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LETTERE di Santa Caterina da Siena dalla 72 alla 152 (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2022 11:51
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14/03/2022 13:46
 
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CXXI (121) - A' signori difensori, e capitano del popolo della città si Siena, essendo essa a Sant'Antimo

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi signori in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi veri signori e con cuore virile; cioè che signoreggiate la propria sensualità, con vera e reale virtù, seguitando il nostro Creatore. Altramenti,non potreste tenere giustamente la signoria temporale, la quale Dio vi ha concessa per sua grazia. Conviensi dunque che l'uomo che ha a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi prima sè. Come potrebbe il cieco vedere e guidare altrui? Come potrà il morto sotterrare il morto? Lo 'nfermo governare lo 'nfermo, il povero sovvenire al povero? non potrebbe.

Veramente, signori carissimi, che chi è cieco e ha offuscato l'occhio dell'intelletto suo per lo peccato mortale, non cognosce nè sè nè Dio. Male potrà dunque vedere o correggere il difetto del suddito suo. E se pure il corregge, il corregge con quella tenebra e con quella imperfezione ch'egli ha in sè. E spesse volte, per lo poco cognoscimento, ho veduto e veggo punire e' difetti colà dove non sono, e non punire quelli che sono iniqui e cattivi, che meriterebbono mille morti. Il poco lume non lascia discernere la verità, e pone la calunnia colà dove ella non è; e genera il sospetto in coloro de' quali egli sipuò sicurare e fidare (cioè de' servi di Dio e' quali gli parturiscono con lagrime e con sudori, con la continua e santa orazione, mettendosi ad ogni pericolo e pena o tormento, per onore di Dio e salute loro e di tutto quanto il mondo): e fidandosi di coloro che sono radicati nell'amore proprio di loro medesimi, e' quali per ogni vento si vollono. E tutto questo procede dal poco lume e tenebroso peccato. Evvi bisogno dunque di avere il lume.

Dico che il morto non può sotterrare il morto; cioè che colui che è morto a Grazia, non ha nè ardire nè vigore di sotterrare il morto del difetto del prossimo suo, perché si sente in quella medesima morte ch'è egli; e però nol vuole nè sa correggere, vedendosi in quella infirmità medesima; e non se ne cura. Non si cura del suddito suo, perché egli il vegga infermo. E anco è tanta la gravezza della infirmità del peccato mortale, che non vi pone rimedio, se prima non cura sè medesimo. Essofatto ch'egli sta in peccato mortale, è venuto in povertà, e perduta ha la ricchezza delle vere e reali virtù, non seguitando le vestigie di Cristo crocifisso: e però non può sovvenire al povero; privato, come dissi, della ricchezza della divina Grazia. Per la tenebra ha perduto il lume; che non vede il difetto colà dove egli è. E però si fanno le ingiustizie, e non le giustizie. Per la infermità perde ilvigore del santo e vero desiderio, in desiderare l'onore di Dio e la salute del suo prossimo; e cresce sempre la infermità se egli non ricorre al medico, Cristo crocifisso,vomitando il fracidume per la bocca, usando la santa confessione. Se egli il fa, riceve la vita e la sanità; ma seegli nol fa, subito riceve la morte: e allora il morto non può seppellire il morto, come detto è. E che maggior povertà si può avere, che esser privato del lume della sanitàe della vita? Non so che peggio si possa avere. Questi tali dunque non sono buoni nè atti a governare altrui, poichè non governano loro.

Convienvi dunque avere le predette cose; e però dissi che io desideravo di vedervi veri signori. Ma considerando me che l'esser vero signore non si può avere, se non signoreggia sè medesimo, cioè signoreggiando la propria sensualità colla ragione; però io vi dico in quanti inconvenienti vengono coloro che si lassano signoreggiare alla miseria loro, e non signoreggiano; acciocchè vi guardiate a non cadere a questo. Vogliate, vogliate aprire l'occhio dell'intelletto, e non essere tanto accecati col tantodisordinato timore. Vogliate credere e fidarvi de' servi di Dio, e non degl'iniqui servi del dimonio, che per ricoprire la iniquità loro vi fanno vedere quel che non è. Non vogliate porre i servi di Dio contra di voi. Chè tutte l'altre cose pare che Dio sostenga più che la ingiuria, li scandali e le infamie, che sono poste a' suoi servi. Facendo a loro, fate a Cristo. Troppo sarebbe dunque grande ruina a farlo. Non vogliate, carissimi fratelli e signori, sostenere che nè voi nè altri il faccia; ma tagliate la lingua del mormoratore, cioè riprendere e non dar fede a colui che mormora. Così facendo userete l'atto della virtù; e leverannosi via molti scandali. Ma pare che i peccati nostri non meritino ancora tanto. Tutto il contrario pare che si faccia; cioè che li cattivi sono uditi, e ibuoni sono spregiati.

Ond'io ho inteso che per lo Arciprete di Montalcino, o per altrui v'è messo sospetti; e questo fa per ricoprire la sua iniquità verso l'Abbate di santo Antimo; il quale è così grande e perfetto servo di Dio, quanto, già grandissimo tempo, fosse in queste parti. Che se avesse punto di lume, non tanto che di lui avesse sospetto, ma voi l'areste in debita reverenzia. Pregovi dunque per l'amore di Cristo crocifisso, che vi piaccia di non impacciarlo,ma sovenirlo, aiutarlo in quello che bisogna. Tutto dì vi lagnate che i preti e gli altri clerici non sono corretti: eora trovando coloro che gli vogliono correggere, gl'impedite, e lagnatevi.

Del mio venire con la mia fameglia, anco v'è fatto richiamo e messo sospetto, secondo che m'è detto: non so però se gli è vero. Ma se voi costate tanto a voi, quanto voi costate a me e a loro, in voi e in tutti gli altri cittadininon caderebbero le cogitazioni e le passioni tanto di leggiero; e chiuderestevi l'orecchie per non udire. Cercato ho io e gli altri, e cerco continuamente, la salute vostra dell'anima e del corpo; non mirando a veruna fadiga, offerendo a Dio dolci e amorosi desiderii con abondanzia di lagrime e di sospiri, per riparare che i divini giudiciinon vengano sopra di voi, i quali meritiamo per le nostre iniquitadi. Io non sono di tanta virtù che io sappia fare altro che imperfezione: ma gli altri che sono perfetti e che attendono solo all'onore di Dio ed alla salute dell'anime, sono coloro che il fanno. Ma non si lascerà però per la ingratitudine e per le ignoranzie de' miei cittadini, che non s'adoperi infino alla morte per la salute vostra. Impareremo da quel dolce di Paolo, che dice: «Il mondo ci bestemmia, e noi benediciamo; egli ci perseguita e ci caccia, e noi pazientemente portiamo». E così faremo noi; seguiteremo la regola sua. La verità sarà quella cosa che ci libererà. Io v'amo più che non v'amate voi; e amo lo stato pacifico e la conversazione vostra, come voi. Sicchè non crediate che nè per me nè per veruno degli altri della mia fameglia si faccia il contrario. Noi siamo posti a seminare la parola di Dio e ricogliere il frutto dell'anime. Ognuno dee esser sollecito dell'arte sua: l'arte che Dio ci ha posta è questa; conviencela dunque esercitare, e non sotterrare 'l talento, perocchè saremmo degni di gran reprensione; ma in ogni tempo e in ogni luogo adoperare, e in ogni creatura. Iddio non è accettatore de' luoghi nè delle creature, ma de' santi e veridesiderii. Sicchè con questo ci conviene adoperare.

Veggo che il dimonio si duole della perdita che in questa venuta egli ha fatta e farà per la bontà di Dio. Peraltro non venni se non per mangiare e gustare anime, e trarle delle mani delle demonia. La vita voglio lasciare per questo, se io n'avessi mille. E per questa cagione anderò e starò secondo che lo Spirito Santo farà fare. Diravvi Pietro a bocca la principale cagione per la quale io venni e sto qua. Altro non dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, se volete la vita. In altro modo cadremo nella morte eternale. Non v'incresca a leggere e udire; ma portate pazientemente: perocchè il dolore e l'amore che io ho, mi fa abondare di parole. Amore, dico, della vostra salute, e dolore della nostra ignoranzia. Voglia Dio che per divino giudicio non ci sia tolto il lume di non cognoscere la verità. Altro non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


CXXII - A Salvi di misser Pietro, orafo in Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vero servo fedele a Cristo crocifisso, e che giammai non volliate la faccia a dietro, nè per prosperità nè per avversità; ma virilmente con fede viva: però che in altro modo, sapete che la fede senza l'opere è morta. Questa è l'operazione della fede: che noi concepiamo in noi le virtù per affetto d'amore, e parturiranno e' frutti con vera pazienza nel mezzo del prossimo nostro, portando, e sopportando e' difetti l'uno dell'altro. Perocchè non basterebbe a noi, e alla nostra salute, l'avere ricevuto la forma della fede colla divina Grazia quando riceviamo il santo battesimo. Basta bene al fanciullo parvolo, che morendo nella puerizia sua, riceve vita eterna solo col mezzo del sangue dell'Agnello; ma poi che siamo venuti ad età perfetta, avendo solamente il santo battesimo, non ci basterebbe se non esercitassimo il lume della fede con amore. Onde a noi avviene come all'occhio del corpo; però che, perché l'uomo abbia l'occhio, e sia puro, e sano a poter vedere, se egli non l'apre con libero arbitrio, che egli ha apoterlo aprire, e con amore della luce, può dire che, avendo l'occhio, non abbia l'occhio. L'occhio ha per la bontà del Creatore; e non ha la virtù dell'occhio per difetto della propria volontà, che non l'apre. Può adunque dire che sia morto, e non fa frutto. Così, carissimo figliuolo; Dio, per l'infinita sua bontà, ci ha dato l'occhiodell'intelletto, il quale occhio empie dandoci il lume della fede nel santo battesimo, e con esso il libero arbitrio,togliendo il legame del peccato originale. Ora chiede Dio, poichè siamo venuti a età compiuta d'avere cognoscimento, che quest'occhio, che egli ci ha dato, s'apra col libero arbitrio, e con amore della luce.

Poichè dunque l'anima vede in sè l'occhio da poter vedere, debbelo aprire al suo Creatore. E a che lume si debbe ponere? A vedere in Dio, solo l'amore. Però che neuna cosa si può adoperare senza amore, nè spirituale, nè temporale. Perocchè se io voglio amare cose sensitive, subito l'occhio si pone ine per dilettarvisi dentro. E se l'uomo vuole servire e amare Dio, l'occhio dell'intelletto s'apre, ponendoselo per obbietto; e con amore trae l'amore; cioè, vedendo che Dio sommamente l'ama, e' non può fare ch'egli non renda l'amore, e che egli non l'ami. Onde perde allora l'amore sensitivo, concepe un amore vero, vedendosi creato all'immagine e similitudine di Dio, e ricreato a Grazia col sangue dell'unigenito suo Figliuolo. Quest'occhio ha trovato il lume; e avendo trovato il lume, è fatto amator d'esso lume; e però non resta mai di cercar di fuggire e odiare quella cosa che glitolle il lume, e amare, e desiderare quella che gliel dà. Allora si leva colla fede viva, e concepe e' figliuoli delle virtù, con desiderio di vestirsi della somma ed eterna volontà di Dio; però che l'occhio, e il lume della fede ha mostrato all'affetto suo la volontà di Dio, che non cerca nè vuole altro che la nostra santificazione. Chi ce la manifesta ben chiara? Il Verbo del Figliuolo suo, che è venuto nel carro della nostra umanità pieno di fuoco d'amore, manifestandoci col sangue suo la volontà del Padre per adempirla in noi. Perocchè quella volontà dolce, colla quale egli creò per darci vita eterna, avendola perduta, non s'adempiva per lo peccato nostro, e però ci mandò il Figliuolo per farcela chiara e manifesta, dandolo all'obbrobriosa morte della croce. E ciò che egli dà o permette a noi, dà solo per questo fine, cioè perché participiamo la somma ed eterna bellezza sua. Onde l'anima prudente, che ha aperto l'occhio suo, come detto è, col lume della fede, subito piglia uno santo giudicio, giudicando la santa volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene; e non la volontà degli uomini.

Sai che n'esce di questo lume? Un'acqua pacifica, chiara, e senza veruna macula; e non è conturbata dalla avversità per impazienzia, nè per molestie di dimonio, nè per ingiurie, nè per persecuzioni, nè per mormorazioni d'uomini. Giammai si muove, ma sta ferma, perché ha già veduto che Dio il permette per suo bene, e per dargli il fine suo per lo quale fu creato. Questa è la via; e neun'altra ce n'è. E con molte spine e triboli ci convien passare, seguitando Cristo crocifisso, però che egli è la via. E così disse egli, cioè, ch'egli era via, verità evita. Bene sèguita la verità colui che tiene per questa via;però che s'adempie in lui la volontà del Padre eterno, conducendoci al fine per lo quale fummo creati. Se altra via ci fosse stata, averebbe detto che ncuno andasse al Padre se non pel Padre; ma egli non disse così, perché nel Padre non cade la pena, ma sì nel Figliuolo, e ad esso convien passare per la via della pena. Adunque ci convien seguitare Cristo crocifisso, che è via, e regola nostra. Anco dico che nol turba la prosperità del mondo per disordinato affetto e desiderio: anco, la mette sotto sè, spregiandola con dispiacimento, vedendo col lume della Fede che queste sono cose transitorie, che passano come il vento, e tolliono la via e il lume della Grazia a colui che le appetisce e possiede con disordinato affetto.

Costui partorisce e' figliuoli vivi con fede viva nell'onore di Dio e salute del prossimo. Perocchè nel prossimo si prova l'amore che noi abbiamo a Dio: però che nel nostro amore utilità non gli possiamo fare, ma vuole che la facciamo nel mezzo che egli ci ha posto, del prossimo nostro, sopportando i difetti loro, e portandogli dinanzi a Dio per compassione, e con pazienzia portando le ingiurie che essi ci fanno; e debita riverenzia usare a' servi suoi. Ogni altro modo che noi avessimo in noi, diciamo che ella è fede morta senza opera. Non dico però, che la sensualità non senta molte contraddizioni: ma quello contradire non gli tolle la perfezione, anco gliel'aiuta a dare; perocchè cognosce più il difetto suo, ecognosce la bontà di Dio, che gli conserva la volontà, che non consente e non va dietro a' sentimenti sensitivi per diletto, ma con odio e spiacimento di sè li corregge. Così di quello sentimento ne trae la virtù dell'umiltà per cognoscimento di sè, e la carità per cognoscimento della bontà di Dio in sè. Io, considerando ch'ella è di tanta eccellenzia e di sì gran necessità, che senz'essa non possiamo avere vita di Grazia, desidero di vedervi fondato nel lume della viva Fede; e però dissi che io desideravo di vedervi servo fedele a Cristo crocifisso. E però vi prego che vi leviate con vera e perfetta solecitudine, destandovi dal sonno della negligenzia, aprendo l'occhio dell'intelletto nell'amore che Dio v'ha, acciò che adempiate la volontà sua, e il desiderio mio in voi. Non dico più qui.

Rispondovi, carissimo figliuolo, alle lettere che mi mandaste, le quali io viddi con singolare allegrezza. Dove io viddi che si conteneva una particolare che Dio manifestò ad una serva sua, cioè, che quelli che si chiamano figliuoli erano scandalizzati per illusione delle dimonia che stavano dintorno a loro per trarne il seme che lo Spirito Santo aveva seminato a loro per trarne il seme che lo Spirito Santo aveva seminato in loro, ed eglino, come imprudenti e non fondati sopra la viva pietra, non facevano resistenzia; ma come sentivano lo scandalo in loro, così il seminavano in altrui, colorato con colore di virtù e d'amore. E però ora vi dichiaro, che volontà di Dio è ch'io stia. Avendo io grandissimo desiderio, per timore di non offendere Dio nel mio stare per tante mormorazioni e sospetti, quanti di me è preso e del padre mio frate Raimondo; fu dichiarato da quella Verità che non può mentire a quella medesima serva sua, dicendo: «Persevera di mangiare alla mensa alla quale io v'ho posto. Io v'ho posto alla mensa della croce a prender con vostra pena e molte mormorazioni, a gustare e a cercare l'onore di me e la salute dell'anime. E però l'anime che in questo loco t'ho poste nelle mani perché ell'escano dalle mani delle dimonia e pacifichinsi meco e col prossimo loro, non le lasciare infino a tanto che è compiuto quello che è cominciato. Perocchè, per impedire tanto bene, il dimonio semina tanto male. Però vi tornate; e non temete: ch'io sarò colui che farò per voi». Onde l'anima mia per lo detto di questa serva di Dio rimase pacifica. Ingegnerommi d'adoperare quel bene, per onore di Dio, e salute dell'anime e bene della nostra città, che io posso: poniamochè negligentemente io il faccia. E godo che io seguiti le vestigie del mio Creatore,e che per fare io riceva male; per far loro onore, faccianoa me vergogna; per dar loro vita vogliano a me dare la morte. Ma la loro morte è a noi vita, e la loro vergogna è a noi onore. Perché la vergogna è di colui che commette la colpa. Dove non è colpa, non è vergogna nè timore di pena. Io mi confido in Domino nostro Jesu Cristo, e no negli uomini. Io farò così. E se daranno a me infamie e persecuzioni, e io darò lagrime e continua orazione, quanto Dio mi darà la grazia. E voglia il dimonio o no, io mi impegnerò di esercitare la vita mia nell'onore di Dio e salute dell'anime per tutto quanto il mondo, e singolarmente per le mia città. Gran vergogna si fanno i cittadini di Siena, di credere o immaginare che noi stiamo per fare i trattati nelle terre de' Salimbeni, o in verun altro luogo del mondo.

Temono de' servi di Dio, e non temono degl'iniqui uomini; ma essi profetano, e non se n'avvedono. Essi hanno la profezia di Caifas, che profetò che uno morisse per lo suo popolo acciocchè non perisse. Egli non sapeva quello che si diceva; ma lo Spirito Santo il sapeva bene, che profetava per la bocca sua. Così e' miei cittadini credono che per me o per la compagnia ch'io ho meco, si facciano trattati: elli dicono la verità; ma non la cognoscono, e profetano; perocchè altro non voglio fare nè voglio faccia chi è con meco, se non che si tratti di sconfiggere il dimonio e tollergli la signoria che egli ha presadell'uomo per lo peccato mortale, e trargli l'odio dal cuore, e pacificarlo con Cristo crocifisso e col prossimo suo. Questi sono e' trattati che noi andiamo facendo, e che io voglio che si faccia per qualunque sarà con meco. Dogliomi della negligenzia nostra, che nol facciamo se non tepidamente. E però ti prego, figliuolo mio dolce, e a tutti quanti gli altri il dichi, che ne preghino Dio che iosia bene sollecita a far questo e ogni santa operazione per onore di Dio e salute dell'anime. Non dico più; chè molto arei che dire. Non è cognosciuto il discepolo di Cristo per dire: Signore! Signore! ma in seguitare le vestigie sue. Conforta Francesco in Gesù Cristo ecc. Frate Raimondo, poverello calunniato, ti si raccomanda che preghi Dio per lui che sia buono e paziente. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


CXXIII - Ai signori difensori della città di Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori temporali in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomini virili, e non timorosi governatori della città propria e della città prestata, considerando me che 'l timore servile impedisce e avvilisce il cuore, e non lascia vivere nè adoperare come a uomo ragionevole, ma come animale senza veruna ragione. Perocchè il timore servile esce e procede dall'amore proprio di sè. E quanto egli è pericoloso l'amore proprio di sè, noi 'l veggianoin signori e in sudditi, in religiosi e in secolari, e in ognimaniera di gente; perocchè non attendono ad altro che a loro medesimi. Onde se egli è suddito secolare, mai non obedisce nè osserva quello che gli è imposto per lo suo signore: e s'egli è signore, mai non fa giustizia ragionevolmente, ma con appetito sensitivo commette molte ingiustizie, chi per propria utilità, e chi per piacere agli uomini giudicando secondo la volontà di altrui, e non secondo la verità. Ovveramente, che egli teme di dispiacere: il quale dispiacere gli tollerebbe la signoria. Onde d'ogni cosa piglia timore e sospetto, con molta cecità, però che il piglia colà dove non debbe, e nol piglia colà dove debbe.

O amore proprio e timore servile, tu acciechi l'occhio dell'intelletto e non gli lasci cognoscere la verità. Tu tolli la vita della Grazia, la signoria della città propria e quella della città prestata. Tu fai incomportabile l'uomo a sè medesimo, perché desidera quello che non può avere; e quello che non può avere; e quello che possiede il possiede con pena, però che ha timore di non perderlo: onde non avendo, e temendo sempre, ha pena perché la volontà sua non è adempita. Onde drittamente in questa vita gusta l'inferno. Oh cecità d'amore proprio! Oh timore disordinato tu giugni a tanta cecità, che non tanto che te condanni la comune gente, e gl'iniqui uomini i quali giustamente si potrebbono condannare e temere della falsità loro, ma tu lasci il timore dell'iniquo, e condanni il giusto, recandoti a dispetto e' poverelli servi Dio, e' quali cercano l'onore di Dio e la salute dell'anime, e la pace e quiete delle cittadi, non restando mai i dolci desiderii e la continua orazione, lagrime e sudori di offerire dinanzi alla divina bontà. Come dunque ti può patire, amor proprio, e timore servile, di temere e giudicare coloro che si dispongono alla morte per la tua salute, e per conservare e crescere in pace e in quiete lo stato tuo? Ma veramente, carissimi fratelli, questo è quel perverso timore e amore che uccise Cristo; perocchè temendo Pilato di non perdere la signoria, accecò, e non cognobbe la verità; e per questo uccise Cristo. E nondimeno gli venne in capo quello di che temeva; perocchè poi, al tempo che piacque a Dio (non, che gli piacesse il difetto suo), egli perdè l'anima e il corpo, e la signoria. Onde a me pare che tutto il mondo sia pieno di questi Pilati, e' quali per lo timore cieco non si curano di perseguitare e' servi di Dio gittando loro pietre di parole, d'infamie e di persecuzioni. E tanta è la cecità loro, che non guardano nè come nè a cui; ma, come la bestia, si lasciano guidare alla propria sensualità, ponendo quei colori e quella legge a loro, che si pone agli uomini che non attendono ad altro che al mondo. Onde veramente io vi dico così: che ogni volta, che questo giudicio toccasse a noi, cioè di calunniare e condannare le operazioni, atti e costumi e conversazioni de' servi di Dio; oimè, oimè, noi abbiamo bisogno di temere il divino giudicio, che non venga sopra di noi. Perocchè Dio reputa fatto a sè, quello che è fatto a' suoi servi. Non sarebbe dunque altro, che chiamare l'ira di Dio sopra di noi. Noi abbiamo bisogno, carissimi fratelli e signori, d'accostarci a Dio col santo timore suo, e a' servi suoi, non levando loro le carni con le molte mormorazioni e disordinati sospetti; ma lasciargli stare e andare come peregrini, secondo che lo Spirito Santo li guida cercando e adoperando l'onore di Dio e la salute dell'anime (traendole dalle mani delle dimonia), e 'l bene e la pace e la quiete vostra. Non sia veruno tanto ignorante, che si voglia porre a regolare lo Spirito Santo, ne' servi suoi. Onde a me pare che Cristo fosse più paziente nella ingiuria sua, che in quella del suo apostolo san Tommaso: però che la sua non volle vendicare, ma benignamente rispose a colui, che gli diè la gotata, dicendo: «Se io ho male detto, rapporta che io ho detto male; ma se io ho detto bene, perché mi batti?». A Tommaso non fece così; anzi, essendo percosso nella faccia stando a mensa, prima che se ne levasse, ne fece la vendetta facendolo strangolare a uno animale, e poi gli staccò la mano che l'aveva percosso, e portollo in su la mensa dinanzi a santo Tommaso. Onde tutte l'altre cose ci saranno più toste sostenute che queste. Che se sono tanti i nostri peccati, che noi ci caggiamo, l'ultima cosa sarebbe per la quale potremmo aspettare grandissima ruina. Tutta questa cecità procede dall'amore proprio del timore servile. E però vi dissi che io desideravo di vedervi uomini virili e non timorosi.

Ma bene desidera l'anima mia di vedervi fondati nel santo e vero timore di Dio, il quale timore nutrica uno amore divino nell'anima. Egli è quello timore santo che si pone Dio dinanzi all'occhio suo; e innanzi elegge la morte, che offendere Dio o il prossimo suo o che volesse fare una ingiustizia o una giustizia che non la rivolga o vegga bene da ogni lato prima che la faccia. Di questo dunque santo timore avete bisogno, e così possederete la città propria e la città prestata: e non sarà dimonio nècreatura che ve la possa tôrre. La città propria è la città dell'anima nostra, la quale si possiede con santo timore fondato nella carità fraterna, pace ed unità con Dio e col prossimo suo; con vere e reali virtù. Ma non la possiede colui che vive in odio e in racore e in discordia, pieno d'amor proprio; e la vita sua mena lascivamente con tanta immondizia, che da lui al porco non ha nulla. Costui non signoreggia la sua città, ma esso è signoreggiato da'vizi e da'peccati: e ha tanto avvilito sè medesimo, che si lassa signoreggiare a quella cosa che non è, e perde la dignità sua della Grazia. E spregia il sangue di Cristo, ilquale fu quello prezzo pagato per noi, che ci manifesta la divina misericordia e la somma eterna Verità; amore ineffabile, il quale amore ci creò e ricuperò di sangue, non d'oro o d'argento, e manifestocci la grandezza dell'anima nostra e la gentilezza sua. Onde, bene è cieco colui che non vede tanto fuoco d'amore, e tanta sua miseria, alla quale si conduce giacendo nella tenebra del peccato mortale, e non possedendo sè, come è detto. E male possederà la cosa prestata, se in prima non governa e signoreggia sè medesimo. Signoria prestata sono le signorie delle cittadi o altre signorie temporali, le quali sono prestate a noi e agli altri uomini del mondo; le quali sono prestate a tempo, secondo che piace alla divina bontà, e secondo i modi e i costumi de' paesi: onde o per morte o per vita elle trapassano. Sicchè per qualunque modo egli è, veramente elle sono prestate. Colui che signoreggia sè, la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come cosa prestata, e non come cosa sua. Guarderà la prestanza della signoria che gli è data, con timore e riverenzia di colui che gliela diè.Solo da Dio l'avete avuta: sì che quando la cosa prestata c'è richiesta dal Signore, ella si possa rendere senza pericolo di morte eternale. Or con uno, dunque, santo e vero timore voglio che voi possediate. E dicovi, che altro rimedio non hanno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente: perocchè per altro non vengono meno se non per li peccati e difetti nostri. E però levate via la colpa, e sarà tolto via il timore; e arete cuore vigoroso e nontimoroso; e non arete paura dell'ombra vostra. Non dico più. Perdonate alla mia presunzione. L'amore ch'io ho a voi e a tutti gli altri cittadini e il dolore ch'io ho de' modi e costumi vostri, poco ordinati secondo Iddio, me ne scusi dinanzi a lui e a voi. Ho voglia di piangere sopra lacecità nostra; però che privati pare che siamo del lume. Dio per la sua infinita bontà e miscricordia vi tolla ogni tenebra d'ignoranzia, e allumini l'occhio dell'intelletto vostro a cognoscere e discernere la verità; e così non potrete errare. Altro non dico qui, benchè molto arei da dire.

Rispondovi, carissimi fratelli e signori, alla lettera ch'io ho ricevuta da Tommaso di Guelfuccio per vostra parte. Ringraziovi della carità che io veggio che avete a' vostri cittadini, cercando la pace e la quiete loro, e versodi me miserabile, non degna che voi desideriate la venuta mia, nè che voi richiediate da me che io sia mezzo a questa pace, perché sono insufficiente a questo, e a ogni altra quantunque minima cosa. Nondimeno la sufficienzia lasserò adoperare a Dio, e io chinerò il capo, secondo che lo Spirito Santo mi concederà, all'obedienzia vostra, d'andare e stare come sarà di vostro piacere, ponendo sempre la volontà di Dio innanzi a quella degli uomini. Onde io non veggo che testè a questi dì io possa venire, per alcuna cosa di bisogno che io ho a fare per lo monastero di santa Agnesa, e per essere co' nipoti di messere Spinello per la pace de' figliuoli di Lorenzo; la quale sapete che, già è buon tempo, voi la cominciaste a trattare, e non si trasse mai a fine. Onde io non vorrei che per mia negligenzia o per lo subito partire, ella rimanesse; perocchè temerei d'essere ripresa da Dio. Ma spaccerommi il più tosto che potrò, secondo che Dio mi darà la grazia. E voi e gli altri abbiate pazienzia; e non vilassate empire la mente e il cuore di molti pensieri e cogitazioni, le quali tutte procedono dal dimonio, chè il fa impedire l'onore di Dio e la salute dell'anime, e la pace equiete vostra. Increscemi dell'affanno e della fatica che imiei cittadini hanno nel pensare e menare la lingua verso di me; che non pare ch'egli abbiano a fare altro che tagliarmi le legne in capo, a me ed alla compagnia che ho con meco. Di me hanno ragione; perocchè son difettosa; ma non di loro. Ma noi, con sostenere vinceremo; perocchè la pazienzia non è mai vinta, ma sempre vince e rimane donna. Increscemi che i colpi caggiono in capo di colui che gli getta: però che spesse volte gli rimane lacolpa e la pena. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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