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Dal 24 al 26 giugno il Papa in visita apostolica in Armenia

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2016 12:56
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19/05/2016 16:00
 
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Viaggio del Papa in Armenia: resi noti il motto e il logo

Motto e logo del viaggio del Papa in Armenia - RV

Motto e logo del viaggio del Papa in Armenia - RV

19/05/2016

Sono stati resi noti oggi il motto e il logo del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà dal 24 al 26 giugno prossimi nella Repubblica d’Armenia. Il motto è ''Visita al primo Paese cristiano''. La conversione dell’Armenia, infatti, risale al 301, grazie all’opera di San Gregorio l’Illuminatore e può dunque definirsi – come ha detto Papa Francesco – “la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo” (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).

Il logo
Il logo, di forma circolare, raffigura il Monte biblico Ararat, simbolo dell'Armenia, e il “Khor Virap” di Artashad (“pozzo profondo”) in cui San Gregorio l’Illuminatore venne imprigionato per quasi 14 anni, dove oggi sorge il Monastero omonimo. Una volta liberato, San Gregorio, che divenne il primo primate dell'Armenia, dichiarò, insieme a Re Tirdate III, il cristianesimo religione di Stato dell'Armenia. Nel logo sono riportati gli emblemi e i colori, il viola e il giallo, della Chiesa Armeno Apostolica e della Santa Sede.

Programma del viaggio
Secondo il programma ufficiale, Francesco arriverà il pomeriggio di venerdì 24 nella capitale Yerevan. Subito la preghiera alla Cattedrale armeno apostolica di Etchmiadzin con il saluto al Catholicos, quindi l’incontro con il presidente e le autorità civili e il discorso al corpo diplomatico. Sabato 25 sui passi di San Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Memoriale dell’eccidio degli armeni sotto l’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916. A Gymuri, seconda città più popolosa in Armenia colpita da un violento sisma a fine anni Ottanta, Francesco celebrerà la Messa e visiterà la Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe e la Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri. In serata, di nuovo a Yerevan l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace. Domenica 26 giugno, terzo e ultimo giorno della visita in Armenia, l’incontro del Papa con i vescovi cattolici armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin e la partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno apostolica. Dopo il pranzo, l’incontro con i delegati e benefattori della Chiesa armena apostolica e la firma di una Dichiarazione congiunta. Prima del rientro in Vaticano il Santo Padre pregherà nel Monastero di Khor Virap.




Rettore Collegio Armeno: visita del Papa nel segno della pace

Dal 24 al 26 giugno la visita del Papa in Armenia - RV

Dal 24 al 26 giugno la visita del Papa in Armenia - RV

05/06/2016

Mancano meno di due settimane al viaggio di Papa Francesco in Armenia, in programma dal 24 al 26 giugno. Nel Paese fervono gli ultimi preparativi. Ma con quale spirito gli armeni accoglieranno il Successore di Pietro? Federico Piana lo ha chiesto a mons. Nareg Naamo, rettore del Pontificio Collegio Armeno:


R. – Lo spirito è uno spirito di gratitudine perché l’anno scorso il Santo Padre con la Messa celebrata il 12 aprile nella Basilica di San Pietro, nell’occasione del centenario del genocidio, si era incontrato con i capi della Chiesa armena, sia cattolica sia apostolica, e anche con il presidente della Repubblica armena, e lo avevano invitato, tutti, a visitare l’Armenia. E questa è stata la sua risposta, come padre ai suoi figli, che va a visitarli e a trovarli.

D. – Qual è la situazione che Papa Francesco si troverà davanti in questa visita?

R. – E’ una visita storica, per noi armeni, ma anche una visita che coinvolge tanti sguardi, tanti punti: sia a livello religioso, sia a livello ecumenico e soprattutto a livello politico. La regione in cui andrà a celebrare il Santo Padre è una regione che è stata colpita anni fa da un grande terremoto che ha fatto tanti danni e migliaia di vittime e ha lasciato a tutt’oggi tanta gente senza tetto. Perciò la visita del Santo Padre è una visita molto importante a livello politico, a livello internazionale e anche a livello umano ed evangelico.

D. – Secondo lei, quali frutti porterà questa visita?

R. – Nelle sue visite, ultimamente vediamo sempre questo suo carisma che cambia spiritualmente ma anche umanamente. E siccome il Santo Padre farà anche una visita di pace, non solo in Armenia ma nei mesi prossimi anche in Georgia e in Azerbaigian, due Paesi confinanti con l’Armenia e che non hanno buoni rapporti – soprattutto l’Azerbaigian. Perciò ci aspettiamo da questa visita molti frutti …

D. – Prima faceva riferimento all’aspetto ecumenico, altro punto importante di questa visita …

R. – Conosciamo molto bene, del Santo Padre, il carisma dell’avvicinamento, di far sentire bene la gente che gli sta vicino. A questo nostro popolo che ha sofferto tanto negli anni passati per la sua fede, per il suo attaccamento alla Chiesa cattolica, la sua visita darà un soffio di speranza, un soffio di amore: è il padre che viene a visitare i suoi figli. Sappiamo molto bene che la Chiesa armena apostolica se anche non ha l’appartenenza dogmatica alla Chiesa cattolica, è comunque una Chiesa molto vicina alla Chiesa cattolica: ha dato tanti martiri, teologi e dottori, soprattutto l’anno scorso, con il riconoscimento da parte del Santo Padre di San Gregorio di Narek come Dottore della Chiesa universale … Tutti questi doni, tutti questi frutti che sta dando la Chiesa cattolica alle Chiese non unite ad essa, questo oggi ci dà anche un grande soffio di speranza e di vita ecumenica.





[Modificato da Caterina63 05/06/2016 19:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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24/06/2016 19:24
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ CIVILI E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Palazzo Presidenziale
Venerdì, 24 giugno 2016

[Multimedia]



  

PAROLE DEL SANTO PADRE 
DURANTE IL VOLO ROMA-YEREVAN

Volo Papale 
Venerdì, 24 giugno 2016

[Multimedia]


 

Padre Lombardi:

Santo Padre, benvenuto in mezzo a noi. Le diamo il nostro saluto come comunità “volante” dei suoi amici e collaboratori giornalisti. Siamo, come è abituale in questi viaggi, un po’ più di 70, rappresentiamo come sempre tanti Paesi, tanti media differenti. Ci dicono che in Armenia sono accreditati più di 600 che ci aspettano là, per completare il lavoro poi sul posto. Noi sappiamo che Lei farà la solita conferenza di domande e risposte alla fine, quando torneremo, e staremo anche questa volta all’uso abituale, mentre adesso tutti si aspettano di poterLe stringere la mano e farLe un po’ di saluti. Però, credo che tutti, siccome siamo giornalisti, abbiamo questa mattina due domande in testa su cui chiederemmo che Lei ci dica qualche cosa e poi dopo La lasciamo in pace fino al volo di ritorno.

Le due domande sono: una, a proposito del Suo Continente, cioè la buona notizia che abbiamo sentito ieri della Colombia, dell’andare avanti del processo di pace in Colombia; e la seconda è la notizia con cui ci siamo svegliati stamattina, invece, che riguarda il Continente europeo e l’esito di questo referendum [sulla “Brexit”]. Se Lei ci dice due battute su queste due cose, dopo La lasciamo fare i saluti che desidera…

Papa Francesco:

Buongiorno a tutti, e grazie, grazie tante per la compagnia e per il vostro lavoro: grazie tante. E mi scuso di parlare di fronte e con la schiena, ma dicono che gli angeli non ce l’hanno!

Sulla prima domanda, io sono felice di questa notizia che mi è arrivata ieri: più di 50 anni di guerra, di guerriglia, tanto sangue versato… E’ stata una bella notizia e mi auguro che i Paesi che hanno lavorato per fare la pace e che danno la garanzia che questo vada avanti, “blindino” questo a tal punto che mai si possa tornare, né da dentro né da fuori, a uno stato di guerra. E tanti auguri per la Colombia che adesso fa questo passo.

Sul secondo, la seconda domanda: io ho saputo l’esito finale qui, sull’aereo, perché quando sono uscito da casa ho visto “Il Messaggero” e ancora non era definitivo. E’ stata la volontà espressa del popolo, e questo richiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il Continente europeo. Così io spero.

E grazie tante, e poi ci rivedremo nel viaggio al rientro. E grazie: grazie di nuovo.

Padre Lombardi:

Grazie, grazie tante, Santità …

Signor Presidente,
Distinte Autorità,
Illustri Membri del Corpo Diplomatico,
Signori e Signore,

È per me motivo di grande gioia poter essere qui, toccare il suolo di questa terra armena tanto cara, fare visita ad un popolo dalle antiche e ricche tradizioni, che ha testimoniato con coraggio la sua fede, che ha molto sofferto, ma che è sempre tornato a rinascere.

«Il nostro cielo turchese, le acque chiare, il lago di luce, il sole d’estate e d’inverno la fiera borea, […] la pietra dei millenni, […] i libri incisi con lo stilo, divenuti preghiera» (Elise Ciarenz, Ode all’Armenia). Sono queste alcune immagini potenti che un vostro illustre poeta ci offre per illuminarci sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia. Esse racchiudono in poche espressioni l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria.

Le sono vivamente grato, Signor Presidente, per le gentili espressioni di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia, e per avermi offerto la possibilità, grazie al Suo cortese invito, di contraccambiare la visita da Lei compiuta l’anno scorso in Vaticano, quando presenziò alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, insieme alle Loro Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni, recentemente scomparso. In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme moltitudine di persone. Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri - le grandi potenze guardavano da un’altra parte.

Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude. Avendo davanti ai nostri occhi gli esiti nefasti a cui condussero nel secolo scorso l’odio, il pregiudizio e lo sfrenato desiderio di dominio, auspico vivamente che l’umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori. Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi, che guardino al futuro.

La Chiesa Cattolica desidera collaborare attivamente con tutti coloro che hanno a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza. A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio.

Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari. Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo. In tal senso, io lo incoraggio a non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale.

Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia. È una felice circostanza per cui rallegrarsi e l’occasione per fare memoria dei traguardi raggiunti e per proporsi nuove mete a cui tendere. I festeggiamenti per questa lieta ricorrenza saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo. Si tratta di verificare costantemente che non si venga mai meno agli imperativi morali di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati (cfr Giovanni Paolo II, Discorso di congedo dall’Armenia, 27 settembre 2001Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 489). La storia del vostro Paese va di pari passo con la sua identità cristiana, custodita nel corso dei secoli. Tale identità cristiana, lungi dall’ostacolare la sana laicità dello Stato, piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. La coesione di tutti gli armeni, e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini, renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita.

La Chiesa Cattolica, da parte sua, pur essendo presente nel Paese con limitate risorse umane, è lieta di poter offrire il suo contributo alla crescita della società, particolarmente nella sua azione rivolta verso i più deboli e i più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità, come testimoniano l’opera svolta ormai da venticinque anni dall’ospedale “Redemptoris Mater” ad Ashotsk, l’attività dell’istituto educativo a Yerevan, le iniziative di Caritas Armenia e le opere gestite dalle Congregazioni religiose.

Dio benedica e protegga l’Armenia, terra illuminata dalla fede, dal coraggio dei martiri, dalla speranza più forte di ogni dolore.






 

Venerdì, 24 giugno 2016

09.00 Partenza in aereo dall’Aeroporto di Roma/Fiumicino per Yerevan
Saluto ai giornalisti durante il volo Roma-Yerevan
[FranceseItalianoTedesco]
 
15.00 Arrivo all’Aeroporto Internazionale “Zvartnots” di Yerevan
Cerimonia di benvenuto all’Aeroporto
 
15.35 Visita di preghiera alla Cattedrale Apostolica ad Etchmiadzin 
[Arabo, ArmenoFranceseIngleseItalianoPolaccoPortogheseSpagnoloTedesco]
 
18.00 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica nel Palazzo Presidenziale  
18.30 Incontro con le Autorità Civili e con il Corpo Diplomatico nel Palazzo presidenziale
[Arabo, Armeno, FranceseIngleseItaliano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
19.30 Incontro personale con il Catholicos nel Palazzo Apostolico  

 

Sabato, 25 giugno 2016

08.45 Visita al Tzitzernakaberd Memorial Complex  
10.00 Trasferimento in aereo a Gyumri  
11.00 Santa Messa in Piazza Vartanants a Gyumri
[Arabo, Armeno, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
16.45 Visita alla Cattedrale Armeno Apostolica delle Sette Piaghe a Gyumri  
17.15 Visita alla Cattedrale Armeno Cattolica dei Santi Martiri a Gyumri  
18.00 Trasferimento in aereo a Yerevan  
19.00 Incontro Ecumenico e Preghiera per la Pace nella Piazza della Repubblica a Yerevan
[Arabo, Armeno, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 

 

Domenica, 26 giugno 2016

09.15 Incontro con i Vescovi Cattolici Armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin  
10.00 Partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno-apostolica
[Arabo, Armeno, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
  Pranzo Ecumenico con il Catholicos, Arcivescovi e Vescovi della Chiesa Armena Apostolica, i Vescovi cattolici armeni e i Cardinali e Vescovi del Seguito Papale nel Palazzo Apostolico  
15.50 Incontro con delegati e benefattori della Chiesa Armena Apostolica nel Palazzo Apostolico  
17.00 Preghiera al Monastero di Khor Virap  
18.15 Cerimonia di congedo all’aeroporto  
18.30 Partenza in aereo per Roma  
20.40 Arrivo all’Aeroporto di Roma/Ciampino  

 

 

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

VISITA DI PREGHIERA ALLA CATTEDRALE APOSTOLICA

SALUTO DEL SANTO PADRE

Etchmiadzin
Venerdì, 24 giugno 2016

[Multimedia]



 

Santità, Venerato Fratello,
Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni,
Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!

Con commozione ho varcato la soglia di questo luogo sacro, testimone della storia del vostro popolo, centro irradiante della sua spiritualità; e considero un prezioso dono di Dio potermi avvicinare al santo altare dal quale rifulse la luce di Cristo in Armenia. Saluto il Catholicos di Tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin II, che ringrazio di cuore per il gradito invito a visitare la Santa Etchmiadzin, gli Arcivescovi e i Vescovi della Chiesa Apostolica Armena, e ringrazio tutti per la cordiale e gioiosa accoglienza che mi avete offerto. Grazie, Santità, per avermi accolto nella Sua casa; tale segno di amore dice in maniera eloquente, molto più delle parole, che cosa significhino l’amicizia e la carità fraterna.

In questa solenne occasione rendo grazie al Signore per la luce della fede accesa nella vostra terra, fede che ha conferito all’Armenia la sua peculiare identità e l’ha resa messaggera di Cristo tra le Nazioni. Cristo è la vostra gloria, la vostra luce, il sole che vi ha illuminato e vi ha donato una nuova vita, che vi ha accompagnato e sostenuto, specialmente nei momenti di maggiore prova. Mi inchino di fronte alla misericordia del Signore, che ha voluto che l’Armenia diventasse la prima Nazione, fin dall’anno 301, ad accogliere il Cristianesimo quale sua religione, in un tempo nel quale nell’impero romano ancora infuriavano le persecuzioni.

La fede in Cristo non è stata per l’Armenia quasi come un abito che si può indossare o togliere a seconda delle circostanze o delle convenienze, ma una realtà costitutiva della sua stessa identità, un dono di enorme portata da accogliere con gioia e da custodire con impegno e fortezza, a costo della stessa vita. Come scrisse san Giovanni Paolo II, «col “Battesimo” della comunità armena, […] nasce un’identità nuova del popolo, che diverrà parte costitutiva e inseparabile dello stesso essere armeno. Non sarà più possibile da allora pensare che, tra le componenti di tale identità, non figuri la fede in Cristo, come costitutivo essenziale» (Lett. ap. nel 1700° anniversario del battesimo del popolo armeno [2 febbraio 2001], 2). Voglia il Signore benedirvi per questa luminosa testimonianza di fede, che dimostra in modo esemplare la potente efficacia e fecondità del Battesimo ricevuto più di millesettecento anni fa con il segno eloquente e santo del martirio, che è rimasto un elemento costante della storia del vostro popolo.

Ringrazio il Signore anche per il cammino che la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena hanno compiuto attraverso un dialogo sincero e fraterno, al fine di giungere alla piena condivisione della Mensa eucaristica. Lo Spirito Santo ci aiuti a realizzare quell’unità per la quale pregò nostro Signore, affinché i suoi discepoli siano una cosa sola e il mondo creda. Mi è caro qui ricordare il decisivo impulso dato all’intensificazione dei rapporti e al rafforzamento del dialogo fra le nostre due Chiese nei tempi recenti dalle Loro Santità Vasken I e Karekin I, da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Tra le tappe particolarmente significative di questo impegno ecumenico ricordo la commemorazione dei Testimoni della fede del XX secolo, nel contesto del Grande Giubileo dell’anno 2000; la consegna a Vostra Santità della reliquia del Padre dell’Armenia cristiana san Gregorio l’Illuminatore per la nuova cattedrale di Yerevan; la Dichiarazione congiunta di Sua Santità Giovanni Paolo II e di Vostra Santità, sottoscritta proprio qui nella Santa Etchmiadzin; e le visite che Vostra Santità ha compiuto in Vaticano in occasione di importanti eventi e commemorazioni.

Il mondo è purtroppo segnato da divisioni e conflitti, come pure da gravi forme di povertà materiale e spirituale, compreso lo sfruttamento delle persone, persino di bambini e anziani, e attende dai cristiani una testimonianza di reciproca stima e fraterna collaborazione, che faccia risplendere davanti ad ogni coscienza la potenza e la verità della Risurrezione di Cristo. Il paziente e rinnovato impegno verso la piena unità, l’intensificazione delle iniziative comuni e la collaborazione tra tutti i discepoli del Signore in vista del bene comune, sono come luce fulgida in una notte oscura e un appello a vivere nella carità e nella mutua comprensione anche le differenze. Lo spirito ecumenico acquista un valore esemplare anche al di fuori dei confini visibili della comunità ecclesiale, e rappresenta per tutti un forte richiamo a comporre le divergenze con il dialogo e la valorizzazione di quanto unisce. Esso inoltre impedisce la strumentalizzazione e manipolazione della fede, perché obbliga a riscoprirne le genuine radici, a comunicare, difendere e propagare la verità nel rispetto della dignità di ogni essere umano e con modalità dalle quali traspaia la presenza di quell’amore e di quella salvezza che si vuole diffondere. Si offre in tal modo al mondo – che ne ha urgente bisogno – una convincente testimonianza che Cristo è vivo e operante, capace di aprire sempre nuove vie di riconciliazione tra le nazioni, le civiltà e le religioni. Si attesta e si rende credibile che Dio è amore e misericordia.

Cari fratelli, quando il nostro agire è ispirato e mosso dalla forza dell’amore di Cristo, si accrescono la conoscenza e la stima reciproche, si creano migliori condizioni per un cammino ecumenico fruttuoso e, nello stesso tempo, si mostra ad ogni persona di buona volontà e all’intera società una concreta via percorribile per armonizzare i conflitti che lacerano la vita civile e scavano divisioni difficili da sanare. Dio Onnipotente, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, per intercessione di Maria Santissima, di san Gregorio l’Illuminatore, “colonna di luce della Santa Chiesa degli Armeni”, e di san Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa, benedica tutti voi e l’intera Nazione Armena e la custodisca sempre nella fede che ha ricevuto dai padri e che ha gloriosamente testimoniato nel corso dei secoli.











Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/06/2016 21:04
 
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Viaggio Apostolico in Armenia: Visita al Tzitzernakaberd Memorial Complex


VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Gyumri, Piazza Vartanants
Sabato, 25 giugno 2016

[Multimedia]



 

«Riedificheranno le rovine antiche, restaureranno le città desolate» (Is 61,4). In questi luoghi, cari fratelli e sorelle, possiamo dire che si sono realizzate le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato. Dopo le terribili devastazioni del terremoto, ci troviamo oggi qui a rendere grazie a Dio per tutto quanto è stato ricostruito.

Potremmo però anche domandarci: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita, e soprattutto: su che cosa ci chiama a costruire la nostra vita? Vorrei proporvi, nel cercare di rispondere a questa domanda, tre basi stabili cu cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci.

Il primo fondamento è la memoria. Una grazia da chiedere è quella di saper recuperare la memoria, la memoria di quello che il Signore ha compiuto in noi e per noi: richiamare alla mente che, come dice il Vangelo odierno, Egli non ci ha dimenticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) di noi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore. Ma c’è anche un’altra memoria da custodire: la memoria del popolo. I popoli hanno infatti una memoria, come le persone. E la memoria del vostro popolo è molto antica e preziosa.
Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68): si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita (cfr Sal 63,4). È bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria.

La fede è anche la speranza per il vostro avvenire, la luce nel cammino della vita, ed è il secondo fondamento di cui vorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo, che può far sbiadire la luce della fede: è la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo. Tuttavia, se rinchiusa negli archivi della storia, la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti. La fede, invece, nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita. Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore.
Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace. Tutto questo rinnova la vita, la rende libera e docile alle sorprese, pronta e disponibile per il Signore e per gli altri. Può succedere anche che Gesù chiami a seguirlo più da vicino, a donare la vita a Lui e ai fratelli: quando invita, specialmente voi giovani, non abbiate paura, ditegli di “sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, e desidera liberare il cuore dai pesi del timore e dell’orgoglio. Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia.

Il terzo fondamento, dopo la memoria e la fede, è proprio l’amore misericordioso: è su questa roccia, sulla roccia dell’amore ricevuto da Dio e offerto al prossimo, che si basa la vita del discepolo di Gesù. Ed è vivendo la carità che il volto della Chiesa ringiovanisce e diventa attraente. L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano: altri modi di presentarsi possono essere fuorvianti e persino inutili, perché da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se abbiamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv13,35). Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che «l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001Insegnamenti XXIV,2 [2001], 478).

Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci ha ricordato che lo spirito del Signore è sempre con chi porta il lieto annuncio ai miseri, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola gli afflitti (cfr 61,1-2). Dio dimora nel cuore di chi ama; Dio abita dove si ama, specialmente dove ci si prende cura, con coraggio e compassione, dei deboli e dei poveri. C’è tanto bisogno di questo: c’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito.

Potremmo però chiederci: come si può diventare misericordiosi, con tutti i difetti e le miserie che ciascuno vede dentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispirarmi a un esempio concreto, ad un grande araldo della misericordia divina, che ho voluto proporre all’attenzione di tutti annoverandolo tra i Dottori della Chiesa universale: san Gregorio di Narek, parola e voce dell’Armenia. È difficile trovare qualcuno pari a lui nello scandagliare le abissali miserie che si possono annidare nel cuore dell’uomo. Egli, però, ha sempre posto in dialogo le miserie umane e la misericordia di Dio, elevando un’accorata supplica fatta di lacrime e fiducia al Signore, «datore dei doni, bontà per natura […], voce di consolazione, notizia di conforto, slancio di gioia, […] tenerezza impareggiabile, misericordia traboccante, […] bacio salvifico» (Libro delle lamentazioni, 3,1), nella certezza che «mai è adombrata dalle tenebre della rabbia la luce della [sua] misericordia» (ibid., 16,1). Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore, «Dio vicino, tenerezza di bontà» (ibid., 17,2), «pieno d’amore per l’uomo, […] fuoco che consuma la sterpaglia del peccato» (ibid., 16,2).

Con le sue parole vorrei infine invocare la misericordia divina e il dono di non stancarci mai di amare: Spirito Santo, «potente protettore, intercessore e pacificatore, noi ti rivolgiamo le nostre suppliche […] Accordaci la grazia di incoraggiarci alla carità e alle opere buone […] Spirito di dolcezza, di compassione, di amore per l’uomo e di misericordia, […] Tu che non sei altro che misericordia, […] abbi pietà di noi, Signore nostro Dio, secondo la tua grande misericordia» (Inno di Pentecoste).




Al termine di questa Celebrazione desidero esprimere viva gratitudine al Catholicos Karekin II e all’Arcivescovo Minassian per le cortesi parole che mi hanno rivolto, come pure al Patriarca Ghabroyan e ai Vescovi presenti, ai sacerdoti e alle Autorità che ci hanno accolto.

Ringrazio tutti voi che avete partecipato, giungendo a Gyumri anche da diverse regioni e dalla vicina Georgia. Vorrei in particolare salutare chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’“Ospedale del Papa”: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre; penso alle opere portate avanti dalla comunità cattolica locale, dalle Suore Armene dell’Immacolata Concezione e delle Missionarie della Carità della beata Madre Teresa di Calcutta.

La Vergine Maria, nostra Madre, vi accompagni sempre e guidi i passi di tutti sulla via della fraternità e della pace.




VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

INCONTRO ECUMENICO E PREGHIERA PER LA PACE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Yerevan, Piazza della Repubblica
Sabato, 25 giugno 2016

[Multimedia]








 

Venerato e carissimo Fratello, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, 
Signor Presidente,
cari fratelli e sorelle,

la benedizione e la pace di Dio siano con tutti voi!

Ho tanto desiderato visitare questa terra amata, il vostro Paese che per primo abbracciò la fede cristiana. È una grazia per me trovarmi su queste alture, dove, sotto lo sguardo del monte Ararat, anche il silenzio sembra parlarci; dove i khatchkar – le croci di pietra – raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca di magnifici testimoni del Vangelo, di cui voi siete gli eredi. Sono venuto pellegrino da Roma per incontrarvi e per esprimervi un sentimento che sale dalle profondità del cuore: è l’affetto del vostro fratello, è l’abbraccio fraterno della Chiesa Cattolica intera, che vi vuole bene e vi è vicina.

Negli anni scorsi le visite e gli incontri tra le nostre Chiese, sempre tanto cordiali e spesso memorabili, si sono, grazie a Dio, intensificati; la Provvidenza vuole che, proprio nel giorno in cui qui si ricordano i santi Apostoli di Cristo, siamo nuovamente insieme per rinforzare la comunione apostolica fra di noi. Sono molto grato a Dio per la «reale ed intima unità» fra le nostre Chiese (cfr Giovanni Paolo II, Celebrazione ecumenica, Yerevan, 26 settembre 2001Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 466) e vi ringrazio per la vostra fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile per tutti i cristiani. Il nostro ritrovarci non è uno scambio di idee, è uno scambio di doni (cfr Id., Lett. enc. Ut unum sint, 28): raccogliamo quello che lo Spirito ha seminato in noi, come un dono per ciascuno (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 246). Condividiamo con grande gioia i tanti passi di un cammino comune già molto avanzato, e guardiamo davvero con fiducia al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica. Verso quella meta tanto desiderata «siamo pellegrini, e peregriniamo insieme […] affidando il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze» (ibid., 244).

In questo tragitto ci precedono e accompagnano molti testimoni, in particolare i tanti martiri che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo: sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena. Tra i grandi Padri, vorrei riferirmi al santo Catholicos Nerses Shnorhali. Egli nutriva un amore grande e straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni, ed era al contempo proteso verso le altre Chiese, instancabile nella ricerca dell’unità, desideroso di attuare la volontà di Cristo: che i credenti «siano una sola cosa» (Gv 17,21). L’unità non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo.

Per realizzare la necessaria unità non basta, secondo san Nerses, la buona volontà di qualcuno nella Chiesa: è indispensabile la preghiera di tutti. È bello essere qui radunati per pregare gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Ed è anzitutto il dono della preghiera che io sono venuto stasera a domandarvi. Da parte mia, vi assicuro che, nell’offrire il Pane e il Calice all’altare, non manco di presentare al Signore la Chiesa di Armenia e il vostro caro popolo.

San Nerses avvertiva il bisogno di accrescere l’amore reciproco, perché solo la carità è in grado di sanare la memoria e guarire le ferite del passato: solo l’amore cancella i pregiudizi e permette di riconoscere che l’apertura al fratello purifica e migliora le proprie convinzioni. Per quel santo Catholicos, nel cammino verso l’unità è essenziale imitare lo stile dell’amore di Cristo, che «da ricco che era» (2 Cor 8,9), «umiliò sé stesso» (Fil 2,8). Sul suo esempio, siamo chiamati ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile: esso è l’olio benedetto della vita cristiana, l’unguento spirituale prezioso che risana, fortifica e santifica. «Alle mancanze suppliamo con carità unanime», scriveva san Nerses (Lettere del signore Nerses ShnorhaliCatholicos degli Armeni, Venezia 1873, 316), e persino – faceva intendere – con una particolare dolcezza d’amore, che ammorbidisca la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati su sé stessi e sui propri tornaconti. Non i calcoli e i vantaggi, ma l’amore umile e generoso attira la misericordia del Padre, la benedizione di Cristo e l’abbondanza dello Spirito Santo. Pregando e «amandoci intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (cfr 1 Pt 1,22), con umiltà e apertura d’animo disponiamoci a ricevere il dono divino dell’unità. Proseguiamo il nostro cammino con determinazione, anzi corriamo verso la piena comunione tra noi!

«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Abbiamo ascoltato queste parole del Vangelo, che ci dispongono a implorare da Dio quella pace che il mondo tanto fatica a trovare. Quanto sono grandi oggi gli ostacoli sulla via della pace, e quanto tragiche le conseguenze delle guerre! Penso alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa.

Non riesco a non pensare alle prove terribili che il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal “Grande Male” che si è abbattuto sopra di voi. Questo «immane e folle sterminio» (Saluto all’inizio della Santa Messa per i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015), questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel cuore. Voglio ribadire che le vostre sofferenze ci appartengono: «sono le sofferenze delle membra del Corpo mistico di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo armenoInsegnamentiXXIV, 1 [2001], 275); ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!

Desidero, al tempo stesso, ricordare con ammirazione come la fede cristiana, «anche nei momenti più tragici della storia armena, è stata la molla propulsiva che ha segnato l’inizio della rinascita del popolo provato» (ibid., 276). Essa è la vostra vera forza, che permette di aprirsi alla via misteriosa e salvifica della Pasqua: le ferite rimaste aperte e causate dall’odio feroce e insensato, possono in qualche modo conformarsi a quelle di Cristo risorto, a quelle ferite che gli furono inferte e che porta ancora impresse nella sua carne. Egli le mostrò gloriose ai discepoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,20): quelle terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace. Così, anche il dolore più grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro.

La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore per tutti, dove sono «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro, dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata.

Cari giovani, questo futuro vi appartiene, ma facendo tesoro della grande saggezza dei vostri anziani. Ambite a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione. Dio benedica il vostro avvenire e «conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh» (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).

In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche “Dottore della pace”. Così ha scritto in quello straordinarioLibro che mi piace pensare come la “costituzione spirituale del popolo armeno”: «Ricordati, [Signore,…] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia. [...] Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2). Narek, «partecipe profondamente consapevole di ogni necessità» (ibid., 3,2), ha voluto persino identificarsi con i deboli e i peccatori di ogni tempo e luogo, per intercedere a favore di tutti (cfr ibid., 31,3; 32,1; 47,2): si è fatto «l’offripreghiera di tutto il mondo» (ibid., 28,2). Questa sua solidarietà universale con l’umanità è un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti. Gli Armeni, presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri di questo anelito di comunione. Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura. Pace a voi!

   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

PARTECIPAZIONE ALLA DIVINA LITURGIA NELLA CATTEDRALE ARMENO-APOSTOLICA

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Etchmiadzin
Domenica, 26 giugno 2016

[Multimedia]











 

Santità, carissimi Vescovi, 
cari fratelli e sorelle,

al culmine di questa visita tanto desiderata e per me già indimenticabile, desidero elevare al Signore la mia gratitudine, che unisco al grande inno di lode e di ringraziamento salito da questo altare. Vostra Santità, in questi giorni, mi ha aperto le porte della Sua casa e abbiamo sperimentato «come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme» (Sal 133,1). Ci siamo incontrati, ci siamo abbracciati fraternamente, abbiamo pregato insieme, abbiamo condiviso i doni, le speranze e le preoccupazioni della Chiesa di Cristo, di cui avvertiamo all’unisono i battiti del cuore, e che crediamo e sentiamo una. «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza […]; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6): possiamo davvero fare nostre con gioia queste parole dell’apostolo Paolo! È proprio nel segno dei santi Apostoli che ci siamo incontrati. I santi Bartolomeo e Taddeo, che proclamarono per la prima volta il Vangelo in queste terre, e i santi Pietro e Paolo, che diedero la vita per il Signore a Roma, mentre regnano con Cristo in cielo, certamente si rallegrano nel vedere il nostro affetto e la nostra aspirazione concreta alla piena comunione. Di tutto ciò ringrazio il Signore, per voi e con voi: Gloria a Dio!

In questa Divina Liturgia il solenne canto del trisagio si è elevato al cielo, inneggiando alla santità di Dio; scenda copiosa la benedizione dell’Altissimo in terra, per l’intercessione della Madre di Dio, dei grandi santi e dottori, dei martiri, specialmente dei tanti martiri che in questo luogo avete canonizzato lo scorso anno. “L’Unigenito che qui discese” benedica il nostro cammino. Lo Spirito Santo faccia dei credenti un cuore solo e un’anima sola: venga a rifondarci nell’unità. Per questo vorrei nuovamente invocarlo, facendo mie alcune splendide parole che sono entrate nella vostra Liturgia. Vieni, o Spirito, Tu «che con gemiti incessanti sei il nostro intercessore presso il Padre misericordioso, Tu che custodisci i santi e purifichi i peccatori»; effondi su di noi il tuo fuoco di amore e unità, e «vengano sciolti da questo fuoco i motivi del nostro scandalo» (Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni, 33, 5), anzitutto la mancanza di unità tra i discepoli di Cristo.

La Chiesa armena cammini in pace e la comunione tra noi sia piena. In tutti sorga un forte anelito all’unità, a un’unità che non deve essere «né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo» (Parole del Santo Padre nella Divina Liturgia, Chiesa Patriarcale di San Giorgio, Istanbul, 30 novembre 2014).

Accogliamo il richiamo dei santi, ascoltiamo la voce degli umili e dei poveri, delle tante vittime dell’odio, che hanno sofferto e sacrificato la vita per la fede; tendiamo l’orecchio alle giovani generazioni, che implorano un futuro libero dalle divisioni del passato. Da questo luogo santo si diffonda nuovamente una luce radiosa; a quella della fede, che da san Gregorio, vostro padre secondo il Vangelo, ha illuminato queste terre, si unisca la luce dell’amore che perdona e riconcilia.

Come gli Apostoli il mattino di Pasqua, nonostante i dubbi e le incertezze, corsero verso il luogo della risurrezione, attirati dall’alba felice di una speranza nuova (cfr Gv 20,3-4), così anche noi, in questa santa domenica, seguiamo la chiamata di Dio alla piena comunione e acceleriamo il passo verso di essa.

Ed ora, Santità, in nome di Dio, Vi chiedo di benedirmi, di benedire me e la Chiesa Cattolica, di benedire questa nostra corsa verso la piena unità.

 
  VIDEO AL MEMORIAL GENOCIDIO

DICHIARAZIONE COMUNE
DI SUA SANTITÀ FRANCESCO 
E SUA SANTITÀ KAREKIN II
NELLA SANTA ETCHMIADZIN, REPUBBLICA DI ARMENIA

Etchmiadzin, Palazzo Apostolico
Domenica, 26 giugno 2016

[Multimedia]


 

Oggi nella Santa Etchmiadzin, centro spirituale di Tutti gli Armeni, noi, Papa Francesco e Karekin II, Catholicos di Tutti gli Armeni, eleviamo le nostre menti e i nostri cuori nel ringraziare l’Onnipotente per la continua e crescente vicinanza nella fede e nell’amore tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica nella loro comune testimonianza al messaggio del Vangelo in un mondo lacerato da conflitti e desideroso di conforto e speranza. Lodiamo la Santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per averci consentito di venire nella biblica terra dell’Ararat, che si erge come a ricordarci che Dio sarà sempre la nostra protezione e salvezza. Siamo spiritualmente compiaciuti di ricordare che nel 2001, in occasione del 1700° anniversario della proclamazione del Cristianesimo quale religione dell’Armenia, san Giovanni Paolo II visitò l’Armenia e fu testimone di una nuova pagina delle calorose e fraterne relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica. Siamo grati di aver avuto la grazia di essere insieme in una solenne liturgia nella Basilica di San Pietro a Roma il 12 aprile 2015, nella quale ci siamo impegnati ad opporci ad ogni forma di discriminazione e violenza, e abbiamo commemorato le vittime di quello che la Dichiarazione Comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Karekin II menzionò quale «lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (27 settembre 2001).

Lodiamo il Signore per il fatto che oggi la fede cristiana è di nuovo una vibrante realtà in Armenia, e che la Chiesa Armena porta avanti la sua missione con uno spirito di fraterna collaborazione tra le Chiese, sostenendo i fedeli nel costruire un mondo di solidarietà, di giustizia e di pace.

Tuttavia, siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo. Ne consegue che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana. I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del sangue” che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo. Insieme preghiamo, per intercessione dei santi Apostoli Pietro e Paolo, Taddeo e Bartolomeo, per un cambiamento del cuore in tutti quelli che commettono tali crimini e in coloro che sono in condizione di fermare la violenza. Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi. Purtroppo assistiamo a una presentazione della religione e dei valori religiosi in un modo fondamentalistico, che viene usato per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza. La giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile, perché «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14,33). Inoltre, il rispetto per le differenze religiose è la condizione necessaria per la pacifica convivenza di diverse comunità etniche e religiose. Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh.

Memori di quanto Gesù insegnò ai suoi discepoli quando disse: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36), chiediamo ai fedeli delle nostre Chiese di aprire i loro cuori e le loro mani alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie. E’ in gioco il senso stesso della nostra umanità, della nostra solidarietà, compassione e generosità, che può essere espresso in modo appropriato solamente mediante un immediato e pratico impiego di risorse. Riconosciamo che tutto ciò è già stato fatto, ma ribadiamo che molto di più si richiede da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale al fine di assicurare il diritto di tutti a vivere in pace e sicurezza, per sostenere lo stato di diritto, per proteggere le minoranze religiose ed etniche, per combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani.

La secolarizzazione di ampi settori della società, la sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana. A questo riguardo siamo preoccupati per la crisi della famiglia in molti Paesi. La Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna.

Siamo lieti di confermare che, nonostante le persistenti divisioni tra Cristiani, abbiamo compreso più chiaramente che ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide. Questa è la solida base sulla quale l’unità della Chiesa di Cristo sarà resa manifesta, secondo le parole del Signore: «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Nei decenni scorsi le relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica sono entrate con successo in una nuova fase, fortificate dalle nostre preghiere reciproche e dal nostro comune impegno nel superare le sfide attuali. Oggi siamo convinti dell’importanza cruciale di sviluppare queste relazioni, intraprendendo una profonda e più decisiva collaborazione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a livello delle comunità locali, nella prospettiva di condividere una piena comunione ed espressioni concrete di unità. Esortiamo i nostri fedeli a lavorare in armonia per promuovere nella società i valori cristiani, che contribuiscono efficacemente alla costruzione di una civiltà di giustizia, di pace e di solidarietà umana. La via della riconciliazione e della fraternità è aperta davanti a noi. Lo Spirito Santo, che ci guida alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13), sostenga ogni genuino sforzo per costruire ponti di amore e di comunione tra noi.

Dalla Santa Etchmiadzin invitiamo tutti i nostri fedeli ad unirsi a noi in preghiera, con le parole di san Nerses il Grazioso: «Glorioso Signore, accetta le suppliche dei Tuoi servi, e benevolmente esaudisci le nostre richieste, per intercessione della Santa Madre di Dio, di san Giovanni Battista, di santo Stefano Protomartire, di san Gregorio l’Illuminatore, dei santi Apostoli, dei Profeti, dei Santi “Divini”, dei Martiri, dei Patriarchi, degli Eremiti, delle Vergini e di tutti i Tuoi santi in cielo e sulla terra. E a Te, o indivisibile Santa Trinità, sia gloria e lode nei secoli dei secoli. Amen”.

Santa Etchmiadzin, 26 giugno 2016

Sua Santità Francesco

Sua Santità Karekin II

    


[Modificato da Caterina63 26/06/2016 19:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/06/2016 12:56
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN ARMENIA 

(24-26 GIUGNO 2016)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALL'ARMENIA

Volo Papale 
Domenica, 26 giugno 2016

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Padre Lombardi:

Santo Padre, grazie mille di essere qui al termine di questo viaggio abbastanza breve ma molto intenso. Siamo stati contenti di accompagnarLa e adesso vogliamo farLe ancora, come al solito, un poco di domande, approfittando della Sua gentilezza. Abbiamo una lista di persone che sono qui iscritte a parlare, e possiamo incominciare, come al solito, con i colleghi dell’Armenia, perché diamo a loro la priorità. Il primo è Arthur Grygorian, della televisione pubblica armena.

Papa Francesco:

Buona sera! Vi ringrazio tanto per l’aiuto in questo viaggio e per tutto il vostro lavoro che fa bene alla gente: comunicare bene le cose vuol dire buone notizie, e le buone notizie fanno bene sempre. Grazie tante, grazie.

Arthur Grygorian, televisione pubblica armena:

(in inglese) Santo Padre, è risaputo che Lei abbia amici armeni. Lei aveva già contatti con le comunità armene in Argentina. Nel corso degli ultimi tre giorni, Lei – per così dire – è arrivato a toccare lo spirito armeno. Quali sono i Suoi sentimenti, le Sue impressioni, e qual è il messaggio per il futuro, le Sue preghiere per noi armeni?

Papa Francesco:

Bene, pensiamo al futuro e poi andiamo al passato. Io auguro a questo popolo la giustizia e la pace. E prego per questo, perché è un popolo coraggioso. E prego perché trovi la giustizia e la pace. Io so che tanti lavorano per questo. E io sono stato anche molto contento, la settimana scorsa, quando ho visto una fotografia del Presidente Putin con i due Presidenti armeno e azero: almeno si parlano. E anche con la Turchia: il Presidente della Repubblica [Armena] nel suo discorso di benvenuto ha parlato chiaro; ha avuto il coraggio di dire: “Mettiamoci d’accordo, perdoniamoci e guardiamo al futuro”. Questo è un coraggio grande! Un popolo che ha sofferto tanto! L’icona del popolo armeno – e questo pensiero mi è venuto oggi mentre pregavo un po’ – è una vita di pietra e una tenerezza di madre. Ha portato croci, ma croci di pietra –si vedono anche [le caratteristiche croci di pietra dette khachkar] –; ma non ha perso la tenerezza, l’arte, la musica, quei “quarti toni” tanto difficili da capire, e con grande  genialità… Un popolo che ha sofferto tanto nella sua storia, e soltanto la fede, la fede lo ha mantenuto in piedi. Perché il fatto che sia stata la prima nazione cristiana, questo non è sufficiente; è stata la prima nazione cristiana perché il Signore l’ha benedetta, perché ha avuto i santi, ha avuto vescovi santi, martiri… E per questo si è formato nella sua resistenza quella “pelle di pietra” – diciamo così –, ma non ha perso la tenerezza di un cuore materno; e l’Armenia è anche madre. Questa era la seconda domanda. E veniamo alla prima, adesso. Sì, io avevo tanti contatti con gli armeni, andavo spesso da loro alle Messe; tanti amici armeni; o una cosa che di solito non mi piace fare per riposo, ma andavo a cena con loro, e voi fate cene pesanti! Ma sono molto amico, molto amico sia dell’arcivescovo Kissag Mouradian, della Chiesa Apostolica, sia di Boghossian, quello cattolico. Ma fra voi, più importante dell’appartenenza alla Chiesa Apostolica o alla Chiesa Cattolica, è l’“armenità”, e questo io l’ho capito in quei tempi. Oggi mi ha salutato un argentino di famiglia armena che, quando andavo alle Messe, sempre l’Arcivescovo lo faceva sedere accanto a me perché mi spiegasse alcune cerimonie o alcune parole che io non capivo.

Padre Lombardi:

Grazie mille, Santo Padre. Adesso diamo la parola a un’altra rappresentante armena che è la signora Jeanine Paloulian, di “Nouvelles d’Arménie”.

Jeanine Paloulian, “Nouvelles d’Arménie”:

(in francese) Grazie, Santo Padre. Ieri sera, all’incontro ecumenico di preghiera, Lei ha chiesto ai giovani di essere artefici della riconciliazione con la Turchia e con l’Azerbaigian. Vorrei chiederLe semplicemente – visto che tra qualche settimana Lei andrà in Azerbaigian – cosa Lei, cosa la Santa Sede può fare concretamente per aiutarci, per aiutarci a procedere. Quali sono i segni concreti. Lei ne ha fatti in Armenia. Quali sono i segni che Lei farà, domani, in Azerbaigian?

Papa Francesco:

Io parlerò agli azeri della verità, di quello che ho visto, di quello che sento. E incoraggerò anche loro. Io ho incontrato il Presidente azero e ho parlato con lui. E dirò anche che non fare la pace per un pezzettino di terra – perché non è una gran cosa – significa qualcosa di oscuro… Ma lo dico a tutti, questo: agli armeni e agli azeri. Forse non si mettono d’accordo sulle modalità di fare la pace, e su questo si deve lavorare. Ma di più non so cosa dire. Dirò quello che al momento mi viene nel cuore, ma sempre in positivo, cercando di trovare soluzioni che siano percorribili, che portino avanti.

Padre Lombardi:

Grazie mille. E adesso diamo la parola a Jean-Louis de la Vaissière, di “France Presse”. Credo che sia l’ultimo viaggio che fa con noi. Quindi siamo contenti di dargli la parola.

Jean-Louis de la Vaissière, “France Presse”:

Santo Padre, prima di tutto vorrei ringraziarLa da parte mia e da parte di Sébastien Maillard di “La Croix”. Noi andiamo via da Roma e volevamo di cuore ringraziare per questo soffio di primavera che soffia sulla Chiesa. Poi avevo una domanda: perché Lei ha deciso di aggiungere apertamente la parola “genocidio” nel suo discorso al Palazzo presidenziale? Su un tema doloroso come questo, pensa che sia utile per la pace in questa regione complicata?

Papa Francesco:

Grazie. In Argentina, quando si parlava dello sterminio armeno, si usava sempre la parola “genocidio”. Io non ne conoscevo un’altra. E nella cattedrale di Buenos Aires, sul terzo altare a sinistra abbiamo messo una croce di pietra a ricordo del “genocidio armeno”. E’ venuto l’Arcivescovo, i due Arcivescovi armeni,  quello cattolico e quello apostolico, e l’hanno inaugurata. Inoltre, l’Arcivescovo apostolico nella chiesa cattolica di San Bartolomeo - un’altra [chiesa] - ha fatto un altare in memoria di San Bartolomeo [evangelizzatore dell’Armenia]. Ma sempre…, io non conoscevo un’altra parola. Io vengo con questa parola. Quando arrivo a Roma, sento l’altra parola, “il Grande Male” o “la tragedia terribile”, in lingua armena [Metz Yeghern], che non so pronunciare. E mi dicono che quella del genocidio è offensiva, che si deve dire questa. Io sempre ho parlato dei tre genocidi del secolo scorso, sempre tre. Il primo, quello armeno; poi, quello di Hitler; e l’ultimo, quello di Stalin. I tre. Ce ne sono altri più piccoli. Ce n’è stato un altro in Africa [Rwanda]. Ma nell’orbita delle due grandi guerre, sono questi tre. E ho domandato, perché qualcuno dice: “Alcuni pensano che non è vero, che non è stato un genocidio”. Un altro mi diceva – un legale mi ha detto questo, che mi ha interessato tanto –: “La parola genocidio è una parola tecnica, è una parola che ha una tecnicità, che non è sinonimo di sterminio. Si può dire sterminio, ma dichiarare un genocidio comporta azioni di risarcimenti e cose del genere”. Questo mi ha detto un legale. L’anno scorso, quando preparavo il discorso [per la celebrazione del 12 aprile 2015 a Roma], ho visto che san Giovanni Paolo II ha usato la parola, le ha usate tutt’e due: “il Grande Male” e “genocidio”. E io ho citato tra virgolette questa. E non è caduta bene: è stata fatta una dichiarazione del governo turco; la Turchia in pochi giorni ha richiamato ad Ankara l’Ambasciatore – che è un bravo uomo, un ambasciatore “di lusso” ci ha inviato la Turchia! – è tornato due o tre mesi fa… E’ stato un “digiuno diplomatico”... Ma ne ha il diritto: il diritto alla protesta l’abbiamo tutti. E in questo discorso [in Armenia], all’inizio non c’era la parola, questo è vero; e rispondo sul perché io l’ho aggiunta. Dopo aver sentito il tono del discorso del Presidente, e anche con il mio passato riguardo a questa parola, e dopo aver detto questa parola l’anno scorso in San Pietro, pubblicamente, sarebbe suonato molto strano non dire lo stesso, almeno. Ma lì io volevo sottolineare un’altra cosa, e credo – se non sbaglio – che ho detto: “In questo genocidio, come negli altri due, le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”. E questa è stata l’accusa. Nella Seconda Guerra Mondiale, alcune potenze avevano le fotografie delle ferrovie che portavano a Auschwitz: avrebbero avuto la possibilità di bombardare, e non l’hanno fatto. E’ un esempio. Nel contesto della Prima Guerra, dove c’è stato il problema degli armeni, e nel contesto della Seconda Guerra, dove c’è stato il problema di Hitler e Stalin, e dopo Yalta i lager e tutto questo, nessuno parla? Sideve sottolineare questo, e fare la domanda storica: perché non avete fatto questo? Voi potenze – non accuso, faccio una domanda. E’ interessante: si guardava, sì, alla guerra, a tante cose, ma quel popolo… E, non so se è vero, ma mi piacerebbe vedere se è vero, che quando Hitler perseguitava tanto gli ebrei, una delle cose che lui avrebbe detto è: “Ma chi si ricorda oggi degli armeni? Facciamo lo stesso con gli ebrei!”. Non so se è vero, forse è una diceria, ma io ho sentito dire questo. Gli storici cerchino e vedano se è vero. Credo di avere risposto. Ma questa parola, mai io l’ho detta con animo offensivo, piuttosto oggettivamente.

Padre Lombardi:

Grazie mille, Santità. Ha toccato un argomento delicato, con grande sincerità e profondità. Adesso diamo la parola a Elisabetta Piqué che, come Lei sa, è dell’Argentina, de “La Nación”.

Elisabetta Piqué, “La Nación”:

(in spagnolo) Complimenti, prima di tutto, per il viaggio. Vorrei chiederLe: sappiamo che Lei è il Papa, ma c’è anche Papa Benedetto, il Papa emerito. Ultimamente ci sono state delle voci, una dichiarazione del Prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gänswein, che avrebbe detto che ci sarebbe un ministero petrino condiviso – se non mi sbaglio - con un Papa attivo e un altro contemplativo. Ci sono due Papi?

Papa Francesco:

(in spagnolo) C’è stata un’epoca nella Chiesa in cui ce ne sono stati tre! (ripete in italiano) In un certo periodo, nella Chiesa, ce n’erano tre! Io non ho letto quella dichiarazione perché non ho avuto tempo. Benedetto è Papa emerito. Lui ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio, che si sarebbe ritirato per aiutare la Chiesa con la preghiera. E Benedetto è nel monastero, e prega. Io sono andato a trovarlo tante volte, o al telefono… L’altro giorno mi ha scritto una letterina –  ancora firma con quella firma sua – facendomi gli auguri per questo viaggio. E una volta – non una volta, parecchie volte – ho detto che è una grazia avere a casa il “nonno” saggio. Anche davanti a lui l’ho detto, e lui ride. Ma lui per me è il Papa emerito, è il “nonno” saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera. Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai Cardinali, il 28 febbraio: “Uno di voi sicuramente sarà il mio successore. Prometto obbedienza”. E lo ha fatto. Poi ho sentito – ma non so se è vero questo – sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie, ma concordano con il suo carattere, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché “questo nuovo Papa…”, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo è così: è un uomo di parola, un uomo retto, retto, retto! Il Papa emerito. Poi, non so se Lei si ricorda, che io ho ringraziato pubblicamente – non so quando, ma credo durante un volo – Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. 70 anni fa i vescovi emeriti non esistevano; oggi ce ne sono. Ma con questo  allungamento della vita, si può reggere una Chiesa a una certa età, con acciacchi, o no? E lui, con coraggio – con coraggio! – e con preghiera, e anche con scienza, con teologia, ha deciso di aprire questa porta. E credo che questo sia buono per la Chiesa. Ma c’è un solo Papa. L’altro… o forse – come per i vescovi emeriti – non  dico tanti, ma forse potranno essercene due o tre, saranno emeriti. Sono stati [Papi], [ora] sono emeriti. Dopodomani si celebra il 65° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Ci sarà il suo fratello Giorgio [questa presenza non è stata confermata], perché tutti e due sono stati ordinati insieme. E ci sarà un piccolo atto, con i Capi Dicastero e poca gente, perché lui preferisce… Ha accettato, ma molto modestamente; e anch’io ci sarò. E dirò qualche cosa a questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito - non il secondo Papa - che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa.

Padre Lombardi:

Adesso diamo la parola ad Alexej Bukalov, che è uno dei nostri decani e che – come Lei ben sa – rappresenta Itar-Tass, e quindi la cultura russa fra noi.

Papa Francesco:

Ha parlato russo in Armenia?

Alexej Bukalov – Itar-Tass:

Sì, con grande piacere. La ringraziamo sempre… Grazie, Santità, grazie per questo viaggio, che è il primo viaggio sul territorio ex-sovietico. Per me era molto importante seguirlo… La mia domanda va un po’ fuori da questo argomento: io so che Lei ha incoraggiato molto questo Concilio Panortodosso, addirittura all’incontro con il Patriarca Kirill a Cuba è stato menzionato come auspicio. Adesso Lei che giudizio ha su questo – diciamo – forum? Grazie.

Papa Francesco:

Un giudizio positivo! È stato fatto un passo avanti: non con il cento per cento, ma un passo avanti. Le cose che hanno giustificato, fra virgolette, [le assenze] sono sincere per loro, sono cose che con il tempo si possono risolvere. Volevano – i quattro che non sono andati – farlo un po’ più avanti. Ma credo che il primo passo si fa come si può. Come i bambini, quando fanno il primo passo lo fanno come possono: il primo lo fanno come i gatti e poi fanno i primi passi. Io sono contento. Hanno parlato di tante cose. Credo che il risultato sia positivo. Il solo fatto che queste Chiese autocefale si siano riunite, in nome dell’Ortodossia, per guardarsi in faccia, per pregare insieme e parlare e forse dire qualche battuta, ma questo è positivissimo. Io ringrazio il Signore. Al prossimo saranno di più. Benedetto sia il Signore!

Padre Lombardi:

Grazie Santità. Adesso passiamo il microfono a Edward Pentin, che rappresenta un po’ la lingua inglese: questa volta National Catholic Register.

Edward Pentin – National Catholic Register:

Santo Padre, come Giovanni Paolo II Lei sembra essere un sostenitore dell’Unione Europea: ha elogiato il progetto europeo quando recentemente ha ricevuto il Premio Carlo Magno. Lei è preoccupato del fatto che Brexit potrebbe portare alla disintegrazione dell’Europa ed eventualmente alla guerra?

Papa Francesco:

La guerra già c’è in Europa! Poi c’è un’aria di divisione, e non solo in Europa, ma dentro gli stessi Paesi. Si ricordi della Catalogna, l’anno scorso la Scozia… Queste divisioni non dico che siano pericolose, ma dobbiamo studiarle bene e, prima di fare un passo avanti per una divisione, parlare bene fra di noi e cercare soluzioni percorribili. Io davvero non so, non ho studiato quali siano i motivi perché il Regno Unito abbia voluto prendere questa decisione. Ma ci sono decisioni – e credo che questo l’ho già detto una volta, non so dove, ma l’ho detto – di indipendenza, che si fanno per emancipazione. Per esempio, tutti i nostri Paesi latinoamericani, anche i Paesi dell’Africa, si sono emancipati dalle corone di Madrid, di Lisbona; anche in Africa: da Parigi, Londra; da Amsterdam, l’Indonesia soprattutto… L’emancipazione è più comprensibile, perché c’è dietro una cultura, un modo di pensare. Invece la secessione di un Paese – ancora non sto parlando della Brexit –, pensiamo alla Scozia, è una cosa che ha preso il nome – e questo lo dico senza offendere, usando quella parola che i politici usano – di “balcanizzazione” – senza sparlare dei Balcani! E’ un po’ una secessione, non è emancipazione, e dietro ci sono storie, culture, malintesi; anche tanta buona volontà in altri. Questo bisogna averlo chiaro. Per me sempre l’unità è superiore al conflitto, sempre! Ma ci sono diverse forme di unità; e anche la fratellanza – e qui arrivo all’Unione Europea – è migliore dell’inimicizia o delle distanze. Rispetto alle distanze – diciamo – la fratellanza è migliore. E i ponti sono migliori dei muri. Tutto questo ci deve far riflettere. E’ vero, un Paese [dice]: “Io sono nell’Unione Europea, ma voglio avere certe cose che sono mie, della mia cultura…”. E il passo – e qui vengo al Premio Carlo Magno – che deve fare l’Unione Europea per ritrovare la forza che ha avuto nelle sue radici è un passo di creatività e anche di “sana disunione”: cioè dare più indipendenza, dare più libertà ai Paesi dell’Unione. Pensare un’altra forma di unione, essere creativi. Creativi riguardo ai posti di lavoro, all’economia. C’è un’economia “liquida” oggi in Europa che fa – per esempio in Italia – che la gioventù dai 25 anni in giù non abbia lavoro: il 40 per cento! C’è qualcosa che non va in quell’Unione massiccia… Ma non buttiamo il bambino con l’acqua sporca dalla finestra! Cerchiamo di riscattare le cose e ri-creare… Perché la ri-creazione delle cose umane – anche della nostra personalità – è un percorso, e sempre si deve fare. Un adolescente non è lo stesso della persona adulta o della persona anziana: è lo stesso e non è lo stesso, si ri-crea continuamente. E questo gli dà vita e voglia di vivere, e dà fecondità. E questo lo sottolineo: oggi le due parole-chiave per l’Unione Europea sono creatività e fecondità. E’ la sfida. Non so, la penso così.

Padre Lombardi:

Grazie Santità. Allora adesso diamo la parola a Tilmann Kleinjung, che è di Adr, la radio nazionale tedesca. Anche per lui credo sia l’ultimo viaggio…  Quindi siamo lieti di dargli questa possibilità.

Tilmann Kleinjung – Adr:

Sì, anch’io sono in partenza per la Baviera. Grazie per poter fare questa domanda. “Zu viel Bier, zu viel Wein”. Heiliger Vater, io volevo farLe una domanda: Lei oggi ha parlato dei doni condivisi delle Chiese, insieme. Visto che Lei andrà – fra quattro mesi – a Lund per commemorare il 500° anniversario della Riforma, io penso che forse questo è il momento giusto anche per non ricordare solo le ferite da entrambe le parti, ma anche per riconoscere i doni della Riforma, e forse anche – e questa è una domanda eretica – per annullare o ritirare la scomunica di Martin Lutero o di una qualsiasi riabilitazione. Grazie.

Papa Francesco:

Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo la storia del Pastor, per esempio – un tedesco luterano che poi  si è convertito quando ha visto la realtà di quel tempo, e si è fatto cattolico – vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico.  Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… E dietro di loro chi c’era? I principi, “cuius regio eius religio”. Dobbiamo metterci nella storia di quel tempo. E’ una storia non facile da capire, non facile. Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione credo che sia uno dei  documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi. E’ d’accordo? Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese. A Buenos Aires c’erano due chiese luterane: una pensava in un modo e l’altra in un altro. Anche nella stessa Chiesa luterana non c’è unità. Si rispettano, si amano… La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo 500 anni. Io credo che dobbiamo pregare insieme, pregare. Per questo la preghiera è importante. Secondo: lavorare per i poveri, per i perseguitati, per tanta gente che soffre, per i profughi… Lavorare insieme e pregare insieme. E che i teologi studino insieme, cercando… Ma questa è una strada lunga, lunghissima. Una volta ho detto scherzando: “Io so quando sarà il giorno dell’unità piena” – “Quale?” – “Il giorno dopo la venuta del Figlio dell’uomo!”. Perché non si sa… Lo Spirito Santo farà questa grazia. Ma nel frattempo bisogna pregare, amarci e lavorare insieme, soprattutto per i poveri, per la gente che soffre, per la pace e tante altre cose, contro lo sfruttamento della gente… Tante cose per le quali si sta lavorando congiuntamente.

Padre Lombardi:

Grazie. Allora adesso diamo la parola a Cécile Chambraud, di “Le Monde”, che rappresenta ancora la lingua francese.

Cécile Chambraud – Le Monde:

(Domanda in spagnolo) Santo Padre, qualche settimana fa, Lei ha parlato di una Commissione per riflettere sulla tematica delle donne diaconesse. Vorrei sapere se già esiste questa Commissione e quali saranno le domande sulle quali rifletterà per essere risolte? E, infine, a volte una Commissione serve per dimenticarsi dei problemi: vorrei sapere se questo è il caso?

Papa Francesco:

C’era un presidente dell’Argentina che diceva, e consigliava agli altri presidenti degli altri Paesi: quando tu vuoi che una cosa non si risolva, fai una commissione! Il primo ad essere sorpreso di questa notizia sono stato io, perché il dialogo con le religiose, che è stato registrato e poi pubblicato su “L’Osservatore Romano”, era un’altra cosa, su questa linea: “Noi abbiamo sentito che nei primi secoli c’erano la diaconesse. Si potrà studiare questo? Fare una commissione?...”. Niente di più. Hanno chiesto, sono state educate, e non solo educate, ma anche amanti della Chiesa, donne consacrate. Io ho raccontato che conoscevo un siriano, un teologo siriano che è morto, quello che ha fatto l’edizione critica di Sant’Efrem in italiano. Una volta, parlando delle diaconesse – quando io venivo, alloggiavo in Via della Scrofa e lui abitava lì – a colazione, mi ha detto: “Sì, ma non si sa bene cosa erano, se avessero l’ordinazione…”. Certamente c’erano queste donne che aiutavano il vescovo; e lo aiutavano in tre cose: la prima, nel Battesimo delle donne, perché c’era il Battesimo per immersione; la seconda, nelle unzioni pre e post battesimali delle donne; e la terza – questo fa ridere – quando c’era la  moglie che andava dal vescovo a lamentarsi perché il marito la picchiava, il vescovo chiamava una di queste diaconesse, la quale vedeva il corpo della donna per trovare lividi che provassero queste cose. Ho detto questo. “Si può studiare?” - “Sì, io dirò alla [Congregazione per la] Dottrina della Fede che si faccia questa Commissione”. Il giorno dopo [sui giornali]: “La Chiesa apre la porta alle diaconesse!”. Davvero, mi sono un po’ arrabbiato con i media, perché questo è non dire la verità delle cose alla gente. Ho parlato con il Prefetto della [Congregazione per la] Dottrina della Fede, che mi ha detto: “Guardi che c’è uno studio che ha fatto la Commissione Teologica Internazionale negli anni Ottanta”. Poi ho parlato con la presidente [delle Superiore Generali] e le ho detto: “Per favore, mi faccia arrivare una lista di persone che Lei crede che si possa prendere per fare questa Commissione”. E mi ha inviato la lista. Anche il Prefetto mi ha inviato la lista, e adesso è lì, sulla mia scrivania, per fare questa Commissione. Io credo che si sia studiato tanto sul tema nell’epoca degli anni Ottanta e non sarà difficile far luce su questo argomento. Ma c’è un’altra cosa. Un anno e mezzo fa, io ho fatto una commissione di donne teologhe che hanno lavorato con il Cardinale Ryłko [Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici], e hanno fatto un bel lavoro, perché è molto importante il pensiero della donna. Per me la funzione della donna non è tanto importante quanto il pensiero della donna: la donna pensa in un altro modo rispetto a noi uomini. E non si può prendere una buona decisione, buona e giusta, senza sentire le donne. Alcune volte, a Buenos Aires, facevo una consultazione con i miei consultori, li sentivo su un tema; poi facevo venire alcune donne e loro vedevano le cose con un’altra luce, e questo arricchiva tanto, tanto; e poi la decisione era molto, molto feconda, molto bella. Io devo incontrare queste donne teologhe, che hanno fatto un buon lavoro, che si è però fermato. Perché? Perché il Dicastero per i laici adesso cambia, si ristruttura. E io aspetto un po’ che ciò avvenga per continuare questo secondo lavoro, quello delle diaconesse. Un’altra cosa circa le donne teologhe – e questo io vorrei sottolinearlo –: è più importante il modo di capire, di pensare, di vedere le cose delle donne che la funzionalità della donna. E poi ripeto quello che dico sempre: la Chiesa è donna, è “la” Chiesa. E non è una donna “zitella”, è una donna sposata con il Figlio di Dio, il suo Sposo è Gesù Cristo. Pensi su questo e poi mi dice cosa pensa…

Padre Lombardi:

Allora, dato che ha parlato delle donne, facciamo fare un’ultima domanda ad una donna; dopo, ne faccio una e concludiamo…. Così dopo un’ora La lasciamo in pace. Cindy Wooden, che è responsabile di Cns, che è l’Agenzia cattolica degli Stati Uniti.

Cindy Wooden – Cns:

Grazie Santità. Nei giorni scorsi, il Cardinale tedesco Marx, parlando ad una grande conferenza molto importante a Dublino, sulla Chiesa nel mondo moderno, ha detto che la Chiesa cattolica deve chiedere scusa alla comunità gay per aver marginalizzato queste persone. Nei giorni successivi alla strage di Orlando, tanti hanno detto che la comunità cristiana ha qualcosa a che fare con questo odio verso queste persone. Cosa pensa lei?

Papa Francesco:

Io ripeterò la stessa cosa che ho detto nel primo viaggio, e ripeto anche quello che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: che non vanno discriminati, che devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente. Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi – diciamo – di comportamento politico, certe manifestazioni un po’ troppo offensive per gli altri. Ma queste cose non c’entrano con il problema: se il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio, chi siamo noi per giudicarla? Dobbiamo accompagnare bene, secondo quello che dice il Catechismo. E’ chiaro il Catechismo! Poi ci sono tradizioni in alcuni Paesi, in alcune culture che hanno una mentalità diversa su questo problema. Io credo che la Chiesa non solo debba chiedere scusa – come ha detto quel Cardinale “marxista” [Cardinale Marx] – a questa persona che è gay, che ha offeso, ma deve chiedere scusa anche ai poveri, alle donne e ai bambini sfruttati nel lavoro; deve chiedere scusa di aver benedetto tante armi… La Chiesa deve chiedere scusa di non essersi comportata tante, tante volte… – e quando dico “Chiesa” intendo i cristiani; la Chiesa è santa, i peccatori siamo noi! – i cristiani devono chiedere scusa di non aver accompagnato tante scelte, tante famiglie... Io ricordo da bambino la cultura di Buenos Aires, la cultura cattolica chiusa – io vengo da là! –: da una famiglia divorziata non si poteva entrare in casa! Sto parlando di 80 anni fa. La cultura è cambiata, grazie a Dio. Come cristiani dobbiamo chiedere tante scuse, non solo su questo. Perdono, e non solo scuse! “Perdono, Signore!”: è una parola che dimentichiamo – adesso faccio il pastore e faccio il sermone! No, questo è vero, tante volte il “prete padrone” e non il prete padre, il prete “che bastona” e non il prete che abbraccia, perdona, consola... Ma ce ne sono tanti! Tanti cappellani di ospedali, cappellani dei carcerati, tanti santi! Ma questi non si vedono, perché la santità è “pudorosa” [ha pudore], si nasconde. Invece è un po’ sfacciata la spudoratezza: è sfacciata e si fa vedere. Tante organizzazioni, con gente buona e gente non tanto buona; o gente alla quale tu dai una “borsa” un po’ grossa e guarda dall’altra parte, come le potenze internazionali con i tre genocidi. Anche noi cristiani – preti, vescovi – lo abbiamo fatto questo; ma noi cristiani abbiamo anche una Teresa di Calcutta e tante Terese di Calcutta! Abbiamo tante suore in Africa, tanti laici, tante coppie di sposi santi! Il grano e la zizzania, il grano e la zizzania. Così Gesù dice che è il Regno. Non dobbiamo scandalizzarci di essere così. Dobbiamo pregare perché il Signore faccia in modo che questa zizzania finisca e che ci sia più grano. Ma questa è la vita della Chiesa. Non si può porre un limite. Tutti noi siamo santi, perché tutti noi abbiamo lo Spirito Santo dentro, ma siamo – tutti noi – peccatori. Io per primo. D’accordo? Grazie. Non so se ho risposto… Non solo scusa, ma perdono! 

Padre Lombardi:

Santo Padre, mi permetto di fare io un’ultima domanda e poi La lasciamo andare in pace…

Papa Francesco:

Non mi metta in difficoltà….

Padre Lombardi:

Riguarda il prossimo viaggio in Polonia, a cui stiamo già cominciando a prepararci. E Lei vi dedicherà la preparazione in questo mese di luglio. Se ci dice qualcosa sui sentimenti con cui va verso questa Giornata Mondiale della Gioventù, in questo Giubileo della Misericordia. E un altro punto, un po’ specifico, è questo: noi abbiamo visitato con Lei il Memoriale di Tzitzernakaberd, durante la visita in Armenia, e Lei visiterà anche Auschwitz e Birkenau, durante il viaggio in Polonia. Io ho sentito che Lei desidera vivere questi momenti più col silenzio che con le parole, sia come ha fatto qui, forse anche a Birkenau. Quindi volevo chiederle se ci voleva dire se avrebbe fatto lì un discorso o se preferiva, invece, fare un momento di preghiera silenziosa con una sua motivazione specifica.

Papa Francesco:

Due anni fa, a Redipuglia, ho fatto lo stesso per commemorare il centenario della Grande Guerra. A Redipuglia sono andato in silenzio. Poi c’era la Messa e alla Messa ho fatto la predica, ma era un’altra cosa. Il silenzio. Oggi abbiamo visto – questa mattina – il silenzio…. Era oggi? [P. Lombardi: No, ieri] Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari… Ma i giornalisti è sicuro che ci saranno!… Ma senza salutare questo, questo… No, no. Da solo, entrare, pregare… E che il Signore mi dia la grazia di piangere.

Padre Lombardi:

Grazie Santità. Allora La accompagneremo anche nella preparazione di questo prossimo viaggio e La ringraziamo tantissimo per il tempo che ci ha dedicato. Adesso si riposi un po’, mangi anche Lei… E si riposi anche nel mese di luglio, poi.

Papa Francesco:

Grazie tante! Di nuovo grazie, grazie anche per il vostro lavoro e per la vostra benevolenza.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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