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La Civiltà Cattolica i Gesuiti e il Vaticano

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2018 13:38
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16/02/2017 20:27
 
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IL QUADERNO NUMERO 4.000. Il traguardo di Civiltà Cattolica: una cultura da condividere


 




Antonio Spadaro - Giovanni Sale giovedì 9 febbraio 2017



«La Civiltà Cattolica» raggiunge le quattromila uscite e festeggia con un libro la storia della rivista dei gesuiti attraverso il rapporto con i Papi e diversi documenti che costellano i 161 di vita




A destra, il Collegio degli scrittori di Civiltà Cattolica in udienza da Giovanni XXIII

A destra, il Collegio degli scrittori di Civiltà Cattolica in udienza da Giovanni XXIII



«La Civiltà Cattolica» raggiunge le quattromila uscite e festeggia con un libro - edito dalla Rizzoli - la storia della rivista dei gesuiti attraverso il rapporto con i Papi e diversi documenti che costellano i 161 anni di vita. «Il coraggio e l’audacia. Da Pio IX a Francesco», è il lavoro realizzato a quattro mani da padre Antonio Spadaro, direttore della rivista, e il redattore e storico padre Giovanni Sale. Dai capitoli a loro affidati abbiamo estratto in anteprima alcuni brani che ci permettono di ripercorre le tappe salienti di questo cammino.


 


«La Civiltà Cattolica », nata il 5 aprile 1850, è una rivista che ha solcato decenni nei quali il significato stesso della comunicazione, oltre alle sue modalità, è mutato. Nel nostro tempo, segnato profondamente dalle reti sociali e dai nuovi media digitali, comunicare significa sempre meno «trasmettere» notizie e sempre più essere testimoni e «condividere» con altri punti di vista e idee. Tra le prime conseguenze vi è la necessità che dalla pagina traspaia con chiarezza un messaggio di condivisione di un’esperienza intellettuale, morale e spirituale. Fare cultura oggi significa assumersi le proprie responsabilità e il proprio compito nella conoscenza: «Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali». Le tecnologie dell’informazione, contribuendo a creare una rete di connessioni, spingono gli uomini a farsi «testimoni» dei valori sui quali fondano la propria esistenza.


 



Carlo Maria Curci, fondatore di Civiltà Cattolica




 

LA CONDIVISIONE DI UNA ESPERIENZA INTELLETTUALE

Ciò che « La Civiltà Cattolica » intende offrire sin dagli inizi ai suoi lettori è proprio questo: la condivisione di un’esperienza intellettuale illuminata dalla fede cristiana e profondamente innestata nella vita culturale, sociale, economica, politica dei nostri giorni. Il suo contributo è serio e qualificato ma non elitario o per «addetti ai lavori». E soprattutto è una rivista che vuole condividere le proprie riflessioni non solamente con il mondo cattolico, ma con ogni uomo impegnato seriamente nel mondo e desideroso di avere fonti di formazione affidabili, capaci di far pensare e di far maturare il giudizio personale. È nel suo codice genetico fare da ponte, interpretando il mondo per la Chiesa e la Chiesa per il mondo, contribuendo a un dialogo aperto, pieno, cordiale, rispettoso. L’identità della nostra testata include dunque non solamente buone analisi e ricerche originali, ma anche prese di posizione che siano in grado di parlare all’intelligenza e al cuore dei lettori, inducendoli a fare delle scelte. L’11 febbraio 2017 viene pubblicato il fascicolo numero 4.000 della rivista, quando appena si è compiuto il centocinquantesimo anniversario del Breve di Pio IX. Il periodico, in questi quattromila fascicoli, ha tenuto ferma la sintonia che i vari Pontefici hanno riconosciuto come «carattere essenziale di questa rivista».

LA NASCITA DELLA RIVISTA

La data di nascita della « Civiltà Cattolica » può essere convenzionalmente fissata il giorno 9 gennaio 1850, quando Pio IX, che in quel tempo risiedeva a Portici, presso Napoli, ordinò d’autorità (durante un’udienza privata concessa all’allora superiore della Compagnia di Gesù, l’olandese Jan Roothaan) che si desse inizio, da parte dei gesuiti italiani, alla pubblicazione di una rivista o di un «giornale popolare», scritto in lingua italiana, che combattesse gli errori moderni e nello stesso tempo difendesse la dottrina cattolica e gli interessi della Santa Sede dagli attacchi dei liberali e dei razionalisti. Il primo fascicolo della « Civiltà Cattolica » fu stampato a Napoli il 6 aprile 1850, in una piccola tipografia ubicata nel cortile di via San Sebastiano. L’articolo di presentazione del padre Curci, intitolato “Il giornalismo moderno ed il nostro programma”, spiegava le finalità che la nuova rivista si proponeva nel campo della stampa cattolica. Il primo quaderno fu stampato in 4200 copie, ma già nell’aprile se ne stamparono seimila. Nel giro di pochi mesi la tiratura arrivò a più di ottomila copie. Il 1° novembre 1850 uscì il primo fascicolo romano della « Civiltà Cattolica ».

IL RAPPORTO CON I PONTEFICI

Papa Pio IX stimava la rivista e i suoi scrittori. In una lettera autografa del 20 ottobre 1852 si congratulava con i padri della rivista per l’attività svolta. Il Breve pontificio Gravissimum supremi, di Pio IX, che il 12 febbraio 1866 eresse e costituì «perpetuamente » il Collegio degli scrittori, di fatto accolse pienamente i suggerimenti del padre Curci. All’inizio del suo pontificato, Leone XIII guardava con un certo sospetto l’orientamento della « Civiltà Cattolica » a motivo del suo palese «intransigentismo» in materia politica, che contrastava con il nuovo indirizzo di dialogo e di prudente apertura nei confronti del governo italiano, appena inaugurato dal nuovo Papa, nella speranza – presto dimostratasi vana – di raggiungere un’intesa sulla Questione romana. I Papi del Novecento ebbero un rapporto molto stretto con « La Civiltà Cattolica », valorizzandone in pieno le potenzialità in ordine alla difesa «della sana dottrina cattolica». Pio X fu certamente il primo Papa a utilizzare la rivista in questo senso, senza riconoscerle alcun carattere di ufficialità. Nel 1910, sessantesimo anniversario della fondazione della rivista, Pio X indirizzò una lettera al Collegio degli scrittori nella quale si lodava la fedeltà per tanti anni dimostrata dalla rivista al Papa e alla Santa Sede.

 

L’allora cardinale Pacelli In basso, Carlo Maria Curci, fondatore della rivista dei gesuiti (La Civiltà Cattolica)


 

La rivista dei gesuiti fu, durante tutto il pontificato di Benedetto XV – e ovviamente anche dopo –, lo strumento attraverso il quale il Papa esprimeva il suo pensiero sui problemi di politica ecclesiastica. Basti pensare soltanto al ruolo che essa svolse durante la guerra per sostenere lo sforzo del Papa in favore della pace, per l’assistenza dei prigionieri, dei popoli colpiti dalla carestia e da malattie epidemiche, come la «spagnola». Durante il pontificato di Pio XI «La Civiltà Cattolica » dovette sostenere battaglie molto impegnative a difesa della Santa Sede, e qualche volta rischiò perfino di essere chiusa d’autorità da organi del governo in carica. Durante gli anni del fascismo, Pio XI utilizzò in diverse circostanze la rivista per divulgare, soprattutto in materia politica e sociale, il suo pensiero o per favorire l’organizzazione dei laici cattolici, indicandone i princìpi ispiratori. Del tutto particolare fu il rapporto tra la rivista dei gesuiti e Pio XII, che divenne papa poco prima che scoppiasse la Seconda guerra mondiale. «La Civiltà Cattolica », con grande impegno, appoggiò con i suoi scritti la «battaglia del Papa in favore della pace», commentandone i numerosi radiomessaggi e successivamente le encicliche. La svolta decisiva, nella storia ormai più che centenaria della «Civiltà Cattolica », si ebbe durante il pontificato di Giovanni XXIII e in occasione del Concilio Vaticano II, che smantellò i vecchi schemi dottrinali, culturali e ideologici nei quali la rivista era nata e cresciuta. Dopo i cambiamenti avvenuti in quegli anni, «La Civiltà Cattolica » non sarebbe stata più la stessa. Paolo VI stimava molto il lavoro dei gesuiti della rivista, come dimostrò in diverse circostanze. Memorabile è il discorso che egli fece al Collegio degli scrittori il 14 giugno 1975, in occasione del numero 3000 della rivista. Nonostante i molti impegni per l’Anno Santo in corso, il Papa volle incontrare gli scrittori della « Civiltà Cattolica » nel Palazzo apostolico.

Papa Wojtyla impostò il suo pontificato in un’intensa attività missionaria, espressa anche in innumerevoli viaggi in ogni parte del mondo, ed ebbe perciò meno tempo da dedicare personalmente alla Civiltà Cattolica , pur continuando a manifestare in svariate occasioni il suo apprezzamento per il periodico. Benedetto XVI ricevette il Collegio degli scrittori in udienza il 17 febbraio 2006, ricordando che la missione della rivista è «partecipare al dibattito culturale contemporaneo, sia per proporre, in modo serio e nello stesso tempo divulgativo, le verità della fede cristiana in maniera chiara e insieme fedele al Magistero della Chiesa, sia per difendere senza spirito polemico la verità, talvolta deformata anche attraverso accuse prive di fondamento alla comunità ecclesiale».

IL RAPPORTO CON FRANCESCO

Nell’udienza concessa ai gesuiti della «Civiltà Cattolica» a tre mesi dalla sua elezione, il Pontefice, Francesco riprendendo la missione che i suoi immediati predecessori avevano conferito alla rivista, l’ha rilanciata e arricchita di significato. Il Papa ha così sintetizzato le parole chiave di questa missione: dialogo, discernimento, frontiera. In occasione della pubblicazione del fascicolo 4.000 della rivista, papa Francesco ha fatto giungere alla redazione un biglietto autografo. Con parole essenziali ha confermato ciò che aveva detto tre anni prima, scrivendo: «Auguri a “La Civiltà Cattolica”, rivista unica nel suo genere per il servizio alla Sede Apostolica. Possa continuare ad essere una rivista ponte, di frontiera e di discernimento». La nostra rivista è dunque espressione di una comunità di ricerca, che è aperta al mondo e a contributi di gesuiti dei cinque continenti. E così si apre alla comunità dei lettori con lo stesso spirito che nel 1851 veniva così formulato: «Tra chi scrive e chi legge corre una comunicazione di pensieri e di affetti che tiene molto dell’amicizia, spesso giunge a essere quasi una segreta intimità: soprattutto quando la lealtà da una parte e la fiducia dall’altra vengono a riaffermarla».

IN UDIENZA SPECIALE DA PAPA FRANCESCO

Evento speciale per La Civiltà Cattolica, che festeggia l’uscita – il prossimo 11 febbraio – del suo quaderno numero 4.000. L’evento sarà preceduto il 9 febbraio dall’udienza concessa da papa Francesco al Collegio degli scrittori della rivista dei gesuiti. Non solo: i 161 anni di vita della testata e il loro rapporto con i Pontefici è raccontato nel libro «Il coraggio e l’audacia. Da Pio IX a Francesco» edito da Rizzoli (382 pagine, 18 euro) e scritto da padre Antonio Spadaro, il direttore della testata, e padre Giovanni Sale.

Un libro che ripercorre il cammino compiuto con un’introduzione storica degli autori e la pubblicazione di una serie di documenti (atti ufficiali, discorsi, lettere) che testimoniano il rapporto tra la rivista dei gesuiti e i dodici Papi che si sono succeduti nella sua storia. Il numero 4.000 porta con sè anche altre novità: una veste grafica speciale e la diffusione in altre quattro lingue, che si aggiungono a quella italiana in cui finora era pubblicata la rivista.

E così La Civiltà Cattolica parlerà anche in inglese, francese, spagnolo e coreano. 





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Lettera di "felicitazioni" a padre Sosa.

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So che lei, grandissimo capo  dei gesuiti, se ne infischia delle critiche dei “fondamentalisti cristiani” che hanno gridato  allo scandalo per  quella foto in cui la si vede pregare  ci monaci buddhisti in Cambogia.  Non credo che la abbiano  addolorato nemmeno per un momento; quindi questa mia  lettera simpatizzante non vuole offrirle solidarietà.  Voglio invece, nel mio piccolo di cristiano qualunque,  affezionato al Vetus Ordo ma meno “talebano” dei tradizionalisti che si sono scandalizzati, dirle che mi felicito e  approvo la sua scelta. Nelle sue interviste lei ha esibito un così  basso livello di spiritualità, che una immersione nel Buddhismo non può che aumentarla.  Le farà bene, vedrà.  Il Buddhismo è una via di salvezza tosta, seria.

(Non sghignazza nemmeno. Congratulazioni)

Poteva scegliere peggio. Per esempio l’ebraismo, che non ha nemmeno un aldilà  e  quindi non  avrebbe diritto di chiamarsi una religione; o il protestantesimo  in una delle sue settarie denominazioni.  Molti suoi colleghi lo fanno, perdutamente giudaizzando e luteranizzando; mi felicito con lei di non averlo fatto. Quelle sono religioni che, avendo conosciuto il Cristo  e la sua Chiesa, l’ha rifiutato  coscientemente, e  quindi – dal mio punto di vista un po’ tradizionalista – sono letteralmente  anticristiche.   Siddharta Gautama, il Buddha storico,  non ha  rifiutato Cristo, semplicemente  perché è  nato  seicento anni prima di lui, un secolo e mezzo prima di Platone, al tempo di Anassimandro, dei pensatori pre-socratici.

Mi congratulo con lei  per  questo: ha evitato le apostasie post-cristiane, ed è tornato in qualche modo al punto zero da cui l’umanità ha cominciato  la  meditazione spirituale.  Grazie, padre Sosa, per  esser tornato all’Antico.

Ha scelto la Tradizione

Lei che dubita del Vangelo, perché “a quel tempo nessuno aveva un registratore”, e quindi si attiene all’interpretazione che  né dà il gesuita Bergoglio (che quindi diventa il sostituto di Cristo e degli apostoli   e della tradizione-trasmissione di 2 mila anni),  ha pregato – e con quale  lodevole compunzione! – in lingua pali  (che era il volgare dell’e poca di Siddharta,   diventata  lingua liturgica)  ripetendo formule che risalgono a quell’antico e grande principe  Kshatria: non preoccupandosi affatto se  ci fosse un  registratore, senza la minima obiezione sul fatto che quelle parole vadano “contestualizzate”   perché “sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito”.

No, lo sa: i monaci buddhisti coi quali ha  pregato,  non solo non si pongono affatto tali inquietudini, ma ripetono salmodiando formule liturgiche invariate da due millenni e passa, in una lingua che, essendo cambogiani, è assai diversa dalla loro (il pali deriva dal sanscrito),  e forse nemmeno capiscono. Non hanno bisogno di capire: è l’enunciazione in sé delle formule, ritualmente pronunciate all’interno della santa comunità o sangha,   che, secondo loro, crea “meriti”  in vista della Liberazione. Del resto, sanno bene cosa significano: ripetono infinitamente le Quattro Nobili Verità,  lodano il Triplice Rifugio e incitano all’Ottuplice Sentiero.

Mi felicito con lei, padre Sosa, perché non ha turbato  quegli asceti, come ha fatto con cattolici noi con  le sue battutacce  schernevoli contro il Vangelo  che non si sa cosa davvero dica, e le sue derisioni sulla credenza nel demonio, che per lei è un simbolo e una metafora, una vecchia superstizione che la modernità ha sfatato. E’  stato bello vederla  adottare con rispetto la Tradizione, l’Antico e il Classico. Pre-cristiano, dunque non anticristiano. Bravo, bene.

Io tradisco qui una grande ammirazione personale per il Buddha e il buddhismo: la più alta manifestazione di spiritualità   possibile ad un uomo che aspira alla Salvazione suprema, “prima della Rivelazione”.  Non condivido affatto  il troppo ripetuto luogo comune per cui il buddhismo è  ateismo. Siddharta Gautama –  stirpe regale e non sacerdotale, misterioso analogon di Cristo – reagiva contro l’idolatria superstiziosa dei milioni dei divinità dell’induismo del suo tempo, dei suoi  eccessi fachirici o nichilisti ( fedeli di Kali si facevano stritolare dal  grande carro della Dea durante le processioni); insomma, come Gesù reagisce e polemizza col fariseismo ebraico, il Buddha storico va compreso all’interno del contesto culturale indiano dell’epoca, della sua cultura.  Come il cattolicesimo nasce  da una religione da cui si dichiara secondario e unito per  sempre, così il Buddha rettifica e  rivoluziona   l’induismo basso,  magico e idolatrico; rifiuta le caste; e riporta questo insieme di credenze all’essenziale, direi, vedantino, upanishadico.

No, il buddismo non è, come ha scritto l’amico  Aldo Maria Valli, “un sistema etico e spirituale che ha l’obiettivo di permettere la piena realizzazione dell’individuo in vista del raggiungimento della felicità”:  quello è il fine delle signore-bene di Milano quando vanno al corso di yoga o  di stretching, “stare bene con se stesse”.  No.  Ben lungi dal  promettere “la piena realizzazione dell’individuo”, il  Buddha  mira all’Estinzione.  Precisamente, all’estinzione dell’Io. Se vogliamo continuare il gioco delle analogie, che altro dice Paolo quando dice: “Sono stato crocifisso in Cristo, e non sono più “io” che vivo, ma Cristo vive in me”?

Tacciano i catto-talebani

E qui sento già le strida dei nostri amici tradizionalisti, talebani del cattolicesimo: Blondet è gnostico!  Esoterico!  L’abbiamo scoperto con le mani nel sacco!

Ora, non ho bisogno, per rafforzare la mia fede, di proclamare che le altre sono sataniche. Ciò vale ancor più per le vie di salvezza asiatiche che il Cristo non l’hanno conosciuto, essendo immensamente più antiche. Mi commuove sapere che per millenni, altre umanità, si sono poste la questione centrale, la più realistica, precisamente quella   che l’uomo occidentale d’oggi non si pone più, a suo danno eterno: “Non mi basta l’aldiquà. Ci dev’essere un modo per uscirne, e giungere all’Assoluto. Un guado, un sentiero di Liberazione”. E l’hanno cercato, fornendo metodi  accertati ed eroici di “uscita”  dal mondo.

Cari amici taleban-cattolici, io  pretenderei da parte vostra, verso il Buddismo e il Vedanta, quello stesso rispetto ed ammirazione che Agostino aveva per Platone e Socrate,  san Gerolamo per Cicerone,  San Tommaso d’Aquino per Aristotile. Non sentivano il bisogno di ricordarci ogni cinque secondo che quelli erano pagani, che   erano sicuramente all’inferno perché non avevano la fede; si abbeveravano, e facevano loro, la parte di verità  che avevano donato alla nostra civiltà.

Con questa aggiunta: oltretutto, non trovo nulla di anticristiano nell’aver sempre presente l’impermanenza di tutte le cose  quaggiù, la constatazione che la vita è dolore, l’esercizio della  compassione universale   verso tutti gli esseri viventi.

(Sull’impermanenza, ho giusto letto un passo della Imitazione di Cristo: “Se ami le  ricchezze,  le  pompe mondane, i difetti della carne, rifletti quanto  siano fragili e caduchi! Ché tutte le cose del mondo passano come sogni”).

Dunque, per tornare  a padre Sosa: io la lodo, padre. Mi congratulo per come   ha pregato coi buddhisti.  Non vorrei l’avesse fatto per “costruire ponti” per “la pace”,  perché in fondo per lei una liturgia vale l’altra, e tutte valgono nulla. La sua compunzione mi dà una speranza.

“Ancora uno sforzo”, come diceva il Marchese De Sade: si faccia buddhista  davvero, ci guadagna in spiritualità. Anzi, porti con sé nel buddhismo i tanti suoi confratelli gesuiti, che ne hanno tanto bisogno,  perché mica si  può vivere di Rahner e di Bultmann e di giudaismo e di modernismo  e fingersi religiosi. Libererebbe loro, e libererebbe noi; perché devo dirglielo, da quando voi gesuiti avete preso il potere in Vaticano,  nel noto  golpesudamericano, vi si nota soprattutto per una cosa: la grossolanità culturale, la mancanza di finezza intellettuale. I suoi confratelli, nel sito ufficiale,  hanno salutato in lei “el primer Superior Jesuita en bautizarse budista», mentre  dovrebbero sapere  che  non esiste un battesimo fra i buddhisti.

(Bel maglione, padre)

Siete diventati  più ignoranti di monsignor Galantino, che non conosce la Scrittura e si è convinto che Dio – avendo  finalmente   imparato  la misericordia da Bergoglio – abbia salvato Sodoma.  Invece l’ha incenerita…(ma chi può dirlo? Mica c’era un registratore, all’epoca).   Tale ignoranza  e rozzezza, in gesuiti, è disonorevole. No, davvero, avete bisogno di diventare Buddhisti.

Con gli occhi della speranza la vedo, padre Sosa: rasata la testa, rasato il baffetto malandrino,  vagare con la coppa del riso perché  il monaco mangia solo quel che gli è offerto (tranquillo, il popolo buddhista essendo credente, dà con abbondanza) e fare un solo pasto al giorno.

Novizi imparano a mendicare. Le loro mamme fanno la prima offerta. 

 

 

In  perfetta castità,  povertà e frugalità,  obbedire e   passare le giornate  a salmodiare in coro le liturgie in pali. Pre-cristiano, è meglio che anti-cristiano.Coraggio, “ancora uno sforzo”.


[Modificato da Caterina63 26/07/2017 09:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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