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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (4)

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2016 11:25
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13/01/2016 15:06
 
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LA BERGOGLIONATA ALL’INCONTRARIO DI PAPA FRANCESCO

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Una bergoglionata  all’incontrario che ci è davvero piaciuta, se le cose stanno come riferisce Introvigne…

Onestà di cuore e di mente vuole che quando dobbiamo parlare per spiegare i fatti come sono, non ci si chiuda mai in uno stato di prevenzione mentale e di pregiudizio, ma che si colga – come insegna San Paolo – tutto ciò che è buono per fare un sano discernimento e dare così il vero contributo alla causa del Vangelo.

È il caso che andiamo ad analizzare sottolineando che a noi non è mai piaciuto il doppio gioco di Andrea Tornielli in questi ultimi anni, non ci piace il suo giornalaccio on-line che è al pari dei giornali a servizio della massoneria dell’Ottocento, non ci piace il suo catto-progressismo, non ci piace la sua cortigianeria nel quartiere romano di santa Marta, non ci piace la sua falsità narrativa di vaticanista senza scrupoli e senza sostanza nel riportare i fatti.

9788856653144_51b745299200d2ec851abc2402753e3aPremesso tutto ciò e affidandoci alla presentazione del suo ultimo libro fatta da La Nuova Bussola Quotidiana da Massimo Introvigne(suo degno compare), non possiamo tuttavia non intravvedere e non segnalare che, questo libro, potrebbe (condizionale d’obbligo) contenere una vera bergoglionata a chi sta usando il Papa Francesco dalla sua elezione per abbattere la Chiesa e la sua dottrina.

Naturalmente noi il libro non lo abbiamo ancora letto, ma ciò che riporta Introvigne è davvero interessante e non sarebbe onesto se noi facessimo finta di nulla. E non vogliamo neppure pensare lontanamente che Introvigne abbia inventato il contenuto dottrinale del libro e del Papa sulla vera Misericordia e sul valore pestilenziale del peccato.

Peccatori sì, ma non accettare lo stato di corruzione

Già Avvenire riportava, dall’analisi del libro che è un colloquio con il Papa, quanto il santo Padre Francesco torna a riflettere sulla distinzione tra peccato e corruzione. Quest’ultima, si osserva nel libro, “è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere”. “Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza – ribadisce – trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo”. “Non bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in più – è il monito del Pontefice – anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte seppur legate tra loro”. “Uno – constata – può essere un grande peccatore e ciononostante può non essere caduto nella corruzione”. Francesco fa l’esempio di alcune figure come Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Nicodemo e il buon ladrone. “Nel loro cuore peccatore – afferma – tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione. Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio”.

Anche nell’analisi fatta da Introvigne su La Nuova BQ, si torna ad avere come perno centrale di questo colloquio il riconoscimento del peccato, lo stato del peccatore e l’autentico valore della Misericordia che non può essere data se la persona non si riconosce come peccatore e se non è davvero pentito del proprio peccato.

Intendiamoci, non è una rivoluzione! Il Papa non sta dicendo cose nuove e il libro non contiene alcuna novità.

C’è piuttosto un onesto e timido ritorno a quella dottrina che da tre anni a questa parte, proprio l’autore del libro – che fu tra quelli che strumentalizzarono la pastorale senza dottrina del Papa –  fa ritornare alla ribalta come se niente fosse, anzi, quasi fosse una novità…

La definiamo così una bergoglionata che davvero ci piace, questa del Papa gesuita! Perché è come se avesse accolto l’appello di non pochi alti prelati che lo hanno invitato più volte ad essere più chiaro nelle sue affermazioni.

Ci viene a mente l’episodio accaduto a San Padre Pio quando rispondendo ad un Bolletino Diocesano del vescovo di Padova che aveva fatto una affermazione che “puzzava di eresia” (così disse proprio Padre Pio), il prelato mandò a dire al Santo che era stato frainteso, che aveva capito male, e l’umile frate rispose: “No, io ho capito bene. Lui ha scritto male!”.

Dunque, la sostanza di questo libro ci sembra essere, sempre secondo la presentazione fatta da Introvigne, una sorta di chiarimento alle sue passate affermazioni suonate e risultate stonate in campo dottrinale cattolico, come se il peccato avesse preso delle ferie prolungate e come se la misericordia fosse data come un piatto di pastasciutta ad una delle tante mense della Caritas.

E no! Fa capire ora il Papa. L’invito ai confessori alla misericordia non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Parola di Papa Francesco! Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla… Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno».

Il santo Padre Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Egli cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore».

Ma per ricevere questa Misericordia, chiarisce finalmente El gesuita diventato papa, il peccatore deve chiarire a se stesso il proprio stato di peccatore, deve imparare ad avere vergogna del proprio peccato e deve ripudiarlo, deve andarsi a confessare… confessare il proprio stato di peccato e cambiare vita.

Ciò che sconcerta è che tutto ciò – insegnato dalla Chiesa in questi duemila anni – sia spacciato oggi come una novitàperché in questi ultimi tre anni non si è fatto altro che usare, delle parole di Bergoglio, una illusione mentendo (ma non ha mentito il Papa) sulla dottrina della Chiesa.

Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Papa Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.

Papa Francesco ricorda pure di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può».

È ovvio che in quel «Oggi si cerca salvezza dove si può», il Papa stesso sa benissimo che l’unico posto dove questa salvezza si attiva è il confessionale e che è qui che bisogna far ritornare la gente. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno.

Ci sembra di comprendere che in questo colloquio, ridotto a libro, il Papa Francesco abbia voluto mettere un po’ di ordine ai suoi tanti pensieri sparsi qua e là e spesso fraintesi o strumentalizzati come sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Papa Francesco qui nel libro spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi».

Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina, spiega il Papa e sottolinea: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina».

Ci sembra così che questo libro possa offrire davvero dei chiarimenti a molte espressioni ambigue usate dal Papa e ci auguriamo che serva in primo luogo proprio all’autore del testo che da anni – strumentalizzando le parole del Papa – ha gettato nella rete molta confusione attraverso il suo giornalaccio on-line con ambiguità interpretativa…

Dal canto nostro non possiamo che far nostre queste parole del Papa, tratte sempre da questo libro: «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge».






La “cosa” fa ben sperare, con la speranza che non si tramuti in un Alien    mi rifaccio anche all’articolo di Magister….

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/01/12/istruzioni-per-il-confessore-e-per-il-penitente-firmate-francesco/








EDITORIALE
Monsignor Galantino
 

Solo nove anni fa la CEI riteneva dovere dello Stato non riconoscere alcun tipo di legame che non fosse il matrimonio.
Oggi invece il segretario della CEI ritiene doveroso che lo Stato riconosca le unioni gay (basta che non siano assimilate al matrimonio). Qualcosa evidentemente non quadra.

- Contro la Cirinnà: l'appello dei giuristi 

di Riccardo Cascioli


Si sente talmente tanto parlare di “nuova Chiesa” che molti vescovi si sono calati perfettamente nella parte e ignorano totalmente non solo ciò che la Chiesa (quella “vecchia”) ha creduto e annunciato per duemila anni, ma anche le indicazioni più recenti. Nei giorni scorsi abbiamo già fatto riferimento alla Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede a proposito dei progetti di riconoscimento delle unioni omosessuali (2003), che spiega con chiarezza per quale motivo i cattolici non possono sostenere qualsiasi tipo di riconoscimento giuridico delle relazioni gay. Documento importante, approvato da Giovanni Paolo II, su cui i diversi vescovi e cardinali intervistati in questi giorni dalla grande stampa non hanno neanche pensato di misurarsi. Roba da “vecchia Chiesa”, evidentemente.

Ma c’è anche dell’altro: ieri in una intervista al Corriere della Sera, il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, pur riaffermando l’unicità del matrimonio a cui non possono essere assimiliate altri tipi di unione, ha però detto che è dovere dello Stato legiferare sulle «unioni di tipo diverso». A ben vedere è coerente con quanto fin qui sempre sostenuto da monsignor Galantino – e non solo da lui – nel desiderio di prendere atto della realtà.

Il che però equivale a dire che non erano realisti i vescovi italiani nove anni fa, quando – era il marzo 2007 – pubblicarono un documento molto preciso che chiudeva a qualsiasi tipo di legalizzazione di quelle che allora venivano chiamate unioni di fatto. La realtà sociale nove anni fa non era molto diversa da quella attuale se non per la forte pressione ideologica che c’è oggi a proposito delle unioni gay. Pressione che evidentemente non trova grossa resistenza nella CEI di oggi. Il documento del 2007 – “Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto” – centrava la sua riflessione sul bisogno dei bambini e sul bene comune della società, per i quali è necessaria la stabilità delle famiglie fondate sul matrimonio tra uomo e donna. 

Se questo è il punto centrale, allora «la legalizzazione delle unioni di fatto è inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume». 

Il concetto è molto chiaro – nessuna legge in materia è buona - e vale per tutte le unioni di fatto. Lo Stato è chiamato a riconoscere soltanto il patto matrimoniale. Non solo, si fa riferimento esplicito a diritti che sono «propri dei coniugi e che appartengono solo a loro», e si può comprendere che non si tratta soltanto dei figli: ci sono anche diritti sociali ed economici, che oggi la linea della CEI – esplicitata attraverso il quotidianoAvvenire e ribadita da monsignor Galantino – vorrebbe estesi in toto ai conviventi, anche dello stesso sesso.

La Nota, poi prosegue: «Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile». Parole che non hanno bisogno di commento: oggi invece monsignor Galantino – insieme a molti altri - sostiene di fatto l’equivalenza tra convivenze etero e omosessuali, spostando l’attenzione soltanto sul problema delle adozioni e dell’utero in affitto.

È vero che dal punto di vista canonico, la Conferenza episcopale ha soltanto compiti di coordinamento e non magisteriali; ed è altrettanto vero che monsignor Galantino della CEI è soltanto il segretario e non il presidente o vice-presidente, e non ha quindi alcun titolo per parlare a nome dei vescovi italiani. Però siccome egli tende a presentarsi di fatto come portavoce dei vescovi italiani e come tale viene trattato dai media, in assenza di voci che lo contestino dobbiamo ritenere che questo sia l’indirizzo almeno della maggioranza dell’episcopato (perché in realtà sappiamo che ci sono anche vescovi che non hanno perso la memoria e soprattutto il legame con la realtà).

E allora la domanda sorge spontanea: siccome la storia della “nuova Chiesa” è soltanto un argomento ideologico e l’insegnamento non conosce discontinuità, come è possibile che i vescovi italiani oggi contraddicano così clamorosamente ciò che proclamavano con certezza solo pochi anni fa (in gran parte sono gli stessi)? E senza nemmeno sentire il bisogno di spiegarsi? Come si fa a dire oggi che è dovere dello Stato regolare le convivenze omosessuali, quando appena pochi anni fa si scendeva in piazza per sostenere che è dovere dello Stato non riconoscere neanche le unioni di fatto eterosessuali? 

Peraltro la Nota CEI del 2007 è perfettamente coerente con la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003, e non si tratta di princìpi astratti o semplicemente etici. Che qualsiasi forma di riconoscimento di unioni di fatto sia «deleteria per la famiglia» non è un pallino della Chiesa, è ciò che la realtà dei Paesi che già sono avanti su questa strada dimostra in modo inequivocabile. La legittimazione di unioni di fatto, unioni civili o come le si voglia chiamare è solo il primo passo di un cammino di distruzione della famiglia.

Si può essere così ciechi da non vedere la realtà che è sotto i nostri occhi?








[Modificato da Caterina63 14/01/2016 12:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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