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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Tempo di Quaresima Settimana Santa e Tempo pasquale

Ultimo Aggiornamento: 28/03/2016 15:18
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 Cari amici, proseguendo il percorso quaresimale degli altri anni - vedi qui le riflessioni passate - vi offriamo questo Tempo di grazia con nuove meditazioni....

La luce del cammino quaresimale

La luce del cammino quaresimale nella Chiesa


Consapevoli che lo Spirito Santo guida la Chiesa, abbiamo pensato bene cogliere l'occasione della carità con cui i Sommi Pontefici nel 'messaggio per la Quaresima' offrono ai fedeli una luce alla quale poter vivere questo particolare tempo di Grazia... ogni Papa secondo la sua Grazia, il suo carisma, il suo tempo permette alla luce dello Spirito di manifestare sempre meglio il cammino che porta i fedeli alla piena comunione con il Risorto. Dando uno sguardo d'insieme forse potremo meglio gustare l'armonia dell'azione divina.

Quaresima 2012: "Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella Carità e nelle opere buone" (Eb 10,24)      
Quaresima 2013: "Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi" (1 Gv 4,16)          
Quaresima 2014: "Che cos'è la vera povertà?"    
Quaresima 2015: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor 12,26)         
Quaresima 2016: "Misericordia io voglio e non sacrifici" (Mt 9,13)...                    
       




MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
PER LA QUARESIMA 2006
 

 

Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9, 36)  

Carissimi fratelli e sorelle!

La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Anche nella “valle oscura” di cui parla il Salmista (Sal 23,4), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. Come infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c’è un “limite divino imposto al male”, ed è la misericordia (Memoria e identità, 29 ss). È in questa prospettiva che ho voluto porre all’inizio di questo Messaggio l’annotazione evangelica secondo cui “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9,36). In questa luce vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo. Anche oggi lo “sguardo” commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il “progetto” divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione.

Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro “sguardo” sull’uomo si misuri su quello di Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore. Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la nostra responsabilità verso i poveri del mondo. Già il mio venerato Predecessore, il Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità. In questo senso nell’Enciclica Populorum progressio egli denunciava “le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo… le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni” (n. 21). Come antidoto a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto “l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace”, ma anche “il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine” (ibid.). In questa linea il Papa non esitava a proporre “soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità di Cristo” (ibid.). Dunque, lo “sguardo” di Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell’«umanesimo plenario» che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (ibid., n. 42). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo.

Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo “sguardo” di Cristo. Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello “sguardo”. Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo. Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità. Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guarda come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: “La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo”. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide.

Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di formazione professionale, micro-imprese. Sono iniziative che, molto prima di altre espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per l’uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico. Queste opere indicano una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo e così conduca alla pace autentica. Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità. In questo sforzo si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa.

Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne. Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: “La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale” (Enc. Redemptoris missio, 11).

È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l’uomo. Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno “sguardo” che ci scruta nel profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi. Esso restituisce la fiducia a quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell’eternità beata. Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l’odio sembra dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore. A Maria, “di speranza fontana vivace” (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12) affido il nostro cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio. A Lei affido in particolare le moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione. Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica. 

Dal Vaticano, 29 Settembre 2005

BENEDICTUS PP. XVI




[Modificato da Caterina63 01/02/2016 15:40]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Cari Amici, siamo di nuovo in Quaresima e spesso siamo mossi da un buono spirito alla ricerca di sussidi che possano aiutarci a mettere in pratica le buone intenzioni. Ebbene, nel Messaggio per la Quaresima 2016 il santo Padre ci offre davvero questo sussidio breve ma intenso e tutto incentrato sul valore delle sette opere di misericordia corporali e le sette spirituali. Se ascoltandolo le applicassimo, non avremmo bisogno di altro. E' una Quaresima speciale, nell'Anno Santo della Misericordia, approfittiamone per mettere ordine nelle nostre coscienze e nelle nostre vite.

gloria.tv/media/YgHYgFEYcsd
www.youtube.com/watch?v=dYUaroqznyM

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[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]




Ammonire i peccatori correzione fraterna

Cari Amici, in questo Anno giubilare la Misericordia passa attraverso le 7 opere corporali e spirituali, come ha spiegato il santo Padre Francesco nella Bolla di indizione. Qui vogliamo offrirvi nello specifico, una delle 7 opere di misericordia spirituale magistralmente spiegata per noi da Benedetto XVI. E' quella di "ammonire i peccatori", che è poi la famosa correzione fraterna. Ammonire non per giudicare qualcuno o il peccatore, ma per aiutarci, insieme, in questo cammino di conversione. Buona meditazione a tutti.

gloria.tv/media/zyxiCiKGnca
www.youtube.com/watch?v=XwuElDNcYJ0

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[SM=g1740738]




La Via Crucis con Benedetto XVI

Disse così Benedetto XVI ai giovani nella domenica delle Palme del 2007: "Con la croce Gesù ha spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini. Ora essa è aperta. Ma anche dall’altro lato il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte del mondo, alle porte dei nostri cuori, che così spesso e in così gran numero sono chiuse per Lui"
Il Signora bussa, dunque, quando ci decideremo finalmente ad aprirGli la porta del nostro cuore?
Ci sia di aiuto questa pia pratica della Via Crucis.
Santa Quaresima a tutti

Movimento Domenicano del Rosario
www.gloria.tv/video/SAuUVpeSgnr








[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[Modificato da Caterina63 06/03/2016 22:50]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Le Ceneri storia e devozione


Vogliamo prepararci al meglio per vivere questo Tempo propizio. A questo video farà seguito quello sul Digiuno, per comprendere come viverlo. Movimento Domenicano del Rosario

Anno della Fede il Digiuno nella Tradizione della Chiesa

Cari Amici, dopo aver meditato su "Le Ceneri":Le Ceneri storia e devozione vi offriamo ora un video che ci aiuterà a vivere in modo fruttuoso il Digiuno come offerta, fioretto, strumento di perfezione e di donazione, ossia, fare digiuno per unirci …






Padre Pio nel mangiare... e nel bere
dal Numero 12 del 22 marzo 2015
 

Mangiava pochissimo. Un pomeriggio Padre Pio era nel corridoio del convento col nipote Mario. Questi aveva attorno a sé i suoi figlioletti che il Padre guardava teneramente.
Puntando il dito su uno di essi, scherzosamente il papà lo accusava: «Zio, questo è un mangione».
«Perché?», chiese Padre Pio. «Oggi si è mangiato un filone di pane lungo e grosso così», spiegò Mario.
Padre Pio sorrise. Poi domandò: «Quanto pesava?». «Certamente mezzo chilo», rispose il nipote.
Il Padre rimase un po’ a pensare, poi disse: «In quarant’anni [Padre Pio ne aveva oltre sessanta], io non sono riuscito a mangiare nemmeno la metà di quel filone di pane».
Io mi trovavo a fianco a Mario; ci guardammo e sembravamo dirci l’un l’altro: “Ma come fa a vivere senza mangiare?”.
Negli anni Cinquanta riuscii a portare una cassetta di uva bianca, grossa e profumata. Era uva da terra promessa.
Entrai nella cella del Padre il quale, vedendomi con la cassetta, mi chiese: «Che è?». «Padre – dissi –, vi ho portato quest’uva», e mi inginocchiai davanti. Egli la guardò: «è davvero bella!», esclamò.
«Assaggiatela!» ripresi e, subito, staccai un bell’acino da un grosso grappolo: pensavo fargli cosa gradita porgendogli l’acino più biondo e grosso.
«Che fai?», disse, fermandomi la mano: «Figlio mio, tu così mi fai fare colazione, pranzo e cena. Dammi l’acino più piccolo!».
Io ne scelsi, invece, uno meno grosso, ma lui, girando più volte la mano sui grappoli d’uva e trovandone finalmente uno piccolo piccolo, lo staccò, se lo portò alla bocca e, con fatica, lo masticò per diverso tempo.

Un pomeriggio d’agosto andai solo sulla veranda in attesa dell’arrivo del Padre dove, solitamente, s’intratteneva con noi.
Dietro la colonna di cemento lo trovai mentre beveva una bottiglietta d’aranciata.
Continuando a berla tutta d’un fiato, girò gli occhi e mi vide. Pensavo: “Come la sta gustando! Evidentemente avrà tanta sete”.
Senza scomporsi per niente, egli rimise il vuoto nella cassetta, mi guardò e mi disse: «Bevi». Io presi una bottiglia, l’aprii e cominciai a bere: era disgustosa, calda e imbevibile.
«Com’è cattiva!», dissi con candida schiettezza. «Bevi e statti zitto!», mi rispose.
La cassetta d’aranciata, infatti, lasciata nella veranda sotto il sole d’agosto sin dal mattino, fu portata da un frate cappuccino per offrirla a Padre Pio e a tutti i presenti, in occasione della sua prima Messa solenne.

Pierino Galeone,
Padre Pio. Mio Padre,
pp. 46-47




 
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Croci della peste

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La peste è stata la più catastrofica fra le malattie umane. Presente per millenni, con ciclici ritorni, la peste ha spesso plasmato la storia del nostro continente: durante le epidemie più dure, le perdite in termini di vite umane erano talmente gravi da obbligare l’intera società a ristrutturarsi completamente. Secondo molti studiosi, alle varie ondate delle malattia corrispondono altrettanti cambiamenti significativi nelle innovazioni tecnologiche, nei valori, nella concezione dell’uomo e dell’universo. Ed è facile immaginare che quando un simile flagello colpiva l’umanità, gli occhi si rivolgevano ai simboli della fede, per cercare di capire le motivazioni di questa “prova” inflitta da Dio, o semplicemente per trovare conforto.
Ecco allora nascere il vocabolo tedesco pestkreuz, (plague cross in inglese), termine dai molti e diversi significati.

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Quando, durante il XVII Secolo, le epidemie di peste bubbonica martoriavano l’Europa, prese piede l’usanza di marcare con la vernice rossa le porte delle case visitate dalla malattia, disegnandovi delle grandi croci accompagnate da invocazioni che invocavano la pietà del Signore. Si segnalava così la presenza del morbo, allertando il vicinato. Fu così che si incominciò a parlare di “croci della peste”, ma la relazione fra il feroce e incurabile morbo e il simbolo salvifico non si fermò a questo.

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Ben presto le croci vennero usate anche nel commercio: si trattava di strutture temporanee, in legno o in pietra, che venivano issate per indicare i luoghi di scambio e di mercato posti al di fuori delle mura cittadine e che, almeno in linea teorica, erano al sicuro dal contagio. Se volevate vendere o acquistare della merce avendo qualche speranza di non rimanere infettati, dovevate cercare queste croci, sotto cui si radunavano piccoli mercati estemporanei.

In Inghilterra alcune di queste croci erano equipaggiate con una bacinella d’acqua, dentro la quale venivano sommerse tutte le monete prima e dopo gli acquisti, come misura precauzionale; in altri casi l’acqua era sostituita da aceto, che avrebbe dovuto fungere da “disinfettante”. La più celebre di queste vasche è la Vinegar Stone di Wentworth.

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Altri tipi di croci della peste avevano finalità caritatevoli, come ad esempio quella, incompleta, conservata a Leek, Staffordshire: a quanto si dice, ai suoi piedi si poteva lasciare del cibo e delle provviste per gli ammalati, senza entrare in contatto con essi.

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Ma forse la declinazione più curiosa di questo rapporto fra l’icona cristiana e la peste sta in alcuni crocifissi, tipici soprattutto dell’area austro-germanica nel XVI e XVII secolo, che ritraggono Gesù afflitto dalle piaghe bubboniche: la morte, compagna di tutti i giorni, influenza anche gli artisti.

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Per quanto apertamente astoriche, queste sanguinose rappresentazioni erano un mezzo per far immedesimare il fedele nel supplizio sopportato dal Cristo, ma anche viceversa – era il Redentore che scendeva fra gli uomini, soffriva con loro, portava sul corpo gli stessi segni di dolore della gente comune, si prendeva carico della loro angoscia.

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Infine, l’ultima tipologia di croce della peste è anche la più triste, e più diffusa in tutta Europa: quella che commemora i cosiddetti plague pits, “pozzi della peste”. Si tratta delle tombe di massa, in cui venivano tumulate le vittime, talmente numerose da non poter essere seppellite singolarmente.

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[Modificato da Caterina63 16/02/2016 17:39]
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21/02/2016 12:47
 
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ANGELUS


Piazza San Pietro
II Domenica di Quaresima, 21 febbraio 2016

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La seconda domenica di Quaresima ci presenta il Vangelo della Trasfigurazione di Gesù.

Il viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in Messico è stata un’esperienza di trasfigurazione. Come mai? Perché il Signore ci ha mostrato la luce della sua gloria attraverso il corpo della sua Chiesa, del suo Popolo santo che vive in quella terra. Un corpo tante volte ferito, un Popolo tante volte oppresso, disprezzato, violato nella sua dignità. In effetti, i diversi incontri vissuti in Messico sono stati pieni di luce: la luce della fede che trasfigura i volti e rischiara il cammino.

Il “baricentro” spirituale del pellegrinaggio è stato il Santuario della Madonna di Guadalupe. Rimanere in silenzio davanti all’immagine della Madre era ciò che prima di tutto mi proponevo. E ringrazio Dio che me lo ha concesso. Ho contemplato, e mi sono lasciato guardare da Colei che porta impressi nei suoi occhi gli sguardi di tutti i suoi figli, e raccoglie i dolori per le violenze, i rapimenti, le uccisioni, i soprusi a danno di tanta povera gente, di tante donne. Guadalupe è il Santuario mariano più frequentato al mondo. Da tutta l’America vanno a pregare là dove la Virgen Morenita si mostrò all’indio san Juan Diego, dando inizio all’evangelizzazione del continente e alla sua nuova civiltà, frutto dell’incontro tra diverse culture.

E questa è proprio l’eredità che il Signore ha consegnato al Messico: custodire la ricchezza della diversità e, nello stesso tempo, manifestare l’armonia della fede comune, una fede schietta e robusta, accompagnata da una grande carica di vitalità e di umanità. Come i miei Predecessori, anch’io sono andato a confermare la fede del popolo messicano, ma contemporaneamente ad esserne confermato; ho raccolto a piene mani questo dono perché vada a beneficio della Chiesa universale.

Un esempio luminoso di quanto sto dicendo è dato dalle famiglie: le famiglie messicane mi hanno accolto con gioia come messaggero di Cristo, Pastore della Chiesa; ma a loro volta mi hanno donato delle testimonianze limpide e forti, testimonianze di fede vissuta, di fede che trasfigura la vita, e questo a edificazione di tutte le famiglie cristiane del mondo. E lo stesso si può dire per i giovani, per i consacrati, per i sacerdoti, per i lavoratori, per i carcerati.

Perciò rendo grazie al Signore e alla Vergine di Guadalupe per il dono di questo pellegrinaggio. Inoltre, ringrazio il Presidente del Messico e le altre Autorità civili per la calorosa accoglienza; ringrazio vivamente i miei fratelli nell’Episcopato, e tutte le persone che in tanti modi hanno collaborato.

Una lode speciale eleviamo alla Santissima Trinità per aver voluto che, in questa occasione, avvenisse a Cuba l’incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, il caro fratello Kirill; un incontro tanto desiderato pure dai miei Predecessori. Anche questo evento è una luce profetica di Risurrezione, di cui oggi il mondo ha più che mai bisogno. La Santa Madre di Dio continui a guidarci nel cammino dell’unità. Preghiamo la Madonna di Kazan’, di cui il Patriarca Kirill mi ha regalato un’icona.


Dopo l'Angelus:

 

* * *

Rivolgo un cordiale saluto alle famiglie, ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e a tutti i pellegrini di Roma, dell’Italia e di diversi Paesi.

Saluto i fedeli di Sevilla, Cádiz, Ceuta (Spagna) e quelli di Trieste, Corato, Torino. Un pensiero particolare rivolgo alla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal Servo di Dio Don Oreste Benzi, che venerdì prossimo promuoverà per le strade del centro di Roma una “Via crucis” di solidarietà e di preghiera per le donne vittime della tratta.

La Quaresima è un tempo propizio per compiere un cammino di conversione che ha come centro la misericordia. Perciò, oggi, ho pensato di regalare a voi che siete qui in piazza una “medicina spirituale” chiamata Misericordina. Già una volta l’abbiamo fatto, ma questa è di migliore qualità: è la Misericordina plus. Una scatolina che contiene la corona del Rosario e l’immaginetta di Gesù Misericordioso. Ora la distribuiranno i volontari, tra i quali ci sono poveri, senzatetto, profughi e anche religiosi. Accogliete questo dono come un aiuto spirituale per diffondere, specialmente in questo Anno della Misericordia, l’amore, il perdono e la fraternità.  

Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!



Veramente ha sofferto

La memoria della Madre nel Triduo pasquale del Figlio: la stretta connessione di Maria con la persona e l'opera di Gesù.

D. Piola, Ultima Cena (part., 1649), Museo diocesano, Albenga (Savona, foto BONOTTO).

D. Piola, Ultima Cena (part., 1649), Museo diocesano, Albenga (Savona, foto BONOTTO).

L'esegeta Aristide Serra, nello studio Dimensioni mariane del mistero pasquale, Paoline 1995, pp. 160, H 8,00, scrive: «Per la stretta connessione della Madre con la persona e l'opera del Figlio, si comprende perché la Chiesa sia portata a congiungere il binomio "incarnazione-risurrezione" e a scoprire la presenza attiva della Madre di Gesù sia nell'uno che nell'altro dei massimi eventi salvifici » (pag. 160). Nell'antichità Atanasio di Alessandria (+373) precisava: il Risorto si manifesta ai discepoli nel suo corpo glorioso, ma è lo stesso corpo generato e nato da Maria. Una formula di fede, ancora più antica, recita: Cristo «veramente nato da una Vergine... Veramente è stato inchiodato (alla croce) per noi, nella sua carne... Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto » (Ignazio di Antiochia, ca. +110, Agli Smirnesi, 1-2).

Elenchiamo, a titolo di informazione, i vari momenti mariani previsti nel Triduo pasquale e Domenica di Pasqua, momenti ignoti a ministri del culto e a pastori o trascurati disinvoltamente da altri che pur conoscono, per sentito dire, queste risonanze mariane. Lo faremo ricorrendo a 3 documenti del magistero: 1) Cei, In preghiera con Maria, la madre di Gesù. Sussidio per le celebrazioni dell'Anno mariano 1987-1988, 1987 (= IPCM); 2) lettera circolare della Congregazione per il culto divino, Preparazione e celebrazione delle feste pasquali, 1988 (= PCFP); 3) Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Princìpi e orientamenti, 2002 (= DPPL).

H. Bosch, Ecce Homo (ca. 1510), L'Escorial, Madrid. (foto © THE GALLERY COLLECTION / CORBIS).

H. Bosch, Ecce Homo (ca. 1510), L'Escorial, Madrid. (foto © THE GALLERY COLLECTION / CORBIS).

1. Triduo pasquale.

A. Giovedì santo. Per la Messa In Coena Domini IPCM propone: «Dopo la Comunione e prima dell'orazione si potrebbe, opportunamente introdotto, cantare il Magnificat nello spirito richiamato nella Redemptoris Mater, nn. 35-37» (pag. 76). Con la Vergine, che canta la misericordia dell'Onnipotente, la Chiesa rende grazie alla misericordia del Signore che nell'Eucaristia sfama i suoi figli (Ivi). Il Pange lingua di san Tommaso (+1274) – inno che accompagna la reposizione del pane consacrato al termine della Messa – fa menzione dell'intimo nesso fra l'Eucaristia e Maria: Fructus ventris generosi... nobis natus ex intacta Virgine. Secondo un'ininterrotta (ma altrettanto trascurata) tradizione patristica e liturgica, l'Oriente greco-bizantino ritiene Maria presente nell'ultima Cena del Figlio: rifacendosi alla liturgia ebraica del venerdì sera – precisamente nel ricevimento del sabato – i grecobizantini venerano la Madre di Dio come colei che nell'ultima Cena, quale madre di famiglia, entra nella sala del Cenacolo portando due candele accese, simbolo che prefigura la luce del Messia salvatore e del suo Spirito. Gesto simbolico che ora diventa realtà piena di salvezza. Il Beato Angelico (+1455), più contemplativo che storico, nel convento di san Marco (Firenze) raffigura la Vergine inginocchiata e a mani giunte in un angolo del Cenacolo.

B. Venerdì santo. «Nel corso dei secoli la Chiesa, nel suo magistero guidato dallo Spirito e nell'esperienza di fede dei discepoli, ha compreso il valore salvifico della presenza della Madre e del discepolo presso la croce» (IPCM, pag. 77). IPCM suggerisce che, terminata l'adorazione della croce, davanti all'icona mariana «può aver luogo nella stessa Celebrazione della Passione del Signore una sobria memoria della presenza della Vergine e del discepolo presso la croce: in tal modo apparirà con maggiore evidenza come la Madre di Gesù sia "congiunta indissolubilmente con l'opera della salvezza del Figlio suo" (SC 103)» (pag. 77). Il DPPL specifica: «Per la sua importanza dottrinale e pastorale, si raccomanda di non trascurare la "memoria dei dolori della beata Vergine Maria"» (n. 145). Pio esercizio, già contemplato dalla lettera PCFP, n. 72. Il testo si trova in IPCM, pp. 78-79. Nella III edizione del Messale romano, si suggerisce al termine dell'adorazione della croce il canto dello Stabat Mater dolorosa. Questa memoria mariana nel Venerdì santo, mentre rileva l'associazione della Madre alla passione salvifica del Figlio (cf Gv 19,25-27; Lc 2,34s), (cf DPPL 145), nel contempo evidenzia la nuova maternità pasquale di Maria: l'affidamento del discepolo alla Madre. Accogliere Maria come madre è espressione dell'obbedienza di fede, risposta a una scena di rivelazione e riguarda la vita di grazia del credente.

C. Sabato santo. Un'invocazione delle Lodi mattutine prega: Signore, «hai voluto vicino alla tua croce e al tuo sepolcro la tua Madre addolorata» (LO 2,452). Tra il Venerdì di passione e la Domenica di risurrezione, il Sabato santo è il giorno dell'attesa. Maria – che ha atteso «intrepida la vittoria pasquale» (Prefazio, Collectio n. 15) – lo colma della sua presenza: in quel giorno tutta la fede e la carità della Chiesa è come raccolta in lei, che nel Triduum mortis è presentata quale unica fedele. Il DPPL commenta: «La Vergine Maria che sosta presso il sepolcro del Figlio, come la rappresenta la tradizione ecclesiale, è icona della Vergine Chiesa che veglia presso la tomba del suo Sposo, in attesa di celebrarne la risurrezione» (n. 147). Alcuni pii esercizi completano i riti liturgici. La lettera PCFP contempla la «venerazione dell'immagine della beata Maria Vergine Addolorata» (n. 74). Il DPPL menziona la celebrazione dell'Ora della Madre (n. 147) al Sabato santo mattino, quale preludio della Veglia pasquale: cf L'"Ora" della Madre. Celebrazione mariana per il Sabato santo, Roma 1982, e in IPCM, pp. 280-300.

2. Domenica di Pasqua nella risurrezione del Signore.

A. Veglia pasquale. Nella notte santa di Pasqua Maria è invocata nelle Litanie dei santi, di lei si fa memoria nella professione di fede battesimale e nelle intercessioni della Preghiera eucaristica. Madre gloriosa che gioisce con i santi per la risurrezione del Figlio, è presente nel fonte battesimale e nel convito eucaristico come colei che svela le qualità divine del pane celeste. Nel rito del battesimo ella appare madre del Cristo totale: si realizza il testamento del Figlio sulla croce, che la chiama a essere madre di tutti i suoi discepoli. «La pietà popolare ha intuito che l'associazione del Figlio alla Madre è costante: nell'ora del dolore e della morte, nell'ora del gaudio e della risurrezione» (DPPL 149). Da qui il pio esercizio de Il saluto pasquale alla Madre del Risorto al termine della Veglia (DPPL 151). Il testo si trova in IPCM, pp. 77 e 80.

B. Giorno di Pasqua. Maria è ricordata nel Magnificat, acclamata nel Regina caeli, nella Compieta e al posto dell'Angelus Domini. «L'affermazione liturgica, secondo cui Dio ha riempito di gioia la Vergine nella risurrezione del Figlio, è stata, per così dire, tradotta e quasi rappresentata dalla pietà popolare nel pio esercizio dell'Incontro della Madre con il Figlio risorto: la mattina di Pasqua due cortei, l'uno recante l'immagine della Madre addolorata, l'altro quella del Cristo risorto, s'incontrano per significare che la Vergine fu la prima e piena partecipe del mistero della risurrezione del Figlio» (DPPL 149). IPCM propone il saluto alla Madre del Risorto «con particolare solennità... o ai Vespri o dopo la Messa vespertina» (pag. 77). Il DPPL esplicita: «Al termine della Veglia pasquale o dopo i Secondi Vespri della Domenica di Pasqua, si compie un breve pio esercizio: si benedicono dei fiori, che saranno distribuiti ai fedeli in segno di gioia pasquale, e si rende omaggio all'immagine dell'Addolorata, che talora viene incoronata, mentre si canta il Regina caeli. I fedeli, che si erano associati al dolore della Vergine per la passione del Figlio, vogliono così rallegrarsi con lei per l'evento della risurrezione» (n. 151).

 

Sergio Gaspari, smm






ANGELUS

Piazza San Pietro
IV Domenica di Quaresima, 6 marzo 2016

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel capitolo quindicesimo del Vangelo di Luca troviamo le tre parabole della misericordia: quella della pecora ritrovata (vv. 4-7), quella della moneta ritrovata (vv. 8-10), e la grande parabola del figlio prodigo, o meglio, del padre misericordioso (vv. 11-32). Oggi, sarebbe bello che ognuno di noi prendesse il Vangelo, questo capitolo XV del Vangelo secondo Luca, e leggesse le tre parabole. All’interno dell’itinerario quaresimale, il Vangelo ci presenta proprio quest’ultima parabola del padre misericordioso, che ha come protagonista un padre con i suoi due figli. Il racconto ci fa cogliere alcuni tratti di questo padre: è un uomo sempre pronto a perdonare e che spera contro ogni speranza. Colpisce anzitutto la sua tolleranza dinanzi alla decisione del figlio più giovane di andarsene di casa: avrebbe potuto opporsi, sapendolo ancora immaturo, un giovane ragazzo, o cercare qualche avvocato per non dargli l’eredità, essendo ancora vivo. Invece gli permette di partire, pur prevedendo i possibili rischi. Così agisce Dio con noi: ci lascia liberi, anche di sbagliare, perché creandoci ci ha fatto il grande dono della libertà. Sta a noi farne un buon uso. Questo dono della libertà che Dio ci dà mi stupisce sempre!

Ma il distacco da quel figlio è solo fisico; il padre lo porta sempre nel cuore; attende fiducioso il suo ritorno; scruta la strada nella speranza di vederlo. E un giorno lo vede comparire in lontananza (cfr v. 20). Ma questo significa che questo padre, ogni giorno, saliva sul terrazzo a guardare se il figlio tornava! Allora si commuove nel vederlo, gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Quanta tenerezza! E questo figlio le aveva fatte grosse! Ma il padre lo accoglie così.

Lo stesso atteggiamento il padre riserva anche al figlio maggiore, che è sempre rimasto a casa, e ora è indignato e protesta perché non capisce e non condivide tutta quella bontà verso il fratello che aveva sbagliato. Il padre esce incontro anche a questo figlio e gli ricorda che loro sono stati sempre insieme, hanno tutto in comune (v. 31), ma bisogna accogliere con gioia il fratello che finalmente è tornato a casa. E questo mi fa pensare ad una cosa: quando uno si sente peccatore, si sente davvero poca cosa, o come ho sentito dire da qualcuno - tanti -: “Padre, io sono una sporcizia!”, allora è il momento di andare dal Padre. Invece quando uno si sente giusto – “Io ho fatto sempre le cose bene...” –, ugualmente il Padre viene a cercarci, perché quell’atteggiamento di sentirsi giusto è un atteggiamento cattivo: è la superbia! Viene dal diavolo. Il Padre aspetta quelli che si riconoscono peccatori e va a cercare quelli che si sentono giusti. Questo è il nostro Padre!

In questa parabola si può intravedere anche un terzo figlio. Un terzo figlio? E dove? E’ nascosto! E’ quello che «non ritenne un privilegio l’essere come [il Padre], ma svuotò sé stesso, assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7). Questo Figlio-Servo è Gesù! E’ l’estensione delle braccia e del cuore del Padre: Lui ha accolto il prodigo e ha lavato i suoi piedi sporchi; Lui ha preparato il banchetto per la festa del perdono. Lui, Gesù, ci insegna ad essere “misericordiosi come il Padre”.

La figura del padre della parabola svela il cuore di Dio. Egli è il Padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura, aspetta sempre la nostra conversione ogni volta che sbagliamo; attende il nostro ritorno quando ci allontaniamo da Lui pensando di poterne fare a meno; è sempre pronto ad aprirci le sue braccia qualunque cosa sia successa. Come il padre del Vangelo, anche Dio continua a considerarci suoi figli quando ci siamo smarriti, e ci viene incontro con tenerezza quando ritorniamo a Lui. E ci parla con tanta bontà quando noi crediamo di essere giusti. Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non scalfiscono la fedeltà del suo amore. Nel sacramento della Riconciliazione possiamo sempre di nuovo ripartire: Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi e ci dice: “Vai avanti! Sii in pace! Alzati, vai avanti!”.

In questo tratto di Quaresima che ancora ci separa dalla Pasqua, siamo chiamati ad intensificare il cammino interiore di conversione. Lasciamoci raggiungere dallo sguardo pieno d’amore del nostro Padre, e ritorniamo a Lui con tutto il cuore, rigettando ogni compromesso col peccato. La Vergine Maria ci accompagni fino all’abbraccio rigenerante con la Divina Misericordia.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

esprimo la mia vicinanza alle Missionarie della Carità per il grave lutto che le ha colpite due giorni fa con l’uccisione di quattro Religiose ad Aden, nello Yemen, dove assistevano gli anziani. Prego per loro e per le altre persone uccise nell’attacco, e per i familiari. Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza, a cui non importa… Madre Teresa accompagni in paradiso queste sue figlie martiri della carità, e interceda per la pace e il sacro rispetto della vita umana.

 

Chiedo per favore un ricordo nella preghiera per me e per i miei collaboratori, che da stasera fino a venerdì faremo gli Esercizi Spirituali.






[Modificato da Caterina63 06/03/2016 18:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/03/2016 21:33
 
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Via Crucis con San Pio da Pietrelcina


stellamatutina-via-crucisDagli scritti di Padre Pio:

«Felici noi, che contro ogni nostro merito, già siamo per divina misericordia, sugli scalini del Cal­vario; già siamo stati fatti degni di seguire il cele­ste Maestro, già siamo stati annoverati alla beata comitiva delle anime elette; ed il tutto per un tratto specialissimo della divina pietà del Padre celeste. E noi non la perdiamo di vista questa beata comitiva: teniamoci sempre stretti ad essa e non ci spaventi né il peso della croce che bisogna portare, né il lungo viaggio che bi­sogna percorrere, né l’irto monte a cui bisogna ascendere. Ci rianimi il consolante pensiero che dopo asceso il Calvario, si ascenderà ancor più alto, senza nostro sforzo; si ascenderà al monte santo di Dio, alla Gerusalemme ce­leste… Ascendiamo… senza mai stancarci, il Calvario cari­chi della croce, e teniamo per fermo che la nostra ascensio­ne ci condurrà alla celeste visione del nostro dolcissimo Salvatore. Allontaniamoci, dunque, passo passo dalle affezioni terrene, ed aspiriamo alla felicità, che ci è preparata. Allontaniamo da noi, se ci preme di presto giungere alla beata Sionne, ogni inquietudine e sollecitudine in sop­portare le tribolazioni spirituali, e temporali da qualsiasi parte possano esse pervenirci, poiché esse sono contrarie alla libera operazione dello Spirito Santo». (Ep. III, pag. 536-537)

INIZIO

Preghiera

O Cuore santissimo del mio Salvatore, dammi lo spirito interiore e la tenerezza del cuore per sperimentare e comprendere quello che tu soffristi quando fosti angustiato e privato di ogni conforto.
Fà che possa ascoltare la tua oce.
Illumina i miei occhi perchè contemplino il tuo patire. Intenerisci il mio cuore, affinchè divenga sensibile ai tuoi dolori ed eviti tutto ciò che possa rinnovarli. Amen.

Stabat Mater dolorosa
Juxta Crucem lacrimosa,
Dum pendebat Filius.

Santa Madre, deh, voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

 

PRIMA STAZIONE: Gesù è condannato a morte.

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viacrucis1Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Gesù si vede legato, trascinato dai suoi nemici per le vie di Gerusalemme, per quelle stesse vie ove pochi giorni innanzi era passato trionfal­mente acclamato quale Messia… Si vede dinanzi ai Pontefici percosso, dichiarato da essi reo di morte. Lui, l’autore della vita, si vede condotto da un tribu­nale all’altro in presenza di giudici che lo condannano. Vede il popolo suo, da lui tanto amato e beneficato, che l’insulta, lo maltratta e con urli infernali, con fischi e schiamazzi ne chiede la morte e la morte di croce». (Ep. IV, pag. 894-895) Pater, Ave.

Cuius animam gementem,
Constristatam et dolentem,
Pertansivit gladius.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

SECONDA STAZIONE: Gesù viene caricato della Croce.

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viacrucis2Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Quanto è dolce… il nome “croce!”; qui, appié della croce di Gesù, le anime si rivestono di luce, s’infiammano d’amore; qui mettono le ali per elevarsi ai voli più eccelsi. Sia dessa croce anche per noi sempre il letto del no­stro riposo, la scuola di perfezione, l’amata nostra eredità. A tal fine badiamo di non separare la croce dall’amo­re a Gesù: altrimenti quella senza di questo diverrebbe un peso insopportabile alla nostra debolezza». (Ep. I, pag. 601-602) Pater, Ave.

O quam tristis et afflicta
Fuit illa benedicta
Mater Unigeniti .

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

TERZA STAZIONE: Gesù cade per la prima volta.

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viacrucis3Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Soffro e soffro assai, ma grazie al buon Gesù, sento ancora un altro po’ di forza; e di che cosa non è ca­pace la creatura aiutata da Gesù? Io non bramo punto di essere alleggerita la croce, poi­ché soffrire con Gesù mi è caro…». (Ep. I, pag. 303)

«Sono contento più che mai nel soffrire, e se non ascoltassi che la voce del cuore, chiederei a Gesù che mi desse tutte le tristezze degli uomini; ma io non lo fo, perché temo di essere troppo egoista, bramando per me la parte migliore: il dolore. Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a mendicare pene, lacri­me…; ei ne ha bisoguo per le anime». (Ep. I, pag. 270) Pater, Ave.

Quae maerebat et dolebat,
Pia Mater, dum videbat
Nati poenas inclyti .

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

QUARTA STAZIONE: Gesù incontra la Madre.

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viacrucis4Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Sforziamoci noi pure, come tante anime elette, di te­ner sempre dietro a questa benedetta Madre, di camminare sempre appresso ad ella, non essendo­vi altra strada che a vita conduce, se non quella battuta dalla Madre nostra: non ricusiamo questa via, noi che vo­gliamo giungere al termine. Associamoci sempre a questa sì cara Madre: usciamo con essa appresso Gesù fuori di Gerusalemme, simbolo e figura del campo della ostinazione giudaica, del mondo che rigetta e che rinnega Gesù Cristo,… portando appres­so a Gesù l’obbrobrio glorioso della sua croce». (Ep. I, pag. 602-603) Pater, Ave.

Quis est homo, qui non fleret
Matrem Christi si videret
In tanto supplicio?

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

QUINTA STAZIONE: Gesù è aiutato dal cireneo (Padre Pio)

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viacrucis5Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Egli si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù». (Ep. I, pag. 304) E’ incomprensibile che sollievo si dà a Gesù non «solo col compatirlo nei suoi dolori, ma quando trova un’anima che per amor suo gli chiede non consolazioni, ma sibbene di essere fatto partecipe dei suoi medesimi dolori… Gesù…, quando vuole essere dilettato…, mi parla dei suoi dolori, m’invita, con voce insieme di preghiera e di co­mando, ad apporre il mio corpo per alleggerirgli le pene». (Ep. I, pag. 335) Pater, Ave.

Quis non posset contristari
Christi Matrem contemplari
Dolentem cum Filio?

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

SESTA STAZIONE: La Veronica asciuga volto di Gesù.

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viacrucis6Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Quanto è bello il suo volto e dolci i suoi occhi, e quanto buona cosa è lo stare accanto a lui sul monte della sua gloria! Ivi dobbiamo collocare i nostri desideri tutti e le nostre affezioni». (Ep. III, pag. 405)

Il prototipo, l’esemplare su cui bisogna rispecchiarci e modellare la vita nostra si è Gesù Cristo. Ma Gesù ha scelto per suo vessillo la croce e perciò egli vuole che tutti i suoi seguaci devono battere la via del Calvario, portando la croce per poi spirarvi distesi su di lei. Solo per questa strada si perviene a salvezza». (Ep. III, pag. 243)Pater, Ave.

Pro peccatis suae gentis
Vidit Jesum in tormentis
Et flagellis subditum

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

SETTIMA STAZIONE: Gesù cade per la seconda volta sotto la croce.

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viacrucis7Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Sono assediato da ogni punto, costretto da mille istanze a cercare affannosamente e disperatamen­te colui che crudelmente ferì e continua ad impia­gare senza mai farsi vedere; contraddetto in ogni modo, chiuso per ogni lato, tentato per ogni verso, impossessato totalmente da altrui potere… Mi sento bruciare ancora tutte le viscere. Breve, tutto è posto a ferro e fuoco, spirito e corpo. Ed io con l’animo pieno di tristezza e con gli occhi inariditi ed isteriliti dal versare lacrime, devo assistere… a tutto questo strazio, a questo sfacelo completo…». (Ep. I, pag. 1096) Pater, Ave.

Vidit suum dulcem natum,
Moriendo, desolatum,
Dum emisit spiritum.

Santa Madre io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

OTTAVA STAZIONE: Gesù consola le pie donne.

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viacrucis8Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Parmi di sentire tutti i lamenti del Salvatore. Almeno l’uomo, per il quale io agonizzo… mi fosse grato, mi ricompensasse con amore tan­to mio penare per lui». (Ep. IV, pag. 904)

Questa è la via per cui il Signore conduce le anime forti. Qui (quell’anima) imparerà meglio a co­noscere qual è la nostra vera patria, ed a riguar­dare quesa vita come breve pellegrinaggio. Qui ella impa­rerà ad elevarsi sopra tutte le cose create ed a mettersi il mondo sotto i piedi. Vi attingerà una forza ammirabile… E poi il dolce Gesù non la lascerà in questo stato sen­za consolarla». (Ep. I, pag. 380). Pater, Ave.

Eja, Mater, fons amoris,
Me sentire vim doloris
Fac ut tecum lugeam.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore szano impresse nel mio cuore.

 

NONA STAZIONE: Gesù cade per la terza volta sotto la croce.

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viacrucis9Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Egli è prostrato col volto sulla terra dinanzi alla maestà del Padre suo. Quella divina faccia, che tiene estasiati in eterna ammirazione di sua bel­lezza i celesti comprensori è su la terra tutta sfigurata. Mio Dio! Mio Gesù! non sei tu il Dio del cielo e della terra, eguale in tutto e per tutto al Padre tuo, che ti umilii sino al punto di perdere quasi le sembianze dell’uomo? Ah! si, lo comprendo, è per insegnare a me superbo che per trattare col cielo devo inabissarmi nel centro della terra. E per riparare ad espiare la mia alterigia, che tu ti profondi così dinanzi alla maestà del Padre tuo; è per ren­dergli quella gloria, che l’uomo superbo gli ha tolta; è per piegare il suo pietoso sguardo su l’umanità… E per la tua umiliazione egli perdona alla creatura superba». (Ep. IV pag. 896-897).Pater, Ave.

Fac ut ardeat cor meum
In amando Christum Deum
Ut sibi complaceam.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

DECIMA STAZIONE: Gesù è spogliato.

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viacrucis10Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Sul monte Calvario risiedono i cuori che lo Sposo celeste favorisce… Ma poni attenzione a ciò che sono per dire. Gli abitanti di quella collina debbo­no essere spogliati di tutti gli abiti ed affezioni mondane, come il loro re lo fu delle vesti che portava quando vi giunse. Osserva… le vesti di Gesù erano sante, non essendo state profanate, allorché i carnefici gliele tolsero in casa di Pilato, era giusto che di esse il nostro divin maestro se ne svestisse, per addimostrarci che su questo colle non devesi portare nulla di profano; e chi oserà fare il contrario, il Calvario non è per esso, quella mistica scala per cui si sale al paradiso. Guardati dunque… di entrare nel festino della croce, mille volte più delizioso delle nozze mondane, sen­za la veste bianca, candida e netta di tutt’altra intenzione, che quella di piacere al divino Agnello». (Ep. III, pag. 700-701).Pater, Ave.

Sancta Mater, istud agas
Crucifixi fige plagas
Cordi meo valide.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

UNDICESIMA STAZIONE: Gesù è crocifisso.

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viacrucis11Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Oh! se mi fosse possibile aprirvi tutto il mio cuo­re e farvi leggere tutto ciò che vi passa… Oramai, grazie al cielo, la vittima è già salita all’altare degli olocausti e da sé dolcemente si va disten­dendo su di esso: il sacerdote è già pronto ad immolar­la…». (Ep. I, pag. 752-753).

«Quante volte – mi ha detto Gesù poc’anzi – mi avresti abbandonato, figlio mio, se non ti aves­si crocifisso». «Sotto la croce s’impara ad amare ed io non la do a tutti, ma solo a quelle anime che mi sono più care». (Ep. I, pag. 339). Pater, Ave.

Tui Nati vulnerati,
Tam dignati pro me pati,
Poenas mecum divide.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

DODICESIMA STAZIONE: Gesù muore in croce.

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viacrucis12Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Gli occhi semichiusi e quasi spenti, la bocca semiaperta, il petto, prima ansante, ora affievolito quasi del tutto cessato di battere. Gesù, adorato Gesù, ch’io muoia accanto a te! Gesù, il mio silenzio contemplativo, accanto a te mo­rente, è più eloquente… Gesù, le tue pene penetrano nel mio cuore ed io mi abbandono accanto a te, le lacrime si disseccano sul mio ciglio ed io gemo con te, per la causa che a tale agonia ti ri­dusse e per l’intenso infinito tuo amore, che a tanto ti sot­topose! (Ep. IV, pag. 905-906). Pater, Ave.

Fac me tecum pie flere,
Crucifixo condolere,
Donec ego vixero.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

TREDICESIMA STAZIONE: Gesù è deposto dalla croce.

 

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viacrucis13Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Rappresenta alla tua immaginazione Gesù crocifisso tra le tue braccia e sul petto, e di’ cento volte baciando il suo costato: “Quest’è la mia speranza, la viva sorgente della mia felicità; quest’è il cuore dell’anima mia; mai nulla mi separerà dal suo amore…» (Ep. III, pag. 503)

«La Santissima Vergine ci ottenga l’amore alla cro­ce, ai patimenti, ai dolori ed ella che fu la prima a praticare il vangelo in tutta la sua perfezione, in tutta la sua severità, anche prima che fosse pubblicato, ot­tenga a noi pure e dessa stessa dia a noi la spinta di venire immediatamente a lei d’appresso». (Ep. I, pag. 602) Pater, Ave.

Juxta Crucem tecum stare,
Et me tibi sociare
In planctu desidero.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

QUATTORDICESIMA STAZIONE: Gesù viene posto nel sepolcro.

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viacrucis14Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Aspiro alla luce e questa luce non viene mai; e se alle volte pure si vede qualche tenue raggio, il che avviene troppo di raro, è desso proprio che riaccende nell’animo le brame le più disperate di rivedere risplendere il sole; e queste brame sono sì forti e violente, che spessissimo mi fanno languire e spasimare di amore per Iddio e mi vedo sul punto di andare in deliquio… Ci sono poi certi momenti che vengo assalito da vio­lente tentazioni contro la fede… Di qui nascono ancora tut­ti quei pensieri di sconforto, di diffidenza, di disperazio­ne… Mi sento spezzare l’anima dal dolore ed una estrema confusione mi pervade tutto». (Ep. I, pag. 909-910). Pater, Ave.

Quando corpus morietur
Fac ut animae donetur
Paradisi gloria.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

 

QUINDICESIMA STAZIONE: Gesù risorge.

Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo perché con la tua croce hai redento il mondo.

Dagli scritti di Padre Pio: «Volevano le regole di una rigorosa giustizia che, risorto, Cristo salisse… glorioso alla destra del suo celeste Padre ed al possesso dell’eterno gaudio, che proposto si era nel sostenere l’acerbissima morte di croce. E nondimeno noi sappiamo benissimo che, per lo risorge spazio di quaranta giorni, volle comparire risorto… E per che mai? Per stabilire, come dice S. Leone, con sì eccelso mistero le massime tutte della novella sua fede. Riputò quindi di non aver fatto abbastanza per la nostra edifica­zione se, dopo esser risorto, non compariva. …non basta a noi il risorgere ad imitazione di Cristo, se a sua imitazione non compariamo risorti, cambiati e rinnovati nello spirito». (Ep. IV, pag. 962-963) Pater, Ave.

Santa Madre, io ti prego che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.

Preghiamo

O Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fà che abbiamo sempre presente l’insegnamento della sua Passione per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Per le intenzioni del Santo Padre e per l’acquisto delle indulgenze: Pater noster, Ave, Gloria.



     


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  La velatura della croce. Per saperne di più




 SI VEDA UN ALTRO NOSTRO POST sulla storia e sul significato della Velatio della Croce e delle immagini dei santi durante la Settimana Santa.

Il colore per la velatura della croce 
Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale

da Zenit del 22.03.2013
 Roma, 22 Marzo 2013

Un lettore statunitense ha presentato la seguente domanda a padre Edward McNamara:Nel nuovo Messale Romano il colore per coprire la croce è viola, ma il colore dei paramenti è rosso. Ho notato che varie chiese usano il rosso e un po’ il  viola, e anche il Vaticano utilizza il rosso. Qual è il colore corretto per velare la croce il Venerdì Santo? -- M.P., St. Petersburg, Florida (USA)

Pubblichiamo di seguito la risposta di padre Edward McNamara:
Per quanto riguarda la velatura delle immagini il Messale Romano dice testualmente quanto segue:
Per la quinta Domenica di Quaresima: “L’uso di velare le croci e le immagini della chiesa può essere osservato, se la Conferenza episcopale lo decide. Le croci rimangono coperte fino alla fine della Celebrazione della Passione del Signore il Venerdì Santo, ma le immagini rimangono coperte fino all’inizio della Veglia pasquale”. 

Nessun colore specifico viene menzionato qui, ma si può ragionevolmente presumere che sia il viola, perché questo è il colore tradizionale e corrisponde anche al tempo liturgico. Il messale è più netto per quanto riguarda il primo modo di mostrare la Croce il Venerdì Santo: “Il diacono accompagnato da ministranti, o da un altro ministro idoneo, va alla sacrestia, dalla quale, in processione, accompagnato da due ministri con i ceri accesi, porta la croce, coperto da un velo viola, per la navata al centro della chiesa”. 
Nella forma straordinaria, il viola è prescritto sia per il Venerdì Santo che per la velatura di tutte le immagini e croci esposte alla pubblica venerazione, prima dei vespri che precedono la prima domenica di Passione (la quinta Domenica di Quaresima nel calendario attuale).

Immagini, come la Via Crucis, vetrate, così come dipinti, mosaici e altre opere d’arte che coprono vaste aree dei muri, non vengono velate. Come fa notare il nostro lettore, tuttavia, durante la celebrazione del Venerdì Santo, da parte del Santo Padre è stato usato un velo di colore rosso negli ultimi anni. Questo potrebbe essere un’usanza particolare della liturgia papale, simile a quella tradizione secondo la quale i paramenti rossi vengono anche usati  per il funerale di un papa. 

Secondo il grande storico della liturgia monsignor Mario Righetti, l’origine storica della prassi di velare le immagini deriva probabilmente da una consuetudine, in uso in Germania dal IX secolo, di stendere un grande panno davanti all’altare dall’inizio della Quaresima.Questo tessuto, chiamato Hungertuch (stoffa della fame), nascondeva  interamente l’altare ai fedeli durante la Quaresima e non veniva rimosso, se non durante la lettura della Passione il Mercoledì Santo alle parole “il velo del tempio si squarciò in due”. Alcuni autori dicono che c’era un motivo pratico per questa usanza, in quanto i fedeli, spesso analfabeti, avevano bisogno di un modo per sapere che si era in tempo di Quaresima. 

Altri invece sostengono che si trattava di un residuo dell’antica pratica della penitenza pubblica, durante la quale i penitenti venivano ritualmente espulsi dalla chiesa, all’inizio della Quaresima. Quando successivamente il rito della penitenza pubblica cadde in disuso - l’intera assemblea simbolicamente entrò nell’ordine dei penitenti, ricevendo le ceneri Mercoledì delle Ceneri - non era più possibile espellerli dalla chiesa. Piuttosto, l’altare o “Santo dei Santi” veniva celato alla loro vista fino a quando non si erano riconciliati con Dio a Pasqua. Per motivi analoghi, più tardi, nel Medioevo, anche le immagini di croci e santi venivano velate sin dall’inizio della Quaresima.

La regola di limitare la velatura al tempo della Passione è venuta più tardi e non appare prima della pubblicazione del Cerimoniale dei Vescovi nel XVII secolo.Dopo il Concilio Vaticano II ci sono state delle mosse per abolire la velatura di tutte le immagini, ma la pratica è sopravvissuta, anche se in una forma mitigata.

(22 Marzo 2013)




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Tempo di Passione: dalla velatura delle immagini alla svelata pasquale. Teologia e tradizione di un rito antico

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Pubblichiamo un accurato studio sulle origini e sul significato teologico e spirituale di un rito antichissimo, che caratterizza le ultime due settimane di Quaresima, dette “Tempo di Passione”.

di Alessandro Scaccianoce

Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

In origine limitata alla sola Settimana Santa, che si apriva con la Domenica delle Palme, detta appunto “De Passione Domini”, nel tempo la contemplazione della Passione del Signore, culmine della Redenzione e fonte di vitalità spirituale, venne anticipata e celebrata anche nella settimana precedente.

Questo tempo speciale, che si inserisce nel già propizio tempo di Quaresima, viene sottolineato con alcune specifiche regole cultuali. Tra queste la più caratteristica è la “Velatio”, ovvero la velatura delle croci e delle immagini della chiesa esposte alla venerazione dei fedeli. A norma del Messale tridentino, nel sabato che precede la I domenica di Passione, (quindi il sabato della IV settimana di Quaresima), «finita la Messa e prima dei Vespri si coprono le croci e le immagini della chiesa con veli violacei; le croci restano coperte fino al termine dell’adorazione della croce da parte del celebrante il Venerdì Santo, le immagini fino all’intonazione del Gloria nella Messa della Vigilia Pasquale». In tale periodo solo le immagini della Via Crucis restano senza velo. 
Il giovedì santo la croce dell’altare maggiore, per il tempo della Messa, si copre con un velo bianco.

Si tratta di un rito molto antico risalente addirittura al sec. IX, forse un retaggio della separazione dei penitenti pubblici nella chiesa. I penitenti pubblici erano i fedeli che si erano resi colpevoli di gravi peccati dopo il Battesimo. Questi, dopo un periodo di penitenza, nel periodo precedente la Pasqua, venivano riammessi alla comunione la mattina del Giovedì Santo, con un apposito rito. Nel tempo, poi, tutti i cristiani furono assimilati ai penitenti pubblici, nella consapevolezza della necessità per tutti di un tempo di penitenza in preparazione alla Pasqua del Signore. Così cominciò a diffondersi l’abitudine di nascondere ai fedeli l’altare maggiore, per mostrare visivamente gli effetti del peccato, che rompe la comunione con il Signore e ne oscura la visione.

Da sempre, infatti, la liturgia si esprime in una ricchezza di segni che rendono manifesta la realtà dei Misteri celebrati sull’altare. Salvo qualche tentazione iconoclasta, che periodicamente riemerge nella storia della Chiesa.

Il Concilio di Trento, riferendosi in particolare alla S. Messa, motiva questa consuetudine ricordando che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti […] per introdurre i fedeli con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo Sacrificio» (DS 1746).

E così, come per la liturgia è importante la presenza dell’immagine, altrettanto rilevante è la sua assenza. Il nascondimento dei Santi e di Cristo stesso aiuta ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui quei volti si offrono nuovamente al nostro sguardo.

Al di là della sua origine, il rito della “Velatio”conserva ancora oggi un profondo significato e una intensa capacità catechetica ed emotiva:nascondere alla vista le immagini dei Santi aiuta a concentrarsi su Colui che è l’origine di ogni santità. Egli è colui che rende accessibile il cielo agli uomini. Senza di lui la nostra vita non avrebbe più una dimensione trascendente, sarebbe un vagare nelle tenebre del peccato e “nell’ombra della morte”. La velatura delle croci sottolinea anche fisicamente la privazione di Cristo, il “venir meno dello sposo”: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi” dice il profeta Isaia (53,8).  

Quei veli che nascondono il Cristo alla nostra vista stanno a ricordare che quell’evento riaccade ancora oggi. Che anche noi siamo “tra gli uccisori di Cristo”, tra quelli che lo volevano gettare dal precipizio della città di Nazaret, o lapidarlo nel tempio di Gerusalemme. Si tratta, dunque, di un segno efficace che aiuta a meditare, riflettere e pregare sulla tragicità della condizione umana senza la presenza del Dio redentore.

Si capisce, allora, che nella I Domenica di Passione – secondo il calendario tridentino – venga proclamato il Vangelo di Giovanni che fa esplicito riferimento al nascondimento di Gesù di fronte ai suoi nemici: “Iesus autem abscondit se et exivit de templo” (Gesù si nascose e uscì dal tempio, Gv 8,59). Sembrerebbe che, in passato, la velatura del Crocifisso avvenisse proprio mentre il Diacono cantava questo versetto.

Nella sua ricchezza di significati il segno della “Velatio” rimanda anche alla velatura della Divinità di Nostro Signore, che possiamo illustrare con queste splendide parole di Sant’Agostino sulla passione del Signore: “Dio era nascosto; si vedeva la debolezza, la maestà era nascosta; si vedeva la carne, il Verbo era nascosto. Pativa la carne; dov’era il Verbo, quando la carne pativa? Eppure neanche il Verbo taceva, perché c’insegnava la pazienza”. La gloria di Cristo, dunque, è eclissata sotto le ignominie della Passione.

Lo scenario delle nostre chiese, con immagini, dipinti e simulacri velati, ci ripropone l’esperienza del “Deus absconditus” (Dio nascosto), su cui molta teologia ha scritto. In tale contesto, Dio va cercato nel proprio cuore, è lì che deve risorgere. Risulta particolarmente efficace al riguardo questa citazione di B. Pascal:“Gli uomini sono nelle tenebre e nella lontananza da Dio, che è nascosto alla loro coscienza. Egli non sarà colto che da quelli che lo cercano anzitutto nel cuore”. Questi sentimenti sono particolarmente accentuati alla sera del Giovedì Santo, in cui si fa memoria del “rapimento di Gesù” da parte delle guardie del tempio. Da quel momento egli è in balìa della loro ferocia. “E’ l’impero delle tenebre” (Lc 22,4), come afferma Gesù stesso.

Questa atmosfera in antico culminava nel caratteristico “Ufficio delle tenebre”, ovvero nella celebrazione del mattutino e delle lodi del Giovedì, del Venerdì e del Sabato Santo.
Ad ogni salmo veniva spento uno dei 15 ceri posti su un apposito candeliere (la “Saetta o Tenebrarium”) a forma di triangolo. Tutta la chiesa veniva così gradualmente immersa nel buio. Rimaneva accesa la candela più alta  (simbolo della fede di Maria, che è rimasta viva anche nel silenzio della morte di Cristo).

Dopo la riforma liturgica la pratica della“Velatio”, è stata pressoché universalmente abbandonata, sulla scorta di un malinteso “spirito conciliare”. In realtà, questo rito, di cui abbiamo cercato di spiegare la profondità e la ricchezza, conserva tutta la sua attualità.

Si rese necessario, pertanto,  un intervento chiarificatore della Congregazione per il Culto Divino circa l’opportunità di conservare o recuperare questa usanza, come indicato nella lettera circolare Paschalis sollemnitatis del 16 gennaio 1988:«L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere utilmente conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il Venerdì Santo; le immagini fino all’inizio della Veglia Pasquale» ( n. 26). La Conferenza Episcopale Italiana, dal canto suo, ha sempre fatto rinvio agli usi locali.

La stessa circolare specifica nel capitolo IV a proposito della Messa Vespertina del Giovedì Santo nella Cena del Signore: “Terminata laMessa [in Cena Domini] viene spogliato l’Altare della Celebrazione. E’ bene coprire le Croci della Chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della Domenica V di Quaresima. Nonpossono accendersi le luci davanti alle Immagini dei Santi”.

Nel rito ambrosiano tale pratica è estesa addirittura a tutta la Quaresima, in cui la forte meditazione sulla passione del Signore è sottolineata dai venerdì a-liturgici, in cui cioè non si celebra l’Eucaristia, e dall’uso del colore nero per tutte le ferie del tempo. A norma del Sinodo XLI n° 513 “nel pomeriggio del sabato precedente la prima Domenica di Quaresima nelle Chiese ed Oratori si devono coprire tutte le immagini sacre, siano dipinte o siano scolpite, che sono poste in venerazione, non quelle di ornamento”.

Significativa, poi, è la svelatura delle immagini, che – come abbiamo visto – avviene in due momenti diversi:  il Venerdì Santo viene scoperto il crocifisso, mentre tutte le altre immagini al gloria del Sabato Santo. Dopo il tempo in cui Cristo è stato sottratto ai nostri sguardi, ci viene restituito innanzitutto nell’immagine del “trafitto”. 

E’ questa la prima immagine che ci consegna la passione del Signore: un cuore aperto, donato fino all’ultima goccia di sangue e acqua.“Velum templi scissum est”, dicono i Vangeli. Quel velo che separava il Sancta Sanctorum(ovvero la parte più sacra del tempio di Gerusalemme) dal resto del Tempio, in cui  poteva accedere (una volta all’anno) il Sommo Sacerdote, viene lacerato alla morte di Cristo. In quel momento si “ri-vela” universalmente l’intima natura di Dio stesso nel cuore trafitto di Cristo. Il significato di questo velo è, come è stato ben scritto da autorevoli commentatori ed esegeti, che gli uomini sono separati da Dio a causa del peccato. 

La lacerazione del velo del Tempio, pertanto, sta a significare l’unione della terra con il cielo, rendendone l’accesso aperto ad ogni uomo. Ed ecco che la sapienza della Chiesa offre tutto questo alla nostra contemplazione attraverso il rito dell’adorazione della Croce che – secondo la forma più antica – viene svelata solennemente di fronte ai fedeli.
In questo giorno si rendono evidenti le parole di Gesù: Questa generazione cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Lc 11,29).

A questa prima “rivelazione” del Venerdì Santo, fa seguito, nella Veglia Pasquale, la definitiva liberazione delle immagini di tutti i Santi. Il Cristo risorto, infatti, associa alla sua gloria quanti lo hanno seguito da vicino, testimoni della Sua redenzione.Penso all’efficace iconografia bizantina che raffigura la risurrezione di Cristo nell’atto di trarre dagli inferi Adamo ed Eva. Si capisce, allora, che le immagini dei Santi vengano svelate dopo che è stato dato l’annuncio della risurrezione di Cristo, al canto del “Gloria in esxcelsis”: “In lui risorto, tutta la vita risorge”, canta il Prefazio di Pasqua.

In Sicilia, tale prassi è molto ben documentata. Alla velatura delle immagini, infatti, la I Domenica di Passione, corrispondelo svelamento dell’altare maggiore che ha luogo alla vigilia di Pasqua. Al canto del gloria, mentre si sciolgono le campane, il lungo telone scuro (vi sono esemplari alti  anche più di dieci metri) che ha nascosto il presbiterio nelle due settimane precedenti, viene lasciato precipitare giù, restituendo ai fedeli l’altare maggiore con il simulacro del Cristo risorto in bella vista: “a calata ’a tila” (calata della tela).  Tale rito si è conservato anche quando il rito liturgico è stato spostato dal mezzogiorno alla notte del Sabato Santo. A questo momento, detto anche “a risuscita”, si legavano poi varie tradizioni popolari e contadine: come quella di trarre auspici dal numero di candele che rimanevano accese nonostante il forte spostamento d’aria generato dal repentino precipitare giù del telo. Questa tradizione si conserva tutt’oggi in molti centri della Sicilia (da Adrano e Belpasso a Nicolosi, da  San Giovanni la Punta a Catenanuova, daComiso a  Petralia Sottana, fino alla chiesa di San Domenico a Palermo).

Anche a Biancavilla la “Velatio” è attestata, come dimostrano, se non altro, molti teli violacei conservati nei più remoti angoli delle sacrestie delle chiese più antiche. Nella Chiesa Madre, inoltre, vi era un grandissimo telone, di circa 10 metri di altezza per 6 metri di larghezza, riproducente la scena della deposizione del Signore dalla croce, che ricopriva tutta l’area presbiterale durante il tempo di Passsione. Questa “tela”, probabilmente settecentesca (come le tele superstiti di alcuni paesi vicini),  nel tempo andò deteriorandosi, fino ad essere ripartita intorno agli anni 60 in piccole parti e divisa tra alcuni fedeli che ne fecero gli usi più vari (qualcuno anche per raccogliere le olive!). Circa dieci anni fa, per iniziativa di alcuni giovani, tale usanza è stata ripristinata, con una nuova tela realizzata ex novo dal M° Giuseppe Santangelo, che ne ha fatto anche un bellissimo esemplare per la chiesa dell’Annunziata. Tuttavia, la tela non viene utilizzata tutti gli anni e l’incontro degli occhi con il Signore Risorto è affidato ad altre soluzioni.

Il telo che nella notte del Sabato Santo precipita rovinosamente ha un definitivo significato escatologico: esso sta ad indicare che al nostro orizzonte è restituita la visione dell’al di là. Possiamo guardare con fiducia oltre la morte,poiché il Vivente sta lì, “primogenito di molti fratelli”, ad assicurarci che il nostro destino è il cielo, ovvero la profondità delle cose. Con la sua risurrezione Cristo ha guarito la nostra “cataratta” spirituale. E il segno della tela lo esprime in modo eloquente.

Alla fine della Veglia Pasquale, quei teli raccattati alla svelta, accantonati in un angolo, ci ricordano la realtà “fisica” della risurrezione. Anche per noi si rende possibile l’esperienza dell’Apostolo Giovanni che “vide i teli per terra” ed entrato, “vide e credette” (Gv 20,13).









[Modificato da Caterina63 15/03/2016 10:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2016 00:10
 
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“Nei giorni della Quaresima, la Chiesa, nostra Madre, moltiplica le sue cure perché ognuno di noi si renda diligentemente conto delle sue miserie, sia attivamente incitato alla emendazione dei costumi, e detesti in modo particolare i peccati cancellandoli con la preghiera e la penitenza; giacché l’assidua preghiera e la penitenza dei peccati commessi ci ottengono l’aiuto divino, senza il quale è inutile e sterile ogni opera nostra” (Pio XII, Lettera Enciclica Mediator Dei).

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OMELIA DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII*

Basilica Vaticana – Domenica, 26 marzo 1950

La spontanea e ardente devozione, diletti figli e figlie, con cui siete qui accorsi in questa giornata di penitenza, non poteva interpretare meglio le Nostre intenzioni, né compiere con maggiore soddisfazione Nostra il voto del Nostro cuore, confidatovi fin dalla vigilia dell’apertura della Porta santa, allorchè vi esortammo a dar vita ed impulso in questo Anno giubilare ad un fervido movimento spirituale di espiazione.

Nella presente Domenica la Chiesa dà principio al sacro tempo della Passione, e con la mestizia dei suoi riti fa rivivere dinanzi agli occhi e nelle anime dei fedeli il dramma del divino Espiatore delle colpe umane : Gesù Cristo Signor Nostro.

Questa giornata mondiale di penitenza risponde invero ai bisogni più urgenti della società in cui viviamo.

All’occhio illuminato dalla fede, come allo sguardo di ogni onesto, cui suffraga la coscienza naturale non offuscata da pregiudizi e da traviamenti, mentre sfolgora nella sua indefettibile chiarezza quella legge che incoraggia al bene e storna dal male, che precede e sovrasta tutti i codici della terra ed è una in tutti i popoli e in tutte le età, che è norma di ogni azione umana e base di ogni civile consorzio (cfr. Cic. De legibus 1. 2 c. 4); a quell’occhio non può sfuggire lo spettacolo miserando di un mondo in disfacimento per la rovina, in esso operata, delle fondamentali strutture morali della vita.

Alieni da ogni ingiustificato pessimismo, che contrasta con la stessa speranza cristiana, figli anzi del nostro tempo, non legati da irragionevoli nostalgie di età che furono, Noi non possiamo tuttavia non rilevare la crescente marea di colpe private e pubbliche, che tenta di sommergere le anime nel fango e di sovvertire tutti i sani ordinamenti sociali.

Come ogni tempo ha una impronta propria che sigilla le sue opere, così l’età nostra nella sua stessa colpevolezza si distingue per contrassegni, quali i secoli passati non videro forse mai egualmente insieme congiunti.

Primo e più grave stigma è la consapevolezza, che rende inescusabile l’oltraggio alla legge divina. Nel grado di luce e di vita intellettuale, diffuse, come non mai per l’innanzi, nei vari ceti sociali, onde va altera la civiltà moderna; nel senso più vivo e geloso della propria dignità personale e della interiore libertà dello spirito, onde si gloria la coscienza d’oggi; non dovrebbero più trovar posto la possibilità o presunzione d’ignoranza delle norme che regolano i rapporti delle creature tra loro e col Creatore, e quindi neppure la scusa in essa fondata che attenuerebbe la colpa. La quale, dilagando in una quasi universalità di decadenza morale, ha contaminato anche zone una volta tradizionalmente immuni, quali erano le campagne e la tenera fanciullezza.

Una serie di spudorate e criminali pubblicazioni apprestano ai vizi e ai delitti i mezzi più obbrobriosi di seduzione e di traviamento. Velando l’ignominia e la bruttezza del male sotto l’orpello della estetica, dell’arte, della effimera ed ingannevole grazia, del falso coraggio; ovvero accondiscendendo senza ritegno alla morbosa avidità di sensazioni violente e di nuove esperienze di dissolutezza; l’esaltazione del malcostume è giunta fino ad uscire palesemente in pubblico e ad inserirsi nel ritmo della vita economica e sociale del popolo, facendo oggetto d’industria lucrosa le piaghe più dolorose, le più miserevoli debolezze dell’umanità.

Persino alle più basse manifestazioni di questo scadimento morale si osa talvolta cercare una giustificazione teorica, appellandosi ad un umanesimo di dubbia lega o ad una commiserazione, che indulge alla colpa per ingannare e traviare più facilmente le anime.

Falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell’uomo e quasi arricchimento della propria personalità. È reato di lesa società la cittadinanza data al delitto col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile, di naturale defettibilità umana, quando tutto si lascia correre o peggio si mette in opera per eccitare scientemente le passioni, per allentare ogni freno che promana da un elementare rispetto della pubblica moralità o dal pubblico decoro, per raffigurare coi colori più seducenti l’infrazione del vincolo coniugale, la ribellione alle pubbliche autorità, il suicidio o la soppressione della vita altrui.

Senza dubbio Noi riconosciamo col cuore pieno di tenera compassione la fragilità della umana natura, particolarmente nelle presenti condizioni storiche; riconosciamo che la miseria, l’abbandono, la promiscuità di persone abitanti in squallidi tuguri sono una delle gravi cause della immoralità; ma è pur sempre propria dell’uomo la volontà libera e dominatrice dei suoi atti, proprio dell’uomo l’aiuto soprannaturale della grazia, che Dio mai non nega a chi fiduciosamente la invoca.

Ed ora misurate, se vi regge l’occhio e lo spirito, con l’umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo. Opera propria dell’uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l’opera di Dio. Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro se stessi, nell’anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società. Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d’iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni. Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l’uomo è stato creato, con gl’ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.

Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l’ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinchè si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità. Con tutto l’ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo. Per questa via l’anima ritorna nelle braccia del Padre celeste, risorge nella grazia santificante, si ristabilisce nell’ordine e nell’amore, si riconcilia con la divina giustizia; è il gran ritorno della umanità ribelle alle leggi di Dio e della Chiesa, che abbiamo sospirato nella Nostra attesa piena di fiducia e di speranza e che affrettiamo coi Nostri desideri, coi gemiti del Nostro cuore, con le Nostre preghiere, coi Nostri sacrifici, col dispensare largamente l’inesauribile tesoro spirituale della Chiesa, commesso alle Nostre cure. Non temete per la gioia serena della vostra vita, quasi che l’invito alla penitenza voglia stendervi un velo di cupa tristezza. Tanto ne è lontano il rinnegamento di sè, che anzi è condizione indispensabile dell’intima letizia, destinata da Dio ai suoi servi quaggiù. E Noi con la medesima ansia e sollecitudine, che Ci brucia il cuore per la vostra correzione, non dubitiamo di esortarvi con l’Apostolo S. Paolo: Siate sempre lieti nel Signore : « Gaudete in Domino semper; iterum dico, gaudete » (Phil. 4, 4).

In questo spirito Noi spesso abbiamo levato la Nostra voce in favore degli indigenti e degli oppressi da inique condizioni economiche, miseramente privi anche delle cose più necessarie alla vita, invocando e promovendo una più effettiva giustizia. Ma nella visione cristiana di una società dove la ricchezza sia meglio distribuita, trovano pur sempre posto la rinunzia, la privazione, la sofferenza, retaggio inevitabile ma fecondo quaggiù. E il godimento più intenso, che valga mai a gustare o a desiderare un cuore sulla terra, sarà e dovrà essere sempre superato dalla speranza della futura e perfetta felicità: « spe gaudentes » (Rom. 12, 12). Sostituite, invece, la concezione materialistica del mondo, nella quale il benessere viene sognato perfetto e compiuto in terra, come termine e scopo adeguato della vita, e vedrete l’aspirazione alla giustizia divenire spesso cieco egoismo e la conseguita agiatezza una corsa verso l’edonismo.

Ora appunto l’edonismo, cioè la ricerca affannosa di ogni godimento terreno, lo sforzo esasperato di conquistare quaggiù e ad ogni costo la felicità intera, la fuga, come da somma sciagura, dal dolore, l’affrancamento da ogni penoso dovere; tutto questo rende la vita triste e quasi insopportabile, perchè scava intorno allo spirito un vuoto mortale. Non altro indica il presente moltiplicarsi di gesti insani di ribellione alla vita e al suo Autore, perchè con anticristiana pretesa si vuole da essa escludere ogni sorta di patimento.

Saper sopportare la vita! È la prima penitenza di ogni cristiano, la prima condizione e il primo mezzo di santità e di santificazione. Con quella rassegnazione docile che è propria di chi crede in un Dio giusto e buono, ed in Gesù Cristo maestro e guida dei cuori, abbracciate con coraggio la spesso dura croce quotidiana. A portarla con Gesù il suo peso diventa lieve.

Ma le condizioni singolarmente gravi dell’ora presente sospingono i cristiani, se mai in passato, oggi soprattutto, a dare in sè compimento di quel che manca alla passione di Cristo ( cfr. Col. 1, 24), non solo per desiderio di riparare sempre meglio al malfatto e per dare segno più certo e prova più sicura della sincerità del loro ritorno, ma anche per concorrere alla salvezza di tutti i redenti.

A tal fine, tutti i cristiani, penitenti ed innocenti, affratellati nell’intenzione e nell’opera di una espiazione salutare, si uniscano al supremo Pastore delle anime ed unico loro Salvatore Gesù Cristo, l’Agnello del sacrificio, che toglie i peccati del mondo. Egli è là, sui nostri altari, a rinnovare in ogni ora il sacrificio del Golgota. Insieme con lui e in virtù della sua grazia, si mobiliti in questa santa giornata l’esercito delle anime espianti nell’immensa Chiesa di Dio, Le sofferenze, accettate con cristiana e volonterosa rassegnazione o liberamente e generosamente scelte, ridoneranno un volto cristiano alla umanità decaduta e saranno nelle bilance della giustizia divina un salvifico contrappeso agli umani delitti.

Sì, o Gesù crocifisso, che avete divinizzato la natura umana, assumendola voi stesso, che, dopo aver predicato la giustizia, la carità, la bontà, dopo aver fatto del ricco e del potente la forza del povero e del debole, avete con la vostra passione e morte donato la salute e la salvezza al genere umano, volgete il vostro sguardo amoroso su questo popolo, che, unito ai fedeli di tutto il mondo, si prostra ai vostri piedi in spirito di penitenza ed invoca da voi il perdono, anche per tanti infelici che deliberatamente vorrebbero scoronarvi e profanarvi nell’orgoglio meschino della loro intelligenza e nella sterile voluttà della loro carne. O Signore, salvateci, che non periamo. Calcate le onde nel pelago agitato dell’animo nostro, siate il nostro compagno nella vita e nella morte, il nostro giudice pietoso. Le folgori dei meritati castighi cedano il posto a una nuova e larga effusione della vostra misericordia sulla umanità redenta. Estinguete gli odi; accendete l’amore; disperdete col soffio potente del vostro Spirito i pensieri e le brame di dominazione, di distruzioni e di guerre. Concedete il pane ai piccoli, ai senzatetto la casa, ai disoccupati il lavoro, la concordia alle nazioni, la pace al mondo, a tutti il premio della eterna beatitudine. Così sia.

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 – 1° marzo 1951, pp. 13 -18

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fonte: Sito della Santa Sede



CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
XXXI Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 20 marzo 2016

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«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (cfr Lc 19,38), gridava festante la folla di Gerusalemme accogliendo Gesù. Abbiamo fatto nostro quell’entusiasmo: agitando le palme e i rami di ulivo abbiamo espresso la lode e la gioia, il desiderio di ricevere Gesù che viene a noi. Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite. Come fece nel Vangelo, cavalcando un asino, viene a noi umilmente, ma viene «nel nome del Signore»: con la potenza del suo amore divino perdona i nostri peccati e ci riconcilia col Padre e con noi stessi.

Gesù è contento della manifestazione popolare di affetto della gente, e quando i farisei lo invitano a far tacere i bambini e gli altri che lo acclamano risponde: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza.

Ma la Liturgia di oggi ci insegna che il Signore non ci ha salvati con un ingresso trionfale o mediante potenti miracoli. L’apostolo Paolo, nella seconda Lettura, sintetizza con due verbi il percorso della redenzione: «svuotò» e «umiliò» sé stesso (Fil 2,7.8). Questi due verbi ci dicono fino a quale estremo è giunto l’amore di Dio per noi. Gesù svuotò sé stesso: rinunciò alla gloria di Figlio di Dio e divenne Figlio dell’uomo, per essere in tutto solidale con noi peccatori, Lui che è senza peccato. Non solo: ha vissuto tra noi in una «condizione di servo» (v. 7): non di re, né di principe, ma di servo. Quindi si è umiliato, e l’abisso della sua umiliazione, che la Settimana Santa ci mostra, sembra non avere fondo.

Il primo gesto di questo amore «sino alla fine» (Gv 13,1) è la lavanda dei piedi. «Il Signore e il Maestro» (Gv 13,14) si abbassa fino ai piedi dei discepoli, come solo i servi facevano. Ci ha mostrato con l’esempio che noi abbiamo bisogno di essere raggiunti dal suo amore, che si china su di noi; non possiamo farne a meno, non possiamo amare senza farci prima amare da Lui, senza sperimentare la sua sorprendente tenerezza e senza accettare che l’amore vero consiste nel servizio concreto.

Ma questo è solo l’inizio. L’umiliazione che Gesù subisce si fa estrema nella Passione: viene venduto per trenta denari e tradito con un bacio da un discepolo che aveva scelto e chiamato amico. Quasi tutti gli altri fuggono e lo abbandonano; Pietro lo rinnega tre volte nel cortile del tempio. Umiliato nell’animo con scherni, insulti e sputi, patisce nel corpo violenze atroci: le percosse, i flagelli e la corona di spine rendono il suo aspetto irriconoscibile. Subisce anche l’infamia e la condanna iniqua delle autorità, religiose e politiche: è fatto peccato e riconosciuto ingiusto. Pilato, poi, lo invia da Erode e questi lo rimanda dal governatore romano: mentre gli viene negata ogni giustizia, Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino.
E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati, a coloro dei quali molti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino. La folla, che poco prima lo aveva acclamato, trasforma le lodi in un grido di accusa, preferendo persino che al suo posto venga liberato un omicida. Giunge così alla morte di croce, quella più dolorosa e infamante, riservata ai traditori, agli schiavi, ai peggiori criminali. La solitudine, la diffamazione e il dolore non sono ancora il culmine della sua spogliazione. Per essere in tutto solidale con noi, sulla croce sperimenta anche il misterioso abbandono del Padre. Nell’abbandono, però, prega e si affida: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Appeso al patibolo, oltre alla derisione, affronta l’ultima tentazione: la provocazione a scendere dalla croce, a vincere il male con la forza e a mostrare il volto di un dio potente e invincibile. Gesù invece, proprio qui, all’apice dell’annientamento, rivela il volto vero di Dio, che è misericordia. Perdona i suoi crocifissori, apre le porte del paradiso al ladrone pentito e tocca il cuore del centurione. Se è abissale il mistero del male, infinita è la realtà dell’Amore che lo ha attraversato, giungendo fino al sepolcro e agli inferi, assumendo tutto il nostro dolore per redimerlo, portando luce nelle tenebre, vita nella morte, amore nell’odio.

Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi pare difficile persino dimenticarci un poco di noi. Egli viene a salvarci; siamo chiamati a scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la “cattedra di Dio”. Vi invito in questa settimana a guardare spesso questa “cattedra di Dio”, per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama. Con la sua umiliazione, Gesù ci invita a camminare sulla sua strada. Rivolgiamo lo sguardo a Lui, chiediamo la grazia di capire almeno qualcosa di questo mistero del suo annientamento per noi; e così, in silenzio, contempliamo il mistero di questa Settimana.

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica delle Palme, 20 marzo 2016

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Saluto tutti voi che avete partecipato a questa celebrazione e quanti sono uniti a noi tramite la televisione, la radio e altri mezzi di comunicazione.

Oggi si celebra la 31ª Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà il suo culmine alla fine di luglio nel grande Incontro mondiale a Cracovia. Il tema è «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Il mio saluto speciale va ai giovani qui presenti, e si estende a tutti i giovani del mondo. Spero che potrete venire numerosi a Cracovia, patria di san Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Alla sua intercessione affidiamo gli ultimi mesi di preparazione di questo pellegrinaggio che, nel quadro dell’Anno Santo della Misericordia, sarà il Giubileo dei giovani a livello della Chiesa universale.

Sono qui con noi molti giovani volontari di Cracovia. Tornando in Polonia, porteranno ai responsabili della Nazione i rami di ulivo raccolti a Gerusalemme, Assisi e Montecassino e benedetti oggi in questa piazza, come invito a coltivare propositi di pace, di riconciliazione e di fraternità. Grazie per questa bella iniziativa; andate avanti con coraggio!

E ora preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti a vivere con intensità spirituale la Settimana Santa.

Angelus Domini…     

 

 





[Modificato da Caterina63 20/03/2016 13:45]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/03/2016 23:05
 
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  VENERDI' SANTO

Tu spezza le catene della colpa,
proteggi i miti, libera gli oppressi
e conduci nel cielo ai quieti pascoli
il popolo che crede nel tuo amore.

Sia lode e onore a te, pastore buono,
luce radiosa dell’eterna luce,
che vivi con il Padre e il Santo Spirito
nei secoli dei secoli glorioso. Amen.



La forza del sangue di Cristo


Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell’Antico Testamento.
Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte (cfr. Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l’uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell’antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
 

Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s’avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L’una simbolo del Battesimo, l’altro dell’Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l’Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima e io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del Battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.


Per questo Paolo, parlando del primo uomo, usa l’espressione: «Osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l’acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l’acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.

Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo





 

   GIOVEDI' SANTO



Ecce sacerdos magnus
qui in diebus
suis placuit Dco et incentus est
iustus et inventus est iustus,
Ecce sacerdos magnus
qui in diebus suis placuit Deo
et inventus est iustus.

Tratto dal fascicolo del CD "The Priests"

che spiega così il brano:

"Si tratta di un pezzo musicale di Edward Elgar che può andare a testa alta sia nella parte ecclesiastica che nella controparte orchestrale laica...
Una traduzione approssimativa del testo sarebbe: - Contemplate il Grande Sacerdote, che nei suoi giorni ha servito il Signore, e che è stato appena trovato".
Il testo proviene dalla Liturgia delle Ore, che è recitato ad intervalli regolari ogni giorno dal Clero e dalle Comunità religiose di tutto il mondo.
Di solito la si canta all'ordinazione di un Vescovo nella sua Cattedrale".

Quando la bella musica si fonde con le immagini per dire unGrazie a TUTTI i Sacerdoti del mondo per la loro Vocazione e per il loro "Fiat" al nostro servizio....e supplicare il Padrone della Messe perchè mandi Operai, e ci doni sempre santi sacerdoti dai quali proviene anche la nostra santità di laici...

Un Grazie al Santo Padre Benedetto XVI per questo Anno Sacerdotale, una vera perla di Grazia!
CLICCA QUI PER IL VIDEO


 







UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 23 marzo 2016

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11. Il Triduo Pasquale nel Giubileo della Misericordia

Cari fratelli e sorelle

La nostra riflessione sulla misericordia di Dio ci introduce oggi al Triduo Pasquale. Vivremo il Giovedì, il Venerdì e il Sabato santo come momenti forti che ci permettono di entrare sempre più nel grande mistero della nostra fede: la Risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo. Tutto, in questi tre giorni, parla di misericordia, perché rende visibile fino a dove può giungere l’amore di Dio. Ascolteremo il racconto degli ultimi giorni di vita di Gesù. L’evangelista Giovanni ci offre la chiave per comprenderne il senso profondo: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). L’amore di Dio non ha limiti. Come ripeteva spesso sant’Agostino, è un amore che va “fino alla fine senza fine”. Dio si offre veramente tutto per ciascuno di noi e non si risparmia in nulla. Il Mistero che adoriamo in questa Settimana Santa è una grande storia d’amore che non conosce ostacoli. La Passione di Gesù dura fino alla fine del mondo, perché è una storia di condivisione con le sofferenze di tutta l’umanità e una permanente presenza nelle vicende della vita personale di ognuno di noi. Insomma, il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita.

Il Giovedì santo Gesù istituisce l’Eucaristia, anticipando nel banchetto pasquale il suo sacrificio sul Golgota. Per far comprendere ai discepoli l’amore che lo anima, lava loro i piedi, offrendo ancora una volta l’esempio in prima persona di come loro stessi dovranno agire. L’Eucaristia è l’amore che si fa servizio. È la presenza sublime di Cristo che desidera sfamare ogni uomo, soprattutto i più deboli, per renderli capaci di un cammino di testimonianza tra le difficoltà del mondo. Non solo. Nel darsi a noi come cibo, Gesù attesta che dobbiamo imparare a spezzare con altri questo nutrimento perché diventi una vera comunione di vita con quanti sono nel bisogno. Lui si dona a noi e ci chiede di rimanere in Lui per fare altrettanto.

Il Venerdì santo è il momento culminante dell’amore. La morte di Gesù, che sulla croce si abbandona al Padre per offrire la salvezza al mondo intero, esprime l’amore donato sino alla fine, senza fine. Un amore che intende abbracciare tutti, nessuno escluso. Un amore che si estende ad ogni tempo e ad ogni luogo: una sorgente inesauribile di salvezza a cui ognuno di noi, peccatori, può attingere. Se Dio ci ha dimostrato il suo amore supremo nella morte di Gesù, allora anche noi, rigenerati dallo Spirito Santo, possiamo e dobbiamo amarci gli uni gli altri.

E, infine, il Sabato santo è il giorno del silenzio di Dio. Deve essere un giorno di silenzio, e noi dobbiamo fare di tutto perché per noi sia proprio una giornata di silenzio, come è stato in quel tempo: il giorno del silenzio di Dio. Gesù deposto nel sepolcro condivide con tutta l’umanità il dramma della morte. È un silenzio che parla ed esprime l’amore come solidarietà con gli abbandonati da sempre, che il Figlio di Dio raggiunge colmando il vuoto che solo la misericordia infinita del Padre Dio può riempire. Dio tace, ma per amore. In questo giorno l’amore – quell’amore silenzioso – diventa attesa della vita nella risurrezione. Pensiamo, il Sabato Santo: ci farà bene pensare al silenzio della Madonna, “la Credente”, che in silenzio era in attesa della Resurrezione. La Madonna dovrà essere l’icona, per noi, di quel Sabato Santo. Pensare tanto come la Madonna ha vissuto quel Sabato Santo; in attesa. È l’amore che non dubita, ma che spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua.

È tutto un grande mistero d’amore e di misericordia. Le nostre parole sono povere e insufficienti per esprimerlo in pienezza. Ci può venire in aiuto l’esperienza di una ragazza, non molto conosciuta, che ha scritto pagine sublimi sull’amore di Cristo. Si chiamava Giuliana di Norwich; era analfabeta, questa ragazza che ebbe delle visioni della passione di Gesù e che poi, divenuta una reclusa, ha descritto, con linguaggio semplice, ma profondo ed intenso, il senso dell’amore misericordioso. Diceva così: «Allora il nostro buon Signore mi domandò: “Sei contenta che io abbia sofferto per te?” Io dissi: “Sì, buon Signore, e ti ringrazio moltissimo; sì, buon Signore, che Tu sia benedetto”. Allora Gesù, il nostro buon Signore, disse: “Se tu sei contenta, anch’io lo sono. L’aver sofferto la passione per te è per me una gioia, una felicità, un gaudio eterno; e se potessi soffrire di più lo farei”». Questo è il nostro Gesù, che a ognuno di noi dice: “Se potessi soffrire di più per te, lo farei”.

Come sono belle queste parole! Ci permettono di capire davvero l’amore immenso e senza confini che il Signore ha per ognuno di noi. Lasciamoci avvolgere da questa misericordia che ci viene incontro; e in questi giorni, mentre teniamo fisso lo sguardo sulla passione e la morte del Signore, accogliamo nel nostro cuore la grandezza del suo amore e, come la Madonna il Sabato, in silenzio, nell’attesa della Risurrezione.


 


APPELLO

Con cuore addolorato ho seguito le tristi notizie degli attentati terroristici avvenuti ieri a Bruxelles, che hanno causato numerose vittime e feriti. Assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza alla cara popolazione belga, a tutti i familiari delle vittime e a tutti i feriti. Rivolgo nuovamente un appello a tutte le persone di buona volontà per unirsi nell’unanime condanna di questi crudeli abomini che stanno causando solo morte, terrore o orrore. A tutti chiedo di perseverare nella preghiera e nel chiedere al Signore, in questa Settimana Santa, di confortare i cuori afflitti e di convertire i cuori di queste persone accecate dal fondamentalismo crudele, per l’intercessione della Vergine Maria. Facciamo la preghiera: “Ave o Maria, …” Adesso, in silenzio, preghiamo per i morti, per i feriti, per i familiari e per tutto il popolo belga.

* * *

Cari pellegrini di lingua italiana: benvenuti! Sono lieto di accogliere i partecipanti al Congresso UNIV per studenti universitari, promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Saluto i membri del centro scuola e cultura italiana di Toronto, con il Vescovo Mons. Nicola De Angelis; i partecipanti alla marcia “Montefortiana” di Verona e l’Associazione Giuriste Italiane. La visita alla Città Eterna in occasione del Giubileo della misericordia faccia riscoprire in tutti la gioia del dare, attraverso le opere di misericordia, che riempie il cuore più del ricevere.

Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Domani inizia il Triduo Pasquale, cuore dell’anno liturgico. Cari giovani, la Pasqua vi faccia riflettere sull’amore di Dio per noi dimostrato con la morte in croce; cari ammalati, il Venerdì Santo vi insegni la pazienza nei momenti bui della croce; e voi, cari sposi novelli, riempite della gioia della Risurrezione la vostra nuova famiglia.

 





[Modificato da Caterina63 23/03/2016 14:10]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/03/2016 22:54
 
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ANDRIA
 




 


 
Credere

SACRA SPINA, IN ATTESA DEL PRODIGIO


22/03/2016  La reliquia, che la tradizione vuole appartenere alla corona di spine di Gesù, s'arrossa e modifica la sua forma negli anni in cui l’Annunciazione (25 marzo) coincide con il Venerdì Santo. L'ultima volta nel 2005, la prossima nel 2157.



 



La Sacra Spina di Andria. Per gentile concessione della diocesi.
La Sacra Spina di Andria. Per gentile concessione della diocesi.


 


 


Cambia aspetto ogni anno in cui  l’Annunciazione coincide con il Venerdì Santo. La Sacra Spina, dal 1308  custodita nella Cattedrale di Andria,  rimane un inspiegabile quanto affascinante mistero. Tutti sperano che il 25 marzo 2016 quando la Chiesa locale e i fedeli attendono il ripetersi dell'evento. La preziosa reliquia, conservata in una teca di vetro, è - secondo la tradizione - uno dei frammenti lignei della corona intrecciata che venne posta sul capo di Gesù Cristo durante la Passione. Solitamente si manifestano rigonfiamenti, con la liquefazione in gocce di sangue vivo delle diciassette macchie violacee presenti sulla spina, fino alla comparsa di escrescenze biancastre argentee di pochi millimetri e persino di una vera e sorprendente fioritura come si verificò nel 1842.

 




Il reliquiario con la Sacra Spina (foto Cosmo Laera)
Il reliquiario con la Sacra Spina (foto Cosmo Laera)


 



La prima testimonianza scritta del fenomeno soprannaturale è del 1633. L’ultima straordinaria trasformazione risale al 2005 e fu osservata da una commissione di sacerdoti e laici tra cui medici esperti che annotarono le variazioni di colore,  piccole granulazioni biancastre-lanuginose e il rilievo di una sporgenza rosso rubino sulla punta. Finora non sono state date spiegazioni scientifiche, né tanto meno sono stati effettuati dei prelievi come esami del sangue da poterli eventualmente comparare con quelli della Sindone e della pezza di Manoppello. Per espressa e unanime scelta di tutti i componenti della commissione speciale non sono state messe in atto tecniche invasive di analisi quale ad esempio l’utilizzo del carbonio C14.

La cattedrale di Andria. Foto di Nicola Lavacca.
La cattedrale di Andria. Foto di Nicola Lavacca.

 

Tale decisione, ancora una volta, è stata presa sia per non compromettere l’integrità della reliquia, sia perché è convinzione di tutti, in primis del vescovo della diocesi di Andria, monsignor Raffaele Calabro, che se il prodigio dovesse nuovamente verificarsi sarà osservabile dagli occhi di ciascun fedele e non solo grazie a strumenti accessibili esclusivamente ad esperti. L’intera comunità andriese aspetta il grande evento dove la preghiera,  il culto e la venerazione si fondono per dare maggiore impulso alla testimonianza cristiana. Dice il vescovo Calabro: «E’ un’occasione propizia per puntare più decisamente alla santità di vita lasciando da parte il sensazionalismo e l’indulgere a mera curiosità. Invito tutti ad aprirsi ad uno spirito di fede che risvegli e alimenti una coscienza pura davanti a Dio». 

Fedeli in preghiera davanti al reliquiario (foto Cosmo Laera)
Fedeli in preghiera davanti al reliquiario (foto Cosmo Laera)

 

E’ stato proprio monsignor Calabro a chiedere e ad ottenere da papa Francesco l’istituzione dell’Anno Giubilare della Sacra Spina cominciato il 24 marzo 2015 che si concluderà il 3 aprile prossimo, festa della Divina Misericordia, incentrato sul perdono e con una tema di fondo molto significativo: “Ecco l'uomo. Gesù Cristo sorgente e modello di una nuova umanità”. 

La punta della sacra Spina s'imporpora e cambia aspetto: il ripetersi del prodigio nel 2005.
La punta della sacra Spina s'imporpora e cambia aspetto: il ripetersi del prodigio nel 2005.

 

Sono state molteplici le iniziative durante l’Anno Santo tra cui un Sussidio Pastorale improntato sulla carità, numerosi pellegrinaggi giubilari non solo in cattedrale ma anche in alcuni luoghi segnati dalla sofferenza e dal dolore come la Casa di accoglienza per stranieri Santa Maria Goretti, l’ospedale civile, i centri di ascolto per i poveri, il carcere per il progetto “Senza sbarre”. Grande attenzione alla missione-giovani. E’ stata avviata inoltre una raccolta fondi per costruire la cappella dell’Ecce Homo a Ngock-Ndom in Cameroun.  «Questo straordinario fenomeno racchiude in sé tutta la vita di Cristo: la nascita e la morte, il giorno del suo concepimento e quello della sua morte sulla croce»,  sottolinea don Gianni Massaro presidente della Speciale Commissione della Sacra Spina. 

Monsignor Raffaele Calabra osserva la Sacra Spina durante la ricognizione del 13 febbraio scorso. Per gentile concessione della diocesi.
Monsignor Raffaele Calabra osserva la Sacra Spina durante la ricognizione del 13 febbraio scorso. Per gentile concessione della diocesi.

 

Il 13 febbraio scorso, alla presenza di testimoni oculari tra cui tre vescovi, la commissione speciale e la sezione medico-scientifica coordinata dall’ematologo Antonio Riezzo, sono stati rimossi i sigilli (poi ripristinati dopo la ricognizione) dell’urna in vetro dove è collocata la Sacra Spina, grande circa quattro dita, per poterne rilevare con l’esame visivo il suo consueto aspetto “ligneo di color beige con la superficie finemente granulosa”. All’alba del 25 marzo si aprono le porte della cattedrale per venerare e osservare la Sacra Spina (trasferita nella cappella di San Riccardo patrono della città) attraverso anche l’ausilio di una telecamera ad alta definizione che consentirà di scrutare da vicino passo dopo passo i possibili cambiamenti. Un avvenimento unico nel suo genere che centinaia di fedeli entrando in chiesa o assiepati in piazza Duomo e in piazza Catuma vogliono seguire con trepidazione. Dovranno poi passare ben 141 anni per un altro prodigio, nel 2157 quando solo allora l’Annunciazione coinciderà nuovamente con il Venerdì Santo.















Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/03/2016 00:00
 
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Papa Ratzinger: «La Chiesa è in una situazione drammatica»


Il testo integrale dell’omelia del giovedì santo di papa Benedetto XVI. I passaggi sulla crisi dell’istituzione, gli attacchi ai preti disobbedienti, il no alle ordinazioni femminili e l’accenno finale allo zelo per le anime.


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5 Aprile 2012 

In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. “Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?”

Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi?

Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola.

L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.

Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino: E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore. Amen.

 2012 - Libreria Editrice Vaticana 





MERCOLEDÌ 29 GIUGNO 2011

L'ULTIMO CAPOLAVORO DI ARISTIDES ARTAL...

 
 
Ringrazio l'amico Aristides Artal per avermi inviato, a beneficio dei lettori di Fides et Forma, una splendida immagine dell'opera d'arte sacra che ha appena ultimato. Si tratta di un "Niño pasionista", una tradizione tipica dell'iconografia spagnola del Cristo. Il "Bambin Gesù della passione" è un bimbo che soffre e preannuncia il sacrificio del Signore. In questo senso l'arte ha voluto esaltare l'innocenza di Cristo che pur nell'età adulta del Suo sacrificio sulla croce restò bambino, innocente, fragile pegno d'amore di Dio Padre verso l'uomo.
 
Niño pasionista - XVIII secolo
 
L'autentica arte sacra cattolica coincide indiscutibilmente con la straordinaria capacità evocativa di questo dipinto, dove il nitore della figura umana, la bellezza discreta del bambino è introducono alla contemplazione di quel grande mistero ch'Egli contempla da una piccola finestrella. La dimora semplice di un falegname è il punto d'osservazione di quel bambino che salverà l'umanità.
 
Ancora una volta grazie, caro Aristides! La verità della bellezza che promana dalle tue opere possa convertire tutti quegli uomini di Chiesa che ancora si ostinano a inseguire una misera e decadente arte del deforme, dell'incompiuto, del mostruoso. E che questa immagine possa essere un invito alla preghiera per ogni lettore, in occasione del 60° anniversario dell'ordinazione sacerdotale del nostro Santo Padre Benedetto XVI.
 
Francesco Colafemmina
 
 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/03/2016 23:01
 
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  Ti adoro o Croce Santa
 
La presente preghiera va recitata davanti al Crocifisso e recitata 33 volte il venerdì santo libera 33 anime del Purgatorio, mentre recitata 50 volte ogni venerdi libera 5 anime del Purgatorio. Essa venne confermata dai Papi Adriano VI, Gregorio XIII e Paolo VI.
 

 
Ti adoro o Croce Santa,
che fosti ornata del Corpo Sacratissimo del mio Signore,
coperta e tinta del Suo Preziosissimo Sangue.

Ti adoro, mio Dio,
posto in croce per me.
Ti adoro, o Croce Santa,
per amore di Colui che è il mio Signore.

Amen







PREGHIERE PER LIBERARE ANIME

DAL PURGATORIO

 

 

TI ADORO O CROCE SANTA

Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Cor­po Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che è il mio Signore. Amen.

(Recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 Anime del Purgatorio.

Recitata 50 volte ogni venerdì, ne libera 5. )

Venne confermata dai Papi Adriano VI, Gregorio XIII e Paolo VI).

Da: Il libro delle Novene - Ed. Ancilla

 

ORAZIONE

da recitarsi davanti al Crocifisso

Adoro te, Croce preziosa, che con le venerabili membra del mio Signore Gesù Cristo foste ador­nata, e col suo preziosissimo san­gue tinta. Adoro te mio Dio, posto su quella Croce per amor mio.

Pater, Ave, Gloria e Requiem

Con questa Orazione si liberano tre anime dal Purgatorio ogni venerdì che si recita, e 33 al Venerdì

 

CON APPROVAZIONE ECCLESIASTICA

PER COLORO CHE MUOIONO OGNI GIORNO

Si potrebbero salvare dall'inferno molte anime se mattino e sera si recitasse questa preghiera indulgenziale con tre Ave Maria per coloro che muoiono il giorno stesso.

“O Misericordiosissimo Gesù, che bruciate di un sì ardente amore per le anime, Vi scongiuro, per l'agonia del Vostro Santissimo Cuore e per i dolori della Vostra Madre Immacolata, di purificare con il Vostro Sangue tutti i peccatori della terra che sono in agonia e che devono morire oggi stesso, Cuore agonizzante di Cristo, abbiate pietà dei morenti”

Tre Ave Maria

 

SENTIMENTI DI MARIA SANTISSIMA ADDOLORATA

quando ricevette nelle braccia il Suo diletto Figlio.

 

O fonte inesausta di verità, come Ti sei disseccato!

O saggio dottor degli uomini, come te ne stai taciturno!

O splendore di eterna luce, come Ti sei estinto!

O verace amore, come mai la tua bella faccia è divenuta deforme!

O altissima divinità, come Ti fai vedere a me in tanta po­vertà.

O amore del mio cuore, quanto è grande la Tua bontà!

O delizia eterna del mio cuo­re, quanto eccessivi e moltepli­ci sono stati i Tuoi dolori!

Signor mio Gesù Cristo, che hai comune col Padre e con lo Spinto Santo una sola e mede­sima natura,

abbi pietà di ogni creatura e principalmente del­le anime del Purgatorio! Così sia.

Cinque Credo, una Salve Regina ed un Pater Ave Gloria secondo la intenzione del Som­mo Pontefice ed un Eterno riposo .

 

Questa devozione, che si trovò in una cappella di Polonia è stata approvata da Innocenzio XI, il quale concesse la liberazione di quindici anime del Purgatorio ogni volta che si reciterà. Lo stesso fu confermata da Clemente III. La stessa liberazione (di quindici anime del Purgatorio) ogni volta che si reciterà questa orazione, fu confermata da benedetto XIV con indulgenza plenaria. La stessa concessione fu confermata da Pio IX con l'aggiunta di altri 100 giorni d'indulgenza.

Data nel dicembre 1847.

 

Preghiere in suffragio delle Anime del Purgatorio

Le Anime vanno aiutate nelle espiazione delle loro pene affinché si presentino Pure al cospetto di Dio. Per suffragare le Anime del Purgatorio ci si può adoperare in vari modi:

Con la S. Messe. Per ogni S. Messa celebrata molte Anime escono dal Purgatorio. Esse non provano nessun tormento durante la messa offerta per loro (S. Girolamo).

Con la Comunione. La S. Comunione, dopo il sacrificio dell'altare, è l'atto più sublime della religione, meritorio per i vivi e per i defunti (S. Agostino)

Facendo elemosine. Conviene soccorrere i morti non con le lacrime ma con elemosine (S. Giovanni Crisostomo)

Facendo visita, al Cimitero, presso le tombe dei nostri defunti e recitando preghiere in loro suffragio.

 

 

NOVENA ED INVOCAZIONI  PER LE ANIME DEL PURGATORIO.

 

Novena per le Anime del Purgatorio.

(dal 24 Ottobre all’ 1 Novembre).


San Giovanni, nell'Apocalisse, domanda all'Angelo che gli fa da guida: ",Chi sono queste creature biancovestite? Da dove arrivano?" (Ap. 7,13). E l'Angelo rispose: <,Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione,, (Ap. 7,14)

Che significa: "Vengono dalla terra e sono saliti quassù in cielo, ma hanno dovuto passare prima attraverso la grande tribolazione delle sofferenze della vita". "E hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il Sangue dell'Agnello". Valere a dire hanno lavato la loro veste dell'anima da ogni macchia di peccato e l'hanno resa bianchissima mediante il Sangue di Gesù: mediante la Confessione (dolce esperienza di perdono e di gioia, e la Comunione (stupenda esperienza di Cielo).

1. O Gesù Redentore, per il sacrificio che hai fatto di Te stesso sulla croce e che rinnovi quotidianamente sui nostri altari, per tutte le Sante Messe che si sono celebrate e che si celebreranno in tutto il mondo, esaudisci la nostra preghiera in questa novena, donando alle anime dei nostri morti l'eterno riposo, facendo risplendere su di loro un raggio della tua divina bellezza! - L'eterno riposo...


2. O Gesù Redentore, per i grandi meriti degli Apostoli, dei martiri, dei confessori, delle vergini e di tutti i Santi del Paradiso, sciogli dalle loro pene le anime dei nostri defunti che gemono nel Purgatorio, come sciogliesti la Maddalena ed il ladro pentito. Perdona i loro falli e schiudi ad esse le porte della tua celeste Reggia che tanto desiderano. L'eterno riposo...


3. O Gesù Redentore, per i grandi meriti di San Giuseppe e per quelli di Maria, Madre dei sofferenti e degli afflitti, fa' scendere la tua infinita misericordia sulle povere anime abbandonate dei Purgatorio. Sono anch'esse prezzo dei tuo Sangue e opera delle tue mani. Dona loro un completo perdono e conducile nelle amenità della tua gloria che da tanto sospirano. L'eterno riposo...


4. O Gesù Redentore, per i molteplici dolori della tua agonia, passione e morte, abbi pietà di tutti i nostri poveri morti che piangono e gemono nel Purgatorio. Applica loro il frutto di tante tue pene e conducili al possesso di quella gloria che in Cielo hai loro preparata. - L'eterno riposo...

 

Invocazione alla Madonna.

O Maria, Madre nostra e Vergine pietosissima, Tu che sei la gioia dellaChiesa trionfante e l'aiuto della Chiesa militante, diventa anche il conforto della Chiesa purgante. Stendi dunque la tua destra pietosa verso tante anime che soffrono nel fuoco del Purgatorio e liberale, facendo sì che presto siano ammesse alla visione beatifica dei Cielo.
Ricordati, o Santa Vergine, di soccorrere specialmente le anime dei miei parenti e quelle che sono più abbandonate e bisognose di suffragi. O pietosissima Signora, versa su tutte loro la grazia purificante che esse hanno ottenuto per i meriti dei Sangue prezioso di Gesù Cristo affinché possano essere refrigerate nella gioia eterna.

E voi, anime benedette, che tanto potete presso Dio con le vostre preghiere, intercedete per noi e liberateci da tutti i pericoli dell'anima e dei corpo e proteggete le nostre famiglie, affinché a noi tutti sia concesso di essere ammessi all'eterna beatitudine. Così sia.

 

Invocazioni per le Anime dei Purgatorio.

Eterno Iddio, Padre, Figlio e Spirito Santo, abbi pietà delle Anime purganti

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, redentore amatissimo, abbi pietà delle Anime purganti

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua potenza, assolvi quelle Anime

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua clemenza, salva le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua bontà, libera le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua innocenza, purifica le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua umiltà, innalza a Te le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio , per la tua ubbidienza, solleva le Anime del Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua carità, infiamma le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la tua umanità, non abbandonare le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per le tue lacrime, consola le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per le tue piaghe, sana le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per il tuo Sangue prezioso, lava le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per il mistero della tua incarnazione, abbi compassione delle Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per il mistero della tua vita laboriosa, dona il riposo alle Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per il mistero della tua passione e morte perdona alla Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per il mistero del tuo Cuore divino, aiuta le Anime del Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la verginità di Maria Santissima, libera le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per la divina Maternità di Maria, libera le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per gli stenti e la povertà di Maria, libera le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per l'amore che Ti portò Maria Santissima, libera le Anime dei Purgatorio

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per le preghiere di tutti i Santi, libera le Anime dei Purgatorio

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci

Gesù mio, per tutte le opere buone che sono state fatte e si faranno nel mondo, libera le Anime dei Purgatorio

 

 

 

Te ne supplichiamo, ascoltaci





     




L'Ora della Madre a Santa Maria Maggiore, in attesa della Risurrezione

La Basilica papale di Santa Maria Maggiore

La Basilica papale di Santa Maria Maggiore

26/03/2016

Il cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete di Santa Maria Maggiore, ha presieduto stamane in questa Basilica papale la celebrazione dell’Ora della Madre, che ricorda la fede di Maria nell’attesa della Risurrezione del Figlio. Si tratta di un rito che unisce testi e canti della tradizione latina e bizantina per celebrare il Sabato Santo, il giorno del silenzio, il giorno di Maria che, nonostante il buio della morte, crede e spera per tutta l’umanità. Ascoltiamo il padre servita Ermanno Toniolo, al microfono di Sergio Centofanti:

R. – La fede si è raccolta tutta nel cuore della Madre in quel giorno. Nessuno ci credeva più; tutti pensavano che fosse fallito, il Signore. Lei sola portava, Lei che tutto ricorda nel cuore, le sue divine parole, con le quali aveva promesso che sì, sarebbe morto, ma poi il terzo giorno sarebbe risorto. Con questa fede ardente, con questa speranza viva, Lei rimane, pregando, implorando, per così dire anticipando la venuta del Signore con le sue suppliche, Lei che ne è la Madre. L’Ora della Madre, dunque, è il commemorare insieme, come figli, quello che Lei ha per noi sofferto, completando ciò che ancora mancava, dice Paolo, alla Passione di Cristo per la sua Chiesa e per il mondo. E quindi è l’ora del suo dolore ultimo, la desolazione, l’abbandono totale, anche per Lei, come per Gesù sulla Croce, l’abbandono totale, dove sembrava tutto finito, o la tentazione che la faceva dubitare; ma Lei rimane intrepida, ferma, e porta la sua speranza alta come fiaccola sul mondo intero. E allora ecco che abbiamo il duplice aspetto: la celebrazione del dolore della Vergine, la celebrazione della speranza, della gioia della prossima Pasqua, e quasi l’invito al Signore a tornare presto tra i vivi. E noi con Lei diciamo: “Mostraci, o Madre, il Figlio tuo risorto”. E quindi è tutta una celebrazione che si vive in intimità, con Colei che, Madre di Dio, è diventata, specialmente con il testamento di Gesù sulla Croce, la Madre nostra, la Madre della misericordia, della tenerezza, la Madre che ci accompagna, come dice Papa Francesco, sicura, giorno dopo giorno, del nostro cammino.

D. – È un invito ad affidarsi a Maria, che crede e spera per tutti noi, che di fronte al male siamo tentati di disperare. Maria ci porta a Gesù risorto…

R. – Certo. Nonostante tutto, sembrava tutto fallito… “Quel seduttore” - dissero a Pilato - “quando era vivo ha detto che sarebbe risorto. Metti le guardie!”. Sembrava tutto finito e che il male avesse la vittoria in pugno. Ma Dio è più grande del male. Alla fine sarà sempre Dio, che è amore, che vincerà, nonostante la cattiveria di tutti gli uomini. Ecco, allora il Cristo che risorge, glorioso, portando con sé tutti i padri antichi, morti da Adamo in poi, per aprire con loro le porte del Cielo, e iniziare, Lui, il primogenito tra tanti fratelli, il Paradiso degli Angeli e dei Santi, dove saremo anche noi piacendo al Signore, con l’aiuto della Madre, che è Regina incoronata. Ed ecco che la Vergine Santa, in quest’attesa del compimento pasquale del Figlio, della vittoria del bene sul male, di Dio sugli uomini: ecco che la Vergine diventa anche per noi segno luminoso di speranza, che ci accompagna sì nel nostro tribolato cammino, ma con la certezza di trovarci tutti insieme – le porte sono ormai spalancate – in quel Paradiso di Dio, dove il Padre ci attende, Egli che è infinito amore, con il Figlio e lo Spirito Santo. 







 


La divina indecisione 
Il Gallo

LA NOTTE NEL GETSEMANI di PEGUY CHARLES



Tutto era pronto. La vita di famiglia, trent'anni, aveva avuto luogo. La vita pubblica, tre anni, aveva avuto luogo. La vita di casa, il banco di lavoro e la morsa, la sega e la pialla, era finito, questo era stato fatto. La vita di popolo, la montagna e la pianura, e il lago di Tiberiade, la predicazione e le similitudini, la curva delle parabole, lungo le strade, era finita; questo era stato fatto. Tutto era pronto. Il coronamento stava per cominciare. Il coronamento stava per aver luogo. Tutto era pronto. Tutte le virtù private e pubbliche, tutte le virtù eroiche dei trenta e tre anni stavano per culminare nel sacrificio supremo. 

Durante anni e anni l'albero della croce, pazienza vegetale, senza miracolo aveva preparato la durezza del suo legno. In qualche palude del Giordano la canna era spuntata, lo scettro di derisione, una canna era spuntata, la canna unica e una spina, senza miracolo, una santa spina era spuntata in qualche macchia giudea, in qualche macchia ebraica. Una spina nera, una spina purpurea, forse un semplice rovo, una grossa spina di quei paesi. Tutti erano chiamati in servizio; gli uomini erano chiamati in servizio; gli attrezzi eterni erano pronti, gli strumenti della salvazione del mondo. 

Giuda era pronto e il bacio saliva alle labbra di Giuda. Il bacio che attendeva dai secoli dei secoli. Il bacio che nei secoli dei secoli in seguito si ripercuoterà eternamente. Il bacio annunciato, il bacio che si ripercuote da tutta l'eternità. 
E in una camerata in basso, appoggiata al terzo affardellamento, la lancia, la lancia per il Fianco, aspettava. 
Tutto era pronto, lui solo, lui solo non lo era. Tutta la creazione era convocata, era stata convocata. r.:appello era fatto; non soltanto l'appello di quella prima decuria, e della sinistra di quella seconda, e di Malco: l'appello della creazione intera. 

E come la lancia era pronta, anche gli angeli erano pronti. Come la lancia era pronta all'equipaggiamento del Romano, nello stesso modo gli angeli si preparavano. Sorpresi di dover raccogliere un sangue d'uomo, un sangue di Dio, un sangue d'uomo di Dio. 
Lui stesso era preparato, la sua preparazione era fatta. La sua volontà era decisa da tutta l'eternità. Aveva deciso questo. Nessuno gli forzava la mano. Chi del resto, chi poi gli avrebbe forzato la mano. Niente lo forzava, niente gli forzava la mano, e ad occuparsi di quell'affare, niente se non un amore immenso, niente se non il suo immenso amore infinito, niente l'aveva trascinato in quell'affare se non un amore immenso, il suo infinito amore eterno. Da tutta l'eternità si era imbarcato in quell'affare. 

Da tutta l'eternità la sua decisione era presa. Adesso poteva fermare tutto, disdire Giuda e disdire Barabba, disdire Pilato e disdire Caifa, disdire Malco. L’eternità stessa attendeva, figlio mio, lei che non attende mai, che non attende affatto. Leternità stessa era sospesa. 
E lui stesso attendeva come il suo coronamento, da tutta l'eternità sapeva, da tutta l'eternità attendeva questo coronamento. Singolare. Sapere, amico mio, come si vedeva bene, su quest'esempio eminente, su quest'esempio singolare, che c'è un abisso tra sapere e fare, tra sapere la morte (la propria morte) e passarvi. Lui stesso il suo amore attendeva. Da tutta l'eternità il suo amore infinito, il suo amore eterno attendeva. E che c'è un abisso tra volere e fare, tra volere la morte, la propria morte, e anche la morte degli altri, e passarvi. 

Perché infine questa volontà che egli diceva altra, di un altro, questa volontà che diceva estranea, alienam, questa volontà che chiamava la volontà di suo padre, non la sua, verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu, infine questa volontà non era soltanto la volontà di suo padre; era anche la sua; da tutta l'eternità era propriamente la sua. 
Lui stesso aveva messo l'ultima mano alla sua istituzione, alla fondazione della sua città. La Chiesa era fondata. Pietro era investito. Il pane era stato cambiato in corpo e il vino era stato cambiato in sangue, il vino dell'uva della vite. Cosa dev'essere mai la morte, figlio mio, perché in quel momento egli abbia avuto un'esitazione, perché un'esitazione atroce l'abbia fatto un istante tentennare. Lui stesso l'ultimo dei profeti, il principe dei profeti, aveva tre e quattro volte profetizzato la sua propria morte, aveva appena profetizzato la sua passione e la sua morte. 

Ed ecco che non solo stava per smentire tutti gli altri profeti. Ma stava per smentire se stesso profeta. Cosa dev'essere mai la morte, amico mio, figlio mio, perché il solo avvicinarsi, perché la sola attesa, perché la sola apprensione della morte l'abbia messo in un tale stato, in quello stato. Perché non ci si deve ingannare, amico mio, e non dissimulatevelo, era questo, e questo soltanto, che era nel cuore del supplizio, che era il midollo e il cuore della passione! 

In questo senso non vi sfugge che la sua passione e soprattutto che la sua morte era come un compimento e nello stesso tempo come una prova e un controllo, una verifica, quasi una concentrazione, una realizzazione suprema della sua incarnazione. 
Chi moriva come uomo, a quel punto come uomo, era dunque bene uomo, era dunque ben stato incarnato uomo. Era come una prova per mezzo del limite. Avrebbe dovuto subire la morte, la morte ordinaria, la morte comune, figlio mio, la morte come in Villon, la morte di ogni uomo, la morte di tutti quanti, la sorte comune, la morte comune a tutti quanti, la morte di cui vostro padre è morto, figlio mio, e il padre di vostro padre. 

Quale deve essere, figlio mio, quale bisogna che sia questa morte, perché egli abbia preso giustamente questo tempo, in cui immensi preparativi, a cui immense promesse facevano capo, per segnare questo tempo di sosta, questo tempo di spavento, questo tempo di stupore, diciamo la parola, questo tempo di vacillamento, diciamo la parola, questo tempo di arretramento. Questo tempo di sbigottimento. 
Per tirar fuori infine questa spaventosa preghiera. Questa atroce preghiera di un'ansietà carnale, di un'ansietà come eterna, quest'atroce preghiera di un'angoscia infinita. Transeat a me Pater mi, si POSSIBILE EST, transeat a me calix iste. Testo niente affatto commovente, come è stato detto migliaia di volte, in tutti i romanticismi, laici, ecclesiastici, antichi, moderni, cristiani, atei. Ma testo letteralmente spaventoso, molto precisamente spaventoso. 

Tutti i testi vanno nello stesso senso, i profeti, i santi, e lui profeta e santo. Tutti i testi vanno nello stesso senso che è il senso del compimento della salvezza. E un solo testo contrasta. Un solo testo respinge. Ed è precisamente il testo dell'apprensione della morte. 
E fu precisamente il tempo che egli prese, quando tutto attendeva, quando la creazione era sospesa alle labbra del suo Dio, fu precisamente il tempo che prese per darci, per lasciarci questo testo: il testo dell'apprensione della morte per non entrare in tentazione. Perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Parole spaventose, che non si vogliono affatto intendere nel loro senso, spaventoso. 

Testo spaventoso che non si vuole affatto leggere, che si venera, che non si vuole leggere, che si venera per non leggerlo. Parole spaventose, che si venerano per non intenderle. Le si intende, le si legge, come un rimprovero, a quei bambini che siamo, sarebbe come un biasimo, conosciuto, abituale, registrato, dunque senza importanza, digerito, come un ammonimento, una sgridata. Gesù, in questa versione, in questa lettura, Gesù riprenderebbe Pietro come dall'alto, come uno che sa correggerebbe, riprenderebbe uno che non sa, come uno che può riprenderebbe uno che non può. 

Amico mio, è tutto il contrario, diametralmente il contrario. Nel momento in cui insegna a quei disgraziati la tentazione e di vegliare e di pregare per non entrare nella tentazione, e che lo spirito è pronto e che la carne è debole, quale riflessione, quale conversione non doveva operare su se stesso, quale marcia indietro non doveva fare su se stesso (sulla sua anima) e sulla sua propria carne. 
Era tra il suo primo e il suo secondo, dobbiamo dirlo, mancamento, era tra la sua prima e la sua seconda preghiera di supplica; dopo la prima, prima della seconda. Aveva appena provato, in se stesso, aveva appena conosciuto, istantaneamente aveva conosciuto cosa sia quell'angoscia spaventosa e nella sua propria carne aveva conosciuto cosa sia la debolezza della carne, l'infermità di ogni carne. 

Ecco, sembrava dire [era soltanto il fratello, che aveva appena parlato al padre, al Padre comune, era il fratello che (se ne) tornava verso i suoi fratelli, verso uno, verso tre fratelli più giovani, verso tutti i cristiani suoi fratelli (più giovani) e che sembrava dire loro]: Vedete cosa è la nostra carne, e la nostra tentazione. Bisogna vegliare. Bisogna pregare. Non si è mai tranquilli. Per la seconda volta se ne andò, e pregò, dicendo: Padre mio, se questo calice non può passare senza che io ne beva, sia fatta la tua volontà. 

Iterum secundo, per la seconda volta se ne va, per la seconda volta prega, per la seconda volta dice: Si non potest, come riprende, come ripete il si possibile est della prima volta, del primo ritiro, della prima solitudine, della prima preghiera. Ma si arrende, si sottomette. E già al negativo: Si non potest; si non possibile est. Nisi bibam illum: si rappresenta già di berlo. Fiat voluntas tua, come riprende il sicut tu. Ma in negativo anche, al contrario, il sicut ego volo (voluntas mea) scompare anch'esso qui. 

E per un meraviglioso accordo interiore come risuscita qui, come rianima, come rinnova, come richiama, come rimemora la preghiera (orans, et dicens; oravit, dicens) , come ritrova qui la preghiera che ha lui stesso insegnato agli uomini, lui stesso inventato al tempo della sua predicazione, lui stesso concepito, ricevuto, in un colpo di santità, la preghiera che aveva lui stesso deciso, trovato, insegnato sulla montagna, nel sermone, nel discorso sulla montagna. Cioè in questo culmine del suo sgomento, nel momento stesso in cui, uomo, aveva più bisogno di preghiera, in cui aveva un bisogno maximum di preghiera, un bisogno culminante, lui stesso come uomo, lui stesso uomo ritrova questa preghiera, questa stessa preghiera, perché anche a se stesso, a se stesso uomo, anche a sé se l'era insegnata. 

Perché se l'era insegnata a lui stesso, a lui uomo, come a noi; e in quella notte tragica fu quella preghiera che gli risalì alle labbra, la formula stessa di quella preghiera; ma non più nella sua continuità sulla montagna, in quella bella continuità del suo sermone: Pater noster, qui es in coelis, sanctificetur nomen tuum; adveniat regnum tuum; fiat voluntas tua. Non più quel bel ritmo di fiume e quella continuità, ma una preghiera spezzata, rotta, atroce, in quella notte tragica, la stessa preghiera frammentaria, spezzata dalla tragicità di quella notte. Pater mi, si non potest hic calix transire nisi bibam illum, fiat voluntas tua. 

E questa forma come ritirata, come serrata, quest'invocazione come ritirata a sé, Pater mi invece di Pater noster, che attira, che attrae, che riavvicina suo Padre a sé; che fa, che dà una tale fusione, una tale penetrazione delle sue due persone che dicendo questa preghiera d'uomo non si sa di colpo fino a che punto non parli di colpo, molto specialmente, particolarmente, quasi professionalmente, come tecnicamente, da figlio di Dio, bisogna credere che questa inaudita, che questa avocazione incredibile, eco della tripla preghiera, non dicesse niente, non volesse dir nulla, non significasse nient'altro che la morte carnale e la paura della morte carnale: Mio Dio, mio Dio, ut quid dereliquisti me? 

Perché mi avete abbandonato?, che questa strana, che quest'incredibile avocazione non mascheri, non sveli, non nasconda un'altra paura e un'altra morte, che non denunci affatto, che non riveli affatto un altro mistero, un mistero mistico, un mistero infinitamente più profondo. Mettiamo che avesse un corpo, e che il suo corpo si fosse ben difeso. Il suo corpo si era rivoltato, il suo corpo si era ribellato davanti alla morte, davanti alla morte del corpo. 

E lui stesso seguì il suo corpo, in un certo senso (come noialtri peccatori e come così spesso i santi), seguì come un pover'uomo il suo corpo, l'indicazione del suo corpo, l'invocazione del suo corpo, l'avocazione del suo corpo. Compiendo così, con un coronamento meraviglioso, compiendo la sua incarnazione nella sua redenzione. 

Fiat lux, et lux fuit; lux facta. Verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. Fiat voluntas tua; et voluntas ejus fuit; voluntas facta. A cinquanta secoli di distanza, da prima di Adamo, fino al nuovo Adamo, fino a quel nuovo Adamo, secondo lo stesso ritmo a titolo di eco fedele questa stessa parola, quest'eco risuonò. E a un intervallo di più di cinquanta secoli di distanza il grido della seconda creazione rispose alla parola della prima creazione. 

Nella prima, all'inizio, alle soglie della prima (un) Dio attivo, (un) Dio di comando e d'inizio aveva pronunciato (gloriosamente) una parola di comando, una parola d'autorità, una parola di creazione, una parola attiva, effettiva, efficace. Nella seconda, all'inizio, alle soglie della seconda (un) Dio umile, (un) Dio sottomesso, (un) Dio ritirato, aveva pronunciato fedelmente, in tutta fedeltà, da eco fedele, (un) Dio umile aveva pronunciato umilmente, sottomesso, un'umile parola d'umiltà, di sottomissione. Di passione. 

Ecco, cristiani, ecco il vostro progresso; ecco qual è il progresso per voi, il vostro reale, il vostro religioso progresso. Più di cinquanta secoli di progresso, di un progresso, del vostro progresso, portano a questo, a questo secondo inizio: un Dio caduto in avanti sulla faccia, procidit in faciem suam, un Dio prostrato sulla faccia della terra, un Dio lo stesso, un Dio umile, un Dio sottomesso, in tutto lo sconforto e più che in tutta l'umiltà dell'uomo. 

Fiat lux,fiat voluntas, un'eco lontana risponde alla parola prima, alla parola di creazione, un'eco fedele: un secondo inizio risponde al primo; una seconda creazione risponde alla prima; e questo secondo comandamento. 
E come la prima creazione era la creazione di tutto il mondo, la creazione dell'universo, totius orbis universi, di tutta la creazione questa seconda creazione, questa eco fedele, questa fedeltà non è altro, non sta per essere altro propriamente che la creazione dello spirituale, che essere la propria creazione propria, ritardata più di cinquanta secoli, del mondo spirituale. 

Péguy, Getsemani, passim. 



Una volta. Una volta, due volte, tre volte. E il gallo cantò. Ma per noi è la millesima, è la centomillesima, è la centesima di millesime volte che lo consegniamo; che l'abbandoniamo, che lo tradiamo; che lo disconosciamo, che lo rinneghiamo. Popolo ingrato, popolo ingrato, ma anche rinnegato. Migliaia e centinaia di migliaia di volte che lo rinneghiamo nello smarrimento del peccato. 

Quante volte, migliaia e centinaia di migliaia di volte i galli delle fattorie, di tutte le fattorie hanno cantato dopo che noi l'abbiamo rinnegato tre volte; sui nostri semplici, sui nostri doppi, sui nostri tripli rinnegamenti. I galli sui pagliai. Sui letamai delle fattorie. 

È buffo, si parla sempre di quel gallo, è celebre, del gallo che si trovò lì per cantare, per suonare, per registrare il rinnegamento di Pietro. È per cambiare, per distogliere la conversazione. È per dare il cambio. Ci sono stati galli dopo. Ci sono galli nei nostri paesi. E non sono inoperosi. N ai non li lasciamo inoperosi. Si direbbe che non ci siano galli nei nostri paesi. Non si parla mai dei galli dei nostri paesi. Ahimè, ahimè non c'è gallo in una fattoria che non abbia cantato, che non abbia suonato, che non abbia annunciato al sole nascente, che non abbia registrato, ogni giorno, ogni sole, rinnegamenti peggiori. 

Rinnegamenti più che tripli. Che non abbia proclamato la turpitudine dell'uomo. Il gallo canta all'alba. Quello che il gallo canta all'alba, a tutte le albe; dritti sul letamaio di tutte le fattorie; dritti sui loro speroni, quello che vantano, che celebrano, che proclamano, quello che annunciano sono i nostri rinnegamenti senza numero. Come si può sentire al mattino il canto del gallo, come si può sentire cantare il gallo, cantare un gallo, al mattino, e ricominciano tutti i giorni, e quante volte ogni giorno, senza pensare subito al triplo rinnegamento, senza piangere subito il triplo rinnegamento, e i nostri rinnegamenti, che sono più che tripli. 

Ogni giorno. Un gallo ha cantato per Pietro; quanti galli cantano per noi; la razza non si è perduta. La razza dei galli non è perduta. Solo che noi non li sentiamo, quelli, non li vogliamo sentire. Ahimè, ahimè, deve cominciare a esserci abituato. Gliene abbiamo dato l'abitudine; un'abitudine proprio a lui; ce l'abbiamo abituato. Gli abbiamo dato questa singolare abitudine: di essere rinnegato. Gli abbiamo fatto prendere quest'abitudine. La stessa storia succede sempre. Grazie alla presenza reale, alla presenza di Gesù, la stessa storia succede sempre. 

Ma quei santi di cui parli così leggermente; e non tu soltanto; tutti, dappertutto se ne parla leggermente; quel Pietro, nostro fondatore, del quale parli alla leggera; che tutti prendono in giro; il padrone delle chiavi. Essi furono gli apostoli investiti. Furono i primi discepoli. 
Gesù perdonò, e istantaneamente, in anticipo aveva perdonato il rinnegamento di Pietro. Dio voglia che ci abbia preso l'abitudine; e che parimenti perdoni anche i nostri rinnegamenti innumerevoli. 

Dio voglia che Dio abbia preso l'abitudine. Dio voglia aver preso l'abitudine. Anche quell'abitudine. [...]
Essi furono i primi. Furono i discepoli. Furono gli apostoli. Furono i martiri. Pietro ottenne l'onore supremo di essere crocifisso. Crocifisso come Gesù! Che segno. Che onore; unico. Degno della sua destinazione. Soltanto fu crocifisso con la testa in giù, per spirito d'umiltà, perché naturalmente nessuno può essere crocifisso esattamente come Gesù. 

Gesù era la testa e lui è la base. Gesù era la testa e lui i piedi. Il piede. E Andrea, suo fratello Andrea fu crocifisso a una croce di sant'Andrea. Quando avremo pagato come loro, quanto loro, i nostri rinnegamenti, i nostri propri rinnegamenti, allora, bambina mia, potremo parlare. Quando avremo avuto quell'onore, quando saremo morti per lui, come loro, allora, bambina, potremo forse dire una parola, potremo dire la nostra. (Quasi ridendo dentro di sé). 

Ma allora, bambina, è allora che non diremo nulla. Perché è allora che non avremmo nulla da dire. Perché saremmo nel regno. Nel regno dove non si dice più nulla, dove non c'è più nulla da dire. Perché staremo condividendo con loro la beatitudine eterna. 

Péguy, I Misteri, pp. 147-149




 

[Modificato da Caterina63 27/03/2016 20:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/03/2016 15:18
 
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Circa le ridicole bugie dei farisei contro la Risurrezione di Cristo


 


 


[Brano tratto da un libro del 1837 intitolato "Spiegazione pastorale ordinata degli Evangelj", scritto da Don Francesco Molena]. qui da Cordialiter.


Voi già sapete, o cristiani, che la notte della domenica in cui risuscitò Gesù Cristo, un angelo discese dal cielo e, suscitato un grande terremoto e rovesciata la pietra del sepolcro, vi si assise al di sopra con un aspetto fulminante; sicché le guardie poste dai Giudei al sepolcro, atterrite a quella vista, restarono tutte come morte. Voi sapete parimenti che il sepolcro fu poi visitato e rivisitato dalle sante donne e dai discepoli. […] Dove intanto si trovassero le guardie, l’Evangelio non lo dice. Esso dice solamente che, partite le donne dal sepolcro, Quae cum abiisent, alcuni soldati della guardia andarono  in città a riferire ai sommi sacerdoti tutto quello che era avvenuto […] vale a dire riferirono loro non solamente che il terremoto e l’aspetto minaccioso e terribile dell’angelo li aveva fatti dallo spavento tramortire, ma inoltre che, rovesciata dall’angelo la pietra del sepolcro, il corpo di Gesù Cristo non vi si trovava più. […] Ora i sacerdoti, assicurati così dalle guardie che il corpo di Gesù Cristo tra mezzo a inauditi prodigi era da sé sparito dal sepolcro, che dovevano essi pensare? Che dovevano fare? Essi dovevano pensare che Gesù Cristo era veramente risuscitato, come aveva promesso […]. Allora fu che i capi de’ Giudei ebbero ben a pentirsi d’aver posta al sepolcro quella guardia di cui tanto dapprima si gloriavano. O consigli degli uomini, quanto siete voi ciechi contro i consigli di Dio! Senza quella guardia, sarebbe stato facile ai capi de’ Giudei il dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù Cristo: ma con quella guardia era loro ben difficile il dirlo e più difficile ancora il provarlo.
 
Difatti che cosa far credere al popolo di quella guardia? Forse che i soldati fossero stati forzati dai discepoli? Ciò li avrebbe disonorati nel punto per loro delicato della bravura; ed essi lo avrebbero costantemente negato. Forse ch’essi, quando fu rubato il corpo di Gesù Cristo, si trovassero tutti addormentati? Ciò era cosa evidentemente ridicola a dire, ma pur più facile a farla dai soldati attestare. Per qual mezzo adunque ottenere da loro la testimonianza? Per mezzo del danaro. Guai, cristiani, infelice danaro! Quanti delitti ha esso mai cagionati nel mondo! Guai a chi lo dà per render gli altri complici del proprio peccato; e guai a chi lo riceve per rendersi complice del peccato altrui! […]
 
L’avarizia era una delle passioni favorite dei capi de’ Giudei; […] Chiamati pertanto i soldati, i capi de’Giudei diedero loro una grossa somma di danaro, pecuniam copiosam dederunt militibus; ma col patto che andassero dicendo che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù Cristo mentre essi dormivano, vobis dormientibus.
 
Ma qui restava ancora un’altra difficoltà. Un soldato di guardia che si fosse lasciato prendere dal sonno era reo di morte. Quei soldati adunque, col dire che si erano tutti addormentati, si esponevano a pericolo d’esser tutti dal Governatore puniti di morte. Ma in tal caso i capi de’ Giudei presero sopra di loro stessi tutto questo affare: essi avrebbero acquietato il Governatore e messi i soldati al coperto d’ogni pena […]. Quanti delitti, o cristiani, e quanti deliri insieme in tutto questo procedere dei capi de’ Giudei! Si conosce la verità e si vuol farla passare per un’impostura; s’inventa un’impostura e si vuol farla passare per una verità; si fa attestare da guardie corrotte a prezzo d’oro ciò che non possono aver veduto, si fa dire a queste guardie ciò che le fa ree di morte e se ne promette loro l’impunità; insomma, purché l’odio contro di Gesù Cristo resti soddisfatto, si fanno passare per ragionevoli e giuste le assurdità più ridicole, insieme e le più esecrabili empietà. Tanto è vero, o cristiani, che le passioni talvolta arrivano a soffocare negli uomini ogni principio di retta coscienza e insieme di sana ragione.
 
Preso allora il danaro, i soldati andarono francamente spacciando la favola ch’era loro stata suggerita, sicut fuerant edocti: e questa favola si divulgò tra i Giudei e vi fu lungamente creduta: Et divulgatum est verbum istud apud Judaeos usque in hodiernum diem.
 
Insensati Giudei! Stupida credulità! I soldati, posti con tanta gelosia alla guardia del sepolcro, si sono addormentati tutti; e allo strepito inevitabile fatto per rovesciarne la pietra non se ne risvegliò neppure un solo; e i discepoli furono quelli che, rovesciata la pietra, hanno rubato il corpo di Gesù Cristo; e i testimoni irrefragabili ne sono i soldati, che tutti allora dormivano; e i soldati stessi sono quelli che pubblicano questo loro fallo degno di morte e fanno sapere a tutti che i discepoli hanno rubato quel corpo perché essi dormivano; e questi soldati non si accusano, non son fatti punire, anzi vengono assicurati dell’impunità, premiati, pagati profusamente; e i discepoli stessi, che per rubare il corpo di Gesù Cristo hanno infranti i sigilli pubblici e rubando quel corpo hanno cagionato un errore peggior del primo, un errore che rovescia sino dai fondamenti tutta la religione giudaica, questi discepoli si lasciano tranquilli nella città santa, in Gerusalemme, sotto gli occhi del Governatore insieme e dei sommi sacerdoti, senza perquisizioni, senza minacce, senza supplizj: ah! veramente mentita est iniquitas sibi, ps. XXV I, 12; si, cristiani, l’iniquità si smentisce da sé medesima, e la verità da tutte le parti si manifesta. […]
 
Divino Gesù, se la favola inventata contro di voi, dopo risorto, dai capi de’ Giudei e fatta credere al popolo giudaico ne ha fatti perire tanti tra loro eternamente, ah! non sia così di noi che crediamo e crediamo di tutto cuore la verità della vostra risurrezione. Deh! anzi questa fede, animata in noi dalle opere della santa carità e vincitrice per conseguenza di tutte le nostre passioni, che ce la potrebbero far perdere, questa fede ci tenga tutti a nostra santificazione e salute uniti inseparabilmente a voi, per viver tutti con voi la vita della vostra grazia sulla terra e la vita della vostra gloria nel cielo; vita che, al pari della vita vostra dopo risorto, sarà per tutti i secoli dei secoli immortale.
 
 





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