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Testo ufficiale Riscoprire il Rito della Penitenza

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2016 18:39
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28/01/2016 18:38
 
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Preghiera del penitente

Il sacerdote continua il dialogo con il penitente invitandolo«a manifestare la sua contrizione» con una preghiera (RP45). Ciò porta nuovamente in primo piano la dimensione liturgica del sacramento. Il rito richiede di manifestare chiaramente la contrizione in forma di preghiera, offrendo una vasta possibilità di formule. Sono infatti offerte dal Rituale dieci possibili preghiere (cf. RP 45). Anche se, come per le pericopi bibliche, in ogni celebrazione ne viene adottata soltanto una, il meditare tutti i singoli testi proposti potrà aiutare a scorgere le molte facce della pietra preziosa incastonata in questo momento del sacramento. La meditazione aiuterà le persone a prepararsi alla confessione e a pronunciare, con tutto il cuore, tali parole durante la celebrazione sacramentale.

La prima formula offerta da RP 45 è una tradizionale preghiera che molti conoscono come “Atto di dolore”. Ha superato la prova dei secoli e forse non ha bisogno di commento. Il Giubileo è comunque l’occasione per evidenziare le parole e la profondità teologica con cui questa preghiera si chiude nella formulazione latina. Chi prega supplica: «Per merita passionis Salvatoris nostri Iesu Christi, Domine, miserere». La Misericordia che celebriamo si radica nei meriti della Passione di Gesù Cristo.

Le altre opzioni offerte (cf. RP 45) sono tutte chiaramente ispirate alla sacra Scrittura. Infatti, le prime due mettono direttamente sulle labbra del penitente alcuni versetti dei Salmi: «Ricordati, Signore, del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre…» (Sal 24,6-7). Oppure: «Lavami, Signore, da tutte le mie colpe…» (Sal 50, 4-5). In risposta all’invito del sacerdote a manifestare la propria contrizione, il penitente pronuncia le stesse parole usate per millenni da Israele e dalla Chiesa. Pregando oggi tali formule, i penitenti sperimentano che la loro storia di peccato e il perdono di Dio sono parte del grande dramma narrato dalle pagine della Bibbia. Il dramma del peccato e del perdono continua ora nelle nostre esistenze, e le medesime preghiere suscitate dallo Spirito illuminano perfettamente questo momento.

Lo stesso si può dire della preghiera che mette sulle labbra del penitente le parole che il figliol prodigo rivolge al padre appena tornato a casa: «Padre, ho peccato contro di te, non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Abbi pietà di me peccatore» (RP 45). Incoraggiati dalla parabola a non avere paura e mossi a contrizione, i penitenti manifestano la conversione del cuore pronunciando le parole del figlio che ritorna con fiducia alla casa paterna.

Altra formula di particolare valore è una preghiera indirizzata a ogni Persona della Trinità, con immagini tratte dal Nuovo Testamento, così che i penitenti possano riconoscersi in esse (cf. RP 45). La preghiera è rivolta anzitutto al «Padre santo» e utilizza nuovamente le parole del figliol prodigo, introdotte da un esplicito riferimento alla parabola: «…come il figliol prodigo…». Poi si indirizza a «Cristo Gesù, Salvatore del mondo», e il penitente invoca che avvenga per lui ora ciò che avvenne per il buon ladrone quando le porte del paradiso gli furono aperte mentre Gesù stava morendo. Il penitente fa proprie le stesse parole del malfattore pentito: «Ricordati di me nel tuo regno». L’ultima invocazione è rivolta allo Spirito Santo, chiamato «sorgente di pace e d’amore». Il penitente chiede allo Spirito: «Fa’ che purificato da ogni colpa e riconciliato con il Padre io cammini sempre come figlio della luce».

Il Rituale offre al penitente anche altre formule che non commentiamo. E’ tuttavia auspicabile che, spinti anche dall’Anno Giubilare, tutte siano meglio conosciute e usate. Con esse impariamo a pregare con le stesse parole e immagini della Scrittura, esprimendo la nostra contrizione e chiedendo perdono. Con esse impariamo che pure noi siamo coinvolti nei mirabili eventi di misericordia narrati nella Bibbia. Come il pubblicano lodato da Gesù nella parabola, anche noi ci battiamo il petto e preghiamo: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore» (RP 45, ispirato aLc 18, 13-14).

Assoluzione

Nel Rito della Penitenza la preghiera del penitente e l’assoluzione del sacerdote figurano sotto un unico titolo. Le abbiamo distinte per facilitarne un commento, senza però scordare che è importante cogliere il profondo legame tra i due momenti. Nella preghiera a Dio il penitente esprime la contrizione e chiede la misericordia. L’immediata risposta a tale supplica arriva prontamente da Dio attraverso il ministero del sacerdote.

L’atmosfera liturgica si intensifica. Il sacerdote stende le mani sul capo del penitente e inizia a pronunciare le parole. Questo gesto deve essere compiuto con la stessa attenzione e intensità di ogni altro gesto simile presente in un’azione liturgica. Il penitente dovrà essere in grado di percepire, attraverso il cambio di postura del corpo e il gesto del sacerdote, che si sta per compiere un atto sacramentale solenne. Le mani stese indicano che tutta la misericordia di Dio — invisibile ma immensamente potente e presente — sta per riversarsi ora sul penitente contrito.

Anche le parole pronunciate dal sacerdote per l’assoluzione meritano giusta attenzione. Per quanto brevi, hanno un ricco valore teologico ed esprimono il significato centrale del sacramento. Il Rito della Penitenza elenca chiaramente gli elementi teologici essenziali della formula (cf. RP 19). Anzitutto va notata l’evidente struttura trinitaria. La riconciliazione, elargita nel sacramento, viene da Dio, chiamato «Padre di misericordia», ed esprime ciò che egli ha già compiuto: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo». Tale riconciliazione si è attuata «nella morte e risurrezione del suo Figlio», che la formula pone in relazione immediata con l’effusione dello «Spirito Santo per la remissione dei peccati». In questa prima parte della formula si trova l’anamnesi liturgica, viene cioè ricordata, proclamata e annunciata la morte e risurrezione di Gesù. L’anamnesi è espressa in termini trinitari e con un linguaggio che indica chiaramente l’importanza di questo solenne atto di Dio che si sta ora per compiere in favore del penitente. Dio ha riconciliato a sé il mondo e ha effuso su di noi lo Spirito Santo per la remissione dei peccati.

La formula continua quindi al tempo presente, e il sacerdote si rivolge direttamente al penitente. Tale passaggio dal passato al presente, indica che il grande evento operato da Dio nel mistero pasquale si riversa, con tutti i suoi frutti, su questo particolare penitente, qui e ora, per mezzo delle parole del sacerdote. Allo stesso tempo la formula esplicita che quanto Dio sta operando riveste una forte dimensione ecclesiale «per il fatto che la riconciliazione con Dio viene richiesta e concessa mediante il ministero della Chiesa» (RP 19).

Rivolgendosi al penitente il sacerdote dice anzitutto: «Dio ti conceda il perdono e la pace». è un linguaggio che si caratterizza come invocazione o benedizione; il verbo è un congiuntivo con valore ottativo (tribuat), caratteristico di molte invocazioni e benedizioni della Chiesa, sempre efficaci. Quindi il linguaggio cambia stile e il sacerdote continua pronunciando ciò che il Rituale chiama «le parole essenziali» (RP 19). Rivolto direttamente al penitente, tracciando il segno della croce, dice: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Con le parole: «Io ti assolvo», il sacerdote mostra di agire in persona Christi.

Attraverso i gesti e le parole del sacerdote, in virtù del potere dato da Cristo alla Chiesa di perdonare i peccati (cf. Gv20,23), il peccatore viene restituito all’innocenza originale del battesimo. Il penitente vede realizzato in questo modo il proprio desiderio di incontro personale e profondo con Cristo, crocifisso e pronto al perdono. Il Signore è venuto e ha incontrato quel peccatore, in quel momento chiave della sua vita, segnato dalla conversione e dal perdono. Un tale incontro costituisce la vera essenza del Giubileo della Misericordia, un giubileo per i peccatori pentiti e un giubileo per Cristo stesso!

Rendimento di grazie e congedo del penitente

Le leggi del linguaggio rituale impongono che un momento così intenso e ricco, come l’assoluzione, necessiti di un epilogo. Sarebbe improprio uscire in fretta da un ambito tanto spirituale per tornare alla vita di ogni giorno, senza un momento di passaggio. Eppure a volte, non rispettando l’evidente senso liturgico, la celebrazione sacramentale può terminare in modo troppo sbrigativo: «Abbiamo finito, ora puoi andare». Il Rito della Penitenza dice con chiarezza cosa è necessario fare: «Ricevuta la remissione dei peccati, il penitente riconosce e confessa la misericordia di Dio e a lui rende grazie con una breve invocazione, tratta dalla sacra Scrittura; quindi il sacerdote lo congeda in pace» (RP 20).

Troviamo questa sobria ritualità in RP 47. Sacerdote e penitente, non proferiscono parole loro, ma espressioni tratte dalla Scrittura. Citando le parole ispirate al Salmo 118,1, il sacerdote esclama: «Lodiamo il Signore perché è buono».  Il penitente conclude col versetto seguente dello stesso Salmo: «Eterna è la sua misericordia» (cf. anche Sal 136,1). Queste parole di lode usate dal popolo d’Israele e dalla Chiesa per millenni si sono adempiute di nuovo in modo concreto, qui e ora, con mirabile freschezza e assoluta novità.

Ogni liturgia della Chiesa termina inviando nel mondo quanti vi han preso parte, pieni di rinnovata forza divina, destinata a vivificare l’umanità. Il congedo non è altro che la forma rituale dell’invio di Cristo stesso: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi», dice il Signore risorto ai suoi discepoli (cf. Gv 20,21). Nel Rito della Penitenzaciò avviene con formule concise: «Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va’ in pace», oppure: «Va’ in pace e annunzia le grandi opere di Dio, che ti ha salvato». Il sacerdote le pronuncia come ministro di Cristo, il penitente avverte di essere inviato dalla Chiesa.

«Misericordiosi come il Padre»

Papa Francesco invita la Chiesa a riscoprire la gioia del Vangelo e ad essere “in uscita”, missionaria, capace di osare, di prendere l’iniziativa senza paura, mostrando di vivere «un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva»[12].

La vocazione della Chiesa è anche quella di ogni discepolo di Cristo, rinvigorito dal sacramento del perdono. La misericordia celebrata per ritus et preces impegna infatti a mettere in pratica l’insegnamento di Gesù: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso » (Lc 6,36).

 


 
[1] «I sacramenti, come sappiamo, sono il luogo della prossimità e della tenerezza di Dio per gli uomini; essi sono il modo concreto che Dio ha pensato per venirci incontro, per abbracciarci, senza vergognarsi di noi e del nostro limite. Tra i sacramenti, certamente quello della Riconciliazione rende presente con speciale efficacia il volto misericordioso di Dio: lo concretizza e lo manifesta continuamente, senza sosta. Non dimentichiamolo mai, sia come penitenti che come confessori: non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla divina misericordia non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato»: Francesco, Udienza ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica, 12 marzo 2015.

[2] Paolo VI, Omelia, 20 settembre 1964. Cf. anche Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodaleReconciliatio et Paenitentia, 2 dicembre 1984, 18.

[3] Rituale Romano, Rito della Penitenza, Libreria Editrice Vaticana, 1974 (d’ora in poi abbreviato con RP seguito dal numero del paragrafo).

[4] Cf. Concilio di Trento, Sessione XIV, Il sacramento della Penitenza, cap. IV-VI: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Dehoniane, Bologna 1991, 705-708.

[5] «Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai»: S. Agostino, Confessioni 10,6.8: CCL 27,158s.

[6] Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 707.

[7] «Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare alla stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva» (MV 17).

[8] «La seconda forma di celebrazione, proprio per il suo carattere comunitario e per la modalità che la distingue, dà risalto ad alcuni aspetti di grande importanza: la parola di Dio ascoltata in comune ha un singolare effetto rispetto alla sua lettura individuale, e sottolinea meglio il carattere ecclesiale della conversione e della riconciliazione. Essa risulta particolarmente significativa nei diversi tempi dell'anno liturgico e in connessione con avvenimenti di speciale rilevanza pastorale»: Reconciliatio et Paenitentia, 32.

[9] Commissione Teologica Internazionale, La riconciliazione e la penitenza, 29 giugno 1983, A,II,2.

[10] «Dio ci ha dato la Parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all’interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio»: Benedetto XVI, Catechesi all’udienza generale, 26 settembre 2012.

[11] «La croce è un segno della passione, ed è al tempo stesso un segno della Risurrezione; è, per così dire, il bastone che Dio ci porge per salvarci, il ponte sul quale possiamo superare l’abisso della morte e tutte le minacce del maligno e giungere fino a Lui. […] Nel segno di croce, insieme con l’invocazione trinitaria, è sintetizzata tutta l’essenza del cristianesimo, è rappresentato il tratto distintivo di ciò che è cristiano»: J. Ratzinger, Lo spirito della liturgia, inOpera omnia, XI, Libreria Editrice Vaticana 2010, 169.

[12] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 24.

 
     







 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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