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Omelie del Papa da Santa Marta Anno del Giubileo (5)

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2016 15:44
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22/09/2016 14:05
 
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Francesco: la vanità è l'osteoporosi dell'anima


Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM





22/09/2016




L’inquietudine che viene dallo Spirito Santo e l’inquietudine che viene dalla coscienza sporca, la vanità che trucca la vita come un’osteoporosi dell’anima: di questo ha parlato il Papa nell’omelia della Messa del mattino a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti




Le due inquietudini
Il Vangelo del giorno presenta il re Erode inquieto perché, dopo aver ucciso Giovanni il Battista, ora si sente minacciato da Gesù. Era preoccupato come il padre, Erode il Grande,  dopo la visita dei Magi. “C’è nell’anima nostra – ha affermato il Papa - la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l’inquietudine” che “ci dà lo Spirito Santo e fa che l’anima sia inquieta per fare cose buone” e c’è “la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca”. E i due Erode risolvevano la loro inquietudine uccidendo, andavano avanti passando “sopra i cadaveri della gente”:

“Questa gente che ha fatto tanto male, che fa del male e ha la coscienza sporca e non può vivere in pace, perché vive in un prurito continuo, in una orticaria che non li lascia in pace… Questa gente ha fatto il male, ma il male ha sempre la stessa radice, qualsiasi male: la cupidigia, la vanità e l’orgoglio. E tutti e tre non ti lasciano la coscienza in pace; tutti e tre non lasciano entrare la sana inquietudine dello Spirito Santo, ma ti portano a vivere così: inquieti, con paura. Cupidigia, vanità e orgoglio  sono la radice di tutti i mali”.

La vanità, osteoporosi dell'anima
La prima Lettura del giorno, tratta dal Qoèlet, parla della vanità:

“La vanità che ci gonfia. La vanità che non ha lunga vita, perché è come una bolla di sapone. La vanità che non ci dà un vero guadagno. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna? Si affanna per apparire, per fingere, per sembrare. Questa è la vanità. Se vogliamo dirlo semplicemente: la vanità è truccare la propria vita. E questo ammala l’anima, perché uno se trucca la propria vita per apparire, per sembrare, e tutte le cose che fa sono per fingere, per vanità, ma alla fine cosa guadagna? La vanità è come una osteoporosi dell’anima: le ossa di fuori sembrano buone, ma dentro sono tutte rovinate. La vanità ci porta alla truffa”.

Faccia da immaginetta, ma la verità è un'altra
Come i truffatori “segnano le carte” per vincere – ha aggiunto - e poi “questa vittoria è finta, non è vera. Questa è la vanità: vivere per fingere, vivere per sembrare, vivere per apparire. E questo inquieta l’anima”. San Bernardo – ricorda il Papa - dice una parola forte ai vanitosi: “Ma pensa a quello che tu sarai. Sarai pasto dei vermi. E tutto questo truccarti la vita è una bugia, perché ti mangeranno i vermi e non sarai niente”. Ma dov’è la forza della vanità? Spinti dalla superbia verso le cattiverie, "non permettere che si veda uno sbaglio, coprire tutto, tutto si copre”:

“Quanta gente noi conosciamo che sembra… ‘Ma che buona persona! Va a Messa tutte le domeniche. Fa grosse offerte alla Chiesa’. Questo è quello che si vede, ma l’osteoporosi è la corruzione che hanno dentro. C’è gente così - ma c’è gente santa pure! – che fa questo. La vanità è questo: ti fa apparire con una faccia di immaginetta e poi la tua verità è un’altra. E dov’è la nostra forza e la sicurezza, il nostro rifugio? Lo abbiamo letto nel salmo interlezionale: ‘Signore tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione'. E prima del Vangelo abbiamo ricordato le parole di Gesù: 'Io sono la via, la verità e la vita’. Questa è la verità, non il trucco della vanità. Che il Signore ci liberi da queste tre radici di tutti i mali: la cupidigia, la vanità e l’orgoglio. Ma soprattutto della vanità, che ci fa tanto male”.




Papa: vincere la desolazione spirituale con la preghiera

Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

Francesco a Santa Marta - OSS_ROM

27/09/2016 

Cosa succede nel nostro cuore quando veniamo presi dalla “desolazione spirituale”? E’ la domanda che Francesco pone nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sulla figura di Giobbe. Il Papa ha messo l’accento sull’importanza del silenzio e della preghiera per vincere i momenti più bui. Nell’occasione della memoria di San Vincenzo de Paoli, il Papa ha quindi offerto la Messa per le suore vincenziane, le Figlie della Carità, che presentano servizio a Casa Santa Marta.

“Giobbe era nei guai: aveva perso tutto”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Prima Lettura che ci mostra Giobbe spogliato di ogni suo bene, perfino dei suoi figli. Si sente ormai perso, ma non maledice il Signore.

Tutti prima o poi viviamo una grande desolazione spirituale
Giobbe vive una grande “desolazione spirituale” e si sfoga davanti a Dio. E’ lo sfogo di un “figlio davanti al padre”. Così fa anche il profeta Geremia che si sfoga con il Signore, ma mai bestemmiano:

“La desolazione spirituale è una cosa che accade a tutti noi: può essere più forte, più debole … Ma, quello stato dell’anima oscuro, senza speranza, diffidente, senza voglia di vivere, senza vedere la fine del tunnel, con tante agitazioni nel cuore e anche nelle idee … La desolazione spirituale ci fa sentire come se noi avessimo l’anima schiacciata: non riesce, non riesce, e anche non vuol vivere: ‘Meglio è la morte!’. E’ lo sfogo di Giobbe. Meglio morire che vivere così. Noi dobbiamo capire quando il nostro spirito è in questo stato di tristezza allargata, che quasi non c’è respiro: a tutti noi capita, questo. Forte o non forte … A tutti noi. Capire cosa succede nel nostro cuore”.

Questa, ha soggiunto, è “la domanda che noi possiamo farci: ‘Cosa si deve fare quando noi viviamo questi momenti oscuri, per una tragedia familiare, una malattia, qualche cosa che mi porta giù”. Qualcuno, ha rilevato, pensa di “prendere una pastiglia per dormire” e allontanarsi “dai fatti”, o “prendere due, tre, quattro bicchierini”. Questo, ha ammonito, “non aiuta”. La liturgia di oggi, invece, “ci fa vedere come fare con questa desolazione spirituale, quando siamo tiepidi, giù, senza speranza”.

Quando ci sentiamo persi, pregare Dio con insistenza
Nel Salmo responsoriale, il Salmo 87, c’è la risposta: “Giunga fino a Te la mia preghiera, Signore”. Bisogna pregare, ha detto il Papa, pregare forte, come ha fatto Giobbe: gridare giorno e notte affinché Dio tenda l’orecchio:

“E’ una preghiera di bussare alla porta, ma con forza! ‘Signore, io sono sazio di sventure. La mia vita è sull’orlo degli Inferi. Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze’. Quante volte noi ci sentiamo così, senza forze … E questa è la preghiera. Lo stesso Signore ci insegna come pregare in questi brutti momenti. ‘Signore, mi hai gettato nella fossa più profonda. Pesa su di me il Tuo furore. Giunga fino a Te la mia preghiera’. Questa è la preghiera: così dobbiamo pregare nei momenti più brutti, più oscuri, più di desolazione, più schiacciati, che ci schiacciano, proprio. Questo è pregare con autenticità. E anche sfogarsi come si è sfogato Giobbe con i figli. Come un figlio”.

Il Libro di Giobbe parla poi del silenzio degli amici. Davanti a una persona che soffre, ha sottolineato il Papa, “le parole possono fare male”. Quello che conta è stare vicino, far sentire la vicinanza, “ma non fare discorsi”.

Silenzio, presenza e preghiera, così si aiuta davvero chi soffre
“Quando una persona soffre, quando una persona è nella desolazione spirituale – ha ripreso – si deve parlare il meno possibile e si deve aiutare con il silenzio, la vicinanza, le carezze la sua preghiera davanti al Padre”:

“Primo, a riconoscere in noi i momenti della desolazione spirituale, quando siamo nel buio, senza speranza, e domandarci perché. Secondo, a pregare il Signore come oggi la liturgia con questo Salmo 87 ci insegna a pregare, nel momento del buio. ‘Giunga fino a Te la mia preghiera, Signore’. E terzo, quando io mi avvicino a una persona che soffre, sia di malattia, di qualsiasi sofferenza, ma che è proprio nella desolazione, silenzio; ma silenzio con tanto amore, vicinanza, carezze. E non fare discorsi che alla fine non aiutano e, anche, le fanno del male”.

“Preghiamo il Signore – ha concluso Francesco – perché ci dia queste tre grazie: la grazia di riconoscere la desolazione spirituale, la grazia di pregare quando noi saremo stati sottomessi a questo stato di desolazione spirituale, e anche la grazia di sapere accompagnare le persone che soffrono momenti brutti di tristezza e di desolazione spirituale”.






Papa: dottrine e ideologie incantano, ma è lo Spirito che fa andare avanti

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante la Messa a Santa Marta - OSS_ROM

06/10/2016

La vera dottrina non è rigido attaccamento alla Legge che incanta come le ideologie, ma è la rivelazione di Dio che si lascia trovare ogni giorno di più da quanti sono aperti allo Spirito Santo: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.

Nelle letture del giorno si parla dello Spirito Santo: è “il grande dono del Padre” - afferma Papa Francesco - è la forza che fa uscire la Chiesa con coraggio perché arrivi alla fine del mondo. Lo Spirito è “il protagonista di questo andare avanti della Chiesa”. Senza di Lui, c’è “chiusura, paura”. Il Papa indica tre atteggiamenti che possiamo avere con lo Spirito. Il primo è quello che San Paolo rimprovera ai Galati: il credere di essere giustificati dalla Legge e non da Gesù “che dà senso alla Legge”. E così erano “troppo rigidi”. Sono gli stessi che attaccavano Gesù e che il Signore chiamava “ipocriti”:

“E questo attaccamento alla Legge fa ignorare lo Spirito Santo. Non lascia che la forza della redenzione di Cristo venga avanti con lo Spirito Santo. Ignora; solo la Legge.  E’ vero ci sono i Comandamenti e noi dobbiamo seguire i Comandamenti; ma sempre dalla grazia di questo dono grande che ci ha dato il Padre, suo Figlio, è il dono dello Spirito Santo. E così si capisce la Legge. Ma non ridurre lo Spirito e il Figlio alla Legge. Questo era il problema di questa gente: ignoravano lo Spirito Santo e non sapevano andare avanti. Chiusi, chiusi nelle prescrizioni: si deve fare questo, si deve fare quell’altro. Alle volte, a noi, può succedere di cadere in questa tentazione”.

I Dottori della Legge – afferma il Papa – “incantano con le idee”:

“Perché le ideologie incantano; e così Paolo incomincia, qui: ‘Stolti Galati, chi vi ha incantati?’. Quelli che predicano con ideologie:  è tutto giusto! Incantano: tutto chiaro! Ma guarda la rivelazione di Dio non è chiara, eh? La rivelazione di Dio la si trova ogni giorno in più, in più; in cammino sempre. E’ chiara? Sì! Chiarissima! E’ Lui, ma noi dobbiamo trovarla in cammino. E quelli che credono che hanno tutta la verità in mano non sono ignoranti, Paolo dice di più: ‘Stolti!’. Che si sono lasciati incantare”.

Il secondo atteggiamento è rattristare lo Spirito Santo: accade “quando non lasciamo che Lui ci ispiri, ci porti avanti nella vita cristiana”, quando “non lasciamo che Lui ci dica, non con la teologia della Legge, ma con la libertà dello Spirito, cosa dobbiamo fare”. Così – spiega il Papa – “diventiamo tiepidi”, cadiamo nella “mediocrità cristiana” perché lo Spirito Santo “non può fare la grande opera in noi”.

Il terzo atteggiamento, invece, “è aprirsi allo Spirito Santo e lasciare che lo Spirito ci porti avanti. E’ quello che hanno fatto gli Apostoli: il coraggio del giorno di Pentecoste. Hanno perso la paura e si sono aperti allo Spirito Santo”. “Per capire, per accogliere le parole di Gesù – afferma il Papa - è necessario aprirsi alla forza dello Spirito Santo. E quando un uomo, una donna, si apre allo Spirito Santo è come una barca a vela che si lascia trascinare dal vento e va avanti, avanti, avanti e non si ferma più”. Ma occorre “pregare per aprirsi allo Spirito Santo”:

“Noi ci possiamo domandare oggi, in un momento della giornata, io ignoro lo Spirito Santo? E so che se vado a Messa la domenica, se faccio questo, se faccio questo è sufficiente? Secondo: la mia vita è una vita a metà, tiepida, che rattrista lo Spirito Santo e non lascia in me la forza di andare avanti, di aprirmi o finalmente la mia vita è una preghiera continua per aprirsi allo Spirito Santo, perché Lui mi porti avanti con la gioia del Vangelo e mi faccia capire la dottrina di Gesù, la vera dottrina, quella che non incanta, quella che non ci fa stolti, ma la vera? E ci faccia capire dove c’è la nostra debolezza, quella che rattrista Lui; e ci porti avanti, portando avanti anche il nome di Gesù agli altri e insegnando la strada della salvezza. Che il Signore ci dia questa grazia: aprirci allo Spirito Santo per non diventare stolti, incantati né uomini e donne che rattristano lo Spirito”. 






MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Facce toste

Martedì, 11 ottobre 2016


 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.224, 12/10/2016)

«Religione dell’apparire» o «strada dell’umiltà»? Nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 11 ottobre, Papa Francesco ha indicato una scelta decisiva per la vita di ogni cristiano: anche nel «fare il bene», infatti, si può incorrere in un pericoloso fraintendimento, che è quello di mettere avanti noi stessi e non «la redenzione che Gesù ci ha dato». L’obiettivo è quello di affermare «la nostra libertà interiore» mostrandoci al mondo come realmente siamo nel nostro cuore, senza facili o furbesche operazioni di «maquillage» esteriore.

La riflessione del Pontefice è partita proprio dal concetto di libertà. Lo spunto è venuto dalla prima lettura del giorno (Galati, 5, 1-6), nella quale l’apostolo Paolo Invita a «stare saldi e non lasciarsi imporre di nuovo il giogo della schiavitù, cioè di essere liberi: liberi nella religione, liberi nell’adorazione a Dio». Ecco il primo insegnamento: «mai perdere la libertà». Ma quale libertà? «La libertà cristiana — ha spiegato il Papa — soltanto viene dalla grazia di Gesù Cristo, non dalle nostre opere, non dalle nostre cosiddette “giustizie”, ma dalla giustizia che il Signore Gesù Cristo ci ha dato e con la quale ci ha ricreato». Una giustizia, ha aggiunto, «che viene proprio dalla Croce».

Su questo argomento insiste anche il passo del Vangelo proposto dalla liturgia (Luca, 11, 37-41). Qui si legge di Gesù che rimprovera un fariseo, un dottore della legge. Lo rimprovera perché, ha ricordato il Papa, «questo fariseo invita Gesù a pranzo e Gesù non fa le abluzioni, cioè non si lava le mani»: non compie dunque quelle pratiche «che erano abitudini nella legge antica». Di fronte a certe rimostranze, il Signore afferma: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria». Un concetto, ha fatto notare Francesco, che Gesù «ripete tante volte nel Vangelo» mettendo in guardia certa gente con parole chiare: «Il vostro interno è cattivo, non è giusto, non è libero. Siete schiavi perché non avete accettato la giustizia che viene da Dio». Che è poi «la giustizia che ci ha dato Gesù».

In un altro passo si legge che Gesù, dopo aver esortato alla preghiera, insegna anche come si debba fare: «Nella tua stanza, che nessuno ti veda, così soltanto il tuo Padre ti vede». L’invito, quindi è a «non pregare per apparire», per farsi vedere, come faceva quel fariseo che — narra sempre il Vangelo — davanti all’altare del tempio diceva: «Dio, grazie, Signore, perché non sono peccatore». Quelli che agivano così, ha commentato il Pontefice, erano proprio delle «facce toste» e «non avevano vergogna».

Di contro a certi atteggiamenti, c’è il suggerimento dato da Gesù stesso e che il Papa ha così sintetizzato: «Quando fate del bene e date l’elemosina non fatelo per essere ammirati. La tua mano destra non sappia cosa fa la sinistra. Fatelo di nascosto. E quando fate penitenza, digiuno, per favore guardatevi dalla malinconia, non siate malinconici perché tutto il mondo sappia che state facendo penitenza». In sostanza: quello che importa «è la libertà che ci ha dato la redenzione, che ci ha dato l’amore, che ci ha dato la ri-creazione del Padre». È una libertà interiore, che porta a fare «il bene di nascosto, senza far suonare la tromba»: infatti, «la strada della vera religione è la stessa strada di Gesù: l’umiltà, l’umiliazione». Tanto che Gesù — ha ricordato il Pontefice citando la lettera di Paolo ai Filippesi — «umiliò se stesso, svuotò se stesso». E ha aggiunto: «È l’unica strada per togliere da noi l’egoismo, la cupidigia, la superbia, la vanità, la mondanità».

Di fronte a questo modello troviamo invece l’atteggiamento di coloro che Gesù rimprovera: «gente che segue la religione delmaquillage: l’apparenza, l’apparire, fare finta di sembrare, ma dentro...». Per loro, ha sottolineato il Papa, Gesù usa «un’immagine molto forte: “Voi siete sepolcri imbiancati, belli al di fuori ma dentro pieni di ossa di morti e marciume”». Al contrario, «Gesù ci chiama, ci invita a fare il bene con umiltà», perché altrimenti si cade in un fraintendimento pericoloso: «Tu puoi fare tutto il bene che vuoi, ma se non lo fai umilmente, come ci insegna Gesù, questo bene non serve, perché un bene che nasce da te stesso, dalla tua sicurezza, non dalla redenzione che Gesù ci ha dato». Una redenzione che, ha detto Francesco, arriva attraverso «la strada dell’umiltà e delle umiliazioni»: infatti «non si arriva mai all’umiltà senza le umiliazioni». Tant’è che «vediamo Gesù umiliato in croce».

Ecco allora l’esortazione che ha concluso l’omelia: «Chiediamo al Signore di non stancarci di andare su questa strada, di non stancarci di respingere questa religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di...». L’impegno dev’essere invece quello di procedere «silenziosamente, facendo il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore».







[Modificato da Caterina63 12/10/2016 19:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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