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Trattato di Mariologia

Ultimo Aggiornamento: 08/03/2016 10:30
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08/03/2016 10:30
 
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Trattato di Mariologia (Parte 1)
 

Introduzione

La teologia, come è noto, è una scienza unica, però in essa si possono distinguere vari trattati. Ora, si pone inevitabilmente la domanda: la Mariologia costituisce un trattato a sé, oppure i problemi mariologici vanno esaminati nel contesto di altre tematiche? Per esempioS. Tommaso d'Aquino li esamina all'interno della Cristologia, però vi sono dei temi mariani che potrebbero essere studiati anche all'interno di altri contesti, come nei trattati sulla Redenzione, sul peccato originale, sulla Chiesa, sull'escatologia.
Generalmente, prima del XVI secolo si è seguita appunto questa via, cioè si è parlato della Beata Vergine all'interno di trattati separati. Sarà il grande teologo gesuita Francesco Suarez († 1617) che, in base all'eccelsa dignità della Madre di Dio, affermerà la necessità di consacrarle una trattazione a parte, nella quale tutte le verità che a Lei si riferiscono vengano raccolte in un'unica sintesi.
     Le due vie presentano ciascuna vantaggi e svantaggi, anche se ai fini didattici sembra preferibile la forma del trattato separato. I «Trattati di Mariologia» fioriranno soprattutto nella prima metà del XX secolo, mentre nella seconda metà, anche prima del Concilio, cominciano ad affiorare delle perplessità, forse più che sull'idea del trattato in se stesso, sull'impostazione che bisognava dargli. Infatti le opere di questo genere uscite in questi ultimi anni risultano molto diverse da quelle di stampo classico e molto diverse tra di loro. Si può dire che attualmente siamo in fase di ricerca.
     È sotto gli occhi di tutti che oggi siamo di fronte a una gravissima crisi di valori: valori civili, morali, religiosi, e in particolare valori di fede. Papa Benedetto XVI, nel suo celebre libro in cui viene intervistato da Vittorio Messori, propone, fra gli altri, un rimedio «che ha mostrato concretamente, egli dice, la sua efficacia lungo tutti i secoli cristiani. Un rimedio il cui prestigio sembra essersi oscurato presso alcuni cattolici, ma che è più che mai attuale. Tale rimedio ha un nome breve: Maria». (V. MESSORI-J. RATZINGER, Rapporto sulla fede, Paoline, Cinisello Balsamo MI 1985). 


     Prendendo lo spunto da quanto dice il Pontefice vorrei accennare brevemente ad alcuni mali del nostro tempo e all'efficacia del rimedio indicato.
a) Vi è innanzitutto, ai nostri giorni, su un piano dottrinale, un oscuramento della coscienza di fede nei riguardi della divinità di Gesù. Ora, la Vergine Maria è denominata nel popolo cristiano soprattutto con l'appellativo sublime di Madre di Dio. Questa meravigliosa formula, nella sua brevità, riassume tutta la dottrina cristologica (Gesù vero Dio e vero uomo), come avremo modo di costatare a suo tempo nel corso della trattazione di questo argomento.
     Del resto, a parte la formula, è chiaro che il solo fatto di venerare in modo specialissimo la Beata Vergine perché è madre di Gesù ed è a questo titolo che Ella è venerata dai fedeli - non può che rafforzare i fedeli stessi nella convinzione che Gesù non è un uomo come gli altri, ma è un personaggio unico, straordinario: in una parola, che è Dio. Si aggiunga, a modo di conferma, che non è difficile costatare come laddove si è indebolita la devozione alla Beata Vergine Maria si è pure indebolita la fede nella divinità di Gesù.

b) Vi è poi, su un piano esistenziale, il pericolo di cadere in un eccessivo astrattismo per quanto riguarda la vita di fede. L'insistenza sullo studio scientifico della Bibbia, per cui sembra che interessi di più conoscere che cosa gli Evangelisti pensassero di Gesù che non conoscere Gesù in persona, l'introduzione in teologia di filosofie moderne astruse e complicate, l'eccessiva importanza data alla sociologia, rischiano di far dimenticare che la vita di fede è innanzitutto un rapporto personale con una persona viva: Gesù di Nazaret, figlio di Maria, nato, morto, risorto, salito al cielo. E non solo, si noti bene, il Signore glorioso - che può essere inteso come una realtà evanescente, o, come si dice oggi, pneumatica -, ma Gesù uomo come noi, che sua madre, la Vergine Maria, ha dato alla luce a Betlemme, ha avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (cf. Lc 2, 7) e che, secondo una pia tradizione, è stato deposto nelle sue braccia quando venne schiodato dalla croce.
     Anche qui non è difficile vedere come un'adeguata rivalutazione della dottrina mariana nel quadro più ampio della dottrina cristiana globale costituisca per natura sua un antidoto contro il pericolo suaccennato. Il rapporto con Maria, infatti, è quasi per necessità di cose un rapporto fra persona e persona: anche il rapporto con Gesù diventa allora rapporto con Colui che è suo Figlio, con una persona viva. In tal modo, come per incanto, tutto il mondo interiore della fede si rianima, assume vita e concretezza in modo da coinvolgere non solo la mente, ma anche il cuore e gli affetti.
     Si tratta, in altre parole, di «restaurare» quella devozione all'umanità di Cristo che, soprattutto da S. Bernardo in poi, ha sempre costituito un patrimonio preziosissimo della nostra civiltà occidentale. Questa devozione è necessariamente collegata, con vincolo indissolubile, alla devozione mariana: Ave verum corpus, natum de Maria
Virgine
. Il santo Rosario, nel quale i misteri della vita, morte e risurrezione di Gesù diventano quelli di Maria, sua madre, lo prova in modo significativo.

c) infine, tra i fenomeni più preoccupanti del nostro tempo vi è la crisi della donna. cioè della figura tradizionale della donna. Basta pensare alla crisi della verginità - oggi per lo più ignorata o addiritdisprezzata - e della maternità - spesso solo temuta o comunque vista come un fenomeno secondario e marginale -.
     Le conseguenze di questa mutata mentalità rischiano di essere catastrofiche per la Chiesa, nella quale le vergini consacrate, cioè le suore, e le buone madri cristiane hanno sempre avuto un ruolo di primaria e decisiva importanza. Una Chiesa senza suore e senza madri cristiane non sarebbe più la Chiesa che noi tutti conosciamo, che ci ha dato tanti santi e che per secoli ha forgiato la nostra civiltà. 
     Ebbene, il culto di Maria Santissima ci aiuta a superare la difficoltà mettendo davanti ai nostri occhi questo fatto singolare: la persona creata più nobile e più eccelsa di tutto l'universo è una Donna che è Vergine e Madre.

Dati biografici su Maria
Tenendo conto che la nascita di Gesù viene comunemente fissata fra gli anni 7-6 avanti Cristo (per alcuni 7-1 avanti Cristo), e che la Madonna, al tempo del suo  fidanzamento con Giuseppe, poteva avere tra i 14 e i 18 anni, secondo gli usi del tempo, la sua nascita può essere collocata fra il 25 e il 20 a. C., oppure, secondo l'altra ipotesi, fra il 25 e il 15 a. C. A quale casato apparteneva Maria? Secondo alcuni apparteneva alla casa di Davide, poiché Gesù è «figlio di Davide». Secondo altri, invece, data la sua parentela con Elisabetta, moglie del sacerdote Zaccaria, Maria sarebbe appartenuta alla tribù di Levi. La discendenza davidica di Gesù sarebbe assicurata in questo caso solo dalla paternità legale di Giuseppe. 
     Dove nacque Maria? Sono state fatte tre ipotesi: NazaretBetlemmeGerusalemme. Nazaret viene proposta in quanto lì è avvenuta l'Annunciazione, ma ciò non prova che Maria vi sia nata, e le fonti che lo affermano sono molto tardive e senza solide motivazioni, Anche Betlemme sembra dover essere esclusa, poiché l'ipotesi è fondata solo sul fatto (non provato) che Maria sarebbe stata della stirpe di Davide. «Più solida sembra la tradizione gerosolimitana, risalente al II secolo (Protovangelo di Giacomo), e riportata dai primi pellegrini di Gerusalemme. Nata presso il tempio, Maria ebbe a che fare con i leviti, sotto la cui protezione rimase fino al tempo del fidanzamento, quando Luca ce la fa trovare a Nazaret». (Cf. E. TESTA, Voce "Maria di Nazareth", in Nuovo Dizionario di Mariologia pag. 876)

     Nazaret era un paese della Galilea di poche centinaia di abitanti. Il matrimonio fra Maria e Giuseppe seguì la tradizione giudaica: in primo luogo ci furono gli sponsali, che avevano valore giuridico e duravano circa un anno, poi le nozze vere e proprie, con l'introduzione della sposa nella casa dello sposo.
Il resto della vita di Maria lo possiamo conoscere dai Vangeli. Una data quasi certa è quella della morte di Gesù: venerdì 7 aprile dell'anno 30. Gesù poteva avere dai 31 ai 37 anni circa e Maria di conseguenza dai 45 ai 55 anni circa. La Risurrezione di Gesù avvenne domenica 9 aprile, l'Ascensione giovedì 18 maggio e la Pentecoste domenica 28 maggio.
Sappiamo che Maria fu «presa con sé» dal discepolo Giovanni. Dopo la sua partecipazione alla Pentecoste (cf. At 1, 14), di Lei non sappiamo storicamente più nulla. La fede ci insegna che al termine della sua vita terrena fu assunta in cielo in anima e corpo. La tradizione segnala Efeso o Gerusalemme come luogo in cui avvenne l'Assunzione.



     



MARIA NELL'ANTICO TESTAMENTO

L'Antico Testamento parla di Maria Santissima?
     Questa domanda ha ottenuto varie risposte anche da parte degli studiosi cattolici. Si va da una posizione estrema, per cui «tutta la Scrittura parla di Maria», come affermava lo Pseudo-Bernardo, (Pseudo-Bernardo, Sermo 3 in Antiphonam Salve Regina,PL 184,1069.) a un'altra, di segno opposto, per cui Maria sarebbe assente dall'Antico Testamento, o almeno le allusioni a lei sarebbero così implicite e indirette da non poter costituire nemmeno un abbozzo di teologia mariana.
     È chiaro che per uno studioso non credente il problema non si pone. Egli potrebbe al massimo ammettere che Maria di Nazaret è sorta dal popolo e dall'ambiente culturale di Israele, che la spiegano. In questo senso si potrebbe dire che l'Antico Testamento l'ha «preparata». Se però uno studioso è credente, non potrà negare che tutte le Scritture sono orientate verso Gesù Cristo. Maria Santissima ha un senso in funzione di questo fine, Essa è il compimento dell'Antico Testamento, l'inizio e l'esemplare del Nuovo e la Madre del Messia.
Per vedere se e in che modo l'Antico Testamento parla della Madre di Gesù, è bene ricordare brevemente quali sono i sensi della Sacra Scrittura. Vi è innanzitutto il senso letterale, che è quello inteso direttamente e prima di tutto dall'autore. Questo senso però può essere proprio o metaforico, cioè figurato. Il senso proprio è quello ovvio delle parole e delle frasi usate, quello metaforico o figurato è quello che viene preso secondo una somiglianza. Per esempio quando dico: «L'uomo ride», il verbo ridere è preso in senso proprio; quando dico: «Il prato ride», lo stesso verbo è preso in senso metaforico, cioè secondo una somiglianza o analogia. Si tratta però sempre di senso letterale.      Oltre al senso letterale c'è quello tipico, che riguarda non più le parole, ma le cose: esso si ha quando delle cose o dei fatti (non più delle parole, quindi), riferiti nella Scrittura secondo l'intenzione di Dio, Autore principale, significano insieme un'altra verità più alta e nascosta. in altri termini: le realtà diventano figura di altre realtà note solo a Dio e a coloro a cui Dio vorrà rivelarle. Così si dice, ad esempio, che il passaggio del Mar Rosso è figura del nostro battesimo, che Adamo è figura (tipo) di Cristo, e cosi via. Da questo punto di vista, il lettore l'avrà già intuito, si potrà dire che Eva, la madre di tutti i viventi, è figura (tipo) di Maria, la madre di tutti i viventi in Cristo.

     Gli esegeti moderni hanno indicato un altro senso possibile della Sacra Scrittura, dettosenso pieno (sensus plenior) o profetico. Esso è come un prolungamento del senso letterale, ed è quel senso che non era percepito e inteso ancora dall'autore umano, almeno chiaramente, ma era inteso da Dio, Autore principale della Sacra Scrittura.

Esso viene colto da noi quando leggiamo il testo biblico alla luce della rivelazione successiva. Dopo questa necessaria premessa possiamo affrontare il nostro problema:      l'Antico Testamento parla di Maria? E, in caso di risposta positiva, dove e in che modo ne parla? Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, si esprime in maniera molto precisa e prudente:
«I libri dell'Antico Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi primi documenti, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa fatta ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cf. Gen 3, 15). Parimenti questa è la Vergine che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cf. Is 7, 14; cf. Mi 5, 2-3 e Mt 1,22-23). Essa primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza. Infine con Lei, eccelsa Figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da Lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l'uomo dal peccato».(Lumen Gentium, n. 55.)


Alla luce di questa autorevole precisazione possiamo dire che vi sono nell'Antico Testamento almeno tre riferimenti sicuramente mariani (Gen 3, 15; Is 7, 14; Mi 5, 2-3). Cominciamo dunque con l'esaminare questi testi.

Tre testi sicuramente mariani
1) GENESI 3, 15 (IL PROTOVANGELO) Riportiamo il testo nella traduzione della CEI:
«Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».

Sono le parole che Dio rivolge al serpente, cioè al diavolo, che aveva sedotto Eva. Si parla di una lotta fra la donna e il serpente, e fra la stirpe della donna e quella del serpente. Ci sarà un vincitore in questa lotta? Nella traduzione CEI appare chiara la vittoria della stirpe della donna sulla stirpe del serpente. Ma non tutti sono d'accordo sulla traduzione, poiché i due verbi «schiacciare» e «insidiare» sono per la verità espressi dall'unico verbo ebraico shuf. In tal modo si parlerebbe della lotta senza indicare il vincitore. E nemmeno ci si potrebbe basare, per indicare la vittoria, sulle rispettive posizioni della testa e del calcagno, benché la posizione della testa sotto il calcagno sia una posizione di inferiorità. Infatti, in Genesi 49,17, si conferisce a Dan, capo e personificazione di una delle tribù di Israele, l'onore di essere «un serpente che morde il cavallo al calcagno», ottenendo così la vittoria, poiché «il cavaliere cade all'indietro». La lotta testa-calcagno è umiliante per la testa, ma pericolosa per il possessore del calcagno.
     La speranza sta però in questo: la stirpe dell'uomo rimane in piedi, a differenza del serpente. Dio rimane in dialogo con l'uomo dopo la sentenza. Professa una  preoccupazione paterna, simboleggiata dalle tuniche di pelle con le quali riveste Adamo ed Eva (Gen 3, 21), mentre maledice il serpente (nota); Oltre a ciò bisogna tenere presente la mente dello scrittore sacro.
     Tutta la narrazione infatti si inquadra nella storia della salvezza, e questo primo oracolo divino si inserisce in una prospettiva vittoriosa del bene sul male. Sembra dunque chiaro che nella mente dell'agiografo è presente il trionfo totale e assoluto della stirpe della donna sul serpente.
Ma chi è esattamente che vince il serpente? La stirpe della donna: il senso sembra quindi collettivo, con riferimento ai discendenti della donna. Tuttavia il serpente, che indica il diavolo, è uno solo: non sarà quindi più verosimile interpretare la discendenza come riferita singolarmente a un discendente particolare? Così infatti hanno pensato i Settanta, cioè i traduttori dell'Antico Testamento in lingua greca, poiché la stirpe viene da essi tradotta consperma, che in greco è neutro, mentre chi schiaccerà la testa al serpente è indicato conautòs, cioè «egli», al maschile. Il senso è quindi apertamente messianico: il vincitore del demonio sarà il Messia, discendente dalla donna.

Rimane a questo punto da chiederci chi è la donna. La risposta sembra immediata: la donna è Eva. Ma Maria non è in nessun modo implicata? Se il vincitore del serpente è il Messia, come non vedere implicata in questa vittoria anche la madre del Messia? Per questo, accanto ad alcuni autori i quali ritengono che nella donna sia indicata esclusivamente Eva, ve ne sono altri che vi vedono indicata anche Maria. Secondo alcuni la donna è Eva in senso letterale e Maria in senso tipico; secondo altri sarebbe Maria in senso letterale immediato; secondo altri ancora sarebbe Eva in senso letterale immediato, e Maria in senso pieno.

    Quest'ultima è la tesi oggi prevalente presso gli studiosi cattolici. Valga per tutti questa sintesi di Jean Galot: «Eva è designata in senso letterale. Però Maria è intesa implicitamente, ed è forse questo il senso più importante, poiché è la vittoria sul serpente che interessa l'autore sacro». (J. GALOT, L'Immaculée Conception, in Maria, vol. 7, Beauchesne, Parigi 1964, pp. 28-32.)


 Riportiamo a conclusione di questo paragrafo la nota della TOB (Traduzione ecumenica della Bibbia) a Gen 3,15. Vi troviamo riassunto quanto abbiamo sin qui visto: «Questo passo viene inteso in vari modi. Per alcuni annunzierebbe una lotta a morte e senza fine tra la discendenza della donna e quella del serpente; questo combattimento senza esito farebbe parte del contesto penale disposto dal Signore. La versione TOB (Questa ti contunderà la testa e tu la contunderai al tallone) può anche essere così interpretata. Secondo altri, il passo permette invece di intravedere un risultato favorevole nel combattimento perché si riferisce prima di tutto al serpente. La discendenza del serpente sarà colpita alla testa, mentre quella della donna lo è solo al calcagno. Anche l'espressione mangiare la polvere è simbolo di sconfitta (Mi 7, 17). E il punto di vista adottato dalla traduzione italiana, che sceglie il senso "schiacciare" del verbo ebraico (Gb 9,17). La tradizione cristiana, alla luce degli altri libri biblici, ha spesso visto in questo testo il "Protovangelo", l'annunzio cioè della vittoria che riporterà il Messia, nato da una donna. E quanto suggeriva già la versione greca, traducendo il pronome femminile del testo ebraico con quello maschile; vale a dire riferendo il passo a un determinato personaggio. La tradizione cattolica ha riconosciuto qui un dato importante intorno al ruolo della madre del Messia, da cui la traduzione ipsa (cioè la donna)conteret (calpesterà) della Volgata». E da qui, aggiungiamo noi, la raffigurazione dell'Immacolata come di colei che schiaccia la testa al serpente.



     


MARIA NELLA SACRA SCRITTURA

 ISAIA 7, 14 (LA PROFEZIA DELL'EMMANUELE)
«Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».
     Il profeta Isaia aveva ricordato al re Acaz che la salvezza sta nella fede nel Signore: «Se non crederete non avrete stabilità» (7, 9). Propone quindi al re di chiedere un segno, ma Acaz si rifiuta di chiederlo (poiché ciò lo obbligherebbe a cambiare i suoi piani). Non vuole «tentare Dio». Isaia lo rimprovera e dice appunto: «Il Signore stesso vi darà un segno...».
L'interpretazione di questo passo è difficile, e ha suscitato e suscita molte discussioni. Una sintesi molto chiara è data dalla nota della Bibbia di Gerusalemme, che riportiamo: «Il segno che il re Acaz ha rifiutato di chiedere gli è dato da Dio. E la nascita di un figlio, il cui nome, Emmanuele, cioè "Dio con noi" (cf. 8, 8. 10), è profetico
(cf. 1, 26) e annunzia che Dio sta per proteggere e benedire Giuda.
     In altri testi (9, 1-6; 11, 1-9) Isaia svelerà con più precisione certi aspetti della salvezza apportata da questo figlio. Queste profezie sono un'espressione del messianismo regale, già abbozzato dal profeta Natan (2 Sam 7) e che sarà ripreso più tardi da Mi 4, 14; 5, 3; Ez 34, 23; Ag 2, 23 (cf. Sal 2; 45; 72; 110). E mediante un re, successore di Davide, che Dio darà la salvezza al suo popolo; è sulla persistenza della stirpe davidica che riposa la speranza dei fedeli di jahvè.

     Anche se Isaia ha in vista immediatamente la nascita di un figlio di Acaz, per esempio Ezechia (come sembra probabile a dispetto delle incertezze della cronologia, e come sembra aver compreso il testo greco leggendo al v. 14: "Tu gli metterai nome"), si intuisce dalla solennità data all'oracolo e dal senso forte del nome simbolico dato
al figlio che Isaia intravede in questa nascita regale, al di là delle circostanze presenti, un intervento di Dio in vista del regno messianico definitivo. La profezia  dell'Emmanuele sorpassa quindi la sua realizzazione immediata, e legittimamente gli evangelisti (Mt 1, 23, citando Is 7, 14; Mt 4, 15-16 citando Is 8, 23 - 9, 1), poi tutta la tradizione cristiana, vi hanno riconosciuto l'annunzio della nascita di Cristo».
Secondo la Bibbia di Gerusalemme possiamo dunque dire che il segno dato ad Acaz è secondo il senso letterale immediato la nascita di Ezechia, ma nel senso pieno o profetico, già intravisto dallo stesso profeta, è la nascita del Messia. Altri autori invece sostengono, con buoni argomenti, che il segno si riferisce al Messia già secondo il suo senso letterale immediato.
     La differenza fra le due diverse interpretazioni (che però, come abbiamo visto, sono concordi nell'affermare il valore messianico del testo) si ripercuote anche sul senso che viene dato alla parola «vergine», in ebraico almah. Sentiamo come si esprime su questo punto la Bibbia di Gerusalemme. La nota citata così prosegue: «La traduzione greca porta "la vergine", precisando così il termine ebraico almah, che designa sia una giovane sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente. Ma il testo dei Settanta è un testimone prezioso dell'interpretazione giudaica antica, che sarà consacrata dal Vangelo: Mt1,23 troverà qui l'annunzio della concezione verginale di Cristo».
     Quindi possiamo dire che anche su questo punto il senso proprio di «vergine» apparterrebbe al senso pieno e profetico del testo, esplicitato dallo stesso Vangelo: la concezione verginale del Messia è espressa così già nell'Antico Testamento, letto secondo il suo senso pieno. Anche qui però vi sono degli autori che vedono il senso forte della parola «vergine» contenuto nel testo di Isaia letto anche secondo il senso letterale immediato. Essi insistono sul fatto che la parola almah implicherebbe sempre, almeno indirettamente, la verginità. (Si veda, ad esempio, la trattazione di J L. BASTERO DE ELEIZALDE, in Maria, Madre del Redentor, Edizioni Università di Navarra 2004, pp. 90-92). Possiamo concludere questo punto affermando che il testo di Is 7,14, secondo il senso pieno ma forse anche secondo il senso letterale immediato, si riferisce al Messia e al suo concepimento e nascita da una Vergine. Maria è quindi certamente implicata.

 

 MICHEA 5, 1-4 (LA PARTORIENTE DI BETLEMME)

«E tu Betlemme di Efrata,
così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda,
da te mi uscirà colui
che deve essere il dominatore in Israele,
le sue origini sono dall'antichità,
dai giorni più remoti.
Perciò Dio li metterà in potere altrui
fino a quando colei che deve partorire partorirà;
e il resto dei tuoi fratelli
ritornerà ai figli di Israele.
Egli starà là e pascerà
con la forza del Signore,
con la maestà del nome
del Signore suo Dio.
Abiteranno sicuri
perché egli allora sarà grande
fino agli estremi confini della terra,
e tale sarà la pace...
».

Questo testo fu scritto una trentina d'anni dopo quello di Isaia che abbiamo appena esaminato, e con buona probabilità si riferisce ad esso: colei che deve partorire è l'«almah» di Isaia, anche se qui non si fa cenno alla verginità. Il testo è chiaramente messianico, e dice sul Messia molte cose interessanti, che si riflettono ovviamente sulla madre. Innanzitutto afferma che egli nascerà a Betlemme. Poi c'è l'espressione suggestiva e misteriosa: «Le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti».
     Qui certamente Michea pensa alle origini antiche della dinastia di Davide, ma forse vi si può vedere anche un riferimento al discendente della donna di Gen 3, 15.
E perché non vedere indicata, secondo il senso pieno, anche l'origine eterna del Verbo dal Padre?

Il Messia non è forse nato dal Padre prima di tutti i secoli, secondo la sua natura divina? In questo senso la profezia indicherebbe in colei che deve partorire non solo la madre del Messia, ma anche la madre di Dio. Si dice poi ancora che il Messia sarà un re pastore, che porterà la pace. Per quanto riguarda infine la madre, notiamo l'espressione solenne con cui viene indicata: «Colei che deve partorire». La madre appare associata alla dignità del Messia.

Alcune osservazioni
A proposito dei tre brani citati il Laurentin (R. LAURENTIN, Maria, cit., pp. 17-18.) fa tre interessanti osservazioni, che riporto quasi ad litteram.

1) Le regine-madri avevano una posizione importante nelle corti orientali, e specialmente in Israele. I loro nomi ci sono conservati con cura nei libri dei Re (1 Re 14, 21; 15, 2. 10; 22, 42. 53; 2 Re 9, 6; 12, 2; 14, 2; 15, 2. 33; 18, 2; 22, 1; 23, 31. 36; 24, 18). Esse portavano il titolo di Gebirah (Regina Madre), ed erano strettamente legate all'onore e alla posizione del monarca. Ciò che contava non era la posizione di moglie del re, ma quella di madre del re. Così, mentre è Betsabea a prostrarsi davanti al re Davide, suo sposo ( 1 Re 1,16. 31), sarà invece suo figlio Salomone che, divenuto re, si prostrerà davanti a lei e la farà sedere alla sua destra (2, 19).
     Ciò premesso possiamo aggiungere che altri due aspetti culturali orientavano questi testi nel senso che hanno preso: la divinità del Messia e la concezione verginale. Infatti:
2) Le civiltà orientali divinizzavano i loro re. Nonostante che questa pretesa esercitasse un'attrattiva, essa era confutata dalla Bibbia. Tuttavia fu ripresa e riconvertita su un altro registro: l'erede promesso a Davide da Natan è un figlio di Dio, e questa figliolanza prende dimensioni trascendenti nel Salmo 2,7 e nel Salmo 110, 3. A questo figlio di Davide si dà persino il titolo di Dio (Is 9, 5; Sal 45, 7).


3) Quanto all'orientamento verso la concezione verginale, le tre profezie trascurano più o meno la parte del padre. Soltanto la madre è presa in considerazione (cf. Gen 4,1 e 25, doveEva attribuisce la generazione a Dio: «Ho acquistato un uomo dal Signore... Dio mi ha dato una prole»).
     Possiamo concludere che tutti questi testi lasciano intravedere un popolo escatologico nel quale ha grande evidenza la madre del Re-Messia trascendente.

Simboli e figure
Gli autori che vedono Maria indicata in tutte le pagine dell'Antico Testamento non si riferiscono ai pochi passi strettamente mariani, ma alle molte prefigurazioni che vi si possono trovare di lei, o in senso tipico, o anche, più spesso, secondo certi accostamenti o analogie.

     Il Concilio stesso, come abbiamo già visto, afferma che Maria «primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza». Tutto ciò che l'Antico Testamento dice dunque degli anawim, dei poveri di Jahwè, si applica nel modo più alto a Maria. Il Concilio subito dopo, chiamando la Vergine «eccelsa Figlia di Sion», applica a lei tutta la ricchezza della teologia veterotestamentaria racchiusa in questa espressione. Scrive E. G. Mori: «La Vergine Maria realizza il mistero della Chiesa dell'Antico Testamento in attesa di Cristo, come è rappresentato dalla Figlia di Sion; ciò significa che la vocazione della Vergine ha una dimensione ecclesiale, proprio come è prefigurata da tale immagine». (G. Molo, Figlia di Sion e Serva di Jahvé, Dehoniane , Bologna 1969, pp. 121-122).

vediamo dunque alcuni fra i testi veterotestamentari che possono essere riferiti a Maria a modo di simbolo o di figura, ispirandoci soprattutto alla liturgia. (Riporto quasi ad litteram l'ottima presentazione di L. Melotti, Maria, la madre dei viventi, Elle Di Ci, Torino 1986, pp. 27-29.)

—    Il roveto ardente (Es 3, 2), che arde e non si consuma, è simbolo della verginità di Maria nel concepimento e nel parto. Nei vespri del 1° gennaio leggiamo questa antifona: «Come il roveto che Mosè vide ardere intatto, integra è la tua verginità, Madre di Dio...».
—    Il vello di Gedeone (Gdc 6, 37-38) riceve la rugiada dal cielo come Maria ricevette dal cielo il Figlio: «Hai compiuto le Scritture quando in modo unico sei nato dalla Vergine; come rugiada sul vello sei disceso a salvare l'uomo» (Vespri del 1° gennaio).
—    L'Arca dell'Alleanza (Es 25, 10-22) era il segno della presenza di Dio; Maria è il Tempio vivo del Dio fatto uomo. L'Arca era di legno incorruttibile: il corpo di Maria fu preservato dalla corruzione del sepolcro. La Messa della vigilia dell'Assunzione ha come prima lettura il passo del Libro delle Cronache (1 Cr 15, 3 ss.; 16, 1-2) che parla del trasporto dell'Arca nel Tempio di Dio, a cui segue come Salmo responsoriale il Salmo 132, che si cantava per la festa dell'Arca dell'Alleanza. Nelle litanie lauretane Maria è invocata come «Arca dell'Alleanza (Foederis arca)».
—    La sposa del Cantico dei Cantici. Lo Sposo le dice: «Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia» (Ct 4, 7). La Liturgia della festa dell'Immacolata Concezione così adatta il testo a Maria: «Tutta bella sei, o Maria; la colpa originale non ti ha sfiorato». Si noti che l'essere immune da ogni macchia si verifica perfettamente solo in Maria. Quindi il teologo può con fondamento vedervi un senso pieno che risponde al disegno di Dio, Autore principale della Sacra Scrittura.


    La liturgia applica a Maria anche queste altre espressioni del Cantico: «Terribile come schiere a vessilli spiegati» (6, 4); «Chi è costei che sorge come l'aurora?» (6, 10). Maria è l'aurora che precede il vero sole, Gesù.
—    Il giardino chiuso e la fontana sigillata (Ct 4, 12) sono simboli della verginità di Maria.
—    La sapienza (Pr 8, 22-36). La sapienza è talvolta personificata, come nel passo indicato. Numerosi testi neotestamentari vi vedranno il Figlio di Dio, Sapienza incarnata. La Liturgia adatta questo testo anche a Maria, in quanto unita nel pensiero divino alla Sapienza incarnata, e predestinata da tutta l'eternità a esserne la Madre.

Numerosi personaggi, soprattutto donne, dell'Antico Testamento, sono visti come prefigurazioni di Maria. In particolare:
—    Sara, la madre di Isacco. Il Signore, nel promettere la nascita di questo suo figlio, dice: «C'è forse qualche cosa di impossibile presso il Signore?» (Gen 18, 14). L'angelo dice a Maria: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 37).
—    Abramo. «Notevoli sono le somiglianze tra Abramo e Maria, particolarmente per quanto concerne la nascita di Isacco, il figlio della promessa, e la concezione verginale di Gesù, il Figlio santo di Maria. Abramo, l'uomo di fede dell'Antico Patto, illumina la nostra conoscenza del mistero di Maria, la donna di fede del Nuovo Patto; Abramo, nostro padre nella fede, ci insegna molte cose su Maria, nostra madre nella fede». «Come quest'ultimo (Gen 18, 3), Maria ha trovato grazia presso Dio (Lc 1,30); come lui (Gen 12, 3; 18, 18; 22, 18), Maria è una sorgente di benedizioni per tutte le nazioni ed è benedetta da esse (Lc 1, 42.48); come lui ancora (Gen  15, 6), Maria è elogiata per la sua fede in una promessa il cui oggetto era una nascita miracolosa (Lc 1, 45)». Abramo è poi colui che è disposto a sacrificare il figlio Isacco.

     I santi Padri hanno visto nel sacrificio di Isacco la figura della passione di Gesù, il Figlio unico. Ora, Maria presenta al tempio il suo unico figlio Gesù (cf. Lc 2, 22 ss.), e sarà presente al Calvario (cf. Gv 19, 25-27), «amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata» (Lumen Gentium 58).
—    Anna, madre di Samuele, ringrazia Dio per il dono della maternità con un cantico che è un anticipo del Magnificat (cf. 1 Sam 2).
—    Giuditta taglia la testa a Oloferne (Gdt 13), e le lodi che il popolo le rivolge per questa vittoria (Gdt 13, 18) sono applicate a Maria da Elisabetta (Lc 1, 42), come anche dalla Liturgia: «Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra...»; «Benedetta sei tu, Vergine Maria, dal Signore altissimo, fra tutte le donne della terra»; «La tua lode non cadrà dal cuore degli uomini, che ricorderanno per sempre la potenza di Dio» (Gdt 13, 19).
—    Ester, la regina sposa del re Assurto, che intercede per la salvezza del suo popolo e la ottiene, è figura dell'onnipotente intercessione di Maria.
Ma fra tutte le prefigurazioni di Maria quella che più realizza il senso tipico vero e proprio è la persona di Eva, secondo il parallelismo Eva-Maria che sarà sviluppato in modo magistrale da S. Ireneo, me avremo modo di vederlo più avanti.


     



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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