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Per ascoltare e rileggere Benedetto

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2018 14:53
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 Quando Ratzinger corresse le eresie del cardinale Kasper sul primato della Chiesa Cattolica


INTERVENTO DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER
 SULL'ECCLESIOLOGIA DELLA COSTITUZIONE "LUMEN GENTIUM" 
AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SULL'ATTUAZIONE 
DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II 
PROMOSSO DAL COMITATO DEL GRANDE GIUBILEO DELL'ANNO 2000

Domenica, 27 Febbraio 2000

 

 

Nel tempo della preparazione al Concilio Vaticano II ed anche durante il Concilio stesso il Cardinale Frings mi ha spesso raccontato un piccolo episodio, che evidentemente lo aveva toccato profondamente. Papa Giovanni XXIII non aveva da parte sua fissato alcun tema determinato per il Concilio, ma aveva invitato i Vescovi del mondo a proporre le loro priorità, così che dalle esperienze vive della Chiesa universale emergesse la tematica di cui il Concilio si sarebbe dovuto occupare. Anche nella Conferenza Episcopale Tedesca si discusse su quali temi si dovessero proporre per la riunione dei Vescovi. Non solo in Germania, ma praticamente in tutta la Chiesa cattolica si era del parere che il tema dovesse essere la Chiesa:  il Concilio Vaticano I interrotto innanzitempo a motivo della guerra franco-tedesca non aveva potuto condurre a termine la sua sintesi ecclesiologica, ma aveva lasciato un capitolo di ecclesiologia isolato. Riprendere le fila di allora e così cercare una visione globale della Chiesa appariva essere il compito urgente dell'imminente Concilio Vaticano II.

Ciò emergeva anche dal clima culturale dell'epoca:  la fine della prima guerra mondiale aveva portato con sé un profondo rivolgimento teologico. La teologia liberale orientata in modo del tutto individualistico si era eclissata come da se stessa, si era ridestata una nuova sensibilità per la Chiesa.

Non solo Romano Guardini parlava di risveglio della Chiesa nelle anime; il Vescovo evangelico Otto Dibelius coniava la formula del secolo della Chiesa, e Karl Barth dava alla sua dogmatica fondata sulle tradizioni riformate il titolo programmatico di "Kirchliche Dogmatik" (Dogmatica ecclesiale):  la dogmatica presuppone la Chiesa, così egli spiegava; senza Chiesa non esiste. Fra i membri della Conferenza Episcopale Tedesca pertanto era ampiamente prevalente un consenso sul fatto che la Chiesa dovesse essere il tema. L'anziano Vescovo Buchberger di Regensburg, che come ideatore del Lexikon für Theologie und Kirche in dieci volumi, oggi alla sua terza edizione, si era conquistato stima e rinomanza molto al di là della sua diocesi, chiese la parola - così mi raccontava l'Arcivescovo di Colonia - e disse:  cari fratelli, al Concilio voi dovete innanzitutto parlare di Dio. Questo è il tema più importante.  I  Vescovi  rimasero  colpiti;  non  potevano  sottrarsi  alla  gravità  di questa parola.

Naturalmente  non  potevano  decidersi a proporre semplicemente il tema di Dio. Ma un'inquietudine interiore è nondimeno rimasta almeno nel Cardinale Frings, che si chiedeva continuamente come potessimo soddisfare a questo imperativo.

Questo episodio mi è ritornato in mente, quando lessi il testo della conferenza con la quale Johann Baptist Metz si congedò nel 1993 dalla sua cattedra di Münster. Di questo importante discorso vorrei citare almeno alcune frasi significative. Metz dice:  "La crisi, che ha colpito il cristianesimo europeo, non è più primariamente o almeno esclusivamente una crisi ecclesiale... La crisi è più profonda:  essa non ha affatto le sue radici solo nella situazione della Chiesa stessa:  la crisi è divenuta una crisi di Dio". "Schematicamente si potrebbe dire:  religione, sì - Dio no, ove questo no a sua volta non è inteso nel senso categorico dei grandi ateismi. Non esistono più grandi ateismi. L'ateismo di oggi può in realtà già di nuovo riprendere a parlare di Dio - distrattamente o tranquillamente -, senza intenderlo veramente...". "Anche la Chiesa ha una sua concezione della immunizzazione contro le crisi di Dio. Essa non parla più oggi - come ad esempio ancora al Concilio Vaticano II - di Dio, ma soltanto - come ad esempio nell'ultimo Concilio - del Dio annunciato per mezzo della Chiesa. La crisi di Dio viene cifrata ecclesiologicamente". Parole del genere dalla bocca del creatore della teologia politica devono rendere attenti. Esse ci ricordano innanzitutto giustamente che il Concilio Vaticano II non fu solo un concilio ecclesiologico, ma prima e soprattutto esso ha parlato di Dio e questo non solo all'interno della cristianità, ma rivolto al mondo - di quel Dio, che è il Dio di tutti, che tutti salva e a tutti è accessibile. Forse che il Vaticano II, come Metz sembra dire, ha raccolto solo metà dell'eredità del precedente Concilio? Una relazione, che è dedicata all'ecclesiologia del Concilio, deve evidentemente porsi questa domanda.

Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo:  il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari. Qualcosa di analogo si può per altro dire a proposito del primo testo, che il Vaticano II mise a punto - la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Il fatto che essa si collocasse all'inizio, aveva dapprincipio motivi pragmatici. Ma retrospettivamente si deve dire che nell'architettura del Concilio questo ha un senso preciso:  all'inizio sta l'adorazione. E quindi Dio. Questo inizio corrisponde alla parola della Regola benedettina:  Operi Dei nihil praeponatur. La Costituzione sulla Chiesa, che segue poi come secondo testo del Concilio, la si dovrebbe considerare ad essa interiormente collegata. La Chiesa si lascia guidare dalla preghiera, dalla missione di glorificare Dio.

L'ecclesiologia ha a che fare per sua natura con la liturgia. E quindi è poi anche logico che la terza Costituzione parli della parola di Dio, che convoca la Chiesa e la rinnova in ogni tempo. La quarta Costituzione mostra come la glorificazione di Dio si propone nella vita attiva, come la luce ricevuta da Dio viene portata nel mondo e solo così diviene totalmente la glorificazione di Dio. Nella storia del postconcilio certamente la Costituzione sulla liturgia non fu più compresa a partire da questo fondamentale primato dell'adorazione, ma piuttosto come un libro di ricette su ciò che possiamo fare con la liturgia. Nel frattempo ai creatori della liturgia sembra che sia uscito di mente, occupati come sono in modo sempre più incalzante a riflettere come si possa configurare la liturgia in modo sempre più attraente, comunicativo, coinvolgendovi attivamente sempre più gente, che la liturgia in realtà è "fatta" per Dio e non per noi stessi. Quanto più però noi la facciamo per noi stessi, tanto meno attraente essa è, perché tutti avvertono chiaramente che l'essenziale va sempre più perduto.

Per quanto concerne ora l'ecclesiologia di "Lumen gentium", sono innanzitutto restate nella coscienza alcune parole chiave:  l'idea di Popolo di Dio, la collegialità dei Vescovi come rivalutazione del ministero del Vescovo nei confronti del primato del Papa, la rivalutazione delle Chiese locali nei confronti della Chiesa universale, l'apertura ecumenica del concetto di Chiesa e l'apertura alle altre religioni; infine la questione dello stato specifico della Chiesa cattolica, che si esprime nella formula secondo cui la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, di cui parla il Credo, "subsistit in Ecclesia catholica":  lascio questa famosa formula qui dapprima non tradotta, perché essa - come era previsto - ha trovato le spiegazioni più contraddittorie - dall'idea, che qui si esprima la singolarità della Chiesa cattolica unita al Papa fino all'idea che qui sia stata raggiunta un'equiparazione con tutte le altre Chiese cristiane e la Chiesa cattolica abbia abbandonato la sua pretesa di specificità.

In una prima fase della recezione del Concilio domina insieme con il tema della Collegialità il concetto di popolo di Dio, che compreso assai presto totalmente a partire dall'uso linguistico politico generale della parola popolo, nell'ambito della teologia della liberazione fu compreso con l'uso della parola marxista di popolo come contrapposizione alle classi dominanti e più in generale ancora più ampiamente nel senso della sovranità del popolo, che ora finalmente sarebbe da applicare anche alla Chiesa. Ciò a sua volta diede occasione ad ampi dibattiti sulle strutture, nei quali fu interpretato a seconda della situazione in modo più occidentale come "democratizzazione" ovvero più nel senso delle "Democrazie popolari" orientali. Lentamente questo "fuoco d'artificio di parole" (N. Lohfink) intorno al concetto di popolo di Dio si è andato spegnendo, da una parte e principalmente perché questi giochi di potere si sono svuotati da se stessi e dovevano lasciare il posto al lavoro ordinario nei consigli parrocchiali, dall'altra però anche, perché un solido lavoro teologico ha mostrato in modo incontrovertibile l'insostenibilità di tali politicizzazioni di un concetto di per sé proveniente da un ambito totalmente diverso.

Come risultato di analisi esegetiche accurate l'esegeta di Bochum Werner Berg ad es. afferma:  "Malgrado l'esiguo numero di passi, che contengono l'espressione "popolo di Dio" - da questo punto di vista "popolo di Dio" è un concetto biblico piuttosto raro -, può nondimeno rilevarsi qualcosa di comune:  l'espressione "popolo di Dio" esprime la "parentela" con Dio, la relazione con Dio, il legame fra Dio e quello che è designato come "popolo di Dio", quindi una "direzione verticale".

L'espressione si presta meno a descrivere la struttura gerarchica di questa comunità, soprattutto se il "popolo di Dio" viene descritto come "controparte" dei ministri... A partire dal suo significato biblico l'espressione non si presta neppure ad un grido di protesta contro i ministri:  "Noi siamo il popolo di Dio"". Il professore di teologia fondamentale di Paderborn Josef Meyer zu Schlochtern conclude la rassegna sulla discussione intorno al concetto di popolo di Dio con l'osservazione che la Costituzione sulla Chiesa del Vaticano II termina il capitolo relativo in modo tale da "designare la struttura trinitaria come fondamento dell'ultima determinazione della Chiesa...". Così la discussione è ricondotta al punto essenziale:  la Chiesa non esiste per se stessa, ma dovrebbe essere lo strumento di Dio, per radunare gli uomini a lui, per preparare il momento, in cui "Dio sarà tutto in tutto" (1 Cor 15, 28).

Proprio il concetto di Dio era stato lasciato da parte nel "fuoco d'artificio" intorno a questa espressione e in tal modo era stato privato del suo significato. Infatti una Chiesa, che esiste solo per se stessa, è superflua. E la gente lo nota subito. La crisi della Chiesa, come essa si rispecchia nel concetto di popolo di Dio, è "crisi di Dio"; essa risulta dall'abbandono dell'essenziale. Ciò che resta, è ormai solo una lotta per il potere. Di questa ve ne è abbastanza altrove nel mondo, per questa non c'è bisogno della Chiesa.

Si può certamente dire che all'incirca a partire dal Sinodo straordinario del 1985, che doveva tentare una specie di bilancio di vent'anni di postconcilio, un nuovo tentativo si va diffondendo, quello di riassumere l'insieme dell'ecclesiologia conciliare in un concetto base:  l'ecclesiologia di comunione. Ho accolto con gioia questo nuovo ricentramento dell'ecclesiologia ed ho anche cercato secondo le mie capacità di prepararlo. Si deve comunque innanzitutto riconoscere che la parola "communio" nel Concilio non ha una posizione centrale. Nondimeno, compresa rettamente, essa può servire come sintesi per gli elementi essenziali dell'ecclesiologia conciliare. Tutti gli elementi essenziali del concetto cristiano di "communio" si trovano riuniti nel famoso passo di 1 Giov 1,3, che si può considerare come il criterio di riferimento per ogni corretta comprensione cristiana della "communio":  "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta".

Qui emerge in primo piano il punto di partenza della "communio":  l'incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che nell'annuncio della Chiesa viene agli uomini. Così nasce la comunione degli uomini fra di loro, che a sua volta si fonda sulla comunione con il Dio uno e trino.

Alla comunione con Dio si ha accesso tramite quella realizzazione della comunione di Dio con l'uomo, che è Cristo in persona; l'incontro con Cristo crea comunione con lui stesso e quindi con il Padre nello Spirito Santo; e a partire di qui unisce gli uomini fra di loro. Tutto questo ha come fine la gioia piena:  la Chiesa porta in sé una dinamica escatologica. Nell'espressione gioia piena si avverte il riferimento ai discorsi d'addio di Gesù, quindi al mistero pasquale ed al ritorno del Signore nelle apparizioni pasquali, che tende al suo pieno ritorno nel nuovo mondo:  "Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia... vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà... Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16, 20.22.24). Se si confronta l'ultima frase citata con Lc 11, 13 - l'invito alla preghiera in Luca -, appare chiaramente che "gioia" e "Spirito Santo" si equivalgono e che dietro la parola gioia si nasconde in 1 Giov 1, 3 lo Spirito Santo qui non espressamente menzionato. La parola "communio" ha quindi a partire da questo ambito biblico un carattere teologico, cristologico, storicosalvifico ed ecclesiologico. Porta quindi in sé anche la dimensione sacramentale, che in Paolo appare in modo del tutto esplicito:  "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo..." (1 Cor 10, 16s). L'ecclesiologia di comunione è fin dal suo intimo una ecclesiologia eucaristica. Essa si colloca così assai vicino all'ecclesiologia eucaristica, che teologi ortodossi hanno sviluppato in modo convincente nel nostro secolo. In essa l'ecclesiologia diviene più concreta e rimane nondimeno allo stesso tempo totalmente spirituale, trascendente ed escatologica.

Nell'Eucaristia Cristo, presente nel pane e nel vino e donandosi sempre nuovamente, edifica la Chiesa come suo corpo e per mezzo del suo corpo di risurrezione ci unisce al Dio uno e trino e fra di noi. L'Eucaristia si celebra nei diversi luoghi e tuttavia è allo stesso tempo sempre universale, perché esiste un solo Cristo e un solo corpo di Cristo. L'Eucaristia include il servizio sacerdotale della "repraesentatio Christi" e quindi la rete del servizio, la sintesi di unità e molteplicità, che si palesa già nella parola "Communio". Si può così senza dubbio dire che questo concetto porta in sé una sintesi ecclesiologica, che unisce il discorso della Chiesa al discorso di Dio ed alla vita da Dio e con Dio, una sintesi, che riprende tutte le intenzioni essenziali dell'ecclesiologia del Vaticano II e le collega fra di loro nel modo giusto.

Per tutti questi motivi ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di "communio". Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui "communio" divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata. Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l'abbandono del concetto di Dio. L'ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra.

Naturalmente si diffuse nuovamente il motivo egualitaristico, secondo cui nella "communio" potrebbe esservi solo piena uguaglianza. Si è così arrivati di nuovo esattamente alla discussione dei discepoli su chi fosse il più grande, che evidentemente in nessuna generazione intende placarsi. Marco ne riferisce con maggiore insistenza. Nel cammino verso Gerusalemme Gesù aveva parlato per la terza volta ai discepoli della sua prossima passione.

Arrivati a Cafarnao egli chiese loro di che cosa avevano discusso fra di loro lungo la via. "Ma essi tacevano", perché avevano discusso su chi di loro fosse il più grande - una specie di discussione sul primato (Mc 9, 33-37). Non è così anche oggi? Mentre il Signore va verso la sua passione, mentre la Chiesa e in essa egli stesso soffre, noi ci soffermiamo sul nostro tema preferito, sulla discussione circa i nostri diritti di precedenza. E se egli venisse fra di noi e ci chiedesse di che cosa abbiamo parlato, quanto dovremmo arrossire e tacere.

Questo non vuol dire che nella Chiesa non si debba anche discutere sul retto ordinamento e sulla assegnazione delle responsabilità. E certamente vi saranno sempre squilibri, che esigono correzioni. Naturalmente può verificarsi un centralismo romano esorbitante, che come tale deve poi essere evidenziato e purificato. Ma tali questioni non possono distrarre dal vero e proprio compito della Chiesa:  la Chiesa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio, e solo perché questo avvenga in modo puro, vi sono allora anche rimproveri intraecclesiali, per i quali la correlazione del discorso su Dio e sul servizio comune deve dare la direzione. In conclusione non a caso ritorna nella tradizione evangelica in diversi contesti la parola di Gesù secondo cui l'ultimo diverrà il primo ed il primo l'ultimo - come uno specchio, che riguarda sempre tutti.


   continua...........


[Modificato da Caterina63 07/01/2018 19:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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