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Il caso enigmatico di padre Riccardo Lombardi, Fatima e la rivoluzione nella Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2016 15:04
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30/04/2016 13:59
 
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Il Capitolo XIII, «L’anno 1950 apra il grande ritorno dell’umanità» auspica il ritorno a Dio degli increduli, degli atei, dei pagani, dei peccatori e il ritorno alla Chiesa dei dissidenti.
Mentre nel Capitolo XIV: «Penitenza del peccato come primo passo verso un mondo rinnovato», Pio XII torna a parlare dello «spettacolo miserando di un mondo in disfacimento per la rovina, in esso operata, delle fondamentali strutture morali della vita», avvertendo che la consapevolezza rende inescusabili, e attribuendo la causa del male al «falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell’uomo e quasi arricchimento della
propria personalità».
Per la riabilitazione della società contro il degrado morale, a cui si è data «cittadinanza col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile», il Papa ribadisce che il primo passo è l’espiazione (MD, pagina 210).
Parole in cui si poteva avvertire tutta la forza dell’avviso di Fatima.

Riguardo ad altre scorciatoie Pio XII avvertiva: «Il dovere del sacerdote è la santificazione propria. Abbiamo già dichiarato in pubblico documento che devono essere richiamati a più retto sentire quanti presumono che si possa salvare il mondo attraverso quella che è stata giustamente definita ‘l’eresia dell’azione’: di quell’azione che non ha le fondamenta nell’aiuto della grazia e non si serve costantemente dei mezzi necessari al conseguimento della santità, datici da Gesù Cristo. Allo stesso modo abbiamo ritenuto opportuno di stimolare alle opere del sacro ministero coloro che, troppo alieni dall’attività esteriore e quasi diffidenti della efficacia del divino aiuto, non si adoperano abbastanza, secondo le proprie possibilità, a far penetrare la forza dello spirito cristiano nella vita quotidiana, con tutte le forme di attività che sono richieste dai nostri tempi» (Allocuzione del 12 settembre 1947, Mm, pagina 267).

Lo spirito di novità - Dall’esortazione al Clero ‘Menti nostrae’, 23 settembre 1950: «Stimiamo infine essere nostro officio rivolgervi un avvertimento sulle difficoltà che sono proprie di questi nostri tempi. Riteniamo che vi siate già accorti e accertati come vada sempre più largamente e gravemente serpeggiando uno spirito di novità tra i sacerdoti, ordinariamente tra quelli meno di altri forniti di cultura e dottrina e di vita meno severa. La novità non è mai per se stessa un criterio di verità, e può
essere lodevole solo a patto che, insieme, confermi la verità e porti alla rettitudine e alla virtù. L’epoca in cui viviamo soffre di un grave smarrimento: è veramente triste il nascere e il morire di molti sistemi filosofici senza punto migliorare i costumi; vedere le mostruosità di certa arte che pure ha la pretesa di chiamarsi cristiana.[…] Su tutto ciò, venerabili fratelli, richiamiamo vivamente la vostra vigilanza, sicuri che voi, tra la diffusa bramosia del nuovo e l’esagerato attaccamento al passato, userete quella prudenza che deve essere saggia e vigilante, proprio quando si tentano vie nuove di attività e di lotta unicamente per il trionfo finale della verità».
Ma quale sarebbe allora il punto di equilibrio nell’azione cristiana?

Pio XII il 14 settembre 1952 dava al Katholikentag austriaco il seguente messaggio: «Se i segni dei tempi non ingannano, la seconda parte delle lotte so¬ciali, quella nella quale si può pensare che siamo già entrati, pone adesso altre questioni ed altri compiti come supremi. […] La lotta di classe non può mai essere meta dell’etica sociale cristiana; la Chiesa sa di avere obblighi verso ogni categoria ed ogni classe del popolo. Poi c’è la difesa dell’individuo e della famiglia contro il vortice che cerca d’inghiottirli nella socializzazione universale: una socializzazione, alla fine della quale diventerebbe orribile realtà il terrificante quadro del Leviathan. La Chiesa combatterà questa battaglia con decisione estrema perché si tratta di valori supremi, della dignità dell’uomo e della salvezza dell’anima sua. Proprio per questo, fra l’altro, la dottrina sociale cattolica sostiene con tanto cosciente impegno il diritto dell’individuo alla proprietà. Ed è questo il motivo più profondo, perché i Papi delle encicliche sociali e Noi stessi abbiamo negato che dalla natura del contratto di lavoro scaturisca per l’operaio, in modo diretto o indiretto, il diritto di comproprietà al capitale dell’impresa e per conseguenza il diritto alla cogestione. Dovevamo negarlo, perché dietro ad esso sorge l’altro, più grande problema. Il diritto che l’individuo e la famiglia hanno alla proprietà deriva loro immediatamente dal fatto che si tratta di persone; è diritto spettante alla dignità della persona umana; un diritto cui certamente sono inerenti obblighi sociali, ma un diritto e non soltanto una funzione sociale».



[Modificato da Caterina63 30/04/2016 14:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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