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DOSSIER apologetico dottrinale SUL MATRIMONIO

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2015 13:34
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  Nullità matrimoniale, si scatena la bagarre

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Il Motu proprio del Papa che riforma il processo per la nullità matrimoniale, ha provocato reazioni particolarmente accese, perfino un dossier che gira in Vaticano contro questa decisione. Motivi di perplessità e domande aperte non mancano, ma ascoltiamo anche l’esperienza di chi vive da anni in attesa di una sentenza.

di Riccardo Cascioli

In questi giorni sono stati molti i commenti alla riforma del processo di nullità dei matrimoni decisa da papa Francesco. Alcuni entusiasti, altri che ne minimizzano le novità (ma lo stesso Osservatore Romano ha scritto che più di riforma si tratta di rivoluzione), altri ancora – e non sono pochi – allarmati per un presunto scivolamento verso il “divorzio cattolico”.

BV082_nuptial-massPrima di entrare nel merito della questione, che alla vigilia del Sinodo sulla famiglia assume un rilievo importante, mi sembra importante fare almeno due premesse.

La prima è ben rappresentata dalla testimonianza che pubblichiamooggi, ovvero la voce di chi sta aspettando che un tribunale diocesano decida sulla verità di un matrimonio, decisione da cui dipende il proprio progetto di vita. Certamente alcuni giudizi saranno opinabili, ma ci ricorda che stiamo parlando di persone che in massima parte vivono situazioni di sofferenza di cui ben poco si sa e si dice. In gioco, come scrive anche papa Francesco nel Motu proprio riconfermando la dottrina, c’è la salvezza delle anime e di questo dobbiamo occuparci.

Questo implica non già una facilitazione nelle cause di nullità, ma un’attenzione particolare alla verità del cammino delle persone che si traduce in sentenze certe e anche in processi che durino solo il tempo necessario e non si perdano in lungaggini inutili. Da questo punto di vista sulla necessità di una riforma c’era già un ampio consenso, il che non vuol dire automaticamente che qualsiasi riforma risponda alle esigenze vere.

La seconda questione riguarda il caso riportato nell’altro articolo che presentiamo oggi, ovvero il dossier che gira in Vaticano contro la riforma del processo canonico e contro il Papa. Argomenti senz’altro seri e che meritano riflessioni, ma bisogna dire con chiarezza che – a prescindere dai contenuti – questo sistema dei dossier senza autori è una forma di clericalismo assolutamente squallida e insopportabile. Dà sempre l’idea di intrighi e cospirazioni che si giocano all’ombra della corte: uno spettacolo miserevole.

Sicuramente ci sono motivi di perplessità in questa riforma del Codice di diritto canonico, ma chi ha argomenti li dica apertamente e mettendoci la faccia. Si giocherà forse la carriera ecclesiastica, dovrà anche subire la gogna mediatica da parte della stampa laicista, ma la battaglia per la verità almeno avrebbe punti di riferimento chiari.

Detto questo veniamo alla questione centrale. Di una riforma, dicevamo, c’era una esigenza diffusa: l’accertamento della verità ha bisogno anche di tempi ragionevoli, anche se – come avverte Giorgia Petrini nella sua testimonianza – ci sono molte situazioni diverse. La domanda dunque è se la riforma incida soltanto sui tempi o – aldilà delle intenzioni – anche sulla facilità e superficialità con cui si dichiara nullo un matrimonio, il che ovviamente avrebbe conseguenze gravi sul valore dell’indissolubilità.

Dal punto di vista della procedura, l’abolizione dell’obbligo di doppia sentenza conforme, potrebbe apparire come una mera questione di tempi. Sarà l’applicazione della riforma a dire se sarà effettivamente così, però c’è un precedente che dovrebbe almeno indurre a qualche riflessione. Ne parla il cardinale Raymond Burke nel suo saggio contenuto nel libro “Permanere nella verità di Cristo”, uscito l’anno scorso alla vigilia del Sinodo: è l’esempio degli Stati Uniti che, prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice di Diritto canonico (1983) per 12 anni hanno sperimentato proprio l’abolizione della doppia sentenza conforme: il risultato è stato un boom di dichiarazioni di nullità, in pratica bastava iniziare il processo per essere certi di una sentenza positiva.

A far temere una deriva del genere sono anche due elementi tipici della situazione attuale: il primo è la notevole differenza di vedute tra vescovi e addirittura tra interi episcopati sul sacramento del matrimonio. Lo si è visto nel dibattito che accompagna ormai da due anni questo doppio Sinodo. Al proposito, il ruolo centrale che papa Francesco ha voluto dare ai vescovi nel processo di nullità, se ha un risvolto positivo per quanto raccontato da Giorgia Petrini, potrà avere l’effetto di rendere molto diversi i giudizi da vescovo a vescovo su situazioni identiche. In altre parole, non è difficile immaginare uno scenario in cui in Germania e Svizzera si registra un boom di matrimoni nulli e il contrario nell’est europeo o in Africa. Con grave danno per i fedeli che rischiano di perdere fiducia nel giudizio della Chiesa.

Il secondo elemento è la convinzione piuttosto diffusa che la stragrande maggioranza dei matrimoni attuali – a causa della pressione culturale in cui siamo immersi – siano nulli. Ne ha parlato papa Francesco, ne aveva parlato anche papa Benedetto XVI, che spesso viene tirato in ballo – anche a sproposito – per giustificare i contenuti di questa riforma. Questo pregiudizio potrebbe ovviamente portare facilmente a concedere con più superficialità la nullità dei matrimoni. Al proposito va ricordato che papa Benedetto XVI, nel riconoscere la problematicità di tanti matrimoni attuali (dal punto di vista della validità), aveva soprattutto chiesto un impegno nella preparazione al matrimonio (vedi discorso alla Rota romana del 2011). Peraltro sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno più volte richiamato i giudici della Rota romana ad evitare di concedere dichiarazioni di nullità con troppa facilità.

Ma oltre alla questione procedurale, c’è quella dei contenuti. La riforma prevede infatti l’introduzione di nuove cause per la nullità, i cui confini non sono chiaramente limitati: ad esempio, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, il permanere in una relazione extraconiugale dopo le nozze. Tutti elementi citati nell’articolo 14 delle regole procedurali, che lasciano molte domande aperte, anche perché in alcuni casi sembrerebbero più intervenire su condizioni emerse dopo più che al momento del matrimonio.

Soprattutto però la grande novità consiste nell’introduzione di “quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso”. Questo è un punto particolarmente delicato perché, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel discorso alla Rota Romana del 2013, pochi giorni prima delle sue dimissioni, «Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa».

E se la fede non viene richiesta come condizione per sposarsi, come è possibile renderla una causa di nullità? È questo il problema che si pone. In effetti il dibattito sulla questione della fede e del sacramento del matrimonio è da anni dibattuta, e proprio nel discorso alla Rota Romana del 2013 viene affrontato specificamente da Benedetto XVI, ritenendo anch’egli che non sia possibile separare totalmente l’intenzione dei contraenti dalla loro fede.

Ma il discorso di Benedetto XVI, che va letto integralmente, va nella direzione di approfondire il senso del matrimonio cristiano e la sua verità, non certo quello di rendere più semplice risposarsi in chiesa. L’introduzione improvvisa, senza alcuna precisazione, della mancanza di fede quale criterio per la nullità lascia ovviamente grande potere discrezionale che può avere esiti molto diversi a seconda del vescovo chiamato a giudicare.

In ogni caso – e ripeto, aldilà delle intenzioni – aumentare le cause di nullità va oggettivamente nella direzione di rendere più facile lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

Alcuni vaticanisti poi hanno letto la riforma come un modo per stemperare il dibattito al Sinodo che, sulla questione dei divorziati risposati, prometteva di diventare incandescente. Se questo era davvero un obiettivo, bisogna dire che difficilmente sarà raggiunto, visto che il cardinale Marx, a nome dei vescovi tedeschi, ha detto chiaramente che una cosa non c’entra con l’altra e quindi al Sinodo non ci saranno sconti.

© La Nuova BQ (14/09/2015)





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si ricorda anche di sfogliare il Motu Proprio del Papa vedi qui










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Io, in attesa di sentenza, dico che questa riforma è positiva

di Giorgia Petrini

Sulla riforma epocale del processo di nullità del matrimonio, che sta tanto facendo discutere, quanto improvvisare, anche le penne degli opinionisti e degli scrittori più letti, vorrei proporre la mia semplice testimonianza. Sono solo una persona che ha ricevuto la grazia di vivere un’esperienza, “indiretta” ma non troppo, in merito alla nullità di matrimonio con l’uomo che solo oggi spero un giorno di poter sposare.

NewsExtra_37328In tre anni, ho avuto modo di conoscere le storie di tantissima gente che ha vissuto sulla propria pelle la stessa esperienza e di entrare nel merito di tanti cavilli, meandri e questioni che, come è giusto che sia, sfuggono a chi non incappa nello spazio di questo dono.

Ne scrivo perché in questi giorni ho letto articoli e post di blogger, colleghi scrittori o influencer ben noti al pubblico cattolico (e non), che si concentravano sbrigativamente e sommariamente sugli aspetti più banali e più spesi dalla stampa facile, quella “fricchettona”, quella che investe sul titolo, sullo scoop, sulla sintesi da colpo di scena, tipo: “processi troppo cari e annullamenti accessibili solo a chi se lo può permettere”; “per annullare un matrimonio basta pagare”; “lo si fa solo per risposarsi in chiesa”; “durano anni e alla fine ti sei comunque sposato due volte”; “con la crisi di fede che c’è, alla chiesa conviene riavvicinare i divorziati che vogliono risposarsi”…. Insomma, tanta confusione e tanti miti da sfatare.

COSTI E TEMPI

Non è affatto vero che un procedimento di nullità abbia costi inavvicinabili, che riguardi solo chi se lo può permettere o che duri necessariamente un’infinità di tempo. Per quanto riguarda i costi, in molti casi, la curia mette a disposizione di fedeli realmente impossibilitati a sostenere il costo di una causa, ma desiderosi di chiarire la veridicità sacramentale del proprio matrimonio, un “avvocato d’ufficio”, tecnicamente chiamato patrono stabile, altamente specializzato in questo genere di processi. Tutti i tribunali ne hanno almeno uno, sempre disponibile per questa specifica esigenza. Ad oggi, il tribunale di Roma ne ha addirittura cinque, tutti preparatissimi, altri ne hanno in media sempre almeno un paio. In tutti questi casi, in cui il procedimento era già praticamente gratuito (fatto salvo un contributo solidale di 525 euro per le spese per il tribunale – che in ogni caso pagano tutti), i costi delle cause venivano e vengono tuttora sostenuti con i fondi dell’8×1000 (anche la disperazione per un matrimonio fallito diventa facilmente una forma di povertà). Tutti i professionisti esterni invece, avvocati “comuni”, pur sempre specializzati in ambito rotale e per questo accreditati, sono già tenuti, per imposizione di norme stabilite dalla CEI, a rispettare tariffari che non debbono mai superare un massimo di 2.992 euro (+ 525 euro per il tribunale). La tariffa minima è invece fissata in 1.500 euro (+ 525 per il tribunale).

Per quanto riguarda i tempi, come per ogni tipo di processo, la durata varia da casi “semplici” che si risolvono d’ufficio anche in pochi mesi (un noto caso recente è quello di Valeria Marini che, a quanto pare senza saperlo, aveva sposato un uomo già sposato in chiesa), a casi più complessi dove la ricerca della verità richiede più tempo per tanti e diversi motivi che non ho qui il tempo di elencare in modo dettagliato. Basti pensare a comuni controversie, falsi testimoni, impossibilità di ricostruire fattori fondamentali che determinano la nullità, ecc.

In questo caso, quindi, in cosa io leggo un chiaro, utile e opportuno intervento del Papa con questa riforma? In un messaggio che si rivolge certamente ad evitare ogni tipo di speculazione economica su questo genere di procedimenti e a velocizzare con genuina comprensione tutte quelle fasi che in un procedimento di nullità possono a volte, senza chiare necessità, durare anche settimane o mesi, a scapito di chi attende di fare luce sulla propria condizione. Ad esempio, le fasi che richiedono la stesura di una perizia psichiatrica documentata da periti qualificati durano spesso anche dei mesi e l’attesa non è sempre motivata da ragioni di facile comprensione. Ci voleva una riforma per fare cose che, almeno apparentemente, erano già così per molti versi? Forse sì, perché almeno oggi se ne parla.

PERCHÈ PUNTARE A UN PROCESSO DI NULLITA’

Qui vorrei dare due contributi. Il primo è frutto di quanto ho chiesto a qualche amico avvocato specializzato in Rota, ottenendo due risposte principali: la già conclamata immaturità di cui sopra e l’esclusione dell’indissolubilità, ovvero “mica si può stare insieme tutta la vita se a un certo punto non si va più d’accordo” (che, come ben sa chi conosce il vero senso del matrimonio cristiano, non ha nulla a che vedere con i possibili capi di nullità di un sacramento del genere che proprio dall’indissolubilità attinge la sua forza sacramentale).

Ciò nonostante, anche qui i miti da sfatare sono più di uno: non è vero che la nullità riguarda solo coloro che intendono risposarsi in chiesa (e anche questo infatti non è un capo di nullità); non è vero che “basta chiedere”, ovvero intraprendere un procedimento di nullità per ottenerla (perché molti matrimoni si rivelano validi); non è vero che tanti motivi (articolate sottospecie di questi due ambiti specifici) per cui vengono introdotte molte cause di nullità sono banali o riguardano poche persone. Si tende a credere che sia così per ignoranza e mancata esperienza, ma quando si incontra e si parla con chi ha una storia vera da raccontare, si scoprono trame più incredibili e inganni inimmaginabili, che in ogni caso restano tutelati dal segreto d’ufficio.

Ancora oggi, grazie a Dio, molte persone si sposano in forza della fede, non del costume e della tradizione popolare (in questo secondo caso si rientra in entrambi i capi di cui sopra e si contraggono matrimoni nulli dal punto di vista sacramentale). Credono nel sacramento del matrimonio, nell’indissolubilità, nella presenza di Cristo vivo nella loro vita, nell’opera di Dio che si manifesta agli altri attraverso la loro scelta. Queste persone, nella maggior parte dei casi, di fronte alla scoperta in coscienza di un matrimonio nullo, si trovano ad attraversare una sofferenza e un calvario che tiene la loro vita inchiodata a una menzogna, ancor prima di capire se ci siano o meno le condizioni per intraprendere un procedimento di nullità.

Chi si sposa così, credendo nel sacramento e non nell’abito, si vede cadere addosso tutta la vita, si trova a mettere in discussione la scelta più importante della propria esistenza e a fare i conti con delle conseguenze che non sempre sono facilmente intuibili agli occhi di chi non può sapere, non può vedere e non può capire. Molti divorziati risposati sono persone rimaste “incastrate” in sentenze di validità durate anni a causa di testimoni falsi ben preparati; molte altre non hanno avuto il coraggio di dire la verità quando hanno dovuto dare la propria testimonianza; tanti altri restano fedeli a un sacramento nullo per paura di ferire i figli; molti altri ancora, ottenuta la nullità, non si risposano neanche.

Anche in questo caso, quindi, in cosa io leggo un chiaro, utile e opportuno intervento del Papa con questa riforma? In un messaggio che, proprio in forza del sacramento del matrimonio e della sua indissolubilità, intende fare chiarezza su cosa sia davvero un matrimonio cristiano, ma anche porre l’accento sulla possibilità di migliorare e valorizzare il contatto diretto con persone che decidono di intraprendere un procedimento di nullità, avendo fede e fiducia nella Chiesa.

LA VERA INNOVAZIONE

La responsabilità di cui è investito il vescovo e il processo breve. Mentre per il primo aspetto mi verrebbe da dire “era ora”, per il secondo direi che cambia poco. In questi giorni ho letto di grandi riduzioni, di sconti temporali, di penalizzazione nella difesa del vincolo, di grandi attentati alla salute del matrimonio, ma a leggere le parole del Santo Padre, nella lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus” non si direbbe proprio. Vorrei “risolvere” sinteticamente la prima questione ponendo una domanda a voi lettori: nel caso in cui qualcuno dovesse “giudicare”, o meglio aiutarvi a comprendere, qualcosa di importante che riguarda tutta la vostra vita, che rischia di compromettere il vostro futuro, che vi coinvolge da ogni punto di vista e che vi tocca profondamente, preferireste un “estraneo molto qualificato”, anche bravissimo e onestissimo, che vedrete tre, forse quattro volte in tutto, che non parlerà solo con voi e che alla fine emetterà una sentenza, oppure qualcuno che vi conosce veramente, che può aiutarvi a fare luce sulla vostra storia che in larga parte già conosce e che può esservi da guida (nel motu proprio più volte il Santo Padre si riferisce al Vescovo come al pastore). Ecco, credo che questo sia il tema e il vero motivo umano e spirituale con cui si è deciso di dare maggiore responsabilità al vescovo della diocesi.

Nessuno sconto anche in questo caso: il processo breve in capo al vescovo non riguarda affatto tutte le cause, ma solo quelle che riportino evidenti capi di nullità, quelle in cui entrambe le parti sono d’accordo, quelle in cui nessuno intende ricorrere in appello, ecc. In ogni caso, il Vescovo rimane solo il primo livello di ingresso al procedimento. Anche qui, dunque, non mi affretterei a dire che non esiste più la seconda sentenza o che il Vescovo decide per tutti, altra cosa non vera (perché il difensore del vincolo in appello non perde in tal senso alcun potere e la riforma prevede l’investitura di laici specializzati a supporto di una “giuria intermedia”), ma che finalmente si investe un pastore di anime a pascolare le proprie pecore nella prateria infestata della propria esistenza contorta, difficile e critica.

Non dimentichiamoci che nelle cause di nullità non esiste la ricerca del colpevole, nessuno assume torti o ragioni e i procedimenti non sono incentrati sulla ricerca della giustizia, come la conosciamo nei tribunali civili o penali. Il vero tema di questi processi è capire se chi ha contratto un matrimonio cristiano lo ha fatto in piena libertà, conoscendone il valore spirituale e sacramentale ed essendo pienamente consapevole delle promesse fatte davanti a Dio, per Lui e con Lui. La centralità di questi processi resta quella di accertare la validità o meno del vincolo e non quella di accontentare le parti in un modo o nell’altro. Promettere di “accogliere i figli che il Signore vorrà donarvi” e poi scegliere deliberatamente di non averne, rende nullo un matrimonio cristiano indipendentemente da quello che due coniugi intendono sostenere come capo di nullità. In molti casi infatti anche i capi di nullità, in corso d’opera, si scoprono diversi da quelli presentati inizialmente e molte sentenze vengono emesse con motivazioni differenti dai capi con cui sono state introdotte.

Vorrei toccare un ultimo aspetto, che ritengo quello fondamentale. Nessuno di noi conosce il cuore dell’uomo. Da cristiani sappiamo che solo in Dio riposa l’anima nostra. Solo Dio ci conosce veramente. Il Papa ha detto in più occasioni che la Chiesa celebra troppi matrimoni e che semplificare i processi è solo parte del “problema”. Sarebbe ben più urgente preparare bene e per tempo dei saldi matrimoni cristiani che correrebbero meno rischi, piuttosto che sciogliere dopo quelli “dubbi”. Siamo tutti consapevoli della grande crisi della famiglia che è il cuore del Sinodo di cui fanno inevitabilmente parte i temi “nullità” e “divorziati risposati”, anche se in tanti vorrebbero far finta che non è così.

Per come l’ho letta io, la vera innovazione di questa riforma è il fatto che finalmente si pone un’attenzione importante a un tema che tutto è meno che una “questione relativa” per tornare all’incipit iniziale. Al momento, mi pare di capire che neanche chi se ne occupa tecnicamente abbia ben capito cosa accadrà nella pratica ordinaria di questi processi trattandosi appunto di cambiamenti che per molti versi introducono nuove fasi, ma non scontano niente, se non in rarissimi casi (sostanzialmente uguali a quelli fino a oggi già previsti).

Della crisi della famiglia fanno parte anche le famiglie lontane, quelle risposate, quelle scoppiate, quelle divise di fatto anche se non di forma, ecc. Fare a meno di farci caso, come se fossero anime che non ci riguardano perché ci pare che non siano “conformi alla norma”, non ci esime dal cercare anche per loro una via di comprensione e di misericordia. In fondo credo che questo volesse dire il Papa: sensibilizzare ognuno di noi a non sentirci mai troppo perfetti o migliori di altri… perché “la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Cristo” (Giovanni 1, 17).

© La Nuova BQ (14/09/2015)






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  Nullità matrimoniale, un dossier agita il Vaticano


di Matteo Matzuzzi


Vatileaks è passata, un Papa s’è dimesso, ma i dossier continuano a girare nei Sacri palazzi. L’ultimo ha a che fare con il doppio motu proprio di Francescoche riforma il processo di nullità matrimoniale. Un provvedimento che, come prevedibile, non ha trovato il gradimento unanime, oltretevere.


Catholic_Marriage_Theology_of_the_Body_ChurchA dar notizia del “rapporto” è il quotidiano tedesco Die Zeit, secondo cui nelle pagine del dossier sono elencate “le presunte colpe del Papa”. Elencate, si legge, “in modo sistematico”. Un altro prelato anonimo, sentito dallo Zeit, ha detto senza mezzi termini che “Francesco ha fatto cadere la maschera”. Si menzionano “monsignori indignati”, qualcuno pronto anche a organizzare una non meglio specificata ribellione – magari sfruttando l’imminente Sinodo ordinario sulla famiglia.


A ogni modo, il documento di cui scrive il giornale tedesco circolerebbe “nei principali uffici del Vaticano”, compresa “la congregazione per la dottrina della fede e la Segreteria di stato”. L’accusa principale mossa al Pontefice è quella di aver dato il via libera a una sorta di “divorzio cattolico”. Il processo legislativo della Chiesa cattolica è ormai “minato”, si aggiunge. Proprio su quest’ultimo punto, nel rapporto si legge che “nessuna delle misure previste dalla procedura legislativa” è stata seguita nella scrittura dei due motu proprio: Non sono state consultate “né le conferenze episcopali né le congregazioni e i consigli competenti, né la Segnatura apostolica”.


Ancora, si evidenzia come non vi fosse “alcun accordo unanime” al Sinodo dello scorso anno circa la possibilità di snellire la procedura di nullità matrimoniale. Infine, “la procedura selezionata contraddice la sinodalità tanto decantata e il proposito di una discussione aperta”. Il passaggio più insidioso e grave, riporta sempre lo Zeit, è quello in cui si fa riferimento all’erosione del dogma dell’indissolubilità del matrimonio, tanto che un “curiale di alto profilo ha detto che ‘Ora dobbiamo aprire la bocca’”.


A quanto risulta alla Nuova Bussola Quotidiana, parlare di “rivolta” a proposito del contenuto del dossier è probabilmente esagerato. Nessuna minaccia alla figura del Papa né ultimatum o promesse di battaglia campale al Sinodo. Il tutto ruota attorno al motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus che riforma il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel Codice di diritto canonico. In particolare, viene criticata la modalità che ha portato alla redazione del documento: nell’iter, infatti, non è stata interpellata la Congregazione per la dottrina della fede. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto, ha conosciuto il testo solamente martedì mattina, giorno della conferenza stampa di presentazione dei motu proprio, poco prima che il suo segretario, mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, intervenisse in sala stampa.


Che non siano stati coinvolti neppure gli “uffici competenti” l’ha confermato il cardinale Francesco Coccopalmerio quando, prendendo la parola durante la conferenza di presentazione, ha chiarito di farlo non in qualità di presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, ma solo in quanto membro della speciale commissione ad hoc istituita un anno fa dal Papa.


Se l’eliminazione della doppia sentenza conforme non ha provocato clamorose reazioni negative, e su questa c’era un generale consenso, ben più ostica appare ai redattori del dossier la questione del “processo breve”, che assegna al vescovo diocesano poteri di fatto sterminati. Anche perché non è passato inosservato il modo in cui è stato formulato il primo paragrafo dell’articolo 14 del motu proprio: l’elenco che menziona le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo breve si chiude infatti con un “ecc.” che apre a ogni possibile interpretazione in merito.


© La Nuova BQ (14/09/2015)





Naturale e cristiano

Naturale e cristiano
Il matrimonio è un istituto connaturato all'essere umano, su cui il cristianesimo ha innestato un incremento di comprensione, di ricchezza e di grazia. Ecco le sue caratteristiche 

Il matrimonio non è un'invenzione cristiana, bensì un istituto naturale precristiano, su cui il cristianesimo ha innestato un incremento di comprensione, di ricchezza e di grazia. 
 
Che ne pensavano i filosofi non cristiani 

In Grecia, Aristotele (384-322 a.C.) scrive: «L'amicizia tra marito e moglie [ ... ] è naturale: l'uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato». Insomma, per Aristotele il matrimonio è la società basilare, è la cellula fondamentale della società. 
Egli inoltre indica i due fini del matrimonio: 
1) marito e moglie «si aiutano l'un l'altro, ponendo in comune le specifiche qualità personali», e con ciò menziona il fine della comunione e del mutuo aiuto tra i coniugi; 
2) “i figli [ ... ] sono un bene comune a entrambi" e con ciò menziona il fine della procreazione (Etica Nicomachea, 1162a 16 e ss.). Il cristianesimo riconfermerà ed approfondirà proprio questi due fini del matrimonio. 
A Roma, per Cicerone (106-43 a.C.), «La prima forma di società consiste nel matrimonio stesso, la seconda nei figli [ ... ]: ora precisamente questo è il principio della città e, per così dire, il seminario della Res Publica», cioè il luogo fondativo e generativo della società e dello Stato (/ doveri, 1,17,54). 
Sempre a Roma, anche lo stoico Musonio Rufo (30 d.C. - fine primo secolo; su questo autore cfr. gli studi di Ilaria Ramelli) nelle sue Diatribe (cfr. la XVII) spiega che la famiglia è naturale: «È evidente che secondo natura, se mai altro, è proprio il matrimonio». 
Anche per Musonio i fini del matrimonio sono quelli che abbiamo già menzionato: «Bisogna [ ... ] che nel matrimonio abbia luogo una completa comunanza di vita e una reciproca sollecitudine dell'uomo e della donna, sia nella salute, sia nella malattia, sia in qualsiasi circostanza» [da notare la somiglianza con la formula cristiana del rito del matrimonio: Prometto di essere fedele sempre, nella salute e nella malattia, di amarti ed onorarti tutti i giorni della mia vita]. 

A questa sollecitudine, come pure alla procreazione dei figli, entrambi tendono col matrimonio». 
Ora, se uno dei fini del matrimonio consiste nella generazione, è chiaro che esso può essere solo tra uomo e donna. Così Aristotele parla di «amicizia tra marito e moglie» e Musonio spiega che la potenzialità generativa del rapporto tra l'uomo e la donna, la loro distinzione-complementarietà, con la connessa attrazione reciproca, richiedono che il matrimonio possa essere solo tra un maschio e una femmina: «A quale scopo il demiurgo dell'uomo, da principio divise in due la nostra specie, poi fece duplici organi riproduttori, femminile e maschili, quindi instillò nell'uno un desiderio intenso per la compagnia e la comunanza [ ... ] Egli voleva che questi due vivessero insieme e si procurassero reciprocamente le cose della vita e insieme generassero e allevassero i figli, perché il nostro genere fosse perpetuo». 

In generale, il matrimonio romano - come ha rilevato una grande storica come Marta Sordi - è sempre stato monogamico e solo tra maschio e femmina. Perciò, quando Nerone, per due volte, convolò a nozze omosessuali venne duramente biasimato da Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Musonio dice inoltre che il matrimonio va protetto non solo perché è il fondamento della società civile ma anche perché è la chiave di volta della prosperità comune, cosicché chi colpisce l'istituto del matrimonio è un nemico del genere umano, e dice inoltre che va difesa la vita che in esso nasce e che i bambini dovrebbero nascere soltanto dentro il matrimonio: «Principio del fondamento di una famiglia è il matrimonio. Di conseguenza, colui che sottrae agli uomini il matrimonio elimina la famiglia, la città, tutto quanto il genere umano. Infatti, il genere umano non potrebbe sussistere in assenza di procreazione, né, in assenza di nozze, potrebbe sussistere la procreazione, almeno quella giusta e legittima». 

Si potrebbero poi citare le tesi con cui diversi autori non cristiani condannano la contraccezione: di nuovo Musonio, ma anche Seneca, Epitteto, Sesto (quest'ultimo un pitagorico, gli altri erano stoici, cfr. Ilaria Ramelli, e la relativa bibliografia scientifica, Etica sessuale: Stoici e Pitagorici prima dei cristiani, «il Timone», 76 [2008], pp. 26-27, reperibile su www.ilti­ mone.org). 
Da questa rassegna si colgono già diverse caratteristiche del matrimonio cristiano. Vediamole. 
 
Uomo-donna, apertura alla vita, fatto pubblico 

Abbiamo già detto che se un fine del matrimonio è la generazione, allora esso può riguardare solo l'uomo e la donna. Ciò è indicato anche dall'etimologia del termine matrimonio, che viene da «matris munus», cioè compito e dono della madre: ossia è quella istituzione dove la donna esercita il compito della madre e riceve il dono che è proprio della madre. Qual è per definizione il compito-dono della madre in quanto madre? È generare ed educare i figli. Ecco perché un matrimonio tra persone dello stesso sesso, in quanto strutturalmente infecondo, è una contraddizione in termini. 

L'amore coniugale è quello in cui è possibile la logica "1 + 1 =3": se l'atto sessuale è esercitato in modo veramente amorevole e non egoistico, esso è un dono, e può avere come conseguenza un ulteriore dono (divino), ovvero un nuovo essere umano, il figlio, che è il frutto della straordinaria dilatazione dell'amore delle due persone coinvolte. Ogni nuovo essere umano è unico e irripetibile, non c'è mai stato un essere in tutto e per tutto identico a lui, né mai ci sarà: anche se in futuro verrà realizzata la clonazione, il clone X della persona Y sarà pur sempre interiormente diverso. E ogni nuovo essere umano è più prezioso di tutte le opere d'arte della terra messe insieme. 

Così, se solo Dio crea dal nulla, l'uomo può però pro-creare, sia in senso biologico, sia in senso psicologico-spirituale, cioè mediante la crescita e l'educazione dei figli: i coniugi possono quindi essere prosecutori dell'opera iniziata da Dio, il loro amore può essere «in un certo senso, persino un compimento di ciò che ha avuto inizio con la creazione» (Joseph Pieper). 
Il fondamento teologico (ma in buona misura il seguente discorso lo può fare anche una filosofia metafisica) di quanto abbiamo detto è il rapporto tra la natura umana e quella di Dio: se già ogni singola persona è imago Dei, i coniugi che generano ed educano amorevolmente i figli lo diventano in modo eminente: «Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio [cfr. Gen 1,27] che è Amore [cfr. 1Gv 4,8; 1Gv 4,16]. Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1604). Dunque è imago Dei sia l'amore tra i coniugi, sia quello dei coniugi per i figli. Immagine di un Dio che è Trinità (e questo la filosofia non può dirlo, bensì può solo avvicinarsi a questo concetto), cioè comunione di persone. 

Certo, possono esserci delle valide e importanti ragioni (psicologiche, mediche, economiche, ecc.) che rendono giusto in un certo momento escludere dagli atti sessuali la possibilità della generazione di un figlio. In questi casi è eticamente giusto anche esercitare atti sessuali infecondi, cioè quelli che avvengono nel periodo del ciclo femminile in cui la donna non è fertile (sulla differenza tra questi atti sessuali e quelli con impiego di contraccettivi cfr. G. Samek Lodovici, Moralmente sbagliata anche per i laici, «il Timone», 112 [2012], pp. 39-41, reperibile su www.iltimone.org; a questo articolo rimando per una più ampia spiegazione delle ragioni del giudizio negativo sulla contraccezione). 

Sta di fatto che nell'atto del consenso del matrimonio cristiano i coniugi si promettono solennemente l'apertura alla vita, la disponibilità ad accogliere dei figli. Se due coniugi non hanno figli, il loro rapporto resta comunque un matrimonio: se un albero non produce frutti resta comunque un albero; però, per vari motivi, questo fine non è stato raggiunto (e ciò, a volte, è causa per i coniugi, di un grande e comprensibile dolore). Il loro matrimonio potrà essere fecondo in altri modi: nell'accoglienza agli amici, ai figli degli amici, ai sofferenti, nella dedizione al bene della società, ecc. 

Ovviamente, i bambini nascono anche fuori dal matrimonio, ma quest'ultimo è il luogo più idoneo, perché, ancorché oggi si sfasci spesso, è di gran lunga più stabile e più solido di tutte le altre forme di unione, come ho documentato altrove, dati alla mano (cfr. per esempio, G. Samek Lodovici, Genitori separati. I figli soffrono, «il Timone», 63 [2007], pp. 14-15, reperibile su www.iltimone.org e Idem, Matrimonio & divorzio, in T. Scandroglio (a cura di), Questioni di vita e di morte, Ares 2009, pp. 97-120). 
Da quanto già dicono gli autori precristiani citati all'inizio, si capisce inoltre che il matrimonio non è un fatto privato, bensì pubblico. È decisivo e cruciale per la società, per la sua continuazione e per la sua prosperità, dato che è il luogo migliore per la trasmissione della vita (senza cui la società si annichila) e per l'educazione dei nuovi esseri umani (senza cui la società si imbarbarisce). Anche qui dati alla mano (cfr. i miei due articoli poc'anzi citati), si deve rilevare che dove si sfasciano molti matrimoni aumentano spaventosamente le patologie psichiche, i suicidi, i costi sociali, i crimini. Per questo lo Stato dovrebbe favorirlo in tutti modi: altro che divorzio breve ... 
 
Indissolubilità e fedeltà 

Se il matrimonio cristiano è tra l'uomo e la donna, aperto alla vita, cioè disponibile ad accogliere figli ed è un fatto pubblico, l'indissolubilità e la fedeltà lo caratterizzano ulteriormente, anche qui anzitutto per ragioni naturali accessibili mediante la sola filosofia, e poi per motivi teologici. 
Nel momento del consenso gli sposi si impegnano, liberamente e consapevolmente, ad amarsi (cioè a volere e cercare il bene dell'altro: per una chiarificazione del concetto di amore cfr. l'articolo di Costanza Miriano in questo dossier) in modo esclusivo e fedele per tutta la vita, qualsiasi cosa accada: cioè anche se l'altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, anche se cambierà e diventerà completamente diverso, ecc. 
Qualsiasi cosa accada, vuoi dire che non c'è nulla di sopraggiunto al matrimonio che possa annullare il loro impegno solennissimo e irrevocabile.

È vero, ci possono essere delle giuste ragioni per separarsi (per esempio se ci sono minacce, percosse, ecc.), cioè smettere di coabitare; ma mai ragioni eticamente valide per il divorzio, perché quest'ultimo calpesta l'indissolubilità e la fedeltà (ho argomentato più estesamente le ragioni laiche dell'indissolubilità nei miei articoli già citati). Certo, se uno dei nubendi ha nascosto qualcosa di importante su di sé e/o se questo impegno è stato pronunciato per costrizione e/o senza sincerità e/o senza consapevolezza, allora il matrimonio non c'è mai stato ed è nullo fin dal principio: "nullo", non "annullato" come si dice spesso impropriamente, perché, se era valido, non è possibile annullarlo. 

E quanto alla sincerità e alla consapevolezza circa questo qualsiasi cosa accada, è probabile che oggi siano assai rare tra coloro che pur si sposano in chiesa. Il che vuoi dire che oggi moltissimi matrimoni (probabilmente in percentuale enorme ... ) sono di fatto nulli. Un'altra ragione della fedeltà è il bene dei figli: sia perché un primo e decisivo modo di amare i figli è amarsi tra genitori, creando un ambiente il più possibile irrorato dall'amore, di cui i figli si nutrono (infatti i bambini, fin da quando sono molto piccoli, soffrono quando percepiscono disaccordi e conflitti tra i loro genitori); sia perché un genitore infedele che ha figli da altre relazioni non può dedicarsi in modo pieno ai figli che ha generato.

Sul piano teologico, la motivazione più profonda dell'indissolubilità e della fedeltà si trova «nella fedeltà di Dio alla sua alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza»; e, ancora, «La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l'uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa» (Catechismo, nn. 1647 e 2365) .• 
 
Per saperne di più ... 

In aggiunta ai testi e articoli già citati sopra:
Ramon Garcia de Haro, Matrimonio e famiglia nei documenti del Magistero. Corso di teologia matrimoniale, Ares, 2000. 
Caterina Martinoli, La famiglia naturale. Garanzia istituzionale & diritto di libertà, Ares, 2009. 
Mario Palmaro, Matrimonio e famiglia, I Quaderni del Timone, 2007.
 
Il Timone - Settembre/Ottobre 2015 




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  La Comunione ai divorziati risposati?

di Giorgio Carbone

Ci sono casi in cui i divorziati possono fare la comunione, purché rispettino certe condizioni. Se non si astengono da relazioni sessuali, commettono adulterio. E la chiesa non può dare loro l’eucarestia. Non sarebbe fedele al suo Signore che ha condannato l’adulterio e insegnato l’indissolubità del matrimonio.


La Chiesa si sta preparando a celebrare due Sinodi sulla Famiglia: il primo sarà a ottobre 2014 e il secondo nel 2015. Durante il Concistoro del 20 febbraio scorso, il cardinal Walter Kasper ha tenuto una relazione sulla famiglia molto ampia e su molti aspetti. L'attenzione mediatica ed ecclesiale si è concentrata sulla sezione più lunga, dedicata al tema doloroso del fallimento dell'unione matrimoniale e alla pastorale verso le persone divorziate e risposate. Kasper presenta due casi ponendo delle domande al fine di approfondire le soluzioni pastorali. 

Chi è convinto che il suo matrimonio è nullo 

Primo caso: una persona è soggettivamente convinta che il matrimonio da cui proviene non è valido. Il Diritto canonico stabilisce che valutare se un matrimonio è valido o nullo compete ai tribunali ecclesiastici. Perciò Kasper domanda: "Non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali? In alternativa, si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale». 

Sotto questo aspetto teoricamente è tutto possibile: il modo del processo canonico e i tribunali ecclesiastici non sono di istituzione divina, ma sono istituzioni umane, elaborate dalla Chiesa nel corso della sua esperienza e quindi possono tranquillamente cambiare. Il processo canonico mira ad accertare la realtà circa l'esistenza o meno di un sacramento, di un matrimonio tra due presunti coniugi. La Chiesa potrà anche elaborare altri metodi di accertamento a condizione che assicurino un grado di garantismo processuale pari o superiore all'attuale sistema, e un'attenta ponderazione dei singoli casi. Però, Kasper invece ipotizza di affidare il giudizio a una singola persona. Ora, per quanto questa persona possa essere attenta, competente e pastoralmente preparata, l'ipotesi di Kasper sembra imprudente data anche la posta in gioco. Quanti abbagli si prendono quando si è soli a giudicare. La prudenza pastorale plurisecolare infatti chiede un organo di giudizio collegiale e non monocratico.


Il divorziato risposato in Comune e i sacramenti della confessione e dell'eucaristia
 

Secondo caso: è quello più delicato, perciò riportiamo le stesse parole con le quali Kasper pone la domanda: “ Un divorziato risposato:
1. se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio,
2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro,
3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile,
4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede,
5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento (metanoia), il sacramento della penitenza e della comunione? Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale”. 

Ora, questa situazione riguarda evidentemente i divorziati che hanno celebrato un valido matrimonio. Ebbene, già oggi i divorziati possono fare la comunione: 
- se hanno subito (dall'altro coniuge) e non voluto il divorzio e non sono risposati; 
- se hanno chiesto il divorzio, lo hanno confessato e non si sono risposati; 
- se sono risposati ma, con il nuovo "coniuge", decidono e riescono, negli anni, a vivere come fratello e sorella: è una cosa ardua, ma possibile, il desiderio dei sacramenti è così forte che inclina a vivere castamente. 
Ma Kasper invece parla della situazione dei divorziati risposati e questo caso ricorda un testo del magistero di Giovanni Paolo Il: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia.

C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Esortazione apostolica Familiaris Consortio, n. 84). 

Quindi, se i divorziati risposati sono nelle condizioni elencate da Kasper e se la condizione n. 4 consiste in quello che scrive Giovanni Paolo Il, cioè se « l'uomo e la donna, per seri motivi - quali ad es. l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi», allora possono essere ammessi ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. 

Ma se Kasper pone la domanda per approfondire significa almeno che la condizione n. 4 non consiste in quello che scrive Giovanni Paolo Il. Perciò pensiamo che il caso posto da Kasper riguardi divorziati risposati, che hanno motivi seri per convivere (ad es. l'esistenza di figli minori) e hanno tra loro rapporti sessuali.


Peccati veniali? 

Kasper fa riferimento alla dottrina del peccato veniale, come se volesse dire che questi rapporti sessuali tra divorziati risposati possano essere qualificati sì peccaminosi (perché adulterini), ma di tipo veniale. 
Ora, un peccato può essere oggettivamente grave e soggettivamente veniale per due cause: 1. perché l'avvertenza della mente non è piena (ad es. incolpevole mancanza di lucidità); 2. oppure perché manca, in tutto o in parte, il deliberato consenso della volontà. 

Quindi, un atto disordinato oggettivamente grave e quindi mortale può essere peccato veniale per quei difetti soggettivi che riguardano l'intelligenza o la volontà di chi agisce. Ora, nel nostro caso le due persone sanno perfettamente e vogliono lucidamente compiere atti adulterini. Quindi, non si può parlare di peccato veniale. Inoltre, le cinque condizioni elencate nel caso non potranno cambiare la qualità morale del rapporto sessuale tra due persone non sposate, e tale qualità morale resta sempre adulterio. 

Se la Chiesa assolvesse e ammettesse alla Eucaristia? 

Se la Chiesa assolvesse i divorziati risposati e desse loro l'Eucaristia, sarebbe ancora fedele al suo Signore che ha chiaramente condannato l'adulterio? E che ha chiaramente insegnato l'indissolubilità del matrimonio? 
L'assoluzione sacramentale comporta per sua natura che il penitente si proponga volontariamente di non peccare più e che ripari.
Ora, per i divorziati risposati: 

- il proposito di non peccare consiste nel non commettere più adulterio e dunque vivere castamente col coniuge sposato civilmente, se da esso non possono separarsi (cosa che avviene quando essi "per seri motivi - quali ad es. l'educazione dei figli ­ non possono soddisfare l'obbligo della separazione»); 
- e la riparazione consiste nel riprendere (se non ci sono motivi seri per non farlo) la convivenza con il coniuge del matrimonio sacramento. 

Poi, l'Eucaristia è sacramento visibile della comunione invisibile esistente tra chi riceve l'Eucaristia, Dio e la sua Chiesa. Questa comunione invisibile è garantita dalla stessa Chiesa. Ogni qual volta il fedele ha una condotta che oggettivamente contraddice la volontà di Dio, la Chiesa è obbligata, per fedeltà al suo Sposo e Signore, a riconoscere che non esiste comunione tra quel fedele e Dio. Ora, il divorziato risposato si trova proprio in questa condizione oggettiva. Per cui, finché non sceglie di cambiare vita, di cessare i rapporti adulterini, si preclude l'accesso all'assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica. 

Un percorso di conformazione a Cristo 

Il magistero pontificio più recente da un lato invita i sacerdoti a discernere con sapienza i singoli casi, e dall'altro offre alle persone divorziate risposate le vie della penitenza non sacramentale: "Con ferma fiducia la Chiesa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità» (Familiaris Consortio n. 84). 
Il non essere ammesso a un sacramento non è un'esclusione infamante, ma fa parte di un percorso di conformazione a Cristo che passa dalla rinuncia a un proprio modo di vedere i sacramenti, al modo con cui Cristo pensa ai sacramenti. È questa la metanoia, il cambiamento di pensiero a cui tutti siamo chiamati. Questa è l'autentica conversione: pensare come Cristo, avere lo stesso pensiero di Cristo, la sua stessa mentalità e il suo stesso sguardo sulle persone e le creature. 

La pastorale negligente 

Lo stesso cardinal Kasper ricorda un testo molto significativo: Agostino, La fede e le opere 19,35, il quale riferisce che alcuni vescovi sono stati negligenti verso gli adulteri. "Sembra che per i costumi dei cattivi cristiani, un tempo addirittura pessimi, non fosse un male il fatto che uomini sposassero la moglie di un altro o che donne sposassero il marito di un'altra, per questo forse si insinuò presso alcune chiese questa negligenza per cui nelle istruzioni ai richiedenti non si indagava né si riprovava [biasimava] su tali vizi. Così è avvenuto che si è incominciato anche a difenderli. Tali vizi tuttavia sono ancora rari nei battezzati, a meno che non li facciamo aumentare col trascurarli». Questo rischio di esser negligenti e di tacere è oggi reale: l'incidenza dell'adulterio in una popolazione aumenta quando non si rimprovera tale peccato, quando lo si trascura o anzi lo si difende. 

La soluzione lungimirante 

La patologia del matrimonio, drammatica e dolorosa, ci deve portare a riflettere sulla fisiologia del matrimonio. Come formiamo i giovani al matrimonio nella castità, nella conoscenza reciproca e sincera e nella comunione di preghiera e di impegni? Come formiamo gli sposi a radicarsi nella fede, nella speranza, nell'amore divino e nel desiderio di santità reciproca? 

da IlTimone


Ricorda 
I divorziati risposati “Sappiano […] che la Chiesa li ama, non è lontana da loro e soffre della loro situazione. I divorziati risposati sono e rimangono suoi membri” (Giovanni Paolo Il, Discorso ai partecipanti alla XIII assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 24 gennaio 1997). 

Per saperne di più ... 
Giovanni Paolo Il, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, 22 novembre 1981. 
Benedetto XVI, Discorso al Clero della Valle d'Aosta, 25 luglio 2005. 
carlo caffarra, Orientamenti pastorali per le situazioni matrimoniali irregolari, in particolare per i fedeli divorziati risposati, febbraio 2000. 
Carlo Caffarra, Da Bologna con amore: fermatevi, intervista di Matteo Matzuzzi, in il Foglio, 15 marzo 2014. 
Novello Pederzini, Conviventi, separati, divorziati, risposati e sacramenti, Edizioni Studio Domenicano, 2010. 

e non dimentichiamo le parole di Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis, laddove specifica:

“Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio…” (n.29)





[Modificato da Caterina63 14/09/2015 13:23]
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  I corsi di preparazione. Intervista a p. Maurizio Botta




I corsi di preparazione. Intervista a p. Maurizio Botta



 

 

Spesso sono un vero disastro. A chi intende sposarsi in chiesa bisogna dire che il matrimonio è un Sacramento per discepoli di Cristo: chi sa già che dopo, per esempio, non andrà più a Messa è meglio che lasci stare. E non è tempo perso parlare di castità e della immoralità della contraccezione: c'è chi cambia vita. Intervista a padre Maurizio Botta 

Li chiamano “corsi per fidanzati” , o ancora «corsi prematrimoniali» e troppo spesso finiscono per essere una delle tante voci da spuntare nella lista dei preparativi per le nozze. L'obiettivo per molte coppie resta quello di ottenere l'attestato di frequenza da presentare al parroco, eppure quanto sia cruciale questo momento di preparazione lo ha ribadito più volte san Giovanni Paolo Il che nel 1960, quando era ancora cardinale a Cracovia, ai giovani fidanzati diceva: «Attenti a ciò che fate! Tutto ciò non resta solo al livello dell'uomo, non è una questione solo umana. Se è un sacramento, è una cosa divina. Dio qui è chiamato a testimone, e non si può chiamare Dio a testimone invano». 
Sulla stessa linea si pone padre Maurizio Botta, giovane e appassionato oratoriano di San Filippo Neri, nonché vicario alla Parrocchia di Santa Maria in Vallicella a Roma che quando gli chiediamo di parlarci dei corsi prematrimoniali subito precisa: «Veramente io preferisco parlare di percorso in preparazione al Sacramento del matrimonio, è il Sacramento che bisogna mettere al centro. Quello della preparazione al matrimonio è un momento importantissimo per una cop­ pia: è carico di attesa ma anche denso di insicurezze, i futuri sposi hanno bisogno di qualcuno che li incoraggi e li conforti perché attorno c'è soltanto la desolazione, sia a livello mediatico che sociale è tutto un remare contro il matrimonio, ecco perché è importante far intravedere subito la grandezza del Sacramento che si apprestano a celebrare». 
 
Eppure anche tra i cattolici, ahinoi, a volte si tende a mettere in secondo piano proprio l'aspetto sacramentale del matrimonio ... 
«Purtroppo è vero, me ne rendo conto proprio durante questi corsi e, anzi, me ne rendo conto anche confrontandomi con coppie già sposate. Quando parlo del Sacramento del matrimonio vedo delle persone che rimangono a bocca aperta, uno stupore così grande che arrivano a dirmi "con questo incontro è cambiato il nostro modo di vivere il matrimonio, come se non fossimo mai stati sposati". Come è possibile? Aveva ragione Benedetto XVI, quando nel 2005, da poco eletto Papa, ad Aosta, rispose a braccio ad una domanda relativa alla questione dei divorziati e risposati dicendo che la mancanza di fede può essere una causa di nullità matrimoniale. Non parlava di fede intesa come sentimento, ma come comprensione autentica di quello che significa il Sacramento». 
 
Se però si è persa la dimensione sacramentale del matrimonio, allora forse dovremmo farci delle domande proprio su questi percorsi che forse non vanno in profondità. Come mai? 
«Come è facile immaginare, è un panorama a macchia di leopardo: ci sono delle realtà che lavorano molto bene e ci sono dei quadri desolanti. Spesso sento raccontare di percorsi strutturati su pochi incontri organizzati con alcune figure specifiche: lo psicologo, il sessuologo, l'avvocato, il facilitatore di coppia, alle quali magari poi si aggiunge anche un incontro con un taglio vagamente spirituale, ma se il corso si riduce a questo a parer mio non resta molto. lo a chi si vuole sposare dico questo: "il vostro amore, l'amore con cui vi presentate qui, può essere di buona o cattiva qualità, ma questo riguarda voi, io lì non ci entro. lo sono qui per dirvi che cosa lo Spirito Santo vi dona con questo Sacramento rispetto ad un matrimonio pubblico in comune che comunque a livello naturale rappresenta l'amore di un uomo e di una donna che vogliono progettare la loro vita insieme".
Ma soprattutto spiego alle coppie che il matrimonio è un Sacramento per discepoli, quindi sposarsi in Chiesa significa voler essere discepoli di Cristo, e lo dico chiaramente: se una persona sa già, nel proprio cuore, che dopo il matrimonio per esempio non andrà più a Messa è meglio che lasci stare. Se una persona invece dice sì, e desidera essere discepolo di Cristo, allora deve sapere che il comandamento è "amatevi come io vi ho amato".
È come se nel Sacramento ti venisse affidato il marito, o la moglie con questo comandamento "amalo come lo ho amato io". A questo punto tiro fuori il crocifisso e ribadisco il concetto: "Cristo vi dona lo Spirito per amare così, in croce, in modo irrevocabile e indissolubile, volete amare così? Sappiate che Dio ama un peccatore fino in fondo e non retrocede mai, così dovete fare anche voi".   
 
Nel mondo secolarizzato, nella società dell'individualismo e dell'edonismo, è ancora possibile parlare di castità e di apertura alla vita a chi sta per sposarsi? 
«Intendiamoci. Se non fossi convinto di quello che dico non lo direi, se non fossi convinto che è il meglio non lo proporrei mai. Parliamo della castità: io non mi immagino due fidanzati che vivono tranquillamente nella castità, come fratello e sorella, e stanno bene; se due stanno troppo bene nella castità evidentemente c'è qualcosa che non va.
Piuttosto io mi immagino una battaglia, un'avventura, per alcuni magari con qualche caduta, la confessione che aiuta a rialzarsi, mi immagino una sfida avvincente, che unisce! In questo caso spesso parlo principalmente alle donne perché sono loro che devono "alzare l'asticella": occorre mettere l'uomo alla prova, se ci si concede sempre e totalmente, l'uomo si abituerà a chi si concede sempre e cosa farà quest'uomo se domani un'altra gli si concederà? Saprà dire no? La sciocchezza più diffusa tra le ragazze oggi è quella che fa dire loro "Se io non faccio l'amore con lui, lui mi lascerà"; mi sembra che invece sia vero proprio l'opposto, si arriva spesso al corso prematrimoniale con un sacco di esperienze alle spalle che non mi sembra abbiano garantito longevità nei rapporti». 
 
E che cosa dire invece alle coppie che hanno già vissuto l'intimità durante il fidanzamento? O a chi magari convive o ha già dei figli? 
«Anche chi convive di fronte al matrimonio si porta dentro una domanda: è davvero questa la persona che Dio mi sta dando? Allora a queste coppie dico questo: "Se non avete vissuto la castità prima della convivenza, regalati la certezza che sia Dio a donarti questa persona. Vuoi avere la prova? Se tu con la preghiera riesci a vivere la castità fino al giorno del matrimonio, allora hai la certezza che è fatta per te, perché il Signore ti mette in grado di vivere con lei o lui una cosa che per il mondo è impossibile".
Ed è straordinario vedere come reagiscono a questa proposta, innanzitutto rimangono ad ascoltare attentissimi, perché riconoscono la verità. Poi mi accorgo che ascoltano molto più di quanto noi sacerdoti pensiamo: ad esempio, una volta parlavo con una coppia convinto che loro non avessero accolto il mio invito a vivere la castità prematrimoniale, ed è stata lei a confermarmi ad un certo punto che non solo avevano ascoltato ma che stavano anche sperimentando questa avventura. Ecco, io penso che a volte a noi manca il coraggio di porre certe sfide e di evangelizzare come invece faceva Gesù». 
 
Come può far breccia questo discorso in un mondo che dice esattamente l'opposto, in cui il sesso è declinato in tutte le salse, anche con i contraccettivi, e soprattutto è considerato irrinunciabile? 
«Credo che occorra sempre tornare alla verità, io in questo forse spiazzo, perché non mi vergogno. Quando una donna fa l'amore, dice all'uomo: "Sono tua completamente, senza difesa", usare il preservativo invece significa mettere una barriera, senza contare che toglie il piacere, basta pensare al momento in cui lo si indossa per capire che è proprio il contrario di un momento intimo e bello. Inoltre, quando la donna è feconda è per lei il momento massimo del desiderio, questa è semplice biologia.
Allora io dico ai fidanzati: guardate come Dio ha creato questa meraviglia. Dio ha legato il piacere più grande all'unione tra un uomo e una donna e anche al momento in cui c'è l'apertura alla vita. Mettere un ostacolo non ha nulla di naturale, e nemmeno di bello, negarlo significa dire una bugia.
Non faccio altro che partire dalla ragione, glielo spiego in questo modo, e chiunque fa l'amore usando il preservativo o altro sa benissimo che vive quei momenti con uno stato di ansia, e che questo disturba l'unione, quindi si rende immediatamente conto che quello che sto dicendo è vero». 
 
Che cosa resta agli sposi alla fine del percorso di preparazione? 
«La mia proposta di percorso analizza il rito del matrimonio pezzettino per pezzettino, lo svisceriamo in modo che gli sposi il giorno nelle nozze siano consapevoli di quello che stanno vivendo. Per esempio il crocifisso, non solo ne parlo nel corso, all'omelia lo indico e richiedo: "Allora, siete sicuri? Volete amarvi proprio così?". Questo stesso crocifisso lo ritiro fuori quando la coppia viene a dirmi che c'è la crisi, la difficoltà, io attraverso il crocifisso li riporto a chiedere la grazia del matrimonio, li riporto a quella domanda: ma tu vuoi essere un discepolo di Cristo?». 
In sostanza chiede agli sposi se sono pronti a morire per la persona che hanno accanto? 
«Il punto centrale è sempre l'identità di Cristo, e io sono schietto: o Cristo è Dio, o Cristo è un matto. Se tu ci credi, e vuoi essere suo discepolo, quando sei in fila per la Comunione, riferendoti al tuo sposo o alla tua sposa devi dire: "Voglio amarlo come lo ami Tu", quindi significa che credi che quello sia il ' corpo di Cristo e allora io ti domando ancora: davvero vuoi amarlo così? Fino a farti mangiare? Questo è il cuore del matrimonio" .•
 
Il Timone - Settembre/ottobre 2014



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  «Permesso, scusa, grazie»




«Permesso, scusa, grazie»



 

 

Tre paroline che non devono mai mancare in una famiglia, dice papa Francesco, per custodirla nell'amore e nell'unità. Perché il matrimonio è un lavoro certosino e quotidiano, un' pera d'arte eroica e maestosa, ben più di una cattedrale 

Fondamentalmente è colpa di Cenerentola. Ci ha fregati un po' tutti il finale delle fiabe. Non che lo si dica apertamente, ma in qualche modo i finaloni romantici lasciano intendere che si viva automaticamente felici e contenti, dopo il bacio, dopo le nozze, come per un diritto misteriosamente acquisito tagliando la torta nuziale, e da lì in poi fermamente inalienabile. Il matrimonio invece è un lavoro certosino e quotidiano, un'opera d'arte eroica e maestosa, ben più di una cattedrale, perché quella, magari anche dopo mille anni, va in rovina, e si sbriciola e si perde nel­ la polvere, mentre le vite che nascono da una famiglia sono chiamate all'eternità, e allora quello scolpire, quel cesellare, quel rifinire che tanta fatica può costare non sarà perso mai, mai si sbriciolerà in polvere. 
 
Stare insieme è un lavoro quotidiano 
Il Papa, invitandoci (per esempio il 26 ottobre e il 29 dicembre 2013, il 14 febbraio e il 2 aprile 2014) a usare le parole "permesso, grazie, scusa", ha ricordato essenzialmente questo. Stare insieme è un lavoro quotidiano, che richiede la massima attenzione. «Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. "Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?", col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l'amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l'ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte - io dico - volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace». 
Ovviamente non è un discorso di forma, e ancor più ovviamente non si riduce a questo l'attenzione per il marito e per la moglie. Semplicemente il Papa ha voluto scegliere parole facili da tenere a mente, ma per significare che l'amore tra due coniugi quasi mai è una facile gratuita spontanea simbiosi, ed è invece molto più il frutto di una scelta, di una dedizione, di un impegno volontario, consapevole, quotidiano. Una lotta di trincea, un conquistare centimetro per centimetro, per smussare angoli, strappare sorrisi, scartavetrare superfici scabrose.  
 
L'amore non è un'emozione 
Credo che mai come oggi la Chiesa abbia un compito profetico: annunciare all'uomo la verità su se stesso. Lo ha sempre fatto, e sempre lo farà, ma in passato molto spesso il suo annuncio è stato più vicino al sentire comune. Oggi invece l'idea di uomo che il cristianesimo propone è lontana anni luce da quella della cultura del mainstream, per così dire. In particolare per quanto riguarda la sfera dei sentimenti. La catechesi che il mondo fa sull'amore è lontana anni luce dalla verità: l'amore come una facile corrispondenza che soddisfi e solleciti la nostra emotività, qualcosa che viene gratuitamente, da assecondare, qualcosa che quando manca, beh, pazienza, devi avere il coraggio di seguire te stesso e lasciare una situazione che non ti gratifica più, e peccato se ci sono dei bambini che soffrono. . 

È rimasta solo la Chiesa a dirlo 
È rimasta solo la Chiesa a dire la verità, cioè che amare è anche difficile, a volte è faticoso, è bello ma non sempre semplice, e che l'amore vero ha poco a che fare col batticuore, col desiderio di conquista, con l'agognare qualcuno di irraggiungi bile (tutti i film romantici altro non sono che questo). È rimasta solo la Chiesa ad annunciare che il matrimonio non è il posto dove ci si riposa (diciamo, non prevalentemente, perché è comunque auspicabile in ogni nucleo una dotazione di base minima di divano, letture rilassanti, tavoletta di cioccolata e altri generi di conforto), ma il luogo al quale dedicare il meglio delle proprie energie. 
Vietati dunque i "vestiti da casa", solo l'idea mi fa rabbrividire: avere una tuta informe e magari la maglietta bucata o macchiata da tenere in casa certifica l'idea che fuori ci si presenti al meglio, mentre tra le mura domestiche si possa dare libero sfogo ai nostri lati peggiori, perché «tanto ormai" lui o lei ci hanno presi, e quindi alla fine ci terranno, in qualunque modo ci metteremo. Il vestito da casa non è che la rappresentazione concreta di un atteggiamento, dell'idea che non dobbiamo più sforzarci di piacere all'altro. E invece essere sposati dovrebbe essere un continuo chiedersi "come posso fare quello che piace a mia moglie, a mio marito? Come posso fare il suo vero bene, ma anche come posso semplicemente rendergli o renderle la giornata più allegra, la casa un posto più piacevole? Come posso rendere a lui, a lei l'idea di tornare da me almeno leggermente più allettante di una riunione condominiale?". 
 
Il Vangelo: da praticare anzitutto a casa propria 
A volte anche noi sposi cristiani facciamo errori grossolani, magari a causa dell'abitudine, o della distrazione, e ci dimentichiamo che il primo posto nel quale vivere e sperimentare e mettere in pratica il Vangelo è casa nostra. Perché certo amare il povero, il bisognoso di cui magari non conosciamo i difetti può anche venire facile. Ma amare quella persona di cui vediamo i limiti - che sono diversi dai nostri ma ne hanno sicuramente lo stesso peso specifico - ci costa di più, magari per quello stupido difetto che in quel momento ci fa venire i nervi. E amare quello che ci è più vicino ci sembra anche meno gratificante, perché in qualche modo lo sentiamo come un atto dovuto. 
È rimasta solo la Chiesa ad annunciare che invece quella che stiamo facendo ogni volta che chiediamo scusa, magari chiedendolo per primi, è un'opera d'arte. Ogni volta che chiediamo permesso prima di fare qualcosa, ogni volta che diciamo grazie non dimenticando che nulla di quello che riceviamo è scontato, né dovuto. 
E usare queste tre parole significa anche che si sta parlando, che non ci si è chiusi in un silenzio non belligerante forse più triste del litigio, che non si è smesso di guardare al rapporto con l'altro con gli occhi della speranza. 
 
Alla Fonte dell'amore 
È vero, a volte questo costa, ma solo Cenerentola può ancora credere che l'amore non passi per la croce. L'unica fonte del vero amore è Dio, noi da soli non siamo capaci di amore, cioè di fare disinteressatamente il bene dell'altro, e Lui ce l'ha fatto vedere chiaramente cosa significhi amare: dare la vita per l'altro. Sennò avrebbe semplicemente invitato i discepoli a cena, avrebbe bevuto e scherzato con loro, poi se ne sarebbe tornato a casa sua, invece li amò fino alla morte, e alla morte di croce. Anche a noi è chiesto questo, sebbene spesso i nostri martiri i siano ben più risibili e ben meno dolorosi: che so, sorridere a una suocera, accogliere un invito a cena al quale preferiremmo una trapanata del dentista senza anestesia, raccogliere da terra roba abbandonata non da noi in una precedente era geologica, fingere che la frittata alle zucchine sia buonissima anche se ha un pizzico di sale di troppo, ma non importa, basterà bere ininterrottamente tutta la notte, dire grazie per quel figlio ripreso da calcio (le prime volte la cosa desterà un po' di stupore, o forse ingenererà anche qualche malore per lo choc, visto che magari sono dieci anni che il padre va a prendere figli in giro per la città senza che nessuno mai si sia sognato di ringraziarlo), per la spesa fatta, per la cena cucinata, per la lampadina cambiata ...• 

Ricorda 
“Nella vita facciamo tanti errori, tanti sbagli. Li facciamo tutti. [ … ]. Ecco allora la necessità di usare questa semplice parola: "scusa". In genere ciascuno di noi è pronto ad accusare l'altro e a giustificare se stesso. […]. Impariamo a riconoscere i nostri errori e a chiedere scusa. "Scusa se oggi ho alzato la voce"; "scusa se sono passato senza salutare"; "scusa se ho fatto tardi", "se questa settimana sono stato così silenzioso", "se ho parlato troppo senza ascoltare mai"; "scusa mi sono dimenticato"; "scusa ero arrabbiato e me la sono presa con te" […] Tanti "scusa" al giorno noi possiamo dire. Anche così cresce una famiglia cristiana. Sappiamo tutti che non esiste la famiglia perfetta, e neppure il marito perfetto, o la moglie perfetta. Non parliamo della suocera perfetta […] Esistiamo noi, peccatori. Gesù, che cl conosce bene, ci insegna un segreto: non finire mai una giornata senza chiedersi perdono, senza che la pace torni nella nostra casa, nella nostra famiglia” (Francesco, Discorso del santo padre Francesco ai fidanzati che si preparano al matrimonio,14 febbraio 2014, reperibile su www.vatican.va) 
 
Per saperne di più... 
Mariolina Ceriotti Migliarese, La coppia imperfetta. Come trasformare i difetti in ingredienti dell'amore, Ares, 2012. 
Tomas Melendo Granados, Otto lezioni sull'amore umano, Ares, 2008
Francesco, Discorso del santo padre Francesco ai fidanzati che si preparano al matrimonio, 14 febbraio 2014.
 
Il Timone - Settembre/Ottobre 2014 





Chi aiuta gli sposi?

 
 
 
Fino a pochi anni fa, la famiglia veniva data per scontata, quasi come l'acqua o l'aria. C'era, semplicemente. Da lì si passava, inevitabilmente, lamentandosi magari, ma senza metterla troppo in discussione, anzi. E la stessa cosa valeva per il matrimonio che è all'origine della famiglia. Certo, le basi teoriche per spiegare il grave pericolo che sta attraversando la famiglia oggi esistevano da molto tempo: dal testo del padre del marxismo Friedrich Engels (1820-1895) dove viene teorizzato il superamento della famiglia, al femminismo radicale di Margaret Sanger (1879-1966). Mancava l'occasione perché queste idee sostenute da piccole minoranze diventassero di massa. Ci voleva una rivoluzione culturale e venne il Sessantotto, con i suoi miti e le sue icone ostili alla famiglia, con Simone de Beauvoir (1905- 1986) e il "suo" Sartre, con la rivoluzione sessuale, il divorzio e l'aborto. 

Da quell'anno la malattia entrò dentro le famiglie, colpendo i rapporti fra i genitori e fra questi e i figli. Non si trattava più soltanto di un'ideologia professata da alcuni, ma di un virus che tutti cominciarono a respirare, anche coloro che credevano nel valore della famiglia fondata sul matrimonio indissolubile, e anche coloro che amavano profondamente la loro famiglia. Anche costoro sentirono quel virus penetrare nei rapporti di coppia, nelle relazioni con i figli, perché la coppia e i figli vivono in quella società infettata da questo virus. Infine, quest'ultimo ha trovato nel 1994 e nel 1995 il sostegno dell'Onu, come ha denunciato in modo drammatico san Giovanni Paolo Il nell'Angelus del 29 maggio 1994, quando ha messo in campo il vangelo della sofferenza di fronte ai «potenti del mondo», la "sua sofferenza" (era reduce da un nuovo ricovero di quattro settimane all'ospedale Gemelli): «Perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c'è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie». 

La cura della malattia, così, non poteva più essere soltanto sul piano della dottrina, per ricordare le ragioni della famiglia e del matrimonio, la verità e la bellezza del loro esistere. Certo, anche questo, e tutti abbiamo ascoltato in questi decenni l'insegnamento della Chiesa diventare sempre più ricco di spiegazioni sul perché della famiglia nel piano di Dio, passando attraverso la spiegazione delle ragioni morali ma anche e soprattutto cercando di mostrarne la verità e la bellezza. Ma, contemporaneamente, in gran parte proprio dall'esperienza della fede cristiana nascevano realtà associative che si piegavano sulle ferite della famiglia, facendosene carico come il buon Samaritano. Ognuna con la propria specificità, queste associazioni hanno prevalentemente lo scopo di prevenire la crisi e di curarla appena si presenta. 

Ne segnaliamo alcune, senza pretesa di completezza, chiedendo scusa a chi abbiamo dimenticato perché a noi sconosciuto e anche per la sinteticità delle informazioni. 

Cominciamo da una realtà recente, che ispira una grande simpatia per la generosità e la profondità che manifesta. Si tratta della "Fondazione Cenacoli di Maria", con sede principale a Ischia, nata per aiutare le famiglie attraverso la figura di Maria, per mezzo della preghiera anche comunitaria, ogni primo sabato del mese, ma anche attraverso la testimonianza e la parola, che esprimono la ragionevolezza della fede e della famiglia. Sul loro sito www.cenacolidimaria.it potrete trovare ulteriori informazioni. 

In qualche modo collegato, è il "Centro familiare Casa della tenerezza" (www.casadellatenerezza.it ), con sede a Perugia, fondato da mons. Carlo Rocchetta. Si tratta di comunità di fedeli che aiutano le coppie in difficoltà, promuovendo incontri per coppie, consacrati, singoli al fine di mostrare la tenerezza del Padre e la maternità della Chiesa verso chi ne ha bisogno, compresi i figli tra i sei e gli undici anni di genitori separati o divorziati, allo scopo di aiutarli a vivere questa difficile condizione. 

Un'altra realtà presente in Italia da 35 anni è l'Oeffe, "Orientamento familiare", che fa parte dell'IFFP, l'lnternational family foundation developement, e ha come scopo sostenere le famiglie interessate alla loro serenità attraverso corsi, seminari e incontri culturali che favoriscano l'acquisizione di una "mentalità professionale" da parte dei geni­ tori (www.famigliaok.it). 

Segnaliamo anche "Retrouvaille, un'esperienza cristiana", una comunità internazionale di aiuto alle coppie in crisi per salvare il matrimonio (www.retrouvaille.it) e "Incontro Matrimoniale", che nasce a Barcellona negli Anni Cinquanta e arriva in Italia nel 1978, quando viene organizzato il primo week end di formazione, dove agli sposi presenti viene raccomandata la grandezza del loro matrimonio attraverso una particolare rivalutazione del sacramento e del progetto di Dio sulla coppia (www.incontromatrimoniale.org) .•
 
Il Timone - Settembre/Ottobre 2014 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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