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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Chi si vergognerà di me anche io mi vergognerò di lui, parola di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2018 08:53
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  Condizioni per seguire Gesù:

«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.....
Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?
E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi»
(Mc.8,34-38)

... sta accadendo, e non da oggi ma almeno negli ultimi 50 anni, che un certo clero gerarchico si sta vergognando di Nostro Signore Gesù Cristo. Certo, non lo fa pubblicamente, ma lo fa subdolamente come solo il demonio sa fare, il re della menzogna è maestro in questo....
Ci troviamo davanti ad omelie e frasi di Vescovi atte a reinterpretare quelle pagine della Scrittua nelle quali Dio parla chiaramente contro i vizi e il peccato degli uomini.
Non pochi vescovi oggi sentono il bisogno di SCUSARSI con gli uomini se Dio ha usato parole dure e forti contro i loro vizi, e così tentano di aggirare ciò che per loro è diventato l'ostacolo di una pace effimera: aggirare la Parola di Dio, giustificarla modificandone l'interpretazione. E questo si chiama VERGOGNARSI di Cristo.....



Un prete in Irlanda ha detto che dietro la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso c’è il diavolo. Il suo vescovo si scusa. Purtroppo non c’è nessuna registrazione della frase, pronunciata, sembra, durante un’omelia.
 
 
10/10/2015
 

Un prete in Irlanda ha detto che dietro la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso c’è il diavolo. Il suo vescovo si scusa. Purtroppo non c’è nessuna registrazione della frase, pronunciata, sembra, durante un’omelia.   

A quanto pare il sacerdote avrebbe detto, a proposito del referendum sul matrimonio nell'isola, che c’è “evidenza che il demonio sta lavorando in Irlanda”. Così, almen,o sono state riportate le sue parole. E tanto è bastato perché padre Joseph Okere si sia trovato al centro di una tempesta mediatica montata dagli attivisti LGBT.  

Il vescovo di Ardagh, Francis Duffy, invece di difendere il suo sacerdote si è espresso così: “Sono stati fatti dei commenti sul referendum recente sul matrimonio mentre si rfiletteva sulla Lettura delle Scritture del giorno, che avevano al loro centro il tema del matrimonio. Il linguaggio usato ha fatto sì che qualcuno si sentisse offeso. Padre Joseph non intendeva ferire nessuno ed è spiacente per questo. Anch’io mi scuso se c’è stata insensibilità”.  

Non è il solo caso del genere: anche un altro sacerdote, ordinato di recente, padre Tom Doherty, si è trovato di fronte a una situazione analoga, e ha dovuto fronteggiare attacchi molto forti per avere espresso opinioni analoghe a quelle di Oreke.  

Ma la cosa che colpisce, nelle scuse del vescovo, è che in realtà padre Oreke esprimeva lo stesso concetto pronunciato da papa Francesco, che parlando di matrimonio omosessuale prima di diventare Papa scriveva: “Non è semplicemente una lotta politica, ma il tentativo di distruggere il disegno di Dio”, e definiva il deisegno di legge poi approvato in Argentina una “mossa del padre della menzogna, che cerca di confondere e ingannare i figli di Dio”. 

Se anche i vescovi si dimenticano del Papa (e lasciamo perdere le Scritture) la Chiesa è messa proprio bene…



 Settimo Cielo di Sandro Magister


 

Sinodo e omosessualità. Quel versetto biblico saltato dalla "Laudato si'"




bibbia

Nel rileggere anche l'enciclica "Laudato si'" per ben prepararsi all'imminente sinodo sulla famiglia, a qualche padre sinodale è caduto l'occhio su una curiosa omissione.


Nel capitolo secondo dell'enciclica, quello che è intitolato "Il Vangelo della creazione" e comincia col chiedere timidamente al lettore: "Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?", papa Francesco comincia col ricordare la creazione dell'uomo e della donna "a immagine e somiglianza di Dio", prosegue con l'affidamento fatto da Dio all'uomo di tutti gli altri esseri creati, e poco più avanti, nel paragrafo 68, scrive:


"Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché 'al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà' (Salmo 148, 5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi".


Per avvalorare questo rispetto delle leggi della natura il papa cita a questo punto un brano del Deuteronomio:


"Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti [...]. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli".


Il brano è tratto dal capitolo 22, versetti 4 e 6 del quinto libro della Torah. Ma come segnalano i puntini entro la parentesi quadra, con l'omissione di un passaggio, che corrisponde al versetto 5.


Ebbene, che cosa dice il versetto, anzi, il precetto del Deuteronomio saltato dall'enciclica "Laudatio si'"?

Dice qualcosa di molto politicamente scorretto:

"La donna non si metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da donna; perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore tuo Dio".


Qualche padre sinodale se l'è segnato sul taccuino, per quando la discussione arriverà al capitolo omosessualità.



 


[Modificato da Caterina63 12/10/2015 09:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IL GESUITA FRANCESCO E IL PAPA BERGOGLIO


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Francesco resterà Simone o diventerà Pietro?

Abbiamo trovato un articolo davvero interessante suilsismografo-blog – vedi qui –

L’autore dell’articolo, a firma di Luis Badilla, indica dei punti convergenti essenziali a determinare sia la figura del Pontefice regnante (è il Papa), quanto il carattere che sottolinea la sua specificità nel regnare (è gesuita-latinoamericano).

In questo quadro Luis sottolinea che:  “Far diventare però questi due connotati del Papa (è un gesuita e latinoamericano, ndr) una specie di “assoluti” da sbandierare a ogni piè sospinto sta diventando controproducente e forse sarebbe il caso di riflettere su alcune osservazioni che si sentono sempre più spesso…”

In linea generale siamo d’accordo con quanto evidenziato da Badilla, dove però non possiamo convergere sono ulteriori appunti che riteniamo utili riportare e che Luis non menziona nel suo articolo.

Cliccare per ingrandire

1) È vero, il Papa è un ruolo ed una istituzione “universale” e quando un cardinale viene eletto a quel Soglio solitamente si “DISTINGUE” (non separare o dividere, usiamo bene i termini)… si distingue da ciò che era (cardinale Bergoglio) per assumere il nuovo ruolo (Papa Francesco) che è di Vescovo di Roma senza alcun dubbio e Pontefice della Chiesa universale (=cattolica), “Servus Servorum Dei”, servo dei servi di Dio,  uno dei titoli propri del Papa.

Questo è quanto accade “solitamente” appunto, quanto è accaduto in questi duemila anni. Ma oggi non è più così.

E quando Luis scrive: “Francesco resta e resterà per sempre “gesuita e latinoamericano”, ma se questo viene presentato, enfatizzato, sbandierato come una litania da formulario finisce per ingabbiare proprio chi – appunto, il Pontefice – non può né deve essere mai ingabbiato…”,

  • egli dimentica che è stato Bergoglio a non voler fare questa “distinzione” con ciò che era prima…. (che poi lo scettro del potere lo ha preso e lo usa eccome!);
  • è Bergoglio che ha voluto enfatizzare questa realtà e dalla quale non vuole affatto “essere distinto” da ciò che era.

Tanto per citare qualche sua espressione chiara:

  • sull’aereo di ritorno dal Brasile – ne abbiamo parlato qui – quando il giornalista gli chiese quanto si sentisse FRANCESCANO, Bergoglio quasi risentito rispose d’impeto:

“Francesco francescano? No! sono gesuita, la penso come gesuita….”

Per fare un altro esempio concreto (non un paragone, mi raccomando, erano anche epoche diverse), storico e reale: quando fu eletto Papa Michele Ghilsieri che era un frate domenicano, nel diventare Pio V divenne davvero “universale” seppur scelse di rimanere con la bianca tonaca che portava.

Quindi come vediamo, un Papa eletto da un Ordine religioso mantiene – giustamente – sempre qualcosa di identificativo all’Ordine che lo ha formato. Ma oggi pochi sanno che il famoso San Pio V era un domenicano e tutti lo ricordano per la Messa il cui Messale da lui confermato porta ancora il suo nome ed è usato nella Messa – erroneamente detta – tridentina, quella che Benedetto XVI ha fatto diventare, riabilitandola, forma “straordinaria”; inoltre è ricordato per la Battaglia di Lepanto, per il Rosario, ecc..

Insomma, non erano certo questioni di cui san Pio V avesse preparato prima gli scenari e promosso come programma, qui sta la differenza di quanto sta avvenendo invece con il primo Papa gesuita della Chiesa.

Quando nella prima intervista ufficiale a padre Spadaro di Civiltà Cattolica disse: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso»,

Tutto ciò è vero, bello e pure poetico, ma si dimentica il detto che il medico pietoso fa imputridire la piaga!

Ossia, se in questo ospedale da campo ti viene un diabetico con una crisi di insulina, non è affatto inutile chiedergli “come sta la glicemia”? e non è inutile misurare gli zuccheri, e devi intervenire subito altrimenti lo perdi, ti muore tra le braccia.

Ci sono ferite e ferite: con alcuni feriti hai il tempo di amoreggiare, hai il tempo per mettergli due cerotti, ma in altri casi devi intervenire con il bisturi o con le iniezioni pesanti, anche con le flebo, e persino con drenaggi o le dialisi, altrimenti lo perdi.

Se san Pio V avesse ragionato come Francesco oggi, nel fronteggiare la battaglia di Lepanto, probabilmente, oggi, saremo stati tutti musulmani!

E non è un caso se abbiamo portato come esempio storico proprio San Pio V.

Quindi è Papa Francesco che ha deciso di “ingabbiarsi” e di rimanere ciò che era spostandosi solo di diocesi.

E qui andiamo al punto due dell’articolo di Louis.

2) Scrive Luis: “il Papa non guida la Chiesa in quanto gesuita e latinoamericano. Non sono i gesuiti e tantomeno l’America Latina a guidare la Chiesa. Dare quest’immagine non solo non è esatto ma è anche dannoso per la vita della Chiesa e dello stesso pontificato…”

ah! no?! In questo Sinodo doveva scegliere un superiore religioso per rappresentare gli Ordini religiosi e ne aveva tanti tra cui scegliere, senza consultarsi ha scelto il generale dei gesuiti…. una coincidenza?

Il suo fiduciario per le comunicazione è un gesuita, altra coincidenza

Latino-americani e gesuiti sono entrati in massa nei Dicasteri e nelle Congregazioni, e nella Curia romana e a Santa Marta, altra coincidenza?

Il Papa, quello “universale”, vanta due teologi detti della “Casa Pontificia” che per tradizione sono un francescano e un domenicano e che attualmente sono gli stessi dai tempi di Giovanni Paolo II, lui, Bergoglio, si è portato il suo teologo personale, naturalmente argentino… altra coincidenza?

Non è solo una immagine o una coincidenza dietro l’altra, è molto di più…. sono fatti reali e concreti che fanno dire senza dubbio che il Papa sta governando come gesuita e come latino-americano.

A un anno dalla elezione qualche vaticanista oltreoceano faceva notare che Bergoglio stava trasformando la Curia romana in una succursale di Buenos Aires e che il Papa dimostrava di trattare le periferie romane come le favelas argentine…. e fa quello che faceva in Argentina: andava a far visita, ma senza cambiare nulla.

Andiamo al punto tre.

3) Dice Luis: “È chiaro, e vi sono molti momenti del pontificato che lo evidenziano, che Francesco ci tiene al suo essere gesuita e latinoamericano, come altri Papi ci tenevano ad essere europei…”

Verissimo, gli diamo ragione, basti ricordare il pontificato di Wojtyla, Giovanni Paolo II, intessuto per molti anni sui problemi della sua Polonia, la nascita stessa di Solidarność ci rammenta questo e tuttavia gli interessi di questi Pontefici non erano legati alla loro immagine  o ad una loro personale “immagine di chiesa”. Ciò che separa questo pontificato dagli altri è proprio il progetto e il programma di una “nuova immagine di Chiesa” costruita sulle proprie aspirazioni e progettazioni.

Quando alla prima udienza pubblica ai giornalisti disse con tono laconico: “”quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, aveva davanti a se probabilmente la chiesa di Buenos Aires, o comunque aveva una immagine falsata della Chiesa di Cristo la quale è sempre stata “povera”, o almeno avrebbe dovuto specificare di quale “chiesa” parlava. E invece no!

Aveva le idee chiarissime, non parlava della Chiesa-Sposa di Cristo, ma della Chiesa militante (per lui sono due cose separate: la prima è quella gerarchica e santa e non si tocca, la seconda è quella fatta dalla PASTORALE e dalla dottrina).

Tanto è vero che la maggioranza dei giornalisti presenti solo dopo qualche tempo capirono di aver capito male e che il Papa non intendeva affatto “svendere i tesori della Chiesa” nella sua esteriorità monumentale e storica, ma povera nella dottrina e nella pastorale semplice… spogliarsi della magistralità della Chiesa bimillenaria per presentarsi come poveri preti di strada, tutti missionari semplici e pronti a curare le ferite, senza medicarle ovviamente, e questo è sempre stato un pensiero gesuitico che molti non hanno ancora capito.

È Papa Francesco che si “colloca” in una posizione ridotta, o meglio, orizzontale andando ad annullare poco a poco, il tratto verticale, trascendente infatti, basta vedere le cronistorie dei suoi ultimi viaggi, è sparita l’Adorazione Eucaristica negli incontri con i giovani durante le Visite apostoliche del Papa, è scomparsa la visita del Papa in ginocchio davanti al Santissimo, è sparita anche la presenza stessa del Papa nell’unica Processione pubblica rimasta, quella del Corpus Domini… più spoliazione di questa e più riduzionismo di questo, che si cerca?

Infine il punto quattro.

4) Dice Luis: “Il Papa è una forza gigantesca di fede, libertà e parresia, riconosciuta dai suoi critici più feroci, come non si vedeva da molti anni non solo nella Chiesa cattolica….”

Verissimo e concordiamo, ma riflettiamo un attimo.

Se i critici più agguerriti dei Papi precedenti, riconosco a questo Papa ” libertà e parresia (parresia: ciò che viene detto), come non si vedeva da molti anni nella Chiesa cattolica…”, e non si sono convertiti ma anzi vanno dicendo che questo Papa appoggia le unioni gay, anzi li vede e li abbraccia tranquillizzandoli nel loro stato di peccato mortale, è evidente che qualcosa non funziona e che i conti non tornano!

È vero che i Media fanno trapelare quel che vogliono, ed è vero che fanno dire al Papa ciò che non ha detto, ma è anche vero che ogni menzogna mantiene sempre un fondamento di verità o che comunque dai fatti reali si scatenano poi anche delle menzogne.

Ad ogni modo se questo Papa “piace” ai nemici della Dottrina di Cristo e del Vangelo, nemici dei dieci comandamenti, nemici della Famiglia naturalmente intesa, è evidente che è il Papa – volente o non volente – a seminare confusioni ed ambiguità.

Se questo Papa “è una forza gigantesca di fede, libertà e parresia riconosciuta dai suoi critici più feroci….” perché non ha funzionato anche con San Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI? Perché non ha funzionato con il beato Paolo VI?

Forse che gli altri Papi non erano di una “forza gigantesca di fede, libertà e parresia…”?

Che questo Papa abbia in sè un “carisma” eccezionale come lo descrive Luis: ” di farsi ascoltare da tutti senza intermediari…” occorre chiedersi perché la Chiesa continua a precipitare nel baratro anziché risollevarsi da quella gravissima apostasia denunciata già da Paolo VI, e poi da Giovanni Paolo II e poi da Benedetto XVI.

Certo, questo Papa “carismatico” potrebbe senza dubbio esser stato già utile per far emergere del tutto l’apostasia e i vescovi e cardinali apostati che fino a tre anni fa tacevano delle loro idee pervertite ed ora sono usciti allo scoperto, ma non è un problema che viene dai ragionamenti avanzati da Luis, quanto proviene proprio da ciò che è Bergoglio, un mistero anche per se stesso, un Vescovo che chiamato ad essere Papa non gradisce che da Simone venga chiamato Pietro…

Lui vuole continuare ad essere “Simone”, ha accettato di essere “Pietro” ma rimanendo Simone.

Non ne traiamo alcuna conclusione, solo il tempo potrà dare risposta a certe domande rimaste insolute. Noi naturalmente continueremo a rimanere con Pietro, anche se gli piace essere Simone, gli vogliamo bene e proprio per questo è bene non mentire e non nascondere i reali problemi che si celano dietro tanti suoi gesti, oggi, incomprensibili.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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     Se Gesù fosse un “padre sinodale”?




Questo è il provocatorio titolo di un articolo, di qualche mese, del vaticanista Sandro Magister. Personalmente, ritengo che il Signore non faccia altro che ribadire ciò che ha detto una volta per tutte due mila anni fa: non credo sia interessato più di tanto a discussioni pseudo-teologiche su falsi problemi.


Si avvicinarono al Signore i “periti sinodali” Carlo Rane, Piero Testa di Chicco, Edoardo Schillacci, Enrico De Luca, Mario Ivano Congaro, Battista Metzi, Bernando Taringo, Arnoldo Fungo, Gianni Marri, Domenico Ghenu, Ugo Baldassarri, Walter Casperi, Chiaro Forti, Tonino Spartaro, Vittorio Fernandi, Vincenzo Bianco, Leo Buffo, Giovanni Gennarini, Vitaliano Balcuso, Gustavo Guttieri per metterlo alla prova, e gli chiesero: «È lecito dichiarare nulli alcuni matrimoni per determinate ragioni o divorziare per le stesse ragioni?».

Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi».

Gli obiettarono: «Perché allora le chiese ortodosse concedono seconde e terze nozze? Perché la Chiesa latina ha istituito la Rota romana?».

Rispose loro Gesù: «Perché hanno ceduto alle indebite pressioni dei potenti dell’epoca, così come voi oggi avete ignobilmente ceduto alla mentalità dominante, diffusa dal principe di questo mondo per mezzo dei suoi governi massonici. Ma nessuna autorità, sulla terra, neppure il mio Vicario, ha il potere di sciogliere o dichiarare nullo un matrimonio sacramentale valido.

Perciò vi dico: Chi divorzia e sposa civilmente un’altra persona, commette adulterio. Chi ottiene una dichiarazione di nullità di un matrimonio valido per avere una cerimonia religiosa con un’altra persona, commette adulterio. Dio non può essere ingannato».

Più tardi, il Papa e i padri sinodali lo interrogarono anch’essi su questo argomento, elencandogli alcune situazioni pastorali difficili o irregolari. Ed Egli rispose loro: «Coloro che sono sposati e sono separati, si riuniscano di nuovo: con perdono e sincerità! Chi è sposato ed è separato, e vive con un altro uomo o con un’altra donna con cui ha contratto nozze civili, deve dividersi o vivere come fratello e sorella nella stessa casa. I due non possono vivere come marito e moglie, perché non lo sono. Se uno dei due è libero e sente la necessità della vita coniugale, deve sposarsi. Ma non può commettere adulterio!».

Il Papa e i padri sinodali osservarono: «Allora non conviene sposarsi!». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

IPSE DIXIT

«L’indissolubilità del matrimonio non è un capriccio della Chiesa, e neppure una semplice legge ecclesiastica positiva: è un precetto della legge naturale e del diritto divino, e risponde perfettamente alla nostra natura e all’ordine soprannaturale della grazia. Per questo, nella stragrande maggioranza dei casi, l’indissolubilità è condizione indispensabile per la felicità dei coniugi e per la sicurezza anche spirituale dei figli» (San Josemaría Escrivá de Balaguer, “Colloqui con mons. Escrivá”, Ed. Ares, 1982, pag. 152)

 

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Sinodo dei vescovi, è già stato tutto detto. 2000 anni fa.

b4ad2968-5d5f-3e79-8b42-5df1e483504cCara Streghetta, pensavo che scrivessi qualcosa sul sinodo dei vescovi appena cominciato. Hai deciso di aspettare la conclusione?

Andrea B.


Caro Andrea,

mi sono già espressa in precedenza varie volte, anche recentemente. Ma ti confido che ho capito che non c’è niente da dire, né da scrivere. Perché, in realtà, è già stato tutto detto e riportato 2000 anni fa, sia sulla Dottrina che sulla pastorale.

DOTTRINA

Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. E lo seguì molta folla ed egli guarì i malati. Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola”? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie — se non in caso di concubinato — e ne sposa un’altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Matteo 19, 1-12).

Gesù si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l’ammaestrava, come era solito fare. E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva. (Marco 10, 1-16).

«Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio» (Luca 16, 18).

PASTORALE

«Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1Corinzi 6, 9-10).

«Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» (1Corinzi 7, 1-9)

«Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi la moglie» (1Corinzi 7, 10-11).

«Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo» (1Corinzi 11, 27-32) 

«Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1Corinzi 15, 3a).

«Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolàtri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore». (Efesini 5, 3-7)

«Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito». (Efesini 5, 21-33)

Stando, dunque, così la questione, qualcuno potrebbe domandare perché i padri sinodali stanno discutendo. La verità è che il (falso) problema dei divorziati-risposati è solo un pretesto, un cavallo di Troia, che i riformatori stanno usando per portare a compimento ciò che hanno cominciato mezzo secolo fa. Quasi sicuramente ci saranno due ermeneutiche anche per questo sinodo.

IPSE DIXIT
«La prima cosa da dire su questi riformatori è che per loro il matrimonio è un discorso senza capo né coda. Non sanno cosa sia, o cosa significhi; essi non vi danno un’occhiata nemmeno quando vi ci si trovano dentro. Semplicemente si liberano della fatica più vicina… non hanno la minima idea di quanto sia vasta l’idea che stanno attaccando» (Gilbert Keith Chesterton, “La superstizione del divorzio”).


  Dopo aver esaminato, sopra, la Parola di Dio, veniamo ora alla descrizione di un fatto increscioso......


Due curiose coincidenze e il sospetto di eresia

 
Don Mauro Tranquillo sul sito del Distretto italiano della FSSPX [qui]



Il Sinodo sulla famiglia sembrava dover avere come “tema caldo” la comunione ai divorziati che vivono in concubinato. Papa Francesco ha, come sappiamo, abilmente aggirato il problema con i suoi due motu proprio che permettono un rapido e indolore annullamento dei matrimoni sulla base di una sostanziale autocertificazione davanti al Vescovo. Non è da escludere che qualche progressista attardato non colga la profondità di questi cambiamenti e insista sulla comunione ai divorziati; ma sembra chiaro ormai che altri temi, già adombrati l’anno scorso, entreranno prepotentemente sulla scena, se non altro a livello mediatico (che è quello che conta, oggi).

Durante il viaggio negli USA il Papa ha incontrato la funzionaria del Kentucky Kim Davis alla nunziatura a Washington, quella che è andata sotto processo per aver rifiutato licenze matrimoniali a coppie gay. Padre Lombardi si è affrettato a precisare che l’incontro è avvenuto insieme a quello con molte altre persone, brevemente salutate dal Papa in un’udienza, e che "non deve essere considerato come un appoggio alla sua posizione in tutti i suoi risvolti particolari e complessi". Come riportato sul sito news.va  Bergoglio ha concesso una sola udienza privata in nunziatura, testualmente a “un suo antico alunno con la famiglia”. Il nostro gesuita però si dimentica di avvertirci che questo “antico alunno” è un gentile signore omosessuale, tal Yayo Grassi, con il suo compagno, e alcune conoscenze che egli introduce al Santo Padre.

Egli stesso ha dichiarato alla CNN  di essere “l’antico alunno” in questione, e di aver arrangiato l’incontro personalmente con Francesco via email poche settimane prima. Non risulta che la solerte Sala Stampa abbia preso le distanze dal signor Grassi come ha fatto nel caso della Davies, e un video mostra il commovente ed affettuoso incontro in tutti i dettagli. Sull’opportunità per il Papa di un tale incontro si può discutere, sulle ambiguità di Padre Lombardi si può ridere, ma è fuor di dubbio che la disparità di trattamento tra l’impiegata anti-gay e l’amico omosessuale rimane palese, ed è la Sala Stampa a sottolinearla goffamente: per la Davies un saluto generico in un’udienza con diverse persone, per Grassi l’unico incontro privato. Naturalmente Grassi è un gay buono (anche se i cattivi Hollywood ha decretato che non esistono), perché da 19 anni vive con lo stesso partner. Preziosi elementi matrimoniali, direbbe Kasper. Secondo Grassi, il Papa conosce da sempre la sua condizione e lo accetta così. Il video lo testimonia senza equivoci. Ricordo alcuni blogger “conservatori” parlare dello “schifo” che Bergoglio proverebbe per i gay, che li avrebbe abbandonati a se stessi con il suo “chi sono io per…”. Simpatici paradossi che contrastano con l’immagine generale che questo Pontificato sta dando, mediaticamente (e questo conta, oggi).

Quasi contemporaneamente, un Prelato polacco che lavora alla Congregazione per la Dottrina della Fede ed è Segretario aggiunto della Commissione teologica Internazionale, tal Monsignor Krzysztof Charamsa, ha dichiarato al Corriere della Sera  di essere gay e di avere un compagno, pronto al martirio pur di “scuotere la sua Chiesa”. Dice che «che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla propria Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura e questo bene del nostro amore lo offriamo agli altri. Non sono posizioni dell’attuale dottrina, ma sono presenti nella ricerca teologica». Si diceva un tempo che la pratica della sodomia, oltre ad essere un peccato di lussuria specialmente grave, portava con sé la nota del sospetto di eresia, ed era giudicato proprio da quel Sant’Uffizio di cui il nostro Prelato è Ufficiale.
 
Questo perché se uno può peccare carnalmente per debolezza, il peccato contro natura è difficilmente giustificabile senza una particolare perversione dell’intelligenza e della fede. I tempi stanno dando apertamente ragioine ai sospetti dell’antica procedura inquisitoriale. Non basta più ai sodomiti, specie chierici, il peccare per debolezza, devono ora rivendicare un mutamento dottrinale (un’eresia, in breve) per giustificarsi. Gli uomini di Chiesa modernisti hanno ammesso, nel Vaticano II, che la dottrina potesse cambiare in base ai tempi, in materia politica ed ecclesiologica. Perché fermarsi di fronte alla morale, quando tutto il mondo spinge per questo?
Quando la nuova religione che incombe lo vuole, e quando si può cogliere l’occasione per non starne fuori, anzi magari per guidare l’animazione spirituale del futuro governo mondiale, tanto auspicato da Benedetto XVI (ripreso da Francesco in Laudato si’ n° 175)? (1) 
Francesco, come già Benedetto XVI, è chiamato dai luterani di Roma “il nostro Vescovo”. Approvazione piuttosto esplicita della sodomia, communicatio in sacris con gli eretici: tutte pratiche che comportano il sospetto di eresia. Il sospetto… com’erano garantisti gli Inquisitori!




[Modificato da Caterina63 12/10/2015 09:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/10/2015 01:03
 
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I lavori nell'Aula del Sinodo
 

C’è una metodologia pastorale che si caratterizza dal partire dal positivo anche nelle situazioni più difficili per arrivare a trovare anche «nelle famiglie patchwork esempi di generosità sorprendente». Di questa metodologia sono interpreti il cardinale Christoph Schönborn e una parte dei Padri del Sinodo.
Nella sua ambiguità, tale metodo vuole fondare teologicamente e pastoralmente un approccio che eviti di affrontare ciò che non va, l’irregolarità, il peccato.



     di padre Riccardo Barile O.P.


Nelle coppie irregolari etero e anche in quelle omo ci sono tanti atti buoni perché nessuno nella vita - per fortuna! - pecca al 100%. Da qui si sta facendo strada in modo trasversale una metodologia pastorale o nuovo approccio, che si caratterizza dal partire dal positivo: «dal desiderio profondo inscritto nel cuore di ognuno ... vedere quello che c’è di positivo nelle situazioni più difficili ... spesso nelle famiglie patchwork si trovano esempi di generosità sorprendente ... i veri cristiani sanno guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco, anche se dobbiamo dire: non è ancora una piena realtà del sacramento». Chi fa altrimenti corre il rischio di parlare «con una lingua fatta di concetti vacui», mentre invece «bisogna staccarsi dai nostri libri per andare in mezzo alla folla e lasciarsi toccare dalla vita delle persone».

Il cardinale Christoph Schönborn in una recente intervista a Civiltà Cattolica (Quaderno 3966 del 26.09.2015) - le citazioni precedenti sono sue - ha anche formulato il principio teologico ecclesiale del metodo positivo: come secondo la Lumen Gentium 8 «l’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica» sussistendo però al di fuori dei suoi confini visibili elementi di verità e di santificazione, così, analogamente, il vero matrimonio sussiste nel sacramento della Chiesa, ma al di fuori di esso ci sono «elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi».

Il presente intervento non è una polemica verso il cardinale Schönborn - che nell’intervista in più passi è dottrinalmente ineccepibile, moralmente esigente e pastoralmente equilibrato, tranne che nella ipotesi di riservare a un confessore/direttore spirituale il giudizio sull’ammissione ai sacramenti in casi limite (suppongo di coppie che praticano una vita sessuale, altrimenti il problema non si porrebbe) -, ma l’intervista è citata perché esprime una tendenza trasversale con molta chiarezza e anche con una gradevole dose di pathos.

A questo punto è opportuno passare a una minima digressione sulla comunicazione. In uno scritto o discorso articolato è, infatti, abbastanza evidente che: esiste una verità delle singole proposizioni e una dell’insieme e non è detto che coincidano; esiste una verità del testo e una verità della recezione, che talvolta non coincidono; esiste una verità teorica che giustifica il dire certe cose e un’opportunità pastorale che sconsiglia di divulgarle (chi scrive è un domenicano e non dovrebbe mai sostenere l’ultima contrapposizione - dire, ma non in pubblico -, che è alquanto gesuitica, ma siccome oggi i gesuiti vanno di moda...) . Ecco, leggendo la motivata giustificazione del metodo positivo, mentre le singole frasi sono accettabili, l’insieme genera un sottile disagio di trovarsi fuori strada, per non parlare poi di come il discorso potrebbe essere recepito.

Il “partire dal positivo” è senz’altro un metodo valido, ma, senza la dichiarazione esplicita del peccato dal quale ritrarsi - per lo meno il “peccato oggettivo” come è formulato nella “dottrina” -, il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire; inoltre oggi si basa su due discorsi equivocamente proposti come novità mentre non lo sono. Quali sono le novità che non sono tali?
La prima è l’esigenza di accogliere coppie irregolari etero e, a un diverso livello, omo. Gli ultimi decenni del recente Magistero sono talmente zeppi di affermazioni in tal senso che dispensano dalla documentazione, se non per concludere che questa, oggi come oggi, non è una via nuova.
Più intrigante il secondo equivoco, e cioè che nelle persone di cui sopra ci sono dei valori e degli atti positivi: affermazione contestualizzata nel gioioso stupore di aver finalmente scoperto qualcosa che da anni - da secoli? - ci era vicino e non abbiamo visto... Ahimè, non è vero che non l’abbiamo visto! Da sempre la rivelazione, la sana ragione, la Chiesa, la teologia ecc. hanno insegnato che il male assoluto non esiste perché il male è privazione del bene e dunque sussiste in qualcosa di bene (San Tommaso I-II, q 43, a 1.3; D 3251) e così neppure i demoni hanno una “inclinazione naturale” verso qualche male e dunque non sono “naturalmente” cattivi (I-II, q 63, a 4). Passando dai demoni agli uomini, il Magistero ha dichiarato errata la proposizione giansenistica di Baio († 1589) secondo il quale «tutte le opere degli infedeli sono peccati e le virtù dei filosofi sono vizi» (D 1925). A questo punto figurarsi se - da sempre - non si è pensato che anche chi vive in situazioni irregolari compie alcuni atti buoni e non solo in relazione a Dio e agli altri, ma anche a “l’altro” o a “l’altra”!

Ma la questione non è questa, bensì quella di un tipo di vincolo relazionale che cristianamente non è ammesso ed è peccato.
Ed è per questo che sino a poco tempo fa si è parlato di irregolari, di conversione, di astensione dai rapporti sessuali quando la convivenza non può essere prudentemente sciolta ecc.: non perché si fosse tanto antievangelici da non praticare l’accoglienza o tanto giansenisti da non ammettere atti buoni in queste persone!
Ci si potrebbe allora domandare come mai si fanno questi discorsi inutili. Una prima risposta è: perché si vuol dire altro. Dunque, invece di scomodare l’accoglienza e la presenza di molti atti buoni nelle coppie irregolari, sarebbe più onesto dichiarare: «Io sono (noi siamo) per l’ammissione alla comunione delle coppie irregolari, omo comprese, purché vivano con una certa stabilità con lo stesso partner... un rito sacramentale delle nozze omo no, le seconde nozze perdurante il primo vincolo restano un cantiere aperto, per tutti poi gli irregolari una benedizione all’inizio della nuova convivenza non farebbe male, anzi». Questo sarebbe un parlare chiaro e onesto.

Una seconda risposta sembra scontata: si vuole fondare teologicamente e pastoralmente un approccio che eviti di affrontare ciò che non va, l’irregolarità, il peccato.

E qui, in altri campi, la situazione diventerebbe comica.

Sarebbe come se uno, affetto da un cancro alla prostata, andasse da un urologo e questi gli proponesse: «Lasciamo stare il cancro. In realtà lei digerisce quasi bene: cerchiamo di partire dal positivo ottimizzando la sua digestione con qualche farmaco». Chi andrebbe una seconda volta da un simile dottore?
Eppure tante proposte pastorali, tanti articoli di riviste pastorali, qualche teologo... Dicevamo che il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire. Ovvio che il traguardo della conversione suppone che la situazione attuale si configuri come un “peccato oggettivo” dal quale uscire. Per cui partire dal positivo è vero e opportunamente pastorale solo se è accompagnato dalla manifestazione del negativo, della irregolarità, del peccato ecc., sempre fatta salva la buona fede o una soggettività che fa fatica a discernere la propria situazione di fronte a Dio.

Una cosa, infatti, è l’itinerario di Paolo: «dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14); un’altra cosa invece sono inviti che presuppongono sì un itinerario, ma di conversione: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5), «non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5,14), «va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11), «tornate indietro dal vostro cammino perverso e dalle vostre opere malvagie» (Zc 1,4).

Nel primo caso c’è un procedere in linea retta, nel secondo caso un cambio di direzione. Ora, non far emergere la dottrina sul male di certe relazioni affettive e vitali, pone tutti e senza distinzione - cristiani ferventi, convivenze etero irregolari, convivenze omo - nella situazione di san Paolo proteso verso il meglio e già in una situazione buona senza richiedere ad alcuno un cambiamento di rotta. E questo è pastoralmente deviante.
Per non parlare poi della ingiustizia e della umiliazione che si infligge a quanti con sforzo si stanno adeguando alla legge di Dio e che devono sempre tacere perché a ogni loro parola scatta l’accusa di moralisti, ipocriti, ingiustamente divisori della Chiesa e dell’umanità in buoni e cattivi ecc.

Ma perché ci sia un cambiamento di rotta occorre aiutare a capire che qualcosa non è a posto con Dio/Cristo/Chiesa a livello di “peccato” e non solo a livello dei buoni rapporti umani con il coniuge precedente o con l’attuale.
È vero, ciò crea una certa tensione, ma è benefica perché richiama alla conversione e mantiene nella verità. San Gregorio Magno spiega che «il rimprovero è una chiave. Apre,  infatti, la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa» (LdO, Uff. lett., II lett. Domenica XXVII ord.), nel nostro caso apre anche alla prospettiva di un nuovo traguardo, di una nuova bellezza, di una nuova pace. Poiché il fondo dell’imbuto si concretizza ecclesialmente e personalmente il più delle volte nel colloquio con un presbitero nel sacramento della Penitenza o fuori di esso, c’è da domandarsi se un prete così procedendo non risulti crudele, disumano, incapace in ogni caso di comprendere e di consolare ecc. No, perché la valorizzazione del positivo rimane: ci mancherebbe!

Ma anche nel portare alla luce il peccato, il disordine, la brutta bestia dello intrinsece malum (per il commento a questa espressione si rilegga l’intervista citata), il presbitero resta umano se sa coniugare la preoccupazione di mantenere il “odore delle pecore” (l’espressione è di papa Francesco) restando però «modello del gregge» (1Pt 5,3) (l’espressione è dello Spirito Santo e dunque ha una marcia in più), cioè la fraternità e la paternità.

La fraternità ammettendo la difficoltà per tutti e anche per lui di vivere casti e di aver in ogni caso trovato Gesù Cristo che sostiene la fragilità; la paternità dettando le regole e ricostituendo un mondo ordinato nel quale reinserirsi, ma insieme manifestando l’amore del Padre che segue tutti e ognuno con la sua provvidenza in vista della salvezza e solo per questo. A meno che uno sia pregiudizialmente maldisposto, questo amore, che passa attraverso la pazienza dell’ascolto e la preghiera, si percepisce e risulta una preziosa consolazione anche umana.

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/10/2015 09:23
 
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Sull'accesso alla comunione di chi è in peccato, un tweet di padre Spadaro interpreta in modo capovolto una "sentenza" di san Cirillo di Gerusalemme. Ma anche se l'interpretazione fosse stata giusta, i conti non tornerebbero lo stesso. Ecco perché...



di Francesco Agnoli



Padre Spadaro

Antonio Spadaro, gesuita e cyberteologo, è stato tra i padri sinodali più attivi nella comunicazione. Su facebook, twitter, su vari giornali ha espresso con regolarità le sue opinioni e la sua lettura del Sinodo, prima e dopo. Generando così interessanti dibattiti che possono aiutare a comprendere meglio alcune questioni difficili.

Premetto di essere, come padre e come insegnante, un ammiratore dei gesuiti. La loro cultura e la loro umanità sono state un esempio per secoli di cosa l'educatore cristiano deve fare: unire la competenza, la passione, ad uno sguardo comprensivo e accogliente, sino al confine ultimo possibile. Ignazio insegnava così: "Ogni cristiano deve essere pronto più a salvare la parola del prossimo che a condannarla; e se non può salvarla, indaghi in qual senso la intenda e se l'intenda in male, la corregga con amore; e se non basta, cerchi tutti i mezzi opportuni affinchè, intendendola in bene, si salvi". Si vede bene che il fine per Ignazio è sempre indicare la salvezza, la Verità, attraverso un metodo: l'Amore. Un po' come fanno il padre che ama i suoi figli o il professore che ama i suoi studenti: poichè il fine è sempre il loro bene, sarà capace di valorizzare ogni cosa buona, in vista di un obiettivo finale. "Misericordia e verità si incontreranno", recita il Salmo 85, con un chiasmo che lega tra loro verità e giustizia, misericordia e pace, "giustizia e pace si baceranno" In quest'ottica un castigo, o un voto insufficiente, possono essere espressione di vero amore e misericordia, molto di più che il lassimo o l'elargizione di voti positivi sempre e comunque.

Agostino ricordava che tutto dipende da come il castigo, l'ammonimento, viene infilitto: anche se vero, senza amore, è avvelenato alla radice; ma se è vero e con amore è esattamente ciò che dobbiamo fare. "Se correggi, affermava Agostino, correggi per amore". E aggiungeva: non credere però "che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza"

Può essere la naturale difficoltà umana di tenere un giusto rapporto tra verità e amore, ad aver spinto padre Spadaro a trovare in san Cirillo di Gerusalemme una giustificazione ad una sua personale convinzione: che l'Eucaristia vada "concessa" anche a coloro che san Paolo definirebbe "adulteri", cioè a coloro che, pur essendosi sposati, vivono una relazione anche carnale con un'altra persona.

Così il 23 ottobre, padre Spadaro su twitter ha citato una frase di san Cirillo: "Non privatevi della comunione nè astenetevi da questi santi misteri per esservi macchiati di peccato". Se un grande santo invita a fare la comunione anche in condizioni di peccato, intendeva dire Spadaro, ciò significa che la comunione ai divorziati risposati può essere ben introdotta non come una novità assoluta nella storia della Chiesa e della salvezza, ma come una migliore comprensione della Eucaristia stessa. Insomma, non come un cambiamento dottrinale, ma come un mutamento di prassi, di disciplina.

Tweet padre Spadaro

Ma ammesso e non concesso - come vedremo più avanti - che san Cirillo abbia avuto questa posizione sull'Eucarestia, la tesi presenta almeno tre grossi rischi: possiamo usare una citazione di un santo contro un magistero consolidato, sancito per esempio dal Concilio di Trento nel De Ss. Eucharistia, ulteriormente ribadito da vari pontefici sino alla Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II? Possiamo farlo senza ingenerare l'idea che in fondo la Chiesa fa o disfa le "regole", a suo capriccio?

È possibile schierare san Cirillo contro altri padri, che si sono espressi in modo del tutto diverso, ignorando secoli di tradizione? Trascurando per esempio san Tommaso (il grande cantore dell'Eucarestia, nelTantum ergo), che nella Summa teologica afferma che chi riceve l'Eucarestia trovandosi in peccato mortale, pecca mortalmente?

Ancora: come conciliare la rottura di un vincolo, per la Chiesa indissolubile, e l'accesso alla comunione, al sacramento dell'unità, alla luce del passo di san Matteo: "Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono"? E con il terribile passo di san Paolo nella I lettera ai Corinzi: "Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore"?

Il testo di san Matteo e quello di san Paolo sono stati sempre intepretati in un modo molto preciso, cioè collegando Eucarestia e confessione, tra le quali, altrimenti, non ci sarebbe quel legame ribadito da due millenni di storia della salvezza.

Insomma, la questione è problematica assai, e come scrive un vescovo africano, nessuno deve avere la presunzione di essere più "misericordioso" di quanto è stato Cristo, o di quanto sono stati santi e papi del passato. Sarebbe, più che misericordia, o "tenerezza" come scrive qualcuno, semplice presunzione. Anche perché, così facendo, da una parte si direbbe implicitamente a coloro che hanno rotto il loro vincolo matrimoniale, che non è successo nulla; dall'altra si diminuirebbe il senso della grandezza del matrimonio nelle nuove generazioni, amplificando ulteriormente la disgregazione in atto in Occidente. Senza per questo andare davvero incontro a chi, se crediamo ancora al piano di Dio, non cerca commiserazione, e neppure l'Eucarestia "da sola", ma qualcosa di ben diverso.

Tornando a san Cirillo però, la verità è che se usasse twitter così bene come padre Spadaro, avrebbe qualcosa da ridire. Scriverebbe, utilizzando il numero di caratteri consentito: "hai travisato completamente il senso della mia frase, che significava l'esatto contrario di ciò che hai inteso". Essendo in verità, come hanno notato altri prima del sottoscritto (clicca qui), questa: "Non privatevi della comunione né astenetevi da questi misteri per esservi macchiati di peccato".

Per concludere una pagina di vita: il grande poeta Charles Peguy ad un certo punto della vita si convertì dal socialismo ateo al cattolicesimo dell'infanzia; non essendosi sposato, ma convivendo con una donna non credente, si trovò a vivere escluso dall'Eucarestia. Spiegava agli amici di incontrare Cristo nella preghiera, nella messa, in paziente attesa che la compagna di una vita (che si farà battezzare dopo la sua morte!), divenisse, liberamente, credente...

Peguy si scagliava con forza contro i sacerdoti che si limitano a maledire i tempi e a brontolare, e ugualmente crtiticava con fermezza quelli secondo i quali "va tutto sempre bene", quelli che "negano il disastro" della modernità: il fatto che la "nostra stessa miseria non è più una miseria cristiana". E', cioè, una miseria presuntuosa, arrogante, che pretende la salvezza e il riconoscimento di ogni propria scelta e decisione. Presuntuosa perché nega il peccato e il bisogno di redenzione.

Questo grande uomo - che in chiesa, come vari amici "irregolari" di chi scrive, pregava senza osare salire all'altare, senza pretendere nulla, aspettando solo che la grazia di Cristo piovesse su di lui e sulla sua famiglia, gratuitamente - scriveva: "I sacramenti sono indelebili. E' la profonda idea cristiana che i nomi sui registri di Dio non si cancellano mai... Amico mio, questa idea quanto si oppone, risolutamente, deliberatamente, alla frivolezza moderna che vuole, che pretende, di ricominciare tutto... che vuole ritornare su tutto, e rifare tutto, soprattutto il matrimonio....".






POST-SINODO
 

Un'intervista al vescovo belga Bonny, che vorrebbe buttare al macero l'insegnamento della Chiesa su contraccezione e castità, è l'esempio perfetto di cosa significhi la mistificazione a mezzo stampa e di cosa dobbiamo aspettarci dal post-Sinodo. Con rappresentanti delle Chiese in disarmo che pretendono di dettare legge.

di Renzo Puccetti
Monsignor Johan Bonny


Nei giorni scorsi da queste colonne Massimo Introvigneha ben elencato la vergognosa mistificazione di cui si sono fatti interpreti non pochi organi d'informazione nel commentare la conclusione del Sinodo sulla famiglia. Proseguendo su questa riflessione vorrei soffermarmi su un’intervista esemplare apparsa nei giorni scorsi su Vatican Insider, il sito della Stampa dedicato alle notizie ecclesiali, ormai diventata la voce ufficiale di una lettura del Sinodo in senso kasperiano.
Stiamo parlando dell’intervista di Gianni Valente a Johan Bonny, vescovo belga di Anversa, presentato come uno che non sembra «un pasdaran del relativismo teologico», ma piuttosto uno che «tiene semplicemente conto di come la Chiesa cammina nella storia». Una bella presentazione per un vescovo noto per avere pubblicato un documento prima del Sinodo straordinario in cui invocava di buttare al macero l'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione e sulla castità.

E cammin cammina, dove ci porta Bonny? Al discernimento globale: «Perché questo discernimento non si applica soltanto ai divorziati risposati. Essi si fanno carico anche di altre situazioni, come le convivenze di giovani non ancora sposati, o chi è sposato civilmente ma non sacramentalmente», dice Bonny. Al giornalista della Stampa non viene in mente di domandare al vescovo Bonny per quali ragioni la sua interpretazione del testo sinodale sul criterio del discernimento dovrebbe applicarsi soltanto ad adulterio e fornicazione, gli unici peccati citati dal presule. Forse avrebbe potuto chiedere a Bonny perché il discernimento non si potrebbe applicare a tutti i peccati. Perché non dare la Comunione dopo un cammino di discernimento a sodomiti, poligami e persino pedofili in servizio effettivo. 

Se si mette a cercare bene qualche semino di bene lo potrà trovare per giustificare la necessità di fortificarli con l'Eucaristia: «Chi cerca l’eucaristia (minuscolo nell'originale n.d.r.), chi ne sente il bisogno vitale, come nutrimento di guarigione o di vita spirituale, appartiene a delle categorie che canonicamente non possono ricevere il sacramento», è la purtroppo non inedita considerazione che Bonny affida a Valente. Al vescovo di Anversa che cita i concili di Nicea e Calcedonia sulle dispute trinitarie e le nature di Gesù come esempi dove la sfida era analoga a quella al Sinodo, «combinare gli elementi di verità che difendevano gli uni con quelli che difendevano gli altri», si dovrebbe chiedere se dunque per superare l'empasse suggerisce che risposare un'altra donna si dovrebbe definire adulterio-non-adulterio, peccato-non-peccato, o magari peccato se è un adulterio mordi e fuggi, ma non peccato se l'adulterio si stabilizza con figli di secondo letto e nipoti. 

Peccato poi che a Bonny non sia stato chiesto se nel Sinodo non avesse provato un certo disagio a svolgere insieme ai vescovi renani il ruolo di esperto di pastorale proprio quando nelle loro stesse diocesi gli arredi sacri vengono venduti all'asta e le chiese convertite in ristoranti e palestre dopo decenni di applicazione della loro ricetta spirituale fatta di eucaristia minuscola.   Se non avesse trovato più appropriato sedere tra i banchi degli alunni e prendere appunti lasciando che a fare lezione fossero quei vescovi africani dove il cattolicesimo si è espanso dai 55 milioni del 1978 ai 206 milioni del 2013 (dal 12,4 al 19% della popolazione africana, un balzo del 53%). 

Personalmente devo confessare di essere interessato a vedere quali saranno nei prossimi anni i frutti di questa imminente ondata di discernimento. Azzardo una previsione: i vescovi demanderanno il discernimento ai parroci i quali si divideranno in quelli che daranno la Comunione ai risposati e quelli che non lo faranno. Esattamente tutto come avviene già ora, ma con la differenza che i lassisti potranno giustificare la loro condotta esibendo il timbro del discernimento. Sui buoni parroci che continueranno a richiedere la conversione e il distacco dal peccato per concedere assoluzione e Comunione si abbatterà l'accusa di rigorismo.

Ciò avverrà da parte di una folla che nelle occasioni importanti vorrà mettersi in fila per sfoggiare l'imbiancatura immacolata dei loro sepolcri interiori. E avverrà da parte del clero lassista che non perdonerà loro di ricordargli, con la loro condotta integerrima, il proprio peccato. Vero che questo del Sinodo non esprime alcun Magistero e che bisognerà attendere il pronunciamento del Papa, ma, così come per il Concilio, abbiamo avuto il Sinodo mediatico e i suoi danni ora avremo anche il post-Sinodo mediatico. E non importa quali saranno le decisioni del Papa: per quanto dottrinalmente ineccepibile, sono scettico circa la possibilità che venga recepito onestamente da chi è riuscito a pervertire e sterilizzare persino la feconda ortodossia di cinquant'anni d'insegnamento di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI devastando il cattolicesimo nei loro Paesi, ma stando bene attenti a mantenere intatto il gonfiore del proprio portafoglio.






[Modificato da Caterina63 01/11/2015 12:28]
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31/10/2015 12:52
 
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  PADRE MICHAEL SCRIVE A BERGOGLIO: NIENTE FURBERIE GESUITICHE, IL “LODO TORNIELLI” E’ IMPRATICABILE. SUI DIVORZIATI RISPOSATI LEI PUO’ SOLO CONFERMARE LA DOTTRINA CATTOLICA (E TORNIELLI SI RICORDI COSA SCRIVEVA POCO TEMPO FA…)





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Ricevo e pubblico questo articolo di un dotto ecclesiastico.

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In un recente articolo su Vatican Insider ( qui ) il giornalista Andrea Tornielli si è improvvisato teologo prospettando che il Papa, vista l’ambivalenza della Relatio synodi, diversamente interpretata da progressisti e conservatori, possa imitare Pio XII che nel definire il dogma dell’Assunta, nel 1950, non prese parte per nessuna delle due correnti teologiche che allora disputavano sulla modalità di questa assunzione, promulgando nella Muneficentissimus Deus una formula ambivalente.

Così facendo Tornielli fa un paragone non solo imprudente ed irriverente, ma fondamentalmente illogico. Tirare in ballo Pio XII per la definizione del dogma dell’Assunta e la sua via mediana fra assunzionisti e morientisti è semplicemente assurdo.

Infatti in quel caso, anche se Pio XII avesse  privilegiato una della due ipotesi, ossia che la Vergine era morta come tutti gli uomini (morientisti), o che era stata assunta senza conoscere il passaggio della morte (assunzionisti), il risultato non sarebbe cambiato perché ci saremmo sempre trovati dinnanzi alla sostanza del dogma, che è l’Assunzione al cielo in anima e corpo della beata Vergine Maria.

Diverso sarebbe il caso della Relatio sinodale; qui infatti il risultato cambierebbe  a seconda della lettura posta in essere: quella aperturista porterebbe a concedere la comunione ai divorziati risposati civilmente (con tutte le conseguenze annesse in ambito teologico e morale), quella conservatrice (chiamamola così!) porterebbe al mantenimento della prassi attuale.

Nel caso evocato di Pio XII poi, mi si passi l’esempio culinario, è come se uno dovesse scegliere se metter la pentola sulle braci vive di un fuoco o su un fornello a gas. L’una o l’altra opzione  non cambierebbe il contenuto della pentola. Si tratta di questioni accidentali, non sostanziali.

Non così accadrebbe con la Relatio: qui è proprio il contenuto della pentola che cambia! La formula allora più che ambivalente, caro Tornielli,  sarebbe contradittoria.

E’ questione di logica! Anche i teologi e i giornalisti debbono attenersi alla logica e nella logica prima di tutto al principio di non contraddizione : “E’ impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga o non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo” ( Aristotele, Metafisica, cap . 3 10005 b 19-20).

E non mi si contrapponga ora gesuiticamente  il Vangelo alla logica,  come se Gesù non si fosse rivolto a uomini dotati di logica per farsi intendere : “chi non è con me, è contro di me … non si possono servire due padroni perché si odierà uno e si amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e si disprezzerà l’altro…”, sono chiari esempi di sana logica senza ambivalenza né contradizione.

Inoltre, caro Tornielli, quando nella Chiesa c’è un dubbio,  ci si appella alla Tradizione vivente della Chiesa e al suo magistero costante , cosa che qui non si vuol fare per non trovarsi , nel caso della lettura aperturista della relatio synodi, dinnanzi ad una evoluzione non omogenea del dogma.

Sarebbe come se lei, caro Tornielli, crescendo,  fra qualche anno non solo cambiasse con l’invecchiamento, cosa perfettamente coerente, ma si mutasse in un altro essere diverso da quello che è. Il Magistero poi, nelle cose sostanziali, non potrà mai usare formule ambivalenti né tantomeno contraddittorie (a che servirebbe un magistero che dicesse in buona sostanza “intendetela come vi pare”?).

Ce lo vede lei un Romano Pontefice su una questione sostanziale per la fede o la morale dire in un atto di Magistero come Rigoletto: “Questa o quella per me pari sono..” .

Il Magistero è fatto per confermare (nella verità!), non per confondere! 

Come lei stesso ci ha ricordato il 27 aprile 2012, citando Ratzinger, allorché lei militava sotto ben diverse bandiere, dovrebbe essere finalmente chiaro anche che dire dell’opinione di qualcuno che essa non corrisponde alla dottrina della Chiesa cattolica non significa violare i diritti umani. Ciascuno deve avere il diritto di formarsi e di esprimere liberamente la propria opinione. La Chiesa con il Concilio Vaticano II si è dichiarata decisamente a favore di ciò e lo è ancora oggi. Ma ciò non significa che ogni opinione esterna debba essere riconosciuta come cattolica. Ciascuno deve potersi esprimere come vuole e come può davanti alla propria coscienza. La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli e al mondo” (vedi articolo qui ).

Inoltre come non ricordare il suo preziosissimo commento del 5 Febbraio 2011,   all’omelia di papa Benedetto XVI sul rischio che i vescovi siano come canne di palude piegate dallo spirito del tempo:

“Ascoltando le parole (di Benedetto XVI, nda) sulla canna di palude che si piega secondo il soffio del vento assecondando lo spirito del tempo, non ho potuto fare a meno di pensare all’appello dei 143 professori delle facoltà teologiche della Germania, della  Svizzera e dell’Austria. Il documento, intitolato ‘Chiesa 2011 – una svolta necessaria’, chiede profonde riforme, come ad esempio l’abolizione celibato obbligatorio per i preti di rito latino e dunque l’ordinazione di uomini sposati, l’adozione di ‘strutture piu’ sinodali a tutti i livelli della Chiesa’, il coinvolgimento dei fedeli processo selezione dei parroci e dei vescovi, l’apertura alle donne ‘nel ministero della Chiesa’, l’accoglienza delle coppie gay e dei divorziati risposati. Proposte (anzi vecchie ri-proposte) già ascoltate da decenni, che molti teologi ripetono ciclicamente nonostante i ripetuti pronunciamenti del magistero”. ( l’intero articolo qui).

Ecco finalmente detta da lei stesso  la verità che forse nel frattempo lei si è scordato:  su questi temi, anche la comunione ai divorziati risposati,  i pronunciamenti del magistero già ci sono e ripetuti, ma non non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare.

 

Michael

 

A questa puntuale precisazione di Michael aggiungo la segnalazione di due articoli molto preziosi per capire ciò che è accaduto al Sinodo e per illuminare quello che sta accadendo: il primo è di padre Riccardo Barile op qui e il secondo di Sandro Magister qui






Un sacerdote risponde
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4243 

A proposito della Comunione ai divorziati risposati ecco alcuni problemi che devono essere risolti

Quesito

Caro Padre Angelo,
mi reputo un ragazzo tendenzialmente progressista ma fedele a quello che è l'immutabile insegnamento del Magistero. In questo periodo, in cui il tema della famiglia è dirompente nella Chiesa che vive il Sinodo straordinario con grande fermento, m'interrogo sulle dichiarazioni del card. Kasper sulla cosiddetta ''zattera'' ai divorziati risposati che ne consentirebbe la comunione sacramentale e sulle dichiarazioni dell'arcivescovo Forte, segretario speciale del Sinodo, che è possibilista ad una soluzione del genere. Quest'ultimo considerato eccelso teologo di fama mondiale, ha dichiarato in un'intervista su Avvenire: ''E cosa diciamo loro? (riferendosi ai divorziati risposati) Che basta la comunione spirituale? Ma così c’è il rischio di svalutare la forza della struttura sacramentale visibile. Dobbiamo procedere con cautela ed esplorare tutte le vie che potrebbero riammettere queste persone all’Eucarestia''. Ecco, a suo modo di vedere, riammettere ai sacramenti queste persone attraverso un cammino penitenziale che seppur sincero permetterebbe di continuare una relazione al di fuori del matrimonio sacramentale, non andrebbe ad intaccare quello che è l'insegnamento in tema di morale? Quale differenza tra due conviventi e due divorziati risposati? Quale differenza tra due risposati che si uniscono sessualmente e una coppia di fidanzati fornicatori tale da giustificare l'Eucaristia ai primi e non ai secondi? Scusi se sono troppo diretto con gli esempi ma la situazione crea in me una certa confusione e le chiedo chiarimenti. Mi chiedo come sia possibile dottrinalmente spiegare tutto ciò.
La ringrazio per il suo tempo e le chiedo di pregare per la mia fede.
Patrizio


Risposta del sacerdote

Caro Patrizio,
1. Mi trovo a risponderti dopo alcuni mesi dalla chiusura della prima parte del Sinodo. Quando la mia risposta apparirà sul sito non mancherà molto alla seconda e conclusiva fase.
Il card. Kasper dice che bisogna offrire una zattera ai divorziati risposati.
La zattera, e anche qualcosa più della zattera, la troviamo nell’insegnamento di Nostro Signore, nel Vangelo.
Abbiamo sentito domenica scorsa le prime parole dell’insegnamento di Gesù secondo l’evangelista Marco: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).
Ecco la zattera: la conversione. Anzi, mi piace sottolineare che nella traduzione latina non abbiamo semplicemente conversione, ma “Paenitentiam agite”,fate penitenza.
Le due espressioni mirano al medesimo obiettivo perché non c’è vera conversione se non c’è pentimento dei peccati e degli errori della vita passata.

2. Qualche giorno fa il card. Baldisseri, segretario del Sinodo, ha detto che il prossimo sinodo deve indicare “scelte pastorali coraggiose”.
Che cosa c’è di più coraggioso che dire: “Convertitevi e fate penitenza” (Mc 1,15)?
Nel Vangelo di san Luca Gesù replica per due volte nello spazio di due versetti l’avvertimento: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3.5).

3. Mi sono chiesto tante volte come mai taluni non ricordino queste esigenze fondamentali del Vangelo.
Come mai non riprendano in mano quello che Gesù ha detto nel discorso della Montagna: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Mt 5,27-28).
Secondo l’insegnamento del Signore chi dopo un vero matrimonio va a vivere insieme con un‘altra persona “more uxorio” commette adulterio. Anzi, si mette in uno stato di adulterio permanente e pubblico.

4. Gesù ha messo in guardia dal “guardare una donna per desiderarla” dicendo che si tratta già di una grave perversione del disegno santificante di Dio sulla sessualità e sull’amore umano.
In altri termini si tratta di un peccato grave.
Che dire allora di una situazione ben più grave di quella enunciata dal Signore? E cioè di un adulterio vero e proprio e non  soltanto metaforico?
Non c’è scelta più coraggiosa che ripetere l’insegnamento di Gesù: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).

5. Non è scelta coraggiosa invece per la quale si dice: copriamo tutto, usiamo misericordia.
Perché la misericordia non si limita a coprire il male compiuto, ma mira a formare un uomo nuovo.
In fondo è stata questa la differenza tra la misericordia proposta da Martin Lutero e quella della Chiesa Cattolica nel Concilio di Trento.  
La misericordia divina infatti “non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna(Concilio di Trento, Capitolo VII sulla giustificazione). 
Proprio perché raggiunti dalla misericordia trasformante di Dio i peccatori “si rivolgono contro il peccato con odio e detestazione” (Capitolo VI sulla giustificazione).

6. La misericordia o grazia divina attua dunque una trasformazione interiore che porta a ripudiare il peccato e a cominciare una vita nuova.
Giovanni Paolo II ricorda che “in nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato.
In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono” (DM 13 1).

7. Vera misericordia è anche quella di scongiurare di non farsi del male e a non trasformare la santa Comunione da strumento di salvezza in strumento di condanna.
L’ammonimento dello Spirito Santo per bocca di Paolo “Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,28-29) è un ammonimento di autentica misericordia:.
“Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (1 Cor 11,27).

8. Sorge una domanda: perché non prendono in minima considerazione queste parole gravi della Sacra Scrittura?
Perché nelle loro disquisizioni non vi fanno alcun riferimento?
Anch’io sono desideroso che ai divorziati risposati venga dato il massimo dei beni che Cristo ci ha donato.
Ma desidero che si parta dalle parole di Cristo e non se ne scarti neanche una.

9. La zattera evangelica è quella della conversione, della penitenza.
È vero che le situazioni sono talora molto complesse.
È vero che ci si trova dinanzi a divorziati risposati che nel frattempo hanno ricuperato la fede e hanno vivo desiderio di vivere in sintonia con Cristo, che nella nuova unione hanno figli e questi reclamano che i loro genitori stiano insieme sebbene essi non siano marito e moglie.
È vero che proprio per questo ci sono divorziati risposati che non potrebbero separarsi senza compiere con la separazione un nuovo peccato…
Ma perché prima di passare alla Comunione ai divorziati risposati non si dice in prima istanza di verificare se il precedente matrimonio era valido?
E che comunque, anche se non fosse valido, per ora nella nuova unione non sono ancora uniti sacramentalmente in matrimonio?
Perché se si concede loro la Santa Comunione non bisognerebbe darla a qualsiasi convivente, anzi anche a quelli che, pur non essendo sposati, vivono abitualmente privi della grazia perché hanno rapporti sessuali in maniera abituale? 
E allora perché non darla senza confessione e senza cambiamento di vita a tutti quelli che compiono atti impuri? Costoro non sono più peccatori di chi vive in stato di adulterio pubblico e permanente.

10. Mons. Forte dice: “E cosa diciamo loro? (riferendosi ai divorziati risposati) Che basta la comunione spirituale? 
Ma così c’è il rischio di svalutare la forza della struttura sacramentale visibile.
Dobbiamo procedere con cautela ed esplorare tutte le vie che potrebbero riammettere queste persone all’Eucaristia”.
Ebbene, queste vie sono già state esplorate e indicate nella lettera della Congregazione per la Dottrina della fede “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati” (14 settembre 1994): 
Vi si legge: “Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio.
Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi" (Familiaris consortio 84).
In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo” (n. 4).

11. Mons. Forte dice anche che non dare la Comunione ai divorziati risposati significherebbe svalutare la struttura sacramentale della Chiesa.
Ma i sacramenti sono essenzialmente dei segni e come tali devono corrispondere al vero, perché diversamente non sono leggibili e inutilmente vengono posti.
Ebbene a tale proposito Giovanni Paolo II ha detto che i segni visibili dell’unione con la Chiesa (e la Santa  Comunione è segno visibile di quest’unione), devono essere segno dei vincoli invisibili, e cioè della vera comunione con Cristo e con la Chiesa mediante la grazia. 
Diversamente si compiono delle falsità proprio usando i segni santi dei Sacramenti.
Ecco le sue testuali parole: “L’integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28).
San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi» (Omelie su Isaia 6, 3).
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1385)stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».
Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»” (Ecclesia de Eucharistia 36).

12. Giovanni Paolo II sottolinea che non è la Chiesa a voler rompere questi rapporti visibili con  i suoi figli, ma che “sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia” (Familiaris consortio, 84).
E ricorda anche  che “la prassi di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati” è “fondata sulla Sacra Scrittura” (FC 84).
Questo perché “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia” (FC 84).
Inoltre, da vero pastore, ricorda che “c'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” (FC 84).

13. Infine, nella discussione sulla Comunione ai divorziati risposati vi sono altri problemi che vengono del tutto disattesi come quelli legati alla castità matrimoniale.
Gli sposi cristiani sono chiamati a vivere in maniera santa e casta il loro amore coniugale.
Per castità qui s’intende la castità  legata al loro stato di vita, che non è quello dei celibi o dei consacrati.
Di fatto gli sposi cristiani vivono in maniera casta e santa il loro amore coniugale quando seguono le vie di Dio.
Quelle vie di cui il Concilio Vaticano II ha detto: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Purtroppo questo richiamo per i divorziati risposati è eliminato. 
Eppure Paolo VI scrive nell’Humanae vitae: “Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (Humanae vitae, 25). E il Signore  soggiunge: “e pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,14).
Un discorso pastorale che intenda portare tutti alla santità e alla salvezza non può prescindere da questo.

14. Ripeto di nuovo: anch’io sono desideroso che i tesori di grazia e di santità che Cristo ha messo nelle nostre mani vengano portati a tutti gli uomini.
Anzi, lo voglio con tutto il cuore. Sono prete per questo!
Sono convinto però che la soluzione non si trovi glissando i problemi, ma proprio partendo da quello che finora la Chiesa ha detto insegnando il Vangelo. 
Vi sono dei nodi: è realistico e doveroso prenderli in esame.
Ciò che attendo è la soluzione dei nodi, non l’accantonarli o l’aggrovigliarli ancora di più.
Io attendo questa soluzione.
Se verrà trovata tale soluzione ne ringrazierò il Signore con tutto il cuore, la farò mia e la proporrò a tutti a più non posso.
Ma se dopo tutta la discussione si dovesse dire: “non c’è soluzione al di fuori della conversione e del fare penitenza perché Cristo ha detto così” sarebbe bello che con umiltà, sì, con umiltà e coraggio la Chiesa scongiurasse tutti al cambiamento di vita, come ha fatto Pietro in At 2,40.

Molto volentieri assicuro la mia preghiera per la causa che mi ha indicato.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo






[Modificato da Caterina63 01/11/2015 00:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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02/11/2015 12:39
 
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 quando i giornalisti seri vengono perseguitati....


“….la proposta avanzata dai cardinali progressisti di permettere ai divorziati-risposati di ricevere la Comunione senza che il loro matrimonio religioso venga dichiarato nullo.”
Il punto chiave è proprio in questo passaggio   
è qui la gravità non solo di una semplice proposta che un vescovo o un cardinale non dovrebbero neppure fare….. ma che stanno proprio imponendo a tutta la cattolicità andando in tal senso a modificare la dottrina del vangelo sul come e chi debba ricevere l’Eucaristia.
Se il matrimonio precedente non viene dichiarato nullo, nessun papa può legittimare la recezione della Comunione a chi resta sposato in seconde nozze e pure civili, è proprio contro la dottrina un simile atteggiamento.
E questo perchè, restando legittimo il vincolo sacramentale del primo matrimonio, il secondo è un adulterio, che non è una parolaccia, ma significa “FALSIFICARE”…. infatti, se quel primo vincolo non viene dichiarato nullo, la seconda unione è illegittima è FALSIFICARE quella unione che la chiesa ritiene legittima, VALIDA.
Perciò UNO dei due matrimoni è FALSO-ADULTERARE… o è falso il primo o è falso il secondo, non si scappa, altrimenti diventa poligamia anche se uno dei due non viene più vissuto dalla coppia.
Inoltre – il secondo matrimonio – restando in piedi e valido il primo, è solo CIVILE è come aprire le porte per la Comunione A TUTTI I CONVIVENTI… e a questo punto, perchè non darla a TUTTI anche ai protestanti o agli ortodossi? così infatti sottolineava Padre Riccardo Barile O.P. si legga qui.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-quel-buonismo-pastorale-che-cancella-il-peccato-14180.htm
che dice:
“….. dato il fondamento nella Scrittura e data la motivazione simbolica determinante, come si fa a parlare di una legge solo ecclesiastica e liturgica modificabile? E poi, se si trattasse solo di una legge ecclesiastica, perché fermarsi ai divorziati risposati? Perché non ammettere all’Eucaristia ortodossi e protestanti? Sarebbe un bel modo di accelerare l’ecumenismo, tanto che, avendo raggiunto il suo traguardo, non avrebbe più ragione di essere, a meno che… a loro volta siano gli ortodossi a non ammettere alla comunione questa razza di cattolici!”

Io ci aggiungevo: perchè non darla a TUTTI, anche a tutti i conviventi? il matrimonio civile – per la chiesa – ha più valore di quello sacramentale?
se così fosse c’è davvero qualcosa che non va…. e questo giornalista deve averlo fatto emergere tanto da essere perseguitato come chiunque si azzardasse a dire che “il re è nudo” 



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ROSS DOUTHAT, IL GIORNALISTA CHE HA MESSO A NUDO IL “PAPA-RE”

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C’è un giornalista americano, Ross Douthat, che sta subendo da qualche tempo un vero e proprio linciaggio mediatico dai catto-progressisti del suo paese, in particolare dai gesuiti. Perché questo? Il nostro, infatti, in un editoriale del 17 ottobre, pubblicato nella sua rubrica del “New York Times”, ha avuto il coraggio di esclamare candidamente che il «re è nudo». Abbiamo perciò deciso di tradurre per voi quell’articolo, in modo che i nostri lettori possano rendersi conto non solo di quanto siano intolleranti gli attacchi che Douthat sta subendo – al quale esprimiamo la nostra solidarietà – ma anche ciò che è realmente accaduto negli ultimi due sinodi dei vescovi.

Il complotto per cambiare il Cattolicesimo

di Ross Douthat (17-10-2015)

Sembra che il Vaticano abbia sempre avuto segreti e intrighi di una corte rinascimentale (in un certo senso, è ancora così).

L’umiltà ostentata di papa Francesco, i suoi rimproveri agli alti prelati, non hanno cambiato questo del tutto; se non altro, le ambizioni del Pontefice hanno incoraggiato cospiratori e i loro sostenitori a lavorare con maggior vigore.

E proprio adesso il capo dei cospiratori è il Papa stesso.

_ 001 Bergoglionate -5Lo scopo di Francesco è semplice: favorire la proposta avanzata dai cardinali progressisti di permettere ai divorziati-risposati di ricevere la Comunione senza che il loro matrimonio religioso venga dichiarato nullo.

Grazie al tacito sostegnodel Papa, questa proposta è stata la principale polemica nel sinodo dell’anno scorso, nonché di quello in corso a Roma proprio adesso.

Ma anche se il suo scopo è chiaro, il suo percorso è decisamente torbido. Proceduralmente, i poteri del papa sono quasi assoluti. Se un domani Francesco decidesse di ammettere i divorziati-risposati alla Comunione, non vi è alcuna corte suprema che possa impedirglielo.

Allo stesso tempo, però, il Papa non ha alcun potere di cambiare la dottrina cattolica. Questa regola non ha alcun “meccanismo” ufficiale di esecuzione – lo Spirito Santo interviene nei momenti cruciali per ripristinare l’equilibrio – ma la consuetudine vuole che la prudenza, il timore di Dio e la paura di uno scisma, frenino quei papi che potrebbero trovare un’allettante riscrittura dottrinale.

Ed è un cambiamento di Dottrina quello che i cattolici conservatori, molto ragionevolmente, credono che essenzialmente comporti l’ammettere i divorziati-risposati alla Comunione, benché questa proposta sia favorita da Francesco.

Se qualcuno scrivesse un libro sul potere – assoluto e limitato insieme – dell’ufficio papale, ne uscirebbe senz’altro un tomo affascinante. In un’opera del genere, le recenti manovre di Francesco meriterebbero un capitolo particolare, perché egli è chiaramente alla ricerca di un meccanismo che gli permetta di esercitare i suoi poteri senza pregiudicare la sua autorità.

_ 001 Bergoglionate -4La chiave di questa ricerca è stato il sinodo dei vescovi.

Il sinodo in sé non ha un ruolo dottrinale ufficiale (è un organo consultivo, ndr), ma può essere usato per proiettare un’immagine di consenso ecclesiale. Dunque, una forte dichiarazione dei padri sinodali che approvi la Comunione per i divorziati-risposati come un cambiamento puramente “pastorale”, non come un’alterazione dottrinale, renderebbe l’intenzione di Francesco più facile.

Purtroppo tale dichiarazione si è dimostrata difficile da ottenere – perché la maggioranza dei vescovi sono conservatori tanto quanto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e anche perché l’argomento “pastorale” è fondamentalmente una stupidaggine.

L’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio è già stato spinto verso un punto di rottura dalla recente riforma voluta da questo papa sui processi di nullità; ammettere alla Comunione chi non ha la dichiarazione di nullità, significa oltrepassare quel punto di rottura.

Quindi, per superare la resistenza da parte della maggioranza dei vescovi, prima il sinodo dello scorso anno e adesso quello di quest’anno, debbono essere “manipolati” – prendendo in prestito un recente libro-inchiesta del vaticanista Edward Pentin – dagli organizzatori, tutti di nomina papale e sbilanciati dalla parte progressista.

I documenti guida del sinodo sono stati preparati con questo obiettivo in mente: favorire la proposta progressista. Il Papa ha scelto gli organizzatori con questo scopo, non esitando a nominare persino un anziano cardinale coinvolto pesantemente nello scandalo degli abusi sui minori, ma comunque alleato per la causa del cambiamento.

La Sala Stampa vaticana ha filtrato (secondo la direttiva papale) ai mass-media i dibatti sinodali, che avvenivano a porte chiuse, sempre favorendo la proposta progressista.

I prelati incaricati di scrivere la relazione finale sono stati selezionati sempre con quest’obiettivo in mente. Lo stesso Francesco, nelle sue omelie quotidiane, ha sempre criticato il cattolicisimo dei “dottori della legge”, i moderni farisei legalisti – un preciso segnale (mal celato) del suo punto di vista.

Anche se, in realtà, nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 19, 1-12), furono i farisei ad ammettere il divorzio, al contrario di Gesù, che lo rifiutò.

Eppure il piano di papa Francesco non è destinato necessariamente a riuscire.

È stato riferito che ancora non c’è nulla di simile ad una maggioranza minima che, al sinodo, sostenga la proposta progressista; probabilmente per questo gli organizzatori scommettono più che altro sulla riuscita del documento finale. Ma i conservatori (americani, africani, polacchi, australiani) quest’anno non si sono fatti prendere di sorpresa: con uscite pubbliche e appelli privati al pontefice hanno fatto capire che non accetteranno “trucchetti”.

L’intera situazione è ricca di ironie.

I vecchi progressisti hanno pensato di aver colto il momento in cui avrebbero definitamente sconfitto i conservatori più giovani, credendo di possedere il futuro del cattolicesimo. I vescovi della “giovane Africa cristiana” stanno difendendo la fede cattolica del vecchio continente europeo dall’assedio dei colleghi tedeschi e italiani, stanchi del proprio patrimonio. Un papa gesuita di fatto in contrasto con la Congregazione per la Dottrina della Fede, quella che fu la Santa Inquisizione.

Ross Doutht
Ross Douthat

Per un giornalista cattolico – per qualsiasi giornalista – è una storia affascinante.

Parlando da giornalista, non so come andrà a finire.

Parlando come cattolico, mi aspetto che il complotto, alla fine, fallisca; là dove il papa e la “fede storica” sembrano essere in caduta, la mia scommessa è sulla Fede.

Ma per un’istituzione che misura la sua vita lungo i secoli, la “fine” può richiedere molto tempo prima che arrivi.

© THE NEW YORK TIMES (Clicca qui per l’originale)







Ross Douthat sul New York Times. Lettera alle Accademie cattoliche: tempo di chiarezza, tempo di battaglia

 
Incisiva l'ultima replica di Douthat, l'editorialista cattolico del New York Times, che non si può dire manchi di chiarezza, dimostra che 'siamo in guerra' e la lotta si fa dura. Il precedente : Ross Douthat, il giornalista che ha messo a nudo il “papa-re” qui.






Miei cari professori!

Ho letto con interesse la vostra  lettera di questa settimana ai miei redattori, ampiamente pubblicizzata, in cui vi opponete al mio recente servizio sulle controversie cattolico romane lamentando che stavo attribuendo accuse infondate di eresia (sia "sottilmente" che "apertamente"!). E deplorate la volontà di questo giornale di permettere che qualcuno privo di credenziali teologiche faccia supposizioni sui dibattiti all'interno della nostra chiesa. Sono rimasto davvero colpito dalle decine di nomi di accademici che hanno firmato la lettera sul sito di Daily Theology, e dalle illustri istituzioni (Georgetown, Boston College, Villanova), rappresentate nella lista.
 
Ho grande rispetto per la vostra vocazione. Vorrei cercare di spiegare la mia.
 
Un giornalista ha due compiti: quello di spiegare e quello di provocare. Il primo richiede di dare ai lettori un senso della posta in gioco in una data polemica, e perché potrebbe meritare un momento della loro frammentaria capacità di attenzione. Il secondo richiede di prendere una posizione chiara su tale polemica: la cosa migliore per indurre sentimenti (quali: solidarietà, interesse, accecante rabbia) che convinca le persone a leggere, tornare e seguire riabbonandosi.
 
Spero che possiamo essere d'accordo che le attuali controversie all'interno del cattolicesimo romano gridano (sic) [esigono un'azione immediata] per una delucidazione. E non solo per i cattolici: il mondo è affascinato - com'è normale che sia - dagli sforzi Papa Francesco per rimodellare la nostra chiesa. Ma le parti principali nelle controversie della chiesa sono incentivate a sminuire la posta in gioco. I cattolici conservatori non vogliono ammettere che il cambiamento dirompente sia ancora possibile, i cattolici liberali non vogliono ammettere che il papa potrebbe portare la Chiesa in una crisi.

Così nelle mie colonne, ho cercato di aprire un varco in quella confusione verso ciò che appare come la verità di base. C'è davvero una divisione nelle posizioni, ai più alti livelli della Chiesa, oltre che nell'ammettere i cattolici divorziati risposati alla comunione, anche su ciò che il cambiamento significherebbe. In questa divisione, il papa inclina chiaramente verso la visuale di liberalizzazione e ha manovrato ripetutamente per promuoverla. Al recente Sinodo, è stata posta una battuta d'arresto modesta ma genuina da parte dei conservatori.
 
E poi, a questa descrizione, ho aggiunto il mio punto di vista provocatorio: nel quadro della tradizione cattolica, i conservatori hanno di gran lunga la meglio sull'argomento.
 
In primo luogo, perché se la Chiesa ammette i risposati alla comunione senza l'annullamento - ma anche ne istituisce una accelerazione, senza alcun processo per ottenere l'annullamento, come il papa è pronto a fare - l'antico insegnamento cattolico che il matrimonio è "indissolubile" diventerebbe un dire vuoto.
 
In secondo luogo, perché cambiare in questo modo l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio sarebbe il più grande disfacimento della visuale cattolica della sessualità, del peccato e dei sacramenti, tagliando il legame tra confessione e comunione, e dando alle convivenze civili, alle unioni omosessuali e alla poligamia possibilità rivendicative pienamente ragionevoli per essere accettate dalla chiesa.
 
Ora, ciò è, come si nota, solo l'opinione di un giornalista. Così ho ascoltato con attenzione quando i teologi accreditati portano avanti la causa della liberalizzazione. Ciò che ho sentito sono tre affermazioni principali. La prima è che i cambiamenti in discussione sarebbero semplicemente "pastorali" piuttosto che "dottrinali", e che fino a quando la chiesa continua a dire che il matrimonio è indissolubile, niente di rivoluzionario sarà accaduto.
 
Ma questo sembra un po' come sostenere che la Cina non ha, di fatto, subito alcuna rivoluzione del mercato perché è ancora governata da sedicenti marxisti. No: in politica e in religione è la stessa cosa, una dottrina svuotata in pratica, è svuotata in realtà, qualunque cosa la retorica ufficiale suggerisca.
 
Quando viene sollevato questo punto, i riformatori fanno circolare l'idea che, beh, forse le modifiche proposte sono davvero dottrinali, ma non ogni questione dottrinale è altrettanto importante, e in ogni caso la dottrina cattolica può svilupparsi nel tempo.
 
Ma lo sviluppo della dottrina suppone l'approfondire l'insegnamento della chiesa, non invertirlo o contraddirlo. Questa distinzione permette molte zone d'ombra, è vero. Ma eclissare le stesse parole di Gesù sui temi non proprio secondari del matrimonio e della sessualità certamente sembra un rovesciamento importante piuttosto che un cambiamento effetto di un organico approfondimento dottrinale.
 
A quel punto arriviamo al terzo argomento, che fa la sua apparizione nella vostra lettera: Tu non capisci, tu non sei un teologo. E del resto non lo sono. Ma nessuno può presumere che il cattolicesimo debba essere una religione esoterica e che i suoi insegnamenti siano accessibili solo agli adepti accademici. E l'impressione lasciata da questo obiettivo in movimento, temo, è che alcuni riformatori stiano minimizzando la loro posizione reale nella speranza di portare gradualmente dalla loro parte i conservatori.
 
Qual è la vera posizione? Che quasi tutto ciò che è cattolico può cambiare quando i tempi lo richiedono, e la dottrina  in "via di sviluppo" significa solo stare al passo con le magnifiche sorti e progressive, non importa quanto del Nuovo Testamento sia lasciato alle spalle.
 
Come ho osservato in precedenza, il compito del giornalista è quello di essere provocatorio. Quindi devo dire, apertamente e non sottilmente, che questa visione suona come un'eresia secondo qualsiasi ragionevole definizione del termine.
 
Ora può essere che gli eretici di oggi siano profeti, la chiesa sarà davvero rivoluzionata, e le mie obiezioni saranno sepolte con il resto del cattolicesimo conservatore. Ma se ciò dovesse accadere, occorrerà una dura rettifica, non solo mezzi termini che si fanno forti del rango accademico. Sarà necessaria un'accanita guerra civile.

E così, cari professori: Benvenuti sul campo di battaglia.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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04/11/2015 17:40
 
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Sinodo discorde. Verso uno "scisma di fatto" nella Chiesa?

Il teologo domenicano Thomas Michelet mette a nudo le ambiguità del testo sinodale. Che non ha fatto unità ma ha coperto le divisioni. Il conflitto tra "ermeneutica della continuità" ed "ermeneutica della rottura". Il dilemma di Francesco 

di Sandro Magister




ROMA, 4 novembre 2015 – A due settimane dalla conclusione, le letture di ciò che ha detto il sinodo sulla famiglia continuano a essere contrastanti.

Per alcuni, questo esito incerto era voluto. Padre Adolfo Nicolás Pachón, il preposito generale dei gesuiti che papa Francesco ha incluso nella commissione incaricata di scrivere la "Relatio" finale, l'ha apertamente rivendicato come un successo, a sinodo appena finito:

"Nella mente di tutti, in commissione, c'era l'idea di preparare un documento che lasciasse le porte aperte: perché il papa potesse entrare e uscire, fare come crede".

E infatti ora le attese sono tutte puntate su ciò che dirà Francesco. Il quale da parte sua ha già anticipato per telefono i suoi intendimenti, il 28 ottobre, all'amico Eugenio Scalfari, ateo professo e fondatore del giornale guida del pensiero laico italiano, "La Repubblica", che ha prontamente trascritto così le parole del papa:

"Il diverso parere dei vescovi fa parte della modernità della Chiesa e delle diverse società nelle quali opera, ma l'intento è comune e per quanto riguarda l'ammissione dei divorziati ai sacramenti conferma che quel principio è stato accettato dal sinodo. Questo è il risultato di fondo, le valutazioni di fatto sono affidate ai confessori ma alla fine di percorsi più veloci o più lenti tutti i divorziati che lo chiedono saranno ammessi".

Il 2 novembre padre Federico Lombardi, interpellato in proposito dal National Catholic Register, ha detto però che quanto riportato da Scalfari "non è in alcun modo attendibile e non può essere considerato come il pensiero del papa".

Ma, a parte la suspense su cosa pensa e cosa dirà Francesco, l'interrogativo resta. Quanto è fondata la lettura del documento finale del sinodo – e soprattutto dei suoi paragrafi sul punto cruciale, quello della comunione ai divorziati risposati – come testo "aperto" a più interpretazioni discordanti?

Quella che segue è la prima analisi approfondita in materia. L'ha scritta per www.chiesa il teologo domenicano francese Thomas Michelet, firma della prestigiosa rivista "Nova et Vetera" della facoltà teologica di Friburgo.

La sua conclusione è che, se non arriverà un documento magisteriale chiaro e inequivoco nel solco della tradizione, le differenti pratiche pastorali già esistenti continueranno a svilupparsi, le une pienamente conformi all’ortodossia, le altre no, con l'esito ineluttabile di "uno scisma di fatto", legittimato per gli uni e per gli altri dalla doppia, contrastante lettura degli esiti del sinodo.

Ma vediamo come padre Michelet arriva a questa conclusione.

Con un'avvertenza. Lo schema interpretativo che Michelet adotta nell'analisi del testo sinodale è lo stesso applicato da Benedetto XVI al postconcilio, nel memorabile discorso del 22 dicembre 2005 in cui contrappose la "ermeneutica della continuità" alla "ermeneutica della rottura":

>  Discorso alla curia romana…

__________



Che cosa dice veramente il sinodo sui divorziati risposati?

di Thomas Michelet O.P.


Non sarà sfuggito a nessuno che la questione dei "divorziati risposati" (che bisognerebbe piuttosto chiamare "separati reimpegnati") è stata quella più aspramente discussa durante tutto questo sinodo sulla famiglia, sia dai padri sinodali che dai fedeli e perfino dal grande pubblico, conquistando anche regolarmente le prime pagine dei giornali, una cosa non vista da tanto tempo. Insomma, poche tematiche hanno suscitato altrettanto interesse. 

La complessità del dibattito si riflette nei documenti ufficiali, essendo i punti direttamente riguardanti la materia quelli che ogni volta hanno raccolto il minor numero di voti positivi, nonostante la successione di stesure orientata a raggiungere un ampio consenso. Ma ciò si ritrova anche nelle valutazioni quanto mai contraddittorie dei media, che proclamano a seconda dei casi la vittoria di un campo o dell’altro, o per rallegrarsene o per rammaricarsene: gli uni ritenendo l’accesso caso per caso dei divorziati alla comunione come l'inaugurazione di una tranquilla rivoluzione verso una nuova Chiesa; gli altri notando invece la sua clamorosa assenza nel documento finale e quindi il fermo mantenimento dello "status quo ante". 

Ma non contrapponiamo troppo in fretta il "sinodo dei media" a quello reale e ammettiamo onestamente che questo conflitto d’interpretazione trova la sua fonte, almeno in parte, nella stessa formulazione del testo, che su questo punto preciso manca della chiarezza e della precisione che si sarebbe potuta auspicare dopo due anni di lavori. Come avevamo anticipato in luglio su www.chiesa, si può temere che parecchi padri sinodali si siano ritenuti soddisfatti di questo punto di accordo per motivi al fondo diversissimi, e perfino opposti, poiché il testo consente di farne diverse letture e di coprire una divisione che malgrado tutto permane e che rischia da qui in avanti di crescere, se non si fa piena luce.


1. Un consenso difficile


Tutti ricordano che nella "Relatio synodi" del 18 ottobre 2014, il paragrafo 52 sull’accesso dei divorziati risposati ai sacramenti della penitenza e dell’eucarestia nonché il paragrafo 53 sulla comunione spirituale erano stati ampiamente bocciati, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi, cioè 122 su 183 padri sinodali (n. 52: 104 placet e 74 non placet; n. 53: 112 placet e 64 non placet). A questi due paragrafi bisogna aggiungere quello sulla pastorale delle persone ad orientamento omosessuale (n. 55: 118 placet e 62 non placet). Tuttavia questi paragrafi formalmente respinti si sono ritrovati mantenuti nel testo ufficiale che ha fatto da documento di lavoro per il seguito del processo sinodale, sicuramente per favorire una franca discussione che non occultasse nessuna difficoltà.

Nell’"Instrumentum laboris" del 23 giugno 2015, sotto il titolo "la via penitenziale", il paragrafo 122 riprendeva il precedente paragrafo 52 aggiungendovi un paragrafo 123 che esordiva con la sorprendente affermazione che "c'è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale". Ci si è allora chiesti che cosa fosse questo misterioso accordo. Tanto più che la maggioranza dei padri sinodali riuniti nel 2015 sembra piuttosto aver espresso larghe riserve in merito, col risultato che l’ipotesi alla fine neppure è stata adottata, almeno con questa formulazione.

Nella "Relatio synodi" del 24 ottobre 2015, i paragrafi 84 a 86 ormai espongono una proposta pastorale nuova sotto il titolo: Discernimento e integrazione". Essendo cresciuto a 265 il numero numero dei padri sinodali presenti, la maggioranza dei due terzi è diventata 177 ed è stata raggiunta con difficoltà nel caso di questi tre paragrafi, in un caso persino per un solo voto (n. 84: 187 placet e 72 non placet; n. 85: 178 placet e 80 non placet; n. 86: 190 placet e 64 non placet).

La "Relatio synodi" 2015 fornisce tre riferimenti magisteriali, tutti e tre contenuti nel paragrafo 85 e già presenti nella "Relatio synodi" 2014 e nell’"Instrumentum laboris": "Familiaris consortio" n. 84; Catechismo della Chiesa cattolica n. 1735; Dichiarazione del 24 giugno 2000 del pontificio consiglio per i testi legislativi. Invece, il documento del 14 settembre 1994 della congregazione per la dottrina della fede, a cui si accennava nel n. 123 dell’"Instrumentum laboris", non è stato ripreso.


2. La citazione di "Familiaris consortio"


Esaminiamo per prima cosa la citazione di "Familiaris consortio" n. 84  :

"Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido".

Questo testo è qui presentato come "un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni", sia per il prete il cui compito è di "accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento", sia per il fedele, nel proprio "esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento". 

Se si parla di pentimento, questo implica la necessità di riconoscere le proprie colpe e il proprio peccato allo scopo di ottenerne il perdono. Non è giusto, quindi, affermare che ogni nozione di peccato è messa da parte, in questo documento. Resta però il fatto che essa non è più formulata nel titolo della proposizione, che ormai non parla più in modo diretto di penitenza ma di discernimento; e si può rimpiangere questa assenza sul piano dottrinale anche se è sicuramente più simpatica sul piano pastorale. Inoltre è possibile che ci sia una tendenza a comprendere il pentimento più per colpe del passato (la Chiesa che fa penitenza per i peccati dei suoi membri), mentre la penitenza riguarda più spesso situazioni passate ma anche presenti (e perfino il peccato di altre persone), per ottenere la conversione del peccatore e la riparazione del male provocato dalla sua colpa. La scelta della parola "pentimento" rischia quindi di portare a considerare le seconde nozze dopo un divorzio soltanto come una colpa del passato piuttosto che come una "situazione oggettivamente disordinata" sempre attuale, o persino a esaminare solo le colpe del passato che avrebbero portato a questa situazione ritenuta non voluta per se stessa e quindi non colpevole. Per quanto riguarda questo processo, sia nella sua comprensione sia nella sua pratica, bisogna quindi essere capaci di un vero "discernimento semantico".

D’altra parte, "Familiaris consortio" n. 84, pur ricordando la necessità di distinguere queste diverse situazioni, ne traeva una identica conclusione in tutti casi: l’impossibilità di fare la comunione, a meno che si "regolarizzi" la propria situazione, in un modo o in un altro:

"La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.

"La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l'educazione dei figli – non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «'assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi'".

Cosa si può ricavare dalla mancata ripresa esplicita nel documento di questa conclusione pur così forte  della "Familiaris consortio"? 

In una "ermeneutica della continuità", si riterrà che il silenzio equivale a un consenso, che la citazione di un testo rimanda al testo intero, il quale fornisce alla citazione il suo vero contesto. Pertanto un tale processo di discernimento può portare all’eucarestia solo in quanto il fedele è veramente arrivato a uscire da questa situazione oggettivamente disordinata tramite un impegno mantenuto da un fermo proposito, ha potuto così chiedere il perdono delle sue colpe e finalmente riceverne l'assoluzione. Fino a questo punto, non può fare la comunione.

In una "ermeneutica di rottura", si riterrà che il silenzio equivale a un dissenso. Se la conclusione della "Familiaris consortio" non è ripresa espressamente, questo significa che è divenuta obsoleta; il contesto familiare essendo stato totalmente modificato da allora, al termine di un cambiamento che il documento definisce non solo culturale ma anche"antropologico". Quella che era la disciplina della Chiesa ai tempi di Giovanni Paolo II non dovrebbe esserlo più nella nuova Chiesa che si invoca. Si concluderà probabilmente che questo processo di discernimento può portare all’eucarestia, anche senza cambiamento di vita, purché la persona si sia pentita delle colpe passate ed abbia giudicato che può "in coscienza" fare la comunione.


3. Il Catechismo della Chiesa cattolica


Lo stesso paragrafo 85 della "Relatio synodi" 2015 cita più avanti il n. 1735 del Catechismo della Chiesa cattolica:

"Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze 'l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate' (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti".

La citazione è incompleta. È opportuno riandare al testo integrale:

"1735. L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali".

Questo paragrafo è davvero applicabile alla situazione dei divorziati risposati? Bisogna notare anzitutto che le stesse condizioni si ritrovano in parte per quanto riguarda il matrimonio, e sono condizioni che lo rendono invalido:

"1628. Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei contraenti, libero da violenza o da grave costrizione esterna [Cf. Codice di Diritto Canonico, 1103]. Nessuna potestà umana può sostituirsi a questo consenso [Cf. ibid., 1057, 1]. Se tale libertà manca, il matrimonio è invalido".

Si può immaginare, allora, che qualcuna di tali circostanze possa rendere non imputabili sul piano morale le nuove nozze dopo un divorzio? Se questo fosse il caso, queste nuove nozze sarebbero pertanto invalide. Certo, già lo sono perché, essendo il matrimonio indissolubile, non sono possibili seconde nozze mentre il primo coniuge è ancora in vita. Ma sarebbero nulle non solo come matrimonio: lo sarebbero anche come atto umano, sarebbero un "atto mancato". Pertanto non si potrebbe più parlare di divorziati risposati: non ci sarebbe quindi nessun nuovo impegno vero, e nessun tipo di legame tra le due persone. In queste condizioni, non è sicuro che si voglia sempre far valere la possibilità di una eliminazione totale dell’imputabilità. E poi tali condizionamenti psichici dovrebbero per prima cosa condurre a rimettere in questione l’esistenza dello stesso legame sacramentale. La situazione sarebbe allora del tutto differente.

Viceversa, quando le persone sono capaci di scambiare un "sì" per la vita con la piena coscienza di ciò che stanno facendo, non possono non rendersi conto che stanno portando un colpo contro questo "sì" con il loro nuovo impegno con un altra persona. Pertanto, non si capisce come la responsabilità di tale atto di reimpegno possa essere rimessa in discussione. Certo, possono esistere tanti tipi di motivi che incitino ad agire così, come lo dice più avanti il paragrafo 85: "In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso". Ciò non toglie che o sanno di colpire il loro legame matrimoniale con il loro reimpegno, e si tratta allora di un atto libero e responsabile; oppure non lo sanno per niente, e si può allora dubitare della stessa esistenza del loro legame matrimoniale.


4. La Dichiarazione del Pontificio consiglio per i testi legislativi



L’articolo 85 della "Relatio synodi" 2015 prosegue così:

"Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla 'imputabilità soggettiva' (Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a)".

Il testo di cui si tratta è il seguente, ricollocato nel suo contesto:

"2. Qualunque interpretazione del can. 915 che si opponga al suo contenuto sostanziale, dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa nei secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto delle parole della legge (cfr. can. 17) con l’uso improprio delle stesse parole come strumenti per relativizzare o svuotare la sostanza dei precetti. 

"La formula 'e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto' è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono:

"a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare;

"b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale;

"c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale.

"Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – 'soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi' (Familiaris consortio n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla comunione eucaristica solo 'remoto scandalo'".

Questa Dichiarazione del pontificio consiglio per i testi legislativi stabilisce quindi che le seconde nozze dopo un divorzio sono una situazione di "peccato grave abituale", presa in considerazione dal canone 915 per quanto riguarda "quelli che ostinatamente perseverano in un peccato grave manifesto". Il passo citato dalla "Relatio synodi" specifica che tale qualificazione va intesa oggettivamente e non soggettivamente, "perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della comunione non potrebbe giudicare". In altre parole, la situazione è valutata in foro esterno, perché non si può accedere al foro interno. Ebbene, nel contesto della "Relatio synodi", questo passo sembra prendere un altro senso: non si può giudicare sulla "colpevolezza soggettiva", e quindi bisognerebbe astenersi dal qualificare questa situazione moralmente. Certo, il testo non arriva a questo espressamente, però chi non si prende la pena di riandare al testo della Dichiarazione può capirlo in questo modo. E comunque il testo non dice da nessuna parte che si tratti di un peccato né che il Cristo qualifichi come adulterio le nuove nozze mentre il primo coniuge è ancora in vita (cfr. Mc 10, 11–12). Questa parola può essere dura da sentire, ma si trova proprio sulla bocca del Cristo, che ne misura tutta la portata.

Anche in questo caso, una "ermeneutica della continuità" porterà a interpretare questo testo precisando ciò che non dice e mantenendo la qualifica di "peccato grave e manifesto"; mentre una "ermeneutica di rottura" prenderà spunto da questo silenzio per attenersi all’astensione di giudicare in termini di colpevolezza soggettiva, il che porterà a eliminare qualsiasi qualificazione di questa situazione in termini di peccato, che sia grave e manifesto o no.

Nel primo caso, quindi, si terrà fermo, alla luce dell'enclica "Veritatis splendor", che le seconde nozze dopo un divorzio sono un atto cattivo che in qualsiasi circostanza non si può mai volere, nel quadro di una morale dell’oggettività e della finalità. Nel secondo caso, si acquisirà l’invito a convertire la propria visione pastorale e a tenere maggiormente conto delle circostanze, e quindi a modificare l’equilibrio dottrinale della "Veritatis splendor", facendo appello a una morale della soggettività e della coscienza. Il papa ha garantito che non si è mai toccata la dottrina, il che inclina al primo senso. Difatti, di riferimenti al magistero ve ne sono abbastanza per rafforzare i sostenitori dell’ermeneutica di continuità nella loro lettura. Ma ci sono anche abbastanza silenzi e segnali positivi perché i sostenitori dell’ermeneutica della rottura si sentano giustificati nel loro approccio nuovo. In assenza di ulteriori precisazioni, le due interpretazioni sembrano consentite.

Concludendo l'analisi di queste tre citazioni, tali lacune nella formulazione probabilmente spiegano perché questo paragrafo 85 sia stato quello che ha raccolto il numero più grande di non placet, e che sia stato approvato con un unico voto in più della maggioranza richiesta. Ma è possibile che ulteriori precisazioni in un senso o nell’altro gli avrebbero fatto perdere qualche voto in più; uno solo dei quali sarebbe bastato perché finisse respinto.


5. Accompagnamento e integrazione



Per quanto riguarda il paragrafo 84, esso presenta la "logica dell’integrazione" dei divorziati risposati come "la chiave del loro accompagnamento pastorale", che mira a manifestare non solo che non sono scomunicati, ma che possono vivere e crescere nella Chiesa, superando le "diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale". Il paragrafo 86 colloca infine il "giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa" sul terreno del discernimento col prete in foro interno; "questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa".

Interpretati nel quadro di una "ermeneutica della continuità", questi due paragrafi appaiono perfettamente ortodossi e conformi al recente magistero. La citazione della "Familiaris consortio" n. 84 e della Dichiarazione del pontificio consiglio per i testi legislativi permette di comprendere questa crescita come una conversione progressiva alla verità evangelica, di cui ciascuno cercherà di tradurre progressivamente tutte le esigenze nella propria vita. Una pastorale dell’accompagnamento dovrà sempre mirare alla piena riconciliazione del fedele e alla sua riammissione finale all’eucarestia, secondo le condizioni indicate da "Familiaris consortio" n. 84 per porre fine a quella "contraddizione oggettiva con la comunione d'amore tra il Cristo e la Chiesa" che rappresenta il nuovo impegno con una persona diversa dal coniuge legittimo, e che il Codice di diritto canonico definisce in foro esterno "peccato grave e manifesto". Qui c’è un vero cammino di santità, delineato con belle parole dalla fine del paragrafo 86, che parla delle "necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa". Il riconoscimento dell’integrazione nella Chiesa si farebbe quindi in riferimento all’"ordine dei penitenti", come si sarebbe detto in tempi antichi, con limiti nell’esercizio delle diverse funzioni ecclesiali che andrebbero interpretate tenendo conto dell’oggettività della situazione disordinata e potrebbero essere tolte a seconda della regolarizzazione di tale situazione.

Nel contesto di una "ermeneutica della rottura", invece, essendo queste condizioni e conclusioni del magistero anteriore passate sotto silenzio in questo testo, si tenderà a privilegiare la relativa novità costituita dalla valorizzazione del foro interno, a scapito del foro esterno. Si arriverà così a una morale della soggettività, piuttosto che dell’oggettività, con la difficoltà di ammettere assieme a "Veritatis splendor" la possibilità di "atti intrinsecamente cattivi"; l’accento essendo posto sopratutto sulla coscienza e sulla percezione interna dei diversi atti, decisioni e circostanze. In queste condizioni, poco importa che il Codice di diritto canonico qualifichi questa situazione come "peccato grave e manifesto", se non è percepita internamente come tale. Anzi, sarebbe meglio tacerlo, invece di invadere lo spazio interno della libertà e il santuario inviolabile della coscienza. Bisognerà quindi aspettare che la persona sia in grado di definire da se stessa questi atti, senza mai intervenire nel processo per paura di ferirla o di forzare la sua libera progressione. Qui si tratta più di una "libertà d’indifferenza" che di una "libertà di qualità". L’accompagnamento si farebbe partendo dalla persona e da ciò che in essa potrebbe essere valorizzato per farla crescere, piuttosto che partendo da una legge imposta dall’esterno alla quale questa persona dovrebbe conformarsi. L’integrazione nella Chiesa dipenderebbe dalla soggettività della persona e dalla sua percezione interna della propria situazione. In queste condizioni, se questa persona decide "in coscienza" che non ha commesso un peccato e che può fare la comunione, chi siamo noi per giudicarla? Il progresso spirituale potrebbe manifestarsi inoltre, paradossalmente, con un movimento di ritiro, man mano che il soggetto percepisce il proprio peccato o il disordine oggettivo: prendendo la decisione di non fare più la comunione perché ne capisce soltanto allora il motivo; rinunciando a certi compiti nella Chiesa perché ne capisce soltanto allora la possibile testimonianza negativa pubblica, riguardo all’"esempio che offrirebbe ai giovani che si stanno preparando al matrimonio".

Queste due logiche sono presentate qui in opposizione; non è tuttavia escluso che si possano trovare nell'una e nell'altra aspetti positivi e limiti; da lui l'interesse di metterle in prospettiva; l'errore stesso potendo servire a manifestare di più la verità. Il limite della pura logica dell’oggettività si trova nella considerazione che ci vogliono tempo e varie tappe per raggiungere la verità, perché questa verità sia recepita non solo come vera in sé ma anche come vera per sé, desiderabile e buona, e finalmente possibile da vivere e fruttuosa. Il limite della pura logica della coscienza si trova nell’affermare la possibilità di una coscienza erronea e nella necessità evangelica di liberarla da questo errore, perché diventi ciò che è, veramente libera, in atto e non solo potenzialmente: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32).

Notiamo infine una certa inquietudine per quanto riguarda la terminologia del paragrafo 84, che contrappone "esclusione" a "integrazione". Tale terminologia non è abituale in teologia. È tipica, invece, dell’ideologia egualitarista che anima in particolare i movimenti LGBT e il liberazionismo in generale, su un vecchio sfondo di dialettica marxista, con una tendenza nuova nichilista. Non è più la lotta di classe, ma l’abolizione di tutte le classi, differenze, categorie, statuti… e dunque la scomparsa della vera giustizia che dà ad ognuno secondo la sua parte ("suum cuique tribuere"), che non è necessariamente la stessa per tutti, perché le situazioni non sono necessariamente le stesse. Se si comincia ad ammettere questo tipo di contrapposizione mondana in un documento ecclesiastico, è porta aperta ad altre categorie di popolazione (persone con tendenze omosessuali, donne rispetto al clero maschile, ecc.) che verranno a lamentare la loro "esclusione" al fine di rivendicare la loro piena "integrazione" nella Chiesa. Sarebbe quindi opportuno esprimere in un altro modo la ricerca di comunione nei confronti delle persone che non sono attualmente in piena comunione con la Chiesa, a motivo di una situazione oggettivamente disordinata che rende impossibile la loro ammissione all’eucarestia, e riaffermate piuttosto la carità che ci urge a fare di tutto per portarli in verità alla piena comunione ecclesiale, in conformità alle esigenze evangeliche.


6. Comunione e decentralizzazione


La "Relatio synodi" in quanto tale non ha nessun valore magisteriale, è solo un documento consegnato al papa perché prenda lui una decisione. Si può quindi sperare che in una esortazione apostolica post–sinodale, il papa determini con chiarezza la linea da tenere. Oppure che un documento della congregazione per la dottrina della fede fornisca le precisazioni necessarie, ad esempio sotto la forma di un richiamo della giusta interpretazione dei documenti magisteriali, secondo una ermeneutica della continuità. 

In mancanza di questo, cosa potrebbe succedere? Tutti quanti potranno rientrare a casa soddisfatti, sicuri di aver ottenuto ciò che volevano e di aver evitato il peggio, invocato dal campo avverso. Ora, un accordo ottenuto su fondo di ambiguità non fa una unità: piuttosto copre una divisione. Le pratiche pastorali già esistenti potranno proseguire a esistere e a svilupparsi, le une su un fondo di ermeneutica della continuità e le altre su un fondo di ermeneutica della rottura. Il rinvio alla decisione pastorale di ogni prete e fedele "in coscienza" consentirà di stabilire, con documento a sostegno, una grande varietà di soluzioni pastorali, le une pienamente conformi all’ortodossia e all’ortoprassi, le altre più discutibili. 

In definitiva, se in un paese i preti incoraggiati dalle "linee guida" del proprio vescovo finiscono con lo stabilire delle pratiche pastorali identiche, ma divergenti con quelle di altri paesi, ciò potrebbe condurre a uno scisma di fatto, legittimato per ambedue le parti da una doppia lettura possibile di questo documento. E si arriva così a quello che avevamo già presentato in luglio come una situazione da temere, se il sinodo non fosse riuscito a definire una linea chiara. Ci siamo.


Nella festa dei santi apostoli Simone e Giuda
28 ottobre 2015

__________


Il documento conclusivo del sinodo, tuttora disponibile solo in lingua italiana, con i voti pro e contro raccolti da ciascun paragrafo:

> Relazione finale…

__________


L'intervista al "Corriere della Sera" del 26 ottobre del preposito generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás Pachón:

> "Ora il papa ha le mani libere"

L'editoriale di Eugenio Scalfari su "La Repubblica" del 1 novembre, in cui riferisce che cosa gli avrebbe detto papa Francesco sul sinodo:

> Dalle miserie politiche alle alte visioni di Francesco

E la "correzione" fatta da padre Federico Lombardi di quanto riferito da Scalfari:

> Fr. Lombardi: Latest Scalfari Article on Pope "In No Way Reliable"

__________


Due interventi di padre Thomas Michelet nell'intersessione tra i due sinodi sulla famiglia:

> Sinodo. Nel documento preparatorio c'è un'Araba Fenice (14.7.2015)

> Sinodo. La proposta di una "terza via" (1.5.2015)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/11/2015 13:47
 
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  LETTERA AL PATRIARCA DI VENEZIA FRANCESCO MORAGLIA


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Signor Patriarca Moraglia, poteva risparmiarci anche la “moragliata”.

 

«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua…. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?  E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?  Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).


Vogliamo allora scrivere questa “Lettera aperta” al Patriarca di Venezia.

Mons. Francesco Moraglia è patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012.
Monsignor Francesco Moraglia è patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012.

Ecc. Rev.ma, Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia,

dire basiti è poco, ma il suo “discorso” ai funerali “laici”(sic!) non ci sono proprio piaciuti e, come cattolici seppur laici, abbiamo il dovere di dire come stanno le cose, e di rimanere vigili quando, chi dovrebbe vigilare, perde la bussola e si allea con il mondo.

La saggezza antica dice che “un funerale non si nega a nessuno” perciò, sia ben chiaro, che non abbiamo nulla contro “un funerale” specialmente se non cattolico perché ben sappiamo che ogni essere umano è costato caro prezzo, quindi non ci vengano attribuite intenzioni completamente estranee a quanto diremo anche perché preferiamo seguire il consiglio del vero Maestro e Signore Nostro Gesù Cristo +, Colui che ha pagato a caro prezzo la nostra libertà e salvezza (e diciamolo tutto intero questo Nome glorioso, visto che ora si teme di fare il Suo Santo Nome in pubblico per non dispiacere gli uomini): “Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; poiché il di più vien dal maligno” (Mt 5,37).

Veniamo al dunque suggerendo di leggere l’articolo di Renato Farina su Il Giornale – vedi qui –  ne riportiamo un passo assolutamente da condividere:

“Le motivazioni però di questo gesto pubblico meritano di essere discusse, anche perché la testimonianza di dignità data da questi genitori rischia di trasformare in dogma il loro giudizio. Il padre Alberto ha spiegato: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa, ma non ho contrarietà rispetto a una benedizione o all’intervento di un imam». Ha aggiunto: «Volevamo qualcosa che non fosse di proprietà di qualcuno, che non fosse divisivo, ma aiutasse a unire». Come dire: la colpa delle divisioni, e alla fine, quello che favorisce il terrorismo, è l’identità dichiarata, è la croce. La croce divide. Non esiste religione di Stato, il cattolicesimo non lo è più.

Ma qui siamo ad una nuova religione di Stato, il cui segno è di non avere segni. Ciò che unisce, deve essere secondo quanto dice Alberto Solesin privo d’identità. Ne deriva che l’unica identità accettabile è la rinuncia ad amare proprie certe cose, certi segni, una tradizione, una fede. No, non è giusto. È l’oicofobia (*), l’odio della nostra casa, tanto più se in essa sta appeso un crocifisso. Secondo questa religione di Stato laica sempre più maggioritaria avrebbero ragione coloro che pretendono di togliere dalle aule scolastiche il crocifisso. Invece noi siamo questo crocifisso. Anche chi non lo prega ne è costituito. E nei gesti pubblici è molto triste che sia additato persino nel dolore comune come simbolo di divisione”.

Ecc.za rev.ma, o forse preferisce il più umile termine Padre Moraglia,

ma ci rendiamo conto a che cosa si è prestato? Lei e l’Imam siete stati messi sullo stesso piano perché, a questo padre di famiglia, colpito negli affetti più cari, è indifferente chi benedice, non ha contrarietà perché non gli interessa, è solo rispetto per Lei, e Lei in cambio ha fatto a meno di dire la verità ad un funerale.

Lei ha mentito a queste persone, caro Padre, ha mentito ad una piazza gremita, Lei di proposito non ha fatto il Nome di Colui che è padrone della vita e della morte, di Colui al quale questa anima si è presentata.

Lei ha mentito per paura! Ha avuto più coraggio un laico giornalista di Lei.

Sì, cita il Salmo e nel Suo flebile discorso dice: ” l’uomo è questo fiore che, nonostante il vento che sradica, permane. Il salmo, poi, ricorda che c’è qualcosa che non viene meno: l’amore, l’amore di Dio che è “da sempre” e sa bene che “noi siamo polvere”… ma l’amore di Dio va accolto e non rifiutato! Non viene meno questo Amore, verissimo, ma neppure Lei può sostituirsi a Dio e mentire alla Famiglia facendogli quasi pensare che la Figlia, perché uccisa in modo drammatico, sia quasi canonizzata!

Siamo polvere, siamo vasi di creta, la Bibbia contiene un mare di espressioni poetiche per definire la nostra miseria, ma qui c’è palese un rifiuto netto dei Genitori alla Bibbia e allora ci viene da chiederLe: perché citare il Salmo, perché usare questo termine generico “Dio” e censurarsi nel fare il Nome di questo Dio che ha una identità propria e che ha detto chiaramente che chi non crederà sarà condannato? (Mc 16,16)

Di che cosa ha avuto paura?

La Chiesa eleva il pio suffragio per l’anima immortale del defunto, nella speranza della sua eterna salvezza, e ne onora con una degna sepoltura il corpo esanime, nell’attesa della sua risurrezione. Tale certezza nella risurrezione, perché Gesù Cristo è risorto pagando il riscatto anche per quell’anima, fa delle esequie una celebrazione di vita e di profonda serenità, pur nell’amarezza delle lacrime per il distacco e apre i credenti all’attesa di un rinnovato incontro con chi vive e ci aspetta lassù…

Queste sono le parole che un Patriarca, un Vescovo, un Sacerdote, un parroco, deve dire, a chiunque, specie se invitato a dire qualcosa anche se non si tratta di un funerale cattolico, altrimenti è meglio non andare.

E invece Lei cosa dice? il nulla: “Ci spiace non potervi aiutare come vorremmo. La vostra dignità ci sorprende e fa riflettere”.

A noi non sorprende affatto e non ci fa riflettere la scelta di un padre che è stato coerente fino alla fine con le sue idee che non ha voluto cambiare neppure davanti alla morte: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa…», a noi sorprende e fa riflettere la scelta della Sua posizione nel piegarsi alle nuove regole del mondo.

Perché sia chiaro, un conto è rispettare le scelte di un padre, altra cosa è piegarsi a delle richieste che nessuno Le ha imposto, neppure questo padre colpito negli affetti più cari.

Non era obbligato ad andare anzi, poteva dire a questo padre affranto: “Non comprenda male le mie intenzioni, ma non verrò a questo funerale perché io sono un Vescovo e non un politico. Guardi, mentre voi starete in piazza a fare il funerale laico, io starò con il mio clero in ginocchio davanti al Tabernacolo, davanti a Gesù Cristo il quale, che lei creda o meno, è Colui che sta accogliendo in queste ore l’anima di sua figlia…”.

Lei, caro Patriarca, ha fatto la scelta peggiore, ed è per noi immenso dolore e forte delusione. Lei si piega alla politica corretta, ma esprime parole forti quali: “In nome di Dio, cambiate il vostro modo d’essere! Iniziate dal cuore, abbiate questo coraggio! Sì, si tratta del coraggio di dire: abbiamo sbagliato tutto. Chiedete perdono! Chiedere perdono è la dignità dell’uomo…”.

Belle parole ma rivolte a chi? Anche questi sono morti… Chiedere perdono a chi poi? ad un dio generico o a quel Dio Crocefisso del quale però non ha avuto il coraggio di fare il Nome santo e benedetto?

Inizia dal cuore è vero, ma se non è formato e i formatori hanno paura di dire in piazza la Verità… hanno paura di fare quel Nome santo e benedetto, come arriveranno mai a dire perdono?

Forse il Patriarca Moraglia crede davvero che l’ateismo o il sincretismo di questo padre che, con orgoglio, ha detto che alla figlia non hanno dato alcuna educazione religiosa, sia meno devastante – per noi cristiani – di questi altri che uccidono con le bombe?

C’è modo e modo di uccidere qualcuno, e c’è modo e modo di morire, Lei dovrebbe saperlo meglio di noi che adesso saremo accusati di essere insensibili per quel che abbiamo detto, ma soprattutto per aver messo Cristo al centro, sì al centro anche di un funerale laicista perché, al di là di come la pensano gli atei o i sincretisti, noi crediamo davvero che solo Gesù Cristo è VIA, VITA E VERITA’, altrimenti perché è andato vestito pure da Patriarca, poteva andarci in borghese, tanto oggi va di moda e così non si urtano le coscienze di chi non crede in Cristo.

Lei in questo funerale laicista e di piazza, caro Patriarca, ha negato, ha nascosto, ha censurato – scegliete il termine che volete – ad un vasto pubblico presente: la Via, la Verità e la Vita verso la quale questa anima è andata.

Ecc.za e amato Patriarca,

la delusione del Suo comportamento è davvero tanta.

Nella conclusione afferma che: “insieme alla Chiesa che è in Venezia, con tutte le confessioni cristiane presenti in questa città…”, quasi fosse ora il portavoce anche dei non cattolici, di fatto è stato onorato il ruolo di Patriarca che ricopre nella città, peccato che Lei non abbia onorato, pubblicamente, quel Crocefisso che ha un Nome, Gesù Cristo + e che le ha dato quel ruolo.

Ci siamo permessi molto con Lei in questa Lettera aperta, ma lo abbiamo fatto con l’affetto di figli feriti ed umiliati dalla Sua scelta, una scelta di partecipazione alla quale nessuno l’obbligava, ci permetta di concludere con un pensiero forse un poco cattivello, ma siamo persone sincere.

Facevamo davvero a gara nel desiderare che il Papa le donasse quella porpora cardinalizia che ritenevamo Lei meritasse, ma questa storia ci ha aperto gli occhi. Nel chiederci del perché di questo ritardo, forse ora lo comprendiamo.

Chissà, forse la porpora le giungerà ora dopo la “moragliata” che ha fatto… o forse per colpa di questa non le arriverà più, il tempo lo dirà e noi comprenderemo allora tante altre cose di cui abbiamo scritto molto in questo blog.

Ci ripensi Patriarca Moraglia e, per farlo, La lasciamo con le parole di due Donne Dottore della Chiesa.

In questa con quelle parole di Santa Ildegarda, Dottore della Chiesa, quando scrisse al Papa Anastasio IV:

«O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?

Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore… O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia! Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».

E a terminare con Santa Caterina da Siena dove sollecita il mondo laico a servire Dio:

«Aiutate a favoreggiare, e a levar su l’insegna della santissima croce; la quale Dio vi richiederà, a voi e agli altri, nell’ultima estremità della morte, di tanta negligenza e ignoranzia, quanta ci si è commessa, e commette tutto dì. Non dormite più (per l’amore di Cristo crocifisso, e per la vostra utilità!), questo poco del tempo che ci è rimaso; perocché il tempo è breve, e dovete morire, e non sapete quando. Cresca in voi un fuoco di santo desiderio a seguitare questa santa croce, e pacificarvi col prossimo vostro. E per questo modo seguiterete la via e la dottrina dell’Agnello svenato, derelitto in croce; e osserverete i comandamenti»

(Santa Caterina da Siena – Lettera CCXXXV – Al Re di Francia).

E qui i Pastori:

«Oimè, oimè, disavventurata l’anima mia! Aprite l’occhio e ragguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singolarmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dio. Vedete, padre, che ‘l lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa; e non si trova chi si muova a trargliele di bocca. (…)

Oimè, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli è il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sel furano con la superbia, tollendo l’onore che debbe essere di Dio, e dannolo a loro».

[Lettera 16 (XVI) di Santa Caterina da Siena al card. Di Ostia, citata da Paolo VI nella Proclamazione della Santa a Dottore della Chiesa il 4.10.1970].

__________

(*) oicofobia: la paura di vedere invasa la propria sfera privata da parte di terzi, senza un manifesto benestare del soggetto interessato.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/12/2015 19:17
 
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Non c'era posto per loro neppure sulla facciata della Basilica di San Pietro

"Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo...." (Lc.2,7)

"non c'era posto per loro nell'albergo" queste parole che ripetiamo ogni anno, quasi meccanicamente, ci ricordano anche della vera posizione sociale della Sacra Famiglia di Nazareth. Gesù non nasce nella miseria, come spesso la nuova pastorale lascia intendere; non nasce povero di mezzi o senza soldi e non nasce affatto come immigrante perchè, il migrante - lo dice il termine stesso - è colui che decide di cambiare posto, migrare appunto, vuoi perchè costretto (qui subentra l'episodio dopo la nascita per fuggire dalla strage, ma è un altro articolo che faremo), vuoi perchè ha dei sogni che vuole realizzare, Gesù non nasce in queste condizioni. Lo dice il Vangelo:

" In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.  Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio.  Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città.  Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,  per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta..." (Lc.2,1-5).

La motivazione, perciò, non è quella che la moderna pastorale vuole a tutti i costi imporre. Gesù nasce altrove perchè Giuseppe dovette andare a regolarizzare la sua Famiglia, per il censimento. Qui, in questa situazione avviene il parto. E Giuseppe si prodiga non a chiedere la carità, ma a cercare un albergo e di consegua, chi cerca un posto in albergo, lo fa perchè ha dei soldi che può spendere.

Questo è l'aspetto storico ed oggettivo, materiale e reale della situazione, poi è naturale che per noi subentra anche l'aspetto teologico, il simbolismo, quel "vedere" oltre i fatti reali ed oggettivi per trovarvi IL MISTERO di un Dio che pur essendo Re nasce in una condizione di povertà assoluta perchè "non c'era posto per loro nell' albergo".

Un mistero che non è l'arcano quale vedrebbe certo gnosticismo o club di esclusivisti dentro il quale possono accedere solo persone "illuminate", no! Il mistero, nel concetto cristiano e biblico è aperto a tutti ma non per essere svelato quanto piuttosto per essere accolto così come è ben sapendo che il suo pieno di-svelamento lo avremo solo quando saremo morti in grazia di Dio e avremo raggiunto quel "luogo" di cui Gesù ci dice chiaramente: " «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.  Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;  quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.  E del luogo dove io vado, voi conoscete la via» (Gv. 14,1-4).

Il Vangelo ci svela dunque la via di questo posto, la cui preparazione, inizio, sta in questa nascita misteriosa: "non c'era posto per loro nell' albergo"....

E' interessante il discorso che san Giovanni Paolo II fece nel 1981, disse:

".... e il Verbo era Dio . . . tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 1.3.14). “. . . Non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 1, 7). “Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe” (Gv 1, 11.10).

Vi prego, fratelli e sorelle, abitanti dell’Urbe e dell’Orbe, di meditare oggi sulla nascita, nella stalla di Betlemme, del Figlio eternamente nato. (..) Dio da Dio, Luce da Luce? Perché nella notte, quando è nato da Maria Vergine, non c’era posto per loro nell’albergo? Perché i suoi non l’hanno accolto? Perché il mondo non l’ha riconosciuto? Il Mistero della notte di Betlemme dura senza intervallo. Esso riempie la storia del mondo e si ferma alla soglia di ogni cuore umano..." (Messaggio Urbi et Orbe - Natale 1981)

Il Mistero di tutto ciò si ferma dunque alla soglia di ogni cuore umano: come ci comporteremo noi? Ci sarà posto per Lui nel nostro "albergo" che è il cuore? Ma qui non c'entrano nulla gli immigranti, qui c'entra LA CONVERSIONE: anche loro, anche i poveri devono accogliere Gesù, devono aprire questa porta. O accogliamo Gesù o lo rifiutiamo, tutto il resto e tutte le altre discussioni sull'accoglienza dell'altro bisognoso, dipenderanno dal come avremo prima accolto Gesù, o se lo avremo rifiutato.

 

Ciò a cui stiamo assistendo è un vero RIBALTAMENTO delle priorità. La Gerarchia che sta ribaltando queste priorità sta mettendo a rischio la salvezza degli uomini. E' Gesù che dice: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Apoc.3,20). La conseguenza di questa apertura sarà poi determinante per la nostra vita nel mondo: o con Gesù o senza Gesù.

Non a caso sempre Gesù ammonisce: «Perché mi interroghi su ciò che è buono?Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt.19,7), e ancora più esplicitamente: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti (..) Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv.14,15 -21), e insiste nel capitolo successivo: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore... » (Gv.15,10).

La conseguenza di queste affermazioni, la sua pastorale autentica la ritroviamo infatti nella predicazione degli Apostoli:

«Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti...Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui» (1Gv.2,3-4), e cosa succede se ribaltiamo le questioni se non obbediamo a questi comandamenti? Lo spiega sempre l'apostolo «..e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui... Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1Gv.3,22-24)

La pastorale è questa: se non c'era posto per Lui, per la Sacra Famiglia nell'albergo, non dobbiamo fermarci alle motivazioni ma prendere il fatto per riversarlo alle possibilità del nostro cuore, alle scelte che noi possiamo fare, ossia, aprire questa porta del nostro cuore e far entrare Gesù con la Sacra Famiglia perchè senza di Lui non potremo fare nulla, e ciò che faremo senza di Lui, è tutto inutile, è privo della Grazia, è privo della Divina Presenza, è filantropia, è opportunismo, è politica, è ideologia....

Dice ancora l'Apostolo: «Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti... perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.» (1Gv.5,2-3), e insiste l'Apostolo pure nella seconda Lettera: «..E in questo sta l'amore: nel camminare secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento che avete appreso fin dal principio; camminate in esso...» (2Gv.6).

Sette volte, e soltanto leggendo Giovanni troviamo ben sette volte il termine comandamenti, perchè tanta insistenza? La risposta, anche questa, la troviamo nelle sue parole: conosciamo di amare i figli di Dio SE AMIAMO DIO OSSERVANDO I SUOI COMANDAMENTI. Non si scappa. La moderna pastorale oggi in nome di un altro dio ha messo via da parte questa priorità, o peggio, l'ha proprio ribaltata: si ama il prossimo anche senza amare Dio e senza osservare i suoi comandamenti non comprendendo, però, che questo amore poggia sulla sabbia, è falso, è illusorio e addirittura, dice l'Apostolo " E' UN BUGIARDO" e la verità non abita in lui.

 

In ogni Natale che riviviamo noi credenti, non attendiamo semplicemente di rivivere il "compleanno" di Gesù, l'attesa che auspichiamo è la seconda venuta definitiva, quella gloriosa. L'Avvento che viviamo in questo tempo di grazia ci sollecita ad aprire in fretta questa porta del nostro cuore per far entrare solo Colui che è degno di abitare nel nostro cuore! Perchè senza di Lui non possiamo fare nulla, e ciò che faremo senza di Lui è menzogna.

Ma cosa c'entra il titolo: Non c'era posto per loro neppure sulla facciata della Basilica di San Pietro?

E' di questi giorni la notizia inquietante di una iniziativa blasfema nei confronti dell'utilizzo della facciata della Basilica di San Pietro. Un uso profano consentito e concesso dall'alta Gerarchia cattolica. Per tutta la notizia vi invitiamo a leggere qui perchè è ricca anche di dettagli, mentre noi abbiamo voluto prepararvi ai fatti premettendo quanto c'era ( e c'è) di più importante da riflettere sul senso di questo "posto" e di quale porta dobbiamo aprire, al di la poi di ogni considerazione sui fatti riguardanti i giochi di luci e immagini proiettate sulla facciata della Basilica nel giorno dell'Immacolata e nel giorno dell'apertura della Porta Santa.

Questa iniziativa è blasfema perchè la Porta Santa e la porta stessa simboleggiata dalla grande ed imponente Basilica petrina, non sono fine a se stesse o porte accessibili a tutti senza nulla dare in cambio... lo abbiamo letto sopra, la condizione di accesso, la chiave di accesso è la CONVERSIONE AI COMANDAMENTI DI DIO, altrimenti è solo menzogna e quindi è blasfemia. Infatti, il termine blasfemia significa oltraggio, ingiuria, MENZOGNA, mentire oltraggiando aspetti divini....

Per la Sacra Famiglia, per l'Immacolata, per Gesù Bambino non c'è posto per le immagini proiettate sulla facciata della Basilica, non c'è posto perchè altrimenti si rischia di offendere coloro che non credono in Dio e che NON vogliono credere e dunque è diventato obbligatorio rispettare IL RIFIUTO A DIO o chi lo rifiuta.... per questo parliamo di iniziativa blasfema alla quale si sono prestate le alte Gerarchie della Chiesa Cattolica.

Iniziativa costata MILIARDI DI EURO sovvenzionati dalla Banca Mondiale che è nemica della Chiesa, nemica di Cristo, magari anche proprietaria - metaforicamente parlando - di quegli alberghi che duemila anni fa rifiutarono di proposito di ospitare la Sacra Famiglia.... e il gioco al massacro continua, anche oggi "non c'è posto per loro nelle immagini della propaganda climatica"

Tutto in linea con il proclama del nuovo vescovo di Padova: rinunciamo alle nostre tradizioni in nome della pace.... vedi qui.... Eccellenza, cominci lei a rinunciare alla tradizione che lo ha portato su quella cattedra padovana, si ritiri e vada a coltivare cipolle!

Tutto in linea con la nuova pastorale che non parla più di COMANDAMENTI divini quale chiave d'accesso alla volontà di Dio e dalla quale deriva poi ogni successo - se usata veramente - nei confronti del soccorso ai poveri ed agli indigenti, agli immigranti e ai diseredati.... 

 

L'autentico cattolico sa perfettamente che la vera condizione per comportarci da veri amanti e rispettosi della natura è quella di partire da Cristo e non il contrario. Fare gli ambientalisti senza Cristo non apre la nostra porta a Lui, ma ci allontanerà sempre di più. Lo show è intitolato Fiat Lux: Illuminating Our Common Home [Fiat Lux. Illuminiamo la nostra casa comune]. “Fiat Lux” è il primo comando di Dio all’inizio della creazione: “Sia la luce”.Mentre la Chiesa presenta Gesù Cristo come la luce del mondo, le organizzazioni secolari recanti nomi pagani stanno letteralmente “oscurando” la Chiesa attraverso il loro stupefacente spettacolo di luce. San Paolo ammonisce i Corinzi a guardarsi da satana che “si maschera da angelo di luce” (2 Cor 11,14).

È come se gli organizzatori si sostituissero simbolicamente a Dio e creassero ex novo il mondo secondo la propria immagine e somiglianzaVogliamo far osservare che mentre una stella (leggi Matteo) illuminando la notte si fermò sulla stalla per far riconoscere che EGLI era la Luce, qui hanno bisogno dell'oscurità, delle tenebre, per mettere in luce i loro progetti senza Dio. PERCHE' AVETE PAURA? chiese Gesù, perchè non avevano fede... e perchè confidavano solo nell'uomo.

Concedeteci due parole in conclusione, a riguardo del grande bluff sulla questione climatica. Il nostro ragionamento non sarà scientifico perchè non ne abbiamo le competenze, ma non siamo così stolti da non riuscire a comprendere quanto ci stanno prendendo in giro - suggeriamo gli interventi de La Bussola vedi qui -  e il Papa che ha ceduto ai compromessi perchè si è lasciato catturare dalla frangia catastrofista, anch'essa priva di prove scientifiche semplicemente perchè nessuno ha, oggettivamente parlando, delle prove scientifiche. E qui non c'entra nulla l'infallibilità o l'oltraggio al Papa, qui la scelta del Papa è discutibile perchè non fondata sul Magistero della Chiesa nè sulla Scrittura (e lo riconosce anche il Papa Francesco nella sua Laudato sì).

Il Papa Francesco nella sua enc. Laudato sì ha omesso di citare TUTTI i riferimenti del Vangelo nel quale si parla del rapporto di Dio con la natura. Il Papa pur parlando di catastrofismi non cita la "tempesta sedata", leggiamo il passo: Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava  le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che moriamo?”. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” (Mc.4,35-41).

L'aspetto interessante è che il fatto termina con una domanda molto interessante:  “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”, perchè Papa Francesco ha omesso questo episodio in una enciclica che parla degli eventi climatici e naturali? Eppure in questo episodio c'era proprio quel condimento necessario A NON AVERE PAURA degli eventi naturali che viviamo....

Non vogliamo forzare alcuna risposta all'omissione del Papa, ma aggiungiamo un altra domanda simile che Gesù rivolge ai suoi: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18, 8)

Domanda da un milione di euro!! Abbiamo bisogno della fede istante per istante, momento per momento, giorno dopo giorno, per questo Gesù dice anche: "Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt.6,34), il che non vuol dire che dobbiamo campare alla giornata, sprecare cibo, acqua, risorse naturali, disboscare, inquinare ecc.... Siamo sempre lì, LE PRIORITA' attraverso le quali poi avremo le conseguenze come abbiamo spiegato sopra, ma di questo il Papa ha taciuto nell'enciclica ecologista.

E invece, dice Gesù, com’è bello, com’è reale, che, avendo così bisogno della fede, la fede sia grazia di Dio, sia dono di Dio e che va richiesta, è la priorità per fare poi il resto. Gratia facit fidem, dice san Tommaso: la grazia crea la fede, e non soltanto quando la fede inizia, ma la grazia crea la fede istante per istante, momento per momento, giorno dopo giorno, terremoto dopo terremoto, cataclisma dopo cataclisma. Per questo nella Tradizione popolare e devozionale della Chiesa si benedicevano i campi da coltivare, le case, i cibi, l'acqua, i fiumi perchè non straripassero e quando il cataclisma irrompeva, non si perdeva la grazia della fede, al contrario, la fede si rafforzava e si ricostruiva benedicendo Iddio....

E del resto è sempre Gesù che insegna: « Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?  E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc.8,36-38)

Come è potuto accadere che ci siamo allontanati da tutto ciò? Come può accadere che un Papa oggi scriva una enciclica sui cataclismi ed ometta però l'episodio in cui Gesù ci insegna LE PRIORITA' che dobbiamo coltivare per far fronte alle calamità naturali?

Non abbiamo risposte e non le vogliamo dare perchè vogliamo ancora fidarci di Dio, vogliamo fidarci dello Spirito Santo, vogliamo fidarci dell'Immacolata la cui profezia del trionfo del Suo Cuore Immacolato sappiamo essere alle porte... vogliamo fidarci del fatto che i Vangeli ci insegnano come da certi mali derivino dei beni più grandi, ma questa fede appunto non ci priva di dire dove si annida il male, di scovarlo ed evitarlo, combatterlo quando addirittura ci viene imposto sotto forma di nuova pastorale, una pastorale che sta ribaltando le priorità della fede e che scende a patti, a compromessi con il "nuovo ordine mondiale" - vedi qui - nel quale, ovviamente, non c'è posto per la Sacra Famiglia, non c'è posto per il Divino Bambino, le cui porte del cuore sono chiuse.

Per dirla con San Giovanni Paolo II: "Noi uomini, chinati ancora una volta, sul mistero di Betlemme, possiamo soltanto pensare con dolore quanto abbiano perso gli abitanti della “Città di Davide”, perché non hanno aperto la porta"...Noi gridiamo perché Cristo abbia posto nell’intera vasta Betlemme del mondo contemporaneo; perché sia concesso il diritto di cittadinanza a Colui che è venuto nel mondo... Il mondo, che non accetta Dio, cessa di essere ospitale nei confronti dell’uomo! (Messaggio Urbi et Orbe - Natale 1981)

Sia lodato Gesù Cristo +

 (cliccare sulle immagini per ingrandirle)


  



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/01/2016 00:38
 
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Padre Giacobbe Elia, esorcista incaricato per la Diocesi di Roma dal 1987 e autore di numerosi libri e pubblicazioni, intervistato da IntelligoNews parla dell'anno trascorso e di quello che verrà. Mette in guardia dalle tentazioni moderne e chiarisce come procedere evitando di cadere nel nichilismo e non cancellando l’idea del peccato che può trarre in inganno...

Finisce il 2015, per molti un anno buio. Si può parlare di anni di “prova” particolarmente duri o si lotta oggi come ieri?

"Più che una domanda la sua è una provocazione, di fronte a un’evidenza: 

“Il 2015 è stato un anno di buio”. E io credo che quasi tutto il 2016 non sarà meno duro.
L’uomo moderno si è ingannato pensando di “poter essere” emancipandosi da Dio. Senza di Lui ogni creatura è restituita al proprio nulla, perché l’essere stesso, la vita, invoca il Creatore che lo dona. La generazione umana è metafora eloquente di questo mistero. E come il bambino che volesse emanciparsi dal seno materno si condannerebbe a morte certa, così noi allontanandoci dal Salvatore ci consegniamo al peccato e, infine, all’inferno. Perché il peccato è il rifiuto di Dio e del suo Cristo, l’unico Salvatore. Gli antichi avevano compreso bene questo dramma dell’uomo e lo hanno detto con un’espressione bruciante: «aut Deus aut diabolus, tertius non dabitur». 
Fino alla consumazione dei secoli questa lotta vitale riguarderà ogni uomo, come insegna sant’Agostino spiegando il senso della prova: «La nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova»

Oggi rispetto a ieri, quali peccati e tentazioni ci sono e come è cambiato l'Uomo?

"Il peccato dell’uomo moderno consiste nel voler cancellare l’idea stessa del peccato. La sua stessa possibilità è diluita in un’infinita e mortificante analisi sociologica, che priva la nostra libertà di qualsiasi responsabilità. La colpa è sempre dell’altro, della società, delle istituzioni… Ma una libertà senza responsabilità non è vera libertà e una vita senza impegno e senza passione si consegna all’insignificanza, che segna il trionfo del Male sull’uomo. Strumentalizzando il pensiero della Chiesa, oggi si preferisce parlare soltanto della misericordia di Dio e si tace della sua tremenda giustizia, ignorando (colpevolmente) che questa dolorosa menzogna non solleva l’uomo, ma lo rende più vulnerabile di fonte alle prove...

http://www.intelligonews.it/articoli/29-dicembre-2015/35103/capodanno-l-esorcista-padre-giacobbe-elia-il-2015-e-stato-un-anno-di-buio-dove-cade-l-uomo-moderno 



Chiesa in via di protestantizzazione
di Claudio Crescimanno 11-01-2016

Chiesa in declino

Per oltre due anni siamo bombardati a più riprese dall’uscita dei risultati delle consultazioni di numerose diocesi nel mondo e di intere conferenze episcopali in vista del Sinodo sulla famiglia, risultati nei quali, senza tanti giri di parole, si smantella quel poco che in quei paesi è rimasto della fede e della morale; c’è stata l’intervista del presidente della Conferenza episcopale tedesca, che parla a nome suo, ma anche di buona parte dei suoi colleghi, che proclama l’autodeterminazione della Chiesa tedesca; ci sono due pezzi da novanta del collegio cardinalizio (Muller e Kasper) che da fronti opposti del nuovo campo di battaglia ecclesiale (la morale sessuale e familiare), senza scomporsi tanto, parlano di uno scisma incombente o addirittura già in atto; c’è una conferenza episcopale, di nuovo quella tedesca, che ha derubricato ‘la pillola del giorno dopo’, dichiarando d’autorità che non si tratta di aborto; ci sono nazioni ex cattoliche, come l’Irlanda, che apostatano pubblicamente dalla fede votando in massa un referendum, sostenuti dal silenzio dei loro Pastori; ci sono gli apparati centrali di molte diocesi europee che si mostrano omertosi circa la rapida diffusione dell’ideologia gender e riducono al silenzio con metodi spicci i preti e i laici che la combattono… e l’elenco potrebbe continuare. 

Ciascuno di questi fatti è stato già singolarmente commentato, e con grande competenza. Non pare superfluo, però, anche una valutazione dell’insieme, per la luce che questi fatti gettano sulla vita della Chiesa in questo momento cruciale. 

Partiamo dalle due domande che queste vicende non possono non suscitare in chi ha ancora un po’ di fede e un po’ di buon senso: come siamo arrivati a questo punto? E come è possibile che questo non susciti alcuna reazione in chi di dovere? Per rispondere a queste domande e, partendo da esse, fare un’adeguata riflessione sul tempo che stiamo vivendo, ritengo sia indispensabile partire da lontano.

Si sta realizzando in modo macroscopico ciò che aveva previsto l’imperscrutabile Paolo VI, in quella che già allora fu una facile profezia e che oggi è pura evidenza: «Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte» (J. Guitton, ‘Paolo VI segreto’). 

Sì, un pensiero non cattolico si è fatto strada ed è diventato predominante in molti ambienti della Chiesa cattolica, in molte facoltà teologiche, seminari, ordini religiosi, e, attraverso una capillare divulgazione, in molte comunità di fedeli; poi i rappresentanti di queste componenti ecclesiali si ritrovano nelle migliaia di convegni, assemblee, consigli pastorali dell’orbe cattolico, e così questo pensiero diviene predominante e maggioritario nella Chiesa intera. E a poco è servito il proliferare degli interventi magisteriali in contrario, visto che ormai da decenni essi, nella gran parte dei casi, rimbalzano sul corpo ecclesiale come su un muro di gomma.

Nessuna delle innovazioni proposte è originale: sono tesi che riguardano l’interpretazione della Scrittura, il valore dei dogmi, le conseguenze morali della fede, il valore dei sacramenti, la struttura della Chiesa, il rapporto con le altre religioni e con il mondo; su questi temi c’è un’unica paradossale proposta: sposare al più presto ciò che il Magistero ha condannato e combattuto negl’ultimi cinquecento anni.

Come è possibile un tale capovolgimento? 
Ecco il pensiero non cattolico, anzi anti-cattolico, di cui si diceva: è il pensiero secondo il quale nella contrapposizione del XVI secolo tra Lutero e il concilio di Trento, in realtà aveva ragione Lutero, solo che purtroppo la Gerarchia di allora non lo ha capito e la Chiesa si è chiusa alla meravigliosa opportunità della Riforma; nella contrapposizione del XVIII secolo tra l’illuminismo e la Chiesa, aveva ragione l’illuminismo, solo che il Magistero di allora non lo ha capito e di nuovo la Chiesa si è arroccata nelle sue posizioni integraliste e intransigenti e così ha perso l’opportunità di lasciarsi beneficamente influenzare dai principi e dai valori dei lumi … e così via di contrasto in contrasto. Così per circa cinquecento anni la Chiesa cattolica non ha fatto altro che chiudersi al mondo, alle novità, al progresso, e a moltiplicare le condanne: dalla Bolla Exurge Domine di Leone X, al Sillabo di Pio IX, alla Mirari Vos di Gregorio XVI, alla Pascendi di Pio X, alla Humani Generis di Pio XII.

E la cosa più drammatica – sempre secondo questo pensiero – è che in questo modo la Chiesa non ha fatto altro che allargare sempre più il suo divario con il Vangelo; eh sì, perché da Lutero fino all’abate Franzoni, i protestanti, gli illuministi, i liberali, i modernisti, i socialisti, insomma tutti i riformatori, ingiustamente e ottusamente condannati, in realtà avevano visto giusto, avevano capito il Vangelo ben più del Magistero cattolico! 

Ma finalmente c’è stata la svolta, finalmente con il Concilio Vaticano II la Chiesa, seppure con mezzo millennio di ritardo, prende consapevolezza di tutto ciò: ecco la portata rivoluzionaria del Concilio così appassionatamente celebrata dai sostenitori di questo pensiero. Naturalmente questa rivoluzione copernicana non si manifesta tanto nei documenti, che sono frutto di un compromesso tra le varie posizioni presenti in Concilio e quindi per ciò stesso rappresentano una fase ancora immatura del cambiamento, e dunque provvisoria; ma piuttosto si manifesta nel famoso ‘spirito’ del Concilio. Lo spirito del Concilio è da cinquant’anni il criterio di interpretazione della realtà che ha scalzato tutti i criteri precedenti (vero o falso, bene o male …), la nuova ‘ortodossia’ violando la quale si incorre nella nuova ‘scomunica’ per la quale non c’è remissione.

L’effetto di questo pensiero è la rottura della Chiesa post-conciliare con la Chiesa pre-conciliare; da questa rottura è nata una Chiesa ‘nuova’ che ha archiviato quella vecchia; è nata una Chiesa purificata dai paludamenti costantiniani, da una teologia e una morale integraliste, da una liturgia clericale, da un’assoluta incapacità di dialogare con il mondo contemporaneo. Al contrario la ‘nuova’ Chiesa è aperta al mondo, fa autocritica per tutto ciò che di identitario c’era in lei, e con umiltà impara da coloro che aveva condannato. E per recuperare il tempo perduto, tanto per cominciare, sposa con entusiasmo i cavalli di battaglia del suo nemico storico: il protestantesimo. Il cosiddetto spirito del Concilio non è altro che il motore di una Chiesa in avanzata fase di protestantizzazione: nell’esegesi biblica, negli studi filosofici e teologici, nella riforma liturgica, nella visione della Chiesa e dei suoi rapporti con le religioni e col mondo, in ogni settore della vita ecclesiale il rinnovamento post-conciliare ha sposato sempre più esplicitamente le posizioni protestanti.

Naturalmente il fatto che il protestantesimo liberale a cui ci si è entusiasticamente ispirati per rendere più evangelico, più cristiano, un cattolicesimo ormai obsoleto, sia in realtà da decenni in profonda crisi e che perda ministri e fedeli con rapidità vertiginosa non importa a nessuno. Lo spirito del Concilio infatti è un teorema ideologico e i suoi paladini non si imbarazzano a chiamare ‘primavera’ della Chiesa questa imitazione a scoppio ritardato dei fallimenti dei nipoti di Lutero, una sicura ricetta svuota-chiese, svuota-seminari, svuota-conventi che si è puntualmente e drammaticamente realizzata in questi ultimi decenni. Le poche eccezioni a questo tracollo sono le realtà ecclesiali che meno si sono fatte rinfrescare da questo soffio dello ‘spirito’ del Concilio, e che per ciò sono state impunemente ostacolate, e oggi apertamente perseguitate…

Ma il punto di arrivo di questo processo non è nemmeno la protestantizzazione del cattolicesimo: questa infatti è la tappa intermedia, necessaria ma transitoria, per il raggiungimento del vero obiettivo che è la secolarizzazione; il protestantesimo infatti è l’anticamera della secolarizzazione della società: lo è di diritto e di fatto. Lo è di diritto, poiché il ripiegamento soggettivo e intimistico della fede luterana non può non sfociare nella pratica di una religiosità individuale, che esclude ogni dimensione sociale della fede; lo è di fatto, poiché è questo ciò che si è storicamente realizzato: i paesi protestanti si sono secolarizzati prima e di più di quelli cattolici, e non solo perché hanno opposto meno resistenza al processo mondano, ma al contrario perché vi si sono consapevolmente e volontariamente consegnati senza opporre resistenza. Anzi, nel protestantesimo liberale – e ora, per imitazione, anche in ampi settori del cattolicesimo – la secolarizzazione non è vista come antitetica, ma come fase più matura, compiuta, della fede. 

In quest’ottica strabica, la secolarizzazione non è la scomparsa esplicita della fede, ma il suo evaporare in una religiosità vaga ed emotiva, che tutti accomuna, eliminando la dimensione identitaria; è dunque il miglior collante per costruire una società pacificata, tollerante, pluralista, accogliente e rispettosa di tutte le posizioni, cioè quel paradiso in terra che nella visione relativistica e immanentistica del mondo contemporaneo deve essere il vero obiettivo a cui tendono tutte le religioni, dunque anche quella cristiana. 

E anche verso questa tappa ultima si cammina a grandi passi: il dialogo ecumenico dell’immediato post-Concilio si è progressivamente trasformato nella inter-confessionalità, cioè nello scambio senza più distinzioni tra le diverse denominazioni cristiane; e ora la inter-confessionalità si sta evolvendo rapidamente nella inter-religiosità, cioè una parificazione sincretista di tutti i credo religiosi, forse in vista della costruzione di quella ONU delle religioni, la super religione universale, umanitaria e antropocentrica, che sempre più e da più parti viene auspicata…


 



Fraternamente CaterinaLD

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17/01/2016 12:57
 
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EDITORIALE Tutti gli editoriali
 
Papa Francesco e il rabbino Di Segni
 

Il tema del rapporto tra cristiani ed ebrei è stato arricchito di recente di importanti novità, che hanno preparato la visita odierna di Papa Francesco alla sinagoga di Roma.
Davanti a queste novità, il fedele si fa una domanda: il dovere di annunciare Cristo, come unico Salvatore, vale ancora anche a proposito degli ebrei o no? 

di Stefano Fontana

Il tema del rapporto tra cristiani ed ebrei è stato arricchito di recente di importanti novità, che hanno preparato la visita odierna di Papa Francesco alla sinagoga di Roma. Davanti a queste novità, il semplice fedele si fa una domanda altrettanto semplice: il dovere di annunciare Cristo, non solo la testimonianza personale, ma l’annuncio di Cristo come unico Salvatore, vale ancora anche a proposito degli ebrei o no? 

L’occasione delle novità di cui parliamo è stata la celebrazione dei cinquant’anni della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate sulle religioni non cristiane (28 ottobre 1965). La Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, presieduta dal cardinale Kurt Koch, nel dicembre scorso ha per l’occasione pubblicato un documento dal titolo «Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili». Il testo, che prende il titolo proprio da un passo della Nostra Aetate, è ricco e complesso, ma l’attenzione degli osservatori si è posata soprattutto sul seguente passo: «La Chiesa deve comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei»… «fermo restando questo rifiuto - per principio - di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah». Il documento non è da considerarsi un momento del magistero ufficiale della Chiesa, ma un contributo all’approfondimento teologico del rapporto tra ebrei e cristiani.

In vista della visita di papa Francesco alla Sinagoga di Roma prevista per oggi, il rabbino capo di Roma Di Segni aveva ripreso il tema della “evangelizzazione degli ebrei”, augurandosi che il Papa affermi che i cristiani non devono convertire gli ebrei. «Gli ebrei», ha detto Di Segni, «sono ancora il popolo eletto, anche se non crediamo in Gesù e continuano ad avere un posto in quello che loro chiamano salvezza, anche come non credenti in Gesù. Dal punto di vista pratico significa che gli ebrei non hanno bisogno di essere convertiti. L’ebraismo è considerato una religione parte del loro sistema religioso e merita di essere rispettata». É evidente il nesso tra questa richiesta e le affermazioni della Commissione pontificia ricordato sopra.

All’interno di questo dibattito, la prima cosa da fare è sgombrare il campo dalle cose ormai acquisite: che la religione ebraica abbia per il cristianesimo un posto unico e diverso dalle altre religioni, che il cristiano debba considerare gli ebrei come i propri “padri nella fede” (o altre espressioni similari), che la religione ebraica abbia avuto e abbia tuttora un posto nell’economia della salvezza e che vada rispettata, che vadano deplorati gli odi, le persecuzioni e l’antisemitismo, che la testimonianza cristiana davanti agli ebrei debba essere fatta con “umiltà e sensibilità”, che vada sempre tenuto presente che è Dio che converte e non i cristiani… tutto ciò è perfino ormai ovvio. Ma il problema vero latente nelle affermazioni della Commissione e in quelle del rabbino di Roma è un altro: i cristiani devono proporre Cristo anche agli ebrei o no?

La Nostra Aetate non lo richiede espressamente, ma nemmeno lo esclude, anzi lo postula. Essa afferma, tra l’altro, che è doveroso non presentare gli ebrei «né come rigettati da Dio né come maledetti», però dice anche che la Chiesa è il «nuovo popolo di Dio», che «Cristo si è sottoposto volontariamente alla sua passione e morte per i peccati di tutti gli uomini, perché tutti ottenessero la salvezza», e che la croce di Cristo «è fonte di ogni grazia». Difficile sostenere che la Nostra Aetate non volesse la conversione degli ebrei.

La testimonianza e il dialogo sono sufficienti? Sono veri senza l’annuncio? Nella esaltazione del dialogo propria del post Concilio c’è stato anche chi ha risposto di sì. Ma, per esempio, il cardinale Angelo Amato, da segretario della Congregazione per la dottrina della fede, aveva scritto che nei rapporti con le altre religioni il dialogo del cristiano non deve mai essere disgiunto dall’annuncio (Dialogo interreligioso. Significato e valore, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2011). Egli distingueva il dialogo della carità (pace, giustizia …) dal dialogo della verità, che è quello più importante. Il Cristianesimo considera le altre religioni come aventi un carattere di avvento – egli scriveva - che le rimanda a Cristo, il che implica l'obbligo di  «mandare tutti i popoli a scuola da Gesù» (la frase è del cardinale Ratzinger). La rivelazione di Cristo include tutti gli aspetti positivi delle altre religioni, con una ricchezza unica e particolarmente importante per quella ebraica. 

   




[Modificato da Caterina63 17/01/2016 12:59]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/01/2016 13:45
 
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  il cattolicesimo dei sensi di colpa........ inutili

 

(cliccare sulle immagini per ingrandirle)

Tempo fa una rivista riportava un breve saggio dove si spiegava il concetto di una "nuova forma di cattolicesimo dai sensi di colpa"... e attenzione, non i sensi di colpa del Cattolicesimo, la differenza è tanta! Ossia, si spiegava come una certa esplosione modernista (o implosione visto che è interna alla Chiesa) si è avuta a causa dei sensi di colpa di molti cattolici (preti, frati, vescovi, laici e suore) i quali, ignorando il proprio passato e schiavi di una certa propaganda ottocentesca anticlericale, massonica e pure protestante, si vergognavano della Chiesa interpretando e salutando così l'avvento del Concilio come un "voltare pagina e ricominciare tutto di nuovo, con una nuova Chiesa ripulita da un certo passato per loro scomodo"...

L'articolo era molto convincente poiché riportava anche fatti concreti, già prima del Concilio, testimonianze e opinioni di molte di queste persone, anche di vescovi fra i quali vi erano discussioni sulle opportunità o meno di atti pontifici che includessero certe aperture e meno dottrine, e che magari riportassero una chiara condanna alle Crociate, all'Inquisizione ed alla gestione ecclesiale in certe epoche storiche come anche l'invasione del Vecchio mondo nel Nuovo.

C’è del vero in tutto questo scenario e lo vedemmo quando uscì fuori il Mea Culpa del quale il Papa dovette modificare il testo come racconta il card. Biffi nel suo libro "Memorie di un cardinale italiano"... e che impegnò il card. Ratzinger per una spiegazione e chiarimento sul senso e sul significato, per evitare che si potesse pensare ed interpretare che la Chiesa (in quanto: una , santa, cattolica ed apostolica) fosse giunta a doversi "pentire della dottrina, dell'etica e della morale", sempre difesa, per la quale certo cattolicesimo spingeva (e spinge) affinché venisse modificata con la scusa del "Mea Culpa"....

 

La verità risiede in ben altro: molti Cattolici non amano il proprio passato, si vergognano di questo passato, si vergognano della propria Madre! Molti altri se ne vergognano ma non conoscono affatto la sua storia, o la rifiutano, o si accontentano di come la dipingono certi falsi maestri.

Basti pensare a come viene dipinto il Concilio di Trento, un evento del quale vergognarsi, e con la pretesa che l'ultimo Concilio lo abbia così cancellato. Per molti il Vaticano II è stato il "cavallo di Troia" attraverso il quale fondare una "nuova" chiesa appoggiata sui loro sensi di colpa, una chiesa a misura d'uomo, una chiesa ad personam, una chiesa libera da dogmi e precetti colpevoli e responsabili di tanta frustrazione.

Altri si rifiutano perfino di approfondire questo passato ma pretendendo di conoscere i fatti, altri ancora pensano che la Chiesa sia esclusivamente quella narrazione anticattolica estrapolata dalle Crociate e dall'Inquisizione, rifiutando di aggiornare le proprie conoscenze attraverso saggi odierni sulle rivisitazioni di storici credibili con l’apprendimento di nuovi documenti o semplicemente con i chiarimenti come, per esempio, si prefigge di fare da tempo con dovizia di onestà, la rivista Il Timone.

Molti sacerdoti non sono da meno, anzi molti di loro credono di poter fare del bene quanto più presentassero "una Chiesa nuova, aperta, senza l'obbligo delle dottrine, senza i vincoli dei dogmi"....le dottrine sono viste come lacci, come impedimenti alla propria libera creatività missionaria, lacci di una Chiesa del passato, una Chiesa matrigna!

Già molti secoli fa un estensore del Talmud osservava: “una ferita all’amor proprio equivale a spargimento di sangue”.

La colpevolizzazione è il metodo usato, di regola senza rendersene conto, per far sentire sbagliato qualcuno.

Ma il concetto di "nuova Chiesa" è quanto più di diabolico possa essere uscito non dal Concilio, ma dalla sua strumentalizzazione... e se è vero per altri che Paolo VI non avrebbe dovuto fare nessuna riforma liturgica in quel momento delicato nel quale i seminari si stavano svuotando, come gli Ordini Religiosi, e dove la contestazione sull'etica e sulla morale alimentavano i nuovi nemici della Chiesa, e che del resto una riforma Liturgica l'aveva fatta Giovanni XXIII e quant'altro, cambiare la Liturgia, la Messa, vietando quella di sempre, non fece altro che confermare in molti cattolici la convinzione di essere nel giusto, la convinzione che "una nuova pentecoste aveva rifatto una nuova Chiesa cominciando da lì, dal Concilio quale super dogma che avrebbe dovuto cancellare con il tempo i residui di un passato scomodo"... ed è naturale che una "chiesa NUOVA necessita di nuove dottrine", e "una nuova Chiesa comincia con una nuova Liturgia".

 

Attenzione però, perché Paolo VI al tempo stesso ammoniva con insistenza che le cose non stavano così.
Mercoledì del 12 gennaio 1966 diceva all’Udienza generale:
"Bisogna fare attenzione: gli insegnamenti del Concilio non costituiscono un sistema organico e completo della dottrina cattolica; questa è assai più ampia, come tutti sanno, e non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia, piena di sapienza, di vigore e di fiducia. Ed è questo aspetto dottrinale del Concilio, che dobbiamo in primo luogo notare per l’onore della Parola di Dio, che rimane univoca e perenne, come luce che non si spegne, e per il conforto delle nostre anime, che dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il «deposito della fede» (cfr. Humani generis, A.A.S., 1960, p. 567).

- dice ancora il Papa -

"Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì deve vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le «novità» dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore.
Perciò il Concilio aiuti i fedeli, maestri o discepoli che siano, a superare quegli stati d’animo - di negazione, d’indifferenza, di dubbio, di soggettivismo, ecc. - che sono contrari alla purezza e alla fortezza della fede. Esso è un grande atto del magistero ecclesiastico; e chi aderisce al Concilio riconosce ed onora con ciò il magistero della Chiesa; e fu questa la prima idea che mosse Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, a convocare il Concilio, come Egli ben disse inaugurandolo: «ut iterum magisterium ecclesiasticum . . . affirmaretur»; «fu nostro proposito, così si esprimeva, nell’indire questa grandissima assemblea, di riaffermare il magistero ecclesiastico» (A.A.S. 1962, p. 786).

«Ciò che più importa al Concilio ecumenico, Egli continuava, è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia più efficacemente custodito ed esposto» (ibid. p. 790).
Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità della fede. Il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose ma non priva il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità, la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico". (1)

Così come disse Benedetto XVI nella sua Lettera ai Vescovi:

"Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive". (2)

E' utile meditare su quanto segue:
"Mi domandate che penso dell’avvenire? Penso che dipenderà dal presente e, cioè, che se noi ci lasciamo istruire dall’esperienza e ritorniamo cristiani fedeli, il nostro avvenire potrà ricostituirsi su solide basi. Ma se ci si limita a rendere omaggi esteriori alla religione senza farla penetrare nelle leggi, nei costumi, nell’educazione, nelle dottrine e soprattutto nei cuori, semineremo solo vento, e raccoglieremo nuove tempeste".
a dire questo è P. M. Théodore Ratisbonne, l'ebreo convertito da Maria Santissima, 23 luglio 1848.

 

Per giungere all'oggi dove, durante i lavori di questo infausto - per ora - Sinodo il presidente dei vescovi della Polonia, l’arcivescovo di Poznan Stanisław Gadecki, non ha esitato a dire che la relazione riassuntiva della prima settimana di lavori del Sinodo sulla famiglia, presentata ieri mattina dal cardinale Peter Erdo, non solo si discosta dall’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla famiglia e perfino che in esso si possono riscontrare tracce di un’ideologia anti-famiglia, ma ha anche sottolineato che: « Si ha l’impressione che l’insegnamento della Chiesa sia stato senza misericordia fino ad ora, e che la misericordia inizi solo ora».

I sensi di colpa si nascondono spesso dietro una profonda e vasta incapacità nell'affrontare "qualcosa", finendo spesso per rifugiarsi dietro frasi del tipo "no questo non mi interessa" oppure "no non mi piace" o "no questo non mi va", o come "io seguo la mia coscienza"... da qui, se non ci si corregge subito, se non si alimenta una "retta coscienza", comincia ad alimentarsi la superbia, la presunzione, l'orgoglio, l'amor proprio, l'opinione assunta come verità, e la verità è che quel "qualcosa" non ci va poiché il solo ipotizzarla scontenta il soggetto che non può ammettere a se stesso questa sua debolezza, o una idea errata.
Da qui si comprende anche perché molti fedeli vivono i "no" della Chiesa come una frustrazione fino a giungere all'apostasia come sorta di liberazione del proprio ego.

L'allora cardinale Ratzinger rispondeva:
"la Chiesa si ridurrà numericamente? Quando ho fatto questa affermazione, mi sono piovuti da tutte le parti rimproveri di pessimismo. E oggi tutti i divieti paiono caduti in disuso, tranne quello riguardante ciò che viene chiamato pessimismo e che spesso non è altro che sano realismo. Nel frattempo i più ammettono la diminuzione della percentuale di cristiani battezzati nell'Europa di oggi (..) I dati statistici mostrano tendenze inconfutabili. In questo senso si riduce la possibilità di identificazione tra popolo e Chiesa in determinate aree culturali, ad esempio da noi. Dobbiamo semplicemente prenderne atto (...) La Chiesa di massa può essere qualcosa di molto bello, ma non è necessariamente l'unica modalità di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era una Chiesa piccola senza per questo essere una comunità settaria. Al contrario, non era chiusa in sé stessa, ma sentiva di avere una responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, di tutti. Nel suo grembo trovavano posto tutti coloro che da una fede monoteista traevano alimento nella loro ricerca di una promessa. " (3)

La soluzione non è certo una Chiesa di massa nella quale i coraggiosi "NO" che la rendono quel segno di contraddizione nel mondo e nella battaglia contro le tenebre, possono diventare dei "si" a seconda delle mode del momento o perché le chiese nelle varie diocesi si svuotano.

Nella primavera del 2009, il Vescovo mons. Andrea Gemma rispondeva così ad un libello provocatorio del vaticanista di Repubblica: "La Chiesa dei no".
Un libello laicista e naturalmente contro Benedetto XVI per i suoi magistrali "no" a certe pretese innovative.
Vale la pena di leggere la risposta di un vescovo coraggioso:
- Forse il nostro “vaticanista” di turno non sa, o non vuole sapere, che la Chiesa cattolica si è sempre distinta proprio per i suoi “no” che hanno segnato la storia. Il primo “no” è uscito dalla bocca stessa degli Apostoli, i quali all’ingiunzione categorica del sinedrio di Gerusalemme di non predicare più Gesù e il suo Vangelo, opposero immediatamente un secco: “Noi non possiamo tacere …” (At 4,20).
Non bastarono i flagelli e la prigione a far recedere gli Apostoli da questo “no”.
Un altro celeberrimo “no” è quello che oppose il vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, nientemeno che all’Imperatore Teodosio. A costui, che si era macchiato di un terribile delitto di strage e pretendeva, come al solito, di assistere ai Sacri Riti, Ambrogio oppose il suo irremovibile “no”, obbligandolo a lasciare il tempio, impedendogli la partecipazione al rito che il vescovo presiedeva.
Un altro “no” la storia recensisce sulle labbra del Papa Clemente VII, il quale, richiesto ripetutamente dal re d’Inghilterra Enrico VIII di emettere a suo favore una sentenza di divorzio, oppose il “no” da cui scaturì quello scisma d’Inghilterra che perdura tutt’ora.
Potremmo aggiungere il celebre “non possumus” del beato Pio IX, il quale rifiutò di riconoscere, come legittima, l’invasione dello Stato Pontificio e la dichiarazione di Roma capitale d’Italia, dando così origine a quella “questione romana” che solo nel 1929 il Papa Pio XI coraggiosamente dichiarò conclusa.
E continua mons. Gemma:
Sì - è una gioia riconoscerlo -, la Chiesa cattolica è sempre stata la Chiesa del “no” e non potrebbe non esserlo ora che sul soglio di Pietro siede un meraviglioso e prudentissimo Pastore, il quale, in fatto di dottrina e di morale, è illuminato come pochi.
Sì, la Chiesa di Gesù dice di no a quell’orrida pedagogia di morte (..) per difendere ad oltranza, rimanendo spesso da sola, il diritto alla vita di ogni essere umano, dal suo inizio al suo naturale compimento.
La Chiesa dice di no a quella indegna ecatombe di embrioni umani congelati e fatti servire - orrore! - alla cosiddetta “ricerca scientifica”.
La Chiesa dice di no a tutto ciò che in qualsiasi maniera leda la dignità di ogni essere umano, per quanto piccolo ed umile esso sia. La Chiesa di Gesù dice di no all’oppressione dei deboli da parte dei potenti e dei forti.
La Chiesa di Gesù dice di no alla indegna violazione dell’innocenza dei piccoli, per i quali è spalancato il regno dei cieli.
La Chiesa dice di no ad ogni ingiusta discriminazione, in nome della razza, del colore della pelle, del censo, della religione, della nazionalità.
La Chiesa dice di no a quella planetaria ingiustizia che mentre vede i pochi gavazzare nell’abbondanza e nello spreco, lascia morire di fame e di epidemie milioni di esseri umani.
La Chiesa dice di no allo sfascio della famiglia monogamica e indissolubile.
La Chiesa dice di no ad ogni forma di corruzione e di lesione della giustizia fondata sulla divina legge.
La Chiesa, in definitiva, dice di no, sempre e comunque, a tutto ciò che è male riconosciuto tale secondo la divina legge e la coscienza bene informata, contro ogni relativismo di comodo. Questa e non altra è la Chiesa che Gesù ha voluto e fondato. Questa è la Chiesa sapientemente guidata, oggi, da Benedetto XVI. Questa è la Chiesa a cui gioiosamente apparteniamo - .

Quanto abbiamo letto ci chiarisce profondamente quel dissenso e quell'allergia a questi "no" e ci riporta a mente il severo monito paolino:
«Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo, che deve giudicare i vivi e i morti e per la sua venuta e per il suo regno: predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, minaccia, esorta con tutta pazienza e dottrina. Perché verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina, ma sollecitati ad ascoltare cose piacevoli, si circonderanno di una folla di dottori secondo i loro capricci e, distogliendo l’orecchio dalla verità, si volgeranno a favole. Quanto a te, sii vigilante in tutto, paziente nelle sofferenze, fa’ opera di vero evangelizzatore, compi bene il tuo ministero» (2 Tim. 4. l-5).

San Paolo qui dice addirittura di "minacciare", termine che letto correttamente nella sua etimologia, significa proprio: sporgente, sollevarsi, innalzarsi, incutere negli altri il timore verso il male per scongiurare una punizione altrettanto grave quanto il male compiuto...

Ecco allora la linea della Chiesa che ci libera da inutili sensi di colpa attraverso i quali si è sviluppata, invece, una teologia moderna, il modernismo, o progressismo con tutto ciò che ne consegue.
Questa linea che non è, come qualcuno vorrebbe con intenti ideologici, una somma di “no” alla libertà degli individui, che non è una chiusura alla “modernità” (non al modernismo che è ben altra cosa), vera o presunta, e appurato che con il concetto di modernità si pretende la scristianizzazione mascherata dalla laicità.
Questa linea della Chiesa si muove appunto dalla grande questione della autentica modernità, e del sano progresso che è la questione dell’uomo che nei fondamenti della sua dignità umana ha il dovere e il diritto di conoscere i parametri del suo essere e divenire, dell'essere redento, dell'essere salvato, amato da Dio, questa linea è “la via della Chiesa”, è la sua specifica missione.
Questi "no" devono essere riletti come dei "Sì" a Dio, a partire da quel Sì della Vergine Maria che coinvolge ogni uomo e in ogni tempo, credente o non credente!
Quando "non ci va" di fare qualcosa che la Chiesa ci chiede, occorre non pretendere che Essa modifichi le sue dottrine, ma rimuovere dal profondo il proprio disagio, la personale inquietudine; così come scaricare le proprie inquietudini con tre o quattro Rosari al giorno, secondo alcuni studi condotti dall'università di Pavia, sembra funzionare, eppure è almeno da 800 anni che la Chiesa nei suoi Santi suggerisce l'uso del Rosario per affrontare mille problemi personali e sociali.

In definitiva per lavorare sui sensi di colpa è necessario :

- innanzi tutto "vederli", prendere coscienza che il problema non è la Chiesa, ma che nella Chiesa sono le membra che recano problemi soprattutto quando si vergognano di un passato che porta in sé migliaia di pagine gloriose;
- affrontare i problemi attuali con determinazione e costanza non con le proprie opinioni ma attraverso il Magistero della Chiesa, la cartina tornasole non dovranno essere i miei "si o no o i pareri" ma il Magistero, i suoi si e i suoi no devono diventare "nostri", devono diventare la nostra e la mia opinione;
- ridurre sempre più le strategie e gli strumenti difensivi personali messi in atto contro il sentire della Chiesa in quanto Madre e Maestra, aiutandosi con la Preghiera, con i Sacramenti, con le buone letture, con le virtù specialmente l'umiltà, l'obbedienza, il silenzio, la mortificazione del proprio "io" quando questo va a discapito della Madre Chiesa.
Questo non significa rinunciare a parlare, non significa rinunciare ai propri carismi, non significa tacere sulle cose che non vanno, al contrario, ogni forma di libertà verrà così educata e volta al vero Bene e non lasciata in balia dei nostri limiti e dei nostri difetti, non in balia del nostro relativismo, ma diventerà un sentire ecclesiale, universale, cattolico;

- infine, ma non meno importante: per-donare e sentirsi per-donati, donati-per! Non in base alle nostre opinioni, o al vago perdonismo, ma attraverso il Sacramento della Confessione nel quale la prima revisione da farsi è quella di denunciare "ciò che non va in noi", seguendo lo schema della sana Dottrina, dei Comandamenti, dei consigli dei Santi, per poi denunciare ciò che non va nella comunità.

Dalla Chiesa dobbiamo imparare a sentirci "perdonati" - quando riconosciamo le nostre colpe le confessiamo al sacerdote, è infatti la Chiesa ad avere questa autorità: "a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv. 20, 19-23), dal canto nostro e come diciamo nel Pater Noster: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori..."
Un perdonare che non è il "perdonismo" di questo tempo scaturito dal pacifismo, il perdono di Dio esige la conversione, il pentimento, la confessione e la penitenza! Esige la famosa battaglia insegnata da San Paolo che non è contro le persone, ma contro gli spiriti delle tenebre, della menzogna.
Se passassimo il tempo ad affrontare i temi da svolgere per ottenere la Vita Eterna nel Paradiso, non avremmo più tempo per inutili sensi di colpa tanto da pretendere di modificare la Dottrina pensando di ottenere benefici, ci rammenta infatti il Cristo: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33), e non si può comprendere la giustizia di Dio e il Suo Regno se non si accoglie la Sposa di Cristo e da Lei apprendere la via, la verità e la vita, anziché pretendere di modificarla a seconda delle mode del momento.

E' un pò come in Famiglia nella quale i Genitori non sono più visti come gli "educatori" i legislatori del piccolo nucleo, ma come "amici" dei propri figli perdendo la giusta autorevolezza educatrice e questo a causa di certi sensi di colpa che hanno reso fragile il compito genitoriale, o come quando si ritiene opportuno non dire più dei "no" al proprio figlio perché spesso figlio unico e quindi accontentabile in tutto ciò che chiede.
Se tale pretesa era naturale che dilagasse nel mondo il cui principe è Satana, non è affatto naturale che la si appoggi e la si sostenga nella Chiesa! Così come è chiaro che anche nelle Famiglie, specialmente se Cattoliche, i Genitori, proprio perché tali devono avere piena coscienza di aver assunto una grande responsabilità educatrice e formativa nei confronti dei propri figli che nessuno Stato al mondo, nessun Governo, può loro impedire di realizzare.

 

Vogliamo concludere auspicando che ogni Cattolico e che tale dir si voglia, a rimuovere inutili sensi di colpa per assumersi le proprie responsabilità in quelle Promesse Battesimali che ci rammentano la rinuncia che abbiamo fatto di servire Satana e tutte le sue opere, ma nessuno riflette più sull'offesa che si fa a Dio quando queste promesse vengono calpestate!

Non si riflettono le parole della Vergine a Fatima: "Molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi preghi per la loro conversione", nessun senso di colpa per quante Anime si stanno dannando, san Domenico di Guzman passava la notte pregando e piangendo supplicando Dio: "Cosa ne sarà dei peccatori?", si piangono i morti quando muoiono, ma non ci preoccupiamo di spingerli a salvarsi l'anima quando sono in vita, non meditiamo sul monito del Profeta Ezechiele cap.3,17
- "Figlio d'uomo, io t'ho stabilito come sentinella (..) Se io dico all'empio: "Certamente morirai" e tu non l'avverti e non parli per avvertire l'empio di abbandonare la sua via malvagia perché salvi la sua vita, quell'empio morirà nella sua iniquità, ma del suo sangue domanderò conto a te. Ma se tu avverti l'empio, ed egli non si ritrae dalla sua empietà e dalla sua via malvagità, egli morirà nella sua iniquità, ma tu avrai salvato la tua anima. Se poi un giusto si ritrae dalla sua giustizia e commette iniquità, io gli metterò davanti un ostacolo ed egli morirà; poiché tu non l'hai avvertito egli morirà nel suo peccato, e le cose giuste da lui fatte non saranno più ricordate, ma del suo sangue domanderò conto alla tua mano. Se però tu avverti il giusto perché non pecchi e non pecca, egli certamente vivrà perché è stato avvertito, e tu avrai salvato la tua anima".

"L'anima corre come un cavallo sfrenato - dice santa Caterina da Siena - di grazia in grazia velocemente e di virtù in virtù, 'ché non ha alcun freno che la trattenga dal correre, perché ha tagliato in se ogni disordinato appetito e desiderio della propria Volontà, i quali sono i freni e i legami che non lascian correre le anime degli uomini spirituali e li soffocano in inutili sensi di colpa".

Ogni nevrosi diventa così il tentativo di liberarsi da un sentimento di inferiorità al fine di acquistare un sentimento di superiorità.
L’uomo si sente in colpa quando, pur avendone la possibilità, non realizza se stesso per non affrontare le difficoltà e i rischi che alcune scelte di vita comportano, questo perché l’ideale dell’Io è quello di "essere capace". Se non si sente capace si sente in colpa, e il contenuto della capacità è grande e vario e risente dei molti fattori presenti in una cultura, anche in conflitto tra loro, fino a scegliere ciò che è peccato anziché perseguire ciò che è bene, oppure capovolgerne gli aspetti come ben dice il Profeta Isaia: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (5,20).

Alcuni ritengono che il senso di colpa sia inevitabile perché connaturato all’uomo. Farebbe cioè parte della sua costituzione originale, giungendo inevitabilmente a cancellare il Peccato Originale, la dottrina che lo spiega e con l'annessa condanna dell'Inferno quale spauracchio per gli uomini.

In realtà, nel senso di colpa, ciò che può essere connaturato all’uomo è soltanto il tipo di reazione dell’organismo, ossia, quando c’è una ferita all’amor proprio e la sconfitta dell’Io. Questo sì, il tipo di risposta, fa parte immutabile della natura umana, ma gli avvenimenti che la provocano no.

Non è dunque un Concilio che può provocare i sensi di colpa, ma quella sconfitta dell'Io generata dal fatto che il Concilio non fece nascere nessuna Chiesa "nuova", né inventò dottrine nuove annullando quelle esistenti, questo avvenimento scatenò la natura umana indebolita già dal peccato a delle reazioni che, provocando i sensi di colpa, pretesero la rifondazione di una Chiesa fatta ad immagine non più di Dio, ma dell'uomo, scaricando sulla Chiesa del passato l'immagine di una Chiesa matrigna, corrotta, incapace di restare al passo coi tempi.
In una parola si è scaricato sulla Chiesa del passato tutta una serie di insuccessi e di insoddisfazioni delle mode di questi tempi.

Concludiamo con una riflessione dell'allora cardinale Ratzinger.
Nel 1989 nel suo libro "Guardare a Cristo, alle pag.35-39, l'allora cardinale Ratzinger, nel raccontare un episodio avvenuto agli inizi degli anni '70, spiegò la descrizione di una Chiesa apparentemente felice a discapito di una realtà devastante, con la copertura dell'OTTIMISMO, una sorta di "senso di colpa esorcizzato" e disse a riguardo:
" La vera sorpresa del rendiconto fu però la valutazione conclusiva: a dispetto di tutto, una Chiesa grandiosa, perché non c'era da nessuna parte pessimismo, tutti andavano incontro al futuro pieni di ottimismo. Il fenomeno dell'ottimismo generale faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione; bastava a compensare ogni negativo.
Feci le mie riflessioni in silenzio. (...)
L'ottimismo poteva essere semplicemente una copertura, dietro la quale si nascondeva proprio la disperazione che si cercava in tal modo di superare. Ma poteva trattarsi anche di peggio: questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa e che, senza tanto rumore con il mantello di copertura della riforma, volevano costruire una Chiesa completamente diversa, di loro gusto, che però non potevano iniziare per non scoprire troppo presto le loro intenzioni. Allora il pubblico ottimismo era una specie di tranquillante per i fedeli, allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa.
(...) L'ottimismo sarebbe alla fine la maniera di liberarci della pretesa, fattasi ormai ostica, del Dio vivente sulla nostra vita. Quest'ottimismo dell’orgoglio, dell'apostasia, si sarebbe servito dell'ottimismo ingenuo dell'altra parte, anzi l'avrebbe alimentato, come se quest'ottimismo altro non fosse che speranza certa del cristiano, la divina virtù della speranza, mentre era in realtà una parodia della fede e della speranza. (..)
Era possibile che un simile ottimismo fosse semplicemente una variante della fede liberale nel progresso perenne: il surrogato borghese della speranza perduta della fede.
Giunsi infine al risultato che tutte queste componenti agivano insieme, senza che si potesse facilmente decidere quale di esse, e quando e dove, avesse il peso prevalente."

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Note
1) Paolo VI Udienza generale dicemebre 1966
2) Benedetto XVI Lettera ai Vescovi
3) J.Ratzinger nel libro-intervista “Dio e il mondo”, 2001, Pag. 403-406

 

 

Riportiamo un aggiornamento all'argomento che conferma quanto esposto nell'articolo.

Mons. Negri: «I cristiani che si vergognano delle Crociate sono succubi del laicismo dominante»

Recentemente, aprile 2014, su IlSussidiario.net è apparso un articolo di don Federico Pichetto che condanna le Crociate, di cui i cristiani – dice sostanzialmente Pichetto – dovrebbero vergognarsi perché sono un tradimento del cristianesimo. Il giudizio non riguarda solo l’evento storico in sé ma più in generale la posizione che un cristiano deve avere di fronte alle vicende del mondo, anche oggi. Giudizi gravi che meritano, seppure a distanza di tempo, una replica puntuale e autorevole.

Caro don Pichetto,

ti scrivo queste righe cercando di rispondere al tuo intervento sulle Crociate.

In effetti tu parli di Crociate che non sono mai esistite: Crociate sostenute dalla nascente borghesia, che come ognun sa, alla fine dell’XI secolo – quando la prima Crociata fu bandita – non c’era nella società europea, o comunque era una minoranza con un potere limitatissimo.
E poi riprendi le Crociate come progetto di imposizione violenta del Cristianesimo a popolazioni straniere.
Non tocca a me rifare il punto su questa vicenda secolare su cui la migliore storiografia, e non solo quella cattolica, ha dato un contributo decisivo.
Per dirla con il mio grande amico Franco Cardini, le Crociate sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso.
Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente.

Non so quale avvenimento della Chiesa possa sfuggire a una lettura come questa.

Sta di fatto che noi – cristiani del Terzo millennio – alle Crociate dobbiamo molto.
Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa.
Alle Crociate dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni.

Anche la tua bella Liguria ha dovuto costruire parte dei suoi paesi e delle sue piccole città a due livelli – il livello del mare e il livello della montagna – per poter sfuggire a queste invasioni che hanno fatto morire nel buio della cosiddetta civiltà araba e islamica centinaia e migliaia di nostri fratelli cristiani, a cui era stata tolta anche la dignità umana e di cui noi facciamo così fatica a fare memoria.

Nessuna realtà cristiana esprime la perfezione della fede che è solo in Gesù Cristo, ma nessuna esperienza cristiana è invincibilmente diabolica. Passare dalla fede alle opere è compito fondamentale del cristiano di ogni tempo.

Ora, per recuperare questa bellezza della storia cristiana bisogna guardare la realtà secondo tutta l’ampiezza cattolica. La mia generazione e quella di molti amici dopo di me – che per l’intelligenza e l’apertura di monsignor Luigi Giussani hanno potuto dialogare personalmente per esempio con Regine Pernoud, con Leo Moulin, con Henri de Lubac, con Hans Urs von Balthasar, con Joseph Ratzinger, con Jean Guitton e molti altri – hanno un sano orgoglio della nostra tradizione cattolica.

Per questo sentono in modo assolutamente negativo desumere acriticamente l’immagine della Chiesa dalla mentalità laicista che cerca di dominare la nostra coscienza e il nostro cuore.

Certo, l’essenza di questa tradizione cattolica – e che, quindi, comprende anche le Crociate – è il desiderio di vivere il rapporto con Cristo e di annunziarlo nella concretezza del suo popolo che è la Chiesa, nelle grandi dimensioni che rendono il cristiano autenticamente uomo: la dimensione della cultura, della carità e della missione. È questo il Cristo che sta all’origine di tante iniziative del passato e del presente. Nessuna iniziativa lo esprime adeguatamente, ma l’assenza di qualsiasi capacità di presenza nel mondo e di giudizio sulla vita degli uomini e sui problemi degli uomini fa dubitare che esista una fede autenticamente cattolica.

La fede in Cristo può rischiare di ridursi a essere spunto per mozioni soggettive e spiritualistiche da cui metteva in guardia il santo padre Benedetto XVI all’inizio della sua splendida enciclica Deus Caritas Est: un Cristo che rischia di stare acquattato nel silenzio della coscienza personale, che non diventa fattore di vita e di cultura, che non tende a creare una civiltà della verità e dell’amore. Ricordo ancora con commozione quando facevo la terza liceo una lezione di Giussani in cui disse letteralmente: «La comunità cristiana tende a generare inesorabilmente una civiltà».

Nella mia esperienza pastorale e culturale ho sempre sentito come punto di riferimento sostanziale la grande certezza di Giovanni di Salisbury che diceva: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti». È perché siamo sulle spalle di giganti che vediamo bene il presente e intuiamo le linee del futuro. È questo che rende così appassionata la nostra responsabilità, senza nessuna dipendenza dagli esiti, con la certezza di portare il nostro contributo, piccolo o grande che sia, alla grande impresa del farsi del Regno di Dio nel mondo, che come dice il Concilio Vaticano II coincide con la Chiesa e la sua missione.

Un cordiale saluto

Monsignor Luigi Negri + Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Abate di Pomposa

qui la fonte

 


LA POLEMICA
 

Era davvero spietata, quella Chiesa “costantiniana” che non ammetteva i suicidi nei camposanti? O quella misura era piuttosto l’estremo avvertimento agli uomini a non finire in una dannazione ben più infernale e duratura?
A quella Chiesa “spietata” interessava solo la salvezza delle anime. Ora invece…

di Rino Cammilleri
Quando ai suicidi veniva negata la sepoltura nei camposanti

 

Fabrizio De André tornava volentieri sul tema “suicidio”. La prima volta, ne La ballata del Miche’, se la prese con la Chiesa che, spietata, negava ai suicidi il funerale religioso. Nel brano scritto in memoria di Luigi Tenco, morto suicida, scavalcò la Chiesa spietata e si disse sicuro che il Paradiso accoglie tutti, «perché non c’è l’Inferno nel mondo del buon Dio». Infine, in Andrea, buttò la spugna e non fece commenti metafisici sul suicidio del protagonista. 

Ma era davvero spietata, quella Chiesa “costantiniana” che nonammetteva i suicidi nei camposanti? Oggi la moderna scienza psichiatrica ci informa che più spesso di quanto si creda chi commette suicidio non è pienamente in sé, perciò la sua responsabilità personale è quanto meno dubbia. E il (vecchio) catechismo ci dice(va) che per un peccato mortale ci vogliono «piena avvertenza e deliberato consenso». L’uomo odierno non sa più nemmeno che cosa vogliano dire termini come “peccato” e, figurarsi, “mortale”, perciò i vecchi sistemi forse vanno davvero rivisti. Può darsi che papa Francesco si senta come Giona davanti a Ninive, i cui abitanti «non sanno distinguere la destra dalla sinistra». Come l’uomo d’oggi. I niniviti capivano solo il bastone («Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta»), l’uomo d’oggi nemmeno quello; da qui la strategia della “misericordia”. 

Ma, insisto, davvero la Chiesa “pre-“ era spietata quando negava l’ultimo viatico a un disperato? O era piuttosto l’estremo avvertimento, del tipo «chi tocca i fili muore» (con tanto di teschio e tibie per gli analfabeti)? C’è qualcosa di peggio di una sofferenza –al momento- senza via d’uscita: questo era ciò che diceva con quel rifiuto opposto a chi credeva, ingannato dall’Ingannatore («mendax et homicida ab initio»), di trovare la pace eterna. Così, colui che era tentato all’estremo gesto aveva un’ultima opportunità di dissuasione: la paura boja di finire “peggio, e molto”, in una fossa, tanto per chiarire, senza croce sopra. Si chiama deterrenza. Oggi, però, le teste sono cambiate, a quanto pare. 

Così, a una poveretta morta mentre abortiva, a un’assassinata durante un amplesso extraconiugale, aun notorio laicista, a un suicida vengono misericordiosamente elargiti i funerali con rito cattolico insieme alle loro chitarre, gli amati cani, le bandiere della squadra di calcio del cuore. É vero, i tempi sono difficili e, se così non facesse, la Chiesa verrebbe, appunto, tacciata di spietatezza. Vien da chiedersi, comunque, se erano meno “difficili” i tempi in cui Cavour mandava in galera arcivescovi e cardinali colpevoli di non voler cantare il solenne Te Deum alle Glorie della Patria Risorgimentale. Il beato Pio IX scomunicò tutti i Padri dell’Italia Unita e sospese a divinis il frate che, contravvenendo agli ordini, amministrò l’Estrema Unzione a Cavour senza che questo si fosse preventivamente pentito delle sue confische e spoliazioni. 

Vittorio Emanuele II, convivente more uxorio con la “bela Rosin”, era nella tenuta reale di SanRossore quando, per un influenza, temendo di morire (a quel tempo non c’erano gli antibiotici) mandò a chiamare l’arcivescovo di Pisa. Il quale gli mandò a dire che, se voleva i sacramenti, doveva a) sposarsi regolarmente, b) ritrattare tutto quel che aveva fatto contro la Chiesa e il cattolicesimo. Si badi: il prelato sapeva bene quali ritorsioni rischiavano sia lui che tutto quel che lui rappresentava. Il Re capitolò, chiedendo solo che la cosa non trapelasse. Affare fatto, perché a quella Chiesa “spietata” interessava solo la salvezza della di lui anima. 

Ma, come si è detto, erano altri tempi. Oggi i tempi sono –mi scuso per la tautologia- diversi e forsel’uomo contemporaneo non merita di essere preso sul serio, trattato da adulto e non da bimbone mai cresciuto. Mi si dirà che, così, lo si lascia nella sua infanzia beota, ma non sta a me decidere strategie e modus operandi. Da cronista, tuttavia, registro quel che vedo. E vedo uno scollamento epocale tra il ceto dirigente e il popolo, sia nel versante laico che in quello religioso. Il popolo, come al tempo del Socialismo Reale, sta votando coi piedi. Verso le piazze, verso i santuari mariani. Ma forse è troppo presto per un bilancio: la Chiesa ragiona in termini di secoli. 

   




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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«E BOMBA O NON BOMBA NOI ARRIVEREMO A ROMA» NUNZIO GALANTINO CONVERSA SU DIO CON DARIO FO


Il discorso di Fo è assurdo e blasfemo e non vedo in che consisterebbe questa «grande religiosità» che Nunzio Galantino, con evidente piaggeria, attribuisce a Fo.


Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
padre Giovanni Cavalcoli OP








nunzio galantino 1
S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della C.E.I.

S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della C.E.I, ha iniziato sul quotidiano Sole 24 Ore della Domenica una rubrica intitolata Abitare nelle parole, la quale si propone di trattare del significato di alcune parole-chiave della moderna cultura riguardante il rapporto io col mondo. Egli ha iniziato con la parola Dio facendo riferimento al pensiero di Dario Fo, l’Articolo integrale è leggibileQUI.

Ho estratto dallo scritto di Nunzio Galantino alcune affermazioni, qui riportate in rosso, a ciascuna delle quali desidero fare un commento.

Dio è una parola paradosso. Per alcuni c’è solo il termine e non c’è il soggetto corrispondente, per altri c’è il soggetto corrispondente ma non va nominato e secondo altri ancora il Dio di Mosè non tollerava di essere rappresentato.

 
E Galantino che ne pensa? Non si pronuncia.


Dio è parola di massima creatività […] Dio è il principale protagonista della visibilità […] Con la parola Dio, e con la realtà alla quale essa rimanda, possiamo permettere alla nostra mente di viaggiare in ampi spazi e di fare esperienze straordinariamente cariche di vita, sia partendo dalla parola e aprendoci alla fantasia, sia partendo dall’immagine e poi ricollegandoci alle parole.

Non vedo che cosa c’entri Dio con la «creatività» e la «visibilità». Esse non appartengono alla teologia, ma alla poesia, o alla letteratura o alla pittura. Dice di non voler fare teologia. Ma, parlando di Dio, che cosa vuol fare, allora? San Paolo è molto chiaro. Dice: «Dalla creazione del mondo le sue perfezioniinvisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute» [cf. Rm 1,20]. Dio non è oggetto né della fantasia né dell’immaginazione, ma dell’intelletto. Altrimenti, come dice la Scrittura, abbiamo un idolo fatto dalle nostre mani.


Un bambino avrebbe difficoltà a seguire il nostro discorso, perché lui sa che dietro la parola «mamma» c’è una mamma; ma dietro la parola Dio cosa c’è? Cosa dirgli? […] Spiegare a un bambino che può piovere anche da realtà invisibili, ma esistenti. Con un bambino proverei a cavarmela così.

Dietro la parola “Dio” c’è Dio, perché anche la mente del fanciullo, in quanto capace di ragionare, può sapere che Dio esiste. A parte il fatto che comunque ci arriva da solo, bisogna aiutarlo nella applicazione del principio di causalità, come insegna il Libro della Sapienza: «Dalla bellezza e grandezza delle creature per analogia si conosce l’Autore» [cf. Sap 13,5].


Dice Fo: «Dio Non c’è. Non esiste. Non ci credo… Però…». Secondo lui Dio è un gran falsario che si è inventato da sé, un genio della Storia, perché ha saputo creare la sua immagine. Un abile croupier. La sua anti-religiosità m’è parsa molto religiosa […] A Dio non basta mai l’amore degli altri, mentre Gesù fonda il suo sentimento sull’amore da dare e non da ricevere.

Il discorso di Fo è assurdo e blasfemo. Dio di per sé è bontà e generosità infinite, ed è il Dio di Gesù Cristo. Se Cristo dona e non è un egoista, ciò dipende proprio dal fatto che è Dio Egli stesso. Non vedo in che consisterebbe questa «grande religiosità», che Galantino, con evidente piaggeria, attribuisce a Fo.


Noi uomini abbiamo bisogno di trascendenza e per noi cristiani l’essenza dell’esistenza umana si trova nell’uscire da noi, nell’andare e nel sentirci proiettati oltre. Quello che qualcuno chiama “auto-trascendimento” non ci porta solo verso Dio […] Questa situazione appartiene anche a un ateo
.

È vero che abbiamo bisogno di trascendenza, ma non facciamo della confusione. Innanzitutto distinguiamo. Un conto è l’uscire da noi stessi, che è segno di socialità, e un conto è il “sentirci proiettati oltre”, che è un fenomeno psicologico, che può essere normale come patologico. Un conto è l’ulteriorità metafisica, morale o teologica, dalla quale si sente attratto l’uomo ragionevole, e un conto è l’ulteriorità emotiva, irrazionale e fantastica, che attira l’alienato mentale. E’ ovvio che è solo il primo tipo di ulteriorità che stimola l’affermazione di Dio.

Quanto all’autotrascendimento, anche qui bisogna distinguere. L’autotrascendimento, in generale, è un atto psicologico, col quale il soggetto supera intenzionalmente e volontariamente se stesso o va oltre se stesso. Lo spirito sale, si eleva, si innalza verso un vertice che sta oltre il proprio limite.

Questa elevazione dello spirito, però, è diversa nel caso che l’impulso venga dal basso o dall’alto, vale a dire o dall’uomo o da Dio. L’uomo può trascendersi o innalzarsi verso Dio o perché si lascia attrarre da Lui, in sottomissione a Lui, e allora abbiamo il transcende teipsum, del quale parla Sant’Agostino, o perché si innalza ergendosi contro Dio, in antagonismo con Dio. Nel primo caso abbiamo l’umiltà, che fruttifica nella religione; nel secondo caso abbiamo la superbia, che fruttifica nell’empietà e nell’ateismo. È chiaro che solo il primo tipo di trascendimento caratterizza, non l’esistenza cristiana come tale, ma la potenza o la facoltà del suo spirito, giacché l’identità dell’essere con l’agire c’è solo in Dio.

L’essenza dell’esistenza umana nella visione cristiana non si trova in nessun “uscire da noi, o nell’andare e nel sentirci proiettati oltre” o in quello che qualcuno chiama “auto-trascendimento”, ma consiste nell’essere, come dice il Concilio Vaticano II, «unità di anima e corpo»[1], creata «ad immagine di Dio, capace di conoscere ed amare il proprio Creatore»[2] e niente affatto «nell’uscire da noi, nell’andare e nel sentirci proiettati oltre. Quello che qualcuno chiama ‘auto-trascendimento’». Questi semmai sono potenze o possibili atti e non costitutivi dell’esistenza umana. Vorrei sapere dove Galantino ha pescato quella definizione dell’uomo. Non certo nella Scrittura o nel Magistero della Chiesa o in San Tommaso.

Gesù chiede, pretende, l’amore difficile, illogico, paradossale.

Gesù non pretende alcun amore «illogico», ma perfettamente conforme a ragione. L’amore illogico è peccaminoso, perché contrasterebbe col nostro dovere di agire secondo ragione. Gli esempi che porta Galantino o sono equivoci o si possono risolvere facilmente, ma qui non abbiamo lo spazio e poi si può sempre consultare un qualunque trattato di teologia morale.

Mi fermo solo sull’amore per il nemico. Non c’è nulla di illogico in questo amore, ovviamente ad intenderlo bene, e non come se Cristo ci comandasse di amare l’inimicizia del nostro nemico contro di noi; il che sarebbe esattamente un peccato da parte nostra. Si trova invece in questo comando una profonda saggezza, che dà serenità alla persona offesa, facilita la conciliazione e dispone l’avversario a più miti consigli, rendendolo disposto a chiedere perdono e ad essere perdonato.

Varazze, 16 marzo 2016

.______________________ 

[1] Gaudium et spes, n. 14.

[2] Ibid., n. 12.



La Redazione dell’Isola di Patmos, coglie l’occasione per ricordare a S.E. Mons. Nunzio Galantino quale è da sempre il “lodevole” livello di «religiosità» dell’ateo Dario Fo: farsi beffa di Dio, di Cristo, del Vangelo e tutti i santi. Prendiamo atto però che il lungimirante Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, in tutto questo ravvisa comunque «grande religiosità». Domanda: la Congregazione per la dottrina della fede è sempre aperta e operativa, oppure è stato il primo dicastero della Santa Sede ad essere abolito dalla riforma della Curia Romana in vista di una prossima “nuova Chiesa” libera finalmente da tutti gli “inutili dogmatismi” che per troppi secoli l’hanno “oppressa“?






LA COMPAGNIA DI GESÙ NELLA CHIESA D’OGGI: ASCESA E CADUTA DI UN GRANDE ORDINE

[…] nella primavera del 1981 San Giovanni Paolo II, stanco di questa situazione esasperante ed irresolubile, che si trascinava dalla fine del Concilio, convocò in Vaticano un ristretto gruppo di Cardinali, tra i quali il Segretario di Stato Agostino Casaroli, per discutere della opportunità di sciogliere la Compagnia di Gesù. Metà dei Cardinali e il Papa stesso erano favorevoli; ma il Cardinale Casaroli convinse il Papa e il gruppo a rinunciare.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP
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Giovanni Cavalcoli OP

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23.03.2016   Giovanni Cavalcoli OP –  LA COMPAGNIA DI GESÙ NELLA CHIESA D’OGGI: ASCESA E CADUTA DI UN GRANDE ORDINE







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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08/05/2016 00:17
 
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La pace del mondo non è la pace di Cristo


Come disse il card. Giacomo Biffi durante il Giubileo del 2000: «L’Europa o sarà di nuovo cristiana o non sarà più». Non c’è pace perché gli uomini, gli europei per primi, hanno cacciato Cristo dai loro cuori, rifiutandone la regalità sociale.

Analizziamo assieme non il conferimento (lecito) del premio Carlo Magno ricevuto da papa Francesco, ma i contenuti del suo programma di “rifondazione” dell’unità europea fondata, stando al suo Discorso, su «un nuovo umanesimo europeo», un aggiornamento dell’idea di Europa, basato su tre capacità: di integrare, di dialogare, di generare.

Francesco riceve il premio Carlo Magno.
Francesco riceve il premio Carlo Magno.

Tre capacità che non discutiamo in sé e non neghiamo, ma che  così impostate sono totalmente scardinate da quella vera Pace che non solo ci è insegnata dalla Scrittura, ma soprattutto che è la Persona stessa di Gesù Cristo e per questo scriveremo “Pace” in maiuscolo, e in minuscolo la pace del mondo.

Non staremo a discutere perchè, in un Discorso così importante dove sono stati fatti i nomi dei fondatori politici dell’Europa, il Vicario di Cristo omette di fare i nomi dei Santi Patroni che hanno fatto grande l’Europa, tacendo completamente sulla loro opera e sulle radici cristiane. Pazienza, concentriamoci su due spunti più essenziali: la vera Pace in Cristo Gesù e la pace degli uomini, senza negare il valore del Discorso del Papa in sé. Del resto il vero e santo discernimento è ciò che caratterizza il vero e l’autentico “dialogare” dei liberi figli di Dio.

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.” (Papa Francesco Discorso 6 maggio 2016).

Pace nella Bibbia è ripetuta per circa 324 volte, ed è sempre ben distinta dalla pace umana senza Dio, dalla Pace portata da Dio.

La Pace vera non è opera dell’uomo, ma di Dio, dice infatti Isaia: “io pongo sulle labbra: «Pace, pace ai lontani e ai vicini», dice il Signore, «io li guarirò»” (cap. 57,19) e c’è un monito specifico che ci aiuta a distinguere i falsi profeti dai veri profeti, ed ha come centro di discussione proprio la pace:

“Così dice il Signore degli eserciti: «Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: Voi avrete la pace! e a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: Non vi coglierà la sventura. Ma chi ha assistito al consiglio del Signore, chi l’ha visto e ha udito la sua parola? Chi ha ascoltato la sua parola e vi ha obbedito? Ecco la tempesta del Signore, il suo furore si scatena, una tempesta travolgente si abbatte sul capo dei malvagi. Non cesserà l’ira del Signore, finché non abbia compiuto e attuato i progetti del suo cuore. Alla fine dei giorni comprenderete tutto!” (Ger 23,17-20).

Non esiste, pertanto, una pace “duratura” se questa non sarà fondata sul Cristo, vera Pace, e sul progetto di Dio per gli uomini. Chi predica una pace senza Dio, senza le sue leggi, i suoi Comandamenti, senza Cristo, è un falso profeta. Quando diciamo: “Maria, Regina della Pace”, non stiamo parlando di un appellativo, o aggettivo, ma di una Persona, Maria è Madre di questa Pace che è nell’incarnazione di Dio il Cristo Gesù.

Nel Discorso il Papa usa termini paolini e del Vangelo, ma modificando il contenuto. Per esempio, quando afferma che: “La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo” è un falso ideologico perchè nel progetto di Dio le armi della Pace non sono affatto il “dialogo a tutti i costi”, ma l’evangelizzazione: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato…» (Mc.16,15-16), l’arma è il Vangelo, è la Parola di Dio predicata, ovviamente, nella carità e con la carità, usata come arma non contundente ma come unguento di dolcezza, di perdono, DI SALVEZZA E REDENZIONE (due termini assenti nel Discorso del Papa e che pure sono gli ingredienti essenziali della vera Pace), quale vera medicina per guarire ogni ferita degli uomini in ogni tempo: «io li guarirò», Gesù è la medicina, Gesù è il medico, Gesù è la Pace. Ma per essere guariti dai mali che ci affliggono, bisogna ricorrere a questo Medico e fare uso ampio della Sua medicina.

Quando il Papa afferma che: “insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione”, è un altro falso ideologico perchè la buona battaglia è la FEDE e non la negoziazione…. “Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.” (1Tim.6,12)

La vera Fede che deve animare l’Europa, non è negoziabile, bensì: “…con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra…” (2Cor.6,7). Comprendiamo bene che il Papa non sta negando il Vangelo, purtroppo il problema è che non parla affatto del Vangelo, è come se temesse che parlando con il Vangelo alla mano, potrebbe offendere le delicate orecchie dei suoi illustri Uditori. Il problema non sta in quel che dice in questo Discorso, e che è anche condivisibile, il problema sta in ciò che non dice, in quella “umanizzazione” senza il Cristo.

«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).

Anche Riccardo Cascioli ha riscontrato che: “Difficile però non notare una novità essenziale in questo discorso, che non solo marca una differenza dagli interventi dei suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che all’Europa hanno dedicato un’ampia riflessione, ma che (…) Diversa era la preoccupazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che affrontavano direttamente il vero dramma dell’Europa, che consiste nell’apostasia, nel ripudio delle sue radici cristiane: «Se l’Europa vuole essere – diceva nel 2003 papa Wojtyla – un insieme conciliato di uomini e popoli, con rispetto profondo e benevolenza duratura, Cristo deve animare questo continente».

E ancora, nel discorso all’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, nel 2002: «L’Europa non sarebbe tale senza il ricco patrimonio dei suoi popoli che, similmente ai geni umani, ha plasmato e continua a forgiare la personalità di questo continente. Trascurare oppure abbandonare questa “eredità” significherebbe mettere a repentaglio la propria identità e infine perderla… Un fattore qualificante dell’identità di questo continente è la Chiesa fondata da Gesù Cristo». E poi, nell’Angelus del 13 luglio 2003: «Come soddisfare il profondo anelito di speranza dell’Europa? Occorre ritornare a Cristo e ripartire da Lui».

Per il cardinale Ratzinger, poi Benedetto XVI, il vero dramma dell’Europa consiste proprio nell’ostinazione a voler cancellare Dio dall’orizzonte: «Il tentativo – diceva nel famoso discorso di Subiaco del 1° aprile 2005 -, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo». Da qui la strada da intraprendere: «Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita (…) come se Dio ci fosse. (…) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».

Rilette oggi, queste parole, davanti ai fallimenti di una Unione Europea sempre più guidata da un laicismo soffocante, hanno il sapore della profezia” (vedi qui).

“Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13, 11).

perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1Cor 14,33).

“In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali,  ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze,  distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta” (2Cor 10,3-6).

Certo, anche noi “non siamo perfetti” in questa obbedienza paolina ma la vera Pace, di cui dobbiamo parlare e predicare, ha fondamento non sugli uomini, la roccia è Dio, la Pace è Dio e non un dio generico, ma Gesù Cristo, Signore e Dio: “Farò con loro un’alleanza di pace, che sarà con loro un’alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le genti sapranno che io sono il Signore” (Ez 37,26-28).

“Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò;  mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerò trovare da voi – dice il Signore – cambierò in meglio la vostra sorte e vi radunerò da tutte le nazioni” (Ger 29,11-14).

La Pace vera non è progettazione di piani politici o economici: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.” (Mt.6,33), non si fonda sulla “negoziazione”, lecita quanto si vuole come il ricorso al dialogo, senza dubbio utile perché è fondamentale per creare rapporti, ma questi sono i mezzi non il fine o lo scopo. “Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17).

Dice ancora il Signore Gesù:

“Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34).

“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Lc 12,51).

Queste parole sembrano in apparenza contraddittorie: Gesù che invoca alla pace ma poi sembra spingere alle armi, in verità sono di una realtà concreta e dinamica, valida in ogni tempo perchè il Cristo, nostra Pace, è Lui ad essere minacciato, è sempre perseguitato, è sempre avversato fino alla fine del mondo, perciò ogni combattimento, come dirà Paolo, non è contro le persone in se, ma contro le potenze delle tenebre, contro gli spiriti malvagi che avvolgono il mondo per contrastare la vera Pace, lasciando agli uomini la pace del mondo. Gesù parla di una spada che è dentro di noi e che ci permettere di combattere contro i vizi e le tentazioni; parla di divisione perchè non si possono servire due padroni, Dio e Mammona, e bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, ma difendendo ciò che è di Dio anche a costo della propria vita. Divisione dal materialismo e dall’impero del mondo: o lavoriamo per il Regno di Dio, o si lavorerà per quello del demonio, non esiste una pace che possa unire Dio e il demonio, il Bene e il male.

Chi vuole dare al mondo la Pace vera, deve farlo alle condizioni poste dall’Apostolo: “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!” (Fil 4,9).

Non mancano neppure i moniti profetici: “Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva;  infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii” (1Tss 5,1,6).

La vera Pace che un Vicario di Cristo deve predicare è questa: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.  Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?  E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?  Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).

Valgono anche, e soprattutto oggi, per l’Europa le parole che Gesù ebbe per Gerusalemme e si realizzarono: “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo:  «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.  Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata». (Lc 19,39-44), e chi era, chi è la “via della pace”? «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.  Chi non mi ama non osserva le mie parole… Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore…» (Gv 14,23-27).

«Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

La vera Pace è dunque “dimorare in Cristo”: “abbiate pace in me”, come a dire che non sono io il vostro nemico, ma voi non mettetevi contro il progetto di Dio sull’uomo. Se la rifondazione europea non rimetterà Cristo al centro, non avrà alcuna pace e questo il Papa doveva dirlo, avrebbe dovuto dirlo perché la situazione che abbiamo è drammatica, siamo con un piede nella fossa o, come si esprimerebbe santa Caterina da Siena, Compatrona d’Europa: “la puzza del disfacimento delle carni, giunge fin sotto casa mia”.

“Egli (Gesù) infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace… Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2,14-17).

Lo stesso Antonio Socci (vedi qui) sottolinea qualcosa che non possiamo non condividere:

«Infatti Benedetto XVI, nel suo dialogo con Marcello Pera intitolato Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam dice: “La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie”.

È questa rinuncia alla sua identità e ai suoi valori che ha fatto invecchiare l’Europa e la rende un fragile vaso di coccio oggi nella competizione internazionale.

Ratzinger spiegava: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere”.

Benedetto è stato spazzato via…». (sic!).

Le armi non sono, dunque, la negoziazione e il dialogo, ma la vera evangelizzazione, quella che insegna agli uomini che Cristo Gesù è la vera ed unica Pace che fa progredire le famiglie, le comunità, le società, le nazioni, l’Europa, senza questo programma, non ci sarà alcuna pace: “Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi” (Lc 10,6); “(…) recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti” (At 10,36); “i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace” (Rm 8,6). Questo non significa, ovviamente, non progredire o non trattarsi meglio, ma le priorità dei nostri compiti, la priorità è Dio e il suo Regno, qui invece si sta capovolgendo tutto, si stanno ribaltando le priorità: prima le esigenze materiali, poi quelle spirituali (cfr. Mt 6,33).

Papa Francesco descrive un’integrazione tra culture fondata sul dialogo e sul compromesso, ma il richiamo a quelle “radici cristiane”, che tanto impegnarono i due pontificati precedenti, sono come sparite, integrate – forse – in quei “nove sogni” attraverso i quali Francesco “vede” risorgere la nuova Europa. Ma integrare, attraverso una serie di compromessi (il primo dei quali il non parlare dell’evangelizzazione e delle radici cristiane, di Gesù Cristo il Signore, dei Comandamenti di Dio e dei santi Patroni) e non parlare di cosa è la vera Pace e di come è descritta davvero nella Scrittura, è davvero una buona scelta? Non lo sappiamo e non vogliamo giudicare il Papa per questa sua scelta, ma di certo non possiamo  tacere noi sull’insegnamento del Cristo.

Pace e santificazione, infatti, vanno di pari passo, non possono essere disgiunte: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore” (Eb 12,14) pena sarebbe l’incompiutezza della pace stessa.

Cercare la pace è, però, cercare Cristo stesso, è cercare Dio e la sua giustizia che è la fonte della vera pace, diversamente non saremo mai in grado di costruire società, città e nazioni all’interno di un sano e vero progresso, compito nostro è infatti questo:

“Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da parole d’inganno; eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua, perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere; ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene?  E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,8-15).

Ci rammarica, infine, che trovandoci per altro nel mese di maggio dedicato alla Vergine Santissima, il Santo Padre non abbia saputo profittare per parlare di Lei e, per esempio, della storia della Bandiera d’Europa, delle sue dodici stelle (vedi qui) e comunque sia, una benedizione alla vigilia della Supplica alla Madonna del Rosario nella quale si prega per l’Europa e dei suoi travagli. Se non parla un Papa di queste cose, chi deve farlo?

Concludiamo con il vero saluto del Cristiano che è il seguente: “grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell’amore” (2Gv 1,3), e non ci accada di doverci essere addebitato il monito di Cristo: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).


Per approfondire, vi suggeriamo anche la lettura dei seguenti articoli:

 







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/05/2016 14:20
 
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festa dei popoli senza Cristo1

TRENTO, DALLA PENTECOSTE A BABELE

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Nella città del glorioso concilio ecumenico in cui veramente soffiò tutta la potenza dello Spirito Santo — la rinnovata Pentecoste — adesso si festeggia la babelica “festa dei popoli”.

Non si tratta di una iniziativa del Comune, ma dell’Arcidiocesi di Trento che dall’Anno 2000, quello del “grande Giubileo”, ha dato vita alla Manifestazione della Festa di tutti i Popoli, patrocinata poi dalla Provincia e dal Comunità Europea che paga.

Si chiarisce subito che non è in discussione la Festa e l’iniziativa in sé che è lodevole e di grande opportunità per una autentica integrazione, ma quanto sia opportuno come questa venga svolta, soprattutto perché ad organizzarla non sarebbe qualche partito, ma la chiesa locale e, di conseguenza, vista come viene svolta e trattandosi della Chiesa, qualche domanda ce la dobbiamo pur fare.

La didascalia dice testualmente: “Far festa insieme è lo scopo di questa iniziativa che sogna di coinvolgere tutta la comunità senza distinzione di razza, di lingua, di cultura, di religione e gustare la gioia della diversità che ci rende più ricchi, più veri, più simili a quella famiglia universale sognata da sempre dal Padre di ogni uomo”.

Alcune domande lecite: ma la domenica non è la Festa del Signore? Ed è naturale – visto che è organizzata dall’Arcidiocesi – farla cadere proprio nella Solennità di Pentecoste?

Sì, un legame lo hanno fatto: la Pentecoste è per loro la festa di tutti i popoli, senza distinzione di religione, perché tanto siamo tutti figli dello stesso Padre…

Peccato però che in questa manifestazione hanno eliminato il Protagonista, Il Cristo Risorto, hanno eliminato quel Padre di cui rivendicano la paternità senza convertirsi necessariamente al Figlio, ed hanno messo da parte lo Spirito Santo perché, se leggiamo bene gli Atti degli Apostoli, in questo giorno grazie alla loro predicazione su Gesù:

“All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (At.2,37-41).

Questa è la vera Festa di tutti i Popoli!

Così la “Festa di tutti i popoli”, quella vera descritta in Atti, dove si convertirono circa tremila persone, l’Arcidiocesi l’ha trasformata nella festa della Babele di tutti i popoli, ed hanno sostituito il Protagonista con il dio integrazione, tolleranza e rispetto. Rispetto per tutti, fuorché al Dio Uno e Trino, al Suo giorno che è la domenica come ci rammenta il terzo Comandamento: ricordati di santificare le feste.

Va detto, infatti, che nelle celebrazioni della manifestazione, dove alle 12,00 (l’Ora dell’Ave Maria, dell’Angelus) l’arcivescovo fa un saluto di benvenuto ai manifestanti, non vi è alcun riferimento religioso cristiano e neppure una Messa. È domenica, una festa organizzata dall’Arcidiocesi, eppure non c’è alcun riferimento a Dio, nessuna funzione religiosa, neppure un Crocefisso, in compenso era pieno di bandiere di tutti i popoli, e dalle ore 13 si balla, si canta, si danza, con tutte le tradizioni folkloristiche dei popoli. Non siamo solo alla scristianizzazione, ma ad una vera Babele dei popoli, una paganizzazione, organizzata da una chiesa locale.

Ma senza Cristo, dove pensano di arrivare?



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La Bibbia e il Corano? Hanno lo stesso spirito. Parola di papa Francesco

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E come si fa a non chiamarla “ennesima bergoglionata”? Diversamente dovremo chiamarla col suo vero nome: eresia. Ma poi ti accusano di dare dell’eretico al Papa e dunque tanto meglio lasciare la bergoglionata naufragare tra i rivoli della rete, insomma far finta di nulla e pensare, semmai, di aver capito male noi.

 

Tutto all’ennesima potenza, parliamo infatti dell’ennesima intervista. Al momento il testo ufficiale ed integrale non c’è, ma questa fonte è di Radio Vaticana, perciò attendibile. Ecco le parole del Papa:

«Non credo che vi sia oggi una paura dell’islam in quanto tale, ma dell’Isis e della sua guerra di conquista che è in parte tratta dall’islam. È vero che l’idea della conquista appartiene allo spirito dell’islam. Ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni.»

Partiamo da un consiglio, per noi laici, del compianto cardinale Biffi che diceva:

«Se io vengo percosso sulla guancia destra, la perfezione evangelica mi propone di offrire la sinistra. Ma se si attenta alla verità, la stessa perfezione evangelica mi fa obbligo di adoperarmi a ristabilirla: perché, dove si estingue il rispetto della verità, comincia a precludersi per l’uomo ogni via di salvezza».

Ora, per quanto potremmo difendere la frase del papa, appare un arrampicarsi sugli specchi, non vogliamo dare altra spiegazione all’evidenza che il Papa Francesco è malamente informato sul Corano, sull’Islam, sull’Isis e pure sulla loro legge, la Shariʿah. Non vogliamo polemizzare, ma neppure tacere sul fatto che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, possa essere messo – dal Suo Vicario in terra – sullo stesso piano della legge islamica, del Corano e pure dello “spirito” di conquista.

Non staremo qui a dare lezioni al Papa, ma è un dovere nostro sottolineare il perchè sbaglia nel dire ciò che ha detto. Premettiamo che quanto segue non c’entra nulla con l’accoglienza dei veri bisognosi e gli aiuti agli immigranti. Premettiamo anche che, per certi versi e vista la grave situazione di invasione che l’Europa sta subendo da parte di un certo Islam, detto oggi moderato, comprendiamo bene il lavoro diplomatico della Santa Sede atto ad evitare ogni conflitto, anche per evitare a noi, ignari dei giochi e dei lavori dietro le quinte, future violenze.

Ma per quanto ciò possa essere comprensibile, diventa inaccettabile fare dei compromessi che mettono Gesù Cristo e la sua Parola, o meglio il Suo mandato a predicare Lui Via, Vita e Verità, sullo stesso piano del Corano, dell’Islam e del medesimo “spirito” che lo animerebbe.

Così come non vogliamo trascurare le altre parole del Papa quando dice:

«… la convivenza tra cristiani e musulmani è possibile. Io vengo da un paese in cui vivono insieme in buona familiarità. I musulmani venerano la Vergine Maria e San Giorgio. In un paese africano, mi è stato segnalato che per il Giubileo della misericordia, i musulmani fanno una lunga coda nella Cattedrale per passare la porta santa e pregare la Vergine Maria.»

Qui c’è molto sincretismo religioso e confusione e non è propriamente come il Papa la sintetizza. Se i musulmani passano la porta santa è evidente che non sanno quello che fanno, e nessuno ha spiegato loro che la Porta è Cristo altrimenti non la passerebbero e per andare a salutare la (statua?) Vergine Maria, entrerebbero dalla porta normale.

Benedetto XVI, profeta inascoltato.Benedetto XVI, profeta inascoltato, legge il magistrale discorso di Ratisbona (12-09-2006).

Purtroppo ci vorrebbe più spazio per chiarire il problema, ma possiamo sintetizzare anche noi alcuni punti fondamentali.

  1. Nel famoso Discorso di Benedetto XVI a Ratisbona del settembre 2006 (vedi qui) si rammentò il carattere intrinsecamente irrazionale della concezione maomettana di Dio e la conseguente vocazione alla violenza di quella religione. Attaccato da tutte le parti (anche dal cardinale Bergoglio allora a Buenos Aires), purtroppo Benedetto XVI non portò avanti il discorso ed anzi, cercò egli stesso di minimizzare quanto aveva detto, ma ciò che disse è sotto gli occhi di tutti, basta leggere il testo serenamente.
  1. Se il “Gesù figlio di Maria” descritti nel Corano, fossero, teologicamente parlando, le medesime Persone dei Vangeli, non è comprensibile la Nota CEI del 1993 – l’Isis ancora non c’era – che scrive: “In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell’islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. È questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa” (n. 34). E le cose non sono affatto cambiate, anzi, assistiamo oggi a veri massacri contro i Cristiani e alla distruzione di Chiese e statue anche della Vergine Maria, e non è affatto possibile sintetizzare come fa il Papa: ” la convivenza fra musulmani e cristiani è possibile…”, perché al Papa dovrebbero spiegare che ciò è possibile fino a quando, queste comunità, non diventano la maggioranza. Una volta raggiunta la maggioranza, essi hanno bisogno di avere uno Stato coranico, devono essere guidati dal Corano, altrimenti non sarebbero più musulmani. E’ di questi giorni la notizia che ricchi arabi musulmani hanno dato trenta milioni di euro per restaurare i monumenti storici musulmani in Sicilia, e sono gli stessi che a casa loro vietano ai cristiani di professare liberamente la propria fede in Cristo, il Figlio di Maria…. come mai nessuno si chiede perché di tanto interesse da parte di questi ricchi musulmani, mentre i cristiani da loro sono perseguitati? Se dunque, il “Gesù figlio di Maria” descritti nel Corano, fossero, teologicamente parlando, le medesime Persone dei Vangeli, perché non si convertono e non lasciano in pace i cristiani che vivono nelle loro terre? E’ evidente che le cose non stanno propriamente così, come per i Protestanti che mica vogliono male a Maria, ma non la chiamano “Madre di Dio” ma “solo madre di Gesù”, con le conseguenze che ben conosciamo. Per il Corano (di cui l’Isis è il braccio armato) Gesù non è Dio, punto. E cosa dice la Scrittura? «Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio.» (1Gv. 2,22)

«ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo.» (1Gv. 4,3)

  1. Diceva il cardinale Biffi, sul problema Islam-immigrazione: «Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che essi con le loro forze non riescono ad appianare. Sarebbe un implicito, ma comunque intollerabile e grave “integralismo” il credere che le aggregazioni ecclesiali e i cattolici possano essere responsabilizzati di tutto. (…) Dovere statutario della Chiesa Cattolica e compito di ogni battezzato è di far conoscere esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore di tutti. Tale missione può essere coadiuvata ma non surrogata dall’attività assistenziale che riusciremo a offrire ai nostri fratelli. Suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può risolversi nel solo dialogo. È favorita dalla conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto nella conoscenza di Cristo cui noi riusciamo a portare i nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono gratificati. Inoltre l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama” (cf Mc 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo. È molto importante che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità. E per essere buoni evangelizzatori, persuasi dentro di sì e persuasivi nei confronti degli altri, essi devono crescere sempre più nella intelligenza e nella gioiosa ammirazione degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è una effusione sovrumana, anzi divinizzante di luce, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall’Islam; e noi siamo chiamati a proporla appassionatamente e instancabilmente a tutti i figli di Adamo

È evidente, perciò, che Papa Francesco non è affatto ben informato, e forse non conosce il Corano che, invece, dice:

  • “Dì: egli, Dio, è uno. Dio l’eterno. Non ha generato, né è stato generato. E non vi è alcuno uguale a lui” (Cor. sura 104)
  • “Invero, sono miscredenti quelli che dicono: ‘in verità, Dio è il Messia, ‘figlio di Maria’” (Cor. sura 5, 76)
  • “Miscredenti sono, invero, quelli che dicono: ‘in verità Dio è il terzo di tre’, mentre non vi è altro Dio se non un Dio unico” ( Cor. sura 5, 77).

Solo una vera evangelizzazione potrebbe aiutare a far capire ai Musulmani che per il Cristianesimo, Dio, non è “il terzo di tre”, e che dunque anche per noi esiste un solo Dio che semmai è “distinto” nelle tre Persone. Ma è certo che con il dialogo “a tutti i costi” questa comprensione non si avrà mai. Se poi ci si mette pure il Papa a dire che “l’idea di conquista” è sullo stesso piano del mandato del Cristo alla Chiesa, allora stiamo freschi. Non ci sarà alcuna progressione, ma regressione.

Inoltre qualcuno dovrebbe forse ricordare al Papa che di Sacra Scrittura, vera, esiste una sola e il Corano non è “Scrittura Sacra” altrimenti si dovrebbe affermare che il vero ed unico Dio si sarebbe rivelato altrove smentendo Se Stesso, visto che il Corano, se preso alla lettera e dichiarato “testo sacro”, afferma che Gesù non è Dio. Noi certamente possiamo rispettare le altre religioni, ma non siamo stati battezzati per difenderle o addirittura promozionarle.

Gesù non dice “io vi dico la verità, o un pezzetto, il resto lo trovate nelle altre religioni”, ma dice “Io sono la Via, la Verità e la Vita…”.

Ma veniamo al sodo, a questo presunto “spirito” di evangelizzazione islamico. L’Islam non evangelizza affatto, sottomette! Il Cristianesimo, per quante gliene dicano di cotte e di crude e pure di falsità storiche, non sottomette e piuttosto integra, abbraccia, unisce. La famosa sura 9, quella della guerra santa, dice testualmente:

“29. Combattete contro quelli che non credono in Dio, né nel giorno estremo [nel Giudizio], e non considerano proibito quel che proibisce Dio e il suo apostolo, e che non professano la religione della verità, ossia coloro ai quali è stato dato il Libro [ebrei e cristiani], finché non paghino la gizya [il tributo, diventando dhimmi o “protetti”] alla mano con umiliazione.”

Leggiamo il passo citato da Papa Francesco:

Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,  insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt.28,18-20)

Quando, perciò, il Papa afferma che: «Non credo che vi sia oggi una paura dell’islam in quanto tale, ma dell’Isis e della sua guerra di conquista che è in parte tratta dall’islam. È vero che l’idea della conquista appartiene allo spirito dell’islam. Ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni..», sbaglia, per non dire altro.

No, Santità, non può affermare che l’idea di conquista che appartiene allo “spirito” dell’Islam, si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista del Cristo! È una aberrazione affermare questo, proprio lei dovrebbe dire che non vi è alcun paragone e nessuna associazione, ed è anche uno “schiaffo” alle migliaia di martiri di ieri e di oggi del Cristianesimo che sarebbero morti invano, visto che per lei lo spirito dell’Islam può essere interpretato con lo Spirito con il quale Gesù inviava i Suoi.

Concludeva così il suo intervento il cardinale Biffi che facciamo nostro:

«In un’intervista di una decina d’anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: “Ritiene anche Lei che l’Europa o sarà cristiana o non sarà?”. Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.

Io penso – dicevo – che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.

Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’“avvenimento cristiano” come unica salvezza per l’uomo ‑ e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.

Purtroppo né i “laici” né i “cattolici” pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi…».

A questa analisi lucidissima e profetica, del 30 settembre 2000, aggiorniamo che oggi, forse, non sono più i laici  cattolici a non rendersi conto del dramma che incombe sull’Europa, ma che l’alta Gerarchia della Chiesa sembra preferire combattere contro sé stessa anziché “prendere la propria croce” e seguire il Cristo sul suo Calvario. E se ne renderanno conto quando sarà troppo tardi, a meno che la Vergine Santa non intervenga prima realizzando la promessa del trionfo del Suo Cuore Immacolato, abbreviandoci i giorni di quell’assalto che, nonostante gli sforzi di questo Pontificato, ci sarà eccome!

È solo questione di tempo, anche grazie alle leggi anticristiane elevate a nuova cultura europea, che stanno regalando all’Islam l’Europa la quale: o ridiventa cristiana o sarà musulmana. Svegliatevi, non è uno slogan, ma la triste realtà.




ci aggiungiamo questa nostra riflessione: ahi noi!  leggendo attentamente le parole del Papa si capisce bene che il Papa non sta dicendo che la Bibbia e il Corano sono sullo stesso piano... ma senza dubbio è anche vero che se per l'Islam noi siamo già zombi che camminano, perchè siamo condannati a morte o al pagamento di una tassa, e se è vero che il mandato del Cristo ad evangelizzare PER ALTRI potrebbe suonare come la stessa chiamata alla conquista dell'Islam, va da se che il Papa DEVE SMENTIRE una equiparazione del genere, spiegando chi è il Cristo   e questo è ciò che manca al discorso del Papa.... la Scrittura ci ammonisce di parlare sempre (con carità) della speranza che è in noi, di parlare con il "sì, sì-no, no", di parlare sempre anche nei momenti opportuni e pure inopportuni, parlare di Cristo.... e non di giustificare le altre religioni..... Mi pare che sia questa mancanza a suscitare, nelle parole del Papa, tristezza e amarezza.







EDITORIALE
Padre Federico Lombardi
 

Il cardinale Koch afferma che gli ebrei non si devono convertire. E neanche gl islamici, aggiunge padre Lombardi. Ma allora, chi è Gesù Cristo per noi? Se davvero è il Salvatore, venuto per ogni uomo e ogni donna, non è possibile non anunciarlo. Come ha ribadito nel 1990 san Giovanni Paolo II.

di Riccardo Cascioli

Pochi giorni fa il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha tenuto una conferenza a Cambridge, nel Regno Unito, che gli è valsa diversi titoli di giornale. Koch avrebbe infatti detto che il dovere di evangelizzare è nei confronti di tutti i non cristiani, musulmani inclusi, ad eccezione degli ebrei. Quanto a questi ultimi, i cristiani - ha detto ancora Koch - riconoscono il patto stipulato da Dio con il popolo ebraico, cosa che non si può applicare all’islam. Da ultimo Koch è andato ben oltre la definizione di “fratelli maggiori” e ha detto che i cristiani dovrebbero vedere l’ebraismo come una “madre”. Per questo non si deve convertire gli ebrei, mentre al contrario si deve evangelizzare i musulmani.

Queste parole hanno ovviamente fatto rumore, tanto che un sito ufficioso del Vaticano, Il Sismografo, che cura quotidianamente una rassegna stampa in diverse lingue, è andato a chiedere chiarimenti al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi (clicca qui). Il quale si è mostrato piuttosto irritato per quella che lui considera una manipolazione delle parole del cardinale Koch, mettendo in rilievo come alcuni titoli di giornale non corrispondessero al contenuto. Il riferimento è al fatto che in alcuni titoli si è letto “dovere di convertire” i musulmani mentre nei testi di parla di “dovere di evangelizzare”, due concetti in effetti un po’ diversi. Non tali però da sollecitare un intervento del portavoce vaticano, che infatti poi passa ad affermare il vero punto della questione: «È chiaro quindi che non è corretto attribuire al cardinal K. Koch un invito al proselitismo nei confronti dei fedeli musulmani». 

Riassumendo: nessun tentativo di evangelizzare gli ebrei, dice Koch. Ma neanche i musulmani, precisa Lombardi. E tutto dando ovviamente per scontato che con le altre confessioni cristiane non si deve neanche pensare lontanamente di ricondurle alla Chiesa cattolica. 

Ad aggravare la situazione bisogna aggiungere che si tratta di affermazioni che ormai non stupiscono più nessuno, tanto sono considerate ovvie. Solo che a questo punto, bisognerebbe chiedersi seriamente: «Ma allora chi è Gesù Cristo?». È ancora l’unico Salvatore che è morto e risorto per salvare tutti gli uomini, come è stato proclamato per duemila anni? È il Vangelo ancora da considerare «la pienezza della Verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso», come si legge nell’enciclica Redemptoris Missio (RM) di san Giovanni Paolo II? Crediamo davvero che «aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione» (RM 11)?

Se fossimo davvero convinti di questo, come potremmo anche solo concepire di escludere parte dell’umanità da questo annuncio? Non si tratta di portare tutti spada in pugno a sottomettersi al “nostro” Dio, ma di fare tutti partecipi di una grande gioia: la morte è stata sconfitta, siamo liberati dal peccato, il Mistero si è fatto presenza, compagnia all’uomo, come recitiamo ogni giorno nell’Angelus.

E in effetti tutti i documenti del Magistero dedicati alla missione mai parlano di esclusione di qualcuno o di “esenzione” di gruppi particolari quasi si dovesse decidere se partecipare o meno all’ora di religione. Afferma ad esempio il decreto conciliare Ad Gentes (1965): «La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo» (no. 7). Certo l’azione missionaria dipende anche dalle circostanze in cui ci si trova ad operare, avverte sempre Ad Gentes: «Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi»; ma «questo compito (…) è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo» (no. 6).

È paradossale che mentre il Papa parla insistentemente di abbattere tutti i muri e di tenere aperte le porte della Chiesa, dal Vaticano poi arrivano ordini di costruire muri per impedire che certe categorie di persone si convertano.
Ma è ancora la Redemptoris Missio a spiegare la radice profonda di questi muri: «La mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l'altra”» (RM, no.36).

In questo modo il dialogo con gli uomini e con le altre religioni non si fonda sulla Verità ma su una preoccupazione “politica”, come convivere pacificamente e come cooperare per il bene dell’umanità; è la riduzione a un’etica condivisa. Ma in fondo come avverte san Giovanni Paolo II il vero problema, il nocciolo della questione è la mancanza di fede: «La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una “graduale secolarizzazione della salvezza”, per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale».

   


[Modificato da Caterina63 02/06/2016 09:27]
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Nuove chiese

 



Scordatevi la riconoscibilità a distanza degli edifici religiosi: oggi le nuova chiese sono costruite secondo criteri architettonici finalizzati a nascondere lo scopo. Insomma, le chiese non sono più a forma di chiesa: col tetto a spiovente e il campanile con la croce sopra. Oggi se ne parla in un convegno della Cei.



di Rino Cammilleri


Quando, anni fa, il fumino Vittorio Sgarbi disse che il medievale Duomo di Pisa era stato trasformato in un cesso un’ondata di indignazione nazionale ed ecclesiale si strinse a coorte a difesa dell’allora arcivescovo, che aveva autorizzato l’opera. Si trattava di un paio di artistici mezzi pulpiti scolpiti, di marmo e quasi cubici, piazzati davanti all’altare maggiore. 

In effetti, gli storici dell’arte sanno che su quell’altare stanno anche bronzei angeli settecenteschi, e affreschi rinascimentali campeggiano qua e là sulle pareti, perciò un tocco di moderno era del tutto coerente col mix di epoche. É tuttavia un fatto che, a chi entra, quei due cosi bianchi laggiù in fondo sembrano lì per lì proprio dei sanitari, e solo avvicinandosi si scopre che –ovviamente- non lo sono. Chissà se si discuterà anche di questo, magari incidentalmente, nel convegno internazionale “Viste da fuori” (da oggi al 4 giugno) organizzato dalla Cei (vescovi) e dal Cna (architetti) che si svolgerà, significativamente, al monastero di Bose e dibatterà di chiese moderne. 

L’articolo di Leonardo Servadio (del 29 maggio su Avvenire online) che lo annuncia è corredato dauna foto della chiesa detta Resurrezione di Gesù a Sesto San Giovanni, un “gizmo” (gergo scientifico per dire “boh”) a strisce bianche e nere che non sfigurerebbe su Krypton (il pianeta natale di Superman). Tant’è che l’articolista si affretta a chiosare preoccupato: «Se il barocco fu interprete puntuale del Concilio tridentino, col proteiforme moderno ci troviamo di fronte a linguaggi lontani dalla tradizione, a volte incerti nel trasmettere il messaggio del Concilio Vaticano II». Per forza, dico io, dal momento che, se c’è una cosa incerta e magmatica, è proprio tale “messaggio”. L’incipit, poi, è perfettamente condivisibile: «C’era un tempo in cui si sapeva com’erano fatte le chiese: si riconoscevano a prima vista. Ma oggi come si distinguono nell’affastellarsi delle molteplici suggestioni architettoniche?». 

Bella domanda. Ma temiamo che neanche il convegno caverà un ragno dal buco, viste le interviste all’(arci)vescovo Bruno Forte e al (don) responsabile per la Cei dei Beni culturali & nuovi edifici. Con alate parole e circonvoluzioni semantiche essi dimostrano come e qualmente le cose non solo resteranno così, ma la direzione è ormai fissa, perciò scordatevi la riconoscibilità a distanza degli edifici religiosi. Se volete un saggio delle pezze giustificative andate a leggervi le magnificazioni, sulle riviste di architettura, della chiesa a strisce dell’ex Stalingrado d’Italia. 

La prosa è la solita che campeggia nelle didascalie dei quadri astratti: voi non ci capite niente, ma l’«esperto» vi spiega che quel che state guardando è bellissimo. L’ultimo intervistato nell’intervista è un liturgista, il quale così conclude: «Tra artisti, architetti e presbiteri si richiede una reciproca formazione, alimentata da momenti e luoghi di dialogo e di confronto». 

Par di capire, al di là, della retorica e forse anche delle (remote) intenzioni, che l’unico assente in tutto questo gran dialogo è il popolo bue. Al quale –si accettano scommesse- se venisse chiesto un parere magari direbbe che a lui le chiese piacciono a forma di chiesa. Sapete, quelle dei film western, col tetto a spiovente e il campanile con la croce sopra. 

Oppure, come le grandi cattedrali americane, che, nella patria della modernità, sono tutte gotico-replica. Sì, perché il senso comune popolare, chissà come mai, si è fermato lì, ai “secoli bui” per quanto riguarda la forma delle chiese. Qualcosa vorrà pur dire. Ma la Chiesa ha cessato da tempo di essere del cosiddetto “popolo di Dio”. Appartiene ai preti, è cosa loro, e guai a dirgli niente. 


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Signor Papa Francesco, quale problema avete con l’Eucarestia?

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«Ecclesia de Eucharistia: la Chiesa vive dell’Eucarestia», scriveva S. Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, dal medesimo titolo.

Siamo sempre lì, lo confessiamo che a pensar male non è un bene, epperò… Non imitateci per favore, ma prendiamo atto di alcuni fatti e poi, se volete, preghiamo per il Papa e per la Chiesa. Il 10 dicembre 2015 prendevamo atto di una stranissima notizia, vedi qui, che il Papa non avrebbe fatto alcun viaggio in Italia durante il Giubileo, ma senza un comunicato ufficiale, così, per vie traverse e dirette, certamente e diplomaticamente, solo ai diretti interessati.

Pope Francis laughts during a special Jubilee audience with 'vulnerable' pilgrims from the French dioceses of Lyon in the Pope Paul VI hall, at the Vatican, on July 6, 2016. / AFP / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Il 30 maggio c’è stato poi l’appello di Marco Tosatti al Papa (vedi qui) supplicandolo ad “andare” almeno alla chiusura del Congresso Eucaristico che si terrà a Genova a settembre. Ma la supplica non ha avuto alcun esito, nessuna emozione, nessun sentimento, diremo indifferentismo allo stato puro.

Ma ecco la “notizia” del giorno: “Papa Francesco visiterà la Porziuncola nel pomeriggio del 4 agosto prossimo”. È Radio Vaticana a darne l’annuncio (vedi qui), spiegando che:“l’occasione è offerta dall’VIII Centenario del Perdono di Assisi, che cade provvidenzialmente nell’Anno Santo straordinario della Misericordia”. Il comunicato non dice altro perché, il resto, è tratto dal sito web della Porziuncola e la visita perciò sarà privata: “Papa Francesco – si legge – si farà pellegrino in forma semplice e privata nella Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, dove si raccoglierà in preghiera ed offrirà il dono della sua parola”.

Se la visita è in forma “privata”, chi saranno i “fortunati” in ascolto della sua parola? Siamo all’interno di una sétta, o di privilegiati? Che cosa vuol dire in forma privata se poi a qualcuno lascerà il “dono” della sua parola? Va bene, domande che non avranno mai risposte come tante altre.

Ma ecco un’altra notizia ufficiale interessante, di oggi, 7 luglio: “Papa Francesco ha nominato il cardinale Angelo Bagnasco suo inviato speciale al Congresso Eucaristico Nazionale Italiano che si terrà a Genova dal 15 al 18 settembre” (vedi qui).

Quindi questo conferma che il Papa non andrà ad omaggiare l’Eucaristia. Quindi, per l’Anno della Misericordia, di cui l’Eucaristia è il Protagonista, il Datore unico ed assoluto, non avrà l’omaggio e l’adorazione pubblica del Pontefice, il Suo Vicario in terra. Mentre andrà ad omaggiare il “Perdono di Assisi” il quale, però, senza l’Eucaristia non solo non esisterebbe, ma non servirebbe a nulla.

Ora, per carità, confessiamo che da una parte siamo anche sollevati da questa rinuncia ad andare a Genova perché l’attenzione sarebbe centrata tutta sul Papa e non più sull’Eucaristia e, chissà e ce lo vogliamo augurare, che forse è proprio questo che il Papa teme. Ma d’altra parte però, non possiamo non fare una domanda inquietante: “Santità, ci consenta, Lei quali problemi ha con la Santissima Eucaristia?“.

Da tre anni a questa parte ci siamo resi conto come, molte parti liturgiche spettanti al Pontefice, siano letteralmente scomparse. Nei viaggi apostolici il Papa ha eliminato gli incontri di preghiera eucaristica con i giovani, trasformandoli, inevitabilmente, in una liturgia di divinizzazione del popolo con il suo leader, il Papa. Le forme di preghiera si sono trasformati in incontri di spiritualità laicista dai quali, giustamente, sono scomparsi i segni e i simboli del culto cattolico quali l’incensazione, gli abiti liturgici, e così via. Quando un Papa entrava in una Chiesa, il suo primo saluto era di inginocchiarsi davanti al Tabernacolo, anche questo gesto, in questo pontificato, è letteralmente scomparso. Il Papa entra e tutti gli onori sono per lui, Gesù Cristo è messo da parte, anzi, non lo si saluta più.

Siamo passati da un Giovanni XXIII che amabilmente rimproverava i fedeli che applaudivano il suo ingresso in chiesa (vedi qui), proprio perché lì dentro c’è Gesù Ostia Santa, ad un Papa che non si preoccupa minimamente di andare a salutare Gesù nel Tabernacolo, non se lo fila proprio, ma non disdegna il bagno di folla in onore alla sua persona. Però vorrebbe farci pensare che non va al Congresso Eucaristico per non togliere visibilità all’Eucaristia, come sta facendo per la processione del Corpus Domini, l’unica testimonianza che il Papa potrebbe ancora dare di questa adorazione, con i fedeli, all’urbe e all’orbe, e invece dopo la Messa, se la svigna alla chetichella per farsi trovare già in dirittura d’arrivo, senza inginocchiarsi, per i  saluti finali.

Così come è sparita quella adorazione, seppur breve ma significativa, del Giovedì Santo della Coena Domini, la Cena del Signore “nella notte in cui fu tradito” e volle istituzionalizzare il sacerdozio, trasformata oggi in una cena festosa con i “bisognosi”, e senza che questi “bisognosi” debbano adorare il loro Salvatore Gesù Cristo, basta che vedano il Papa e tutto è a posto, mica si offende Gesù Cristo! Senza nulla togliere all’aspetto misericordioso che potrebbe esplicarsi in altre forme non andando a distruggere il senso della liturgia propria di quel giorno, va da sé che l’immagine che è passata è quella di una trasformazione del sacerdozio stesso e della Messa. E mica dottrinalmente eh! La dottrina “non si tocca”, è la parola d’ordine, ma intanto con i gesti e la pastorale del popolo te la faccio sotto il naso.

Stiamo volando con la fantasia? Magari! Saremo ben lieti di ricevere qualche smentita. Qualcuno potrebbe forse smentire questa raccolta di fatti concreti e reali?

È certo che al centro della vita di San Francesco stava il Cristo nell’Eucaristia. Un giorno volle mandare dei frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro. Poi invitava anche i poveri ad andare ad adorare l’Eucaristia. Egli vedeva nell’Eucaristia il prolungamento dell’Incarnazione e intuiva l’universalità e la perennità del sacrificio di Cristo e la necessità di associarsi ad esso. Forse molti non sanno che le famose parole: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo. San Francesco le compose proprio per l’adorazione eucaristica e la insegnava a tutti i poveri che incontrava e con i quali si intratteneva. La fede di Francesco abbracciava tutti i segni esterni della presenza di Cristo nell’Eucaristia, dagli altari, alle pissidi, agli abiti, agli incensi, unendo nella preghiera, l’adorazione e la lode, l’Eucaristia e la croce. Per lui tutta la preparazione liturgica eucaristica aveva la precedenza su tutto. E dopo aver servito qualche povero, quando si avviava in una chiesa, il suo unico pensiero era la Custodia Eucaristica. San Francesco, quello di Assisi, non ha mai messo i poveri al posto dell’Eucaristia, anzi, diceva ai suoi fraticelli che «la povertà si ferma ai piedi dell’Altare» (vedi qui).

E allora, Signor Papa, ci dica, se può, quali problemi ha Lei con la Santissima Eucaristia? San Francesco non sarebbe affatto contento di quel mettere il povero — sia materiale quanto maggiormente povero spirituale — al posto della Santissima Eucaristia.


IPSE DIXIT

«Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. Dicono che questo gesto non si adatta alla nostra cultura (ma a quale, allora?); non è conveniente per l’uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all’uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi. […] L’adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l’uomo tutto intero. Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile. […] L’inginocchiarsi non è solo un gesto cristiano, è un gesto cristologico. Il passo più importante sulla teologia dell’inginocchiarsi è e resta per me il grande inno cristologico di Fil 2,6-11. […] L’incapacità a inginocchiarsi appare addirittura come l’essenza stessa del diabolico. […] Chi impara a credere, impara a inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. […]» (Joseph card. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, 2001).

VATICANO
Movimenti Popolari, motto
 

Papa Francesco ha concluso ieri il Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari. Ma chi sono costoro che si presentano all'insegna dello slogan "terra, casa e lavoro per tutti"? Dietro alle belle parole troviamo movimenti marxisti, sindacati e formazioni di estrema sinistra che mirano all'instaurazione del socialismo.

di Marinellys Tremamunno

Papa Francesco ha concluso ieri il Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari. Dopo il primo incontro del 2014 a Roma e quello dell’anno scorso in Bolivia, la Santa Sede l’ha accolto con lo stesso grido: “terra, casa e lavoro per tutti”. Lo ha affermato il pontefice nel suo discorso ai partecipanti, sottolineando che i movimenti popolari sono “seminatori del cambiamento”. Ma che tipo di cambiamento?

Tanto per farsi un'idea dell'aria che tira: “la nuova sinistra o sinistra latinoamericana ai tempi della globalizzazione è rappresentata dai movimenti popolari, che criticano l'ordine nazionale e globale stabilito e che hanno un progetto di cambiamento sociale”. Così vengono definiti i movimenti popolari dal professore Hugo Casino, in un articolo pubblicato sul Brasilian Journal of International Relations, aggiungendo che i movimenti popolari sono un fenomeno ricorrente nella storia del Sudamerica, continente che ha dato i natali al Papa. 

“I movimenti popolari sudamericani sono di ispirazione marxista”. Lo ha rimarcato Casino, spiegando che sono movimenti organizzati da “caudillos” demagogici: il defunto Hugo Chávez ed Evo Morales, tutti e due carismatici e carenti di un vero progetto sociale. Ecco perché la presenza del presidente boliviano nei primi due incontri. Ora sorge spontanea una domanda: cosa sono questi movimenti popolari venuti dal Sudamerica?

Da evidenziare la delegazione argentina, quelli dei “movimientos piqueteros”. Il nuovo consulente di Giustizia e Pace del Vaticano, il marxista dichiarato Juan Grabois, ha portato dal suo paese i principali protagonisti delle proteste contro il governo Macri: “Barrios de Pie”, il movimento “Evita-CTEP” e la “Corriente Clasista Combativa” (CCC), secondo quanto ha riferito il giornale argentino La Nación. Il “Movimento Barrios de Pie” sarebbe il braccio operativo del partito politico di sinistra denominato “Movimentos Libres del Sur”. La Confederazione di Lavoratori dell’Economia Popolare (CTEP) è un’aggregazione sindacale che lotta contro il “neoliberalismo” ed è guidata da Grabois stesso all’insegna del “Socialismo del XXI Secolo” del populista Chávez. Questo è largamente documentato nei tre volumi di formazione scritti per i lavoratori e pubblicati sul sito ufficiale. Infine la CCC è una organizzazione sindacale creata dal “Partito Comunista Revolucionario”. 

Ma siamo sicuri che i movimenti popolari non sono partiti politici? Non solo, l’ideologia “chavista” del Socialismo del XXI Secolo è presente in ogni manifesto: il “Movimiento Nacional Campesino Indigena” (MNCI), un altro dei partecipanti, ha la Segreteria Operativa della “Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo” (CLOC). Un movimento di “resistenza” che ha come obiettivo la costruzione del Socialismo del XXI Secolo, come si legge nel documento del 21 dicembre 2012, letto da Evo Morales in un discorso presso il lago Titicaca. 

Il Socialismo è la meta dei movimenti popolari. “Adesso il capitale imperialista si trova sotto il controllo finanziario e delle multinazionali, di conseguenza il socialismo è l'unico sistema in grado di raggiungere la sovranità dei nostri popoli, mettendo in evidenza i valori della solidarietà, l'internazionalizzazione e la cooperazione tra i nostri popoli”. Si legge nel documento conclusivo del V Congresso della CLOC, realizzato nell’aprile 2015 a Quito (Ecuador) alla presenza dei movimenti popolari sudamericani, di Evo Morales e Rafael Correa.

Oggi Jorge Mario Bergoglio porta dentro al Vaticano i movimenti popolari. I suoi predecessori, invece, avrebbero forse pensato in modo diverso. Giovanni Paolo II “sapeva quale mostro di oppressione si acquattava nelle pieghe delle belle parole ricamate dal marxismo e nell’illusione della uguaglianza sociale. Sapeva che il socialismo reale era l’altra faccia della moneta nazifascista. Poiché come il nazifascismo, il socialismo reale – quello del comunismo – predicava l’uguaglianza attraverso l’oppressione e la frustrazione dell’individuo, l’ateismo e l’avvilimento della persona umana”. Sono parole di Papa Benedetto XVI.



L'INTERVENTO DEL PAPA di Lorenzo Bertocchi










[Modificato da Caterina63 08/11/2016 19:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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29/08/2016 19:33
 
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ed ecco la ciliegina (diremo il diavolo), sulla torta....  
IL CASO
 

Documenti hackerati rivelano come il finanziere Soros paghi organizzazioni cattoliche americane per spingere i vescovi a parlare di giustizia sociale invece che di famiglia e vita. Coinvolto anche il cardinale Maradiaga. E un uomo di Soros è arrivato ora a dettare la linea in Vaticano...

di Riccardo Cascioli
George Soros
 

Il finanziere George Soros ha dato consistenti contributi ad organizzazioni cattoliche per «spostare le priorità della Chiesa cattolica americana» dai temi vita e famiglia a quelli della giustizia sociale: occasione particolare, la visita di Papa Francesco negli Usa nel settembre 2015. È quanto emerso nei giorni scorsi, in aggiunta alle precedenti rivelazioni, dai numerosi documenti riservati hackerati alla sua Open Society Foundation. La notizia è circolata soprattutto negli Stati Uniti, focus dell’azione di Soros, ma merita di essere ripresa e conosciuta ovunque perché le sue implicazioni riguardano la Chiesa universale.

Partiamo dai fatti contenuti nei documenti pubblicati da DC Leaks: nell’aprile 2015 la Open Society ha versato 650mila dollari nelle casse di due organizzazioni legate ad ambienti cattolici progressisti, PICO e Faith in Public Life (Fpl), con lo scopo di «influenzare singoli vescovi in modo da avere voci pubbliche a sostegno di messaggi di giustizia economica e razziale allo scopo di iniziare a creare una massa critica di vescovi allineati con il Papa». Le due organizzazioni destinatarie dei versamenti sono state scelte, spiegano i documenti, perché impegnate in progetti a lungo termine che hanno lo scopo di cambiare «le priorità della Chiesa cattolica statunitense». La grande occasione è data dalla visita del Papa negli Stati Uniti e la fondazione di Soros punta esplicitamente ad usare i buoni rapporti di PICO con il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, tra i principali consiglieri di papa Francesco, per «impegnare» il Pontefice sui temi di giustizia sociale e anche avere la possibilità di inviare una delegazione in Vaticano prima della visita di settembre in modo da far ascoltare direttamente al Papa la voce dei cattolici più poveri in America.

C’è poi un Rapporto del 2016, un bilancio dell'anno precedente, in cui la fondazione di Soros si ritiene soddisfatta di come sia andata la precedente campagna in vista della visita del Papa e anche per il numero di vescovi che, in vista delle presidenziali, hanno apertamente criticato i candidati che puntano sulle paure della popolazione, con evidente riferimento a Donald Trump ed altri candidati repubblicani.

Se questa soddisfazione sia giustificata o meno e quanto la visita del Papa sia stata effettivamente influenzata da questa azione di lobby, è certo materia di discussione. Ma ognuno può trarre le sue conclusioni ripercorrendo discorsi, incontri, conferenze stampa e polemiche legate a quella visita. Quello che qui preme sottolineare sono invece due realtà che tali documenti portano alla luce e che hanno un valore ben oltre la contingenza di una visita papale.

Il primo e più importante è il grande investimento che organizzazioni filantropiche tradizionalmente anti-cattoliche stanno facendo per sovvertire l’insegnamento della Chiesa. È questo il vero scopo del cambiamento di priorità invocato, dai temi su famiglia e vita a quelli di giustizia sociale. In questo Soros si colloca nel solco di una tradizione ultradecennale che vede protagoniste le principali fondazioni americane, dai Rockefeller ai Ford, dai Kellog a Turner e così via. È un progetto di “protestantizzazione” che il sottoscritto aveva già documentato in un libro pubblicato venti anni fa (Il complotto demografico, Piemme). Il motivo? La Chiesa cattolica che, in sede di organizzazioni internazionali ha come obiettivo fondamentale di difendere la dignità dell’uomo, è l’ultimo baluardo che si oppone all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che vuole ridurre l’uomo a semplice strumento nelle mani del potere. 

Parte fondamentale di questo progetto è la diffusione universale del controllo delle nascite,dell’aborto come diritto umano, della distruzione della famiglia e della promozione dell’ideologia di genere. Proprio negli anni ’90 del secolo scorso, in un ciclo di conferenze internazionali dell’ONU (dal vertice di Rio de Janeiro sull’ambiente nel 1992 fino al summit di Roma sull’alimentazione nel 1996) si scatenò una battaglia diplomatica senza precedenti tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Santa Sede dall’altra proprio su questi temi. Sebbene possiamo oggi notare come quell’agenda abbia fatto passi da gigante a livello mondiale, la strenua resistenza della Chiesa, che aveva trascinato con sé molti Paesi in via di sviluppo (vittime di questo neo-colonialismo) ha ritardato e sta ostacolando quel progetto. Molto lo si deve a Giovanni Paolo II, il quale ha sempre avuto chiaro che la famiglia e la vita sono oggi il principale terreno su cui si gioca la battaglia per la dignità dell’uomo. Vale la pena ricordare per inciso che proprio per questo motivo e per questa battaglia, il Papa istituì allora il Pontificio Consiglio per la Famiglia e anche l’Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense (l’Istituto Giovanni Paolo II che nei giorni scorsi ha visto un cambiamento significativo alla sua guida).

Si può capire quindi come si siano intensificati gli sforzi internazionali per indebolire la Chiesa su questo fronte. Negare l’esistenza di princìpi non negoziabili e la promozione quasi esclusiva della giustizia sociale a scapito dei temi di famiglia e vita è la via maestra per raggiungere questo scopo. E i soldi di Soros sono parte di questi sforzi che però vanno ben oltre l’attività della sua Fondazione.

Del resto - e qui è la seconda questione - questi personaggi e queste organizzazioni trovano una facile sponda all’interno della Chiesa stessa in certi ambienti progressisti che già per conto loro condividono questo approccio. Proprio le due organizzazioni finanziate da Soros nel 2015 ne sono una dimostrazione. PICO, ad esempio, è stata fondata nel 1972 dal padre gesuita John Baumann e si propone di affrontare i problemi sociali attraverso l’organizzazione di cellule fondate sulle comunità delle varie religioni presenti, per intenderci un modello evoluto di comunità di base di sudamericana memoria. Proprio per questo PICO si è guadagnata il supporto del cardinale Maradiaga (c’è un video promozionale del 2013 in cui il cardinale invita a sostenere PICO). Ma tale organizzazione è anche ispirata dal “guru” comunista Saul Alinski, conosciuto come il “profeta” dell’organizzazione delle comunità di base e delle minoranze etniche. Del resto nell’elenco dei finanziatori di PICO troviamo le Fondazioni Ford e Kellogg in aggiunta a un’altra decina di fondazioni dalla forte identità liberal. Curiosamente, poi, si trova Alinski anche all’origine della carriera politica di Hillary Clinton e non può quindi sorprendere l’impegno di PICO, tra l’altro, nella campagna elettorale per le presidenziali.

Impegno ancora più esplicito per l’altra organizzazione finanziata da SorosFaith in Public Life, che tra i successi del 2015 – oltre alla “preparazione” della visita del Papa, tra cui un sondaggio ad hoc sui cattolici americani teso a supportare l’agenda liberal – cita anche la mobilitazione per bloccare la legge sulla libertà religiosa della Georgia, finalizzata tra l’altro a garantire l’obiezione di coscienza contro l’imposizione dell’ideologia gender e delle nozze gay. 

Quanto il cardinale Maradiaga e altri esponenti dell’episcopato sono coscienti o partecipi di questo disegno decisamente anti-cattolico? Non lo sappiamo e non ci azzardiamo a processarne le intenzioni. Possiamo solo notare come certi esponenti ecclesiali di primo piano vengano individuati come omogenei ai progetti di chi vuole distruggere la Chiesa, a prescindere poi dal successo o meno che abbiano certi tentativi di approccio. 

Però qui corre l’obbligo di aggiungere un dato inquietante ai documenti rivelati. Si può infatti facilmente capire che di tale progetto di cambiamento nella dottrina della Chiesa faccia parte anche un'opera di infiltrazione di specifici personaggi nei centri decisionali della Chiesa. E non si può non andare immediatamente al caso di Jeffrey Sachs, l’economista dell’ONU e direttore dell’Earth Institute che ha avuto un ruolo importante nell’enciclica “Laudato Sii”, tanto da essere chiamato dal Vaticano sia per le presentazioni dell’enciclica sull’ambiente sia per i convegni internazionali sullo sviluppo sostenibile. 

La sua inspiegabile onnipresenza è stata contestata nei mesi scorsi – oltre che dal nostro giornale (clicca quiqui e qui) – dalle principali organizzazioni pro-life e pro-family internazionali perché Sachs è ben noto come grande sostenitore delle politiche di controllo delle nascite. Ma è stato difeso a spada tratta dal presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo, che ne ha anche sponsorizzato la nomina da parte di papa Francesco nella Pontificia Accademia da lui presieduta. Ebbene, ciò che forse non è stato detto, è che Sachs è anche conosciuto per essere un uomo di Soros (peraltro entrambi sono ebrei originari dell’Est Europa), da diversi decenni impegnato nella concezione e diffusione di teorie economiche a sostegno dell’Open Society perseguita da Soros. 

Alla luce dei documenti che attestano le strategie di Soros nei confronti della Chiesa cattolica, la presenza di Sachs nei piani alti del Vaticano risulta meno inspiegabile, sebbene ancora più inquietante. A questo punto sarebbe però opportuno che a spiegarsi siano il vescovo Sorondo, il cardinale Maradiaga e quanti altri sono coinvolti in questa rete.




IL CASO
 

”Verso un’economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti”. E il titolo del convegno promosso dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il Cortile dei Gentili e il Pontificio Consiglio della Cultura. Dove si é discusso di il Fil, cioè la Felicità Interna Lorda. 

di Rino Cammilleri
La felicità diventa indicatore economico

L’agenzia Zenit l’aveva annunciato, incuriosendomi. Ecco il lancio: «Più economia e meno finanza, più etica e meno deregulation. Una richiesta ai maggiori economisti del mondo di aderire alla visione di papa Francesco, già illustrata nella enciclica Laudato sii». Uno potrebbe dire: ma che bisogno c’è di convocare questo gotha per una cosa che già si sa? 

Comunque, il 21 settembre è andato in onda il convegno ”Verso una economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti”. Insomma, tesi già bella e pronta, cui si può solo aderire-plaudire. Prestigiosa sede romana, Palazzo Borromeo, promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede «in sinergia» col (e ti pareva) Cortile dei Gentili e collaborazione del Pontificio Consiglio della Cultura. Starring: il Premio Nobel economico Angus Deaton, Jean-Paul Fitoussi e Dominque Yvan der Mensbrugghe (economisti), i presidenti di camera&senato Laura Boldrini e Pietro Grasso, il ministro Giuliano Poletti (già presidente della Legacoop e ora a capo del dicastero del lavoro), il solito Giuliano Amato in qualità di presidente della fondazione Cortile dei Gentili. 

Last but not least, il cardinale Ravasi, deus ex machina del Cortile medesimo. Il quale, allapresentazione, ha sottolineato che il Cortile «è impegnato già da tempo ad approfondire il confronto sull’economia sostenibile». Mi riservo di approfondire (io) il concetto di economia INsostenibile, perché (io, almeno) mi ritrovo di anno in anno sempre più povero. Il Cortile, leggo, «presto aprirà un confronto sul tema del Fil, acronimo di Felicità Interna Lorda». I’chell’è (dicono i fiorentini)? Ecco: «che prende in considerazione indicatori come qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali». Ah. Vabbe’, seguiamo Zenit, che fa, due giorni dopo, il riassunto del convegno. 

L’ambasciatore Mancini ha detto che «si nota una accentuazione delle diseguaglianze». Anzi, «sidilata a dismisura la forbice dei redditi». Perciò, «serve un modello distributivo più equo». Infatti, «nell’enciclica Laudato Si’, Papa Francesco ha indicato la non sostenibilità del sistema economico attuale». Poi Ravasi, il quale «nel pamphlet che accompagnava l’incontro» ha spiegato che (cito) «l’uomo primordiale esprime la sua umanità quando dipinge, canta, prega, compone, danza, gioca, quando cioè non realizza un’operazione economica». Come vincere, allora, l’egoismo brutale teso al possesso? Con l’agape inteso come «amore e dono». 

Mi sembra corretto, in fondo anche un cardinale è un prete. Non si portano tutte le domeniche, daparte del popolo, i “doni” all’altare? «Il dono è una componente prodigiosa e preziosa dell’economia», ha ribadito. Ne sa qualcosa l’Africa (penso io) che da mezzo secolo piglia “doni” occidentali ma di decollo economico non se ne parla. Il “dono” l’ha solo ingolosita, tant’è che ora viene a prenderselo a domicilio (nostro). Mi sia consentito di risparmiarvi gli interventi della Boldrini e del Grasso, che sono facilmente intuibili. Immagino che, data l’originalità del tema e la (sia detto senza offesa) prevedibilità degli interventi (del resto, il titolo del convegno era praticamente un diktat), tutti gli occhi si siano puntati, a quel punto, su Deaton, il Nobel. 

Il quale, bontà sua, ha ricordato che nell’ultimo mezzo secolo il tanto vituperato capitalismo ha   ridotto di parecchio la povertà, la mortalità infantile e pure quella degli anziani. «È vero che sono ancora tanti (quelli, ndr) che soffrono di sottosviluppo e ingiustizie, ma in generale il mondo sta migliorando sempre di più». Sono gli argomenti che gli hanno meritato il Nobel e hanno fatto chiedere a un lettore del blog diRepubblica se Deaton sia «di destra». Forse memore di questo e del titolo del convegno, a un certo punto, però, ha tuonato contro le lobby affaristico-finanziarie, la speculazione etc., in un crescendo culminato in Donald Trump (sic!) indicato come «una vera minaccia per la democrazia!». Con tanto di punto esclamativo. 

Uno potrebbe chiedersi che cosa gliene freghi a lui, che è scozzese e pure sir britannico. Ma la veradomanda, mi si consenta, è quella di Giuda: la spesa per convegni del genere non sarebbe meglio “donarla” ai poveri? 

 



PARMA
La stanza del silenzio di Parma (Repubblica)
 

All'ospedale di Parma l'Asl e le università hanno creato la stanza del silenzio: un luogo in cui meditare sul dolore e la morte ma senza simboli religiosi, per dialogare con tutti.
E in prima fila, tra gli entusiasti, c'è la diocesi.
Che ha abbandonato l'insegnamento sulle verità della vita e della morte, unendosi al coro degli epigoni della religione mondiale 2.0 e gettando alle ortiche il criterio oggettivo con cui leggere la realtà attraverso gli occhi della fede.

di Andrea Zambrano

Non ci sarà nulla. Proprio nulla: né arredi, né oggetti, né sedie. Perché non servono allo scopo e lo scopo è quello di affrontare il dolore della malattia o la perdita della morte. L’hanno ribattezzata Stanza del silenzio e quelli di Repubblica, che di queste novità sono sempre ghiotti, l’hanno confezionata così: “Parma, una stanza dove le preghiere non hanno bandiere”. 

Facile immaginare il senso: siccome le cappelle col Santissimo offendono le altre fedi, bisogna creare qualche cosa che vada bene a tutti. Ma che cosa? Semplice: una stanza dove annullare qualunque riferimento al sacro e che nelle intenzioni si dica che possa andare bene a tutti: cattolici, buddisti, musulmani, induisti, ebrei e persino atei dato che al tavolo nazionale voluto  da un Forum interreligioso del quale si disconosce l’autorevolezza devono starci proprio tutti. 

Non è la prima stanza del silenzio che viene creata. Sempre Repubblica ci informa che negli Stati Uniti è ormai una prassi e che l’idea nacque all’Onu nel lontano 1954 quando l’allora segretario della Nazioni Unite fece predisporre una camera di meditazione per i dipendenti del quartiere. Così con la scusa del pluralismo religioso, si abbandonano le specificità delle varie religioni che sulla morte hanno elaborato un pensiero profondo, per mettere pari tutti. Come avrebbe detto Totò: dato che la morte è una livella, anche la riflessione su di essa deve vedere tutti partire dallo stesso punto. Che non è come avrebbe detto un Sant’Alfonso la consapevolezza che di fronte all’ora fatale non ci sono né re né plebei, ma è il nulla, appunto. 

L’iniziativa di Parma è significativa però, rispetto ad altre già create in Italia, come Torino, per due motivi.

Anzitutto è sponsorizzata da numerosi enti pubblici, i quali attuano direttive di scristianizzazione già affermate e utilizzano i nostri soldi anche per questi scopi che al contribuente potrebbero sembrare discutibili per il semplice fatto che esulano dalle loro competenze: che si debba incaricare l’Asl di Parma di livellare tutte le esperienze religiose di fronte a come reagire alla morte è alquanto discutibile, che a collaborare a questo progetto ci siano professionisti, immaginiamo ben pagati, di alcune università, come quella di Modena-Reggio e quella di Padova, è folcloristico, perché da sempre gli atenei sono i luoghi del sapere. La loro presenza in questo tipo di progetti invece certifica che le Università non hanno praticamente nulla da dire se non il silenzio e una meditazione tanto vaga quanto sterile. 

La seconda specificità è che alla causa ha portato acqua anche la Diocesi di Parma che, sostiene sempre Repubblica, ha accettato di partecipare entusiasta alla creazione della stanza del silenzio. E ti pareva: non bastava aver lodato i grandi epigoni del laicismo italiano come Pannella e Dario Fo come improbabili cristiani inconsapevoli, adesso le gerarchie ecclesiastiche sono prone persino nello svendere a buon mercato ciò che hanno ricevuto in custodia: l’anima delle persone e la verità sul loro destino eterno. 

In Diocesi a Parma si vede che si è pensato di tradurre alla lettera la profezia di John Lennon che in Imagine si augurava un mondo finalmente senza religioni. Eccolo accontentato, grazie a vescovi che hanno scambiato il mito del dialogo come un risvolto moderno e rattrappito dell’evangelizzazione. Accantonando la verità per far posto al disorientamento, smettendo di dare criteri per leggere la realtà attraverso la fede. 

A noi viene in mente un’altra canzone, di Gino Paoli: il nulla in una stanza. Il cielo non c’è più. Di fronte al silenzio come grido nel vuoto e non, come direbbe il cardinal Sarah, luogo privilegiato dell’ascolto, non ci resta che il nulla. 

E’ evidente che non c’è stato nessun buddista che si sia lamentato con la direzione dell’ospedale per non aver trovato una cappella di suo gradimento durante il ricovero; né che i musulmani abbiano chiesto di avere a disposizione una camera di meditazione dove stendere lo stuoino tra un ciclo e un altro di chemio. Si procede per false risposte a bisogni veri: siccome ormai non siamo più cattolici, trasformiamo tutto in modo che vada bene a tutti. Però qualche spazio ci vuole perché la morte è assurda e noi, dopo aver cacciato Dio dalle nostre porte principali non ce lo vediamo più.  

Con buona pace per la verità sull’uomo che difficilmente potrà trovare pace e risposte tra quattro mura agghindate con quadri da biennale e suppellettili sincretiche. E’ proprio vero che quando uno non crede più a niente diventa credulone. A Parma, complice la direzione sanitaria e uno stuolo di cultori autorevoli della nuova religione 2.0, quella che dovrà affratellare i popoli senza un briciolo di verità, si adora il vitello d’oro del silenzio nichilistico, ma elevandolo a religione perché è questo che deve tenere legati gli uomini: una indistinta e informe di sentimenti vacui e terribilmente umani.

E a certificare tutto questo c’è la complicità di pastori che hanno deciso di abbandonare la loro missione per accontentarsi del dio ignoto degli ateniesi. Anzi, più che ignoto: il Dio assente, il Dio del così è se vi pare. Però quella stanza una cosa la dice: dopo aver fatto di tutto per cacciare Dio dalla propria vita si ritorna come in un gioco dell’oca al punto di partenza. Con le stesse domande, ma senza pretendere una risposta, che a ben guardare sarebbe a portata davvero di tutti. 

 















[Modificato da Caterina63 25/10/2016 18:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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FOCUS di mons. Antonio Livi

Sosa

Evangelisti senza registratore? Il generale gesuita Sosa, prigioniero dell’ideologia irrazionalistica è allergico alla parola “dottrina”, non vede che con questa stolta polemica offende non solo la Chiesa, ma Cristo stesso, rinnegando i principali dogmi della Chiesa. Le stesse aberrazioni della Teologia de la revolución. Sofismi che possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri, ma sono stati decostruiti e smentiti dai documenti del Magistero.

L’intervista del generale dei gesuiti Padre Sosa, per il quale le parole di Gesù andrebbero contestualizzate perché gli evangelisti non avevano con sè un registratore, per la sua assoluta incoerenza logica, non meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata. Ma, trattandosi di un intervento dell’attuale generale dei Gesuiti nel dibattito sull’interpretazione di un documento pontificio così problematico come l’Amoris laetitia, si rende necessario, per responsabilità pastorale nei confronti dei fedeli ai quali l’intervista è giunta attraverso i media internazionali, un richiamo al corretto rapporto del Magistero e/o della sacra teologia con la verità rivelata, quella con la quale Dio «ha voluto farci conoscere la sua vita intima e i suoi disegni di salvezza per il mondo» (Vaticano I, costituzione dogmatica Dei Filius, 1870).

I fedeli cattolici (sia Pastori che fedeli) sanno che la verità che Dio ha rivelato agli uomini parlando per mezzo dei Profeti dell’Antico Testamento e poi con il proprio figlio, Gesù  (cfr Lettera agli Ebrei, 1, 1), è custodita, interpretata e annunciata infallibilmente dagli Apostoli, ai quali Cristo ha conferito la potestà di magistero autentico per l’evangelizzazione e la catechesi. Agli Apostoli Cristo ha detto: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato» (Vangelo secondo Luca, 10, 16). Il valore di verità della dottrina degli Apostoli e dei loro successori (i vescovi con a capo il Papa) dipende quindi interamente dal valore di verità della dottrina di Cristo stesso, l’unico che conosce il mistero del Padre: «La mia dottrina non è mia ma di Colui che mi ha inviato» (Vangelo secondo Giovanni, 7, 16). Padre Sosa, prigioniero com’è dell’ideologia irrazionalistica (pastoralismo, prassismo, storicismo) è allergico alla parola “dottrina”, ma non si rende conto che con questa sua stolta polemica offende non solo la Chiesa di Cristo ma Cristo stesso.

Tanto è essenziale la potestà di magistero (munus docendi), che Cristo ha conferito agli Apostoli unitamente alla potestà di amministrare i sacramenti della grazia (munus sanctificandi), con i quali gli uomini possono essere santificati, cioè uniti ontologicamente (non solo moralmente) a Cristo, e in Lui, nell’unità dello Spirito,  a Dio che è il solo Santo. Dice infatti Gesù agli Apostoli: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Vangelo secondo Matteo, 28, 20).

E per provvedere alle necessità spirituali dei fedeli, con la costituzione gerarchica della Chiesa, Cristo ha conferito agli Apostoli anche la missione pastorale (munsu regendi). Si capisce allora che non si può pensare a riforme “pastorali” della Chiesa in contrasto con la dottrina dogmatica e morale, come vorrebbe padre Sosa, con l’alibi delle presunte ispirazioni di un fantomatico “Spirito”, che certamente non è lo Spirito di Gesù (quello che «ex Patre Filioque procedit») perché contraddice frontalmente la sua dottrina e i sui comandamenti, anche lì dove Gesù ha parlato in modo definitivo e inequivocabile, com’è il caso del matrimonio naturale, che è indissolubile perché Dio così lo ha istituito «fin dal principio».

Non serve a niente – tanto meno all’edificazione della fede dei cattolici di oggi – sostenere con argomenti pseudo-teologici,  ossia con la propaganda rivoluzionaria, le riforme dottrinali di una immaginaria “Chiesa di Bergoglio”: i fedeli sanno benissimo  che la “Chiesa di Bergoglio” non esiste e non può esistere, perché Dio ha voluto solo la Chiesa del Figlio suo,  la Chiesa di Cristo, Verbo Incarnato  e Capo del Corpo Mistico, sempre presente per essere l’unico Maestro, Sacerdote e Re per ogni generazione, fino alla fine dei tempi (si vedano il classico trattato teologico del cardinale Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Paris-Bruges 1962, e  il recentissimo saggio del Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Gerhrard Ludwig Müller, intitolato Der Papst – Sendung und Auftrag, Herder Verlag, Frankfurt 2017).

Non serve a niente parlare di una “Chiesa del popolo”, immaginata secondo gli schemi  ideologici della sudamericana “teologia del pueblo”, dove è “la base”, “coscientizzata” dagli intellettuali organici (i teologi), quella che decide quale dottrina e quale prassi rispondono alle necessità politiche di quel momento storico e il Papa non è più l’interprete infallibile della verità rivelata e l’amministratore dei misteri salvifici ma l’interprete della volontà popolare e l’amministratore della rivoluzione permanente. Sono le aberrazioni pseudo-teologiche che si ritrovano già nella Teologia de la revolución del peruviano Gustavo Gutiérrez e che traggono origine dalla «nuova teologia politica» del tedesco Johann Baptist Metz. Il venezuelano padre Sosa, da sempre legato a questa corrente ideologica, ripropone oggi, nell’intento di sostenere servilmente le presunte intenzioni rivoluzionarie di papa Bergoglio, teorie che già quarant’anni fa, sotto papa Wojtyla, sono state condannate dal Magistero come contrarie al dogma ecclesiologico.

Nemmeno serve l’alibi pseudo-teologico di una nova e “aggiornata” interpretazione della Scrittura, capace di contraddire perfino le «ipsissima verba Christi» e capace poi di squalificare come “fondamentalisti” quanti nella Chiesa (non solo i teologi come Carlo Caffarra ma anche i Papi come san Giovanni Paolo II) stanno al significato ovvio e vincolante degli insegnamenti biblici. Questi sofismi possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri di discernimento: ma sono stati già da tempo decostruiti e smentiti punto per punto dai documenti del Magistero recente e dalla critica teologica (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2012).

Noi cattolici sappiamo di dover leggere l’Antico e il Nuovo Testamento alla luce della dottrina della Chiesa, perché è proprio della Chiesa che ci ha dato la Sacra Scrittura, garantendone l’ispirazione divina, ed è essa che ne fornisce l’interpretazione autentica, ogni qual volta un’interpretazione è necessaria per renderne comprensibile il messaggio salvifico agli uomini di un determinato contesto storico-culturale.

Noi cattolici, a differenza di Lutero e di tutti quei protestanti che ne hanno seguito la metodologia teologica (radicalmente eretica), non ci basiamo sull’illogico principio della «sola Scriptura» e del «libero esame», e non vediamo alcun motivo logico di opporre la Bibbia al Magistero e il Magistero alla Bibbia. Noi cattolici abbiamo motivo di credere, al di là di ogni ragionevole dubbio, all’autorità dottrinale della Chiesa che ci ha consegnato la Sacra Scrittura, assicurandoci del fatto che essa è veramente la «parola di Dio», in quanto Dio stesso ne è l’autore principale e gli agiografi, che hanno scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ne sono gli autori secondari o strumentali.

Ciò significa, contro il relativismo professato da padre Sosa, che ciò che si legge nella Sacra Scrittura è assolutamente vero, è la verità dei misteri soprannaturali che Dio ci ha rivelato gradualmente, per mezzo dei profeti, e poi definitivamente nella persona stessa di Dio Figlio. Si deve tener sempre presente che i testi scritturistici, pur contenendo la rivelazione dei misteri soprannaturali, di per sé ineffabili, forniscono ai credenti quel tanto di conoscenza (analogica) del divino che permetta loro di trovare in Cristo «la via, la verità e la vita».

Per questo loro essenziale scopo salvifico i testi scritturistici non sono “aperti” a ogni possibile interpretazione, anche in contraddizione con  il loro significato testuale, che di norma è chiaro ed inequivocabile (lo stesso significato chiaro ed inequivocabile che hanno le formule dogmatiche che nei secoli la Chiesa è andata definendo). Non è vero quello che sosteneva alcuni decenni or sono il protestante svizzero Karl Jaspers, ossia che «nella Bibbia, dal punto di vista dottrinale, si può trovare tutto e il contrario di tutto». 

Quando avviene che il significato testuale di un passo scritturistico sia suscettibile di diverse interpretazioni, è la Chiesa stessa che provvede a fornirne un’interpretazione “autentica”, ossia conforme all’insieme organico di tutta la dottrina rivelata (analogia fidei). Qualora poi la Chiesa non sia intervenuta a fornirne un’interpretazione “autentica”, i teologi sono liberi di proporre le loro personali ipotesi di interpretazione, tutte legittime purché compatibili con il dogma.

Il generale dei Gesuiti si riferisce irresponsabilmente a pericopi evangeliche, nelle quali è testualmente contenuta la dottrina rivelata sul matrimonio, dicendo che si tratta di parole di uomini (gli agiografi), trasmesse da altri uomini (gli Apostoli e i loro successori) e interpretata da altri uomini ancora (i teologi). Insomma, per lui non è mai la Parola di Dio! In un sol colpo padre Sosa riesce a rinnegare tutti i dogmi fondamentali della Chiesa cattolica, a cominciare da quello della divina ispirazione della Scrittura, da cui derivano le proprietà di “santità” e di “inerranza” degli insegnamenti biblici (richiamati da Pio XII nel 1943 con l’enciclica Divino afflante Spiritu e poi riproposto dal Vaticano II nel 1965 con la costituzione dogmatica Dei Verbum), per finire con quello dell’infallibilità del magistero ecclesiastico quando definisce formalmente le verità che Dio ha rivelato per la salvezza degli uomini (definito nel 1870 dal Vaticano I con la costituzione dogmatica Pastor Aeternus e riproposti anche dal Vaticano II con le costituzioni dogmatiche Lumen gentium e Dei Verbum).

Riducendo la Scrittura a «espressione della coscienza della comunità credente di altri tempi», a padre Sosa sembra logico di dover sostenere la necessità di una nuova interpretazione del messaggio biblico alla luce della «espressione della coscienza della comunità credente» di oggi. Ma questo è logico solo se si professa l’«anarchia ermeneutica», quella che ha portato un teologo luterano come Rudolf Bultmann a proporre la «de-mitologizzazione» del Nuovo Testamento. Invece, per la fede cattolica (che fino a prova contraria dovrebbe essere quella del generale dei Gesuiti), è del tutto illogico suppore che la Scrittura non insegni sempre e soprattutto delle verità divine indispensabili per la salvezza degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Solo chi accetta in toto l’eresia luterana può supporre che non esista quello che io chiamo il «limite ermeneutico invalicabile», ossia l’individuazione (immediata, accessibile a tutti) di un ben preciso contenuto dottrinale, che nessuna interpretazione può negare o mettere in ombra. Questo è il caso, per l’appunto, della dottrina evangelica sul matrimonio e l’adulterio.

Capisco (anche se la depreco) l’intenzione di padre Sosa di sostenere la (presunta) rivoluzione pastorale di papa Bergoglio relativizzando il dogma, per poter contraddire nella prassi quanto la Chiesa ha stabilito ormai definitivamente con la dottrina sui sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma ragioniamo: eliminando il dogma, su quale base si dovrebbe dar ascolto a un Papa, il quale – secondo l’interpretazione ufficiosa di Sosa e di tanti altri teologi ossequiosi – ha messo il dogma da parte?

Se non è assolutamente (non relativamente) vero – oggi come ieri e come domani – che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa, per quale motivo dovemmo ascoltarlo e obbedirgli? E noi sappiamo proprio dalla Sacra Scrittura (sulla quale si basano i dogmi enunciati dal Magistero, dai primi secoli fino al Vaticano I) che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa; ora, se si applicasse a questa volontà espressa di Cristo il criterio relativista di Sosa, allora ci sarebbero cattolici che venerano e rispettano il Papa e altri che lo ignorano o lo combattono. Gli uni e gli altri per motivi non teologici, ma ideologici, cioè politici. Fedeli a papa Bergoglio sarebbero solo quelli che lo seguono come si segue in politica un leader “carismatico” e non si tratterebbe certamente del carisma divino dell’infallibilità nella dottrina, ma del carisma umano del capopopolo che con le sue parole e i sui gesti ottiene consenso nelle masse. 


 

IL GESUITA CHE NEGA CRISTO
 

Povero Cristo, poteva usare un po’ più di «discernimento». Ha voluto affidarsi alla sola testimonianza orale? Ben gli sta. Macché, ha soffiato in faccia agli Apostoli lo Spirito Santo, affinché trascrivessero con precisione. La Chiesa è sempre stata un faro, ma se il faro diventa una boa disancorata a che serve? Bella domanda. 

di Rino Cammilleri

Com’è noto, al tempo di Gesù non c’erano i registratori, perciò non sapremo mai che cosa abbia veramente detto. Per lo stesso motivo non sapremo mai se davvero sia esistito Alessandro Magno o se Giulio Cesare fosse un mito solare. Non c’era nemmeno la fotografia, a quei tempi.

E, anche se ci fosse stata, gli ebrei non avrebbero potuto usarla, stante il divieto mosaico di raffigurare esseri viventi. Stanti le conoscenze scientifiche del tempo, melegrane e foglie di fico erano considerate natura morta, talché le riproducevano in oro perfino nel Tempio. Oggi, invece, sappiamo che i vegetali sono vivi. In fondo, che cosa abbiamo di Napoleone? Testimonianze orali e scritte, più qualche quadro oleografico e qualche statua nuda.

Tutto roba falsificabile. Il Corano? Mica l’ha scritto Maometto, ma è stato messo insieme, a memoria, dopo la sua morte, da discepoli. Infatti, le «sure» sono compilate in ordine di lunghezza, tanto per dargliene uno, di ordine. Perciò, non sapremo mai che cosa ha veramente detto il Profeta. Ma chi glielo dice ai musulmani? Comunque, a noi interessano i cristiani; anzi, i cattolici.

Il capo dei gesuiti ha in pratica detto che il re è nudo, e non sapremo mai come vestirlo con esattezza. Anche la faccia di Gesù è probabile, tant’è che la Bbc qualche tempo fa ci mostrò una ricostruzione «palestinese» (sapete, quella disciplina modernissima che, partendo da un cranio, ricostruisce con molta approssimazione le fattezze del volto) che somigliava a un neanderthaliano. Gesù patì sotto Ponzio Pilato? Boh.

Nemmeno Giuseppe Flavio è chiaro sul punto, tant’è che si parla di pia interpolazione. Anzi, a dirla tutta, non abbiamo prove che Gesù sia morto in croce. Mi voglio rovinare: non si sa nemmeno se sia esistito veramente. Eh, non c’erano i registratori né le telecamere. Di più: se ci fossero stati, che cosa avrebbero «provato»? Come tutti sanno, le registrazioni, le foto e le immagini riprese possono essere tranquillamente falsificate. Perciò, ha ragione Umberto Eco e, prima di lui, Guglielmo di Occam: nomina nuda tenemus, e niente altro.

Se Cristo aveva voluto evitare che finissimo sotto schiaffo di una casta autocooptata ha fallito in pieno. Povero Cristo, poteva usare un po’ più di «discernimento». Ha voluto affidarsi alla sola testimonianza orale? Ben gli sta. Macché, ha soffiato in faccia agli  Apostoli lo Spirito Santo, affinché ricordassero (e trascrivessero) con precisione.

Miracolo per miracolo, poteva dotarli di un registratore all’adamantio (il metallo che rende indistruttibile Wolverine) che avrebbe sfidato i millenni e ci avrebbe riportato le sue esatte parole riguardo al divorzio, risparmiandoci duemila anni  di faticoso «discernimento». Ma chissà se davvero Gesù è esistito, e non sia invece una «rielaborazione tardiva della comunità». Tanto tardiva che ancora oggi dibatte e si dibatte. La Chiesa è sempre stata un faro, ma se il faro diventa una boa disancorata a che serve? Bella domanda.  





E' FORSE TUTTO COLLEGATO? DIREMO DI SI'.....


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I minimalisti in mariologia minimizzano le apparizioni

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Occupandoci qui delle “Profezie”, non possiamo ignorare l’eco di certe affermazioni attribuite a Vescovi e Cardinali, specialmente quando sono alla guida di Congregazioni importanti, come è il caso del cardinale Muller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il quale, appunto, essendo il garante di questa, dovrebbe essere meno ambiguo, dare meno mangime alla stampa e forse un poco più  di verità, professionalmente, ai fedeli…

Sono state attribuite al cardinale Muller – vedi qui – queste affermazioni sulle Apparizioni mariane che, a nostro modesto parere, andrebbero un tantino spiegate.

«Il futuro della Chiesa non dipende da conosciuti santuari come Fatima o Lourdes: aiutano, possono aiutare a fare più presente il messaggio della penitenza per il mondo di oggi» ma la fede è quella che si vive nella vita quotidiana «nella famiglia, nel lavoro, nella parrocchia».

Lo dice il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Müller parlando con l’Ansa. Sul «ruolo dei veggenti, devo dire come cattolico che dobbiamo concentrarci su Gesù Cristo. Ci sono possibilmente alcuni rivelazioni private ma non sostituiscono l’unica rivelazione di Dio in Gesù Cristo». «Alcuni esagerano l’importanza di questi fenomeni, come se fosse quasi un dogma. Anche quando la Chiesa si è dichiarata a favore di eventi di questo genere nessun cattolico è obbligato ad andare là o a crederlo». Così il prefetto parla del luogo in cui secondo alcuni veggenti apparirebbe la Madonna. Per una pronuncia del Vaticano – dice il cardinale – «ci vuole tempo, in questo momento è più importante regolare la pastorale, le confessioni».

Fin qui la notizia! Riscontriamo una vena minimalista nelle parole del cardinale Prefetto.

Ma chi sono i minimalisti? Nell’ultimo Concilio ci furono due correnti mariane: i massimalisti, quelli che difendevano la dottrina e il culto mariano dai minimalisti, ecumaniaci-filo-protestanti, coloro che non volevano neppure dare a Maria il titolo di Mater Ecclesiae, quello che poi fece invece Paolo VI; coloro che non amano le profezie soprattutto mariane.

A scanso di equivoci diciamo subito che siamo d’accordo su quel “porre un freno” ad usare Profezie e Apparizioni come una sorta di spada, o “asso-pigliatutto”, dal momento che non è affatto facile dare una interpretazione a certe Apparizioni o ai “Messaggi” mariani in quanto profetici. Qui nel nostro piccolo, dando una certa informazione, cerchiamo proprio la fonte più credibile non come una sorta di scoop giornalistico, ma per passare dall’Oracolo all’ORARE, PREGARE, soprattutto Pregare e convertirci noi stessi per primi ai Messaggi autentici che ci provengono dal Cielo.

Chiarito questo riteniamo minimaliste le parole del cardinale Muller a fronte dei contenuti di certe Apparizioni approvate dalla Chiesa.

Per esempio: prendiamo Lourdes, l’Apparizione non è un “dogma” è vero, ma il suo contenuto lo è eccome. La Vergine Santa andò da Bernadette sostanzialmente per CONFERMARE la scelta fatta dal beato Pio IX di proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione! Lo stesso interesse della Santa Sede di quel tempo non si mosse perché a Lourdes “appariva la bianca Signora” o perché cominciò a scaturire un’acqua prodigiosa…. ma proprio per quelle parole che Bernadette disse al parroco il quale, appena uditele, poco ci mancava che svenisse.

Quindi, se è vero che non siamo obbligati a credere a certe apparizioni, NON SIAMO AFFATTO TENUTI A SCORAGGIARLEo a scoraggiarne i contenuti.

Altro esempio è Fatima: qui non basta un intero sito per raccogliere tutte le affermazioni dei Pontefici a favore di questa Apparizione per i suoi contenuti MAGISTERIALI. Possiamo dire che Lourdes e Fatima sono entrate nel Magistero pontificio… e senza scomodare “i dogmi”, i loro contenuti SONO entrati all’interno dell’insegnamento della Chiesa Cattolica, universale, QUINDI SONO MAGISTERO VINCOLANTE PER DIRSI CATTOLICI.

Affermare che ” nessun cattolico è obbligato ad andare là o a crederlo..” è vero fino ad un certo punto, ossia è vero fino a quando ci fermiamo all’Apparizione in sé, se sia avvenuta o meno. Perché poi, riguardo al contenuto un cattolico, per dirsi tale, è obbligato a credere nell’Immacolata Concezione (Lourdes), è obbligato a credere al Cuore Immacolato di Maria (Fatima). Fare certe distinzioni come ha fatto il cardinale Muller, senza sprecarsi troppo con i chiarimenti, si rischia di andare a nutrire le correnti più disperate che solitamente hanno in allergia la DEVOZIONE MARIANA, i minimalisti, appunto.

Un altro esempio è la Madonna delle Tre Fontane, clicca qui, che fu una conferma per Pio XII quando volle “una prova dal Cielo” per proclamare il dogma dell’Assunzione di Maria al Cielo… Nel 1950, Papa Pio XII disse addirittura al Maestro Generale dei Dominicani: «Dite ai vostri religiosi che il pensiero del Papa è contenuto nel Messaggio di Fatima». Pio XII, dopo aver letto i resoconti di Fatima, commentò così: «C’è un terribile mistero che non mediteremo mai abbastanza: la salvezza di molti dipende dalle preghiere e penitenze volontarie dei membri del corpo mistico», clicca qui.

Un altro esempio chiarificatore è la storia della Medaglia Miracolosa nelle Apparizioni a Suor Caterina Labourè, canonizzata appunto, il cui Oggetto benedetto da Maria in Persona è l’unico al quale la Chiesa ha riservato addirittura UNA LITURGIA, una Messa, il 27 novembre. Ora, secondo le parole di Muller gettate così a casaccio… questa devozione sarebbe superflua mentre, secondo le indicazioni di Maria stessa, di Leone XIII e di Pio XI che elevò il Culto, è nientemeno che FONDAMENTALE per la salvezza di molti. Il perché è ovvio: non è la Medaglia un talismano, ma uno strumento che Dio ha voluto dare attraverso la Sua Madre, per salvare Egli stesso quante più anime è possibile, ricorrendo anche a queste che la Chiesa ha chiamato amorevolmente PIE PRATICHE.

Come fa un Prefetto della Congregazione della Dottrina della VERA FEDE ESSERE MINIMALISTA SUI CONTENUTI DELLE APPARIZIONI MARIANE? Davvero questo ci confonde e ci rattrista.

Ma noi sappiamo bene che l’attuale battaglia è contro alcune Apparizioni e che questi “messaggi” sono spesso cifrati e diretti “ad altri”, è da quando Fatima ha annunciato l’apostasia nella Chiesa che da Giovanni XXIII si è deciso di “tenere fuori” Maria dalla pastorale della Chiesa e dal GOVERNO DELLA CHIESA….

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San Luigi Maria Grignon de Montfort

Da allora si è preferito insegnare una Madre di Dio SILENZIOSA, coniando LA MADONNA CHE TACE, clicca qui per capirne di più. Comprendiamo bene che una “Madonna che parla”, e che parla troppo sull’apostasia grave interna alla Chiesa, e di un mondo sempre più nel baratro del non-ritorno, che denuncia la corruzione del clero apostata, non può piacere…. ma diceva profeticamente San Luigi Maria Grignon de Montfort:

«114. Prevedo molte belve arrabbiate, che arriveranno con furia per strappare con i loro denti diabolici questo piccolo scritto e colui del quale lo Spirito Santo si è servito per scriverlo, o almeno per avvolgerlo nelle tenebre e nel silenzio di un baule, affinché non venga Lui conosciuto; costoro anzi attaccheranno e perseguiteranno quelli e quelle che lo leggeranno e cercheranno di metterlo in pratica. Ma non importa! Anzi, tanto meglio! Questa previsione mi incoraggia e mi fa sperare un grande successo, cioè una grande schiera di valorosi e coraggiosi soldati di Gesù e di Maria, dell’uno e dell’altro sesso, per combattere il mondo, il demonio e la natura corrotta, nei tempi difficili che sempre più si avvicinano! “Chi legge comprenda”. “Chi può capire, capisca” (Trattato della Vera Devozione a Maria)».

Il Trattato parlava già dal 1700 del “regno di Maria”; Maria che sarebbe intervenuta personalmente per guidare il piccolo gregge abbandonato e risparmiarlo dalla grave apostasia, facendo Lei stessa da Catechista, per fare ciò che il Clero – vescovi e cardinali compresi, a parte le interviste – non sanno più fare.

Siamo allarmati perché su tanti fronti, interni alla Chiesa, in nome dell’ecumania si sta spingendo sempre più ad una devozione mariana relegata AL SILENZIO, diremo ad una Madonna che tace, imbavagliata, che non annunci più al mondo alcuna battaglia sui “principi non negoziabili”, che non parli più di guerre a causa dei peccati degli uomini, che non parli più dell’inferno, che non dica più nulla sulla situazione della Chiesa, fino ad arrivare a fare, questi signori, messe sconsacrate, senza Consacrazioni valide e senza, soprattutto la Vergine Santa accanto al Figlio VIVO E VERO nell’Eucaristia.

BASTA! NON PERMETTIAMOGLIELO PIU’.

Diceva a ragione di ciò il Venerabile Pio XII a riguardo della Madonna delle Tre Fontane: “Ma che cosa dobbiamo decidere? Non si fa del bene? Non si prega? Non ci sono forse le conversioni? Non si aggiustano i matrimoni? Non viene impartito puro catechismo? E allora lasciamo che la Madonna faccia quello che noi non sappiamo più fare!”

Caro cardinale Muller, ascolti il consiglio di Pio XII e non si metta nella squadra dei minimalisti, solo per compiacere qualcuno in terra…

Consigliamo il seguente video - clicca qui - di Don Alessandro Minutella

     









[Modificato da Caterina63 05/03/2017 21:48]
Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/03/2017 12:05
 
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 CARI VESCOVI, DELLA LITURGIA NON SIETE I PADRONI.....




IL CASO LITURGIAM AUTHENTICAM
 

Prepariamoci alla revisione di Liturgiam authenticam e ad un nuovo linguaggio del Messale italiano. In fondo in questo momento Dio ha affidato la sua Chiesa a questo tipo di professori e di studiosi. Quel Dio che scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini. 

di padre Riccardo Barile O.P.

«Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi sopportate» (2Cor 11,1). E allora, facendo seguito al contributo sulla costituzione di una commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam, che regolamenta i criteri e i modi della traduzione liturgica, con una dose di follia mi permetto di dire: è un lavoro inutile, una commissione inutile, utile solo a spendere soldi in viaggi e soggiorni di lavoro e a prendersi una rivincita “oggettiva”, sia pure con “soggettive” buone intenzioni. L’Istruzione Liturgiam authenticam è ancora oggi valida a orientare le traduzioni e a produrre un eccellente linguaggio liturgico aperto alle innovazioni. Queste valutazioni, che potrebbero sembrare irrispettose del “nuovo corso”, sono da comprendersi alla luce di ciò che segue.

Con le traduzioni “esatte” non si auspica un ritorno puro e semplice all’antichità. La formulazione di un linguaggio “attuale” non è affidata principalmente ai traduttori, ma è insita nel Messale uscito dopo il Vaticano II, che non si è limitato a riproporre “le cose vecchie”, ma ha adottato «con prudenza “le cose nuove” (cf Mt 13,52)». Alcune orazioni relative a «certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari» (anche se, con buona pace di Paolo VI, in genere sono di una prolissità insopportabile e odorano più di conferenza che di preghiera). Certe espressioni antiche «di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso dei beni terreni», o legate a forme penitenziali di altri tempi, sono state modificate sembrando che, con un’operazione del genere, «non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione». Così il n. 15 dell’attuale Proemio del Missale Romanum.

C’è però un rispetto dei tempi e dei momenti, che non sempre è presente nelle istanze di chi vuole riproporre oggi un nuovo linguaggio liturgico e rivedere Liturgiam authenticam. La Chiesa dei padri e dell’antichità ha creato un suo linguaggio liturgico e quella stagione non è replicabile oggi. È un po’ come le scelte dell’adolescenza e della giovinezza di un uomo che possono essere approfondite, ma non continuamente rimesse in discussione nelle successive età della vita. Così come è antistorica l’istanza di devolvere l’approvazione delle traduzioni in larga misura alle conferenze episcopali, perché oggi la comunicazione e il governo della Chiesa non possono più tornare alle situazioni del mondo antico.

Al riguardo è interessante il fatto che negli anni ’80 Dossetti fu invitato a partecipare «al lavoro per la proposta di un nuovo repertorio italiano di orazioni» e rispose negativamente perché «mi pareva che io e la mia comunità fossimo del tutto impreparati a dare un contributo originale all’impresa», e ciò perché Dossetti riteneva più urgente che «si dovesse fare qualche cosa per rieducare il popolo di Dio nella percezione più esatta e più rigorosa possibile delle formule eucologiche create dalle età più antiche» (Prefazione a M.F.T. Lovato, Messale Romano. Le Orazioni proprie del Tempo. Ed. San Lorenzo, Reggio Emilia 1991, pp. V-VII). Oggi per contro un gruppo di “professorini” è disposto a correre l’avventura di un nuovo linguaggio, guardandosi bene - questa volta - dal citare Dossetti.

L’inganno del postulato della incomprensibilità. Spesso si ritiene che il linguaggio liturgico tradizionale sia incomprensibile non solo quanto alle parole - incomprensibili o, se comprensibili, inaccettabili come “placare” Dio con un sacrificio di immolazione -, ma sia anche inattuabile dall’uomo di oggi come struttura, come stile del discorso. Il che forse non è vero e in ogni caso presuppone che il modo di parlare odierno sia una sorta di assoluto al quale adeguarsi e al quale il linguaggio liturgico classico avrebbe abbastanza poco da insegnare. Bisogna invece presupporre che il linguaggio liturgico classico parte da elementi “naturali” alla intelligenza umana e dunque “può” essere capito e praticato simultaneamente al linguaggio odierno corrente.

Qui la posta in gioco è il rapporto cristianesimo/mondo e in fondo è la stessa dinamica dei punti caldi di Amoris laetitia: o si parte correttamente dall’ideale venendo incontro alle persone o si parte dall’assoluto soggettivo delle persone costruendo un nuovo e scorretto ideale.

Quando poi si continua a ripetere che l’uomo di oggi non capisce il linguaggio liturgico, forse non si tiene conto dello scarto tra il non capire e il non essere interessati a capire, che deriva da un scelta di non conversione e, perché no, da un clima di edonismo diffuso. San Tommaso d’Aquino spiega che «dalla lussuria ha origine la cecità della mente, che esclude in modo quasi totale la conoscenza dei beni spirituali» (II-II, q 15, a 3). Ora, constatando un certo clima attuale di lussuria disponibile non solo “nella carne”, ma nel linguaggio e nelle immagini e dunque nella cultura, chi vive per sua scelta in tale atmosfera quale interesse potrà mai avere di entrare nel linguaggio della liturgia?

Bisogna infine entrare nella prospettiva che la liturgia è il roveto ardente con l’esigenza di togliersi i calzari, a cominciare dal linguaggio.

Il punto decisivo è però il punto di partenza, in quanto, come ammette anche chi persegue la traduzione esatta, molti testi tradizionali latini «così fortemente connotati non sono trasferibili in italiano in modo tale che la traduzione salvi ogni loro valore» (M.F.T. Lovato, Messale Romano..., p. 28). Chi parte dal tradurre esattamente e dal portare gli uomini di oggi nel linguaggio della tradizione, di fatto non tradurrà mai alla lettera e più di una volta non seguirà la sintassi originale perché improponibile e dunque produrrà come risultato un linguaggio liturgico... “attuale” e comprensibile dall’uomo di oggi ma avvicinandolo ai contenuti della tradizione, che sono una perenne giovinezza. Chi per contro parte dalla preoccupazione di un nuovo linguaggio e di un adattamento dei testi ritenuti incomprensibili all’uomo di oggi è esposto al rischio di creare non un nuovo linguaggio, ma un linguaggio ideologico legato alla cultura e alla teologia del momento.

Lasciare spazio alla intelligenza del cuore. Una traduzione «diverrebbe pericolosa se volessimo tradurre tutto, al punto da lasciare solo ciò che è immediatamente comprensibile alla ragione, ciò che risulta comprensibile solo alla banale quotidianità», dal momento che «esiste un comprendere del cuore che va oltre il comprendere delle parole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, pp. 72-73). Le considerazioni di Ratzinger riguardano la permanenza di alcuni testi latini, ma si possono applicare anche alla traduzione dei testi in italiano: non è il caso che tutto sia assolutamente comprensibile, assolutamente attuale: c’è una comprensibilità generale e di fondo che è data dalla celebrazione stessa e dall’entrare nel mistero di Cristo e che è un cammino in cui a poco a poco si arriva a comprendere ciò che non si era compreso all’inizio.

Ciò precisato, prepariamoci alla revisione di Liturgiam authenticam e ad un nuovo linguaggio del Messale italiano che, salvo imprevisti, si tenterà di mettere in piedi. In fondo in questo momento Dio ha affidato la sua Chiesa a questo tipo di persone, di professori e di studiosi. Chi ne è fuori stia comunque tranquillo, perché mai come in questo caso la conclusione sarà che... «Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini» (J. Bossuet)!




IL RETROSCENA
 

Con un colpo di mano l'ala progressista in Vaticano sta mettendo mano alle traduzioni della Bibbia e della liturgia, aggirando le disposizioni dell'istruzione Liturgiam authenticam. La posta in gioco è di sostanza perché attraverso le parole viene comunicata l'immagine di Dio e l'atteggiamento con cui l'uomo si rivolge a Lui.

di padre Riccardo Barile O.P.

«Se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate di-cendo?» (1Cor 14,8). Le “parole chiare”, che san Paolo raccomandava alla comunità di Corinto - alla lettera “di un buon segno”, cioè “ben decifrabili” -, riguardano non solo la pronuncia, ma anche la comprensibilità linguistica. È a partire da qui che la Chiesa ha curato le traduzioni della Bibbia e della liturgia, perché «la parola di Dio vuole interpellare l’uomo, vuole essere da lui compresa e avere una risposta comprensibile, ragionevole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 71).

Per quanto riguarda la liturgia, tale movimento si è andato intensificando sino a un livello critico e polemico, come la notizia dei giorni scorsi di una nuova commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam (del 28 marzo 2001), che regola i principi e i modi di tradurre i testi liturgici, mettendo da parte addirittura il prefetto del dicastero competente, cioè il cardinal Robert Sarah: un colpo di mano dell’ala progressista! Cerchiamo di capire.

Anzitutto il fedele italiano ignora che cosa sia Liturgiam authenticam, non avendone speri-mentato né i benefici né i (presunti) disastri. Infatti il Messale italiano in uso (del 1983 con alcune integrazioni) è stato tradotto dall’edizione tipica latina del 1975 e i criteri della traduzione erano regolati dalla precedente Istruzione Comme le prévoit (25.1.1969).

Dopo il Messale italiano del 1983, il Messale tipico latino ha avuto una terza edizione del 2000 con una ristampa emendata del 2008. Bisognava dunque rivedere il Messale italiano alla luce di questa terza edizione, che comportava testi aggiunti e altre modifiche. Ma la revisione era postulata anche dal fatto che nel frattempo Liturgiam authenticam, tenuto conto di certi difetti delle traduzioni, aveva riformulato i criteri per la traduzione dei testi liturgici.

Da parte della Chiesa italiana tale lavoro di revisione iniziò quasi subito, ma, trascorsi quasi 15 anni - e sono tanti -, il nuovo Messale non è ancora uscito, per cui viene da pensare che non sia uscito perché qualcuno ha manovrato perché non uscisse. E a questo punto è ipotizzabile che a tempi brevi non uscirà, in quanto la nuova traduzione dovrebbe vedere la luce più o meno in contemporanea all’uscita di un documento che riformula i criteri per le traduzioni, per cui il povero Messale, appena uscito, sarebbe da rivedere...

A questo punto il fedele cattolico si trova confuso ed estraniato. In realtà la questione tocca proprio lui senza che l’interessato se ne accorga. Perché? Perché ad oggi quando va a Messa è destinatario di una traduzione uscita nel 1983 ed elaborata fine anni ’70 e inizio anni ’80, sostanzialmente fedele ma abbastanza “liberale”; se poi, invece di una traduzione più fedele, è in arrivo una revisione con criteri più innovativi, immaginarsi il risultato. A questo punto la posta in gioco non è di letteratura, ma di sostanza, in quanto attraverso le parole viene comunicata l’immagine di Dio e viene plasmato l’atteggiamento dell’uomo che si rivolge a Lui (come stare davanti a Dio, come lodarlo, che cosa chiedergli ecc.).

Oggi si vuole rivedere Liturgiam authenticam perché i suoi criteri sarebbero troppo stretti, perché c’è bisogno di un linguaggio nuovo e - sostiene qualcuno - anche di gesti nuovi e poi perché... è espressione “anche” di un clima restaurazionista di san Giovanni Paolo II, aiutato in questo “anche” dall’allora card. Joseph Ratzinger e dal card. Jorge Medina Estévez, firmatario di Liturgiam authenticam. Quanti allora non digerirono l’Istruzione, oggi o sono nella stanza dei bottoni o ricevono benevola udienza da chi dimora in quella stanza. Ovvio il tentativo della rivincita, credendo onestamente di aver subìto un sopruso, di aver ragione e di far avanzare la Chiesa nella fedeltà all’uomo e a Gesù Cristo. È capitato tante volte nella storia, sia da destra che da sinistra. Però, senza negare questo fattore, bisognerebbe sforzarsi di guardare la realtà.

Ora un sano atteggiamento verso la realtà è di lasciar parlare Liturgiam authenticam, troppo spesso taciuta nel dibattito. Che cosa dice? Tante cose che non interessano l’Italia, ma anche tante altre sulla traduzione e dunque sul linguaggio liturgico che interessano tutti i cattolici e che qui condenso in 5 punti.

1. Esattezza formale della traduzione. La traduzione è un aspetto della «opera di inculturazione» (n. 5), però «non sia un’opera di innovazione creativa, quanto piuttosto la trasposizione fedele e accurata dei testi originali in lingua vernacola» (n. 20). E qui Liturgiam authenticam chiede una traduzione che rispetti il più possibile le parole e le frasi così come sono: questo è il metodo delle “equivalenze formali”, contrapposto al metodo delle “equivalenze dinamiche”, che invece tende a tradurre con parole e frasi di oggi ciò che con parole antiche recepì il destinatario di ieri. Tanto per fare un esempio, la traduzione biblica a equivalenze dinamiche rende il termine paolino “carne” con “egoismo”, certo facilitando, ma perdendo un mucchio di sfumature. Liturgiam authenticam, rispettando lo Spirito, la tradizione della Chiesa e il destinatario, mette in guardia dal seguire una strada così disinvolta.

2. Legittimità di una lingua liturgica e di uno stile liturgico. A quanto sopra si potrebbe obiettare che, pur usando termini comprensibili, il risultato sarebbe un linguaggio che si discosta dal modo abituale di comunicare. Ebbene, Liturgiam authenticam prende il toro per le corna e ricorda che espressioni poco consuete (ma comprensibili), possono essere ritenute più facilmente a memoria e anzi possono sviluppare nella lingua odierna uno «stile sacro» (n. 27), «dove i vocaboli, la sintassi, la grammatica siano propri del culto divino» (n. 47). Ecco un’altra presa di posizione: è normale ed è positivo per chi ascolta che esista un linguaggio del culto e uno stile sacro, che, pur comprensibili, non vanno ridotti al modo abituale di comunicare.

3. Traduzioni né ideologiche né soggettive. I libri liturgici devono essere «immuni da qualsiasi pregiudizio ideologico» (n. 3) e non sempre le attuali traduzioni lo sono. Ad esempio la Liturgia delle Ore rende “instaurare omnia in Christo” con “fare di Cristo il cuore del mondo”, espressione che trasuda di Teilhard de Chardin († 1955): con quale autorità si impone il pensiero di Teilhard a migliaia di oranti? Di più: i testi tradotti non sono funzionali ad essere «in primo luogo quasi lo specchio della disposizione interiore dei fedeli» (n. 129). Il che significa che non bisogna addolcire o aumentare i testi solo per venire incontro a ciò che si desidera oggi - ad esempio aggiungendo un “giustizia e pace” dove non c’è -, poiché il testo della preghiera della Chiesa è una proposta che va oltre le nostre attese e i nostri gusti e così facendo ci costringe a rettificarci e ad arricchirci. Di nuovo, i paletti di Liturgiam authenticam, prima di essere severi, sono promozionali per il popolo di Dio e lo preservano dalle dittature ideologiche e sentimentali.

4. Le parole giuste e varie. Alla varietà di vocaboli del testo originale «corrisponda, per quanto è possibile, una varietà nelle traduzioni» (n. 51). Qui si citano due casi: il primo è l’antropologia: “anima, animo, cuore, mente, spirito” andrebbero tradotti come sono, compresa “anima” che i traduttori aggiornati vorrebbero abolire o comunque limitare. L’altro esempio sono i modi di rivolgersi a Dio: Signore, Dio, Onnipotente ed eterno Dio, Padre ecc. La fedeltà della traduzione ci veicola un giusto concetto di Dio e aumenta il senso di rispetto e adorazione nel rivolgersi a Lui. Ciò che non sempre è capitato nelle traduzioni: ad esempio gli anni ’70 hanno prodotto in un ordine religioso delle orazioni che iniziavano con un “Tu o Dio”. Mi domando se ci si rivolgerebbe così a un impiegato al di là dello sportello.

5. Rispettare la sintassi originale. Questo è il punto più contestato e - si capisce - più decisivo: siano conservati, per quanto è possibile, la relazione delle frasi in «proposizioni subordinate e relative», la «disposizione delle parole», i «vari tipi di parallelismo» (n. 57a). Oggi tendiamo a parlare sparando delle frasi accostate: è il linguaggio della pubblicità e della comunicazione virtuale. La liturgia tende invece a collegare le frasi mettendole in ordine armonico tra di loro; soprattutto una richiesta non è generalmente formulata per prima, ma dipende da una precedente memoria delle meraviglie operate da Dio, che plasmano la richiesta stessa. Questo ordine e questa bellezza del linguaggio è ciò che il mondo classico ha prodotto e che la liturgia trasmette a tutti.

Ecco, è un poco tutto questo che si vuole rivedere e ripensare (accantonare? scartare?), creando un nuovo linguaggio più secondo l’uomo di oggi. 
Quanto sopra richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma il lettore che ha avuto il coraggio di arrivare fin qui, sarà stanco, per cui rimando a un prossimo intervento.




SE IL PRIMO MINISTRO LUSSEMBURGHESE E SUO “MARITO” VENGONO RICEVUTI UFFICIALMENTE IN VATICANO

Se il primo ministro lussemburghese e suo “marito” vengono ricevuti ufficialmente in Vaticano

di Massimo Viglione

Il Primo Ministro del Lussemburgo è venuto in visita in Italia con suo “marito”. Il fatto è che è pure lui un uomo. Nonostante ciò, nelle varie visite ufficiali e ricevimenti, ha portato con sé un altro uomo presentandolo appunto come “marito” (il che lascia supporre che lui sia la “moglie”).

Evidente è l’intento non tanto provocatorio, quanto dissolutorio: certamente lo ha fatto su commissione di altre forze, che hanno stabilito che sia giunto il momento di “rompere anche questo tabù” a livello diplomatico internazionale. Insomma, si tratta come ovvio di una messinscena orchestrata all’uopo, non nel senso che i due non siano realmente omosessuali e amanti (suppongo di sì), ma al fine di ottenere un risultato ben preciso. Un passo avanti non così secondario e scontato come si è voluto far credere.

E questo è il punto della questione. Questi due signori sono stati ufficialmente ricevuti dal Presidente della Repubblica e dalla alte cariche dello Stato, come se niente fosse. Non solo. Sono stati ricevuti in Vaticano… come se niente fosse. Sorge la domanda: li hanno ricevuti come due amiconi in gita o veramente come “marito e moglie”?

La domanda non è secondaria o semplice frutto di venatura polemica. Solo qualche anno fa sarebbe stato del tutto inconcepibile e non solo in Vaticano. Sono sempre esistiti ovviamente politici e anche capi di Stato omosessuali: ma nella loro vita privata. Poi si è passati alla denuncia pubblica. Poi al “matrimonio”. Ora all’ufficializzazione internazionale del “matrimonio”. Perfino in Vaticano.

Non è necessario risalire al passato più lontano per rendere idea del livello di sovversione raggiunto. Non è necessario nominare qualche sovrano medievale o moderno. Nemmeno dell’anteguerra. È sufficiente rimanere nel nostro mondo postbellico, quello delle repubbliche democratiche in cui tutti viviamo felicemente: ve lo immaginate Amintore Fanfani che riceve i due piccioncini “sposati”?

Non è necessario andare ai papi medievali, a Pio IX, a san Pio X e nemmeno a Pio XII. È sufficiente rimanere nell’ambito nuova chiesa conciliare: ve l’immaginate Paolo VI o Giovanni Paolo II ricevere i due piccioncini? Ricordo solo che ancora nei primi anni postconciliari era in uso nella Chiesa che il papa non riceveva coppie conviventi o divorziate. La chiesa del terzo millennio invece riceve in visita ufficiale internazionale in Vaticano una coppia omosessuale che si presenta apertamente come “marito e moglie” . “Contra factum non valet argomentum”.

La domanda è: quando verranno – questi due o altri che immancabilmente verranno – con i “loro” bambini comprati chissà dove, li riceveranno ugualmente con tutti gli onori? Onoreranno il nuovo mercato degli schiavi? E non aggiungo altro…

E allora ti sorge una domanda nel cuore: cosa combattiamo a fare le nostre battaglie in difesa del matrimonio sacramentale o comunque naturale, della famiglia vera, soprattutto dei bambini?

“Ma sono obbligati dall’etichetta diplomatica!”, sento già la risposta. Risposta falsa. Sia perché in passato, e in un passato ancora recentissimo, come appena detto, l’etichetta l’imponeva la Chiesa e non la diplomazia laica, sia perché nessuno può obbligare un qualsiasi Capo di Stato – laico o ecclesiastico – a fare qualcosa. L’unico obbligo di statisti veri è servire il Bene della società. L’unico obbligo degli uomini di Chiesa è servire la Verità nella Carità. Nel momento in cui è caduta perfino questa barriera, non potranno allora più rifiutare tra qualche tempo di ricevere le “famiglie” con i bambini comprati al mercato, stile Vendola, altrimenti saranno accusati di razzismo e omofobia. E così saranno sempre più complici della dissoluzione.

Chiudo però con la vera considerazione che volevo fare e riguarda l’insegnamento da trarre da questa non abbastanza approfondita pagina di follia contemporanea. Ovvero, che – come sanno perfettamente le forze della Rivoluzione dissolutiva – noi… ci abituiamo a tutto. Ma proprio a tutto. Tutto, con il passar del tempo, diviene possibile. E, di conseguenza, normale. Normale! Ecco la responsabilità di chi li ha accolti e di tutti noi che tacciamo o addirittura giustifichiamo tale “normalizzazione” di ciò che solo venti anni fa era impossibile.

La verità… è che fare resistenza alla corrente del fiume, essere scomodi all’opinione pubblica, non conviene. Dà fastidio. Richiede sforzo e coraggio, ma soprattutto capacità di sofferenza. Ancor più: richiede amore per Dio. Un amore immenso per la Verità e immensa carità per i veri deboli di questa società, che non sono gli immigrati che ci mandano per invaderci.

Vedendo queste cose, ti viene la voglia di appendere la spada e mandare tutti a quel paese. Invece, oggi più che mai, tocca a noi laici cattolici ancora legati – nemmeno alla Tradizione, ma – al solo Bene comune, fosse anche solo quello dei nostri bambini, combattere la battaglia più importante di tutta la storia umana.

Perché… «Quando cadono i grandi, tocca ai piccoli guidare» (Tolkien).

Questa visita è più sovversiva di una guerra mondiale. E tutti fanno finta di non capire. 

 





[Modificato da Caterina63 30/03/2017 23:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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27/04/2017 21:03
 
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   riflessione provocatoria


Perché non possiamo dirci cattolici

Non possiamo dirci cattolici perché i cattolici non contano niente.
Sì, lo so, non è una scusa. Ma è la realtà. Chi se li fila ancora, i cattolici? Non sono specie protetta, anzi, sono la sola specie che è possibile cacciare impunemente. Provate a toccare una qualsiasi minoranza di pervertiti, di stranieri, di lavoratori di qualche nicchia. I coltivatori di rucola e i sodomizzatori di capre possono trovare la loro sponda in Parlamento, la loro manifestazione, il loro articolo sul giornale che sancisca il loro sacrosanto diritto a qualche legge favorevole. L’indignazione, se qualcuno osa andare loro contro. I cattolici no. Guai se parlano.
Ogni cosa loro sostengano sarà inseguita e distrutta, nello sforzo corale di distruggere il cattolicesimo stesso. Di cancellarne ogni vestigia, così che non sia più possibile essere legalmente cattolici. Essere facilmente cattolici. Essere impunemente cattolici.

Con il plauso, l’approvazione o l’indifferenza di coloro che un tempo erano cattolici; e magari lo sono ancora, ma non lo dicono più. Perché non possono dirsi cattolici.

Così assisto allibito alla esaltazione, da parte di coloro che un tempo si chiamavano cattolici, delle peggiore castronerie contro il cristianesimo. Contro il suo popolo. Contro la famiglia. Contro le persone. Contro la vita.
Adempiendo forse al precetto evangelico di amare i propri nemici, e andando forse ancora più in là, adorandoli pure.
E tali nemici ne approfittano. Come talvolta c’è chi abusa di chi lo ama. Disfacendosene quando è ridotto ad un guscio vuoto, a niente. Perché niente gli importa. A questo siamo. Ad abbracciare il male non per tirarlo verso il bene, ma perché non lo sappiamo più distinguere dal bene.
Come possiamo trasmettere il fascino di ciò che non ci affascina? Spiegare ciò che non abbiamo capito? Invitare a credere in ciò in cui non crediamo?

Abbiamo dato ascolto a troppe bugie, rendendocene conto solo dopo; ed alla bugia successiva abbiamo dato ascolto ancora, dicendoci che questa volta sarebbe stato diverso. Ogni volta. Pecore senza discernimento in mano a pastori confusi.
Sì, è questo il nostro peccato più grande. Il solo grande peccato. Credere a tutto tranne che in ciò in cui dovremmo credere davvero. Essendo cattolici.

                                                   
Non credere più a Cristo. Non sapere più cosa ha detto. Non sapere più cosa dice. O, pur sapendolo, non fidandocene. Non credendoci veramente.
No, Signore, non andiamo a Gerusalemme. Là ci ammazzeranno.
Se ci andiamo non possiamo dirci cristiani. Non possiamo dirci cattolici. Ci farebbero del male. Non crederebbero a quello che diciamo.
E allora rinnegheremo. Non ci diremo più cattolici. Il gallo canterà, ma noi non piangeremo.
Quando Lui ci chiederà se lo amiamo, cosa risponderemo?

 


 CHIESA - QUEI CONTI CHE NON TORNANO

 




Il documento preparatorio al prossimo Sinodo considera soltanto i giovani "lontani" per i quali la Chiesa deve cambiare linguaggio e modo di presentarsi. 
Totalmente assenti invece quelli che col linguaggio della Chiesa non hanno problemi, magari amano la messa in latino e la tradizione. L'intento è chiaro: questi giovani non devono esistere.

di padre Riccardo Barile OP

Giovani e pregheira

Si sta avviando la macchina del prossimo Sinodo sui giovani previsto nell’ottobre 2018 con il Documento preparatorio “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, presentato da una breve lettera di Papa Francesco in data 13 gennaio 2017 e concluso da un questionario in vista della successiva redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris.

I commenti e gli approfondimenti - non molti, perché il dibattito è ancora monopolizzato dal Sinodo trascorso e dall’Amoris Laetitia - si portano, come è normale, su quanto il documento dice, cioè su quello che c’è. E da questo punto di vista nulla da eccepire. Pur non tracciando «un’analisi completa della società e del mondo giovanile», si evidenziano delle difficoltà, ma soprattutto la positività dei giovani «che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita ... alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere».

Così come è valido e costruente il discorso che si snoda a partire da “Fede e vocazione” da far maturare attraverso “Il dono del discernimento” (riconoscere, interpretare, scegliere) e nel contesto della missione e dell’accompagnamento spirituale (l’ultima espressione è una moderna furbizia per evitare la “direzione spirituale”).

Ma se si passa a quanto il documento non dice, cioè a quello che non c’è, qui casca l’asino. Quale è infatti l’immagine di giovane che il documento ha presente e in funzione del quale si auspicano attenzioni e risposte dalla Chiesa? A parte i «giovani poveri, emarginati ed esclusi» verso i quali «ciascuna comunità è chiamata ad avere attenzione», i giovani sono quelli che parlano un’altra lingua: «Ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani si apre uno spazio difficile da colmare». E non si tratta solo di linguaggio: i giovani nutrono spesso «sfiducia (...) verso le istituzioni», compresa «la Chiesa nel suo aspetto istituzionale», che i giovani vorrebbero «più vicina alla gente». Ne segue che per la Chiesa «accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» (e non si tratta solo di orari!). Anzi, visto che i giovani sono questi, la stessa pastorale vocazionale è invitata ad «uscire (...) da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico».

Frase più, frase meno, tutto è girato e rigirato in queste categorie.

Ora, è vero che ci sono questi giovani
 e che in assoluto sono anche la schiacciante maggioranza, ma tra i giovani - quei pochi - che si rivolgono alla Chiesa sembrano essercene di molto, molto diversi. Sono giovani che non hanno difficoltà verso il linguaggio della Chiesa, anzi desiderano apprenderlo e vi trovano sicurezza; frequentano la Messa e alla comunione cercano di ricevere l’ostia in bocca e qualcuno, se glielo permettono, si inginocchia; dicono il Rosario e altri la coroncina della Divina Misericordia; se hanno rapporti prematrimoniali o anche solo se hanno praticato una masturbazione, vengono a confessarsi, ritenendo di non potersi accostare all’Eucaristia. 


Se sono seminaristi sono attenti a presentarsi con un segno di riconoscimento che va dalla talare a un altro segno meno vistoso ma percepibile; non si scompongono se si cita loro il Denzinger o un discorso di Pio XII; non praticano la liturgia preconciliare ma prendono volentieri parte a una Messa in latino; hanno ripreso ad apprezzare l’adorazione eucaristica; non sono entusiasti di andare a sentire alcuni “mostri sacri” teologici e monastici del postconcilio invitati a parlare loro, ma ci vanno restando come in apnea (al riguardo ho in mente due nomi di mostri sacri e due eventi di questo tipo, ma mi autocensuro dal citarli con esattezza... devo pur vivere!).

E questi sono quelli “normali”. Ci sono poi i fans della Messa preconciliare, ci sono poi i lefevriani come frangia estrema. E chi vuole vada a cercarsi e si guardi il filmato “Sacerdoti per il terzo millennio” realizzato da un seminario lefevriano tedesco e doppiato in italiano quasi senza gregoriano di sottofondo e senza stucchevoli “voci da prete”: ci si sente allargare il cuore alla vista di tanta abbondanza e tanta gioiosa serietà, scelte rituali a parte sulle quali non mi fermo per non allungare.

Dunque a fronte di questi giovani non è il caso di inventare linguaggi nuovi, uscire dagli schemi, abbattere rigidità - ma ci sono veramente? - ecc.

E invece quale è l’opzione del nostro Documento? Il silenzio: questi giovani non ci sono. Ma siccome il fenomeno ha una sua diffusione e preoccupa con diversa intensità alcuni vescovi, rettori di seminari, superiori e formatori religiosi ecc., non si può pensare che si tratti di una dimenticanza dell’estensore. Per cui la vera scelta verso costoro non è: «Silenzio: non esistono»; ma: «Silenzio: Non devono esistere».

Il che pone un sinistro sospetto su quelle tante aperture all’ascolto e all’accoglienza della voce dello Spirito che risuona nei giovani: sì, purché la voce dello Spirito e financo le critiche e le contestazioni vadano in una precisa direzione... nella quale è possibile anche “hacer lio / fare casino”; in direzioni più tradizionali, no.

E non ci si limita al silenzio, ma spesso, di fronte ad una vocazione del genere, si lascia trasparire una sofferenza interiore tipo: “Aspettavamo una vocazione di centro sinistra o comunque progressista... invece sei arrivato tu... un animale così strano di fronte al giovane dei documenti... anche se, è vero, sei (iper)connesso... comunque sii il benvenuto... c’est la vie!”. Tralascio per ora che cosa succede o può succedere dopo, per non girare il ferro nella piaga.

Il discorso ha però una sua serietà con alcune piste di considerazioni che mi limito ad enunciare senza svilupparle:

- questi giovani per lo più non rifiutano il Vaticano II ma l’applicazione concreta che ne è venuta dopo e spesso non tanto a livello di documenti, ma di prassi;

- a differenza dei giovani del postconcilio cresciuti in un clima un poco più clericale ed ecclesiastico del dovuto e quindi ansiosi di declericalizzare e secolarizzare, questi giovani sono cresciuti in una società secolarizzata e cercano una esperienza cristiana forte;

- cercare sicurezze è un atteggiamento sano e non da immaturi;

- le conseguenze del peccato originale toccano tutti, dal Pontefice Romano in giù, per cui bisogna stare attenti a non attribuire tutti i difetti di questi giovani alla loro scelta di Chiesa, ma alla normale debolezza umana;

- e poi i frutti: chi li accoglie accettando veramente le loro istanze in quello che hanno di azione dello Spirito - chiaro che deve viverle lui per primo - potrà certo raddrizzare dei difetti, ma soprattutto sperimenterà la fecondità e la bellezza della vita cristiana tradizionale, che è moderna;

- chi li rifiuta dicendo (assicuro che la frase è stata detta) “Piuttosto di avere vocazioni così è meglio non averne”, rischia di essere esaudito dal Signore, ma a suo danno.

Minima e ulteriore conferma: in data 8 dicembre 2016 è uscita la nuova “Ratio fundamentalis” per la formazione dei seminaristi sino al sacerdozio e oltre con la formazione permanente. È un documento molto ben strutturato e si dicono cose sagge sul Catechismo della Chiesa cattolica, sulla filosofia, sul giusto uso dei media, sulla serietà degli studi, sulla preghiera ecc.

Quando però si fanno delle critiche o si mette in guardia contro qualcosa, si mette in guardia contro il clericalismo, i princìpi astratti, la sicurezza dottrinale e spirituale, le certezze precostituite, la cura ostentata dalla liturgia ecc. (cf nn. 33, 41-42; 120). Mai una volta la messa in guardia dal pericolo di deviare dalla sana e buona dottrina scegliendosi maestri a piacere. No, quelle erano preoccupazioni di san Paolo (1Tm 1,10; 4,6; Tt 1,9; 2,1.7; 2Tm 4,3) e di certi giovani di oggi, “gente a cui si fa notte innanzi sera” (Petrarca, Trionfo della Morte I,39). Oggi sulla dottrina e sulla buona liturgia possiamo rimanere tranquilli e non è il caso di segnalare pericoli e fomentare tendenze pericolose tra i seminaristi.

Ma non sarà invece che si scrivono queste cose e se ne tacciono altre solo perché “è di moda”? Una canzoncina del 1800 che si usava nelle missioni popolari per correggere i costumi ad un certo punto faceva: «E mode non più; / chi segue le mode / non segue Gesù». Nessun dubbio che allora riguardasse gli abiti femminili: che oggi per caso non riguardi anche i Documenti?



 


Sapienti come noi

Il vescovo di Brobdingnag amava il progresso. Per questo non poteva soffrire i suoi parrochiani. Oh, sia ben chiaro, li amava tutti: In fondo era il loro pastore. Non è scritto però da nessuna parte che un pastore non possa trovare le pecore insopportabilmente ottuse.
Perché i fedeli della sua chiesa erano, insomma, troppo fedeli. Mancavano di immaginazione, di fantasia. Si accontentavano di quello che avevano sempre saputo, invece di mettersi al passo con i tempi. Non ci mettevano quella trasgressione, quella sana mancanza di rispetto all’autorità – non la sua, beninteso – che ne avrebbe fatto spiriti liberi.

Ma che ci volete fare, la pazienza è una virtù. Quella era la sua prima nomina: il vescovo era convinto che di lì a poco, dimostrando sufficiente spirito di iniziativa e di innovazione, lo avrebbero promosso ad una diocesi di altro spessore. Così aveva accettato quella cattedra storcendo un po’ il naso ma, come i suoi amici che avevano già fatto carriera gli confermavano, con la consapevolezza che era un male necessario. Magari, grazie a lui e alla sua guida, anche quei testardi contadinotti sarebbero finalmente entrati in una nuova era di comprensione.

Così si era dato da fare per organizzare una serie di conferenze sulla nuova organizzazione pastorale che aveva elaborato. Era tempo di correggere qualcuno degli atteggiamenti retrogradi e obsoleti, indegni di una Chiesa moderna, che ancora affliggevano le sue parrocchie.
Aveva invitato a tenere con lui la discussione Giovanni Allamoda, il famoso filosofo e teologo, suo intimo amico. Certo, Allamoda non era proprio un credente: ma occorreva correggere quella visione arretrata per cui solo i cristiani potevano dire la loro sul cristianesimo. Bisogna imparare dalle altre esperienze, specie quelle più qualificate. La menta eccelsa dell’intellettuale, ne era certo, avrebbe sostenuto e validato il suo discorso.

La sera della conferenza il vescovo era rimasto a lungo indeciso. Come vestirsi? Da laico, per far vedere quant’era alla mano, suggerendo che non c’erano differenze tra lui e loro? Alla fine aveva optato per indossare tutti i paramenti, simbolo di autorità. Una strizzata d’occhio ai tradizionalisti, che così magari si sarebbero lasciati imbonire.

La chiesa era colma, anche se non stracolma come si sarebbe augurato. Il vescovo transitò nella navata, benedicendo e stringendo mani, fino a giungere ad un tavolo posto di fronte all’altare, dove già l’aspettava Allamoda. Dopo uno scambio di convenevoli, il vescovo attaccò il discorso che aveva preparato.
Era tempo di scrivere un nuovo capitolo del Vangelo, aveva esordito. Per troppo tempo la pastorale era stata appesantita da una dottrina troppo rigida, Era ora di liberarsi delle interpretazioni restrittive ed adeguarsi ai tempi, aprendo…
La gente lo ascoltava, immobile. Dalla prima fila un ragazzino alzò la mano. Il vescovo cercò di ignorarlo.
…accoglienza di colui che sbaglia: chiamarlo peccatore è discriminante, occorre comprendere che spesso è costretto delle pressioni della società a cui…
il ragazzotto agitava il braccio. L’oratore provò a lanciare occhiate ai genitori, ma questi non reagirono. Qualcuno cominciava a mormorare. Il vescovo capì che doveva liberrsi dell’impiccione, se voleva completare il suo programma per la serata.

Sorrise, un po’ rigidamente, al ragazzotto. “Sì figliolo? Hai qualche dubbio? Qualcosa non è chiaro?”
Il ragazzo si alzò in piedi. “Mi scusi, eccellenza, forse non ho capito bene. Sta dicendo che la verità può cambiare?”
Il vescovo ridacchiò. Povera mente confusa. “Oh, non la verità, ma come noi la vediamo. Quello che oggi è bianco, domani può essere nero, o un misto tra i due: rimane la verità, ma si adatta ai tempi e alle persone.”
“Quindi mi sta dicendo che quello che valeva prima per la Chiesa oggi non vale più, e domani potrebbe cambiare ancora?” insistette il giovane.
Oh, uno di quelli. Il vescovo allargò il sorriso. “In un certo senso. Si tratta di adeguare il Vangelo alle circostanze per farlo capire meglio, per renderlo pienamente utilizzabile da tutti, te compreso. Non ti farebbe piacere un Vangelo che capisse le tue esigenze, che ti facesse sentire a posto, giusto?”
“No.”
Il sorrso del prelato si congelò. “Come no?”
“A me non interessa qualcosa che si adatta a me. Come sono fatto lo so già, e non riesco a rendermi felice. Io sbaglio sempre. A me interessa qualcosa che non cambi, che rimanga sempre uguale in ogni momento e in ogni luogo, perché vuol dire che quello non può sbagliare, e lo posso seguire. Credevo che la Chiesa fosse così. Ma se non è così, se la Chiesa è come dite voi, non mi interesssa. Vuol dire che è solo una buffonata fatta dagli uomini. E perché dovrei starti a sentire, quindi?”
“Ragazzino, come ti permetti?”
“Scusami, vescovo, ma io stavo a sentirti solo perché pensavo che dicessi la verità. Ma se non esiste, ed è solo quello che piace a me o a te, allora con quale autorità mi dici che dovrei seguire qualcosa che ieri era sbagliato e domani cambierà ancora? Senza qualcosa che arriva attraverso i secoli direttamente da Dio sei solo un ometto vestito buffo che racconta le sue idee. Grazie tante, non mi interessano, ne conosco di migliori. Adesso penso andrò a casa.”
Si alzò ed uscì. I genitori, imbarazzatissimi, si alzarono a loro volta e lo seguirono. Come ad un segnale, altri si avviarono verso l’uscita fino a che la chiesa si svuotò quasi completamente.
Il vescovo era rimasto a bocca aperta. Annichilito, si volse verso il teologo, come in cerca di aiuto. Questo alzò le spalle. “Peggio per loro, sono ignoranti, dei sempliciotti. Mica tutti possono essere sapienti come noi.”



[Modificato da Caterina63 05/10/2017 17:16]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  • PINEROLO E AVELLINO

Il disagio tabù di fronte ai prelati “desacralizzati”

Il vescovo che imbraccia la chitarra e "spaccia" Vedrai, vedrai per una preghiera e quello che invece di benedire il popolo si fa imporre lui le mani. Buona fede per entrambi, certo. Ma a noi resta un po' di disagio. Dovremmo abbandonare la concezione "sacrale" di pastore?

È con un poco di ritrosia che mi sono risolto a scrivere di questi due episodi, che mi sono stati segnalati da alcuni lettori, e che riguardano due vescovi, nel Nord e nel Sud del Paese. Episodi certamente dettati da buoni sentimenti e buone intenzioni, ma che mi hanno lasciato, nel momento in cui ne sono venuto a conoscenza, con un senso di disagio. Forse sbaglio io, forse ho una visione e concezione troppo “sacrale”, chiamiamola così della figura del vescovo, successore degli apostoli, uno dei dodici (anche se adesso sono diventati migliaia). Come dicevo, forse mi sbaglio, forse sono io il problema. In questo caso non tenetene conto.

Il primo episodio riguarda il vescovo di Avellino, Arturo Aiello, che nella festa di San Francesco, nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie all’ambone ha imbracciato la chitarra e si è esibito in "Vedrai vedrai" di Luigi Tenco. Prima parlando della crisi della città di Avellino aveva lanciato una provocazione: "Ci vorrebbe il Viagra per questa città". Ha citato Marx, a proposito di immigrati: "Per loro il pane e le rose". Aiello ha richiama l'impegno della città all'accoglienza degli immigrati e ha ricordato che la canzone  di Tenco era  dedicata non ad una donna qualsiasi ma alla madre. “Tecnica sopraffina alla chitarra ed espressività: alla fine standing ovation”, ha commentato un giornale locale. Il vescovo ha così spiegato: “E’ una preghiera, un grido di speranza, per quelli fra di voi che sono in crisi, sono stanchi del marito, della moglie, dei figli, dei genitori, è un grido di speranza,  non dobbiamo fermarci; quanto più buia è la notte tanto più chiaro sarà il mattino…e la notte passerà. Vi richiamo il motto del vostro vescovo: custos, quid de nocte? (Sentinella, a che punto è la notte?) La notte passerà”.



L’altra scena ha per protagonista mons. Derio Olivero, che da Fossano è stato elevato alla carica episcopale di Pinerolo. Nella fotografia lo vediamo mentre in ginocchio riceve la benedizione del popolo. Sono ignorante, lo ammetto, ma più che benedire un vescovo mi aspetto che sia lui, che ha ricevuto l’imposizione delle mani al termine di una lunga catena di imposizioni che risale tanto indietro nel tempo della Chiesa, mi benedica. Pecore – appunto magari ignoranti come chi scrive – e Pastore.

Don Derio era certo molto amato, a Fossano, tanto che i suoi fedeli hanno voluto salutarlo con una gesto, che anche se bene intenzionato, mi ha lasciato un po’ così.Leggete la cronaca di un sito locale.

“…..Sono tanti i ricordi che passano di bocca in bocca, di post in post, in questi giorni: dalle Messe vocazionali, senza un posto libero nemmeno in piedi, alle prediche con i riferimenti al Milan; dai campi di Strepeis, al pullman per andare a vedere gli U2, da Caravaggio alla mezz’ora di bellezza. Derio lascia Fossano. Di questo la comunità si sta rendendo conto, ma dall’altro lato è auspicabile che il suo insegnamento rimanga nella partecipazione alla vita della città, alla costruzione di una comunità più solida, più equa, più bella.

Proprio di bellezza, fulcro di tanti discorsi del nostro Monsignore, è l’immagine che resta nel cuore pensando alla veglia di preghiera di venerdì 29 settembre in cattedrale. Per giorni sono passati di whatsapp in whatsapp messaggi con un invito chiaro: “venerdì alle 20,45 ci sarà la veglia in cattedrale per pregare per il nuovo vescovo di Pinerolo. Ecco una brillante idea: dato che Derio dice sempre “mi levo il cappello di fronte a chi fa qualcosa per gli altri”, ci portiamo tutti un cappello e a un certo punto parte uno chapeau tutto per lui. Acqua in bocca con il Mons”. Missione compiuta. Decine di persone, in una cattedrale gremita all’inverosimile indossavano, venerdì, un cappello e se lo sono tolti all’unisono. Un gesto simbolico con un enorme potenza in termini di bellezza e riconoscenza”.




  • BRASILE

Dal Samba a Buddha, come si oltraggia la Madonna

Brasile. La statua di Nossa Senhora da Aparecida viene collocata accanto a quella di Buddha in un incontro interreligioso e poi incensata dal cardinale Scherer. Cattolici in rivolta: «Oltraggio ai martiri che per non incensare l'imperatore andavano a morire».


(notare nella foto il Buddha AL CENTRO AL POSTO DEL CRISTO, VERO DIO, e la statuetta minuscola della Vergine Maria ai piedi di Buddha)

Dopo essere comparsa in una scuola di samba in pieno carnevale ed essere stata omaggiata da bellezze come Preta Gil, nel pieno delle commemorazioni dei 300 anni dal ritrovamento dell’immagine di Nostra Signora di Aparecida, la stessa fu posta ai piedi di Budda in un atto interreligioso che si è svolto sabato scorso. Il manifesto che annunciava l’incontro è eloquente: si vedono Budda e la Vergine uno di fianco all’altro.

Le foto e i video dell’avvenimento hanno provocato molte proteste sulle reti sociali del Brasile. Si vedono il cardinale Dom Odilo Scherer e il vescovo diocesano di Osasco, Dom Joao Bosco Barbosa, presidente della Commissione nazionale vita e famiglia della conferenza episcopale, oltre al padre redentorista Joao Batista de Almeida, rettore del Santuario Nazionale di Aparecida, e una decina di sacerdoti, che partecipano a quello che molti sulle reti sociali hanno definito un gesto blasfemo.

Il fatto che la statua della Madonna sia stata posta ai piedi del Budda, e l’offerta di incenso da parte del cardinale e del vescovo  hanno colpito la sensibilità di molti, oltre alle preghiere in comune. “I martiri del cristianesimo di ogni tempo svergognati” ha scritto una persona. Ricordando che proprio per il rifiuto di offrire incenso alla statua dell’imperatore o degli dei i martiri romani andavano a morire.

Il sito brasiliano  fratresinunum.com scrive: “Dopo aver ricevuto decina di manifestazioni di protesta, ci siamo decisi anche noi a unire la nostra alle voci per fare riparazione alla Vergine Santissima, oltraggiata in maniera tanto irriverente da un relativismo grandissimo. Inginocchiamoci davanti all’immagine santa di Nostra Signora e preghiamo, chiedendo perdono per tutta questa confusione”.

Come fanno giustamente notare i colleghi brasiliani, la natura di questo evento esula molto dalla finalità di un incontro per la pace e la giustizia. “Si tratta di una vera mancanza di rispetto a Nostra Signora. Questa serie di oltraggi deve finire!”







[Modificato da Caterina63 31/10/2017 14:46]
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Dopo il Papa in Asia: ha ancora senso la missione?

    • 04-12-2017


Papa Francesco

Diversi sono gli spunti e le domande che provoca il viaggio del Papa in Myanmar e Bangladesh, e ci sarà forse tempo nei prossimi giorni per ritornarci. C’è però una questione che mi pare prioritaria, che i gesti e le parole di papa Francesco (anche in conferenza stampa) hanno posto in primo piano. Vale a dire, il senso della missione. O meglio, e mi si scusi la brutalità: a essere coerenti con le affermazioni del Papa, ha ancora senso la missione? E la missione, così come vissuta dalla Chiesa in duemila anni, è da rottamare?


La domanda sorge pressante anche in considerazione del fatto che Myanmar e Bangladesh sono due paesi di missione, dove la fede cattolica è arrivata 500 anni fa grazie ai missionari europei e il lavoro di evangelizzazione ha avuto un nuovo impulso all’inizio del ‘900. Sebbene le comunità cattoliche rappresentino una piccola minoranza (1% in Myanmar, ancora meno in Bangladesh), hanno una storia importante di fedeltà a Cristo, vissuta fino nel martirio, grazie anche ai tanti missionari che hanno lavorato in questi paesi. Tra questi va almeno ricordato il padre Clemente Vismara, 65 anni trascorsi nelle foreste birmane e beatificato nel 2011.


Non solo negli interventi del Papa a questa storia missionaria e di martirio non si è fatto cenno, ma nei suoi discorsi sono emersi soprattutto due aspetti: il primo è un’aperta diffidenza verso le conversioni al cattolicesimo, e a tutto ciò che sa di missione “tradizionale”. C’è una costante insistenza nel sottolineare che l’evangelizzazione non è proselitismo, lo ha fatto ancora nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno: sebbene nel linguaggio comune per proselitismo si intenda una missione “aggressiva”, tipica di alcune sette protestanti, non pare proprio a questo che il Papa si riferisca visto che non si vede proprio come i cattolici rischino un atteggiamento del genere.

Piuttosto il Papa sembra proprio prendere le distanze dalla missione intesa anzitutto come annuncio di Cristo, di cui troviamo mille esempi negli Atti degli Apostoli e che può essere sintetizzato dal discorso di San Paolo all’Areopago di Atene: «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve l’annunzio». Chiara in questo senso è una risposta sull’aereo: «… noi non siamo molto entusiasti di fare subito le conversioni. Se vengono, aspettano: si parla…, la tradizione vostra…, si fa in modo che una conversione sia la risposta a qualcosa che lo Spirito Santo ha mosso nel mio cuore davanti alla testimonianza del cristiano». E ancora: «Questa è la forza e la mitezza dello Spirito Santo nelle conversioni. Non è un convincere mentalmente con apologetiche, ragioni… no. E’ lo Spirito che fa la conversione. Noi siamo testimoni dello Spirito, testimoni del Vangelo». Non c’è dubbio che il Papa dia la precedenza alla convivenza tra le religioni, al reciproco rispetto: «Cosa è prioritario, la pace o la conversione? Ma, quando si vive con testimonianza e rispetto, si fa la pace. La pace incomincia a rompersi in questo campo quando incomincia il proselitismo, e ci sono tanti tipi di proselitismo, ma questo non è evangelico». Insomma, potremmo sbagliare ma sembra proprio che l’ideale implicito è che ogni religione coltivi il suo orto e guai ad alterare gli equilibri.

Si obietterà: ma il Papa invita continuamente – anche nelle frasi che ho citato – a testimoniare il Vangelo, ad essere “Chiesa in uscita”. Ed è infatti qui il secondo aspetto da mettere in evidenza, ovvero che cosa egli intenda per “testimoniare il Vangelo”: «È testimoniare le Beatitudini, testimoniare Matteo 25 («…Avevo fame e mi avete dato da mangiare,… ndr), testimoniare il Buon Samaritano, testimoniare il perdono settanta volte sette», ha detto sull’aereo. E nel valorizzare e incoraggiare i cattolici del Myanmar, su questo si è soffermato: «In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Attraverso le cure quotidiane dei suoi vescovi, preti, religiosi e catechisti, e particolarmente attraverso il lodevole lavoro del Catholic Karuna Myanmar e della generosa assistenza fornita dalle Pontificie Opere Missionarie, la Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica». 

In questo modo sembra che l’evangelizzazione sia ridotta alle opere buone per i poveri. E l’ideale diventi essere buoni e bravi. Non c’è dubbio che le buone azioni siano importanti, ma non si può non fare un paragone: Gesù agiva certamente, ma anche insegnava e dà mandato agli apostoli di annunciare il Vangelo e «ammaestrare le genti». Gli Atti degli Apostoli ci raccontano della gioia per la conversione dei pagani e l’accoglienza della Parola di Dio. La storia della Chiesa poi è costellata di missionari martiri che avevano a cuore l’annuncio della Parola di Dio prima che la costruzione di ospedali, scuole e centri di accoglienza. E Madre Teresa di Calcutta, che pure in opere per i poveri non era seconda a nessuno, diceva: «La più grande disgrazia del popolo indiano è di non conoscere Gesù Cristo». E quanto all’apologetica, tanto disprezzata, non era forse San Pietro a invitare a «rendere ragione della speranza» che è in noi?

C’è da dire che un certo approccio non è una novità, perché una parte del mondo missionario da decenni spinge soprattutto sul piano socio-economico della missione. Ma se questa diventa l’indicazione che si irradia da Roma, torniamo alla domanda iniziale: ha ancora senso la missione?

Sarebbe auspicabile che anche dai missionari arrivassero contributi per aprire un dibattito.

 





Bergoglio rompe con il Credo: “Ognuno ha la sua risposta”

…e così «La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta», parola del Vicario di Cristo che così annulla l’unica risposta che davvero conta: NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO.

Che papa Francesco ci stia assordando da cinque anni con la sua rivoluzione gesuitica modernista “rap”, è sotto gli occhi di tutti, ma che noi dobbiamo “abituarci” e in silenzio subire, non solo le ambiguità ma ora anche le contraddizioni, è inaccettabile.

Se a Myanmar ha taciuto sulla difesa del gruppo dei musulmani per evitare rappresaglie contro le comunità cristiane, così hanno descritto i fatti i Media al seguito papale, in Bangladesh papa Francesco si è potuto finalmente realizzare in ciò che più gli piace: accontentare tutti. Finendo anche per contraddirsi perché, il Vicario di Cristo che afferma che ogni religione ha la sua risposta, annulla automaticamente l’unica risposta che davvero conta e che è quell’unica Verità che si chiama ed è Gesù Cristo. Parole a braccio, la cui trascrizione ufficiale e integrale le trovate qui.

Viene spontaneo chiedersi: perché convertirsi a Cristo se “ognuno ha la sua risposta”? E perché la “nostra” risposta dovrebbe essere più vera di quella delle altre religioni? E perché si dovrebbe dare ascolto ad un uomo “vestito di bianco”, accolto come una star, ascoltato da TUTTI, ma per le cui parole nessuno si converte a Cristo, se ciò che dice vale come una risposta fra le tante altre che il mondo religioso, il supermarket delle fedi può offrire?  A COSA CI SERVE IL CREDO attraverso il quale è Gesù Cristo la sola risposta che cerchiamo? A Natale chi attendiamo:  Rohingya??  In definitiva: se Gesù Cristo è LA RISPOSTA agli interrogativi umani, cosa vuol dire che “ognuno ha la sua risposta”?

Ma vedete amici, ritorniamo sempre a quella INFORMAZIONE necessaria che ognuno di noi deve avere per capire la situazione: Bergoglio è figlio dello “spirito del concilio“, quello condannato già da Paolo VI, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI… Bergoglio è figlio spirituale del preposto gesuita Pedro Arrupe alla guida del gesuitismo modernista degli anni ’70, inizi anni ’80, che si scontrò – per la dottrina – contro Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. E’ tutto provato, nero su bianco, con testi anche ufficiali che troverete qui.

Quando il giovane Jorge Mario Bergoglio venne ostracizzato dalla stessa Compagnia di Gesù, per la sua opposizione contro la Teologia della Liberazione (TdL vedi qui), si pensava bene di assoldarlo per combattere la “buona battaglia” che lo stesso Giovanni Paolo II aveva ingaggiato, condannando la TdL attraverso un documento fatto preparare dall’allora cardinale Ratzinger, qui il testo integrale.

Tuttavia, ciò che molti non compresero allora, e neppure oggi, è che Bergoglio ingannò tutti con la sua trasposizione dalla TdL alla Teologia del popolo, del pueblo (TdP). Non ingannò ovviamente Pedro Arrupe ieri, e neppure al successore Sosa oggi, da lui prescelto alla guida della nuova Compagnia, perché entrambi consapevoli della nuova linea intrapresa dai rivoltosi: IL MODERNISMO.

Affermare che “Ognuno ha la sua risposta” è il cavallo di battaglia del gesuitismo modernista di de Chardin, K. Rahner, Pedro Arrupe ieri e di Sosa e Bergoglio oggi, con i cortigiani di corte di cui papa Francesco si è circondato proprio per portare avanti quella battaglia che aveva come slogan: “se non si può convertire la gente a Cristo, allora bisogna cattolicizzare ciò che non è cattolico“.

La prova di ciò che vi portiamo è data anche dalle stesse parole di papa Francesco nei suoi viaggi ed incontri: egli cerca di accontentare tutti. Tutti hanno “una risposta da dare”, tranne – a quanto pare – la dottrina della Chiesa e i cattolici che si azzardassero a proclamarla. In questi incontri Bergoglio dice cose suggestive ai cattolici, li conferma nella fede, senza dubbio, ma con delle aggiunte atte a spingere le nuove comunità di cristiani, ad accogliere i non cattolici non per convertirli, ma per creare INSIEME la nuova società sincretista, vedi qui, regolata non da dottrine, ma da una sorta di supermarket delle fedi dentro i quali ognuno “troverà la sua risposta”, a seconda di ciò che potrà esprime il proprio pensiero, o la propria idea di fede, vedi qui.

Non inventiamo nulla: nell’incontro con i giovani in Bangladesh, vedi qui fonte ufficiale, le immagini parlano chiaro perché non c’è alcun Crocefisso e nessuna icona della Vergine Santa durante l’incontro, ma piuttosto un enorme poster con il volto di Bergoglio primeggiante la sua parola. Non a caso, in tutti i suoi Discorsi, in questo viaggio, papa Francesco ha solo citato se stesso.

Avevamo già portato le prove, vedi qui, di come papa Francesco abbia eliminato, dagli incontri Gesù Cristo Eucaristia, ora siamo anche alla eliminazione DEI SEGNI CATTOLICI durante l’incontro con i giovani…. Potrete accusarci di tutto, ma provate almeno a smentirci portando argomenti, e noi faremo subito ammenda, se scoprissimo di aver tralasciato qualcosa di importante per la Fede Cattolica.

Prendiamo atto, per onestà propria di chi si ritiene cattolico, che dobbiamo tenere conto dell’attuale situazione drammatica in cui vive il mondo, destinato ad un grave fallimento. Insomma, non è che si può dare la colpa di tutto a papa Francesco!Bergoglio ha davanti a sé il collasso del mondo, gli scandali nella Chiesa, il dominio della cultura radical-laicista. Spesso ci viene da pensare come egli, da gesuita modernista, pensi che sia più efficace non prendere di petto il mondo ma assecondarlo il più possibile, proprio perché la vittoria del Cristo in fondo non gli è del tutto oscura, ci crede davvero! Ma sappiamo che non gli è mai interessata la coerenza con la dottrina e la Tradizione, e sappiamo che il suo interesse ruota più attorno alla (ri)conquista dei fedeli attraverso il consenso delle folle e l’assenso dei media e dei poteri culturali, vedi qui.

Le conseguenze altrettanto drammatiche di questo modo di ragionare, però, degli ultimi cinque anni, le conosciamo. Il problema è trovare un delicato equilibrio: andare in queste periferie senza però perdere quelli che vivono già, con enormi difficoltà, al centro, vedi qui! E conciliare due compiti della Chiesa: aprirsi ai mutamenti del mondo e insieme restare un punto fermo rispetto ai suoi sbandamenti, vedi qui. Papa Francesco, a dirla in bene, ha un catechismo del fai da te, elementare, con una visione assai spicciola di Dio; a dirla in male è un gesuita modernista e le sue aberrazioni anche in campo dottrinale, non sono campate in aria, ma sono un progetto chiaro di questa corrente, vedi qui.

Ogni generazione, da duemila anni, si trova e si troverà, ci ritroviamo, davanti all’immagine del Sinedrio: Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!».  Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!» (Mt.27,21-23).

Oggi nessuno vuole, intenzionalmente CROCIFIGGERE Gesù il Signore, ma il ritenerlo UGUALE alle altre religioni, nascondere il Crocefisso negli incontri cattolici, oscurare la Presenza reale nell’Eucaristia, equivale a crocefiggerlo di nuovo… affermare che «La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta», significa tornare a crocifiggerlo perché, di proposito, si omette che LA PRESENZA DI DIO SI CHIAMA GESU’ CRISTO.

Siamo entrati in Avvento, volgiamo lo sguardo al Dio che viene, senza temere di dire al mondo il Suo Nome GESU’ CRISTO, portando le nostre afflizioni e la sofferenza della santa Chiesa, Sposa del Cristo, nel Cuore Immacolato di Maria e nel Cuore di San Giuseppe, portiamo la preghiera per il sommo Pontefice, per i Vescovi, affinché comprendano la gravità della situazione e la finiscano di tacere.




 



Fraternamente CaterinaLD

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18/01/2018 08:53
 
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[SM=g1740720] "Eccellenza, Reverendo: non le è consentito!" Una bellissima predica infuocata contro il prete che non crede al Credo e in difesa della fede cattolica. Bravissimo don Priola!

Per la nostra edificazione spirituale pubblichiamo oggi il testo finale di un'Omelia semplicemente cattolica (ma molto infuocata - al modo di tanti Santi di altre epoche- ) che fa gustare la fierezza di essere cattolici e la responsabilità, comune ai consacrati e ai fedeli laici, di difendere la vera fede!
Avevamo bisogno, come terra deserta arida senz'acqua assetata di pioggia rigenerante, di un'omelia autenticamente cattolica: pronunciata a braccio, durante la S. Messa di mezzogiorno della festa del Battesimo del Signore, domenica 7 gennaio 2018, dal Rev.do don Salvatore Priola, Parroco e Rettore del celebre Santuario della Madonna della Milicia nell'Arcidiocesi di Palermo "il primo e più insigne luogo di culto mariano della Chiesa palermitana".

Quanti Sacerdoti e quanti Religiosi sofferenti a colpa dell'attuale confusione ecclesiale si identificano in quell'Omelia!!!

Preghiamo per i Consacrati e soprattutto per le nuove vocazioni !
E complimenti al reverendo don Priola! Grazie e complimenti! Servono preti come lui!
AC

Trascrizione (dal min.05:23) da Youtube
www.youtube.com/watch?v=JprnC16xnpg&feature=share

Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo come noi diciamo nel Credo, come diremo fra poco nel Credo, benchè ci sia qualche prete stralunato che ultimamente sproloquia, insieme a tanti altri, persino dall’ambone nel dire stupidaggini enormi quanto l’universo. (Il Parroco si riferisce alla scandalosa vicenda torinese del prete che alla Messa della Notte di Natale ha detto «Io al Credo non ci credo» sostituendolo con il canto di "Dolce è sentire" )

Il Credo, di cui facciamo ogni domenica professione, contiene la maturazione nel tempo dal punto di vista teologico e dottrinale di un incontro, di un’esperienza, di un vissuto esistenziale con Gesù Cristo : non sono parole al vento!

Quei 12 articoli del Credo che noi ogni domenica ripetiamo "non sono un formuletta", una "tiritera" imparata a memoria da ripetere scriteriatamente senza consapevolezza.


Nel Concilio di Efeso nel 431 i Padri della Chiesa dopo quattro secoli dagli eventi accaduti a Gerusalemme, a Nazaret, in Galilea, in Giudea; dopo quattro secoli di riflessione, di dialogo, di confronto, di studio, di approfondimento i Padri della Chiesa hanno formulato la dottrina cattolica sulla divinità del Figlio di Dio Cristo Gesù - e ora dopo 1600 anni c'è qualche prete e forse persino qualche vescovo che si permette di turlupinare l’intelligenza la buona fede e la semplicità del cuore di tanti fedeli a cui veramente poi i media danno risonanze planetarie perché certo non verranno a sentire la predica di un prete cattolico NO! Dovranno dare risonanza alle parole stralunate di un prete che ha perso la fede e che ancora il vescovo tiene al suo posto.

La nostra fede è in Gesù Cristo Figlio di Dio vero Dio e vero uomo e chi non la vuole accettare se ne stia a casa, diventi pure testimone di Geova faccia quello che vuole - ma questa è la nostra fede da 2000 anni e siamo arrivati al punto di svenderla, di essere accondiscendenti con un buonismo stupido.
Dobbiamo custodire la fede!
Che cosa abbiamo fatto barzellette in questi giorni?
Che cosa siamo venuti a vedere in questi giorni?
Qual' è la testimonianza che Dio ci da su quel Bambino che è nato?
Possiamo mettere in dubbio tutto: tutto possiamo mettere in dubbio ma dobbiamo avere la decenza di prendere le distanze fisiche, concettuali, teologiche, prendere le distanze e non dichiararci più cristiani cattolici.

Che siano vescovi, che siano preti o che siano pure dei semplici fedeli laici: se uno ha perso la fede abbia il coraggio di deporre i segni del cristianesimo e di non infettare la fede semplice delle persone che ancora credono.
E voi fratelli e sorelle abbiate il coraggio, mi dispiace che si sono messi a ridere a Torino, bisognava che ci fosse in mezzo al popolo di Dio, dovete avere il coraggio quando sentite un prete dire cose contrarie alla fede cattolica: dovete avere il coraggio di alzarvi e di dirlo anche durante la messa: "questo non le è consentito!"

E’ tempo di mettersi in piedi quando sentite dire cose contrarie al nostro Credo anche se le dice un Vescovo anche se le dice un prete mettetevi in piedi e ditelo: "Padre, Eccellenza non le è consentito" perché c’è un Vangelo, perché c’è un catechismo della chiesa cattolica universale e non si può pestare sotto il piedi il Vangelo siamo tutti sotto il Vangelo, siamo tutti sotto il vangelo dal Papa a scendere: siamo tutti sotto il Vangelo:
non è consentito a nessuno alterare la fede che abbiamo ricevuto in dono: a nessuno è consentito - siamo tutti servi della Parola, tutti!

Dobbiamo essere tutti fedeli a quel Credo che abbiamo ricevuto: alla comprensione del mistero della fede che i padri ci hanno consegnato e che noi abbiamo il dovere di custodire e di tramandare.

Siamo arrivati a un livello di confusione, a un livello di stupidaggini , di eresie, di cretinate proclamate con una solennità come se fossero dogmi di fede e i pastori della chiesa a cominciare dai vescovi sono più colpevoli dei preti deficienti che si permettono di dire certe cose; perché loro dovrebbero vigilare “episcopos” in greco vuol dire “colui che vigila” e se il vescovo è troppo impegnato alle sue faccende renderà conto a Dio di quello che fa.

Bisogna vigilare sulla fede del popolo perché oggi c’è troppa confusione: dentro la chiesa c’è troppa confusione.
Dobbiamo rinnovare la nostra professione di fede dobbiamo recuperare la gioia di essere cristiani cattolici, la fierezza!
Dobbiamo recuperare i caratteri precisi della nostra cristianità che è fedeltà al Vangelo, non è fedeltà a forme tradizionali perchè non si tratta di essere tradizionalisti o progressisti: nella chiesa queste categorie sono fasulle! Non ci sono tradizionalisti e non ci sono progressisti nella chiesa: queste cose lasciatele alla politica.

Nella chiesa si è fedeli a Cristo o si è infedeli a Cristo, si è fedeli al Vangelo o non si è fedeli al Vangelo!
Non è questione di restare attaccati, come diceva Gustave Thibon il filosofo contadino, non è questione di restare attaccati ai parapetti della strada per non volersi muovere per paura di fare un passo in avanti, come farebbero i tradizionalisti e non è questione di essere progressisti i quali vorrebbero che dalle strade a precipizio si togliessero i parapetti così che qualcuno possa rovinare giù e precipitare.

Non è questo il punto non è restare attaccati a delle forme vuote ai dei contenitori vuoti - qui in gioco non ci sono "forme" qui in gioco c'è la fede perchè quando si arriva a negare validità al Credo quando un prete piuttosto che far fare la professione di fede dopo il vangelo, dopo l'omelia fa suonare Dolce è sentire non ha capito più niente si è perso e sta facendo perdere gli altri : tutti quelli che seduti lì a Torino si sono messi a ridere mentre avrebbero dovuto alzarsi e dire "scusi reverendo non le è consentito di fare questo "perchè la liturgia della chiesa non è del prete è della Chiesa la liturgia!" e se io impazzissi in questo momento e incominciassi a dire ... non non leggiamo più il Vangelo di Marco li leggo una bella pagina del libro Cuore .... voi vi dovete alzare in piedi e dire "caro padre Salvo non ti è consentito fare questo" non possono omettere parti della messa non si possono cambiare parti della messa (tantomeno inventarsi delle preghiere eucaristiche , tralaltro ambigue e inefficaci, come ha fatto don Fredo sempre nella stessa Messa della Notte di Natale. N.d.R.).

Cè qualche altro prete che ha detto "siccome siamo in tempo di amicizia con i luterani", i quali non credono nella Presenza Reale di Gesù nell'Eucaristia, che si permette di saltare la parte dove il Sacerdote dice: Pregate fratelli e sorelle perchè il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Onnipotente e sapete perchè lo saltano?
Perchè non credono più questi preti diventati luterani!


Non credono più che quel Pane e quel Vino sull'Altare sono il il Corpo e il Sangue del Signore e questo in nome di che cosa?
Di un ecumenismo fasullo.

E' tempo che ci mettiamo in piedi là dove vediamo la fede cattolica pestata sotto i piedi anche dai pastori della chiesa: ci dobbiamo mettere in piedi e dirlo chiaramente: "Eccellenza, Reverendo non le è consentito!"

Perchè la fede non è dei preti, non è dei vescovi non è proprietà loro : la fede è della Chiesa e voi fratelli e sorelli voi siete pietre vive della Chiesa di Cristo
Voi fratelli e sorelle: tutti noi in comunione siamo membra vive del corpo di Cristo di cui l'unico capo e Signore è Gesù Cristo, non un uomo , Gesù Cristo l'Unigenito Figlio di Dio che ha fatto di tutti noi figli di Dio, di noi tutti figli di Dio.

Noi non siamo aderenti di un'associazione religiosa , a un movimento religioso,non abbiamo preso una tessera di appartenenza, non siamo stati fidelizzati: noi siamo figli di Dio e abbiamo il dovere dei figli e abbiamo anche i diritti di figli e voi , voi avete diritto di avere dai pastori il cibo buono.

Come i figli hanno diritto di sedersi a tavola e di non essere avvelenati dai genitori così voi avete diritto di esigere dai pastori della Chiesa che diano a voi il cibo buono
quello che viene dal Vangelo che è fedele al deposito della fede, così si chiama tecnicamente

Sapete qual'è il deposito della fede?

E' il Credo: 12 articoli intoccabili, immodificabili che sintentizzano 2000 anni di comprensione del mistero della fede che Dio ha rivelato in Cristo Gesù : "Il Figlio amato" nel quale Dio ha posto il Suo compiacimento.
Questa è la nostra fede questa è la fede della Chiesa.
Continuate voi ( i fedeli) : "E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen".
E allora professiamola questa fede
Credo in un solo Dio... "





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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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