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Brevi meditazioni dai Padri, dai Santi e Dottori della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2018 20:39
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26/04/2017 17:44
 
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3. SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE


 


Nacque nel 1090, a Fontaine, vicino a Digione (Francia), in una famiglia nobile della Borgo­gna, e morì a Chiaravalle il 21 agosto 1153. Già da giovane manifestò una speciale devozione alla Beata Vergine e nessuno ha mai parlato in maniera più sublime di lui della Regina dei Cieli. Dopo l’immissione nell’Ordine benedettino, nel 1116 fondò una nuova comunità nella Valle d’Assenzio, o Valle dell’Amarezza, nella Diocesi di Langres. Bernardo la chiamò Claire Vallée, da Clairvaux (Chiaravalle). Durante l’assenza del Vescovo di Langres, Bernardo fu investito come Abate da Guglielmo di Champeaux, Vescovo di Châlons-sur-Marne, che vide in lui l’uomo predestinato, servo di Dio. Da quel momento, una forte amicizia nacque tra l’Abate e il Vescovo, che fu professore di teologia a Notre Dame a Parigi e fondatore del convento di San Vittore.


Nel 1119 Bernardo partecipò al primo Capitolo Generale dell’Ordine, convocato da Stefano di Citeaux. Sebbene non ancora trentenne, Bernardo fu ascoltato con la massima attenzione e rispet­to, specialmente quando espose i suoi pensieri circa la rivitalizzazione dello spirito primitivo di regolarità e fervore in tutti gli ordini monastici. Nel 1120 Bernardo scrisse il suo primo libro Da Gradibus Superbiae et Humilitatis e le omelie De Laudibus Mariæ. Inoltre in questo periodo scris­se la sua opera su Grazia e Libero Arbitrio. Nel 1128 Bernardo partecipò al Concilio di Troyes, dove indicò le linee generali della Regola dei Cavalieri Templari, che ben presto divennero l’ideale della nobiltà francese. Bernardo li lodava nel suo De Laudibus Novæ Militiæ, indirizzato a Hughes de Payns, primo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio e Priore di Gerusalemme (1129). Quest’opera è un elogio dell’ordine militare fondato nel 1118 e un’esortazione ai cavalieri a com­portarsi con valore nella loro condizione.


Nel 1139 Bernardo ricevette la visita a Chiaravalle di San Malachia, metropolita della Chiesa d’Irlanda, e si stabilì tra loro una stretta amicizia. San Malachia avrebbe volentieri preso l’abito cistercense, ma il Sommo Pontefice non avrebbe dato il suo permesso; tuttavia, egli morì a Chia­ravalle nel 1148.


Nel 1145 Papa Eugenio III incaricò Bernardo di predicare una nuova Crociata, per la quale concesse le stesse indulgenze che Urbano II aveva accordato alla prima. Gli ultimi anni della vita di Bernardo furono rattristati dal fallimento di tale Crociata, la cui intera responsabilità ricadde su di lui. Egli aveva accreditato l’impresa con i miracoli, però non ne aveva garantito il successo con­tro l’inganno e la perfidia di coloro che vi parteciparono.


Papa Pio VIII (1832) gli conferì il titolo di Dottore della Chiesa. I cistercensi l’onorano come solo i fondatori di ordini si onorano, per la meravigliosa ed estesa attività che diede all’Ordine di Citeaux.


 


Nel sermone di cui diamo un estratto, San Bernardo parte da numerose citazioni della Sacra Scrittura che mostrano con crudezza e drammaticità quella guerra santa interiore che è chiamato a fare ogni cristiano. Lo stile marziale e virile del sermone non ci sorprende provenendo dal principale ispiratore dell’Ordine del Tempio con i suoi cavalieri mezzi monaci e mezzi soldati e dal predicatore della seconda Crociata.


Dobbiamo precisare che il termine “carne” usato sia da San Paolo che da San Bernardo così come da molti Padri della Chiesa, non è sinonimo di corpo. La carne, secondo l’antropologia ebraica, designa la persona umana nella sua debolezza, nella sua indigenza privata della Luce dello Spirito. Vale a dire, la carne è l’insieme psicosomatico (corpo e anima individuale), che insieme con lo Spirito (universale) forma la costituzione tripartita umana che sostengono tutte le tradizioni spirituali. Pertanto, qualsiasi ascesi (disciplina) vera deve presentare tanto i sensi corporei quanto le potenze psichiche (memoria, volontà e ragione). È proprio a questa disciplina (fisica e psichica) che fa appello San Bernardo nella sua denuncia delle conseguenze della condotta secondo la carne. Così ci previene di stare in guardia contro i “poteri degli spiriti”, espressione che può riferirsi tanto ai demoni quanto ai cattivi pensieri e ai desideri che scatu­riscono dall’interno dell’uomo. Egli afferma che l’uomo deve diffidare di se stesso, ascoltare la voce di Dio nel suo cuore e discernere tenendo conto della natura e delle conseguenze dei suoi pensieri, parole e azioni.


 


SERMONE XXIII: DEI SETTE SPIRITI [34]



  1. Il maestro dei Gentili, Paolo, prendendo occasione dalla natura spirituale per la quale abbiamo la vita, eccitando i discepoli ad una condotta spirituale, dice: Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spinto[35]. Come se dicesse: Se la carne non giova a nulla, ma è lo spirito che la vivifica, occorre separare ciò che è prezioso da ciò che è vile, e mettere al primo posto la parte più degna, in modo da camminare secondo lo spirito, non secondo la carne. La carne si deve convertire allo spirito, sicché sia essa a servire e non a essere servita, e lo spirito dica al suo servo, il corpo: “Vieni!”, ed esso venga; “fa’ questo”, e lo faccia. Così infatti la no­stra compagna (la carne) sarà come vite carica di frutti, e si salverà per la generazione dei figli[36] che sono le opere buone, se essa sarà negli angoli della nostra casa, cioè in luogo nascosto e umile, e l’anima invece, come padrona, risiederà nel mezzo, come capo-famiglia, come giudice, onde avvenga come è scritto: L’anima mia è sempre nelle mie mani[37]. Maledetto infatti quello spirito che rende peggiore la sua compagna. Maledetto l’uomo che pasce la sterile e non benefi­ca la vedova. E, come attesta l’Apostolo, se vivremo secondo la carne, moriremo, perché quelli che camminano secondo la carne, non possono piacere a Dio, e quelli che seminano nella carne, dalla carne mieteranno corruzione[38]. Se invece con lo spirito mortificheremo le opere della carne, vivremo[39], perché quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio, e coloro che seminano nello Spirito, dallo spirito mieteranno vita eterna.

  2. Prudentemente pertanto, fratelli, e non da stolti, abbiamo scelto per voi una vita spirituale, per cui castighiamo il corpo e lo riduciamo in servitù, e adoriamo Dio, che è Spirito, in spirito e verità. Ma poiché vi sono diverse specie di spiriti, ci è necessaria la discrezione di essi, tanto più che l’Apostolo ci ammonisce non doversi credere ad ogni spirito. Può infatti sembrare ai meno eruditi e a coloro che hanno i sentimenti poco esercitati, che ogni pensiero sia una espressione dello stesso spirito umano, mentre la sicura verità della fede prova che non è così, come lo dimostrano anche le sacre Scritture. Ascolterò, dice il Profeta, non “che cosa dico io”, ma che cosa dice in me il Signore Dio[40]. E un altro Profeta: L’Angelo, dice, che parlava in me, eccetera[41], e dal salmo veniamo a sapere che vengono immesse cose per mezzo di angeli cattivi[42]. Per questo anche l’Apostolo teme che, come il serpente ha sedotto Eva con la sua astuzia, così an­che i cuori dei discepoli ai quali si rivolge siano ingannati da colui, del quale lo stesso Paolo non ignora l’astuzia. Perciò dice: La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e carne, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra[43]. Che ci sia poi uno spirito della carne non buono, lo indica chiaramente l’Apostolo, dove attesta che vi sono certuni gonfi di vano orgoglio nella loro mente carnale[44]. Dichiara anche che c’è lo spirito di questo mondo dove si gloria nel Signore per sé e per i suoi discepoli di non averlo accettato, ma di aver ricevuto lo Spirito di Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato[45].

  3. Questi due sono pertanto satelliti di quel maligno principe delle tenebre, e questo spirito di nequizia domina sia lo spirito della carne, sia lo spirito di questo mondo. Qualunque dunque di questi tre tipi parli allo spirito nostro, non dobbiamo credergli, perché essi hanno sete di sangue, non dei corpi, ma quel che è più grave, del sangue delle anime. Ma poiché hanno tutti una natura superficiale, li conosceremo dalle proposte che ci fanno, e la loro stessa suggestione metterà in chiaro quale sia lo spirito che parla. Lo spirito della carne infatti spinge sempre alla mollezza, lo spirito del mondo alla vanità, mentre lo spirito di malizia dice parole amare. Ogni qualvolta dunque un pensiero carnale viene a importunarci, come capita, per esempio quando, pensando al cibo, alla bevanda, al sonno e ad altre simili cose che riguardano la carne, veniamo presi da un certo desiderio umano, dobbiamo essere certi che in noi parla lo spirito della carne, e allora dobbiamo discacciarlo come un nemico, dicendo: Lungi da me, Satana, perché tu non pensi secondo Dio[46], ma piuttosto la tua sapienza è nemica di Dio. Quando invece si tratta, non degli allettamenti carnali, ma dell’ambizione del secolo, della iattanza, dell’arroganza o di altri pensieri simili, è lo spirito del mondo che parla nei nostri cuori, nemico questo molto più perni­cioso, e da scacciare con maggiore sollecitudine. Ma talvolta questi satelliti voltano le spalle, e lo stesso principe con grande ira, come leone ruggente, insorge contro di noi. È quando siamo spinti, non ai piaceri della carne o alla vanità del secolo, ma all’ira, all’impazienza, all’invidia, all’amarezza. Il demonio s’insinua importunamente per farci notare se qualche cosa è stata fatta o detta poco amichevolmente o con poca discrezione, se in qualche azione o segno ci possa essere occasione di sdegno o materia di sospetto. A tali pensieri bisogna resistere come prove­nienti dal diavolo stesso, e occorre guardarsene come dalla perdizione stessa. Poiché sta scritto: Con la vostra pazienza salverete le vostre anime[47].

  4. Capita tuttavia qualche volta che, il nostro spirito, vinto spesso da qualcuno di questi tre, e divenuto suo schiavo, ahimè!, fa le veci di quello a suo danno, di modo che, anche senza sugge­stione dell’altro spirito, l’anima, da se stessa, concepisce pensieri, o voluttuosi, o vani, o amari. Ora penso che non sia facile discernere quando sia il nostro spirito che parla in noi, e quando invece esso ascolti uno qualsiasi degli altri tre che parla. Ma che importa chi parli, dal momento che dicono tutti la stessa cosa? Che cosa importa conoscere la persona di chi parla, quando si sa che è pernicioso quello che viene detto? Se è il nemico che tenta, resisti virilmente al nemico; se è il tuo stesso spirito che suggerisce il male, sgridalo e piangi miserevolmente perché è precipi­tato in tanta miseria e si è ridotto a tale miserabile schiavitù.

  5. Ogni qualvolta invece la mente viene occupata da salutari pensieri circa la mortificazione del corpo, la conservazione dell’unità, la pratica della carità tra i fratelli o l’acquisto di altre virtù, la loro conservazione, il loro sviluppo, allora è certamente lo Spirito di Dio che parla, o direttamente, o tramite il suo angelo. E a quel modo che è stato detto dello spirito umano e di quello diabolico, così si può dire di quello angelico e divino, e non è facile discernere chi sia che parla, né è pericoloso ignorarlo, specialmente se pensiamo che l’angelo buono non parla mai da se stesso, ma è Dio che parla in lui.

  6. Pertanto, consideriamo ora in quale maniera udire, o piuttosto, con quanta indignazione rigettare le suggestioni di quegli spiriti maligni, stornando i nostri orecchi per non udire il san­gue e la sapienza, che viene dalla carne e dal sangue, prendendo anche fin dall’inizio i piccoli di Babilonia, cioè i pensieri mondani, e sbattendoli contro la pietra, discacciando anche lo stesso maligno con tutte le sue tentazioni dal nostro cuore e riducendolo al nulla. Accettando invece con tutta devozione quei pensieri che ci portano alla giustizia e alla verità, rendiamo grazie alla divina degnazione, né ci capiti di essere trovati un giorno ingrati a così grande benignità, sa­pendo che è lui stesso che parla la giustizia, lui, la cui parola è verità. Com’è temerario infatti, anzi, quanto è cosa sciocca se, mentre ci parla il Signore della maestà, noi non prestiamo ascol­to, e rivolgiamo la nostra attenzione a non so quali inezie! Quale grande ingiuria è questa e di quali castighi meritevole, mentre un vilissimo verme disdegna di ascoltare il Creatore di tutte le cose che si rivolge a lui? Quanto è grande l’ineffabile degnazione della divina bontà, che vede ogni giorno come noi chiudiamo le orecchie e induriamo il cuore, e ciononostante grida verso di noi, e continuamente fa risuonare la sua voce nelle piazze? Veramente nelle piazze, perché nella larghezza della carità. Ecco infatti che tu non hai bisogno dei miei beni, o Signore, e tuttavia dici: Ritornate a me, figli dell’uomo[48]; e di nuovo vai gridando: Ritorna, ritorna, Sunamite; ritorna, vogliamo ammirarti[49].


[1] Isaia, 11, 1-2.


[2] Romani, 7, 15-24.


[3] Romani, 12, 2.


[4] I Corinti, 2, 10-16.


[5] I Tessalonicesi, 5,21.


[6] I Giovanni, 4, 13.


[7] Eresia cristologica che nega l’esistenza di due nature (la divina e l’umana), nella Persona divina del Verbo (Cristo).


[8] Pensieri (non necessariamente cattivi) che turbano la pace dello spirito e fanno capovolgere l’anima del credente.


[9] Esicasmo (da hesychia, tranquillità, pace) è una via iniziatica nella tradizione cristiana ortodossa, mantenutasi sul Monte Athos (Grecia). Il metodo esicasta propone di ricondurre la mente al cuore tramite la quietudine dei pensieri attraverso tecniche respiratorie e la recitazione di una formula che è solitamente la “Preghiera di Gesù”: Signore, abbi pietà di me, peccatore! (Luca, 18, 13).


[10] Cfr. Diadoco, Cento considerazioni sulla Fede, traduzione a cura di Vincenzo Messana, Città Nuova Editrice, Roma, 1978.


[11] Letteralmente “utili”.


[12] Salmi, 33, 9.


[13] Filippesi, 1, 9-10.


[14] Diadoco sottolinea l’importanza della Preghiera di Gesù.


[15] Il ricordo incessante di Dio, unito all’invocazione del Suo santo Nome, appare come fonte di discer­nimento.


[16] Estratti. Cfr. S. Giovanni Climaco, Scala Paradisi, Società Editrice Internazionale, Torino, 1941, a cura del Sac. Pietro Trevisan.


[17] Il termine “discrezione” qui utilizzato nella traduzione del testo di S. Giovanni Climaco, così come in seguito in quella di San Bernardo di Chiaravalle, deriva dal latino discretiònem da discrètus, p.p. di discèrnere, composto dalla particella dis (due volte, esprimente separazione, divisione) e cernere (separare una cosa da un’altra). Vista l’etimologia comune con “discernimento” manteniamo l’utilizzo di questi due termini considerandoli come sinonimi.


[18] Salmi, 69, 2.


[19] Salmi, 118, 42.


[20] Salmi, 79, 7.


[21] Salmi, 38, 10.


[22] Salmi, 38, 2.


[23] Salmi, 118, 51.


[24] Salmi, 41, 2.


[25] Ecclesiaste, 5, 8.


[26] Proverbi, 24, 6.


[27] I Corinzi, 14, 40.


[28] Salmi, 142, 10.


[29] Salmi, 24, 5.


[30] Salmi, 142, 8.


[31] Salmi, 48, 5.


[32] Senso: Il Salmista rivela i suoi segreti alla sua cetra; e tanto più volentieri Iddio li affida all’anima fiduciosa.


[33] Matteo, 7, 7.


[34] Estratto. Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermoni diversi, traduzione di Domenico Turco, Edizioni Vivere In, Roma, 1997.


[35] Galati, 5, 25.


[36] I Timoteo, 2, 15.


[37] Salmi, 118, 109.


[38] Romani, 8, 13; 8, 1-8; Galati, 6, 8.


[39] Romani, 8, 13-14.


[40] Salmi, 84, 9.


[41] Zaccaria, 1, 9.


[42] Salmi, 77, 49.


[43] Efesini, 6, 12.


[44] Colossesi, 2, 18.


[45] I Corinti, 2, 12.


[46] Marco, 8, 33.


[47] Luca, 21, 19.


[48] Salmi, 89, 3.


[49] Cantico, 6, 12.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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