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Meditazioni quotidiane per il 2016 mese per mese (1)

Ultimo Aggiornamento: 15/05/2016 18:45
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14/04/2016 18:18
 
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QUESTA E' LA STORIA DEL GOVERNATORE
CHE COSTRUì IL PONTE CHE NON SI POTEVA FARE

C'era una volta, in mezzo ad un Oceano, uno Stato composto da due isole. 
Erano divise da un braccio di mare ampio qualche decina di miglia. Da secoli gli abitanti di quel paese si spostavano da un'isola all'altra per mezzo di un battello, e la cosa funzionava benissimo, anche se erano necessarie parecchie ore per la traversata. Ma arrivò un tempo in cui ognuno voleva fare quel che voleva, in modo sempre più veloce e l'attesa non era più tollerabile. "Troppo dura per noi!", urlavano in piazza 
davanti al Governo. "Il passato è passato; nel tempo presente questo ci è diventato insopportabile!", incalzavano.

Il Governatore di quello Stato era uno che ascoltava, ascoltava parecchio il suo popolo. "Non preoccupatevi. Costruiremo un ponte, così potrete viaggiare più liberamente.". Gli Esperti del Ministero delle Infrastrutture iniziarono a studiare il problema. Crearono un Comitato e alla fine produssero un responso: "Non si può fare: le correnti marine sono troppo forti e faranno cadere i pilastri.".

Il Governatore lesse la risposta e, siccome era uno che ascoltava, ascoltava in continuazione il suo popolo e voleva compiacerlo, rispose: 
"Non preoccupatevi. Costruiremo un ponte con una sola campata, così i pilastri saranno sulla terraferma.". Gli Esperti del Ministero delle Infrastrutture iniziarono a studiare il problema. Crearono un Comitato e alla fine produssero un responso: "Non si può fare a causa delle Leggi della Natura: la forza di gravità spezzerà i cavi di sospensione.".

Il Governatore lesse la risposta e, siccome era uno che ascoltava, ascoltava paternamente il suo popolo, rispose: "Ma questa è la Teoria. In Pratica si può fare, perché la Natura non è così dura nei confronti delle sue creature.". Gli Esperti del Ministero delle Infrastrutture risposero: 
"La Pratica non può farsi senza Teoria. E la Natura non è dura: senza la forza di gravità non ci sarebbero creature, perché tutto l'Universo sarebbe solo un ammasso di particelle sparse. Che un tal ponte non si possa costruire è semplicemente la conseguenza delle cose.".

Il Governatore lesse la risposta e, siccome amava veramente il suo popolo, decise di procedere lo stesso. Così costruirono le torri, poi tirarono i cavi di sospensione, e in poche settimane il ponte era in piedi. Il giorno dell'inaugurazione fu tenuta una gran cerimonia e tutti parlavano di evento storico. Il popolo era così riconoscente nei confronti del Governatore e così felice del progresso compiuto; e tutti insieme proclamarono entusiasticamente il Primato della Pratica. Il Ministero delle Infrastrutture poi licenziò tutti gli Esperti che si erano opposti a quella mirabile opera.

Qualche tempo dopo il ponte era sempre pieno di gente che viaggiava da un'isola all'altra. Solo una piccola parte del popolo non si fidava e preferiva spostarsi alla vecchia maniera, sul battello. Ma, siccome la Natura non si può ingannare, alla fine i cavi cedettero e il ponte crollò.

Moltissimi furono i morti e tanti i feriti. I passeggeri del battello, 
ovviamente, rimasero illesi. Le conseguenze furono notevoli e quello Stato sperimentò la rovina per decenni; poi, lentamente, si rimise in piedi e la vita ricominciò come quando il ponte non c'era. Ma tutti avevano capito che il ponte era solo una falsa soluzione; e, dopotutto, non c'erano ragioni per avere così tanta fretta.

Da quelle parti raccontano ancora la storia del Governatore che costruì il ponte che non si poteva fare. E del suo amore per il popolo, amore privato della ragione, che li portò alla rovina.




ITINERARI DI FEDE
 


 

La fondazione della chiesa della Madonna dell’Impruneta, (Firenze), è legata a un evento miracoloso. Si narra che,  volendo costruire una cappella alla Madonna sul Monte delle Sante Marie, i buoi che trainavano il carro con le pietre per la costruzione si inginocchiarono nel punto in cui fu rinvenuta la sacra immagine.

di Margherita Del Castillo


La chiesa della Madonna dell’Impruneta, appena fuori di Firenze, è Basilica Giubilare. In origine era una pieve, una chiesa rurale, oggi è uno dei Santuari mariani più importanti di tutta la Toscana. L’affetto e la devozione riservata a questo luogo è legata alla veneratissima icona della Vergine, qui custodita, il cui miracoloso ritrovamento fu motivo della sua fondazione. 

Si narra, infatti, che volendo costruire una cappella alla Madonna sul Monte delle Sante Marie, e cedendo di notte le mura che di giorno venivano erette, si decise di attendere un segnale divino. Quest’ultimo arrivò quando i buoi che trainavano il carro con le pietre per la costruzione si inginocchiarono nel punto in cui fu poi rinvenuta la sacra immagine.  

L’anno di consacrazione, il 1060, è ricordato dalla lapide posta in facciata. Dell’edificio romanicorestano la cripta, sotto l’area del presbiterio, e l’alta torre campanaria merlata, della fine del XIII secolo. Il prospetto principale è caratterizzato da un pronao di cinque arcate sormontate da finestre rettangolari, realizzato nel 1634 come ringraziamento a Maria per avere fatto cessare un’epidemia di peste. Sul fianco sinistro, simmetrica al campanile, si innalza la torre civica, un tempo parte della fortificazione edificata a protezione della ricca pieve. 

Nei secoli la chiesa venne ingrandita e trasformata. L’intervento più significativo fu quellodell’architetto Alessandro Saller che nel 1714 trasformò lo spazio interno, arricchendolo di un prezioso soffitto intagliato e dorato e di finestre di gusto barocco. I bombardamenti dell’ultima guerra hanno cancellato le tracce di queste decorazioni e all’unica navata il restauro del secolo scorso ha restituito un aspetto tardo cinquecentesco. Le capriate a vista e gli altari in pietra serena che si susseguono lungo le pareti circoscrivono l’ambiente, ampio e spazioso perché pensato per accogliere tanti fedeli e pellegrini. 

Il presbiterio, sopraelevato, è delimitato da due tempietti attribuiti, nel loro disegno, a Michelozzo.Essi sono rispettivamente dedicati alla Vergine e al Santissimo Sacramento. In quello di sinistra si conserva l’icona mariana, a lungo ritenuta opera di San Luca. La tavola, del XIII secolo, versando in cattive condizioni venne ridipinta dal pittore Ignazio Hughford nel 1758. Nei riquadri superiori due angeli sono disegnati a testa in giù perché provengono dal cielo e sono diretti verso la terra. Tra le mani reggono ciascuno un libro aperto su cui si legge “Gloria in excelsis Deo”.  

La Madonna, lo sguardo sereno, seduta sul trono, tiene in grembo il Suo Bambino, di cui dolcementestringe la mano benedicente. L’edicola è decorata con splendide ceramiche di Luca della Robbia, che corrono sul frontone e sono incastonate nella copertura. E sempre a Luca della Robbia si deve la Crocefissione, tra San Giovanni Battista e un santo vescovo, del tabernacolo del tempietto di destra. L’altare maggiore, ricostruito con i frammenti di quello del XII secolo, ospita il grande polittico di Pietro Nelli, datato 1375, che rappresenta la Madonna con il Bambino tra Santi. Un’abside pentagonale conclude lo spazio.

Esiste da sempre un legame profondo tra la Vergine dell’Impruneta e Firenze che, nei momenti didifficoltà, a Lei si è sempre affidata, portandola solennemente in processione fino in città. Nel 1529 il Consiglio Maggiore della Repubblica Fiorentina proclamò la Vergine dell’Impruneta “sua unica et particulare Regina”.


 


  LA PROFEZIA DI SAN GIOVANNI BOSCO AI SAVOIA

Il Risorgimento anticlericale condusse alla rovina la famiglia del re nel giro di 4 generazioni... come predetto da don Bosco di Alberto Torresani I Savoia, prima come conti, poi duchi e infine come re di Sardegna, sono stati presenti in Piemonte per quasi mille anni. Reggevano uno Stato cuscinetto per tenere distanti due grandi potenze: Francia e Impero tedesco.
Hanno assolto tale funzione adottando l'alleanza col maggiore offerente, acquistando un territorio sempre più esteso ed armando sempre un esercito superiore alle loro finanze, da impiegare oculatamente, per intimorire l'avversario.
La storia di quella famiglia conosce alcuni casi di santità, a preferenza tra le donne, perché venivano educate con rigore morale, mentre gli uomini dovevano essere rudi soldati, coi relativi usi e costumi. La rivoluzione francese rischiò di travolgere i Savoia. Furono sconfitti da Napoleone e il re trovò rifugio in Sardegna, difeso dalla flotta di Nelson.

Il Piemonte corse il rischio di esser trasformato in un dipartimento francese: solamente la vittoria dell'ultima coalizione antifrancese riportò Vittorio Emanuele I a Torino. Qui giunto, allontanò da corte coloro che si erano compromessi col governo francese, ma le terre confiscate agli enti ecclesiastici rimasero ai nuovi proprietari. Purtroppo, nessun re di casa Savoia risultò una mente superiore e così andò sprecato un tesoro immenso, la fedeltà dei loro sudditi.
Fra tutte le opzioni politiche allora discusse per unificare l'Italia, il modello federativo suggerito da Antonio Rosmini, che era il migliore, fu sciupato da Carlo Alberto. Nel 1847, il papa Pio IX inviò Mons. Corboli Bussi in missione a Firenze, Modena, Parma e Torino, proponendo l'Unione Doganale tra quegli Stati, a somiglianza di quanto era avvenuto per lo Zollverein tedesco, preludio dell'unificazione politica. La missione ricevette risposta positiva ovunque, meno che a Torino. Qui ormai prevalevano venti di guerra.

UN ANTICLERICALISMO MONTANTE

Durante la Prima guerra del Risorgimento i liberali si scoprirono antigesuiti, anticlericali, desiderosi di uscire da ogni tutela ecclesiastica. Fu decisa la cacciata dei Gesuiti (una ventina) e la chiusura delle loro scuole, comprese quelle dei "gesuitanti" come le Dame del Sacro Cuore. A Chambery, in Savoia, esse avevano una scuola superiore femminile, frequentata anche da alunne francesi e svizzere.
I deputati della Savoia che lamentavano, in caso di chiusura, l'assenza completa di istituti analoghi in grado di sostituirla, si sentirono dire dal ministro: "Meglio nessuna scuola piuttosto di una scuola di gesuitanti". Don Bosco, nel 1848, notò tra i suoi ragazzi un crescente bellicismo con fioritura di esercizi militari, marce, odio al nemico e dovette prodigarsi perché quei sentimenti non distruggessero il suo lavoro. Per poco tempo don Bosco ritenne possibile favorire un qualche partito che si ponesse a difesa dei valori cattolici, ma quando percepì la disunione esistente tra i cittadini dichiarò di aderire al "partito del Papa" nel senso di obbedire a principi religiosi non legati a partiti. Avendo bisogno di tutti non poteva schierarsi per alcuno.

LA PROFEZIA DI DON BOSCO

La Prima guerra del Risorgimento terminò col disastro di Novara nel febbraio 1849, l'abdicazione di Carlo Alberto e la successione di Vittorio Emanuele Il.
Ben presto si fece luce il liberalismo del Cavour, dapprima come ministro di Commercio e Agricoltura, poi dal 1852 come primo ministro. Cavour decise di appiattire la politica piemontese su quella d'Oltralpe: perciò riforme liberali, investimenti in infrastrutture come strade, porti, ferrovie, telegrafo.
Nel 1855 il Cavour prese a pretesto la necessità di ridurre la voce del bilancio statale riservata al culto. Perciò, unilateralmente, decise la confisca di metà del patrimonio ecclesiastico presente nel Regno, di venderlo e col ricavato costituire un fondo dal quale attingere per le future necessità del culto.
Il re Vittorio Emanuele II pensava che fosse un buon affare.

Don Bosco ebbe una delle sue premonizioni e fece sapere al re di aver sognato un valletto che annunciava tristemente: «Grandi funerali a corte» e supplicò perciò il Sovrano «che pensasse a regolarsi in modo da schivare i minacciati castighi, e di impedire a qualunque costo quella legge», e gli fece sapere che chi ruba alla Chiesa non arriva alla quarta generazione.
Non fu ascoltato e, durante la discussione della legge, la famiglia del re fu colpita da quattro lutti: in poco tempo morirono la moglie del re col figlio di otto giorni, la madre e l'unico fratello.

LO STATO È TUTTO, LA CHIESA È NIENTE

La Seconda guerra d'indipendenza fu il capolavoro del Cavour che con l'intervento francese trovò l'unico modo per sconfiggere l'Austria.

Furono acquisite la Lombardia, i Ducati padani, le legazioni di Romagna e il Granducato di Toscana. Seguì la conquista del resto d'Italia con Garibaldi in Sicilia e l'esercito piemontese che lo ferma a Napoli, rimandando a più tardi la presa di Roma.
Il governo italiano diceva di praticare la nota politica di Cavour «libera Chiesa in libero Stato», ma nei fatti si riteneva erede degli Stati preunitari che avevano esercitato il diritto di placet e di veto per le nomine episcopali. Molte diocesi erano senza vescovo perché o defunto o scacciato.

Bastava aver detto mezza parola o scritto una riga critica nei confronti della nuova realtà politica per venire esclusi dalla nomina a vescovo.
Don Bosco fu inviato da Pio IX nelle diocesi sprovviste di vescovi per cercare candidati all'episcopato. Dopo aver effettuato l'inchiesta canonica, quei nominativi venivano portati al Ministro degli interni che effettuava la propria indagine e finalmente si poteva nominare il vescovo. Insomma, la Chiesa aveva la libertà del girarrosto che può solo presentare alla fiamma la parte non ancora ben rosolata. Il De Sanctis spiegava che in quel momento il motto di Cavour andava interpretato nel senso che «lo Stato è tutto e la Chiesa niente».

LA PROFEZIA SI COMPIE

Il papa Leone XIII volle edificare un tempio votivo nei pressi della stazione Termini, con la stessa funzione del Sacro Cuore di Parigi. I costruttori fecero il riccio della spesa e fermarono i lavori annunciando che i denari erano finiti.
Il cardinal Nina suggerì al Papa di affidare il completamento dell'edificio a don Bosco, giudicato un imprenditore che non si faceva imbrogliare. Dovette compiere due viaggi a Parigi e uno a Barcellona per trovare il denaro necessario. La chiesa fu portata a termine e don Bosco poté celebrare una Messa di ringraziamento nel corso della quale molte volte si commosse fino al pianto, rievocando le tappe del cammino che la Provvidenza gli aveva riservato. Ancora adesso i Salesiani curano l'avviamento professionale di giovani sottratti alla strada per munirli di solide competenze lavorative e di un orientamento cristiano alla vita.
I Savoia, invece, fecero le guerre coloniali, poi la Prima guerra mondiale a seguito di un colpo di Stato del sovrano; poi, con un secondo colpo di Stato, scelsero Mussolini come primo ministro che procurò loro l'Impero d'Etiopia e il regno di Albania e infine lo scacciarono. Vittorio Emanuele III non imitò il trisnonno Carlo Alberto e non si dimise nel 1943.
Quando lo fece, nel 1946 era troppo tardi e il 2 giugno il referendum scelse la repubblica: Umberto II, il re di maggio, andò in esilio.

Era la quarta generazione dei Savoia in Italia: la profezia di don Bosco così si adempiva del tutto.







[Modificato da Caterina63 23/04/2016 20:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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