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Le diaconesse tanto rumore per nulla non ascoltate i Media

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2016 13:47
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FOCUSdi Lorenzo Bertocchi
Nella chiesa paleocristiana
 

Per la maggioranza dei media italiani, Papa Francesco avrebbe aperto al clero femminile. Quando poi si approfondisce quel che ha veramente detto durante l'udienza dell'Unione Internazionale Superiore Generali, si scopre solo che intende studiare la questione sul diaconato femminile nella chiesa primitiva. Che era cosa ben diversa dal diaconato maschile.



“Papa Francesco apre al clero femminile”, “Il Papa apre alle donne: Diaconato possibile”; mentre Vito Mancuso (su Rep TV) dice che finalmente c’è un “ritorno alla Chiesa delle origini”. 

Così sono state “festeggiate” dai grandi media italiani le parole che ieri Papa Francesco ha pronunciato durante l’udienza all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg), ricevute in Vaticano. I festeggiamenti di alcuni quotidiani, forse, sono stati un tantino esagerati, perchè Papa Francesco più che altro ha detto di voler mettere in atto una commissione di studio per approfondire la questione sul diaconato femminile nella chiesa primitiva. Che è questione complessa e spinosa e che, certamente, non ha nulla a che fare con una “apertura” al clero femminile. D’altra parte bisogna riconoscere che è un tema che solletica molto le attese dei media, già abbondantemente sollecitati da quasi tre anni di sinodo sulla famiglia.

Proprio con il sinodo c’è un interessante incrocio a proposito di chi, da tempo, propone il diaconato femminile nella Chiesa. Il cardinale Walter Kasper, di cui tutti conoscono il ruolo cruciale durante il dibattito sinodale, nel febbraio 2013, in piena sede vacante, nell’assemblea generale dei vescovi tedeschi teneva, infatti, una relazione in cui auspicava apertamente una “specifica” funzione diaconale per le donne. 

La questione del sacerdozio femminile di fatto è chiusa, lo ha ribadito lo stesso Papa Francesco sul volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio. “In riferimento all'ordinazione delle donne”, disse rispondendo a una domanda della consueta conferenza stampa in alta quota, “la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L'ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva». Il riferimento è alla lettera del santo papa polacco Ordinatio sacerdotalis del 1994.

Altra, invece, è la questione del diaconato femminile che comunque è da chiarire. Infatti, Papa Francesco ieri, rispondendo ad una domanda di una religiosa presente in Vaticano, ha detto che occorre conoscere meglio quale fosse il ruolo delle cosiddette diaconesse nella chiesa primitiva. “Sarebbe bene per la Chiesa chiarire questo punto”, e ha aggiunto che gli “sembra utile avere una commissione che lo chiarisca bene». 

Perché se da un lato si può costatare che nella Chiesa antica siano esistite delle diaconesse, d’altra parte si può capire meglio cosa facessero e quale ruolo svolgessero. Infatti, il diaconato così come è oggi nella Chiesa rappresenta il primo grado del ministero sacerdotale, e come tale riservato esclusivamente agli uomini. Ecco perché si vorrebbe studiare una forma alternativa di diaconato, tuttavia alcuni elementi della storia della Chiesa danno già qualche indicazione.

Un primo elemento porta a dire che non si può affermare che tali diaconesse fossero in qualche modo assimilate al diaconato maschile; infatti, il primo documento un po’ più chiaro a proposito (Didascalia Apostolorum, II secolo) distingue tra i molti ministeri affidati al diacono e i pochi destinati alla diaconessa e cioè quello che, per motivi di pudore e decenza, non potevano essere esercitati da un uomo nei confronti della donna. E’ espresso chiaramente la funzione di queste diaconesse durante il Battesimo delle donne, Battesimo che allora avveniva per immersione e prevedeva dunque la nudità. Sempre in questo documento, la loro figura risulta affiancata a quella del Vescovo e potrebbe essere assimilabile all’attuale Ordo Virginum. Infatti risulta abbastanza chiaro che queste diaconesse venissero scelte tra le vergini, che dovevano poi custodire la continenza e le vedove.

Il canone 19 del Concilio di Nicea I rileva che “quanto alle diaconesse che sono nella stessa situazione, in particolare ricordiamo che esse, non avendo ricevuto alcuna imposizione delle mani, devono essere computate senz’altro tra i laici”. Le Costituzioni Apostoliche (fine IV sec.) riprendono il ruolo delle diaconesse nel Battesimo ed aggiungono che nelle celebrazioni liturgiche esse hanno il compito di accogliere le donne in chiesa e aggiungono: “La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza”. Per questo servizio, esse ricevevano una “ordinazione” da parte del Vescovo, che imponeva loro le mani, (come appare nel Concilio di Calcedonia, 451) ma in nessun modo questa consacrazione può essere intesa come analoga all’ordinazione propria all’ordine sacerdotale nei suoi tre gradi. Bisogna ricordare che il termine ordinazione nell’antichità era assimilabile a quello di consacrazione e benedizione.

Lasciando il lavoro di comprensione alla commissione che il Papa vorrà costituire, ci limitiamo ad un'ultima annotazione. Nel settembre 2001 la Congregazione della Dottrina della Fede, allora retta dal cardinale Ratzinger, emanava una notificazione “approvata dal Santo Padre” Giovanni Paolo II. 

“Da taluni Paesi sono pervenute ai nostri Dicasteri”, si legge in quel documento, “alcune segnalazioni di programmazione e di svolgimento di corsi, direttamente o indirettamente finalizzati all'ordinazione diaconale delle donne. Si vengono così a determinare aspettative carenti di salda fondatezza dottrinale e che possono generare, pertanto, disorientamento pastorale. Poiché l'ordinamento ecclesiale non prevede la possibilità di una tale ordinazione, non è lecito porre in atto iniziative che, in qualche modo, mirino a preparare candidate all'Ordine diaconale. (…)”







Diaconesse. Becciu: Papa sorpreso. Il commento di padre Lombardi

L'incontro del Papa con le religiose dell'Uisg - OSS_ROM

L'incontro del Papa con le religiose dell'Uisg - OSS_ROM

13/05/2016 

"Il Papa mi ha telefonato sorpreso circa le...diaconesse! Pensa a una Commissione. Non affrettiamo le conclusioni!". Lo scrive in un tweet il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Giovanni Becciu. Ma su questo tema e sulla conversazione del Papa con le religiose, ascoltiamo un breve commento del direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi:

Si tratta di una bellissima conversazione che il Papa ha fatto con le Superiore delle religiose delle diverse parti del mondo. Molto bella e incoraggiante sulle donne e in particolare sulle donne consacrate nella vita della Chiesa, anche sui loro compiti in posizioni importanti nei dicasteri quando non sia implicata la ordinazione.

Ha suscitato molto rumore il fatto che il Papa, rispondendo a una domanda, abbia parlato di una Commissione per studiare la questione del diaconato delle donne. E’ una questione di cui si è molto parlato anche in passato e che nasce dal fatto che nella chiesa antica vi erano donne chiamate “diaconesse”, che svolgevano certi servizi nella comunità. Si sono fatti anche diversi studi storici su questo fatto, e il Papa vi ha fatto qualche cenno. Inoltre, c’è un documento importante del 2002 della Commissione Teologica Internazionale che ne ha parlato. Il Papa dice che pensa di costituire una Commissione che riprenda queste questioni per vederle con maggiore chiarezza. Ma bisogna essere onesti: il Papa non ha detto che abbia intenzione di introdurre un’ordinazione diaconale delle donne, e meno che meno ha parlato di ordinazione sacerdotale delle donne. Anzi, parlando della predicazione nel corso della celebrazione eucaristica ha fatto capire che a questo non pensa affatto.

Ma è sbagliato ridurre tutte le molte cose importanti che il Papa ha detto alle religiose a questa sola questione.








[Modificato da Caterina63 13/05/2016 20:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/05/2016 20:38
 
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Francesco e le “diaconesse”? Un film già visto

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Ci risiamo. Le cronache di questo pontificato non fanno passare giorno senza che si parli delle “idee stravaganti” di Papa Francesco. Tuttavia è bene precisare che ad essere stravaganti, molto spesso, non sono le idee del Papa, ma ciò che i Media gli attribuiscono, ciò che essi filtrano e fanno arrivare alle orecchie delle persone le quali, poi, svogliate e pigre ad andare alla fonte della notizia originaria, si fermano a commentare, spesso con compiacimento, proprio ciò che il Papa non ha affatto detto.

VATICAN-JAPAN-RELIGION-ROYALS-DIPLOMACY-POPEGeneralmente non è questo un argomento che possiamo trattare qui con le nostre opinioni, ma per approfondire il tema prendiamo spunto dal chiarimento fatto da La nuova Bussola –vedi qui – per dare giusto alcune indicazioni guida e generali, atte a non sbagliare percorso e, soprattutto, a non prendere mai per oro colato quanto i Media ci impongono attribuendolo al Papa.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ad esempio, non usa l’aggettivo “permanente” ma lo usa solo per citare la Lumen Gentium n.29, con due paragrafi dedicati alla parola “diaconia”.

Il n.1569 (III. I tre gradi del sacramento dell’Ordine) dove i diaconi stanno “In un grado inferiore della gerarchia” e ai quali “soltanto il Vescovo impone le mani…” per significare un legame “speciale” , e il n.1588 (VII. Gli effetti del sacramento dell’Ordine) relativo alla grazia sacramentale “forza necessaria… per la ‘diaconia’ della Liturgia, della Parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio”.

Ora, secondo la LG n.21 l’episcopato è “pienezza del sacramento dell’Ordine”; presbiterato e diaconato, invece, sono due ministeri distinti; due modalità differenti e convergenti (“le braccia” del Vescovo, come si diceva nell’antichità) per condividere quella pienezza e contribuire a realizzarla nella prassi della vita della Chiesa. L’episcopato sarebbe la sommità dell’angolo; presbiterato e diaconato i due lati che interagiscono con il vertice. Il terzo lato rimane aperto: siamo noi laici, l’intero popolo di Dio con la sua ministerialità diffusa grazie al Battesimo che ci fornisce di quel “sacerdozio regale” (non ministeriale) che serve, in definitiva, a santificare le nostre vite.

Il diaconato, lo sappiamo bene ma lo riportiamo qui brevemente, nasce nella prima ora della Chiesa ed è riportato in Atti: «Prescelsero Stefano, uomo ricolmo di fede e di Spirito Santo, e Filippo, Procuro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, proselito di Antiochia; e li presentarono agli Apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (6,5-6), santo Stefano, come sappiamo infatti, non solo è il primo martire della giovane Chiesa, ma è anche patrono dei Diaconi e che viene ucciso perché “predicava” la Parola di Dio (At.8,5-40) quindi il diacono, non si occupava solo della “mensa dei poveri”, ma aiutava già il vescovo nelle funzioni specifiche al suo ministero.

Anche nelle lettere di San Paolo vengono nominati i diaconi diverse volte (1Tm.3,8-13; Fil.1,1…),  esistono perciò i diaconi come struttura della giovane Chiesa, assieme ma distinti dai vescovi-presbiteri (Fil.1,1), con una missione di carattere messianico, come partecipazione alla missione apostolica (At.6,6) e come tale, con un’investitura data dall’imposizione delle mani e dalla preghiera, che in seguito sarà chiamata sacramentale. Tutto ciò, si badi mene, nulla a che vedere con la Donna e il suo ruolo nella Chiesa.Rivendicare oggi questo ruolo del diaconato, da parte delle donne, è solo frutto di quella piaga purulenta che san Pio X condannò con il nome di Modernismo.

Anche la crisi sacerdotale, il calo delle vocazioni sacerdotali, ma non solo queste, ha fatto sì che il veleno modernista spingesse i Padri conciliari ad aprire un varco nel diaconato affinché vi subentrassero, poi, anche le donne (cardinale Martini docet), ma di tanti improvvisati vaticanisti e pure fra tanti sacerdoti che citano il Concilio e la stessa LG, omettono di riportare questo passaggio chiarissimo:

“E siccome questi uffici, sommamente necessari alla vita della Chiesa, nella disciplina oggi vigente della Chiesa latina in molte regioni difficilmente possono essere esercitati, il diaconato potrà in futuro essere ristabilito come proprio e permanente grado della gerarchia. Spetterà poi alla competenza dei raggruppamenti territoriali dei vescovi, nelle loro diverse forme, di decidere, con l’approvazione dello stesso sommo Pontefice, se e dove sia opportuno che tali diaconi siano istituiti per la cura delle anime. Col consenso del romano Pontefice questo diaconato potrà essere conferito a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio, e così pure a dei giovani idonei, per i quali però deve rimanere ferma la legge del celibato.” (n.29).

Dunque, il diaconato è “un grado della gerarchia” il quale è sì concesso agli uomini già sposati, ma per chi vi vuole accedere, giovane: “deve rimanere ferma la legge del celibato”. Che i diaconi rivestissero poi una grande importanza nella chiesa antica è testimoniato dalle frequenti e positive testimonianze che ne danno i Padri apostolici:

  • Clemente (discepolo degli apostoli) nella lettera ai Corinzi;
  • Ignazio di Antiochia (II sec.) che nelle sue lettere dà dell’ambito ministeriale dei diaconi una dimensione cristologia «sono diaconi di Gesù Cristo» e «sono diaconi dei misteri di Gesù Cristo» (Trall. 2,3) e li accomuna ai vescovi e ai presbiteri.
  • Policarpo di Smirne (discepolo degli apostoli +155) nella lettera ai Filippesi.
  • Giustino (100 ca. – 167) nella prima apologia.

Significativo uno scritto dei primi decenni del sec. III che descrive la costituzione della Chiesa: «Il diacono sia l’orecchio del vescovo, la sua bocca, il suo cuore e la sua anima, perché voi (vescovo e diacono) siete due in una sola volontà e nella vostra unanimità la Chiesa troverà la pace» (XI 44).

Perciò la Chiesa, fin dai primi secoli, ha associato il diaconato alla gerarchia sacerdotale, il primo gradino, per questo le donne non sono mai state “contemplate” per assumere questo ruolo. Ci sarebbe da studiare anche la presenza e il ruolo dei chierici, ma questo è un altro tema.

Ed è presto detto perché normalmente, dopo gli anni di formazione nel diaconato, può da questo servizio, anche, maturare la vocazione sacerdotale. Qualcuno in questi giorni ha pure scritto che il diaconato sarebbe una sorta di “sacerdozio di serie B”. Idiozia! Senza dubbio è una specie di sacerdozio di serie B e, diremo, anche ridicolo all’interno del protestantesimo. Primo perché essi hanno rinnegato il Sacramento dell’Ordine, mantenendosi però il servizio, e secondo perché la loro è una vera scimmiottatura non solo del sacramento, ma anche per averlo allargato appunto alle donne come pretesse e vescovesse, e più che serie B sono solamente donne ridicole.

I “novatores” del Concilio, e pure dopo, hanno continuato a seminare la confusione sul tema, tanto che Paolo VI ebbe a chiarire definitivamente con quanto segue:

“è bene che quanti esercitano davvero il ministero diaconale siano fortificati e più strettamente associati all’altare mediante l’imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, affinché più efficacemente essi adempiano, in virtù della grazia sacramentale del diaconato, il proprio ministero. In tal modo, sarà ottimamente chiarita la natura propria di questo Ordine che non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso al sacerdozio; esso, insigne per l’indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali vi sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi ai ministeri di Cristo e della Chiesa” (Paolo VISacrum Diaconatus).

Da queste parole non pochi vi hanno letto la prima “apertura” alle donne, ma è falso! Paolo VI intendeva ridare vita al diaconato “permanente”, ossia di quei diaconi che non sarebbero mai diventati sacerdoti. Questo significa diaconato “permanente”, il quale sarebbe dovuto servire laddove, anche per carenza di sacerdoti, o solo per il ministero che gli è proprio, i vescovi avrebbero potuto contare su di loro per un servizio minimo e indispensabile tra i fedeli.

Pope Paul VI In His Office At VaticanAnche Paolo VI, coerentemente con la LG, specifica:

“Per legge della Chiesa, confermata dallo stesso Concilio Ecumenico, coloro che da giovani sono chiamati al diaconato sono obbligati ad osservare la legge del celibato”.

“Possono essere chiamati al diaconato uomini di età più matura, sia celibi che congiunti in matrimonio; questi ultimi, però, non siano ammessi se prima non consti non soltanto del consenso della moglie, ma anche della sua cristiana probità e della presenza in lei di naturali qualità che non siano di impedimento né di disdoro per il ministero del marito. (…) Quando si tratti di uomini coniugati, occorre fare attenzione a che siano promossi al diaconato quanti, già da molti anni vivendo in matrimonio, abbiano dimostrato di saper dirigere la propria casa ed abbiano moglie e figli che conducano una vita veramente cristiana e si distinguano per l’onesta reputazione (Cf 1 Tm 3,10-12). (…) È auspicabile che anche tali diaconi siano provvisti di non mediocre dottrina, secondo quanto è stato detto ai nn. 8, 9, 10, o che almeno essi abbiano credito per quella preparazione intellettuale che, a giudizio della Conferenza episcopale, sarà loro indispensabile per il compimento delle proprie specifiche funzioni. (..) Sempre ed attentamente, però, occorre vigilare affinché soltanto uomini idonei e sperimentati siano annoverati nel sacro ordine. Ricevuta l’ordinazione, i diaconi, anche quelli promossi in età più matura, sono inabili a contrarre matrimonio in virtù della tradizionale disciplina ecclesiastica. Si badi che i diaconi non esercitino arti o professioni che, a giudizio dell’Ordinario del luogo, non convengano loro o impediscano il fruttuoso esercizio del sacro ministero.”

Il tutto, e per frenare interpretazioni e derive sopraggiunte in questi anni, è stato ribadito da una Lettera Motu Proprio di Benedetto XVI dove leggiamo:

“Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità” (Omnium in mentem 2009)

Per avviarci ad una conclusione, quanto vi abbiamo offerto serve anche a comprendere perché il diaconato può essere inteso solo al maschile. La stessa Commissione Teologica Internazionale – vedi qui -, suscitata al dibattito, esprimeva come la sacramentalità del diaconato deve essere compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell’Ordine. La sacramentalità dell’Ordine, dice in sostanza il testo, consiste nel rendere presente Cristo che agisce nella persona del ministro che guida la Chiesa (capo), nello stile del servizio (servo) per condurre la Chiesa stessa (pastore), resa feconda con la parola e i sacramenti nel dono dello Spirito (sposo) verso i pascoli della vita eterna (escatologia), avendo compiuto la missione di evangelizzare l’umanità per l’edificazione del regno di Dio. L’Ordine, pur essendo un unico sacramento che abilita al ministero, assume diverse espressioni di attuazione del ministero stesso — episcopato, presbiterato e diaconato — non riducibili ne sostituibili tra loro. Il diaconato è perciò una diversa espressione dell’Ordine sacro.

Il Documento in questione spiega poi un certo percorso storico interno alla Chiesa nel quale sono presenti le donne non diacono, ma diaconesse, distinzione importante atta proprio a non confonderle con il diacono, il ministero dell’Ordine sacro. Ad ogni modo, questa presenza circoscritta ad alcune comunità della Siria, non solo non ebbero diffusione ma, si sottolinea: “Non si parla dell’ordinazione di questi ministri..”, ossia di questi “diaconi e diaconesse” che non venivano ordinati ulteriormente. E si specifica ancora: “I diaconi sono scelti dal vescovo per «occuparsi di molte cose necessarie», e le diaconesse solamente «per il servizio delle donne (..) La diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato amministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica »“.

Infine troviamo la cessazione del diaconato femminile e il motivo: «Nei tempi antichi si ordinavano diaconesse; esse avevano la funzione di occuparsi delle donne adulte, perché non si scoprissero davanti al vescovo. Ma quando la religione si diffuse e si stabilì di amministrare il battesimo ai bambini, tale funzione fu abolita» – «Il titolo, senza corrispondere a un ministero, rimane attribuito a donne che sono istituite vedove o badesse. Sino al secolo XIII, alcune badesse sono talora chiamate diaconesse… (…).. le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva – secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate – non sono puramente assimilabili ai diaconi».

Ma vogliamo concludere con le affermazioni, davvero infallibili perchè sono “ordini” magisteriali della Chiesa Cattolica attraverso san Giovanni Paolo II, atte a “togliere ogni dubbio” in materia, dal Documento Ordinatio Sacerdotalis, vedi qui, dove nello citare Paolo VI, scrive:

“La Dichiarazione riprende e spiega le ragioni fondamentali di tale dottrina, esposte da Paolo VI, concludendo che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». A queste ragioni fondamentali il medesimo documento aggiunge altre ragioni teologiche che illustrano la convenienza di tale disposizione divina, e mostra chiaramente come il modo di agire di Cristo non fosse guidato da motivi sociologici o culturali propri del suo tempo.

(…)  D’altronde, il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti, ma l’osservanza fedele di un disegno da attribuire alla sapienza del Signore dell’universo. La presenza e il ruolo della donna nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legati al sacerdozio ministeriale, restano comunque assolutamente necessari e insostituibili. Come è stato rilevato dalla stessa Dichiarazione Inter Insigniores, «la Santa Madre Chiesa auspica che le donne cristiane prendano pienamente coscienza della grandezza della loro missione: il loro ruolo sarà oggigiorno determinante sia per il rinnovamento e l’umanizzazione della società, sia per la riscoperta, tra i credenti, del vero volto della Chiesa»

(…) Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa“.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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“Diaconesse”. “Cardinalesse” ed impossibili deroghe al diritto canonico

 
Olimpia, diaconessa ortodossa
L'articolo che segue è stato scritto da Paolo Pasqualucci nel novembre del 2013, al tempo in cui c'era agitazione per la proposta di elevare le donne alla porpora. Che si tratti di cardinalesse o diaconesse, il discorso gira sempre intorno allo stesso obiettivo: avere finalmente la donna-prete, la sacerdotessa, cosa che distruggerebbe finalmente e completamente la religione cattolica. L'articolo richiama all'attenzione gli ostacoli teologici e canonistici che sbarrano in modo insuperabile la via alla penetrazione femminile nel sacerdozio. Esso può tornare utile, oggi, per acquisire elementi pertinenti all'interno del dibattito che si è per forza di cose aperto a proposito delle ventilate "diaconesse".


I media vogliono una donna-cardinale. Tra ottobre e novembre di quest’anno (2013) i media mondiali hanno sollevato un gran polverone sulla straordinaria ipotesi della promozione di una donna alla porpora cardinalizia; ipotesi ventilata peraltro dai media stessi su impulso di un gesuita americano di tendenze liberali, in seguito all’annuncio di un Concistoro da tenersi nel febbraio del 2014, nel quale il Papa dovrebbe nominare nuovi cardinali. I media da tempo ricamano su alcune frasi del Papa circa “il ruolo femminile nella Chiesa”, pronunciate tra luglio e settembre di quest’anno (Corriere della Sera del 4 novembre 2013, p. 19). Parlando a braccio, il Pontefice ha infatti detto che “la Madonna è più importante degli Apostoli” ed accennato alla necessità di una “teologia della donna” per la Chiesa, pur dichiarando che al sacerdozio femminile resta “chiusa la porta”. Il Papa non è tornato su queste sue telegrafiche e tutto sommato anodine dichiarazioni. In ogni caso per i media, laicisti ed anticristiani, la donna-cardinale è solo un cavallo di Troia: ciò che sta loro veramente a cuore è riuscire ad imporre la donna-prete, le sacerdotesse.

Le ambigue dichiarazioni dell’attuale portavoce vaticano, inconciliabili con il diritto canonico. Né si può credere che i media (e i loro amici liberali nella Gerarchia) si acquieteranno di fronte alla recenti dichiarazioni del portavoce vaticano, il gesuita Federico Lombardi; il quale, negando che il cardinalato femminile sia attualmente in programma avrebbe tuttavia fatto capire che dal punto di vista “teologico e teorico” la promozione di una donna alla porpora sarebbe “possibile” poiché “esser cardinale è uno di quei ruoli nella Chiesa per i quali, in teoria, non si deve esser ordinati [sacerdoti]”. Ma di quale “teologia” e “teoria” stiamo parlando, mi chiedo, dopo che ben due Codici del Diritto Canonico, quello del 1917 e l’attuale del 1983 hanno disposto che: “Ad esser promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini [viri] che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato [saltem in ordine presbyteratus constituti], in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale” (CIC 1983, c. 351 § 1). Questo canone riprende alla lettera il c. 232 § 1 del CIC del 1917, aggiungendovi di suo la menzione espressa dei “costumi” (moribus), imposta evidentemente dalla nequizia dei tempi, e la necessità della consacrazione episcopale del neopromosso che non fosse già vescovo (e questo forse in conseguenza del nuovo concetto di collegialità episcopale). Ad ogni modo: secondo il diritto canonico vigente da quasi un secolo, il requisito minimo per i promovendi alla berretta cardinalizia è quello di essere “almeno sacerdoti” (presbyteri).

In questo quadro istituzionale, dobbiamo continuare a credere che “teologicamente” e “teoricamente” è ancora possibile nella Chiesa cattolica esser promossi cardinali senza bisogno di esser stati previamente ordinati al sacerdozio?

La possibilità puramente teorica della nomina di un laico, ricordata dal p. Lombardi, gioca sulla distinzione tra ruolo e qualità o status della persona chiamata a svolgerlo. In effetti, il cardinale ha un ruolo ben diverso da quello del vescovo e dei sacerdoti. Non deve amministrare i Sacramenti, officio riservato al vescovo (che ha la pienezza del sacerdozio e quindi è competente per tutti e sette) e al sacerdote (aiuto del vescovo, che ne amministra invece cinque, non avendo competenza per la Cresima e l’Ordine). Il compito del cardinale è di tipo politico e amministrativo: egli opera in un Collegio che deve aiutare il Papa nel governo della Chiesa. E questo Collegio esiste da circa mille anni, avendo tra le sue competenze – dal 1059 – quella delicatissima di procedere all’elezione del Romano Pontefice di tra le sue file, attribuitagli da un Papa per difendere la libertà dell’elezione stessa dalle influenze esterne, soprattutto di re ed imperatori, che puntualmente ogni volta si manifestavano.

Il cardinalato “laico” del passato fonte di abusi. Dati i compiti non intrinsecamente religiosi del cardinale, i Papi instaurarono la prassi di promuovere anche semplici laici, però sempre con l’intenzione (storicamente attestata) che in un secondo tempo, possibilmente breve, essi prendessero gli ordini, non limitandosi ai minori, ma giungendo sino ai maggiori, al sacerdozio vero e proprio. La permanenza di un porporato nello stato laicale si riteneva provvisoria. Però si ebbero, alla fine, troppi casi di porporati laici che vollero rimanere sempre tali e non presero nemmeno gli ordini minori. Il più famoso è forse quello del cardinale Giulio Mazzarino (1602-1661), diplomatico geniale e cervello politico di primordine, ministro del Re di Francia dopo il famoso cardinale Armand-Jean Du Plessis de Richelieu (1585-1642), vescovo di Luçon. Mazzarino, che salvò la monarchia francese dal tracollo durante i gravi torbidi della Fronda, fu uno dei personaggi storici più calunniati di tutti i tempi. Non era affatto l’uomo vile e corrotto dei romanzi popolari di Alessandro Dumas, però non era nemmeno uno stinco di santo, a causa soprattutto del suo amore per il fasto e la ricchezza, diffuso peraltro nell’ambiente nel quale si trovava ad operare. Diplomatico civile al servizio del Papa, di modeste anche se dignitose origini, non aveva nessuna vocazione religiosa; gli piaceva invece (come è logico) la vita raffinata anche se poco evangelica di certi rampolli della grande aristocrazia romana del tempo, presso la quale aveva trovato inizialmente i suoi protettori. Essendo al servizio del Papa, ricevette la “tonsura”, che ne faceva un “chierico”, con la concessione del relativo beneficio, ai cui oneri, di tipo prevalentemente religioso, egli cercava in genere di sottrarsi, riuscendo quasi sempre ad ottenere le relative “dispense” papali. Entrato al servizio di Luigi XIII, fu quest’ultimo, assieme a Richelieu, ad imporre in pratica al Papa di elevarlo alla porpora. Come successore di Richelieu a ministro del Re, non poteva non esser cardinale, anche per poter trattare da pari a pari con l’alta nobiltà francese. Con la porpora riuscì a procurarsi la rendita di decine di benefici ecclesiastici (non diversamente da Richelieu, suo maestro nell’arte di governo); benefici i cui obblighi (religioso-amministrativi) non poteva certo soddisfare, impegnato com’era dal suo ufficio di (primo) ministro del Re e in lotte politiche spietate, che coinvolgevano il destino della Francia. I cardinali laici che restavano tali, vivendo spesso da gran signori, finivano con lo screditare il cattolicesimo. Infatti, completamente assorbiti nelle loro attività politico-amministrative e godendo nello stesso tempo di rilevanti benefici ecclesiastici, dei quali non potevano in realtà adempiere gli obblighi, riuscivano a farsi esentare da questi ultimi con le opportune “dispense” pontificie, invece di rinunciare ai benefici stessi! 

Basandomi su: Pierre Goubert, Mazarin, Fayard, 1990, spec. pp. 17-66, ho voluto ricordare in dettaglio il caso del “porporato laico” Giulio Mazzarino, come caso emblematico anche se forse estremo, per mettere nel dovuto rilievo l’importanza dell’eliminazione di questo tipo di porporatoda parte del CIC del 1917. Come rammenta lo stesso articolo del CdS sopra riportato, l’ultimo “porporato laico” fu nominato dal Beato Pio IX il 15 marzo 1858. Lo stesso cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato di quel Pontefice, non era sacerdote. Si fece strada ad un certo punto nella Chiesa l’esigenza di abolire un istituto del quale non si sentiva più la necessità e che aveva dato luogo ad abusi, lesivi del buon nome del Cattolicesimo. Ricordo che il CIC del 1917 o “piàno-benedettino” fu dovuto all’iniziativa di san Pio X, con il motu proprio Arduum sane munus del 19 marzo 1904, istituente la Commissione incaricata di dirigerne la redazione, in seguito presieduta dal cardinale Pietro Gasparri, esimio giurista. San Pio X, morto il 20 agosto 1914, seguì per dieci anni la lunga e complessa elaborazione del Codice, promulgato il 29 giugno 1917 dal suo successore, Benedetto XV, ed entrato in vigore il 19 maggio 1918. Possiamo dire che l’eliminazione della figura del “cardinale laico” rientri nell’opera di riforma e purificazione della Chiesa intrapresa da san Pio X. La normativa ad hoc emanata nel 1917, mantenuta e rafforzata nel 1983 e fino ad oggi, dimostra pertanto che non è più possibile separare dal sacerdozio il ruolo del cardinale, di per sé non sacramentale. Il senso della norma è chiarissimo: il ruolo od officio del cardinale può essere adempiuto solo da una persona ordinata ossia da un appartenente al sesso maschile che sia “almeno sacerdote” cioè come minimo sacerdote e preferibilmente vescovo. E se questo sacerdote non è vescovo, sia consacrato subito dopo la sua elevazione alla porpora.

Le notazioni “canonistiche” di Luigi Accattoli. Dopo aver chiarito, come spero, questo fondamentale aspetto della questione, non posso tralasciare le notazioni “canonistiche” del vaticanista del CdS, Luigi Accattoli, nella pagina di giornale appena citata. Esse non fanno giurisprudenza, come si suol dire; fanno tuttavia opinione e concorrono ad alimentare il clima d’opinione con il quale si tiene la Santa Sede sotto assedio. “Per far cardinale una donna, il Papa dovrebbe modificare tre norme che sono nei canoni 350 e 351 del Codice [di diritto canonico] del 1983: quella che riserva il cardinalato a uomini, a uomini “costituiti almeno nell’ordine del presbiterato” (che siano cioè almeno sacerdoti), e una terza che prevede l’assegnazione “a ciascun cardinale” di un “titolo o una diaconia nell’Urbe” (cioè la reggenza formale di una chiesa di Roma: perché i cardinali erano in origine preti romani). Il Papa potrebbe derogare a quelle norme con un rescritto di tre righe. O potrebbe costituire accanto ai tre ordini cardinalizi esistenti – vescovi, preti, diaconi – un quarto ordine dei laici e prevedere che vi possano entrare le donne. Non vi sarebbero ostacoli dottrinali e le difficoltà giuridiche sono facili a sciogliere, ma la scarsa probabilità dell’imbocco di questa via sta nel fatto che provocherebbe rimostranze a valanga senza risolvere alcun vero problema”.

Non vi sarebbero “ostacoli dottrinali o giuridici” alla nomina di un cardinale di sesso femminile, se il Papa volesse, “con un rescritto di tre righe”, “derogare” formalmente alla normativa vigente o integrarla creando “un quarto ordine di laici, includente anche le donne”? Le difficoltà sarebbero solo di ordine pratico, a causa delle “rimostranze a valanga” che un’iniziativa così rivoluzionaria potrebbe produrre? Per verificare l’attendibilità di simili affermazioni, cerchiamo di immaginare come potrebbe esser concretamente articolata la normativa in deroga auspicata da Luigi Accattoli.

Prima ipotesi. 
Può un ipotetico intervento innovativo limitarsi a rimodellare al femminile con un semplice provvedimento scritto dato motu proprio (un rescritto) la normativa vigente, riformulando il c. 351 § 1 del CIC attuale nel seguente modo: “ Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini o donne che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato, in modo eminente distinti o distinte per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari. Coloro che già non siano Vescovi o Vescove, devono ricevere la consacrazione episcopale”? Potrebbe certamente, se le donne potessero esser “costituite nell’ordine del presbiterato” ossia potessero esser ordinate sacerdoti (presbiteri) e quindi addirittura vescovi. Un intervento diretto motu proprio del Papa sul testo vigente appare comunque poco probabile. Non potrebbe allora il Papa limitarsi ad aggiungervi che “ad esser promosse Cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice anche donne che siano costituite almeno nell’ordine del presbiterato etc.”? Oppure, ancor più semplicemente, che il c. 351 § 1 si applica “anche alle donne che si siano distinte per dottrina, costumi, pietà, prudenza”? Potrebbe certamente. Ma siamo sempre lì: dovrebbe aver preliminarmente istituito il sacerdozio femminile, con la conseguente possibilità della relativa consacrazione episcopale, perché un sacerdozio escluso dall’episcopato sarebbe un’anomalia. Però da questo lato, come ha ribadito lo stesso Jorge Mario Bergoglio, ci troviamo di fronte ad una “porta chiusa”. E proprio questa porta, come ho detto, i Figli del Secolo ateo e miscredente vogliono sfondare nonostante sia chiusa a doppia mandata. Infatti, l’invalidità intrinseca, totale ed irriformabile, anche dal Papa o da un Concilio ecumenico, di qualsiasi ordinazione di femmine è dogma di fede, fa parte del Deposito della Fede. 

L’esclusione delle donne dal sacerdozio è dogma di fede. La cosa fu ribadita diciotto anni fa in modo esplicito dal cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Fede, quando Giovanni Paolo II si pronunciò sul punto, riconfermando il bimillenario insegnamento della Chiesa in termini che erano quelli di una definizione dogmatica (sarebbe stata l’unica del suo pontificato). In un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 28 ottobre 1995, il cardinale chiarì che la dottrina vietante l’ordinazione sacerdotale delle donne, espressa da ultimo nel 1994 per l’appunto nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis di Giovanni Paolo II, andava considerata come “appartenente al deposito della fede”. “Questa dottrina – spiegò – esige un assenso definitivo poiché, fondata sulla Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale […]. Pertanto, nelle presenti circostanze, il Santo Padre, nell’esercizio del proprio ministero di confermare i fratelli (Lc 22, 32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve considerare sempre, ovunque e da tutti i fedeli (“quod semper, quod ubique et quod ab omnibus tenendum est”[S. Vincenzo di Lerino]) in quanto appartenente al deposito della fede”. Inoltre, sull’Osservatore Romano del 19 novembre 1995 apparve un articolo non firmato che precisò in modo molto chiaro la nota teologica della citata Lettera Apostolica. Essa, si scriveva, “è un atto del Magistero ordinario pontificio in se stesso non infallibile, che attesta [tuttavia] il carattere infallibile dell’insegnamento di una dottrina già in possesso della Chiesa” (ho riportato questi testi del magistero come apparsi sulla rivista: Teologica, I, n. 2, Marzo-Aprile 1996, pp. 20-21, Edit. Ediz. Segno. Le parentesi quadre sono mie).

Un Papa che, Dio non voglia, istituisse il sacerdozio femminile cadrebbe pertanto nel peccato di eresia, apparirebbe come eretico in senso formale e la sede apostolica potrebbe esser considerata addirittura vacante, dato che un eretico in senso formale non può certamente occuparla in modo legittimo. In parole povere: nella Chiesa scoppierebbe la rivoluzione. Lo stesso discorso varrebbe se fosse un Concilio Ecumenico a prendere una decisione del genere: i vescovi e il Papa che la votassero dovrebbero ritenersi eretici in senso formale e la sede di ciascuno potrebbe considerarsi ipso facto vacante. È chiaro, poi, che l’istituzione di tale “sacerdozio” sarebbe in se stessa del tutto invalida e completamente nulla quanto ai suoi effetti.

L’esclusione delle donne dal sacerdozio è dunque dogma di fede perché regola e prassi che risale a Nostro Signore e agli Apostoli, che mai hanno voluto ordinare le donne pur presenti nella Chiesa sin dall’inizio; regola e prassi sempre mantenuta da tutti i Papi e da tutti i vescovi. Alle nozze di Cana, quando Nostro Signore compì il suo primo miracolo mutando l’acqua in vino, fu sua Madre a stimolarlo all’azione. Per gli usi e la mentalità dell’epoca, la mancanza improvvisa del vino ad un banchetto nuziale era una cosa grave, che offendeva gli ospiti e gettava discredito sul padrone di casa. Accortasi della situazione, la Santissima Vergine intervenne nel modo testimoniato da S. Giovanni, sicuramente presente: “Or, essendo venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù dice a lei: “Donna, che desideri da me in questo? L’ora mia non è ancora venuta”. Ma la Madre sua dice ai servitori: “Fate tutto quello che egli vi dirà””(Gv 2, 3-5). Maria era stata invitata al convito e Gesù vi era venuto in quanto suo figlio, con i discepoli (ivi, 1-2). Ella quasi sospinge maternamente il Signore all’azione, si potrebbe dire, ma restando sempre un passo indietro. È la posizione dalla quale la donna può far valere nel modo più efficace le sue capacità di intuizione, il suo buon consiglio, la vocazione a soccorrere. La Santissima Vergine non si mette in primo piano, a dirigere le operazioni: non ne avrebbe avuto l’autorità. È appunto la venerata Madonna del Buon Consiglio, del Buon Soccorso! E quando nasce compiutamente la Chiesa con l’invio miracoloso e straordinario dello Spirito Santo agli Apostoli riuniti nel Cenacolo, dove pregavano tutti i giorni “con le donne e con Maria, madre di Gesù e i fratelli di lui [uso semitico per cuginiparenti]” (Atti 1, 14 et passim), sono poi solo “Pietro e gli undici” ad uscire verso la folla, resa attonita dal prodigio ad essa noto dal rombo tellurico dello Spirito Santo che era sopravvenuto e dal dono delle lingue apportato agli Apostoli. E fu il solo Pietro, che per mandato divino era già il capo della Chiesa, ad iniziare la predicazione (che convertì in quel giorno tremila ebrei), con il famoso discorso che si concluse con la frase: “salvatevi da questa generazione perversa” (Atti, 2, 5-40). Le donne non avevano l’autorità per predicare alla folla così come non avevano quella di assolvere dai peccati. Nessuno andrebbe a confessarsi da una donna. Nostro Signore scelse e mandò in missione sempre e solo uomini, pur accogliendo sempre le donne alla sua sequela, tra le quali pubbliche peccatrici pentite e da Lui convertite, come la Maddalena (Lc 8, 1-3). Dai Vangeli e dalle Lettere di S. Paolo, dalla Tradizione e dall’insegnamento della Chiesa risulta in modo inequivocabile quale deve essere la missione della donna nella Chiesa, nella famiglia, nella società. Data la forma mentis e le inclinazioni dell’animo femminile, che non sono uguali a quelle dell’uomo, non era evidentemente una milizia come il sacerdozio il modo giusto di farle concorrere all’opera della Salvezza. Ma proprio la loro silenziosa e subordinata partecipazione, come suore e religiose nel senso tradizionale del termine ma anche come spose e madri di famiglia, fidanzate, sorelle, vergini devote e timorate, ha permesso alle loro qualità di brillare agli occhi di Dio, offrendo così a tutti noi peccatori i numerosi esempi di virtù e santità che tanto ci sono di ammaestramento e conforto. Il Giorno del Giudizio conosceremo il gran numero di anime salvate dalle preghiere e dalla vita esemplare, dalla generosità verso il Signore di tante donne umili di cuore e piene di fede, religiose e laiche. È di queste donne che hanno bisogno la Chiesa e la società, non di “teologhe”, “porporate”, “diaconesse“ “sacerdotesse”.
 
Seconda ipotesi.  
Essendo del tutto impraticabile la via di cui alla prima ipotesi, quale potrebbe allora essere il contenuto della supposta “deroga in un rescritto di tre righe”? Potrebbe essere il seguente, privo del tutto di qualsiasi riferimento al sesso dei futuri Cardinali? E cioè: “Ad essere promosse Cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice persone che siano costituite almeno nell’ordine del presbiterato etc, distinte per dottrina etc.”. Nel concetto di “persona” sono inclusi sia gli uomini che le donne. E quindi le donne potrebbero entrare surrettiziamente tra i promovendi alla berretta cardinalizia. Ma anche questa via sarebbe del tutto impraticabile poiché ci sarebbe sempre lo scoglio rappresentato dall’ordinazione sacerdotale, che, come si è visto, può riguardare solo ed unicamente gli appartenenti al sesso maschile. Infatti, non sono “personae” ad esser ordinate al sacerdozio bensì “viri”, “uomini” in carne ed ossa e solo loro. Le “persone” costituite nell’ordine del presbiterato non potrebbero perciò mai esser quelle di individui appartenenti al sesso femminile. 
 
Terza ipotesi.
E se, allora, si togliesse alla “persona” qualsiasi riferimento al sacerdozio e all’episcopato, oltre che al sesso dei promovendi? Le “tre righe” di modifica potrebbero essere allora queste: “Ad esser promosse cardinali vengono scelte liberamente dal Romano Pontefice [anchepersoneeminentemente distinte per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari”. Qui si darebbero due casi.  
  1. Se il rescritto si aggiungesse semplicemente al c. 351 § 1, includendo quindi l’anche, l’aggiunta sarebbe irrilevante, dal momento che non modificherebbe il diritto vigente, che esclude a priori le donne. Il diritto vigente non potrebbe essere variato da una dizione così generica. Non menzionando le donne, si dovrebbe ritenere che il rescritto, impiegando il termine “persone”, volesse qui ristabilire la figura del cardinale laico di un tempo, che è sempre stato un uomo e mai una donna. Se poi si volesse interpretare estensivamente il termine “persone” includendovi anche le donne, allora si rientrerebbe nella quarta ipotesi, ugualmente non praticabile (vedi infra).
  2. Se invece - ipotesi più radicale - il rescritto volesse addirittura sostituirsi al c. 351 § 1, abrogandolo integralmente, avremmo una vera e propria rivoluzione nella Gerarchia della Chiesa perché verrebbe meno la distinzione tra chierici e laici e tra i due sessi per quanto riguarda l’elevazione alla porpora. Non varrebbe più il requisito specifico dell’esser “almeno sacerdote” e preferibilmente vescovo per poterne usufruire, per quanto riguarda la “persona” di un ecclesiastico: ridotto per l’appunto l’ecclesiastico ad anonima “persona” non diversa dalla “persona” di un laico. Si oscurerebbe l’effettiva distinzione tra cardinale in senso proprio e cardinale laico. E l’ultima disposizione del c. 351 § 1 non si potrebbe più applicare. Essa prescrive, come si è visto, che il neopromosso cardinale sia anche vescovo, ragion per cui: “coloro che già non siano Vescovi, devono [debent] ricevere la consacrazione episcopale”. Alle “persone” costituite da laici, e a maggior ragione se donne, questa norma non si potrebbe applicare, dal momento che possono esser consacrati vescovi solo i sacerdoti (CIC, c. 377 § 2, 4; c. 378 § 1), e solo individui di sesso maschile possono diventar sacerdoti.
Non ho trattato di come si potrebbe in ipotesi attribuire ad una “porporata” la titolarità di una chiesa romana. Risultando impossibile una deroga checchesia ai due requisiti fondamentali per esser promossi alla porpora (che sono, lo ripeto: il sesso maschile e l’ordinazione sacerdotale), l’ipotesi stessa (peraltro del tutto chimerica) viene a cadere. La realtà è che la legislazione vigente, riassunta nelle “tre norme” di cui all’articolo di Luigi Accattoli, appare del tutto impervia ed anzi immodificabile per chi aspiri a ritoccarla, al fine di includervi in qualche modo il sesso femminile.  
 
Quarta ipotesi.  
L’unica ipotesi apparentemente fattibile, per chi voglia promuovere anche le donne alla porpora, sembra pertanto esser quella dell’istituzione di un “quarto ordine” di laici, maschi e femmine, provvisti dei requisiti per esser promossi a cardinali. La dizione del possibile “rescritto” dovrebbe allora esser di questo tipo: sono promovibili a cardinali anche laici di ambo i sessi, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari”. Non ci sarebbe qui alcuna “deroga” formale alla legislazione vigente, visto che il rescritto si limiterebbe ad aggiungersi ad essa al fine di integrarla. Ma a causa della grande novità che contiene, i conti non tornano nemmeno qui.
  1. Innanzitutto, credo non basterebbe un semplice rescritto del Papa, un semplice “decreto di tre righe” dato motu proprio, per introdurre il cardinalato laico esteso alle donne, istituto interamente nuovo e del tutto rivoluzionario. Un decreto della potestas iurisdictionis del Papa su tutta la Chiesa in genere applica od integra la normativa vigente. Può stabilire unadispensa ma sempre senza violare i princìpi fondamentali dell’ordinamento. Ma per introdurre un principio di fatto rivoluzionario nei confronti dell’intero ordinamento, occorrerebbe prima un documento pastorale di una certa portata, seguìto poi dall’emanazione di un nuovo articolo ed anzi di una nuova sezione ad hoc del CIC. Una procedura complessa, dalle chiare implicazioni teologiche. Infatti la porpora, pur essendo istituto di origine solo ecclesiastica e non sacramentale, grazie al CIC viene a collegarsiespressamente alla costituzione divina della Chiesa, dal momento che può esser conferita solo a sacerdoti e vescovi.
  2. Questo nuovo cardinalato laico, considerato unitariamente, sarebbe del tutto rivoluzionato rispetto all’antico perché non sarebbe più possibile connetterlo al sacerdozio. Non sarebbe possibile perché le donne non possono essere ordinate, nemmeno agli ordini minori. In realtà, dovrebbe considerarsi diviso in due categorie non comunicanti, uomini e donne; quest’ultime concorrenti di serie B, ridotte per forza di cose ad una funzione meramente simbolica, da soprammobile del salotto progressista. 
  3. Se non in senso formale, ci sarebbe comunque una deroga in senso sostanziale, perché si andrebbe contro lo spirito del CIC vigente e quindi contro l’intenzione del legislatore. Infatti, esso ha mantenuto il principio fondamentale, in perfetta continuità con il CIC del 1917, che i cardinali di Santa Romana Chiesa devono essere di sesso maschile e “almeno” sacerdoti. Se si ristabilisse il cardinalato laico come da tradizione ossia solo per gli uomini, si derogherebbe al principio del sacerdozio quale conditio sine qua non per la porpora. Ma non completamente poiché un cardinale laico di sesso maschile può esser sempre ordinato sacerdote; ed anzi dovrebbe sempre esserlo (e proprio questa era in passato l’intenzione della Chiesa). Non potrebbe mai esserlo, invece, una “cardinalessa”, poiché le donne sonoescluse divinitus dal sacerdozio. La sola menzione delle donne come categoria legittima tra i porporandi, avrebbe comunque un significato eversivo per l’intero istituto perché vanificherebbe d’un colpo entrambe le pregiudiziali volute dal legislatore a sua tutela, rappresentate dalla mascolinità e dal sacerdozio. Una rottura così radicale e scandalosa con la Tradizione della Chiesa rappresenterebbe anche un primo, sostanziale passo verso l’instaurazione di una qualche forma di “sacerdozio femminile”.
  4. Non si vede poi come in questo “quarto ordine” potrebbero rientrare le s u o r e . Non possono certamente considerarsi laiche ma non fanno strettamente parte del clero, pur facendo ben parte della Chiesa e della sua gerarchia. Fanno parte a sé. Bisognerebbe allora stabilire un “ordine” speciale per loro, tutto femminile? E bisogna ricordare che nemmeno le suore possono diventare sacerdoti.
  5. Si tornerebbe indietro di un secolo e mezzo. E per qual motivo, per soddisfare le inconsulte aspirazioni delle femministe e dei loro amici nella Gerarchia e fuori? Una reintroduzione della figura del cardinale laico, da nessuno rimpianta e della quale non si sente affatto la necessità, accentuerebbe di sicuro la decadenza di un clero già abbondantemente secolarizzato, tanto più se vi fossero “promosse” le donne e del tipo delle “teologhe” femministe oggi pullulanti, che sono le candidate preferite dai media, per ovvie ragioni. Valga l’esempio di quello che è successo nella Setta Anglicana, avviata sempre più verso l’estinzione, dove le donne sono entrate nella gerarchia da una ventina d’anni circa. Da alcuni anni hanno ottenuto anche la carica di “vescovo” e si distinguono soprattutto nel giustificare e promuovere ogni sorta di “diversità”. 
  6. E di quali prerogative potrebbe godere una “porporata” laica? Non potrebbe certo esser titolare di una chiesa romana. E come potrebbe dare ordini a vescovi e sacerdoti, essendo esclusa a priori dal sacerdozio? 
  7. La realtà è che anche per la figura del cardinale laico che fu, il requisito della mascolinità appare fondamentale ed insuperabile. Lo si deve affermare sulla base della Tradizione della Chiesa. Il Collegio dei cardinali esiste da quasi mille anni. Sino al 1856, per otto secoli, i Papi hanno elevato alla porpora sempre e solo uomini, anche quando il promosso non era sacerdote. Mai sono state prese in considerazione le donne. Otto secoli non bastano al formarsi di una tradizione? Uomini, sul presupposto che si facessero in un secondo temposacerdoti. Si tratta – è vero – di una tradizione ecclesiastica e non dogmatica, come quella che esclude le donne dal sacerdozio. Il Papa può modificare, abolire, disapplicare o ripristinare una tradizione ecclesiastica. E difatti è stato silenziosamente lasciato cadere il cardinalato laico. Ed è stata modificata dopo 372 anni la composizione del Collegio dei Cardinali quando Giovanni XXIII stabilì (nel 1958, appena eletto) che si potesse ampliarne il numero massimo di settanta membri, fissato nel 1586 da Sisto V in memoria dei settanta anziani preposti da Mosè alla guida di Israele e dei settantadue discepoli inviati in missione da Cristo Nostro Signore (Lc 10, 1 ss.). Non può, tuttavia, stravolgerla, introducendovi elementi che la contraddicono apertamente e destano scandalo, per ciò che sono e rappresentano. 
[Paolo Pasqualucci - 18.11.2013]
 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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