è amore infinito, misericordia senza limiti, e questo Amore ha vinto il male alla radice nella morte e risurrezione di Cristo». E ancora: «L’unica guerra che tutti dobbiamo combattere è quella contro il male» (tweet del 10 settembre 2013). Non esiste il male, e se esiste non possiamo farci niente? No. Papa Francesco non perde occasione per convincerci del contrario. 

Non c’è un cristianesimo “low cost” 

Più volte, Papa Bergoglio ha “chiamato alle armi” contro il male e le insidie del Nemico. Una battaglia che ogni giorno dovremmo rinnovare e fare nostra. Invece siamo tiepidi e ci perdiamo in mille faccende secondarie, vittime anche noi della mentalità dominante. Al Regina Coeli del 1° aprile 2013 Francesco ci sprona: «Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società». Che differenza c’è tra chi segue le seduzioni del maligno, è soggiogato dal male al punto di non riconoscerlo e chi invece segue la logica dell’amore insegnata da Cristo, lo annunzia, lo testimonia? «La logica mondana ci spinge verso il successo, il dominio, il denaro; la logica di Dio verso l’umiltà, il servizio, l’amore», spiega Francesco in un tweet del 2 giugno 2013. Ma seguire Cristo, proclamarlo, non è come bere un bicchier d’acqua. Non basta essere buoni e generosi: «Non esiste un cristianesimo “low cost”. Seguire Gesù vuol dire andare controcorrente, rinunciando al male e all’egoismo», scrive in un tweet del 5 settembre 2013. C’è un cammino faticoso da compiere, ci sono una maturazione e una crescita che esigono tempo, pazienza. Non è tutto facile, immediato, senza fatica. Perché (omelia in Santa Marta del 12 aprile 2013) «il Signore ci insegna che nella vita non è tutto magico […], il trionfalismo non è cristiano». 

Fede semplice e devozione a Maria 

La devozione popolare-mariana è la bestia nera dei “cristiani adulti” di tutte le latitudini, compresi tanti Pastori che mal sopportano la fede innata e genuina, essenziale, dei propri fedeli. Papa Francesco ha messo le cose in chiaro con il celebre riferimento alla nonna paterna, più volte richiamato. Per esempio, alla veglia di Pentecoste con i movimenti e le associazioni, il 18 maggio 2013, ha affermato: «Ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il “Cristo giacente”, e la nonna ci faceva – a noi bambini – inginocchiare e ci diceva: “Guardate, è morto, ma domani risuscita”. Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna!». E in un’altra occasione, all’udienza generale del 1° maggio 2013, a confermare che la fede si trasmette innanzitutto in famiglia, afferma: «Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati a iniziare e terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano». 
Un richiamo alla famiglia che non può non infastidire chi oggi si è posto come obiettivo proprio la distruzione della famiglia. Significativa, nella visione di Bergoglio, la centralità della “casa”. Durante la visita alla Casa di accoglienza “Dono di Maria”, in Vaticano, il 21 maggio 2013, si affida a queste parole: «“Casa” è una parola dal sapore tipicamente familiare, che richiama il calore, l’affetto, l’amore che si possono sperimentare in una famiglia. La “casa” allora rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, la “casa” è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore». Purtroppo, la casa oggi sembra invece ridotta a un albergo (per tanti ragazzi e giovani), oppure considerata solo una realtà da tartassare (per i governi). 

La preghiera e la morte 
Papa Francesco, nella sua predicazione ricca e piena di attrattiva per i vicini e i lontani, non ha mai mancato di mettere in luce aspetti consueti e tradizionali della fede, che tendiamo a dimenticare, vittime di una concezione del cristianesimo come puro impegno sociale-umanitario. Ecco alcuni esempi. Scrive il Papa in un tweet del 1° ottobre 2013: «Preghiamo veramente? Senza un rapporto costante con Dio, è difficile avere una vita cristiana autentica e coerente». E in un tweet del 3 maggio 2013 ricorda che la preghiera comune tiene desta la fede: «Sarebbe bello, nel mese di maggio, recitare assieme in famiglia il Santo Rosario. La preghiera rende ancora più salda la vita familiare». Un Pontefice che richiama il valore della preghiera mariana tra le mura domestiche non può non far venire il mal di pancia a coloro che, nella Chiesa, hanno messo nel cassetto da tempo il rosario, sostituendolo con la lotta sociale. 
All’udienza generale del 27 novembre 2013, nel mese della commemorazione dei defunti, il Papa svolge una riflessione articolata sul tema della morte, la grande “emarginata” della società contemporanea, rispetto alla quale l’uomo “sazio e soddisfatto” rimane senza parole: «Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva». E aggiunge: «Anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito». Come fare? «Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte». 

Che cosa ci insegnano i Santi 

Il richiamo alla santità, e l’invito a seguire la vita e l’esempio dei Santi è costante nell’insegnamento di Francesco. In un mondo dove gli “esempi da seguire” sono gli idoli del rock o le star televisive, Bergoglio ricorda, innanzitutto ai credenti, che siamo tutti invitati alla santità: non è una condizione per pochi privilegiati. E il Santo è qualcosa di ben diverso da quel che pensiamo. Al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, il 17 giugno 2013: «Per diventare Santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da immaginetta! No, no, non è necessario questo! Una sola cosa è necessaria per diventare Santi: accogliere la grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore». Essere Santi non significa quindi compiere gesti eroici, fare miracoli, abbondare in opere pie. In un tweet del 7 novembre 2013 descrive le caratteristiche di un Santo: «I Santi sono persone che appartengono pienamente a Dio. Non hanno paura di essere derisi, incompresi o emarginati». In un altro tweet, del 19 novembre successivo, aggiunge: «I Santi non sono superuomini. Sono persone che hanno l’amore di Dio nel cuore, e trasmettono questa gioia agli altri». Del tutto particolare la devozione per San Giuseppe. In un tweet dell’1 maggio 2013, festa di San Giuseppe Lavoratore (prima ancora che festa dei sindacati e delle bandiere rosse!), scrive: «Cari giovani, imparate da San Giuseppe, che ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia, e ha saputo superarli». 

La Madonna va controcorrente 
Vasto e variegato il capitolo della devozione mariana, che caratterizza – quasi ogni giorno – il pontificato di Francesco. A cominciare da quella devozione alla “Madonna che scioglie i nodi”, appresa in Germania e popolare nella sua Argentina, che sta dilagando anche da noi. Durante la preghiera mariana del 12 ottobre 2013 spiega che «Maria […] è la madre che con pazienza e tenerezza ci porta a Dio perché Egli sciolga i nodi della nostra anima con la sua misericordia di Padre… Tutti i nodi del cuore, tutti i nodi della coscienza possono essere sciolti». E conclude con un interrogativo: «Chiedo a Maria che mi aiuti ad avere fiducia nella misericordia di Dio, per scioglierli, per cambiare?». 
Difficile dar conto degli innumerevoli riferimenti a Maria nel magistero di Francesco. Eccone un florilegio. «Nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna» (omelia in Santa Marta, 15 aprile 2013). «La Madonna custodisce la nostra salute […] ci aiuta a crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi» (Rosario in Santa Maria Maggiore, 4 maggio 2013). «Chiediamo alla Vergine Maria che ci insegni a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno, e a dare più spazio al Signore» (tweet del 9 maggio 2013). «Occorre imparare da Maria; rivivere la sua disponibilità totale a ricevere Cristo nella sua vita» (tweet del 18 maggio 2013). «Maria ci accompagna, lotta con noi, sostiene i cristiani nel combattimento contro le forze del male» (messa per l’Assunta, 15 agosto 2013). «Nel cammino, spesso difficile, non siamo soli, siamo in tanti, siamo un popolo, e lo sguardo della Madonna ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno» (al Santuario di Bonaria, Cagliari, 22 settembre 2013). Nella celebrazione in Piazza San Pietro del 31 maggio 2013, che conclude il mese mariano, sostiene con forza che la Madonna costituisce l’esempio più autentico ed esemplare di cosa significhi seguire Cristo, acquisendo una mentalità nuova: «Maria nell’Annunciazione, nella Visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente, Maria va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze».   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/09/2015 13:45
 
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  Parola di Papa/2

Per alcuni, la predicazione di Papa Francesco sorvolerebbe su certi temi spinosi. Dittatura del relativismo, unicità della Chiesa, vita e famiglia. Non è vero! Ecco perché… 



Il Papa ha perfettamente ragione quando dice che l’annuncio cristiano deve partire dal positivo e dalla bellezza del cristianesimo e insistere su questi aspetti (chi scrive ha cercato in vari lavori o articoli di mostrare che questa è anche l’impostazione di san Tommaso e di Benedetto XVI). Come ha scritto nella Evangelii gaudium: «Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove». E, poiché «noi non amiamo se non ciò che è bello», è indispensabile insistere sul «Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza» in modo che Egli risalti come «sommamente amabile». 
Ma questo non significa che egli abbia rinunciato a dire talvolta cose scomode e a ribadire alcune norme morali e alcune condanne, che però i mass media hanno molto spesso taciuto. 
Vediamone di seguito alcune, seguendo un criterio per lo più cronologico, senza alcuna pretesa di esaustività e fermandoci al 30 gennaio 2014, giorno in cui questo articolo viene inviato per la pubblicazione. 

Relativismo 
Ad esempio, la cultura contemporanea è fortemente impregnata di relativismo che, nella sua accezione più diffusa (non l’unica), afferma l’inconoscibilità della verità e accusa di intolleranza chi, come la Chiesa, afferma che l’uomo può conoscerla, non totalmente e definitivamente, ma almeno riguardo ad alcune questioni fondamentali, come l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, la malvagità intrinseca di alcune azioni, ecc. 
Già il 22 marzo 2013, nove giorni dopo l’elezione, Papa Bergoglio ha detto che non c’è solo la povertà materiale: «c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto […] il caro e venerato Benedetto XVI chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini». Papa Ratzinger ha infatti più volte spiegato che il relativismo, non di rado, squalifica in modo aggressivo le persone che sostengono concezioni diverse e inoltre trasforma il desiderio in diritto (ad esempio, se non si può conoscere la verità sull’embrione umano, allora il mio desiderio di abortire diventa insindacabile). È così anche per Bergoglio: «non vi è vera pace senza verità […] se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto». 

Nell’enciclica Lumen fidei del 29 giugno 2013, il Papa ha di nuovo menzionato il «relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più», e che impedisce di trovare quella «origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune», cioè ricavare molti criteri per un mondo giusto. 

Ma già il 12 aprile 2013, il Papa aveva bacchettato tutti quei teologi e biblisti che producono un relativismo interpretativo nell’esegesi della Bibbia, ritenendosi autonomi dal Magistero e dalla Tradizione della Chiesa: «l’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa». Ne consegue «l’insufficienza di ogni interpretazione soggettiva» e «occorre collocarsi nella corrente della grande Tradizione » e «sotto […] la guida del Magistero». Sacra Scrittura e Tradizione «devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza». Nella Evangelii gaudium del 24 novembre il Papa è tornato in vari punti sul relativismo. Per esempio, dicendo che il processo di secolarizzazione, che «tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo», con la sua negazione di Dio, «ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato»: dunque il relativismo «non danneggia solo la Chiesa, ma la vita sociale in genere». 

Piuttosto, necessariamente, «la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti», ancor più imprescindibili «in una società […] che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti [relativisticamente] allo stesso livello, e finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali». 

Il 29 novembre 2013, Bergoglio ha criticato una denominazione del relativismo, il cosiddetto «pensiero debole», che interdice le domande sul senso della vita, sul bene/male, su Dio e ha spiegato che esso ci illude di poterci costruire una visione del mondo a nostro piacimento, «un pensiero prêt-à-porter», ma in realtà ci rende vittime della manipolazione dei mass media, ci rende vittime dello «spirito del mondo», e «quello che lo spirito del mondo non vuole è questo che [invece] Gesù ci chiede: il pensiero libero». Perciò dobbiamo pregare affinché «non abbiamo un pensiero debole », bensì «un pensiero secondo Dio». 
Pochi giorni prima, il 18 novembre, a Santa Marta, Francesco aveva duramente attaccato quel «progressismo adolescenziale» che è disposto a sottomettersi alla «uniformità egemonica» del «pensiero unico frutto della mondanità». 

Apostolato e unicità salvifica di Cristo e della Chiesa 

Il 22 aprile 2013, in un’omelia, il Papa ha precisato che l’unico salvatore è Cristo: «C’è solo una porta per entrare nel Regno di Dio. E quella porta è Gesù», dunque, «tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi». 
Il giorno dopo, 23 aprile, ha aggiunto che «è una dicotomia assurda voler vivere con Gesù senza la Chiesa» e che «trovare Gesù [l’unico Salvatore, come spiegato il giorno prima] fuori della Chiesa non è possibile». Se ne deduce che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza (può salvarsi anche chi non ha conosciuto la Chiesa, ma sempre per una certa mediazione, per lui inconsapevole, della Chiesa, che qui non possiamo spiegare). Per aver detto le stesse cose, la Dominus Jesus, scritta da Joseph Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II, fu ferocemente criticata da molti (persino all’interno della Chiesa…) che asseriscono l’esistenza di diverse vie salvifiche, che Cristo non è l’unico redentore del mondo e che la Chiesa non è l’unica mediatrice. 

Il 28 novembre 2013 Bergoglio ha anche attaccato un’erronea e relativistica concezione del dialogo tra culture e religioni: «Dialogare non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana». Anzi, rispetto a chi dice che non bisogna cercare di convertire i credenti delle altre religioni, Bergoglio ha spiegato più volte che l’evangelizzazione non è «proselitismo», un termine che nel Magistero recente designa costrizioni, ricatti, baratti (“se ti converti io ti do…”), però certamente richiede non solo di testimoniare Cristo con la propria vita, ma anche di annunciarlo instancabilmente. Ora, «un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede […] non sarebbe certamente una relazione autentica ». Del resto, «come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?». 

Nella Evangelii gaudium del 24 novembre, Papa Bergoglio ha deplorato che, purtroppo, molti credenti «sviluppano una sorta di complesso di inferiorità» e cadono «in una specie di ossessione», finendo «per essere come tutti gli altri ». Tuttavia, bisogna «mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa», ovviamente «aperti a comprendere quelle dell’altro». Occultare la propria identità cristiana all’altro significa «negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente». 

Ed ha insistito: «l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato». Non è una mera scelta, bensì un dovere: «i cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno». Ognuno di noi deve dire a se stesso: «La missione» non è «un momento tra i tanti dell’esistenza», cioè «io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo». 

Difesa della vita innocente 

Anche per quanto riguarda la protezione dell’essere umano innocente, per esempio quello che vive nel grembo materno (50 milioni di aborti all’anno!), Bergoglio ha detto cose scomode, che quasi tutti i media hanno nascosto. 
Per esempio, il 15 giugno 2013, in una lettera pubblica indirizzata ai leader del G8, ha sottolineato che le leggi «devono essere guidate dall’etica della verità, che comprende, innanzitutto, il rispetto della verità sull’uomo, il quale non è […] scartabile […], a cominciare dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo della loro madre». 
Il 16 giugno il Papa ha detto che, «spesso», l’uomo «si lascia guidare da ideologie e logiche che mettono ostacoli alla vita, che non la rispettano, perché sono dettate dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore». Per questo, ha aggiunto, dobbiamo rivolgerci alla Madonna «affidando ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata, alla sua materna protezione». 

Il 12 agosto ha insistito: «di fronte alla cultura dello scarto, che relativizza il valore della vita umana, i genitori sono chiamati a trasmettere ai loro figli la consapevolezza che essa deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio». 

Il 20 settembre 2013 il Papa ha spiegato quanto sia assurdo che, oggigiorno, «mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti [per esempio, esplicitiamo noi, il diritto di abortire, o di sposarsi anche tra persone dello stesso sesso], non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo». 

I destinatari di questo discorso, che vale per chiunque, erano soprattutto i medici e «il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita», in contrasto con una «“cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti» e che «ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli»: per esempio (esplicitiamo noi) gli embrioni o i soggetti in stato cosiddetto “vegetativo”. Perciò «l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente [l’attenzione] a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro». In particolare, «ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo». «E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo», dunque essi «Non si possono scartare!», con l’eutanasia.

Perciò il Papa ha raccomandato: «siate testimoni e diffusori di questa “cultura della vita” […] ricordate a tutti, con i fatti e con le parole, che questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità». Ciò «non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, [e] per un discorso di scienza!». Il 18 novembre Papa Francesco ha duramente stigmatizzato quel pensiero unico relativista che legalizza anche «le condanne a morte», e «i sacrifici umani». «Ma voi – ha detto il Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono». Il riferimento alle leggi abortiste ed eutanasiche è evidente. 

Nella Evangelii gaudium del 24 novembre, ha sottolineato che «Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana […], togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo». Anche in questo caso il Papa ha ribadito che la «difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano» e che «un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo». E se «la sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana», in più, nell’ottica della fede, «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio». Dunque, «non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione». Certo, bisogna aiutare in tutti i modi le donne che sono tentate dall’aborto. 

Il 14 gennaio 2014 il Papa ha poi detto che «Desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto». 
Il 22 gennaio 2014, in occasione della Marcia per la vita che si svolgeva a Washington per affermare il diritto alla vita e per l’abrogazione della legalizzazione dell’aborto, ha scritto: «Mi unisco con le mie preghiere alla Marcia per la Vita a Washington. Che Dio ci aiuti a rispettare tutte le vite, specialmente le più vulnerabili». 

Difesa della famiglia 

Più volte i mass media hanno strumentalizzato le parole del Papa, per attribuirgli persino un’apertura verso il “matrimonio omosessuale”. Ma, come ha spiegato il 5 gennaio 2014 padre Lombardi, portavoce vaticano, perfino un piccolo esempio concreto fatto dal Papa (durante una conversazione del 29 novembre con i Superiori degli ordini religiosi) in merito ad una situazione di una bambina cresciuta da una madre con una compagna omosessuale, «allude proprio alle sofferenze dei figli» che vivono in queste situazioni. Anzi, ha aggiunto padre Lombardi, «chi ricorda le posizioni da lui [dal Papa] manifestate in precedenza in Argentina in occasione di dibattiti analoghi s

a bene che erano completamente diverse da quelle che alcuni ora cercano surrettiziamente di attribuirgli». Quali sono queste affermazioni fatte in Argentina?

Vediamole (ringraziando in particolare G. Amato, M. Introvigne e S. Magister per averle evidenziate). Per esempio, il 22 giugno 2010, in prossimità del voto del Senato argentino sul “matrimonio” degli omosessuali e sulla loro possibilità di adottare bambini, il cardinal Bergoglio chiese alle suore di clausura di pregare assiduamente, perché col «disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso » è in gioco «l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio». Di più, diceva, in questo istituto giuridico «c’è l’invidia del Demonio […]: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra». 

Bergoglio scrisse il 5 luglio 2010 anche a un dirigente del laicato cattolico argentino per «dare il mio appoggio» a «una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso», per riaffermare «la necessità che ai bambini sia riconosciuto il diritto ad avere un padre e una madre, necessari per la loro crescita ed educazione ». Da questo «deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe un reale e grave regresso antropologico. No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è discriminare, al contrario è rispettare» le differenze. E ancora: facciamo attenzione che, con la scusa di «un preteso diritto degli adulti […], non ci capiti di lasciare da parte il diritto prioritario dei bambini – gli unici che devono essere privilegiati – a fruire di modelli di padre e di madre». 

Così, Bergoglio promosse per l’11 luglio 2010 una marcia contro il matrimonio omosessuale e fece leggere in tutte le chiese, durante le messe, il seguente duro messaggio: «Spetta all’autorità pubblica tutelare il matrimonio tra un uomo e una donna», che «possiede caratteristiche proprie e irrinunciabili». «Qualora si attribuisse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, […] lo Stato agirebbe illegittimamente e si porrebbe in contraddizione con i propri obblighi istituzionali, alterando i principi della legge naturale ». Infatti, «L’unione tra persone dello stesso sesso difetta degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia. È priva della dimensione coniugale e dell’apertura alla procreazione». Ora, «Prendere atto di un’oggettiva differenza non significa discriminare», dunque il codice civile «non discrimina quando esige il requisito di essere uomo o donna per contrarre matrimonio, ma riconosce una realtà naturale». 

Idee ormai archiviate dal Papa? Per nulla. Recentemente, il 12 dicembre 2013, mons. Scicluna, vescovo ausiliare di Malta, ha incontrato il Papa e gli ha riferito del tentativo in corso di introdurvi le adozioni per i gay. Il 29 dicembre, Scicluna ha dichiarato al Sunday Times of Malta che il Papa è rimasto «letteralmente scioccato» nell’apprendere la notizia, e lo ha «incoraggiato a criticare pubblicamente la proposta di legge». 
È assolutamente possibile conciliare queste affermazioni bergogliane con la famosa frase: se una persona omosessuale «cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?»; ma per totale mancanza di spazio dobbiamo rimandare a Massimo Introvigne, Bergoglio: rispetto per i gay, ma la famiglia è altra cosa, reperibile su www.lanuovabq.it

Quanto alla comunione dei divorziati, fatto salvo il caso di coloro per i quali la Chiesa già la ammette (per esempio, per coloro che hanno subito il divorzio e non vivono con nuovi compagni), il Papa ha fatto ribadire al cardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che poco tempo dopo ha nominato cardinale, che il divieto di fare la comunione è incancellabile, ovviamente se il matrimonio non è nullo. 
E l’8 novembre 2013 ha dedicato un discorso al “Difensore del vincolo”, la figura che interviene nel processo di fronte alla Sacra Rota con il compito di difendere la eventuale sussistenza di un vincolo matrimoniale tra due coniugi che chiedono la nullità, che cioè deve argomentare (se ci sono motivi) perché un certo matrimonio è valido. Il Papa ha spiegato che «il Difensore del vincolo svolge una funzione importante» e che bisogna «che egli possa compiere la propria parte con efficacia». 

Leggi ingiuste 
Quasi per riassumere, per quanto riguarda le varie leggi ingiuste, ricordiamo quanto ha detto il Papa il 16 giugno, incontrando una nutrita delegazione di parlamentari francesi: «Il vostro compito […] consiste nel proporre leggi, nell’emendarle o anche nell’abrogarle ». Anche abrogarle, dunque. E il Papa ben sa e sapeva che in Francia sono legali l’aborto, il divorzio, il “matrimonio gay”, ecc. 

Del resto, ognuno, nel modo che gli spetta, deve fare la sua parte sul piano pubblico, anche i vescovi e i laici. Per esempio, il 3 dicembre 2013, incontrando i vescovi olandesi, il Papa li ha “strigliati”, raccomandando che i vescovi devono «essere presenti nel dibattito pubblico, in tutti gli ambiti nei quali è in causa l’uomo», tenaci nel sostenere ed incoraggiare i laici perché esprimano il loro impegno «nei dibattiti sulle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita». È chiaro il riferimento alle critiche a diversi vescovi troppo silenziosi, specie su eutanasia, aborto e rivendicazioni omosessualiste di matrimonio e adozione. 
 
Il ruolo della donna
Quanto al ruolo delle donne, i progressisti si aspettano da Bergoglio la donna prete o la donna cardinale. Ma la posizione del Papa è ben diversa. Da un lato, «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere». Dall’altro, «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione».
Certo, può diventare motivo di particolare conflitto «se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere», ma «quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”». Infatti, «Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti». «Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Anzi, «di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi» (Evangelii gaudium). 

Quanto alle donne cardinale, alla domanda del giornalista Andrea Tornielli (che lo ha intervistato su La Stampa il 15 dicembre 2013) «Posso chiederle se avremo donne cardinale?»
il Papa ha risposto «È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo... » 





IL TIMONE –  Marzo 2014 (pag. 42-46) 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Marchetto: il Concilio secondo Francesco




Marchetto: il Concilio secondo Francesco




Dichiarando mons. Marchetto «il miglior ermeneuta del Concilio Vaticano II», il Papa ha voluto che fosse chiara l’interpretazione bergogliana. Non è la primavera della Chiesa, dopo secoli di oscurità, e nemmeno la cancellazione della Tradizione. Silenzio assordante della Scuola di Bologna, in lutto. Il Timone invece ha intervistato l’arcivescovo 




«Una volta Le ho detto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II. So che é un dono di Dio, ma so anche che Ella lo ha fatto fruttificare». Era il 12 novembre 2013, in Campidoglio era in corso la presentazione del volume (edito da Libreria Editrice Vaticana e curato da Jean Ehret) dal titolo Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio ecumenico Vaticano II - Studi in onore dell’arcivescovo Agostino Marchetto. In quell’occasione è stata resa pubblica una lettera, inviata poco più di un mese prima, il 7 ottobre, proprio ad Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e gli itineranti, canonista, giurista ed attento studioso del Concilio Vaticano II.
Un messaggio a firma di Papa Francesco che cominciava così: «Con queste righe desidero farmi a Lei vicino», lasciando cioè intravedere un sentimento di familiarità, oltre che di stima, tra il Santo Padre e l’arcivescovo, che ancora oggi tradisce un po’ di imbarazzo se gli chiediamo che effetto fa sentirsi dare del «miglior ermeneuta del Concilio» proprio dal Santo Padre. 

- «Mi sono sentito sprofondare. Non è una cosa da poco ascoltare un Papa che ti dice che sei il migliore. Certamente non è stata una sorpresa, perché me lo aveva detto ben prima di salire al soglio di Pietro, ma proprio per questo è stata un’affermazione di ancor più grande valore in quanto rappresentava una dichiarazione pubblica. A questo si aggiungeva il fatto che il Papa mi avesse chiesto che il suo messaggio venisse letto, nonostante io avessi ritenuto opportuno o non necessario renderlo noto… ». 


E Francesco che cosa le ha risposto? 

«Ha detto semplicemente: “no no, invece la leggiamo. So che Lei non vorrebbe che fosse letta, invece lo faremo”. Io ero ancora titubante e allora ho replicato “Magari potremmo però saltare una frase e mettere i puntini di sospensione...”, ma lui ha replicato: “no no, Lei farà leggere anche quella frase”. È stato davvero un gesto di carità e incoraggiamento nei miei confronti, ma soprattutto la manifestazione del desiderio che si conoscesse il suo pensiero. Non più dunque il suo orientamento personale, ma l’indirizzo del Papa sull’ermeneutica del Concilio Vaticano II, una delle questioni cruciali per quanto riguarda la Chiesa». 

Possiamo dire che il Papa ha dunque risposto, sconfessandola, alla lettura prevalente del Concilio che porta avanti l’aspetto di rottura e rinnovamento trascurando la Tradizione? 

«A mio modo di vedere ci sono tre gradini su cui occorre ragionare. Il primo è quello del piano di una storia che deve essere obiettiva, io dico veritiera, lo so che il termine potrebbe spaventare qualcuno, ma io parlo di ricerca della verità nei fatti storici, non di come ideologicamente pensiamo che questi fatti avrebbero dovuto svolgersi; poi abbiamo l’ermeneutica che deve essere, così come indicato anche da Papa Benedetto XVI, della riforma o del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa e quindi una corretta ricezione che poi deve realizzarsi. La grande diversità è tra ermeneutica della rottura ed ermeneutica della riforma. Certamente anche nella riforma c’è qualche elemento di novità, qualcosa che deve essere cambiato, ma molti si rifugiano e si proteggono con questo e non affrontano il problema della verità». 

In effetti, gli esponenti della Scuola di Bologna piuttosto che i sostenitori della rottura non sembrano aver commentato questo messaggio del Papa sul quale, anzi, si è registrato un sostanziale silenzio… 

«Ognuno affronta le questioni dal proprio punto di vista, a volte è meglio star zitti per non dare rilievo a chi la pensa diversamente, perciò fino a che si è potuto è stato fatto silenzio contro questa scuola di pensiero che io sostengo da anni contro venti e maree. Con questo messaggio il Santo Padre ha detto qualcosa di importante e gli uomini di buona volontà devono tenerne conto, indipendentemente dalle proprie posizioni o preferenze, posto che secondo me nella Chiesa ci sono due posizioni importanti, che devono coesistere. C’è chi è più portato a sostenere la fedeltà alla Tradizione e c’è chi è più portato a cercare il desiderio dell’incarnazione nell’incontro con l’uomo di oggi. La cosa importante è che le due posizioni stiano insieme come nel Concilio e che non ci sia una mancanza di dialogo, bisogna trovare il consenso di queste due anime, e in questo il Magistero ha un compito fondamentale». 

Anche i mass media, che da quasi un anno hanno gli occhi puntati su Francesco tanto da scrivere, riportare, raccontare anche episodi che sembrano marginali, hanno trascurato questo scritto, come mai? Lei conosce Bergoglio personalmente da tanti anni, trova che l’immagine che ne danno i mass media sia autentica e completa? 

«Trovo che sia una questione di filtro. Io non posso che rallegrarmi che la stampa metta in risalto le virtù di questo nuovo Papa, è l’evidenza che non è vero che il mondo moderno è insensibile o contrario a certi valori evangelici di cui il Papa è portatore, tuttavia è evidente che la stampa filtri unicamente quello che conviene o è in linea a una determinata visione. Ed è un problema che riguarda tutti: anche nell’opinione pubblica cattolica facilmente non si tiene conto del contesto e delle sfumature straordinarie dei suoi discorsi che sono molto vigorosi, ma che non possono essere compresi a pieno se non se ne legge la profondità. Il suo linguaggio, segnato dall’influsso latino americano e dal tratto gesuita, non può essere capito se si cerca di generalizzare o incasellare, occorre considerare le sfumature. Del resto, sappiamo bene che le venature fanno la storia e leggere le parole del Papa senza le venature delle sue parole può essere bello, piacevole, ma non è compiuto. Francesco non può essere semplificato e nemmeno compreso se non guardato nella sua interezza».

Quale è l’aspetto principale che è stato trascurato in questo primo anno di Pontificato?

«Faccio un esempio concreto, riferendomi all’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Il discorso di Francesco è totalmente incentrato sulla missionarietà, la trasformazione missionaria della Chiesa, la Chiesa in stato permanente di missione e questo certamente è la stessa linea del Concilio Vaticano II, perché l’impegno conciliare, a partire dei discorsi di Papa Giovanni prima e di Paolo VI poi, era tutto per la missione. E c’è tutto un back ground che permette la fioritura di quello che è la presentazione del programma di Papa Francesco. 
Prendiamo la stessa sinodalità cui fa riferimento il Santo Padre: è vero che si parla di una conversione del papato, ma senza che si perda quello che è fondamentale nell’esercizio del primato, richiamando in questo Giovanni Paolo II. Se non teniamo conto della collegialità nella distinzione tra il senso stretto e senso largo della collegialità affettiva ed effettiva, come nel testo dell’esortazione apostolica, non cogliamo la continuità dell’insegnamento e presentiamo aspetti che sono, sì, di una certa novità, ma senza contesto. 
Quando si auspica una più estesa autorità dottrinale delle Conferenze Episcopali c’è nel testo di Papa Francesco un aggettivo straordinario che dà profumo a tutto e vale la pena ricordare: autentica autorità dottrinale. Questo implica che non ci può essere un insegnamento a ruota libera, senza tener conto della Tradizione. Mi rendo conto che sia difficile tener conto di questa complessità, ma se riduciamo il Papa secondo il nostro modo di vedere, se lo semplifichiamo, perdiamo la ricchezza di questo uomo, perdiamo l’opportunità di vedere il Papa come autenticamente è. Mi auguro quindi che da parte di tutti ci sia l’impegno di trasmettere con fedeltà il suo pensiero, che poi è il pensiero, come lui stesso dice, “di un figlio della Chiesa” che é anche Vescovo di Roma e Successore del clavigero Pietro». 




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«Un apprezzamento come questo nessuno se lo aspettava da papa Francesco. Eppure è arrivato. E ha del clamoroso […]. A Bologna, nel santuario di quella “scuola” oggi diretta dal professor Alberto Melloni che ha il monopolio mondiale dell’interpretazione del Concilio Vaticano II, avranno listato le bandiere a lutto. Perché Agostino Marchetto era la loro bestia nera, il loro critico più irriducibile, da sempre. […]. Di papa Francesco fino a ieri dicevano entusiasti che “del Concilio parla poco perché lo attua nei fatti”, a modo loro, naturalmente. Mentre alle critiche di Marchetto non hanno mai puntualmente replicato. Semplicemente se ne facevano beffe, lo irridevano. E ora se lo ritrovano davanti come “il migliore ermeneuta del Concilio”, insignito di ciò nientemeno che dal loro fu beniamino Jorge Mario Bergoglio». 
(Sandro Magister, Melloni & C. in lutto, traditi dal “loro” papa, reperibile on line) 



IL TIMONE –  Marzo 2014 (pag. 40-41)   



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07/11/2015 15:00
 
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  È ESISTITA UNA PAPESSA GIOVANNA?


 Una donna diventata Papa. Verità o leggenda? 





Domanda: È vero, come racconta un film, che nella Chiesa c’è stata una donna diventata papa e che la cosa è stata nascosta per lo scandalo che ne deriverebbe?





Una scena del film "La Papessa", del regista Sönke Wortmann.
Una scena del film "La Papessa", del regista Sönke Wortmann.

RISPOSTA 

Una volta tanto lo studioso può rispondere con chiarezza e senza tanti accorgimenti verbali: la papessa Giovanna non è mai esistita, sulla cattedra di Pietro non è mai salita una donna, come lascerebbe intendere un film in circolazione nelle sale cinematografiche.

Lo storico, tuttavia, può aiutare a comprendere come è nata questa leggenda dai tratti popolari e carnevaleschi. Verso la metà del Duecento si svilupparono a Metz, in Francia, delle accese dispute tra i sostenitori del potere imperiale e i fautori della supremazia del papa, una versione transalpina dei nostri guelfi e ghibellini. Tra questi ultimi, peraltro, non mancavano i religiosi e fu proprio il domenicano Jean de Mailly a redigere la prima versione scritta di una storiella che tra la gente circolava già da alcuni decenni.

    Di origine inglese, Giovanna era una giovane vissuta circa 400 anni prima in epoca carolingia. Innamorata di una coetaneo dedito agli studi, si travestì da uomo per seguire il suo amore. Entrata in un mondo esclusivamente maschile, Giovanna si trovò a suo agio e divenne una studiosa di successo. Sempre in compagnia del suo amante fu ad Atene e di lì i due si trasferirono a Roma dove Giovanna venne accolta nella curia romana. Curioso è che troveremo poi un'altra famosa Giovanna con gli stessi lineamenti, ma divenne santa per davvero, Santa Giovanna d'arco, ma questa è un'altra storia.

    La leggenda tramandata poi racconta che ancora qualche anno e la donna venne eletta papa con il nome di Giovanni l’inglese. Il suo pontificato sarebbe durato solo due anni, dall’853 all’855. Anche da papa, difatti, la donna non riusciva a rinunciare al suo amore. Restò incinta e durante una processione da san Pietro al Laterano, fece deviare il corteo verso san Clemente per poter partorire. I fedeli, tuttavia, si accorsero della manovra e inferociti uccisero la donna.

    La leggenda, nella quale confluiscono elementi tipici di una società rigidamente maschilista, venne fatta circolare con evidente intento polemico verso il papato. Un altro domenicano, Martino di Polonia, la riprese verso il 1280 e le diede una forma più articolata. Nel secolo successivo furono, invece, i Francescani spirituali a diffondere la storia della papessa Giovanna in segno di protesta verso Giovanni XXII (1316-1334), il papa che li condannò ripetutamente.

    La vicenda, tuttavia, sembrava talmente incredibile che a lungo Roma non si preoccupò di confutarla. Nei secoli successivi, però, la storia di Giovanna venne ripresa da Boccaccio, poi se ne impadronirono i luterani che la raccontavano come la prova più evidente della corruzione del papato, immagine di Roma prostituta al pari dell’antica Babilonia.  

    Solo a questo punto gli studiosi cattolici si accorsero della forza eversiva del racconto e si preoccuparono di contestarlo. Paradossalmente furono degli studiosi calvinisti a dimostrare in modo inequivocabile, già verso la fine del Seicento, la mancanza di fondamento della vicenda di Giovanna. Espulsa dalla storia, la papessa ha continuato a vivere nelle polemiche anticattoliche e nella letteratura anticlericale dei secoli successivi. Ora approdata al cinema sulla scia di un pregiudizio anticattolico negli ultimi tempi facile e redditizio.




 


La bufala dell’appartamento di lusso del card. Bertone

Francesco e BertoneQuella che segue è la lettera che il cardinale Tarcisio Bertone ha inviato ai settimanali diocesani di Vercelli e Genova. Si tratta della replica ad alcuni articoli apparsi sulla stampa nei giorni scorsi che alludevano a “traslochi di lusso” dell’ex Segretario di Stato vaticano in un attico di 700 metri quadrati (il grassetto è un’aggiunta della redazione UCCR).

 
 

Egregio Direttore,

nei giorni scorsi alcuni media hanno parlato in maniera malevola a proposito dell’appartamento che abiterò in Vaticano e, per rincarare la gogna mediatica, l’ “informatore” ne ha raddoppiata la metratura. E’ stato detto, fra l’altro, che il Papa si sarebbe infuriato con me per tanta opulenza. Addirittura è stato messo a confronto lo spazio del “mio” appartamento con la presunta ristrettezza della residenza del Papa.

Innanzitutto ringraziamo Dio e la sollecitudine di tanti, per il fatto che il Papa sia alloggiato e assistito dignitosamente a Santa Marta dove può svolgere agevolmente le sue attività istituzionali.

Personalmente, poi, sono grato e commosso per la telefonata affettuosa che ho ricevuto da Papa Francesco il 23 aprile scorso per dirmi la sua solidarietà e il suo disappunto per gli attacchi rivoltimi a proposito dell’appartamento, del quale era informato fin dal giorno in cui mi è stato attribuito.

Tante persone, conosciute durante gli anni del mio ministero a Vercelli e a Genova, o campaesani della mia diocesi di origine Ivrea, mi hanno scritto e telefonato per condividere il dispiacere.

Scrivo questa lettera ai settimanali diocesani per ringraziare queste persone amiche e per quelli che possono essere rimasti meravigliati dalla notizia. L’appartamento spazioso, come è normalmente delle residenze negli antichi palazzi del Vaticano, e doverosamente ristrutturato (a mie spese), mi è concesso temporaneamente in uso e dopo di me ne usufruirà qualcun altro.

Come diceva il Santo Pontefice Giovanni XXIII “non mi fermo a raccogliere le pietre che sono scagliate contro di me”.

Cordiali saluti.
Tarcisio Card. Bertone


 






[Modificato da Caterina63 07/11/2015 15:19]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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