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IN ESCLUSIVA le Omelie di un novello Padre Brown del nostro tempo

Ultimo Aggiornamento: 20/11/2015 19:43
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IN ESCLUSIVA AL SITO COOPERATORES VERITATIS
LE OMELIE DI PADRE BROWN

Nella sezione del sito dedicata a Don Camillo, un sacerdote, il Padre Brown dei nostri giorni, ci aiuterà nella meditazione delle letture della Messa del giorno.
Ecco la prima Omelia, aiutateci a divulgarle, grazie. 

 

LE OMELIE DI PADRE BROWN

9 ottobre 2015

Prima lettura: Gioele 1,13-15; 2,1-2 Il giorno del Signore, giorno di tenebra e di caligine.

 Salmo 9

 Vangelo: Lc 11,15-26 Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.

Questo brano – come altri tratti dal Vangelo di Luca – è un brano drammatico, perché Gesù non teme di affrontare il nocciolo della questione, cioè la battaglia mortale tra lo spirito della vita e lo spirito che è contro Dio, il demonio.

Battaglia nella quale siamo in mezzo anche noi. In questi giorni, in queste ore, dobbiamo decidere da che parte stare: o con Gesù o contro di Lui. Non si può trovare una via di mezzo, è illusoria la mediazione.

Lo dice Gesù stesso: dobbiamo scegliere, decidere, da che parte stare.

Scelgono e decidono da che parte stare anche i martiri di cui oggi facciamo memoria: Dionigi (vescovo), Rustico (presbitero) ed Eluterio (diacono). Furono mandati dal Papa Fabiano nella Gallia – quella che oggi è la Francia – ad evangelizzare questo popolo che ancora non conosceva il Vangelo, la libertà che proveniva da Gesù.

S’insediano in una piccola cittadina che stava sulla Senna, quella che è diventata Parigi e che allora si chiamava Lutezia (un antico nome latino che i romani avevano scelto), una città che via via è diventata sempre più importante.

Così Dionigi diventa il pastore di quella piccola comunità cristiana, il primo vescovo di Parigi, dal 250 al 270.

Vent’anni di evangelizzazione, fin quando – ad opera, appunto, dell’odio diabolico che i pagani hanno nei confronti di Gesù, del suo Vangelo e dei suoi rappresentanti – vengono condotti sulla collinetta vicino a Parigi, detta da allora proprio Montmartre, cioè “monte dei martiri”, in cui inizialmente subiscono torture con il fuoco per farli rinnegare la loro fede in Gesù; alla fine vengono decapitati.

San Dionigi viene rappresentato iconograficamente con la propria testa in grembo.

Questi uomini e queste donne che hanno saputo scegliere da che parte stare, senza compromessi. Senza pensare che si può arrivare ad un compromesso con il mondo o con il peccato.

Oggi più che mai dobbiamo ricordare i martiri, perché siamo in un’ora molto drammatica, per il mondo e per la Chiesa, quella che stiamo vivendo in questi giorni. Ove, forse ancor di più che in altre generazioni, siamo chiamati a scegliere, a decidere da che parte stare.

Non credo che sia un caso – il demonio è molto furbo, astuto, – che in questi giorni, in queste settimane, ci sia un attacco così forte contro la Chiesa cattolica.

Dal di fuori, dai nemici – dobbiamo tornare ad usare questi termini –; i nemici della Chiesa non sono tutti buoni, pronti ad abbracciarci, anzi, quando lo fanno è per metterci le mani al collo, come hanno fatto con Dionigi e compagni. Oggi lo farebbero ancora volentieri, anzi lo stanno già facendo con noi!

Da molti nemici anche interni. Le vergognose situazioni che abbiamo vissuto, che viviamo quasi quotidianamente, stiamo sempre a chiederci: cosa succederà oggi o domani?

Vedete, umanamente, la religione non conta in queste situazioni. Se la religione è umana, io potrei dire tranquillamente che la Chiesa cattolica ha le ore contate. Se un’istituzione è solamente umana, si tratta solamente di chiudere un po’ i conti, presentare i libri in tribunale ed andarcene a casa.

Grazie a Dio – e sottolineo grazie a Dio – la Chiesa, per Lui, è promessa e non sarà mai cancellata. Ma a quale prezzo? A prezzo di quale sofferenza, di quale scandalo? Non occorre che vi li ripeta, ma purtroppo quanti ne verranno fuori ancora! Veri o presunti che siano.

Perché a questo punto la verità non interessa più a nessuno. L’importante è creare confusione in mezzo al gregge sempre più disperso e timoroso.

Ma debbo ammettere che molta parte della colpa è nostra, pastori del gregge. In tante occasioni – troppe – ci siamo bevuti il cervello nell’irenismo, nel pensare che siamo buoni anche noi, più di Gesù Cristo! Nel pensare che il mondo non ha bisogno di Cristo: si salva per conto suo. Nel dire che l’inferno non esiste… Beh, del resto, se l’inferno non esiste, allora siamo “liberi tutti”, andiamo tutti in paradiso.

Se andiamo tutti in paradiso, dunque possiamo, in questo mondo, fare tutti i peccati che ci piacciono. Tutti i peccati possibili ed immaginabili – non occorre che vi faccia un elenco – tanto il Signore è misericordioso!

 

Guardate che nella mia vita, nelle nostre vite, ci sono angosce, paure, fragilità, divisioni… Il diavolo opera.

Avete sentito nel brano evangelico che Gesù non ha paura di parlare del diavolo – lo conosce bene –; Egli spiega che Belzebù non è diviso in se stesso. Il diavolo è un divisore, sì, ma se fosse diviso in se stesso, cadrebbe. Tutti i regni, quando sono divisi, cadono; cade una casa sopra l’altra.

E la divisione che c’è nella Chiesa, questo peccato è dovuto soprattutto a causa dei peccati dei suoi ministri.

Altro che il coraggio di Dionigi, di Rustico e di Eluterio! Essi prima si fanno fare a pezzi e dopo si fanno tagliare la testa per amore di Gesù.

Fratelli e sorelle, dobbiamo aiutarci, anche ad educarci gli uni gli altri, anche nel nostro modo di parlare. Quando siamo in famiglia, al bar o sull’autobus, a parlare di queste cose. A recuperare una certa lucidità, perché è facile perdere anche la lucidità, in questo mondo, ed adattarsi al coro che grida: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”, perché non sappiamo più neppure dove guardare.

Pensateci un attimo. Sarà proprio così?

Tante cose che vengono dette, anche a sproposito, in queste ore, sui giornali: bisogna abolire il sacerdozio, non servono più i preti. Beh, è logico: quando cominci a toccare il matrimonio, crolla tutto.

La dottrina cattolica, immaginate, è come un castello di carta: bellissimo e delicatissimo. Ma se ne togli un pezzo, rischi che tutto vada a catafascio.

Tocchiamo il matrimonio – più o meno si può divorziare, gli adulteri facciano la Comunione lo stesso – e casca anche l’Eucarestia; casca anche il sacerdozio. Possiamo veramente chiudere la baracca e andare tutti a casa.

Da dove nasce questa smania di voler cambiare, cambiare, cambiare?

Provate a riflettere su questo – è un argomento su cui si può discutere anche in famiglia –: chi ha mai chiesto al Dalai Lama di non pregare più con la lingua sacra buddista? Una lingua che non capisce più nessuno ed ha 5000 anni!

Noi, invece, abbiamo cambiato anche le nostre liturgie. Dopo 2000 anni di liturgia in latino, ah bisogna cambiare, così capiscono tutti! Il risultato? Le chiese si sono svuotate. I seminari vengono chiusi. Tantissime famiglie religiose sono sparite da un pezzo.

 

Qualcuno dirà che è non solo a causa del non celebrare più la messa in latino. Sì, d’accordo, ma nessuno chiede ad altre religioni di cambiare, di modernizzarsi. Nessuno si sognerebbe di dire ad un musulmano di mangiare la carne di maiale! Noi preti, invece, andiamo addirittura in giro in “borghese”, sembrando dei pagliacci…

Mi domando: serve tutto questo alla causa del Vangelo oppure no? Se dopo alcuni anni, vedo che è tutto un disastro, debbo farmi qualche domanda se qualche cosa sia andata storta.

Non è saggio andare avanti in una strada che porta alla rovina. Non è evangelico. Non è ragionevole.

Ogni religione ha bisogno della sua tradizione. Non si può chiedersi ogni giorno cosa cambierà. Non è antropologicamente giusto. Nessuna religione vive dell’instabilità, perché già il mondo è instabile di suo.

La fede, la religione, hanno tantissimi punti di riferimento che non possono cambiare tutti i giorni.

Cosa succederà domani? I preti dovranno sposarsi, così risolviamo tutto! Risolvere che cosa?

Io non voglio – lo dico davanti a tutti – non voglio sposarmi. Se avessi voluto, lo avrei fatto 25 o 30 anni fa. Se a 25 anni, quando divenni prete, non sapevo cosa stavo facendo, vuol dire che ero un perfetto idiota.

Non si capisce perché debbano sposarsi i preti in un mondo in cui non si sposa più nessuno!

Senza contare che nessuna donna single, di questi tempi, sposerebbe qualcuno che guadagna 900 euro al mese, cioè quello che riscuotiamo noi preti mensilmente. Capite che non ci siamo?

Queste cose dobbiamo dirle. È facile “sparare” un articolo sul giornale dicendo che si risolve tutto cambiando. No, così non risolviamo niente, anzi distruggiamo tutto.

Del resto, le comunità protestanti che 500 anni fa hanno abolito il sacerdozio e il celibato ecclesiastico sono sparite, spa-ri-te.

Anche perché il primo pensiero di un padre di famiglia è per la sua famiglia. E questo è naturale.

Se avessi un figlio malato, bisognoso di cure, come potrei venire qua tutti i giorni per dire la Messa? Sì, si tratta anche di ragioni di carattere pratico. O peggio: se capitasse una persecuzione violenta contro noi cattolici, io da celibe posso scegliere di essere imprigionato o ucciso, ma se lo facessero a mia moglie o ai miei figli? Il celibato dei sacerdoti è anche una suprema libertà della Chiesa di fronte ad ogni potere. Pensiamoci.

Dobbiamo aiutarci, praticamente, a tornare con i piedi per terra, tutti quanti, laici e preti. I primi a “doversi dare una regolata” siamo noi sacerdoti. E voi pregate molto per questo. Siete in obbligo ad aiutarci con la vostra fede.

Fratelli e sorelle, i martiri ci dicono con la loro testimonianza – il sangue versato per Cristo – che una cosa sola è importante: salvare l’anima e rimanere fedeli. Il resto non conta.

In queste ore molto confuse, non lasciamoci sviare da quest’obiettivo, il più importante.

Gesù farà di tutto per salvarci, ma noi, almeno un pezzetto, dobbiamo mettercelo, poiché è dal quel “pezzettino” che dipende tutto.

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

     


[Modificato da Caterina63 19/10/2015 10:47]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Padre Brown affronta, e abbraccia, l'anima inquieta di un assassino.
"Il vero eroismo sta nell'amare dopo la disillusione" - G. K.
Chesterton

www.youtube.com/watch?v=ixDlkRKh0nw








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Padre Brown

Domenica 11 ottobre 2015 - Santa Messa VO

I tempi sono cattivi perché il peccato viene esaltato

Letture: Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Ephésios, 5, 15-21

Vangelo: Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 4, 46-53

San Paolo, ai cristiani di Efeso, dice: i tempi sono cattivi, i giorni sono cattivi!

Allora verrebbe da dire: “Ma allora, caro San Paolo, se tu vivessi adesso, in questi giorni,  che cosa diresti?”.

Sono cattivi e difficili anche i nostri giorni. Sono giorni in cui la Chiesa stessa è attraversata, è scossa dallo scandalo, dal dramma di peccati sconcertanti.

Peccati che, ricordiamolo, se venissero riconosciuti come tali, affidati alla Misericordia di Dio, nel riconoscimento sincero dell’errore, dello sbaglio, nello gettarsi in ginocchio davanti a Dio, chiedendone pietà e perdono, andando nel confessionale e aprendo il cuore alla grazia sacramentale, sarebbero perdonati.

Ma i tempi sono cattivi perché molte volte il peccato è esaltato, protetto, difeso, sbandierato, ostentato.

Allora la crisi diventa grave e profonda. Ed è una crisi che rende vana, talvolta, la testimonianza di noi pastori che dovremmo essere guide per i nostri fratelli e le nostre sorelle.

Diceva il grande Giovanni Battista Vianney, il Santo curato d’Ars, che “un prete che va in paradiso porta con sé molte anime, e un prete che va all’inferno ne porta con sé altrettante”.

Sono tempi difficili… Penso che San Paolo oggi potrebbe ripetere le stesse parole che disse ai cristiani di Efeso: “I giorni sono cattivi”. Riconosciamolo, perché qualche volta facciamo finta che non lo siano.

Se io non riconosco di essere malato – di una malattia mortale – non andrò mai a farmi curare.

Non posso essere guarito da Gesù, il medico delle nostre anime, non posso aver speranze di guarigione, finché non mi getto alle sue ginocchia, implorando: “Signore, abbi pietà di me, peccatore!”.

Dio è misericordia infinita, Dio perdona qualsiasi peccato, ma ha bisogno di ginocchia piegate che chiedano il suo perdono. Non si tratta di una misericordia “tanto al chilo”, o distribuita a pioggia; non esiste misericordia gratuita.

È gratuita la generosità con cui il Signore offre la sua misericordia, ma dobbiamo, comunque, “acquistarla” con il pentimento, con la penitenza, con la vergogna che sfigura il nostro volto. Dobbiamo dire: “Signore, siamo nei guai, abbiamo bisogno di Te”.

Stiamo affondando…

Umanamente – se ci pensate – la Chiesa sarebbe affondata da un pezzo, da tanto tempo. Addirittura potremmo dire che la Chiesa cattolica ha le ore contate.

E' giunto il tempo, se vogliamo usare questa immagine, di portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento. Oppure potremmo dire che la crisi è così grande che non sappiamo come fare a pagare i creditori, né come farci pagare dai debitori. La Ditta è fallita.

Signore Gesù, i tempi sono cattivi, e lo sono per colpa nostra, non per colpa tua. I tempi sono oscuri, ma non perché Tu sei oscurità, ma perché noi abbiamo scelto l’oscurità.

“Vigilate attentamente”, dice San Paolo agli Efesini, “e non comportatevi da stolti, ma da uomini saggi. Edificatevi a vicenda con inni, salmi, canti spirituali; non distruggetevi a vicenda con scandali e peccati, soprattutto con l’esaltazione di voi stessi”. Sono giorni difficili, ma non dobbiamo cedere all’oscurità. Il Battesimo ci ha reso figli del Dio della luce, figli del Dio della verità e della vita. Non possiamo rassegnarci alla mediocrità.

Pensando ai guai che noi pastori combiniamo, ho notato quanto il popolo di Dio, il popolo cristiano, venga più scandalizzato – se dico un’idiozia ditemelo pure – dalla mediocrità dei consacrati, che dalla loro debolezza, poiché tutti, più o meno, siamo deboli. Il fatto che non siamo né carne né pesce, che non siamo né freddi né caldi, come dice il libro dell’Apocalisse. “Non sei né freddo né caldo: sei tiepido. Per questo ti vomiterò dalla mia bocca” (cfr. Ap 3). Sì, è la mediocrità, la tiepidezza che scandalizza e ci rende odiosi.

Da noi, suoi ministri e consacrati, Gesù si aspetta la passione, un cuore ardente, bruciante del fuoco dell’innamoramento, un cuore pieno di Lui. Un cuore dilatato dalla presenza del Signore che accoglie tutti, non per impadronirsene, ma per esserne a servizio.

Credo che sia questa la ragione dello scandalo di molti: il fatto che siamo delle “mezze cartucce”, non siamo né da una parte, né dall’altra.

L’uomo che è andato da Gesù ci credeva profondamente, aveva la fede. Credeva che Gesù gli avrebbe guarito il figlio, infatti così è avvenuto. Credeva in Gesù, in Lui aveva riposto tutta la sua speranza: su quella fede è stato compiuto il miracolo.

Fratelli e sorelle, non possiamo cedere alla violenza della disperazione (perché la disperazione è violenza). Noi siamo i figli del Dio della verità, della luce, della bellezza, dunque dobbiamo aiutarci a vicenda, come ci dice San Paolo ai cristiani di Efeso, con la preghiera, con una bella testimonianza, nel nostro piccolo, di vita cristiana.

Ognuno di noi ha una missione in questo mondo: compiamola in pienezza con passione, con amore, con puntualità, ad maiorem Dei gloriam, e ad edificazione dei nostri fratelli.

Non credo che faremo grandi miracoli: Dio non ci chiede di resuscitare i morti, a questo ci pensa Lui, ma di non lasciar morire la speranza, di aver cura dei fratelli e delle sorelle che Egli ci ha affidato.

È un compito che riguarda tutti: la santificazione. Anche noi sacerdoti abbiamo bisogno di un popolo di Dio che sia santo e che ci dia un esempio bello, luminoso, che ci faccia vergognare ed esclamare: “Le mie pecorelle sono più brave di me, il loro pastore!”. Un popolo santo che susciti in noi una vergogna salutare, che ci faccia convertire pienamente.

L’edificazione spirituale di cui parla San Paolo – portarci, sopportarci, sostenerci, gli uni gli altri – è fondamentale, perché abbiamo incontrato Gesù, il Dio della vita, della verità, della pace, della gioia. Il Dio che ci promette vita, verità, pace e gioia nell’altro mondo, se in questo mondo noi saremo fedeli a Lui.

Ribadisco: nel nostro piccolo. Non dobbiamo fare cose straordinarie, ma piccole cose fatte bene, compiute per amore. Piccoli cuori, ma riempiti di Lui; appassionati per Lui, innamorati di Lui, che siano sempre suoi, mai di qualcun altro.

Questa è la bellezza della vocazione cristiana. Vale per tutti, consacrati e laici. È una via bellissima, esaltante, carica di promesse, di gioia, anche nella mediocrità e nella palude nella vita di tutti i giorni. Anche, se volete, nella mediocrità e nella palude della vita della Chiesa di questi giorni.

Anche in questi giorni bui e cattivi, di cui parla San Paolo, manteniamo la speranza – il Signore – a cui ci possiamo aggrappare con certezza; non è un auspicio, un augurio: è una certezza.

È la certezza della Croce di Gesù che sta ferma, mentre tutto ciò che sta intorno gira vorticosamente senza sapere dove andare. Noi, invece, sappiamo dove andare. Affidiamoci a Lui e non saremo delusi.

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

 

 




Fraternamente CaterinaLD

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Padre Brown il vangelo non è una via mediana

 

14 ottobre 2015

La Lettera ai Romani di San Paolo è una grande omelia, divisa in quattro parti, che non difetta di chiarezza, di quella che viene detta appunto parresia, quella difficile parola greca ultimamente tornata di moda.

San Paolo annuncia quello che deve annunciare. Ciò che l’Apostolo delle genti sente di dover dire ai suoi fratelli e sorelle nella fede, affinché essi godano della vita eterna, lo dice, e non lo nasconde affatto!. Non fa sconti a se stesso, prima di tutto, ma neppure agli altri.

“Non mi vergono – scrive – del Vangelo, perché è potenza di Dio e salvezza di chiunque crede in Lui”.

Questo è un ammonimento anche per tutti noi. Non possiamo far sconti a noi stessi, pensando di poter trovare una via di mezzo, un compromesso, tra il peccato e la Grazia.

San Paolo sapeva che la “via mediana” è quella della mediocrità, che porta ad un esito drammatico: la perdizione della propria anima. In una parola: l'inferno.

L’Apostolo infatti parla di Ira di Dio. Noi non siamo più abituati a sentire l’espressione Ira di Dio. Le nostre orecchie sono molto sensibili, delicate, non sono più adatte a sentire parole come giustizia e ira di Dio.

Abbiamo nei nostri occhi l'immagine di un Signore (Dio mi perdoni!) bonaccione, indifferente di fronte al bene e al male.

In questo mondo tutti ormai pensiamo di essere buoni, quindi ogni discorso sul giudizio di Dio e la salvezza o la dannazione dell’anima vengano accantonati.

Eppure San Paolo, per amore della Verità – sapendo che solo la Verità rende liberi –, afferma chiaramente che chi si ribellerà a Dio subirà la sua Ira, perché Egli giudicherà ogni empietà e ogni ingiustizia.

Allora che cosa dobbiamo fare, noi battezzati? Ascoltare San Paolo, dandoci tutti una “regolata”, oppure andare avanti “trotterellando” verso il burrone?

Guai a noi quando pensiamo di essere  più buoni di Dio!

Infatti quando nascondiamo la sua Giustizia – in particolare noi pastori – noi pensiamo di essere più buoni di Dio… di saperla più lunga, di vedere più lontano di Lui.

Dio non voglia che questo capiti alla Gerarchia di oggi!

Preghiamo affinché la Gerarchia non cada nella diabolica trappola della popolarità di questo mondo, presentando se stessa come più misericordiosa di Cristo.

La Gerarchia non deve aver paura di annunciare il Vangelo, soprattutto quando respinto. Come capitò anche a San Paolo quando annunciò agli Ateniesi che il “Dio ignoto” è morto ed è risorto: molti se ne andarono, non interessati, perché increduli. Del resto, è inevitabile che spesso vada a finire così: Gesù non è forse morto da solo sulla Croce? Il Signore non aveva con sé la maggioranza dei Gerusalemme. In quel momento i sondaggi sulla Sua popolarità stavano al minimo.

Se la Gerarchia s’interessa agli indici di gradimento, si ricordi che quello di Cristo Crocifisso era pari a zero.

 

È un forte ammonimento allora quello che San Paolo scrive ai Romani, lo stesso duro rimprovero di Gesù ai farisei.

È importate che ciò che c’è fuori sia in sintonia con ciò che dentro, non ci devono essere contraddizioni. Gli uomini, ovviamente, vedono l’esterno, ma Dio vede l’interno.

Che cos’è più importante, ciò che vedono gli uomini o ciò che vede Dio?Naturalmente questa è una domanda retorica.

Il brano della Lettera ai Romani di oggi, se fosse possibile, andrebbe meditato versetto per versetto, ma mi limito a sottolinearne alcuni punti, invitandovi a meditare anche gli altri.

San Paolo spiega che dato che è possibile conoscere con l’intelletto, con la ragione, le opere compiute da Dio, coloro che le mettono in dubbio, non sono scusabili, perché non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie.

Uno dei peccati contro lo Spirito Santo, come insegna il Catechismo, è proprio questo: impugnare la Verità conosciuta. Cosa significa? Prendiamo la Verità, la facciamo nostra, per usarla a nostro piacimento, per il nostro tornaconto, non a servizio di Dio e del prossimo.

Inoltre, ecco l’ironia, costoro mentre si dichiaravano sapienti, cioè pensavano di saperla lunga, sono diventati stolti, cambiando l’immagine incorruttibile di Dio con l’immagine corruttibile dell’uomo.

Sembra la descrizione esatta dell’ora in cui viviamo. Siamo una società ipertecnologica, conosciamo tantissime cose, abbiamo raggiunto una certa potenza dell’intelletto come mai prima d’ora, ma allo stesso tempo ci siamo disonorati e diventati stolti davanti a Dio.

La situazione è fotografata in maniera precisissima. E San Paolo ha scritto questa lettera quasi 2000 anni… segno che sapeva vedere molto lontano.

Fratelli e sorelle, abbiamo un’opportunità grandiosa: quella di essere rimproverati, scossi, dai santi, perché Dio ci ama, ci corregge. Vuole che ci svegliamo, prima che sia troppo tardi.

San Paolo infatti ci dice di svegliarci dal sonno, di muoverci, di dire al Signore: “Eccomi, sono pronto. Voglio te, Signore, non voglio nessun altro. Cedo finalmente alla forza del tuo Amore, mi lascio vincere dalla nostalgia di essere amato da Te, di essere posseduto dalla tua Verità”.

Preghiamo gli uni per gli altri, affinché in questi tempi oscuri, in queste ore difficili per la Chiesa, in cui regna tanta confusione, sia la Verità – quella che rende liberi – a trionfare.

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

 

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Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re 


 

Domenica 25 ottobre 2015

Oggi il Rito Tridentino celebra la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, punto focale su cui si concentra tutta la creazione.

Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. (Col 1,17)

La Seconda Persona della SS. Trinità incorpora in sé tutte le nostre attese, tutte le nostre speranze, le esaudisce, le porta a compimento. Egli riporta la creazione allo splendore originale, dopo essere stata segnata dal dolore e dalla morte, dopo essere stata ferita dal peccato.

Oggi noi ricordiamo la regalità di Cristo, lo riconosciamo Signore dell’universo.

Ma in che cosa consiste questa regalità? San Giovanni la descrive in un episodio drammatico del suo vangelo: il dialogo tra Gesù e Pilato.

Pilato è forse una delle poche persone intelligenti con cui Gesù, durante la sua Passione, ha avuto a che fare.

“Intelligente” dal punto di vista della razionalità, non dal quello dell’economia in vista di un'eventuale salvezza di Gesù.

Perché Pilato, purtroppo, ha ceduto alla paura, alla vigliaccheria, non ha avuto il coraggio di seguire la Verità, pur avendone nel cuore nostalgia, desiderio. La sua infatti è una domanda dettata da sincerità: “Che cos’è la verità?”.

Chi è la verità?

Gesù non risponde:  Egli stesso è la Verità. La sua regalità si compie nell’affermare la Verità: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. La sua regalità consiste proprio nel portare gli uomini alla Verità, che è Egli stesso.

È sotto gli occhi di tutti ciò che sta avvenendo nel mondo e nella Chiesa: è impossibile negare in quale profondità è sprofondata la nostra civiltà, quella occidentale in modo particolare. Questo è potuto succedere poiché si è voluto cedere al sentimentalismo, all’aver elevato il sentimento come metro,  misura di ogni scelta, anche di ogni azione morale. Abbiamo introiettato il “metodo Facebook” in tutto: mi piace o non mi piace.

Tutto ciò non ha però portato ad un mondo migliore, ma ad un mondo dove domina l'arbitrio, il sopruso fatto in nome del sentimento. Ha portato ad un mondo in cui non vi è più la garanzia della legge della Verità a tutelare gli uomini, in modo particolare i piccoli, coloro che non hanno conoscenze importanti, appoggi umani potenti quaggiù. Se non c'è più la garanzia del diritto, ella Legge oggettiva tutto dipende dalla simpatia o dall'antipatia di chi ha il potere in quel momento. Succede anche nella Chiesa come vedremo.

Tornando al processo di Gesù vediamo come sia fondamentale che la regalità di Gesù si concentri proprio su questo aspetto: è Lui la Verità, la verità che ci fa liberi.

Una regalità, quella di Cristo, che viene svelata nel momento più drammatico della sua vita: sta per essere giudicato e condannato a morte, pur essendo innocente. Il dialogo con Pilato, benché intelligente, prelude proprio all’ingiusta condanna. E Gesù, questo, lo sa bene.

 

Chi sta dalla parte della verità, non si aspetti di trovarsi in maggioranza, né di avere il placet del mondo. Perché quando Gesù afferma che i suoi discepoli – la sua Chiesa – debbono essere il sale della terra, vuol farci capire che saremo proprio in minoranza.

Ma è sufficiente un pizzico di sale per dare sapore.

 È però necessario che quella “minoranza sia salata” affinché la storia degli uomini prenda sapore. Sarebbe un dramma se quel pizzico di sale non ci fosse, ma sarebbe ancora terribile se, pur essendoci, diventasse insipido, diventando così come ci dice Gesù, inutile (cfr Mt 5).

Quando il sale della terra perde il suo sapore? Quando si slega dalla Verità, quando si lascia stordire dal sentimentalismo.

Fratelli e sorelle, oggi, in questo giorno in cui riconosciamo che Gesù è re, annunciando la Verità, in un contesto drammatico la sua Passione, preludio della sua morte in croce, vediamo la luce della Verità, ma il mondo non vuole lasciarsene illuminare: preferisce le tenebre. Vediamo come Gesù, questa scintilla, sia accolta da pochi, mentre la grande maggioranza rimane indifferente, non vuole lasciarsi illuminare da Lui.

«Dunque tu sei re». «Sì, io sono re». “Io sono re in questa situazione in cui ho tutti contro. Anche tu, tra poco, caro Pilato, ti metterai contro di me”.

Noi, fratelli e sorelle, se veramente vogliamo stare con Gesù, dobbiamo vivere la stessa drammatica situazione. Dobbiamo accettare la dimensione della piccolezza, dell’insignificanza, circondati dalla confusione.

Guardiamo a Cristo crocifisso per venirne fuori, per salvarci: sì, Gesù regna dalla Croce! E a Lui solo vogliamo guardare!

Anche questo sembra paradossale, un controsenso: com’è possibile regnare dalla Croce? Si regna dai troni, dai palazzi, indossando vesti sontuose e morbide, non si regna seminudi, spogliati, derisi e umiliati, perseguitati e piagati. Non si regna da un patibolo, col cuore spaccato in due da una lancia!

Com’è possibile regnare in situazione del genere?

Eppure Gesù ha scelto così. Dio Padre ha scelto così. Egli ha voluto questo affinché, attraverso il sacrificio del suo Figlio, fossimo salvati. Non per mezzo delle chiacchiere, né del successo mondano, ma solo attraverso il Sangue di Gesù abbiamo la nostra salvezza.

Viviamo in tempi difficili come vi dicevo poc'anzi, anche oggi, soprattutto oggi. Accadono cose che ci addolorano moltissimo, nel mondo e anche purtroppo nella chiesa...

Vi comunico una notizia triste, che pur essendo da mesi nell'aria avremmo desiderato che non si realizzasse mai...Le Suore Francescane dell'Immacolata sono state commissariate dal Vaticano.

Le Suore francescane dell’Immacolata, religiose umili, che amano il nascondimento,  sempre al servizio della Chiesa, soprattutto con la preghiera, con spirito e pratica di povertà materiale vera, non predicata a parole... Queste suore, così discrete e così disponibili, hanno saputo che anche il ramo femminile del proprio ordine è stato commissariato dalla Gerarchia.

Il commissariamento, ovviamente, non è un premio, viene deciso per gravi motivi. Ma il motivo di questa decisione non si conosce. E forse visto ciò che è successo ai frati, non si verrà mai a conoscerlo...

 Questo atteggiamento è proprio di uno stato di polizia dei regimi totalitari, in particolare di quello dell’ex Unione Sovietica.

È paradossale che in una Chiesa in cui si parla tanto di misericordia, ogni santo giorno, si voglia distruggere un ordine religioso con commissariamento che sembra un processo sommario… Dio solo sa cosa avverrà!

La fine del ramo maschile è stata brutta, molto brutta. Sono stati commissariati due anni fa, senza conoscerne, dicevamo, le vere motivazioni. Un ordine fiorente, con tantissimi giovani religiosi, adesso si ritrova con la maggior parte di essi dispersi.

In senso cristiano però, questo è regnare dalla Croce! E' vivere ciò che ha vissuto Nostro Signore.

 

Il sentimento di dolore che esse provano – che proviamo tutti, perché vogliamo loro bene – non deve farci dimenticare che questo è, in un certo senso, il processo subito dal Signore. Un processo ingiusto.

Questo commissariamento – il sottoscritto si prende la piena responsabilità di ciò che dice – è ingiusto.

Gli uomini di Chiesa – mi riferisco in modo particolare ai membri della Gerarchia – hanno fatto, nel corso dei secoli, parecchie scelte ingiuste, riconosciute come tali, molto spesso, secoli dopo. Speriamo che, almeno in questo caso, se ne rendano conto il prima possibile degli errori che stanno facendo.

Preghiamo per le suore francescane dell’Immacolata. Esse hanno pregato – e pregano – molto per noi e per tutti gli uomini di Chiesa. Preghiamo affinché non sia distrutto anche il loro ramo.

La Gerarchia si priverebbe stoltamente di un’altra ancora di salvezza, in questo tempo buio e tempestoso; distruggerebbe con le proprie mani un’ancora di salvezza fatta di preghiera, di meditazione e di rinunce quotidiane.

“Ma che cosa hanno fatto di male?”. Se volete, ve lo dice il sottoscritto: pregano troppo, fanno troppi digiuni; stanno troppo in chiesa; adorano troppo il SS. Sacramento; venerano troppo la Madonna; hanno il quarto Voto Mariano; sono veramente povere; sono troppo devote ai santi.

È paradossale che questo accada. Ma questo accade, eccome se accade!

Forse ciò succede perché, in questi tempi, prevale come dicevamo, il sentimento, non la verità, la ragione. Chissà, forse accade perché esse non hanno grandi protettori umani, qualche “pezzo grosso” che potrebbe fare qualcosa… Si trovano invece nelle mani di un cardinale, João Braz de Aviz, brasiliano, attuale prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Ha 68 anni, da sempre è un sostenitore della teologia della liberazione, inoltre ogni quindici giorni – lo sanno tutti – va dal parrucchiere per farsi tingere i capelli. Vanità delle vanità...

Preghiamo per lui! Preghiamo affinché, sotto i capelli, abbia qualcos’altro… Preghiamo perché si preoccupi della ricrescita di quest’ordine, non solo di quella dei suoi capelli incanutiti.

E magari si ricordi che i capelli grigi, una volta, indicavano la saggezza, l’anzianità a cui affidarsi.

Braz de Aviz non tema i capelli grigi, tema invece ciò che tutti dobbiamo temere: il Giudizio di Dio.

Il Signore ci aiuti a non perdere – oggi che lo adoriamo regnante dalla Croce – la fede, la speranza e la carità. Che Cristo Re non permetta che ci lasciamo sviare da quei “venti di dottrina” che sembrano sballottare la Barca di Pietro, denunciati dal cardinale Joseph Ratzinger nella famosa omelia pronunciata il giorno prima di diventare papa Benedetto XVI.

Preghiamo per le suore francescane dell’Immacolata, affinché si risolva tutto per il meglio. Preghiamo e speriamo.

Del resto, si è risolto tutto per il meglio per quelle suore americane che sostenevano – e sostengono –  l’aborto. I loro ordini non hanno più vocazioni perché, ovviamente, Dio non gliene manda. Eppure il loro commissariamento è finito, come si suol dire, a tarallucci e vino. Esse non hanno più problemi con la congregazione di Braz de Aviz. Speriamo che, un giorno, non ne abbiano con il Signore. Noi non glielo auguriamo di certo.

Preghiamo che il Signore, in questo giorno in cui lo adoriamo Re dell’universo, ci faccia avvicinare ad Egli con umiltà, con spirito di servizio e con la preghiera reciproca.

Preghiamo per gli uomini e le donne di Chiesa che hanno queste responsabilità, poiché si assumano la responsabilità delle proprie scelte.

Preghiamo per noi: quella verità – la Verità – che Gesù ci rivela nel momento drammatico della sua Passione, ci faccia finalmente liberi.

Non dobbiamo temere che accadano questi scandali. Gesù stesso ci dice che sempre ci saranno, ma “guai” ai personaggi che li causano. Accadranno sempre, ma non debbono sviarci, allontanarci da Colui che è Via, Verità e Vita.

Oggi, in questa solennità, ripartiamo più forti di prima, più forti che mai. Anche se siamo amareggiati, sconfitti, “commissariati”, sappiamo che questo è lo stesso trattamento che hanno riservato a Gesù. La nostra forza sta nel condividere la debolezza del Signore!

Non vorrei concludere con una battuta velenosa, ma vi chiedo di permettermelo.

Se Gesù e Maria tornassero in questi giorni, avrebbero grosse possibilità di ritrovarsi commissariati.

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

Per ritornare all'indice delle Omelie di Padre Brown, cliccare qui.

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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