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800 anni Giubileo dei Domenicani Il Papa dice loro grazie per ciò che siete e fate

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2017 11:04
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26/01/2016 16:57
 
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  La predicazione profetica e comunitaria per i diritti dell’uomo


Cominciamo con alcune date per dare una collocazione storica ai fatti.


Con la conquista del regno di Granada (1491), l'ultimo territorio iberico ancora in mano ai musulmani, la Castiglia aveva libero accesso alle coste atlantiche, ma si trovava la costa africana e le isole atlantiche sbarrate dai portoghesi.


 


Proprio per questo i sovrani Ferdinando d'Aragona e Isabella I di Castiglia accettarono l'impresa proposta loro dal genovese Cristoforo Colombo che il 12 ottobre 1492 (di mercoledì) Arrivò all’attuale San Salvador dove poi il giorno seguente sbarcò. 


Date di alcuni personaggi


Bartolomeo de Las Casas, O.P.  (Siviglia1484 – Madrid17 luglio 1566) prima encomendero e prete e poi Domenicano.


Antón o Antonio Montesinos, O.P. (c. 1475 - Venezuela, 27 de junio de 1540),


Pedro de Córdoba, O.P.  (Córdoba, 1482 - La Española, 4 de mayo de 1521),


Francisco de Vitoria, O.P.  (Burgos o Vitoria1483/1486 – Salamanca12 gennaio 1546)


Tommaso De Vio, O.P.  detto il Cardinal Gaetano (Gaeta20 febbraio 1469 – Roma10 agosto 1534),


Martin Lutero, (Eisleben10 novembre 1483 – Eisleben18 febbraio 1546): nel 1517 appese le sue 95 "tesi" alla porta della cattedrale di Wittemberg.


I Domenicani non partirono subito, come gli altri Ordini (in particolare Francescani e Agostiniani) alla evangelizzazione delle nuove terre scoperte da Colombo perché impegnati nella riforma dell’Ordine. In tutto l’Ordine, come nella società civile e religiosa, c’è il fermento del rinnovamento ed il timore che l’Ordine si spacchi in due: conservatori (conventuali) e riformati, è molto forte. I Domenicani prima di partire, devono riuscire in questo intento: mantenere l’unità dell’Ordine. Una volta portata a termine la riforma, sono pronti per partire.
Il re Ferdinando il cattolico aveva molte volte chiesto al padre Generale dei Domenicani di inviare i suoi frati nelle nuove terre delle Indie. Solo nel 1510 (in settembre) il padre maestro Generale, allora Tommaso di Vio Gaetano, riuscì a far eseguire dal padre Provinciale della Provincia di Spagna, il suo ordine di inviare frati. Erano in quattro, però sarebbero stati presto in 15.

Questi i nomi dei frati presenti a Ispaniola nel periodo che c’interessa:
1. Nell’ottobre del 1510 arrivarono questi 4: Pedro de Córdoba, Antonio Montesinos, Bernardo de Santo Domingo, sacerdoti, e Domingo de Villamayor, fratello cooperatore.

2. Nel dicembre de 1510 (alla fine) o gennaio (inizio) del 1511 i 5 seguenti: Tomás de Fuentes, Francisco de Molina, Pedro de Medina, Pablo de Trujillo y Tomás de Berlanga.

3. Nel luglio (inizio) de 1511 altri 7: Lope de Paibol, Hernando de Villena, Domingo Velázquez, Francisco de Santa María, Juan de Corpus Christi, Pablo de Carvajal e Domingo de Mendoza, che era l’animatore iniziale e colui che convinse Pedro de Cordoba e Montesinos a partire per le Indie.

Ci racconta il Las Casas: “Il primo ideatore a cui Dio ispirò di condurre finalmente l'Ordine fino alle Indie fu il religioso chiamato Domingo de Mendoza… Per questo suo grande progetto fra Domingo aveva individuato un religioso chiamato fra Pedro de Cordoba che entrò giovanissimo nell'ordine quando era studente nell’università di Salamanca, e, sempre a Salamanca, nel convento di Santo Stefano prese l'abito. Da questo fortunato confratello andò fra Domingo per convincerlo a partecipare all'impresa missionaria e andò anche a smuovere un altro frate chiamato Antonio de Montesinos che amava il rigore della vita religiosa ed era un ottimo predicatore. Persuasero anche un altro sant'uomo fra Bernardo de Santo Domingo poco o niente esperto delle cose del mondo però profondamente compromesso con le cose di Dio, buon letterato, devoto e grande religioso. Fra Domingo si recò a Roma dal padre Maestro Generale dell'Ordine che era fra Tommaso de Vio Gaetano per avere il permesso di andare alle Indie e tornò con la licenza del Maestro Generale e anche con il rescritto del re. Non potendo partire subito per ragioni burocratiche, fra Domingo inviò fra Pedro de Cordova (che aveva 28 anni) come superiore e gli altri due, a cui si aggiunse un fratello cooperatore, perché partissero per la evangelizzazione missionaria”. (Las Casas)

Il viaggio da Salamanca al porto di San Lúcar de Barrameda fu come una’epopea nella storia di questa missione. Fecero tutto il Viaggio a piedi, nel modo più povero chiedendo elemosina e ospitalità nei villaggi che incontravano sul loro cammino. La loro vita spirituale di preghiera la vivevano con tanto fervore come se camminassero in un convento ambulante. (Alcuni storici antichi: Alonso Fernández, Historia del insigne convento de San Esteban de Salamanca de la Orden de Predicadores , Juan de Araya, sempre storia dello stesso convento; Esteban de Mora nella sua historia dello stesso convento aggiunge che “in questo itinerario recitavano l'ufficio divino in comunità all'ora in cui doveva essere recitato come se fossero nel coro del loro convento di Salamanca. Osservavano in silenzio, avevano le loro ore di preghiera e fra Pietro di Cordova in varie occasioni teneva il capitolo conventuale nel campo, non solo per raccomandare a Dio i benefattori, ma anche per riprendere e correggere i loro difetti, benché leggeri.”)

Questi frati erano molto speciali venivano da conventi di studio dove erano stati segnalati per la loro capacità ed erano stati mandati ad Avila ad aprire un nuovo convento visto il loro speciale stile di vita religiosa molto aderente alle proposte della riforma (ripeto siamo all'epoca della riforma dell’Ordine Domenicano). 
“Questi quattro frati portarono l'Ordine in quest’isola. Il frate cooperatore tornò presto in Castiglia e rimasero solo in tre e si cominciò subito a sentire il soave profumo della loro religiosità e Santità.

All’arrivo a Ispaniola furono aiutati e ricevuti da un buon cristiano abitante della città chiamato Pedro de Lombreras che diede loro una capanna, al limitare del suo cortile, nella quale si stabilirono: non c'erano allora disponibili che case di paglia.”  (Bartolomeo de Las Casas, Historia de las Indias, lib. II, cap. LIV)

Le case dei domenicani si chiamano e sono case di predicazione: è la comunità che predica: quando parla una persona il suo discorso vale per essere l'opinione di una persona quando è tutta una comunità che si esprime il discorso prende molta forza. San Domenico ha voluto una comunità di predicatori non un gruppo di persone che predicassero. Montesinos fu incaricato dalla Comunità che arrivò a comporre il testo del sermone dopo lunghe riunioni e discussioni: tutti lo firmarono perché era di tutti e tutti vi si riconoscevano: fra Antonio era “solo” il portavoce che riceve il “precetto formale” (ordine tassativo dato in forza del voto di obbedienza) di andare a predicarlo. Secondo quanto ci dice Bartolomeo De Las Casas fu scelto Montesinos perché, a giudizio della Comunità, era il più adatto a portare quel messaggio. Questa scelta non provocò invidie negli altri frati perché il predicare nel migliore dei modi la Parola di Dio ha la prevalenza su tutti gli altri interessi.

Questa particolarità dei domenicani - la Comunità si fa predicazione – impone che nei loro conventi ci si organizzi per uno studio assiduo in vista della salute delle anime. Non uno studio fine a sé stesso o fine alla conoscenza, al sapere, ma si studia per poter portare meglio la Parola di Dio.

Cosi Scrive il Las casas nella Historia de las Indias: “Davanti all'evidente sottomissione e oppressione degli indios la Comunità dei Domenicani dedicò molte ore di riunione per studiare a fondo il problema, finché decisero di denunciarlo pubblicamente: non potevano tacere: si sentirono obbligati a fare questa pubblica denuncia per la professione che avevano fatto.

Prepararono la denuncia sotto forma di sermone e a questa preparazione dedicarono lunghe riunioni con la partecipazione di tutti i membri della comunità. Una volta redatto il testo, e avendolo ciascuno di loro firmato, fra Pedro de Cordoba, che era il vicario, incaricò fra Antonio de Montesinos di predicarlo alla Messa principale della quarta domenica di avvento. Così avvenne: era il 21 dicembre del 1511 ed era trascorso poco meno di un anno dall'arrivo dei frati all'isola”.  (Las Casas, Historia de las indias, libro III, capítolo 4)

Cosa curiosa: benché si trattasse di un documento scritto e anche sottoscritto, non abbiamo il testo originale ma unicamente un estratto che, tempo dopo, Bartolomeo De las Casas incorporò nella sua opera Historia de las indias (libro III, capitolo 4)

Il Maestro Generale dell'Ordine Tommaso de Vio Gaetano, in una sua lettera ordinò che “i frati che andavano in missione portassero con sé i loro libri” perché la missione non dispensa dallo studio anzi viene richiesto a chi è dedito a un'opera così importante di apostolato di avere una formazione teologica dottrinale e giuridica la più completa possibile. Diceva: un domenicano che non studia almeno quattro ore al giorno non è un bravo domenicano. E così i frati dell'isola Ispaniola avevano con sé poche cose personali però tutti i loro libri sui quali avevano speso tanto tempo durante il loro periodo di formazione.

Gli Indios erano molto maltrattati: torturati, obbligati a lavori forzati, privati della loro libertà e della loro famiglia, costretti come schiavi al servizio dei padroni che li sfruttavano all’eccesso, approfittavano delle loro donne, uccidevano i bambini e gli inabili al lavoro, non li curavano nelle malattie, non venivano istruiti adeguatamente nella fede: motivo principale per cui erano dati agli encomenderos, si muovevano contro di loro guerre sanguinose e fu così che si giunse a sterminare un immenso numero di indios.

I Frati, con a capo Las Casas, che nel frattempo era diventato domenicano anche lui, tentavano l'evangelizzazione pacifica tanto che Las Casas si fece assegnare un territorio abitato da indigeni considerati molto bellicosi chiedendo che non gli venisse data nessuna scorta dell'esercito e così cominciò una evangelizzazione pacifica nel Chiapas. Questi luoghi erano stati prima sede di tante guerre ora si viveva in pace e quella zona venne chiamata Verapaz. Ora Verapaz è parte del Guatemala divisa in due zone Alta Verapaz e Baja Verapaz. I domenicani vi sono ancora presenti a Cobàn: hanno un centro di cultura che si chiama A’kut’an, hanno una bella biblioteca specializzata in cose dell'America Latina e soprattutto una scuola per insegnare ai missionari tutti, catechisti, sacerdoti, religiosi e religiose le lingue maja dei villaggi perché tutti possano ascoltare il Vangelo nella loro madre lingua.

La compassione è un segno distintivo della vita di san Domenico e l’ha inculcata nei suoi frati, fa parte di tante scelte del suo Ordine. I nuovi missionari che vivevano una stretta vita religiosa e che avevano stampato nella propria anima la compassione per quelli che soffrono dialogavano tra loro sopra gli orrori che si consumavano sugli indios e si domandavano: questi non sono uomini? Non dobbiamo osservare con loro i precetti di carità e di giustizia? Non avevano proprie terre e propri capi e propri stati? Non siamo obbligati a predicar loro la legge di Cristo e agire con diligenza perché si  convertano?

Si riviveva in questo spirito il carisma del fondatore, San Domenico di Guzman. Egli aveva a fior di pelle la compassione per le sofferenze del prossimo e aiutava materialmente, spiritualmente e dottrinalmente tutti quelli che erano nella necessità, come uomini liberi che hanno impressa l'immagine e la somiglianza di Dio Padre.

Quando gli adulti indios chiedevano di essere battezzati, veniva loro chiesto di lasciare tutte le altre pratiche religiose e di lasciare pure la poligamia per avere una sola donna come moglie: ma quale? I moralisti rispondevano la prima. Tommaso de Vio Gaetano consigliò di tenere la prima che avevano sposato per amore sponsale. Paolo III ratificò questo suggerimento del cardinale domenicano.

In questo ambiente e con queste motivazioni nacque l’idea di urlare l’indignazione e il “non ci sto” in faccia a tutti.

Ricostruiamo il momento del primo sermone.

La Messa è cominciata è stato proclamato il Vangelo del Battista che tuona nel deserto. Subito dopo il padre Antonio de Montesinos comincia il suo discorso. Inizia con soavità situando nel suo contesto il Vangelo della Messa, però il suo zelo missionario che gli ha fatto contenere giorno e notte le lacrime e i patimenti degli indios, fa levare il tono della sua parola che diventa sempre più ardente. Da questo pulpito lancia le sue frasi rivoluzionarie con un grido di protesta contro l'oppressione degli indios della loro piena libertà come veri uomini con i propri diritti naturali uguali a quelli degli altri uomini, uguali a quelli dei figli di Dio, degni quindi dell'amore di Cristo, redenti con il suo Sangue al pari di tutti gli esseri umani.

Queste sono le parole centrali, incancellabili, ripetute in tutto il mondo, in tutte le lingue durante cinquecento anni.

“Per farvi conoscere queste verità sono salito qui sul pulpito io che sono la voce di Cristo nel deserto di quest’isola. E pertanto conviene che con attenzione, non con una certa attenzione, ma con tutto il vostro cuore con tutti vostri sensi la ascoltiate; questa voce sarà la più nuova che voi abbiate mai udito la più aspra e dura e spaventosa e pericolosa che ma i pensereste di udire: tutti siete in peccato mortale e in esso vivete e morite a causa della crudeltà e tirannia con cui trattate questa gente innocente. Dite: con che diritto, con quale giustizia tenete in così orribile schiavitù questi Indios? Con quale autorità avete mosso sì detestabili guerre a queste genti, che se ne stavano mansuete e pacifiche nelle loro terre, dove tante ne avete distrutte con stragi e morti inaudite? Come li tenete così oppressi e affaticati, senza dar loro da mangiare, senza curarli nelle malattie nelle quali incorrono e muoiono per gli eccessivi lavori che gli date, o per meglio dire, li uccidete ogni giorno per estrarre e avere oro? Quale cura avete che qualcuno li istruisca e possano conoscere il loro Dio e creatore, siano battezzati, ascoltino la messa, osservino le feste e le domeniche? Non sono essi uomini? Non siete obbligati ad amarli come voi stessi? Non capite? Non sentite? Come potete stare addormentati in tanta profondità di sonno così letargico? Abbiate per certo che, nello stato in cui siete, non potete salvarvi più dei mori o dei turchi che non hanno né vogliono la fede di Cristo». (Bartolomé de las Casas, Hist. de las Indias, III, cap. 4).

Frasi taglienti, accusatrici, risuonarono come tuoni nelle coscienze dei presenti sino a farle saltare. Commenti acerbi dopo la messa, interrogativi, proteste sempre più inferocite.
Erano presenti alla predica l'Ammiraglio Diego figlio di Cristoforo Colombo governatore di tutte le Indie e tutti i maggiorenti, convocati dai frati porta per porta, con la promessa di far sentire a tutti cose che sommamente li riguardavano.

 Si doveva esigere una pubblica ritrattazione da parte del predicatore. Quello stesso giorno alla prima ora nel pomeriggio l’Ammiraglio Diego Colòn e gli ufficiali del re nelle Indie vanno a chiederne conto al superiore dei Domenicani che era, come sappiamo, fra Pedro di Cordova. 
Trovano i frati che pranzano mangiando verze solo lessate, senza olio o altro condimento perché non ne avevano, cosa che - dice lo storico Las Casas - capitava spesso perché vivevano in povertà e non accettavano regali per non essere ricattati. Così quando l’Ammiraglio bussa alla porta, al padre priore non costa molta fatica alzarsi da tavola per parlare con gli infuriati spagnoli.
Fra Pedro gli dice che quello di Montesinos era il sermone di tutta la Comunità che era venuta nel Nuovo Mondo per predicare ciò che necessitava alla salvezza delle anime non tenendo in alcun conto tutte le altre umane sollecitazioni.
Comunque promise che la domenica seguente fra Antonio avrebbe parlato sulla stessa materia dicendo le cose più opportune. Cosa che fece rincarando la dose del primo sermone.

Alta Vera Paz

L'eco di quei sermoni risonò subito per tutta la Spagna. Con la prima nave che veniva dalle Indie giunsero anche le proteste contro gli intrepidi frati arrivando fino alla corte reale. Il re Ferdinando comunica al padre Provinciale dei Domenicani la necessità di fare tacere i suoi frati della Ispaniola. Nel mese di marzo del 1512 il Provinciale manda varie lettere per correggere i frati: ordina loro prudenza nei sermoni e di non dubitare dei diritti del re sulle Indie e di rientrare in Spagna piuttosto che turbare gli animi di tutti con le loro idee. I Domenicani della Ispaniola non si arrendono e si dispongono a convincere personalmente la corte e le altre autorità di Spagna.

I due più rappresentativi nella difesa dei diritti degli indios fra Antonio de Montesinos e fra Pedro de Córdoba decidono di andare in Spagna per relazionare direttamente al re. Per poter partire devono chiedere l'elemosina per pagarsi il viaggio e molti si tirarono indietro però alcuni di buon cuore diedero i soldi necessari e s'imbarcano verso la Spagna.
Con loro va il Vicario Provinciale dei Francescani mandato dai coloni per difendere le loro ragioni presso la corte. Molta parte del clero era connivente per interessi materiali.

I due domenicani non vengono ricevuti dal re però con un artificio Montesinos riesce a parlarci.
Quando il re Ferdinando apprende le cose direttamente dalla bocca dei testimoni che le hanno vissute va in crisi e si vede nella necessità di studiare più a fondo quei fatti che hanno commosso tutto il paese. Stabilisce in Burgos una giunta tra giuristi e teologi che esaminino le denunce del governo delle Indie e che elaborino delle leggi che faranno tacere tutte le voci e risolveranno le difficoltà.

Furono promulgate le “Leggi di Burgos” il 27 dicembre del 1512; saranno poi elaborate meglio con le “Nuove Leggi” e ancora di più con le “Leggi di Valladolid” nel 1513: sono più che altro un codice sul lavoro, però non si occupano solo di ciò che si riferisce al lavoro ma si guarda anche alla buona convivenza tra spagnoli e indios e alla formazione integrale dei lavoratori.
Queste Leggi furono disattese perché altri interessi premevano e non certo la salute degli Indios. Las Casas, per difendere la causa degli Indios, viaggia dalla Spagna all'America ben cinque volte: 1515, 1517, 1530, 1538, 1547. E ci voleva un bel coraggio e una forte fede nelle proprie convinzioni.
Gli viene organizzata una disputa con il Gesuita Sepulveda, un  dotto che andava allora per la maggiore. Questa disputa non terminò mai perché quando era chiara la vittoria di fra Bartolomeo, non si parlò più di disputa.

L'uomo che definisce sé stesso come essere intelligente, libero, sociale e politico, che è orientato, o meglio diretto dalla medesima forza della sua natura intelligente verso la massima perfezione personale e sociale, incontra nei sermoni Montesinos come un seme che spera di far crescere fino al raggiungimento dei massimi frutti.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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