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Il Vicario di Cristo il Papa il suo ruolo e la sua rinuncia (2)

Ultimo Aggiornamento: 01/06/2017 00:02
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06/07/2016 19:36
 
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Due papi come mai nella storia, da vero "stato d'eccezione"



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papi


Ricevo e pubblico.


*


LA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI E L'OMBRA DI CARL SCHMITT


 


di Guido Ferro Canale


Il recente intervento di Mons. Georg Gänswein sulla rinuncia di Benedetto XVI al pontificato ha suscitato clamore e riflessioni soprattutto perché sembrerebbe offrire un supporto alla teoria dei “due papi”. Senza entrare nel dibattito su quest’aspetto, o sulla problematica distinzione tra esercizio attivo e passivo del ministero petrino, vorrei attirare l’attenzione su un punto differente del testo, le cui implicazioni mi paiono meritevoli di approfondimento.


Mi permetto di esordire additando, in primo luogo, il titolo scelto dall’illustre Autore: “Benedetto XVI, la fine del vecchio, l’inizio del nuovo”. Egli lo giustifica in esordio, affermando che egli “ha incarnato la ricchezza della tradizione cattolica come nessun altro; e che – nello stesso tempo – è stato talmente audace da aprire la porta a una nuova fase, per quella svolta storica che nessuno cinque anni fa si sarebbe potuto immaginare”. In altri termini: l’“inizio del nuovo” non lo ravvisa in uno qualsiasi dei molti atti di governo o di magistero, ma proprio nella rinunzia e nella situazione inedita che essa crea.


Situazione che egli non descrive solo nei termini della dicotomia nell’esercizio del ministero. Impiega anche – sebbene in modo meno evidente – un’altra categoria, lo stato di eccezione.


La introduce in maniera obliqua, come riferendo un’opinione altrui: “Molti continuano a percepire ancor oggi questa situazione nuova come una sorta di stato d’eccezione voluto dal Cielo”. Tuttavia, poi, la fa propria, come estendendola all’intero pontificato ratzingeriano: “Dall’undici febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat), rispetto al quale il sobrio cardinale Sodano, reagendo con immediatezza e semplicità subito dopo la sorprendente dichiarazione di rinuncia, profondamente emozionato e quasi preso dallo smarrimento, aveva esclamato che quella notizia era risuonata fra i cardinali riuniti ‘come un fulmine a ciel sereno’”.


La lettura sembra piuttosto chiara: quello di Benedetto XVI diventa un “pontificato di eccezione” in forza della rinuncia e nel momento della rinuncia.


Ma perché l’espressione è riportata anche in tedesco, come "Ausnahmepontifikat"?


In italiano, “pontificato di eccezione” suona semplicemente come “fuori del comune”. Ma il riferimento alla sua lingua materna fa capire che Mons. Gänswein non ha in mente una simile banalità, bensì la categoria dello “stato di eccezione” (Ausnahmezustand).


Una categoria che qualunque tedesco di media cultura associa immediatamente alla figura e al pensiero di Carl Schmitt.


Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. […] Qui con stato di eccezione va inteso un concetto generale della dottrina dello Stato, e non qualsiasi ordinanza d’emergenza o stato d’assedio. […] Infatti non ogni competenza inconsueta, non ogni misura o ordinanza poliziesca d’emergenza è già una situazione d’eccezione: a questa pertiene piuttosto una competenza illimitata in via di principio, cioè la sospensione dell’intero ordinamento vigente. Se si verifica tale situazione, allora è chiaro che lo Stato continua a sussistere, mentre il diritto viene meno” (C. Schmitt, "Teologia politica", in Id., "Le categorie del politico”, Bologna, 1972, pagg. 34 e 38-9).


"Aus-nahme": letteralmente, “fuori-legge”. Uno stato di cose che non può essere regolato a priori e quindi, se si verifica, obbliga a sospendere l’intero ordinamento giuridico.


Un "Ausnahmepontifikat", dunque, sarebbe un pontificato che sospende, in qualche modo, le regole ordinarie di funzionamento dell’ufficio petrino o, come dice Mons. Gänswein, “rinnova” l’ufficio stesso.


E, se l’analogia corre, questa sospensione sarebbe giustificata, o piuttosto imposta, da un’emergenza impossibile ad affrontarsi altrimenti.


In un altro testo, "Il custode della costituzione", Schmitt ravvisa il potere di decidere sul caso di eccezione nel presidente della repubblica di Weimar e lo ritiene funzionale alla custodia della costituzione. Forse questo aspetto del pensiero schmittiano non è pertinente, ma certo dà l’idea della gravità della crisi richiesta da uno stato di eccezione.


Possibile, allora, che un concetto dalle implicazioni simili sia stato impiegato con leggerezza, in modo impreciso, magari solo per alludere alla difficoltà di inquadrare la situazione creatasi con la rinuncia secondo le regole e i concetti ordinari?


Non mi sembra possibile, per tre ragioni.


1) L’improprietà di linguaggio non si presume, a fortiori trattandosi di uno dei concetti più conosciuti di uno studioso che, almeno in Germania, è noto "lippis et tonsoribus".


2) L’enfasi, evidente fin dal titolo, su effetti e portata della rinuncia, che non è certo considerata una possibilità di rara occorrenza ma tranquillamente prevista dal codice di diritto canonico (si consideri che è definita, tra l’altro, “ben ponderato passo di millenaria portata”);


3) I possibili riferimenti alla situazione critica concreta che mi sembra di ravvisare nell’intervento di Mons. Gänswein.


Si consideri quanto egli dice sull’elezione di Benedetto XVI “a seguito di una drammatica lotta”: “Era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a ‘una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie’ aveva contrapposto un’altra misura: ‘il Figlio di Dio e vero uomo’ come ‘la misura del vero umanesimo’.”.


Uno scontro dove, se non in conclave, nel cuore della Chiesa?


Se ne indicano anche i protagonisti. E non è un mistero per nessuno, ormai, che il “gruppo di San Gallo” è tornato in azione nel 2013.


Quanta parte delle difficoltà del pontificato di Benedetto XVI si può spiegare proprio con questo scontro magari sotterraneo, ma incessante, tra chi resta fedele all’immagine evangelica del “sale della terra” e chi vorrebbe prostituire la Sposa dell’Agnello alla dittatura del relativismo? Questo scontro, che non è solo una lotta per il potere, ma semmai una lotta sovrannaturale per le anime, è la ragione principale per cui gli uni hanno amato Benedetto XVI, gli altri lo hanno odiato.


E proseguiamo nella lettura.


“Durante l’elezione, poi, nella Cappella Sistina fui testimone che visse l’elezione come un ‘vero shock’ e provò ‘turbamento’, e che si sentì ‘come venire le vertigini’ non appena capì che ‘la mannaia’ dell’elezione sarebbe caduta su di lui. Non svelo qui alcun segreto perché fu Benedetto XVI stesso a confessare tutto questo pubblicamente in occasione della prima udienza concessa ai pellegrini venuti dalla Germania. E così non sorprende che fu Benedetto XVI il primo papa che subito dopo la sua elezione invitò i fedeli a pregare per lui, fatto questo che ancora una volta questo libro [di Roberto Regoli] ci ricorda.”.


Ma più del “soprattutto mi affido alle vostre preghiere” pronunciato subito dopo l’elezione, non ricordiamo forse l’invito drammatico della messa per l’inizio del ministero petrino: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”? Nella parabola del Vangelo il cattivo pastore non fugge per paura. Fugge perché “è un mercenario, e non gli importa delle pecore”.


Credo, quindi, che Benedetto XVI stesse confessando una paura concreta. E che pensasse a lupi molto concreti. Credo anche che questo spiegasse shock, turbamento e vertigini.


E forse un altro riferimento si trova nell’accenno ad una critica piuttosto frequente: “Regoli non sottace l’accusa di scarsa conoscenza degli uomini che spesso è stata mossa al geniale teologo nei panni del Pescatore; capace di valutare in modo geniale testi e libri difficili e che ciononostante, nel 2010, con franchezza confidò a Peter Seewald quanto trovasse difficili le decisioni sulle persone perché ‘nessuno può leggere nel cuore dell’altro’. Quanto è vero!”.


Quando i lupi sono travestiti da agnelli, o da pastori; quando i loro pensieri non sono stampati su carta e passibili di raffinata analisi teologica; come smascherarli? Come capire di chi fidarsi, e a chi affidare parte dell’autorità sul gregge del Signore?


Per questo, mi sembra che anche la frase “Benedetto XVI era consapevole che gli veniva meno la forza necessaria per il gravosissimo ufficio” acquisti un senso meno anodino e, forse, più sinistro. Gravosissimo sarebbe, l’ufficio, non per la molteplicità di impegni esteriori, senz’altro stancanti, ma per l’estenuante lotta interna. Tanto estenuante che, non sentendosi più in grado di sostenerla…


Forse sto leggendo troppo all’interno di questo testo. Forse Mons. Gänswein ama le immagini colorite o le frasi ad effetto. Di sicuro qualcuno non mancherà di dirlo. E sono il primo ad ammettere che il gusto per l’analisi mi può prendere la mano.


Ma se posso sbagliare nella ricostruzione dell’emergenza concreta, non credo che sia possibile liberare la rinuncia dall’ombra che vi getta quell’espressione pesante come un macigno: "Ausnahme". Non ho evocato io l’ombra di Carl Schmitt: mi sono limitato ad indicare il punto in cui Mons. Gänswein l’ha resa visibile, oserei dire palpabile.


Resta aperto un interrogativo, però: in che modo, in che termini la rinuncia, con l’introduzione del “papa emerito”, costituirebbe una reazione adeguata all’emergenza?


Si può pensare alla forza spirituale dell’esempio di distacco dal potere, o più semplicemente al fatto che l’esercito di Cristo avrebbe avuto un nuovo comandante, non ancora logorato dalla lotta in questione e in grado di condurla meglio. Ma queste ragioni valgono per la rinunzia, non per l’“emeritato”.


Forse, un accenno può emergere dall’affermazione che Benedetto XVI ha "arricchito" il papato “con la ‘centrale’ della sua preghiera e della sua compassione posta nei giardini vaticani”.


La compassione, di questi tempi sarà il caso di ricordarlo, non è la misericordia. In teologia ascetica o mistica, è l’unirsi alle sofferenze di Cristo crocifisso, offrendo sé stessi per la santificazione del prossimo.


Un servizio di com-passione da parte del papa si rende necessario – a mio avviso – solo quando la Chiesa pare vivere in prima persona il Venerdì Santo. Quando debbono riecheggiare le parole amarissime: "Haec est hora vestra et potestas tenebrarum".


Beninteso, con questo non denuncio complotti e non formulo accuse: lo stato di eccezione può essere benissimo “voluto dal Cielo”, dato che le tenebre non avrebbero potere alcuno senza una permissione divina. E noi sappiamo che esiste pure una misteriosa necessità del "mysterium iniquitatis": “È necessario che sia tolto di mezzo ciò che lo trattiene”. A maggior ragione, dunque, rientreranno nel piano di Dio gli anticristi minori e le ore di tenebra.


Io non possiedo né posso offrire risposte certe sulle cause concrete della rinunzia di Benedetto XVI, né sulle ragioni teologiche o personali che possono averlo indotto a definirsi “papa emerito”, meno ancora sui piani soprannaturali della Provvidenza. Ma che oggi gli anticristi siano scatenati – soprattutto quelli che dovrebbero pascere il gregge del Signore – mi sembra incontestabile.


Allora, comunque ci si sia arrivati, è senz’altro tempo di com-passione.


Tempo di opporre la speranza cristiana all’“impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità”, allo “pseudo messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne” (Catechismo della Chiesa cattolica, 675).


Tempo di affrettare con la sofferenza cristiana, l’arma spirituale più potente che ci sia dato impiegare, il momento in cui Iddio interverrà, nel modo a lui noto "ab aeterno", per ristabilire verità, diritto e giustizia.


Kyrie, eleison!


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NOTA BENE !


Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.


Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":


6.7.2016
> "Amoris laetitia". Consigli minimi per non perdere la strada
Li formula il cardinale Ennio Antonelli, che chiede però anche "ulteriori indicazioni da parte della competente autorità". Per ovviare a "rischi e abusi sia tra i pastori che tra i fedeli"




DA LEGGERE, UN VERO CAPOLAVORO!!!!

Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"

Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa 

di Sandro Magister




ROMA, 18 luglio 2016 – La disputa, sempre più accesa, sulla novità assoluta di "due papi" contemporaneamente in essere, uno regnante e uno "emerito", il primo "attivo" e il secondo "contemplativo", ha da oggi un nuovo contendente di assoluto rilievo, il cardinale Walter Brandmüller, che è entrato in campo con un articolo sull'autorevole rivista giuridica on line "Statoechiese.it":

> "Renuntiatio Papae". Alcune riflessioni storico-canonistiche

Brandmüller, 87 anni, tedesco, è un'autorità in materia. È stato per molti anni professore ordinario di storia della Chiesa nell'università di Augsburg. In Vaticano ha presieduto dal 1998 al 2009 il pontificio comitato di scienze storiche. Ed è stato fatto cardinale da Benedetto XVI nel 2010.

È stato uno dei sostenitori più risoluti del pontificato di Joseph Ratzinger. Non ha però accolto pacificamente la sua rinuncia al papato. È sua convinzione, infatti, che simili rinunce siano possibili, ma non tutte siano anche moralmente lecite, cioè orientate al "bonum commune" della Chiesa.

Tanto meno, poi, Brandmüller accetta che il dopo rinuncia abbia la forma che sta assumendo oggi con la figura del tutto inedita di un "papa emerito", con i rischi gravissimi, anche di uno scisma, che ciò a suo giudizio comporta.

Nel suo articolo, Brandmüller neppure usa la formula di "papa emerito". Anzi, definisce "necessaria e urgente una legislazione che definisca e regoli" lo statuto di chi è stato papa.

Qui di seguito è riprodotta quasi integralmente (e senza le note) la quinta e ultima parte dell'articolo del cardinale, con cinque proposte di regolamentazione della figura dell'ex-papa.

Una figura – si vedrà – radicalmente diversa da quella che oggi sta prendendo forma, specie dopo l'esplosivo intervento del 21 maggio scorso, alla Pontificia Università Gregoriana, dell'arcivescovo Georg Gänswein, il segretario di Ratzinger:

> Non un papa ma due, uno "attivo" e uno "contemplativo"

E a maggior ragione Brandmüller è lontanissimo dal condividere anche l'enigmatica definizione di "pontificato d'eccezione" (Ausnahmepontifikat) applicata da Gänswein a quello di Benedetto XVI proprio in virtù della sua rinuncia, con una formula che rimanda alle tesi di Carl Schmitt sullo "stato d'eccezione" come sospensione delle regole ordinarie di governo e come innovazione delle stesse ad opera esclusiva del sovrano, in questo caso successore di Pietro.

Si vedano, in proposito, questi due commenti rispettivamente del canonista Guido Ferro Canale e del vaticanista Aldo Maria Valli:

> La rinuncia di Benedetto XVI e l'ombra di Carl Schmitt

> Ratzinger, Schmitt e lo "stato d'eccezione"

Anche papa Francesco, rispondendo a una giornalista durante il volo di ritorno dall'Armenia, il 26 giugno, ha mostrato di rifiutare l'idea di "quasi un ministero in comune" tra i due papi. Anzi, ha rivendicato unicamente a sé l'esercizio del primato; ha rimarcato "l'obbedienza" promessa dal papa emerito al successore; e non si è trattenuto dal raccogliere e propalare anche lui la "chiacchiera" secondo cui "alcuni sono andati a lamentarsi [da Ratzinger] perché 'questo nuovo papa…', e lui li ha cacciati via":

> Conferenza stampa del Santo Padre…

E poi ancora, in un'intervista sul quotidiano argentino "La Nación" del 3 luglio, Francesco ha asserito che l'abdicazione di Benedetto XVI "non ha avuto a che vedere con niente di personale", in apparente contrasto con quanto dichiarato dallo stesso Benedetto all'atto delle sue dimissioni, che motivò col venir meno delle sue forze:

> Cariño y respeto notable a Benedicto

La questione, insomma, è più che mai incandescente.

Sta di fatto che al termine del suo saggio la conclusione del cardinale Brandmüller  è perentoria: "La rinuncia del papa è possibile e si è fatta. Ma è da sperare che non succeda mai più".

__________



È necessaria una legge che definisca lo statuto dell'ex-papa

di Walter Brandmüller


Un futuro regolamento giuridico della rinuncia papale […] è tanto più difficile quanto la figura di un papa emerito è estranea a tutta la tradizione canonistica-teologica.

La rinuncia del papa è possibile (can. 332 § 2). Ciò non significa che sia senz’altro anche moralmente lecita. Per la liceità ci vogliono motivi oggettivi, istituzionali, orientati verso il "bonum commune Ecclesiae", non motivi personali. Come esempio di rinuncia si può addurre quella di Gregorio XII, fatta nel 1415 per mettere fine allo scisma. Pure Pio VII e Pio XII prepararono delle bolle di rinuncia per l’eventuale prigionia ad opera di Napoleone o di Hitler.

Dal punto di vista pastorale, invece, sembra particolarmente urgente combattere l’errore – ampiamente diffusosi nella situazione creata con la rinuncia di Benedetto XVI – di ritenere che, attraverso la rinuncia, il ministero del successore di Pietro sia spogliato del suo carattere unico e sacro e messo sullo stesso piano di funzioni democratiche temporanee. 

Oggi è urgente il pericolo che questa comprensione secolare-politica del papato porti al punto che d’ora in poi possano essere indirizzate ad un papa, similmente come a detentori di cariche secolari, richieste di dimettersi quando la persona del papa o il suo esercizio dell’ufficio incontra opposizione.

Occorrono intense riflessioni su quali convenzioni di linguaggio e/o quali gesti simbolici ecc. siano necessari per far fronte agli evidenti pericoli e per l’unità della Chiesa. Magari non sarebbe inutile accennare in qualche forma a questo punto particolare, in un futuro testo legislativo.

Come già detto, la rinuncia di un papa presuppone – e al contempo crea – una situazione ecclesiale pericolosissima. Non mancano in questo momento persone o gruppi seguaci del papa rinunciatario i quali, scontenti dell’accaduto, potrebbero minacciare l’unità della Chiesa e persino provocare uno scisma. Sembra, quindi, che un futuro regolamento giuridico della rinuncia papale non possa prescindere da questa prospettiva.

In ogni modo nella situazione precaria di una rinuncia papale è necessaria la scelta della "via tutior". Lasciare, invece, scoperta la notevole "lacuna legis" per ora esistente non significa altro che aumentare le incertezze in un momento pericoloso e di vitale importanza per la Chiesa. 

Anzitutto ha bisogno di integrazione il can. 332 § 2, che stabilisce soltanto che la rinuncia del papa all’ufficio “libere fiat et rite manifestetur”. Il riferimento – ovvio – ai cann. 185 e 186 che regolano generalmente la rinuncia a un ufficio ecclesiastico non è adatto al caso eccezionale della rinuncia del papa. Inoltre non basta la semplice dichiarazione della persona interessata di rinunciare liberamente, perché a seconda delle circostanze quella dichiarazione facilmente potrà essere forzata e quindi la rinuncia invalida.

Da tali situazioni può nascere uno scisma. È, quindi, indispensabile stabilire la modalità per accertare l’effettiva libertà dell’atto. Non basta il richiamo all’atto valido fino a prova contraria, perché – trattandosi del papa – alla rinuncia deve seguire subito l’elezione del successore. Se, in questo caso, fatta l’elezione si presentassero delle prove della mancata libertà della rinuncia le conseguenze sarebbero disastrose. La libertà dell’atto di rinuncia dovrebbe essere confermata, ad esempio, dalla dichiarazione dei capi dei tre ordini cardinalizi.

Infatti si solleva in tale contesto pure la questione di un coinvolgimento del collegio cardinalizio nella rinuncia papale. Già nel caso di san Celestino V i canonisti discutevano su questo problema. […] La stessa decretale "Quoniam" di Bonifacio VIII evidenzia il ruolo dei cardinali nella rinuncia del papa sottolineando che Celestino abbia preso la decisione di dimettersi “deliberatione habita cum suis fratribus cardinalibus… de nostro et ipsorum omnium concordi consilio et assensu”.

Questo ruolo dei cardinali trova un suo fondamento pure nella prassi dei papi i quali a partire dall’undicesimo secolo in molti importanti documenti usarono la formula “de fratrum nostrorum consilio”. A ciò corrisponderà l’uso della sottoscrizione dei cardinali “qui actui interfuerunt” sui documenti relativi. Ancora oggi – per esempio – prima di canonizzare i santi i singoli cardinali vengono invitati ad esprimere i loro voti a proposito.

Lo stesso san Giovanni Paolo II invece parlò addirittura – cosa problematica, anzi impossibile – di sottomettere una eventuale rinuncia al giudizio dei cardinali.
Certamente nel caso di un’eventuale rinuncia la proposta dell’audizione – nella forma da stabilire – non può essere una "conditio sine qua non" per la validità dell’atto del pontefice. Ma anche se si trattasse di una venerabile consuetudine o prassi non potrebbe essere facilmente trascurata.

Per tutto ciò è necessaria e urgente una legislazione complementare che definisca e regoli:

1. Lo status dell’ex-papa. Nella storia si possono ritrovare, se non proprio dei precedenti, dei casi analoghi per una soluzione. Gli antipapi Giovanni XXIII (Baldassare Cossa) e Felice V (Amedeo di Savoia) dopo la loro riconciliazione vennero subito creati cardinali. Analogamente dopo la sua rinuncia un ex-papa subito potrebbe essere creato cardinale ma certamente senza diritto elettorale attivo o passivo.

2. Pure la denominazione del dimissionario dev’essere definita. Per evitare l’apparenza dell’esistenza di due papi pare conveniente riprendere il nome di famiglia. Sotto lo stesso profilo andrebbe regolato il vestito.

3. Di non poca importanza è anche il domicilio da assegnargli ed il sostentamento del dimissionario.

4. Un problema particolare è il regolamento degli eventuali suoi contatti sociali e mediatici, in modo tale che da una parte venga rispettata la sua dignità personale, dall’altra venga escluso ogni pericolo per l’unità della Chiesa.

5. Alla fine ci vorrebbe pure un cerimoniale per il defunto dimissionario che non può essere quello previsto per un papa.

Questi sarebbero dei punti da chiarire "de lege ferenda".

Occorrerebbe, comunque, una visione teologica e canonistica approfondita del ministero petrino, atta a suscitare nei fedeli una vera venerazione del ministero e della persona del sommo pontefice successore dell’apostolo san Pietro, motivata da autentica fede.

Del resto, riprendendo il giudizio sopramenzionato: la rinuncia del papa è possibile e si è fatta. Ma è da sperare che non succeda mai più.

__________


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[Modificato da Caterina63 18/07/2016 23:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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