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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Cari Vescovi la Messa non è oggetto di interscambio e non è vostra proprietà

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2016 14:25
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Ed eccoci alla fase successiva: dopo la scristianizzazione e la desacralizzazione, siamo alla fase terminale, laicizzare la Messa. Invitare i Musulmani (che a loro volta si erano autoinvitati quale gesto riparatore allo sgozzamento di Padre Hamel) a partecipare al culto cattolico, quasi fossimo ad un invito a teatro, dove siamo arrivati a riservare i primi posti agli ospiti illustri non cattolici.

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Un articolo del grande mons. Antonio Livi, spiega magnificamente che cosa comporta l’insensata decisione di “aprire” la Messa ai musulmani, vedi qui.

Nel nostro piccolo abbiamo già tentato di dimostrare altri problemi associati alla morte del Sacerdote Padre Jacques Hamel, sgozzato mentre celebrava la Messa –vedi qui, e avevamo anche discusso a riguardo dell’Eucaristia “a tutti i costi”, in previsione di una futura canonizzazione di Lutero, vedi qui. Arrivare così a far  definitivo scempio della Messa, il passo era breve, l’ultima tappa, riteniamo, di ciò che Paolo VI definì “l’autodemolizione della Chiesa“, il suicidio da parte deglinovatores che prendendo il potere dentro il concilio, diedero libero sfogo alla distruzione della Chiesa a cominciare dalla Liturgia, colpendo al Cuore dell’attività sacra della Chiesa.

«Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia» (Giovanni Paolo II – Discorso 6 febbraio 1981).

Siamo sconfortati, dal fatto che un Pontefice così grande e pure canonizzato, che aveva individuato bene la propagazione di vere e proprie eresie, non abbia però fatto nulla per fare nomi e cognomi e denunciarle, condannarle, proprio per proteggere quel gregge che oggi, in mancanza di certe condanne, subisce il peggioramento della situazione, senza nulla poter fare. Naturalmente anche Benedetto XVI, che fece di tutto per correggere gli abusi liturgici e ridiede al Sacro Rito di sempre la sua legittima collocazione nella Chiesa con il Summorum Pontificum, anch’egli non denunciò, chiamandole per nome, quelle eresie che ben si conoscevano. La reticenza sbocciata nelle intenzioni pie, ma vane ed illusorie, di Giovanni XXIII di non voler più condannare, ma far credere che la Chiesa non ha nemici e che tutto va sempre bene, hanno prodotto il resto, ci hanno portato alla laicizzazione della liturgia.

Ma se la Chiesa non ha più nemici… non possiamo non chiederci di cosa sia morto Nostro Signore Gesù CristoChe cosa è stata la Crocifissione e quindi “che cosa è la Messa” per questi pastori… perchè Gesù Istituì l’Eucaristia in un cenacolo a porte chiuse? Non sono solo simbologie. Allora fanno bene gli ortodossi nel fare i Divini Misteri dentro il Sancta Sanctorum, coperti discretamente dai veli…

Santi come il Curato d’Ars, san Padre Pio, sacerdoti autentici, sostenevano che se il prete scoprisse che cosa è davvero la Messa “morirebbe di com-passione, di amore, di dolore…”, ecco perché piangevano durante la Messa, e san Filippo Neri diceva che sentiva il cuore scoppiargli in petto durante la Consacrazione, tanto che dimenticava di essere a Messa, dimenticava persino l’assemblea e si vedeva con Maria e Giovanni, ai piedi della Croce.

In tal senso parliamo di “laicizzazione” della Messa, ossia, privata di ogni senso del sacro e trasformata in incontri interconfessionali, goliardia assembleare, incontri di danza esotica, erotica, di socializzazione. La Messa, un Dono della Crocifissione di un Dio inerme per amore, della quale il Protagonista era Nostro Signore Gesù Cristo attraverso l’Alter Christus, il Sacerdote, è diventata proprietà privata del sacerdote a suo uso e consumo, proprietà dei vescovi, proprietà di un Papa, i quali sono così diventati i protagonisti ed è ovvio che alla fine, ridotta in questo stato, la Messa cambia a seconda degli invitati, degli ospiti, dei protagonisti.

Se non credete a ciò che diciamo, fate voi questa prova. Recatevi in un qualsiasi punto della terra ed entrate, durante una Messa, all’interno di una Chiesa cattolica e descriveteci cosa vedrete. Troverete il caos, la Torre di Babele, troverete che in qualsiasi chiesa entrerete ognuno starà celebrando una messa diversa, tanto da dover chiedere: “scusi, ma è una messa cattolica questa?” Le risposte che riceverete saranno le più svariate: “beh sì, è una messa neocatecumenale; è una messa del Rinnovamento carismatico; è una messa della sant’Egidio; no oggi non c’è la messa, questo è un incontro interconfessionale, si prega per la pace; no, no, non è una messa, è un incontro ambientalista, si prega per i vermi in via d’estinzione; o sì, visto che bella? è la cerimonia degli sposi che hanno chiesto di ballare…”.

Tutto questo che è vera eresia, è la laicizzazione della Messa. Lo smembramento del Corpo di Cristo, la vittoria dei demoni nel mondo nel quale, la Chiesa con la Sua Liturgia, era un freno, un’arma contro la loro invasione nel mondo, contro le anime che così possono ora depredare a proprio piacimento. E sono proprio le alte gerarchie della Chiesa che stanno offrendo tutto ciò al demonio, su di un piatto d’argento, naturalmente dopo aver eliminato la patena, o il piattino della Messa che si usava quale prevenzione d’ogni caduta accidentale, durante la Santa Comunione alla bocca.

E del resto, quando un Pontefice regala il sacro Calice ad un pastore luterano, il quale ha rinnegato il sacerdozio consacrato e ha rinnegato la Messa in quanto Sacrificio, e al tempo stesso sempre il Pontefice regala lo stesso Calice ad un Vescovo della Chiesa, dove sta più la differenza? vedi qui. L’offerta di un Calice da parte del Papa è il segno DI COMUNIONE apostolica ed Eucaristica con la Chiesa che lo riceve, cosa rappresenta quando l’offerta viene fatta ad una comunità non cattolica? Ma del resto, quando la Misericordia, che è Dio Incarnato, viene presentato dal cardinale di Stato con un comico, attraverso risate e barzellette…vedi qui, dove pensate si possa arrivare?

È ovvio, allora, che non scandalizzerà questa iniziativa della Messa con i Musulmani che è una vera profanazione della Messa. Come avrete notato tutto è stato fatto per gradi, così da non suscitare l’attenzione dell’80% dei fedeli. Ma noi faremo bene a scandalizzarci, se non altro per cercare di rimanere in qualche modo cattolici!

Amici, la Bibbia e il Corano, non dicono le stesse cose e non portano alle stesse conclusioni, vedi qui. E la pace che si vuole dare al mondo, oggi, non è quella che ha portato Gesù Cristo, pagando di persona, vedi qui.

Noi quanto dovevamo dire, in tutta coscienza, lo abbiamo detto. Vi risparmiamo le PROFEZIE, quella autentica voce del Cielo che per bocca di Santi e Dottori, ci hanno preannunciato la fine della Messa Cattolica, lo stravolgimento del Culto Eucaristico, la profanazione del Tabernacolo. In una di queste si legge che durante la visione, non vedeva più il Tabernacolo, l’anima prediletta del Signore si chiedeva che fine avesse fatto, e si accorse che era stato tolto dalla Chiesa dove dava fastidio, per essere così riposto in un luogo che non avrebbe dato fastidio agli “ospiti” non cattolici: chiese ridotte a TEATRI, migliaia di Eucaristia, Ostie Consacrate, ridotte ad oggetto di superstizione o come talismani “passate da mani a mani” dove nessuno crede più alla divina Presenza, ma lo accolgono come spirito di un morto…

Ricordiamo che fin dal primo secolo, ai catecumeni (coloro che adulti si convertivano) non era permesso restare alla Messa per i Divini Misteri, venivano allontanati proprio per far maturare in loro il vero desiderio della conversione. Ed è inaudito e ipocrita che per certi versi si pretenda di tornare ad un archeologismo storico del cristianesimo, dimenticando poi queste realtà dottrinali.

Vogliamo concludere con queste parole dolorose di mons. Livi, che facciamo nostre e che supplichiamo i Vescovi di riflettere per il vero bene delle Anime e della Santa Chiesa:

«È inutile far finta di non sapere (lo sanno tutti) che i musulmani che si vogliono invitare a partecipare alla santa Messa professano una fede religiosa che è non solo diversa ma esplicitamente contraria alla fede cattolica. I musulmani non accettano in alcun modo quelli che sono i fondamentali misteri della fede cattolica che nella Messa si celebrano, anzi, li considera bestemmie contro l’unico Dio, e sono sempre in qualche modo ostili a noi che siamo, ai loro occhi, gli infedeli, gli idolatri.

Che cosa si spera dunque di ottenere dall’ingresso dei musulmani nelle nostre chiese quando viene celebrata la Messa? Nessuno di loro penserà di entrare in luogo sacro, dove si svolge una funzione sacra e si adora il vero Dio in tre Persone, dove si celebra sacramentalmente il sacrificio redentore del Figlio di Dio per la remissione dei nostri peccati. Nessuno di loro, entrando in chiesa, si farà il segno della Croce con l’acqua benedetta (un sacramentale che prepara i fedeli all’atto penitenziale e alla degna ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia). Nessuno di loro si inginocchierà al momento della consacrazione per adorare il Santissimo Sacramento dell’Altare. Soprattutto, nessuno di loro ascolterà l’omelia del sacerdote celebrata come commento liturgico al Vangelo di Gesù Cristo proclamato nella Messa: al massimo, la potranno considerare come qualcosa di analogo (e di contrario) ai sermoni del loro imam.

A che pro tutto questo? Per il bene del dialogo inter-religioso? Per la pace nel mondo? Sono tutti risultati che corrispondono a una pia illusione irenista.Quello che realmente ne risulterà è un’empia profanazione della Santa Messa, del luogo sacro dove essa viene celebrata e della persona sacra del celebrante, che sull’altare è Cristo stesso, in quanto presta la voce e i gesti a Cristo sommo ed eterno Sacerdote, che si fa Vittima perla nostra salvezza.

E se qualcuno, leggendo queste poche righe, penserà che qui si dà troppa importanza al dogma e che quello che conta è la pastorale e l’azione ecumenica, ebbene, sappia che è vittima di accecamento prodotto dalla falsa teologia e dai cattivi pastori. La fede della Chiesa è quella che ho ricordato; nessun Concilio e nessun papa l’ha voluta cambiare, né avrebbe potuto. E sappia che nessuna pastorale e nessuna iniziativa ecumenica raggiunge i suoi veri scopi se ignora o contraddice il dogma».



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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 e se qualcuno non fosse convinto, ecco altre riflessioni serie:

Musulmani nelle chiese cattoliche?

Posso dirlo? Ho trovato molto rispettosa, dignitosa e coerente la scelta dei musulmani che hanno deciso di non andare nelle chiese cattoliche per manifestare la loro contrarietà al terrorismo di matrice islamica e la loro solidarietà ai cristiani. Sì, avete capito bene: ho detto la scelta di non andare. Perché dico che è stata una scelta rispettosa, dignitosa e coerente?

Per rispondere occorre pensare a che cosa è una chiesa cattolica. Non un semplice luogo di incontro, non una sorta di sala della comunità, nemmeno un luogo di preghiera. No, la chiesa, qualunque chiesa cattolica consacrata,  è molto di più: è la casa di Dio, degli uomini che credono in Dio e del Figlio di Dio, Gesù, che lì è veramente presente nel tabernacolo. È dunque luogo massimamente sacro, perché segnato dalla presenza reale di Cristo.

Mi vengono mente alcune parole di Benedetto XVI. Fanno parte di un’omelia pronunciata il 10 dicembre 2006 e dicono così: «La Parola di Dio non è soltanto parola. In Gesù Cristo essa è presente in mezzo a noi come Persona. Questo è lo scopo più profondo dell’esistenza di questo edificio sacro: la chiesa esiste perché in essa incontriamo Cristo, il Figlio del Dio vivente. Dio ha un volto. Dio ha un nome. In Cristo, Dio si è fatto carne e si dona a noi nel mistero della santissima Eucaristia. La Parola è carne. Si dona a noi sotto le apparenze del pane e diventa così veramente il Pane di cui viviamo. Noi uomini viviamo della Verità. Questa Verità è Persona: essa ci parla e noi parliamo ad essa. La chiesa è il luogo d’incontro con il Figlio del Dio vivente e così è il luogo d’incontro tra di noi».

Sono concetti molto chiari e non hanno bisogno di commenti. Voglio solo aggiungere un altro pensiero, sempre di papa Ratzinger, riguardante il luogo nel quale si svolge il sacrificio eucaristico, ovvero l’altare. Benedetto XVI ne parlò il 21 settembre 2008 nella messa, con dedicazione dell’altare, celebrata nella cattedrale di Albano:  «Nella liturgia romana il sacerdote, compiuta l’offerta del pane e del vino, inchinato verso l’altare, prega sommessamente: “Umili e pentiti accoglici, Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te”. Si prepara così ad entrare, con l’intera assemblea dei fedeli, nel cuore del mistero eucaristico […]. L’altare del sacrificio diventa, in un certo modo, il punto d’incontro fra Cielo e terra; il centro, potremmo dire, dell’unica Chiesa che è celeste ed al tempo stesso pellegrina sulla terra, dove, tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, i discepoli del Signore ne annunziano la passione e la morte fino al suo ritorno nella gloria».

Ora è più chiaro perché condivido la scelta di quei musulmani che hanno deciso di non entrare nelle chiese cattoliche. Il motivo è molto semplice: Gesù per i musulmani non è oggetto di venerazione. Il Corano lo considera infatti un grande profeta, famoso per i suoi miracoli, ma la venerazione è riservata esclusivamente a Maometto. Non solo. Il Corano nega decisamente, e condanna, l’idea che Gesù sia figlio di Dio. «I versetti contro la trinità – osserva un islamista serio e competente come il padre Samir Khalil Samir  –  sono molto chiari e non hanno bisogno di tante interpretazioni». Per molti musulmani i cristiani, proprio a causa della Trinità, sono politeisti o falsi monoteisti. Oltre a negare totalmente la divinità di Cristo, il Corano nega la redenzione:  addirittura vi si afferma che Gesù Cristo non è morto in croce, ma è stato crocifisso un suo sosia. Il Corano e i musulmani, in poche parole, negano i dogmi essenziali del cristianesimo: Trinità, incarnazione, redenzione.

Stando così le cose, per un musulmano non entrare in chiesa, ma pregare altrove, è dunque un segno di grande coerenza e rispetto. Un segno che, fra l’altro, ci aiuta a ricordare che una chiesa cattolica è qualcosa di ben diverso da una moschea. Quest’ultima, infatti, non è propriamente un luogo di culto, ma un luogo di incontro per i membri della comunità, un luogo nel quale non solo si prega ma si ricevono direttive di vario tipo: morale, sociale, anche politico. Un luogo nel quale non si celebra un culto nel senso cristiano del termine, anche perché non vi è alcun amministratore del culto consacrato a questo scopo. Pensare di accogliere i musulmani in una chiesa come se la chiesa fosse la “moschea dei cattolici” significa, quindi, fare soltanto una grande confusione e non rispettare le differenze.

Un teologo come monsignor Antonio Livi è arrivato a sostenere che la presenza di musulmani in chiesa è, letteralmente, assurda: non ha senso. Non lo ha perché i musulmani non credono nei misteri cristiani che in una chiesa cattolica sono celebrati alla presenza reale di Cristo. Non lo ha perché i musulmani, sono ancora parole di monsignor Livi, «professano una fede religiosa che è non solo diversa ma esplicitamente contraria alla fede cattolica». È un giudizio che può suonare duro per le nostre orecchie abituate al politicamente corretto, ma è indubitabile.

Aggiungerò che, considerato quanto ho cercato di spiegare (e che per un cattolico, tutto sommato, dovrebbe essere evidente), pensare che la presenza di musulmani in una chiesa non costituisca un problema tradisce un’idea protestante, non cattolica, della chiesa stessa. Sono i protestanti che hanno «desacralizzato» la chiesa riducendola a luogo di incontro della comunità dei fedeli.

Sui giornali ho letto diverse testimonianze di semplici fedeli musulmani che, decidendo di non entrare in chiesa ma di pregare nei loro luoghi abituali di incontro, hanno espresso non disprezzo per i cattolici, ma profondo rispetto. Di questo li dobbiamo ringraziare, perché anche nel campo religioso viviamo in un tempo di grande confusione e approssimazione, un tempo dominato dall’appiattimento e dall’incapacità di distinguere le peculiarità.

Ma tu, potrà osservare qualcuno, in questo modo neghi la possibilità di esprimere concretamente il senso di fratellanza, così importante in questa fase nella quale siamo tutti minacciati dagli estremismi violenti. Rispondo che non è così. Il senso di fratellanza si può esprimere molto bene, molto meglio, evitando confusioni e approssimazioni. «Ciascuno a casa propria» può sembrare una formula brutta, non solo sgarbata ma anche portatrice di divisione, ma se la giudichiamo così è, appunto, perché non siamo più abituati a distinguere, perché siamo tutti sottoposti al dogma del livellamento. Invece le differenze ci sono, sono importanti e vanno conosciute. Solo conoscendole, solo tenendone conto, si può sviluppare, sempre che ce ne sia la volontà, un vero dialogo. In caso contrario c’è solo un vacuo parlarsi addosso.

Qualcuno potrà anche obiettare che ragionare così significa non essere al passo con i tempi e con l’esigenza, tanto pressante, dell’accoglienza. Per rispondere non starò a farla lunga. Mi basta un pensiero del buon vecchio Chesterton: «Il novanta per cento di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori».

 

Aldo Maria Valli


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/08/2016 09:34
 
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 e se i laici non vi hanno convinto, ecco il parere di un monsignore e di un Vescovo.....

Musulmani a Messa: un atto insensato

di mons. Antonio Livi

da lanuovaBussola 31-07-2016

Un imam davanti alla chiesa di Rouen

Le “reazioni” a questo fatto sono state tante, e alcune corrispondono in pieno alla logica della coscienza cristiana: esecrazione di fronte a un sacrilegio così orribile (profanazione di un luogo sacro e aggressione di una persona sacra nel momento stesso in cui svolgeva il rito più sacro), preghiera e e opere di riparazione e al sentimento di venerazione di fronte alla vittima innocente della violenza anticristiana. Il professor Roberto de Mattei, per esempio, ha subito pubblicato un editoriale nella sua agenzia “Corrispondenza romana” onorando «il primo martire  dell’islam in Europa».

Altre “reazioni” sono invece dissennate. I media di ieri hanno parlato di una decisione che dovrebbe attuarsi già oggi: invitare i musulmani a partecipare alla Messa domenicale assieme ai fedeli cattolici, nelle chiese cattoliche. La proposta, inizialmente avanzata dal mondo musulmano e sposata dal parroco di Saint Etienne, è stata poi approvata (sembra) dall’intero episcopato francese, e per ultimo anche dall’episcopato italiano, il cui portavoce ha detto (e la frase a effetto ha ottenuto il suo scopo, quello cioè di essere citata da tutte le radio, le televisioni, Internet  e i giornali) che «si tratta di un gesto enorme!».

Di “enorme” in questa uscita del portavoce, c’è solo l’insensatezza (che spero non sia davvero di tutta intera la Conferenza Episcopale Italiana) e la stupidità di esprimersi in questo modo di fronte a eventi come quello di cui si sta parlando. Queste dichiarazioni rispondono evidentemente al dettato di una legge non scritta, ma rigorosamente applicata all’unisono da tutti i poteri forti del nostro mondo occidentale, siano essi poteri ecclesiastici che civili (politica, finanza, informazione).

La legge è che non bisogna condannare nulla, ma proprio nulla, se la condanna deve mettere in cattiva luce la religione dell’islam, senza troppo distinguere tra islam considerato moderato e il cosiddetto islam radicalizzato, e senza sottilizzare troppo sulle intenzioni di guerra santa professate dall’autoproclamato Stato islamico. Non bisogna parlare male dell’islam e non bisogna presentare le vittime cristiane dell’islam come vittime e/o come  cristiane. Bisogna parlare d’altro. Meglio tornare a parlare un’altra volta, come da anni, dell’uguaglianza di tutte le religioni, che sono tutte per la pace e non usano mai la violenza per imporsi le une sulle altre. In questa linea di retorica pacifista, l’idea di invitate i musulmani a Messa costituisce una trovata geniale. Così almeno dice (non so se lo pensa davvero) il portavoce della Cei.

Ma c’è un problema. Oltre alla responsabilità istituzionale che obbliga in un certo grado ed entro certi limiti la Chiesa gerarchica a occuparsi di diplomazia inter-religiosa (buon vicinato, rispetto incondizionato per l’altro, silenzio sulle colpe altrui e richiesta di perdono per la proprie colpe, vere o presunte che siano, non importa), c’è anche – ed è la più importante, anzi è quella essenziale, tanto che se manca quella non c’è proprio più Chiesa – la responsabilità di dare a Cristo Gesù, realmente presente «in corpo, sangue, anima e divinità» nell’Eucaristia, il dovuto culto adorazione.

Nelle chiese cattoliche questo culto si dà con la santa Messa e con la “riserva” eucaristica  nel Tabernacolo. Per questo le chiese cattoliche non sono un semplice luogo di incontro della comunità, e quindi non sono qualcosa di analogo alle sinagoghe e alle moschee: sono – in senso proprio, cioè in senso teologico e soprannaturale – la “casa di Dio”. Sono un “luogo sacro”, e la profanazione di un luogo sacro è un orrendo peccato agli occhi di Dio, perché è esattamente il contrario di ciò che Dio ordina nel primo comandamento del Decalogo. Anche il sacerdote cattolico è una “persona sacra”, come la Chiesa ha sempre riconosciuto; è una “persona sacra” per effetto della consacrazione sacerdotale ricevuta nel momento in cui un vescovo gli ha conferito il sacramento dell’Ordine, che imprime nell’anima del soggetto un “carattere” indelebile, come il Battesimo.

E’ vero che il mondo contemporaneo è dominato, nella sua cultura apparentemente egemone, dall’ideologia del secolarismo e dal processo sociale della secolarizzazione, quindi anche dalla smania di dimenticare, anzi di rimuovere ogni forma di presenza del Sacro. E’ vero che molti pensatori protestanti (a cominciare da Paul Tillich) pretendono che anche i cristiani di oggi sappiano accettare la secolarizzazione come un fatto positivo, che addirittura risponderebbe al messaggio cristiano originario; è vero che Martin Lutero ha abolito il sacramento dell’Ordine sacro e che per i luterani i preti cattolici, considerati alla stregua dei “pastori” protestanti, non hanno alcun carattere sacro. 

Ma tutto ciò non toglie che la nostra condizione di cattolici ci impone in termini assoluti (cioè, non in termini relativi a qualche convenienza politica del momento) di professare in ogni luogo e in ogni tempo la nostra santa fede, il cui nucleo fondamentale è il mistero della Santissima Trinità e il mistero dell’Incarnazione del Verbo, che è Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Professare questi misteri della fede non è compatibile con l’invito, rivolto ai musulmani, di riunirsi con i  cattolici nelle chiese cattoliche per manifestare i propri sentimenti di pace. 

Fare opera di pacificazione, di perdono e di ricerca di un’intesa su qualche valore condivisibile è legittimo, anzi doveroso, in quanto corrisponde a quel dialogo inter-religioso che è stato promosso dal Vaticano II con il decreto Nostra Aetate. Ma fare questa opera di pacificazione nel modo che è stato ora prospettato è assurdo. E’ un «gesto enorme», nel senso che è un’enorme (e abnorme) testimonianza di fede al contrario. Alla fine risulta una vera e propria profanazione, la seconda per quanto riguarda la chiesa di Saint Etienne a Rouen, già orribilmente profanata dall’assassinio rituale di un sacerdote cattolico mentre celebrava la Santa Messa.

E’ inutile far finta di non sapere (lo sanno tutti) che i musulmani che si vogliono invitare a partecipare alla santa Messa professano una fede religiosa che è non solo diversa ma esplicitamente contraria alla fede cattolica. I musulmani non accettano in alcun modo quelli che sono i fondamentali misteri della fede cattolica che nella Messa si celebrano, anzi, li considera bestemmie contro l’unico Dio, e sono sempre in qualche modo ostili a noi che siamo, ai loro occhi, gli infedeli, gli idolatri.

Che cosa si spera dunque di ottenere dall’ingresso dei musulmani nelle nostre chiese quando viene celebrata la Messa? Nessuno di loro penserà di entrare in luogo sacro, dove si svolge una funzione sacra e si adora il vero Dio in tre Persone, dove si celebra sacramentalmente il sacrificio redentore del Figlio di Dio per la remissione dei nostri peccati. Nessuno di loro, entrando in chiesa, si farà il segno della Croce con l’acqua benedetta (un sacramentale che prepara i fedeli all’atto penitenziale e alla degna ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia). Nessuno di loro si inginocchierà al momento della consacrazione per adorare il Santissimo Sacramento dell’Altare. Soprattutto, nessuno di loro ascolterà l’omelia del sacerdote celebrata come commento liturgico al Vangelo di Gesù Cristo proclamato nella Messa: al massimo, la potranno considerare come qualcosa di analogo (e di contrario) ai sermoni del loro imam.

A che pro tutto questo? Per il bene del dialogo inter-religioso? Per la pace nel mondo? Sono tutti risultati che corrispondono a una pia illusione irenista. Quello che realmente ne risulterà è un’empia profanazione della Santa Messa, del luogo sacro dove essa viene celebrata e della persona sacra del celebrante, che sull’altare è Cristo stesso, in quanto presta la voce e i gesti a Cristo sommo ed eterno Sacerdote, che si fa Vittima perla nostra salvezza.

E se qualcuno, leggendo queste poche righe, penserà che qui si dà troppa importanza al dogma e che quello che conta è la pastorale e l’azione ecumenica, ebbene, sappia che è vittima di accecamento prodotto dalla falsa teologia e dai cattivi pastori. La fede della Chiesa è quella che ho ricordato; nessun Concilio e nessun papa l’ha voluta cambiare, né avrebbe potuto. E sappia che nessuna pastorale e nessuna iniziativa ecumenica raggiunge i suoi veri scopi se ignora o contraddice il dogma.


«NON SI CONCEDA MAI AI MUSULMANI UNA CHIESA PER IL CULTO, PER LORO È LA PROVA DELLA NOSTRA APOSTASIA»

«Non si conceda mai ai musulmani una chiesa per il culto, per loro è la prova della nostra apostasia»

di Piero La Porta da Il Timone

L’Arcivescovo di Smirne (Turchia), Mons. Germano Bernardini, fece un intervento al Secondo Sinodo di Vescovi d’Europa  il 13 ottobre 1999. Il testo scritto fu consegnato alla segreteria del Sinodo sul problema dell’Islam. Ecco il testo integrale.

«Santo Padre, Eminenze, Eccellenze,
vivo da 42 anni in Turchia, paese musulmano al 99,9%, e sono arcivescovo di Izmir – Asia Minore – da 16 anni. L’argomento del mio intervento è quindi scontato: il problema dell’Islam in Europa ora e nel prossimo futuro. Ringrazio Mons. Pelatre e chi ha già parlato sull’argomento in questo prestigioso consesso, dispensandomi così da lunghi esami e dalle relative interpretazioni.

Il mio intervento è fatto soprattutto per rivolgere al S. Padre un’umile richiesta. Per essere breve e chiaro, prima riferirò tre casi che, data la loro provenienza, reputo realmente accaduti.

  - Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano (ndR, secondo fonti attendibili era Sadat Anwar (1918-1981), presidente della repubblica egiziana dopo la morte di Nasser-1970. Sadat venne assassinato dalla corrente integralista dei Fratelli musulmani, che pensavano invece ad una lotta armata), rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse ad un certo punto con calma e sicurezza: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo».
C’è da crederci perché il “dominio” è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei paesi poveri del Nord Africa o del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei paesi cristiani dell’immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista?

 - In occasione di un altro incontro islamo-cristiano, organizzato come sempre dai cristiani, un partecipante cristiano chiese pubblicamente ai musulmani presenti perché non organizzassero almeno una volta anche loro incontri del genere. L’immancabile autorevole musulmano presente rispose testualmente: «Perché dovremmo farlo? Voi non avete nulla da insegnarci e noi non abbiamo nulla da imparare».
Un dialogo tra sordi? E’ un fatto che termini come “dialogo”, “giustizia”, “reciprocità”, o concetti come “diritto dell’uomo”, “democrazia”, hanno per i musulmani un significato completamente diverso dal nostro.
Ma questo credo che sia ormai riconosciuto e ammesso da tutti.

  - In un monastero cattolico di Gerusalemme c’era – e forse c’è ancora – un domestico arabo musulmano. Persona gentile e onesta, egli era molto stimato dai religiosi che ne erano ricambiati. Un giorno con aria triste egli dice loro: «I nostri capi si sono riuniti e hanno deciso che tutti gli “infedeli” debbono essere assassinati, ma voi non abbiate paura, perché vi ucciderò io senza farvi soffrire».
Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, a un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. Del resto la storia ci insegna che le minoranze decise riescono sempre a imporsi alle maggioranze rinunciatarie e silenziose.
Sarebbe ingenuo sottovalutare o, peggio ancora, sorridere sui tre esempi che ho riferito; a me pare che si dovrebbe riflettere seriamente sul loro drammatico insegnamento.

Non è pessimismo il mio, nonostante l’apparenza. Il cristiano non può essere pessimista perché Cristo risorto e vivente; Egli è Dio, a differenza di ogni altro profeta o preteso tale. La vittoria finale sarà di Cristo, ma i tempi di Dio possono essere molto lunghi, e di solito lo sono. Egli è paziente e aspetta la conversione dei peccatori: nel frattempo invita però la Chiesa a organizzarsi e a lavorare per affrettare l’avvento del suo Regno.

E ora vorrei fare al Santo Padre una proposta seria: organizzare quanto prima se non un Sinodo, almeno un Simposio di vescovi e operatori della pastorale fra gli immigrati, con particolare riferimento agli islamici, allargandolo ai rappresentanti della chiesa riformata e agli ortodossi. La sua organizzazione potrebbe essere affidata alla CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, ndR) che ha in materia una lunga e collaudata esperienza, in collaborazione con la KEK (Conferenza delle Chiese europee, ndR).

Il Simposio dovrebbe servire per approfondire insieme il problema degli islamici nei paesi cristiani, e trovare così una strategia comune per affrontarlo e risolverlo in maniera cristiana e obiettiva. E’ indispensabile trovarsi d’accordo sui principi, ance se poi la loro applicazione varierà secondo i luoghi e le persone. Nulla è dannoso come il disaccordo sui principi!

Termino con un’esortazione che mi è suggerita dall’esperienza: non si conceda mai ai musulmani una chiesa cattolica per il loro culto, perché questo ai loro occhi è la prova più certa della nostra apostasia.
      Grazie. Dixi»

Mons. Germano Bernardini, al termine del Sinodo tornò a Smirne. All’età di 75 anni si ritirò a vita privata. 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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01/08/2016 10:16
 
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Argomento: Islam


 Taqiyya o Kitman: mentire nell’interesse dell’Islam


 


Il concetto islamico di taqiyya per infiltrarsi nei paesi kafir e conquistarli 


Secondo la taqiyya, ai musulmani viene concessa la possibilità di infiltrarsi in Dar-al-Harb(la “casa della guerra”, ovvero i territori non islamici), fingendosi “moderati” per insediarsi nelle città e nei luoghi vitali dei nemici al fine di aprire la strada all’islam. Questi dissimulatori agiscono spesso per conto delle autorità musulmane, e di conseguenza non sono da considerarsi come apostati o come nemici dell’ortodossia islamica.


Costoro sono legittimi mujaheddin, la cui missione è quella di fiaccare la resistenza del nemico e il loro livello di mobilitazione. Uno dei principali obiettivi è quello di causare divisioni tra gli avversari sminuendo le responsabilità dell’Islam (“Oh, ma io non sono religioso”, “Oh, ma quello non è il vero Islam, ti stai sbagliando, c’è così tanta disinformazione”, “oh, ma quella è un’interpretazione sbagliata”, “fratello, l’Islam significa pace, amore”, “hey, leggi questo versetto pacifico“).


La taqiyya è infatti la pratica di mentire nell’interesse dell’Islam.
Lo scopo è quello di ingannare i miscredenti, convincendoli della bonarietà dell’Islam attraverso l’eliminazione di dubbi e preoccupazioni su questa religione, incoraggiando la loro conversione. La taqiyya è alla base della propaganda musulmana presente oggi in Occidente. UNo degli argomenti principali di chi pratica la taqiyya é quello di un Islam che promuove l’uguaglianza dei diritti per le donne.

Tutto questo è concepito con lo scopo di portare più persone possibili alla conversione. Suquesto articolo l’Imam Durham ci fornisce un classico esempio di taqiyya, giacché afferma di sentirsi obbligato dalla sua religione a impedire a un vandalo di distruggere le proprietà di una chiesa o di una sinagoga.
Questo genere di affermazioni vengono diffuse in pubblico con l’intento di presentare aspetti della religione islamica che non riflettono la realtà.
Certamente l’atteggiamento storico dei musulmani verso le chiese e le sinagoghe NON E’ stato quello di proteggerle dal vandalismo ma anzi, piuttosto è stato il contrario.

Simili menzogne, quando i musulmani sono minoranza e deboli politicamente, devono essere proferite in pubblico per presentare l’islam in una luce positiva e tollerante in modo da risultare appetibile agli occidentali e poco criticabile, in modo da far loro credere che l’immagine dell’islam come religione intollerante e violenta è soltanto un mito creato dai razzisti o più semplicemente da che vuol diffamare la Vera Fede.

Questa sorta di santificazione della disonestà è anche giustificata agli occhi di molti musulmani sulla base della diffusa convinzione che chi si oppone all’Islam sta mentendo, perciò è legittimo usare la stessa arma.
Per la maggior parte dei musulmani è assolutamente inconcepibile rifiutare l’Islam, anche se lo si fa sulla base di ragionamenti razionali.
Di conseguenza l’insistere nella miscredenza denota una mancanza di intelligenza o di moralità da parte dell’infedele.

Frithjof Schuon su questo atteggiamento dei musulmani dice:

“Le basi intellettuali e quindi razionali dell’Islam hanno l’effetto nel musulmano medio di provocare la curiosa tendenza a credere che i non musulmani o sappiano che l’Islam è la verità e quindi la rifiutino per pura ostinazione, o siano semplicemente ignoranti riguardo ad esso e quindi possano essere convertiti da spiegazioni elementari; il fatto che qualcuno possa volersi opporre all’Islam con coscienza pulita eccede di gran lunga l’immaginazione musulmana, precisamente perché l’Islam coincide nella loro mente con l’irresistibile logica delle cose.”

Questa testimonianza ci fa capire molte cose che possono essere facilmente osservate da chi ha regolarmente a che fare con i musulmani.
Ci fa capire perché gli argomenti degli apologeti dell’islam sono elementari, quasi fanciulleschi, e perché molte volte questi apologeti si riducano ad insultare l’infedele che li ha confutati.
Ci fa capire inoltre del perché molti musulmani lodino pomposamente la “logica” e la “razionalità” dell’Islam mentre allo stesso tempo difendono la loro fede con ragionamenti circolari e spesso contraddittori.
E’ per questo che i musulmani possono, senza alcuna apparente ironia, affermare che l’Islam è una “religione di pace”, anche quando la testimonianza della storia e delle cronache odierne contraddicono nettamente questa affermazione.
Per molti musulmani l’idea che un infedele possa rifiutare l’Islam a causa di una sincera ricerca della verità è assolutamente inconcepibile.
Per loro la verità dell’islam è evidente, quindi un rifiuto di fronte all’evidenza è motivato dal fatto che l’infedele, con i suoi argomenti confutativi, stia mentendo, ed è persino molto abile a farlo dato che risulta impossibile controbattere in maniera logica a queste “menzogne sull’islam”.
Ed é anche in quesi casi che subentra il ricorso alla taqiyya, per deviare le “menzogne dell’infedele” così che la logica della verità, definita a priori come esclusivamente islamica, possa prevalere.

La taqiyya va al di la del semplice scopo di propaganda.
L’origine etimologica della parola significa “per proteggersi da, per mantenere (se stessi).”
Include quindi anche la dissimulazione da parte dei musulmani nel dare l’idea di non essere religiosi, in modo da non creare sospetti.
Sotto queste mentite spoglie un musulmano, se necessario, può mangiare carne di maiale, bere alcolici, e persino rinnegare verbalmente la fede islamica, fintanto che “non lo intenda nel suo cuore”.
Se il risultato ultimo di una menzogna è percepito dai musulmani come utile per l’islam o utile per portare qualcuno alla “sottomissione” ad Allah, allora la menzogna può essere permessa attraverso la taqiyya.

Il concetto di taqiyyah si trova anche nel Corano:

Che i fedeli non prendano per amici o protettori gli Infedeli al posto dei fedeli: se qualcuno lo facesse, in nulla vi sarà aiuto da Allah: eccetto come precauzione, così che possiate guardarvi da loro. Ma Allah vi avverte di ricordarlo; perché l’obiettivo finale è Allah.” Corano 3:28

In questo versetto si sconsiglia ai musulmani di prendere gli infedeli per amici, a meno che farlo possa essere utile a difendere l’Islam dai suoi nemici (o percepiti come tali), possa prevenire perdite o possa proteggere i musulmani da chi li minacci per la loro fede.
In altre parole, il fine giustifica i mezzi.
Se un musulmano deve dare l’apparenza di non credere nell’islam,  ad esempio andando contro il principio generale di non avere infedeli per amici, in base alla dottrina della taqiyya ció è accettabile.

Teniamo presente che tutto ciò che un musulmano praticante considera come “buono” è tutto ció che contribuisce alla diffusione e il trionfo dell’islam. Un esempio di qualcosa di “buono” é il numero e la posizione dei membri musulmani nelle forze armate Americane, alcuni dei quali sono stati arrestati mentre cercavano di trasmettere informazioni ad al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche islamiche.

 

da: islamicamentando.altervista.org/160/



Taqiyya e Kitman, la santa ipocrisia

Ogni religione che si rispetti dovrebbe proibire di mentire. Maometto si espresse chiaramente circa l’importanza di dire il vero:

«Dovete dire la verità, perché la verità porta alla virtù e la virtù conduce in Paradiso, e colui che cerca sempre il vero alla fine sarà ricordato da Allah come un uomo onesto. Ma astenetevi dal mentire, perché la menzogna porta all’abiezione e l’abiezione conduce nelle fiamme dell’Inferno, e colui che preserva nella menzogna sarà ricordato da Allah come un uomo falso.» (Sahih Muslim – Libro 32, numero 6309)

Eppure l’Islam permette il raggiro e la falsa testimonianza, a condizione che l’obiettivo finale sia la gloria delle fede stessa. Il divieto della menzogna è infatti un principio il cui valore, come molte altre norme dell’Islam, si limita alle relazioni tra i fedeli musulmani. Parlando degli infedeli – e in particolare dei nemici dei musulmani – Maometto enunciò un principio decisamente diverso:

«Guerra è inganno» (Sahih Bukhari – Volume 4, Libro 56, Numero 3030)

Lo stesso Corano predica a sua volta la dissimulazione:

«I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro. Allah vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti. Il divenire è verso Allah.» (3:28)

In altre parole – ammonisce il Corano – i musulmani non devono fare amicizia con i non musulmani se non per guardarsi da loro. Essi si devono fingere amici ma non devono sviluppare un vero sentimento di amicizia.

In un altro versetto dice:

«Quanto a chi rinnega Allah dopo aver creduto – eccetto colui che ne sia costretto, mantenendo serenamente la fede in cuore – e a chi si lascia entrare in petto la miscredenza; su di loro è la collera di Allah e avranno un castigo terribile.» (16:106)

I termini con cui ci si riferisce a questo tipo di menzogna, che il più delle volte consiste nel rinnegare esteriormente la propria fede, è taqiyya. Il principio affine è quello della kitman(“riserva mentale”) e consiste nel dire la verità ma non tutta, allo scopo di portare fuori strada il nemico.

Vari hadith mostrano che il principio della taqiyya veniva messo in pratica già dalla primissima generazione di musulmani:

Narrato da Jabir Abdullah:
Il Messaggero di Allah disse, ‘Chi è pronto ad uccidere Ka’b bin al-Ashraf? Ha proferito parole ingiuriose e ha danneggiato Allah e il Suo Apostolo.’ Maslamah si alzò e disse, ‘Vuoi che sia io ad ucciderlo?’ Il Profeta proclamò, ‘Si.’ Maslamah disse, ‘Quindi permettimi di mentire così che io sia in grado di ingannarlo.’ Muhammad disse, ‘Puoi farlo.’” (Sahih Bukhari – Volume 5, Libro 59, Numero 369)

E’ anche a causa di questa dottrina che un sincero tentativo di “dialogo” con l’Islam diventa estremamente difficile, dal momento che a costituire una delle due parti a confronto c’è qualcuno che, se messo alle strette, può sentirsi autorizzato dal suo stesso Dio a mentire.

Questo principio va tenuto sempre ben a mente quando vediamo in televisione un portavoce dell’Islam professare la sua amicizia verso gli infedeli, la sua lealtà alle leggi dello Stato in cui vive o la natura pacifica e democratica dell’Islam.

Nell’archivio storico di Panorama si può ancora trovare il servizio di Silvia Grilli sul caso del dissimulatore Tariq Ramadan: C’è un islam che vuole convertirci.




Sant'Alfonso parla dell'Islam

“Storia delle eresie” di Sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, Cap. VII – Eresie del secolo VII, ART. I. “Della setta di Maometto”. “Nascita di Maometto e principj della sua falsa religione”. “Del suo Alcorano pieno di bestemmie e d’inezie”.
In questo secolo settimo uscì l’empia setta Maomettana. L’istoria di Maometto già mi trovo di averla scritta nella mia opera della Verità della Fede; ma non voglio qui tralasciare di darne un breve saggio. Maometto fondatore di questa setta micidiale, che ha infettata la maggior parte del mondo cristiano, nacque nell’Arabia all’anno 568, secondo il Fleury, da famiglia illustre.

Morto il padre, fu applicato da un suo zio alla mercatura. Essendo poi in età di 28 anni, fu preso prima per fattore e poi per marito da una vedova nobile e ricca, chiamata Kadia. Fu educato nell’idolatria; ma avanzato nell’età deliberò di mutar religione, e di farla mutare a tutti gli arabi, ch’erano idolatri, con propagare, come dicea, la religione antica di Adamo, di Abramo, di Noè e de’ profeti, fra’ quali annoverava anche Gesù Cristo.
Finse per molto tempo di aver colloquj familiari coll’arcangelo s. Gabriele nella grotta d’Hira, situata poco distante dalla Mecca, ov’egli spesso si ritirava. Nell’anno poi 608, essendo Maometto di 40 anni, cominciò a dichiararsi profeta ispirato da Dio, e per tale si fece tenere a principio da’ suoi parenti e domestici; quindi cominciò a predicare in pubblico nella Mecca, riprovando l’idolatria.

La gente in quei principj poco gli dava orecchio, richiedendo da lui qualche miracolo in prova della sua missione. Rispondeva egli ch’era mandato da Dio non a far miracoli, ma solo a predicar la verità. Con tutto ciò l’impostore nel suo Alcorano vanta d’aver fatto un miracolo, ma molto ridicolo; dicendo che, essendo caduto un pezzo della luna nella sua manica, egli avea saputo racconciarlo: e perciò poi l’imperio dei Maomettani ha l’impresa della mezza luna.

Maometto avea pubblicato che Dio gli avea imposto precetto di non forzare gli uomini a tenere la sua religione; ma trovandosi appresso perseguitato da’ Meccani, dichiarò che Dio gli avea comandato di perseguitare gli infedeli coll’armi, e così propagar la fede; e di poi visse perciò sempre in guerra.
Quindi gli riuscì di farsi signore della Mecca; ed ivi piantò le sede della sua setta, ed ebbe l’intento prima di sua morte di vedere tutte le tribù dell’Arabia fatte sue seguaci.
Maometto compose poi l’Alcorano (Alcoran, cioè la lettura, o come diciamo noi, la scrittura) coll’aiuto, come dicesi, di un certo monaco chiamato Sergio. L’Alcorano è un miscuglio di precetti della legge giudaica e della cristiana, e di altri da esso inventati, confuso poi con molte favole e false rivelazioni.
Egli ammettea la missione di Mosè e di Gesù Cristo. Ammetteva ancora molte parti della nostra sacra scrittura; ma dicea che la sua legge perfezionava e riformava la giudaica e la cristiana. Ma in verità ella discrepava dall’una e dall’altra.

Credeva Maometto esservi un Dio; ma dicea poi nel suo Alcorano molte cose indegne di Dio, mischiate con mille contraddizioni, che si possono leggere nella mentovata mia opera della Fede. Dicea che ogni giudeo o cristiano si salva osservando la sua legge, benché lasciasse una legge per un’altra. Dicea che gl’infedeli staranno per sempre all’inferno; ma che quelli che credono ad un solo Dio, vi staranno solo per qualche tempo e non più di mille anni, e che poi tutti anderanno alla casa della pace, cioè del paradiso.
Ma il paradiso che promettea Maometto, era tale, com’egli se lo figurava, che si vergognerebbero di starvi anche le bestie; poiché questo suo paradiso altri piaceri non dava che sensuali e sozzi. Lascio di scrivere altre inezie dell’Alcorano, che possono leggersi nella citata mia opera.

I Maomettani si radono il capo, come si sa, e vi lasciano una chiocchetta di capelli, e sperano che per quella Maometto potrà cavarli dall’inferno, anche dopo che alcuni di loro vi fossero caduti.
La legge di Maometto permette più mogli sino al numero di quattro, e comanda che almeno se ne prenda una, e concede il ripudio per due volte. Proibisce poi il disputare sopra l’Alcorano e le scritture sacre; e questo fu un ritrovato molto efficace del demonio per fare e seguire a fare una perpetua strage di tante povere anime, acciocché le misere vivessero sempre nella loro ignoranza e così restassero per sempre accecate e perdute.

Finalmente nell’anno 631 morì Maometto in età di 63 anni, avendone regnati nove in circa, dopo aver conquistata quasi tutta l’Arabia, e steso il suo dominio per 400 leghe lontano da Medina tanto a levante, quanto a mezzo giorno.
Lasciò poi Aboubecro uno dei suoi primi discepoli, che fece altri acquisti. Succedettero indi altri capi della setta, chiamati Califfi, che rovinarono l’imperio de’ persiani, e conquistarono la Siria e l’Egitto.



***
“Verità della Fede” di Sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, Parte III, Cap. IV. “Non può esser vera la religione maomettana”.

Vediamo in primo luogo le qualità di Maometto, che stabilì questa religione, diciam meglio questa infame setta che ha mandate tante anime all’inferno. Egli ebbe qualche dote naturale; fu di bello aspetto, d’ingegno penetrante, cortese nel tratto, liberale e grato ai beneficj. Ma all’incontro fu dominato dal vizio della libidine, e perciò tenne da 15 mogli, e più di 24 concubine, fingendo di avere avuto in ciò il permesso da Dio, poiché agli altri non concedeva egli più di quattro mogli; e quindi poi nel suo Alcorano ripose nelle sozzure della carne la massima parte della felicità eterna.

Fu dominato ancora dalla superbia, che lo fece talvolta diventar crudele. Basti sapere che una volta ad alcuni che si avean presi certi suoi cammelli, fece tagliar le mani e i piedi, e cavare gli occhi con un ferro rovente, e poi li fece lasciar così, finché spirassero l’anima.

Vediamo ora che cosa sia l’Alcorano di Maometto, e quali dogmi e precetti ivi s’insegnino.
Alcorano significa lezione, o sia libro di lezione. I titoli del libro sono varj secondo le varie edizioni. Si divide in Sure, o sieno Azoare 114, e le Sure dividonsi in Ayat, cioè segni di diversa lunghezza, che contengono attributi di Dio e precetti o giudizj di cose mirabili, e questi segni terminano col ritmo corrispondente al verso precedente.

L’Alcorano è scritto in lingua pura araba e con eleganza di parole, affettando un modo profetico. Vi sono giudizj, istorie ed esortazioni.
A’ giudizj spettano le leggi così per le cose sacre, preci, pellegrinaggi e digiuni, come per le cose politiche, tribunali, matrimonj ed eredità.
Alle istorie spettano molte narrative, parte prese da’ libri sacri, ma corrottamente, e parte finte, o pur ricavate da’ libri apocrifi e specialmente del Talmud de’ giudei.

Alle esortazioni poi si riferiscono gl’inviti alla nuova religione, alla guerra per difesa di quella, alle preci ed alle limosine, minacciando le pene dell’inferno a’ trasgressori, e promettendo le delizie del paradiso agli osservanti.

Talvolta si finge Dio, o l’angelo che parla: talvolta poi parla lo stesso Maometto o ai Meccani o a’ giudei, o a’ cristiani. Altre volte parlano i beati del paradiso ovvero i dannati dell’inferno: sicché l’Alcorano è una specie di dramma, in cui sono diversi che parlano.

Dicono i Maomettani che l’Alcorano non è composto da Maometto, né da altri, ma solamente da Dio, e da Dio è stato dato a Maometto. In quanto poi al modo e tempo, dicono mille inezie. Altri dicono che l’Alcorano è stato eterno, sempre presente al trono di Dio in una certa tavola, ove stavano scritte tutte le cose passate, presenti e future. Altri dicono che in una certa notte del mese romadan, in cui suppongono che Dio dispone tutte le cose, scese questo libro dal trono divino. Altri dicono che l’arcangelo Gabriele rivelò a Maometto tutto quello che sta scritto nell’Alcorano. Altri dicono che Maometto ricevea da quando in quando alcuni versi, ed egli li facea conservare in una cassa: altri dicono altri spropositi.

Del resto oggi negli esemplari che noi abbiamo dell’Alcorano vi sono molte lezioni varie che variano sentenza. I nostri scrittori dicono che l’Alcorano fu composto da Maometto o tutto da sé, o coll’aiuto di un certo monaco Sergio, o d’altri. Chi poi volesse intender più cose dell’Alcorano circa la sua scrittura, legga Marraccio nelprodromo all’Alcorano (Part. 4. c. 27).

Parlando poi della teologia dell’Alcorano, dee sapersi che questo libro è ripieno d’una farragine confusa di favole, di precetti e di dogmi tutti inetti, fuori di quelli che son presi dalla legge ebraica e cristiana.
Maometto riconoscea per divina la missione così di Mosè, come di Gesù Cristo, come anche riconoscea per legittima l’autorità delle nostre sacre scritture, almeno in più parti, dicendo che le altre sono state corrotte; ond’egli colla sua pretesa religione (che dicea esser la stessa che tennero Mosè e Gesù Cristo) volea riformare e perfezionare così la religione giudaica, come la cristiana. Ma in verità altro non fece che formare una setta che discrepava dall’una e dall’altra.

Maometto credea esservi un Dio, e dalla Sura 4. vers. 17. si ricava che credesse anche la Trinità delle persone nella natura divina: “Neque dicant tres (Deos), Deus enim unus est”.
Credeva esser di fede esservi gli angeli, ma dicea che essi hanno corpo, e sono anche di diverso sesso; Sura 2. e 7.

Diceva ancora essere assegnati due angeli custodi a ciascun uomo, e questi mutarsi ogni giorno.
Dicea di più che vi sono angeli e demonj di diverse specie, chiamati genj, i quali mangiano e bevono, ed anche si propagano e muoiono, ed anche son capaci della futura salute e dannazione.
Vi sono poi nell’Alcorano molte cose indegne di Dio. Ivi si dice (come bestemmiano ancora gli ebrei talmudisti) che Dio fu costretto a dire una bugia, per metter pace tra Sara ed Abramo. Ivi s’induce Dio che giura per li venti, per gli angeli ed anche pei demonj; quando che Dio solo per sé può giurare, non già per le creature.

Di più nella Sura 43 s’induce Dio che prega per Maometto: “Cum Deus et angeli propter prophetam exorent”.
Nella Sura 56 dice Maometto che Dio gli permise di violare un giuramento.
E nella Sura 43 che gli permise di potersi mischiare con qualunque donna anche maritata e consanguinea. Dice poi molte bugie.

Nella Sura 17 scrive che Dio comandò agli angeli che adorassero Adamo, e che tutti gli ubbidirono, fuorché Belzebub.

Dice nella Sura 13 che Maria madre di Gesù è adorata da noi per Dio.
Nella Sura 27 dice ch’egli fu rapito da Dio in cielo per essere ammaestrato de’ misterj.
Nella Sura 25 dice che Iddio ha creato il demonio da un fuoco pestifero. Vi sono poi nell’Alcorano mille contraddizioni.

Nella Sura 11 chiama Gesù Cristo spirito di Dio e suo messo: “Iesus Mariae filius nuntius suusque spiritus”; e poi nega essere Dio, e dice che non è stato crocifisso, ma in suo luogo fu crocifisso uno simile a lui.
Nella stessa Sura 11 dice che ognuno, sia giudeo o cristiano, e benché lasci una legge per un’altra, se adora Dio, ed opera bene sarà amato da Dio, e si salverà; e poi nella Sura 3 dice che i Maomettani si dannano se lasciano la loro legge.

Nella Sura 20 dice che niuno dee sforzarsi alla fede; e poi nella Sura 9 dice che gl’infedeli debbono essere uccisi.

Nella Sura 2 dice che ciascuno può salvarsi nella sua religione, sia giudeo, cristiano o sabaita: “Qui crediderint et iudaei et christiani et sabaitae in Deum, et fecerint bonum, ipsis erit merces apud Dominum”; e poi nella Sura 3 dice il contrario: “Et qui secutus fuerit aliam religionem praeter istam (cioè la maomettana), ipse in futuro seculo erit pereundus”.

I maomettani confessano queste contraddizioni, ma dicono che Dio stesso è stato quello che si è rivocato.
Dicono di più i maomettani che dopo morte nel sepolcro da due persone Moncker e Hakir hanno da essere pesate le opere di ognuno in due coppe di bilancia, che eguagliano la superficie del cielo e della terra.
Dicono poi che vi è il ponte Sorat, dal quale i peccatori cadranno nell’inferno, dove gl’infedeli staranno per sempre; ma quelli che avranno creduto ad un Dio, vi staranno per qualche tempo, ma non più di mille anni, e poi passeranno alla casa della pace; ma prima d’entrare in questa casa beveranno l’acqua della piscina di Maometto perciò i maomettani si radono il capo, e vi lasciano una ciocchetta di capelli, sperando che per quella Maometto potrà cavarli dall’inferno.

Essi sperano che almeno nel giorno del giudizio Maometto colle sue preghiere salverà tutti i suoi seguaci.
Il paradiso poi che promette l’Alcorano, è un paradiso di cui si vergognerebbero anche le bestie: è un paradiso ove non vi sono altri piaceri che sensuali. Dice che ivi sono due orti ornati di alberi, fonti e pomi e donne, e che ciascuno avrà in cielo tante mogli, quante ne avrà avute in questa terra, e l’altre poi saranno concubine.

Ecco come si scrive nella Sura 86 ed 88: “Ubi dulcissimas aquas, pomaque multimoda, fructus varios et decentissimas mulieres, omneque bonum in aeternum possidebunt”. Avicenna maomettano, vergognandosi di tal promessa per la vita eterna, dice che Maometto in ciò avea parlato allegoricamente; ma l’Alcorano in niun luogo ammette questa spiegazione sognata da Avicenna.

In quanto poi ai precetti naturali, l’Alcorano insegna: principalmente la legge della natura; scusa non però coloro che l’offendessero per causa di timore. Ammette (come già si è detto) l’avere più mogli, sino a quattro, purché possa conservarsi la pace con tutte, altrimenti ordina che se ne prenda almeno una, e concede il ripudio per due volte.
Proibisce poi il disputare sopra l’Alcorano e le scritture sacre; e ciò asserisce nelle Sure 22 e 29 essere precetto divino. Per altro con molta accortezza da questo impostore fu dato un tal precetto; giacché tutta la forza della sua legge è nell’ignoranza.

Vi sono di più altre leggi positive di purificazioni, orazioni e limosine: di più del digiuno nel mese romadan e del pellegrinaggio alla Mecca. Si narra da un buono autore che Maometto mettea del grano dentro del suo orecchio, e che avea avvezzata una colomba a venire a beccarlo, affin da far credere agli altri che egli per tal mezzo era ispirato da Dio circa le cose che insegnava. Ed in conferma di ciò due maroniti presso Bayle dicono trovarsi nella Mecca alcune colombe, che dai turchi son rispettate come sacre, credendo essi che discendano da quella che parlava a Maometto.

Sicché non può esser vera la religione de’ gentili, non quella de’ giudei, non quella de’ maomettani: dunque la cristiana è l’unica vera.


***
Appendice (in nota 1 ibid.). Maometto fu arabo di nazione, nacque nella Mecca nell’anno 571. Fu oriundo di famiglia nobilissima. Dopo la morte del padre fu applicato alla mercatura da’ suoi parenti, attesoché prima fu educato in casa del suo avo e poi di un certo suo zio, dal quale di anni 13 fu condotto nella Siria. Ma di là ritornato nella patria d’anni 25, fu preso nella sua età d’anni 28 da una certa vedova nobile e ricca, chiamata Kadia, per suo fattore.

Posto egli in questa condizione più alta cominciò a meditare di mutare e far mutar religione a tutta la sua patria, intendendo di liberare gli arabi dall’idolatria, nella quale egli era stato educato, e di restituire al mondo, come diceva, la religione primiera di Adamo, di Noè, di Abramo, di Mosè ed anche di Cristo, in somma di tutti i profeti del vero Dio; e perciò finse di aver colloquj coll’angelo Gabriele nella grotta d’Hira, che non era molto distante dalla Mecca, dove spesso si ritirava.

Essendo poi d’anni 40, ed essendo stato sino a quel tempo idolatra, si assunse l’officio di profeta, e per tale si fece tenere prima dalla sua moglie e da certi suoi parenti e domestici e poi da un certo Abubekero uomo di grande autorità, coll’aiuto del quale acquistò molti potenti paesani della Mecca. Dopo tre anni adunò in un convito 40 persone con Aly suo cugino, ed allora aprì la sua missione divina, come diceva. Ma da tutti, fuorché da Aly, fu allora deriso.

Egli nulladimanco, non perdendosi d’animo, costituì Aly suo vicario, e cominciò a predicare in pubblico nella Mecca, dove fu a principio udito da’ suoi paesani; ma quando poi si pose a riprovare i loro dei, lo perseguitarono a morte, e solo un certo Abotaleb colla sua autorità e prudenza lo liberò; ma i meccani stabilirono di non avere più commercio né con Maometto, né co’ suoi aderenti.

Egli non però avendo in questo tempo composta già parte dell’Alcorano, spesso provocava i suoi avversarj a formare alcuna parte simile, dicendo che non avrebbero mai potuto comporne un solo capitolo. E richiedendo coloro alcun miracolo della sua missione, rispondea ch’egli era stato mandato da Dio non a far miracoli, ma solo a predicar la verità.

Dicono per tanto i maomettani che il miracolo del legislatore è stata la propagazione della loro legge fatta nella massima parte del mondo. Ma a ciò si risponde che non può dirsi miracolo il vedere abbracciata una legge, per cui si vive più secondo il piacere de’ sensi, che secondo la ragione. Oltreché questa propagazione fu fatta nell’Arabia, ove la massima parte era di gentili, vi erano pochi cristiani, e gli altri erano giudei o eretici ariani e nestoriani, fuggiti colà per gli editti degl’imperatori, ed in tutti poi regnava una somma ignoranza. Un tal miracolo bensì è avvenuto nella propagazione del vangelo, che insegna una legge opposta agli appetiti carnali.

Con tutto ciò Maometto pure vantava di aver fatto un gran miracolo (ma miracolo d’un buffone per la scena): diceva nell’Azoara 64 del suo Alcorano, che essendo caduto un pezzo di luna nella sua manica, egli ebbe l’abilità di racconciarlo: che perciò poi l’imperio de’ turchi porta l’impresa della mezza luna.

Indi, essendo morti la sua moglie Kadia e l’amico Abotaleb, Maometto nell’anno decimo della sua finta missione si vide abbandonato quasi da tutti; onde fu costretto a ritirarsi dalla Mecca in Tayef, luogo distante 60 miglia.
Ma dopo un mese tornò alla Mecca, e si pose sotto la protezione di Al-Notaam Abn-avi.

Nell’anno duodecimo cacciò fuori la favola del suo viaggio notturno in Gerusalemme e di là in cielo; ma questa favola parve così ridicola, che sarebbe rimasto affatto abbandonato da tutti, se un certo Abu-ker non avesse detto ch’egli non poteva negare la sua fede a Maometto. E nello stesso duodecimo anno si strinsero con giuramento a Maometto molti della città di Medina, e tra questi il principe della tribù detta Avos.
Maometto avea dichiarato di non aver altro comando da Dio, che di predicar la verità, ma non di forzare gli uomini a crederlo; ma essendo di poi fuggito da Medina per evitar la morte macchinatagli dai meccani, dichiarò egli il precetto di perseguitare colle armi gl’infedeli, e colle vittorie propagar la fede, e d’indi in poi visse sempre in guerra, alle volte perdendo, ma più spesso vincendo.

Andò appresso con 1400 soldati alla Mecca, ed ottenne una tregua co’ nemici, ma col patto che gli concedessero il potersi con esso arruolare quei che voleano seguirlo.

Scrisse poi lettere al re di Persia, dell’Etiopia e di Roma, e gl’invitò ad abbracciare la sua religione. Indi si fece signore della Mecca: donde avendo scacciata l’idolatria, piantò la sua setta; e nell’anno seguente ricevette gli ambasciatori da tutte le tribù dell’Arabia, le quali, vedendo soggiogata la tribù più potente di tutta la nazione, abbracciarono l’Alcorano.

Finalmente Maometto nell’età di sessentatré anni morì, e si dice morto di veleno.


[Modificato da Caterina63 02/08/2016 16:34]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La Chiesa del sentimento sopra la ragione e la ragione Islam invaderà il mondo



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Nella risposta che il Papa Francesco ha dato sull’aereo, di ritorno dalla Polonia, c’è di tutto e di più, c’è molto soggettivismo, c’è anche la verità, c’è anche il politicamente corretto, c’è anche relativismo, ma c’è anche incoscienza e non prudenza… vedi qui testo ufficiale ed integrale. Naturalmente ci riferiamo in particolare alla nuova descrizione che il Papa ha dato dell’Islam e sarà bene che leggiate integralmente il testo che non posteremo perché abbastanza lungo.


Rimanderemo volentieri alle brevi parole di Sandro Magister – vedi qui – e chiudere tutto per non farci ancora più male, ma che volete farci? O soffriamo fino in fondo, oppure molliamo tutto, ma noi non vogliamo arrenderci e non vogliamo scoraggiarci, lo dobbiamo alle migliaia di Cristiani trucidati in questi tempi cupi, lo vogliamo perché erano e sono nostri Fratelli e Sorelle e lo possiamo fare perché noi crediamo in Cristo Gesù vittorioso. Siamo Cooperatori della Verità proprio con il Papa e per il Papa, per la Chiesa e con la Chiesa, per aiutarci e sostenerci nella Verità. Siamo tutti nella stessa Barca, ci pare, la quale pur sballottata dalle tempeste, ci sollecita (nei Santi e con loro) a tenerci ben saldi, di resistere e di stare attenti piuttosto a non cadere fuori.


Magister titola la sua pregiata riflessione: Mondo sottosopra. Oseremo dire che il cattolicesimo di oggi usa il sentimento sopra la ragione; e la ragione del Corano sta invadendo il mondo. Il Demonio il suo lavoro lo sta facendo assai bene, noi stiamo abiurando al nostro, e da anni. Chissà perché ci viene in mente la brillante opera, oseremo dire quasi profetica, del professor Enrico Maria Radaelli, La Chiesa ribaltata… In una intervista dell’11 settembre 2014, nel presentare il libro, spiegava così:


«Il titolo “La Chiesa ribaltata” vuol essere un segnale d’allarme. In realtà noi sappiamo (v. p. 149 del libro) che la Chiesa non può ‘ribaltarsi’ nel senso compiuto di ‘perdere la propria essenza’. Può però – e ciò sta avvenendo da cinquant’anni – ribaltare l’ordine con cui procede da sempre la virtù di religione su cui essa è imperniata, ordine metodologico ricordato fin dal II secolo dal grande vescovo e martire sant’Ignazio di Antiochia: «La fede è il principio, l’amore il fine» (v. p. 86) sulla base di innumerevoli indicazioni testamentarie (p. es. Gv 14,15: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti», dove la condizione dell’amore a Dio è l’osservanza della sua legge). Il ribaltamento cui mi riferisco è ciò che Romano Amerio (..) affigge con una definizione rigorosa, precisa e appunto metafisica: «dislocazione della divina Monotriade» (R. AMERIO, Iota unum, p. 315 Lindau). Questa «dislocazione» consiste nello spostare la Terza Persona della ss. Trinità sulla Seconda e questa sulla Terza: l’amore al posto del Logos, la volontà prima dell’intelletto, la libertà in luogo della legge, il sentimento sopra la ragione. In tutti i miei libri prima o poi si incontra questa dislocazione di essenze, e in molti essa costituisce il centro metafisico del loro argomentare, qualsiasi sia il loro orizzonte tematico. Ma, riferendomi a questo preciso lavoro sul magistero di Papa Bergoglio – La Chiesa ribaltata –, ci tengo a dire che tutto il libro è una precisa, argomentata e circostanziata denuncia di tale sovversione, rivoluzione, ribaltamento, avvenuta nella Chiesa, nella civiltà, nel mondo…»


Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.

Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.



Il sentimento sopra la ragione“, è detto tutto, tutto ciò che sta accadendo, è la sintesi migliore, ma ancora non basta per comprendere l’amarezza che le parole del Papa hanno suscitato e per due motivi oggettivi associati:


il primo: d’accordo, c’è della verità nelle parole del Papa perché siamo peccatori e siamo colpevoli di ogni nefandezza. Siamo battezzati ma anche capaci di tanta crudeltà, uccidiamo genitori, figli, mogli, mariti, fidanzati e fidanzate, anche i nonni delle volte; stupriamo, rubiamo, abortiamo (la legge sull’aborto la firmarono i cattolici), evadiamo il fisco (per la verità noi qui, no, perdonateci ma è la verità), siamo mondani e ci piacciono le cose materiali. Aggiungeteci dell’altro se volete, ognuno si faccia l’esame della propria coscienza ed evitiamo di comportarci come il fariseo dietro il pubblicano assorto nella preghiera di pentimento E’ una verità che ascoltata così dal Papa fa davvero male, ferisce perché è la verità, e per questo dobbiamo ringraziare il Papa perché, leggerci un poco dentro fa bene a tutti noi.


il secondo, però: e c’è un “però”…. Nell’elenco di tutte le nefandezze che compiamo non è Dio il movente, non è la fede che professiamo, non è in nome di Dio o del Vangelo, non è una guerra santa, ma è proprio quando non viviamo il vero Vangelo che accadono tutte quelle nefandezze. La provocazione del Papa, allora, non è mossa dal Vangelo ma dal sentimento sopra la ragione, è una visione soggettiva dei fatti e che descrive questo ribaltamento dove, il principio di colpevolezza, non ha più un movente o peggio, non importa più il perché avvengano certe nefandezze. Siamo all’appiattimento della ragione. Ma la provocazione del Papa può anche essere mossa semplicemente dal politicamente corretto, o semplicemente perché il fenomeno è più estremamente complesso di quel che si pensi.


La risposta del Papa è politica e religiosa insieme. Mettere insieme il terrorismo islamico con le nefandezze del singolo battezzato non è prudenziale, come afferma di agire Francesco nella risposta, ma è uno scivolone tristissimo, è l’appiattimento delle responsabilità oggettive di ogni singolo crimine, è quel fare di tutt’erba un fascio.


Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.

Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.



Affermare poi che l’Isis non è l’Islam, dimostra delle gravissime lacune culturali da una parte – infatti dice il Papa: “…credo che non sia vero…” – e dall’altra è il politicamente corretto, il sentimento senza la ragione. C’è un aspetto giusto nelle affermazioni del Papa: probabilmente egli non vuole che la responsabilità di una invasione, di futuri massacri, che ci saranno eccome in tutta Europa, ricada proprio sui Cristiani, sui Cattolici in particolare, e questo è comprensibile, ma mai a discapito della verità, di come stanno davvero le cose. E questa verità dei fatti o viene nascosta al Papa, oppure il Papa la conosce ma preferisce ovattarla. Insomma, in fondo non hanno fatto lo stesso con il Terzo Segreto di Fatima?


«Molti dogmi fondamentali dell’islam si oppongono ai nostri principi. Con alcuni, e penso ai musulmani liberali che hanno ormai perso la fede, ci sono accomodazioni possibili. Ma con altri, e mi riferisco a coloro che aspettano il Madhì, non v’è nessuna possibilità di accordo. Escludendo i liberali, i musulmani credono che, giungendo i tempi del Giudizio Universale, verrà il Madhì che proclamerà una guerra santa per stabilire l’islam su tutta la terra, dopo aver sterminato o soggiogato tutti i non-musulmani.»


Queste parole non le abbiamo inventate noi, sono del beato Charles de Foucauld – vedi qui – l’amico dei musulmani, colui che li conosceva molto bene e che Papa Francesco non può ignorare. Dice ancora il beato de Foucauld:


«Secondo la loro fede, i musulmani ritengono l’islam come la loro vera casa e i popoli non-musulmani come destinati a essere sopraffatti da loro o dai loro discendenti. Considerano la sottomissione a una nazione non-musulmana come una situazione transitoria. La loro fede li assicura che usciranno vincitori da questo scontro con gli europei che oggi li dominano. La saggezza consiglia loro di patire con calma questa prova: “Quando un uccello intrappolato si agita, perde le piume e si spezza le ali, invece se resta tranquillo sarà integro il giorno della liberazione”. Loro possono preferire un Paese a un altro, come preferiscono la Francia alla Germania perché ci ritengono più miti; possono intrecciare amicizie con tale o tal’altro francese; possono combattere con grande coraggio per la Francia (..) Aspetteranno con più o meno pazienza il giorno del Madhì, quando allora attaccheranno la Francia.»


Noi, in tutta onestà, vogliamo cercare di comprendere le buone intenzioni del santo Padre Francesco, tuttavia non possiamo ignorare la realtà. Non il sentimento sopra la ragione, ma ragione e sentimento insieme. Restando alle parole di Foucauld, per esempio, guardiamo alla sua opera: egli viveva in mezzo a loro, cercava di comprenderli, e lo ha fatto, ha seminato amore cristiano, non si è lasciato prendere da quella paura che conduce alla schiavitù e all’odio dei sentimenti, ma usava anche la ragione, aveva anche costruito un fortino per difendere la gente dagli attacchi dei predoni, uno di quei tanti attacchi in cui rimase ucciso, ma almeno ci provò a difendere la gente, non nascondeva la verità e faceva appelli alla ragione.


E chi erano questi predoni? Maometto predicava l’adesione radicale ai principi del Corano. A Medina non vi erano mezzi ed attività sufficienti, così i musulmani diventarono ben presto predoni del deserto. Maometto a giustificazione disse che aveva avuto una rivelazione da Dio. La guerra agli infedeli era diventata una guerra santa (la jihad).


Ecco che allora è impossibile per noi accettare le parole del Papa: ” Sì, possiamo dire che il cosiddetto Isis è uno stato islamico che si presenta come violento, perché quando ci fa vedere le sue carte d’identità ci fa vedere come sulla costa libica sgozza gli egiziani, o cose del genere. Ma questo è un gruppetto fondamentalista, che si chiama Isis. Ma non si può dire – credo che non sia vero e non sia giusto – che l’islam sia terrorista.”


A parte il fatto che sono parole contraddittorie: se “possiamo dire che l’Isis è uno stato islamico”, come si può negare che l’Islam sia terrorista? Che non sia giusto affermare che “tutto” l’Islam in quanto riferito alle singole comunità e persone, siano terroristi, è vero, ma se l’Isis è uno stato islamico – come riconosce il Papa stesso – ed usa la jihad, la guerra santa, allora come fa a negare che l’Islam non sia anche l’Isis?


E quando il Papa dice: “Ho avuto un lungo dialogo con il Grande Imam dell’Università di al-Azhar e so cosa pensano loro: cercano la pace, l’incontro…” si sta esprimendo con sentimentalismo, perché dovrebbe conoscere le parole del beato Foucauld: “Escludendo i liberali, i musulmani credono che, giungendo i tempi del Giudizio Universale, verrà il Madhì che proclamerà una guerra santa per stabilire l’islam su tutta la terra, dopo aver sterminato o soggiogato tutti i non-musulmani (..) Aspetteranno con più o meno pazienza il giorno del Madhì, quando allora attaccheranno…”


Quindi ci faccia capire, Santità, per lei le parole del “Grande Imam” hanno più credibilità di quelle di un beato della Chiesa Cattolica? Uno fra i tanti Santi e Beati, perché non è certo l’unico che, ben conoscendo l’Islam, ha spiegato le stesse cose.


Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.

Qualcuno dica a Papa Francesco la verità.



Se oggi esiste il terrorismo islamico, che non è attribuibile solo e soltanto alla religione islamica e si dovrebbe discutere ora di politica, di quella “scorretta”, ma non ne abbiamo lo spazio, è onesto dire che ha con essa, comunque, un qualche rapporto. In tutto il mondo islamico i cristiani vengono oggi uccisi e crocifissi, la diocesi di Mosul è finita, sparita, e non è la sola, ma nessun cattolico ha mai compiuto un attentato terroristico in “nome di Gesù Cristo”…. e se lo facesse sarebbe giustamente dichiarato o folle, o terrorista come, per esempio, lo erano le Brigate Rosse in Italia, gente anche di buona famiglia cristiana…. e sarebbero consegnati alla giustizia, il braccio secolare e la Chiesa si dissocerebbe immediatamente da certe rivendicazioni.


Quindi, i paragoni fatti da Papa Francesco sono inaccettabili, offensivi, umilianti e persino inutili per la causa della vera Pace, Gesù Cristo il Signore, il vero Dio, che non viene mai nominato dal suo Vicario quando parla dell’Islam o all’Islam.


Non facciamoci illusioni, a breve l’invasione sarà completata e quando l’Islam sarà la maggioranza, gli stati ospitanti saranno obbligati ad assumere il Corano quale manuale di legge. Non sappiamo se ci sarà ancora questo Papa o un’altro, un Pietro ci sarà sempre; non sappiamo se ci saremo “noi”, ma altri cattolici ci saranno sempre, chiunque ci sarà dovrà subire gli errori che si stanno commettendo oggi, subire gli effetti devastanti di queste leggerezze con le quali si stanno affrontando questi problemi, subire gli effetti devastanti di anni di lungo silenzio dottrinale dal quale scaturirà un futuro di profonda ignoranza, o peggio, la manipolazione della Sacra Scrittura, come ci ha dimostrato il segretario della Cei, Galantino, e che nessuno ha corretto,vedi qui. O come quando il Papa stesso ha paragonato Vangelo e Corano sulla stessa linea di evangelizzazione, vedi qui.


Papa Francesco ha espresso più volte il desiderio di essere “corretto”, ma ci chiediamo sul serio se davvero egli lo desidera e se davvero ascolta le critiche oneste e filiali, come questo errore, sull’equiparazione tra le violenze dell’Isis con le singole nefandezze compiute da singoli cattolici… In questo può risponderci, forse, solo chi conosce bene Papa Francesco e chi conosce altrettanto bene il complesso mondo Gesuita, specialmente la Compagnia ri-fondata da Padre Arrupe negli Anni ’60. E’ per questi nostri limiti che le nostre riflessioni terminano spesso con molte domande e non arrivano mai a delle conclusioni atte a giudicare il Pontefice, quanto piuttosto preferiamo rimetterci, e con noi anche il Papa nel suo ruolo di Vicario di Cristo in terra, sotto il Manto regale del Cuore Immacolato di Maria, certi del Suo trionfo, come Ella ha promesso. Ma queste certezze che ci provengono dalla fede non ci escludono la dura battaglia per difenderla, vedi qui, il discernimento di ciò che è bene e di ciò che è male, il discernimento per frenare ogni tentativo contro la manipolazione della dottrina e della Scrittura, vedi qui la gravissima profanazione della Messa con i musulmani.


E’ necessario ed urgente ristabilire le priorità, a partire da una autentica evangelizzazione che è il comando perentorio che Cristo Gesù ci ha consegnato come obbligo etico e morale, e non come sentimento opzionale.


“Alla vita dei Santi non appartiene solo la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare in Dio dopo la morte. Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino” (Benedetto XVI – Enc. Deus caritas est, 42).


Laudetur Jesus Christus






Cosa chiese Maria contro l’invasione degli islamici

di Angelo Busetto02-08-2016


Il corteo di barche all'isola di Pellestrina

Giovedì 4 agosto il cardinale Pietro Parolin sarà nell’isola di Pellestrina (Venezia) per i 300 anni dall’Apparizione della Madonna. Ci saranno anche il Patriarca di Venezia e il vescovo della nostra diocesi di Chioggia.
Trecento anni fa, Maria toccò il braccio di un ragazzo di nome Natalino dicendogli di dire al parroco di far celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio “se volemo avere vittoria”. Senza la vittoria della Repubblica veneta nei giorni seguenti il 4 agosto 1716, le nostre donne porterebbero il velo e noi tutti reciteremmo a memoria i versetti del Corano. Invece oggi abbiamo la grazia di portare in trionfo la Madre del Signore Gesù.
Venerata nel santuario di marmo bianco che si specchia sulla laguna di Pellestrina, sùbito innalzato dalla Repubblica Veneta in segno di gratitudine, la bella immagine della Madonna nera dipinta da ignota mano, dal 18 luglio in  poi, esce di casa e inizia il suo percorso di benedizione in tutte le chiese dell'isola. In laguna, centinaia di barche - dalle più piccole ai grandi barconi da pesca - fanno risuonare clakson e trombe. Questa la sua storia. 

 

A Natalino Scarpa, il 4 agosto di trecento anni fa, la Madonna, prendendolo per un braccio, disse: «Vien qua fio, vai dal Piovan, e dighe che a fassa celebrare delle Messe per le aneme del Purgatorio, se volemo avere vittoria» («Vieni qui, ragazzo, vai dal parroco e digli che faccia celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio se vogliamo avere vittoria»). 

Di quale vittoria si trattava? Quella della Repubblica Veneta contro i turchi che invadevano il Mediterraneo e attaccavano le coste dell’Italia, depredando, uccidendo e nel caso migliore costringendo quanti catturavano – uomini e donne – a diventare musulmani. La vittoria pronosticata da Maria, patrocinata dalle Messe che la gente dell’isola di Pellestrina fece subito celebrare, è arrivata qualche giorno dopo, quando Venezia respinse i turchi a Corfù e a Pretervaradino. Non sarebbero bastate le armi a difendere le popolazioni e a garantire la fede cristiana, come non erano bastati gli eserciti a difendere Vienna assediata dai musulmani, quando il Beato Marco d’Aviano celebrò l’eucaristia e proclamò la penitenza e l’assoluzione dei soldati. Non erano bastate le flotte delle navi a Lepanto, quando Pio V proclamò la Madonna Regina del Rosario.

Come si difende la fede? Come si garantisce un popolo? Spezzoni di eserciti europei vanno a inseguire l’Isis nei Paesi che generano il terrorismo, mentre nelle nostre città aumentano i controlli e per le strade si disseminano drappelli sempre più numerosi di forze dell’ordine. La condizione richiesta dalla Madonna dell’Apparizione a un ragazzino di un’isola della laguna veneta, significativamente posta a barriera della città di Venezia sul frontale del mare Adriatico, è quella di celebrare delle Messe, interagendo così attraverso la più grande preghiera cristiana. Non bastano dunque le armi difensive a proteggerci; non bastano le barriere né le più raffinate tecniche investigative. Occorre la preghiera.

Perché? Prima di tutto perché la preghiera ci mette in braccio a Dio. Nella preghiera diventiamo collaboratori di Dio, che non ha scelto di agire da solo. Il Dio dell’alleanza nell’antico testamento e il Dio dell’amicizia nel nuovo testamento ci chiama ad essere suoi partner e collaboratori, e domanda di estendere nel mondo il Regno di pace e di fraternità attraverso la vita e la presenza dei suoi figli-alleati. La preghiera estende la forza e l’efficacia dell’azione di Dio.

In secondo luogo la preghiera raddrizza il nostro cuore e dice a noi stessi e agli altri chi siamo: figli di Dio e fratelli. La preghiera chiarisce e approfondisce la nostra identità, dice la nostra origine e la nostra appartenenza, rende saldo il nostro intendimento e lo scopo della vita, dona libertà e coraggio. Rende veri e saldi. Libera dall’odio, dalla violenza, dalla vendetta e dalla rappresaglia.

La preghiera dunque è la nostra vera vittoria. Potremo vivere o morire, con la preghiera nulla va perduto di quello che siamo, come nel caso dei martiri sorpresi a pregare e di padre Jacques Hamel ucciso mentre celebrava l’Eucaristia. L’invito della Madonna dell’Apparizione al giovane Natalino nello specchio della laguna veneta e sulla scena della storia si ripresenta oggi come l’iniziativa più urgente e più mobilitante per tutto il popolo cristiano, «se volemo avere vittoria».

 


IL «SEGRETO» DI EUSEBIO DI VERCELLI, VESCOVO CHE DIFESE LA VERITÀ CONTRO LE MODE E IL POTERE DEL MONDO

Il «segreto» di Eusebio di Vercelli, vescovo che difese la verità contro le mode e il potere del mondo

Benedetto XVI, udienza generale 17 ottobre 2007

 

Cari fratelli e sorelle,

questa mattina vi invito a riflettere su sant’Eusebio di Vercelli, il primo Vescovo dell’Italia settentrionale di cui abbiamo notizie sicure. Nato in Sardegna all’inizio del IV secolo, ancora in tenera età si trasferì a Roma con la sua famiglia. Più tardi venne istituito lettore: entrò così a far parte del clero dell’Urbe, in un tempo in cui la Chiesa era gravemente provata dall’eresia ariana. La grande stima che crebbe attorno a Eusebio spiega la sua elezione nel 345 alla cattedra episcopale di Vercelli. Il nuovo Vescovo iniziò subito un’intensa opera di evangelizzazione in un territorio ancora in gran parte pagano, specialmente nelle zone rurali. Ispirato da sant’Atanasio – che aveva scritto la Vita di sant’Antonio, iniziatore del monachesimo in Oriente –, fondò a Vercelli una comunità sacerdotale, simile a una comunità monastica. Questo cenobio diede al clero dell’Italia settentrionale una significativa impronta di santità apostolica e suscitò figure di Vescovi importanti, come Limenio e Onorato, successori di Eusebio a Vercelli, Gaudenzio a Novara, Esuperanzio a Tortona, Eustasio ad Aosta, Eulogio a Ivrea, Massimo a Torino, tutti venerati dalla Chiesa come Santi.

Solidamente formato nella fede nicena, Eusebio difese con tutte le forze la piena divinità di Gesù Cristo, definito dal Credo di Nicea «della stessa sostanza» del Padre. A tale scopo si alleò con i grandi Padri del IV secolo – soprattutto con sant’Atanasio, l’alfiere dell’ortodossia nicena – contro la politica filoariana dell’imperatore. Per l’imperatore la più semplice fede ariana appariva politicamente più utile come ideologia dell’Impero. Per lui non contava la verità, ma l’opportunità politica: voleva strumentalizzare la religione come legame dell’unità dell’Impero. Ma questi grandi Padri resistettero difendendo la verità contro la dominazione della politica. Per questo motivo Eusebio fu condannato all’esilio come tanti altri Vescovi di Oriente e di Occidente: come lo stesso Atanasio, come Ilario di Poiters – di cui abbiamo parlato la volta scorsa –, come Osio di Cordova.

A Scitopoli in Palestina, dove fu confinato fra il 355 e il 360, Eusebio scrisse una pagina stupenda della sua vita. Anche qui fondò un cenobio con un piccolo gruppo di discepoli, e da qui curò la corrispondenza con i suoi fedeli del Piemonte, come dimostra soprattutto la seconda delle tre Lettere eusebiane riconosciute autentiche. Successivamente, dopo il 360, fu esiliato in Cappadocia e nella Tebaide, dove subì gravi maltrattamenti fisici. Nel 361, morto Costanzo II, gli succedette l’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, che non si interessava al cristianesimo come religione dell’Impero, ma voleva semplicemente restaurare il paganesimo. Egli mise fine all’esilio di questi Vescovi e consentì così anche ad Eusebio di riprendere possesso della sua sede. Nel 362 fu invitato da Atanasio a partecipare al Concilio di Alessandria, che decise di perdonare i Vescovi ariani purché ritornassero allo stato laicale. Eusebio poté esercitare ancora per una decina d’anni, fino alla morte, il ministero episcopale, realizzando con la sua città un rapporto esemplare, che non mancò di ispirare il servizio pastorale di altri Vescovi dell’Italia settentrionale, dei quali ci occuperemo nelle prossime catechesi, come sant’Ambrogio di Milano e san Massimo di Torino.

Il rapporto tra il Vescovo di Vercelli e la sua città è illuminato soprattutto da due testimonianze epistolari. La prima si trova nella Lettera già citata, che Eusebio scrisse dall’esilio di Scitopoli «ai dilettissimi fratelli e ai presbiteri tanto desiderati, nonché ai santi popoli saldi nella fede di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona» (Ep. seconda). Queste espressioni iniziali, che segnalano la commozione del buon Pastore di fronte al suo gregge, trovano ampio riscontro alla fine della Lettera, nei saluti calorosissimi del padre a tutti e a ciascuno dei suoi figli di Vercelli, con espressioni traboccanti di affetto e di amore. E’ da notare anzitutto il rapporto esplicito che lega il Vescovo alle sanctae plebesnon solo di Vercellae/Vercelli – la prima e, per qualche anno ancora, l’unica Diocesi del Piemonte –, ma anche di Novaria/Novara, Eporedia/Ivrea e Dertona/Tortona, cioè di quelle comunità cristiane che, all’interno della stessa Diocesi, avevano raggiunto una certa consistenza e autonomia. Un altro elemento interessante è fornito dal commiato con cui si conclude la Lettera: Eusebio chiede ai suoi figli e alle sue figlie di salutare «anche quelli che sono fuori della Chiesa e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore: etiam hos, qui foris sunt et nos dignantur diligere». Segno evidente che il rapporto del Vescovo con la sua città non era limitato alla popolazione cristiana, ma si estendeva anche a coloro che – al di fuori della Chiesa – ne riconoscevano in qualche modo l’autorità spirituale e amavano quest’uomo esemplare.

La seconda testimonianza del singolare rapporto del Vescovo con la sua città proviene dalla Lettera che sant’Ambrogio di Milano scrisse ai Vercellesi intorno al 394, più di vent’anni dopo la morte di Eusebio (Ep. fuori collezione 14). La Chiesa di Vercelli stava attraversando un momento difficile: era divisa e senza Pastore. Con franchezza Ambrogio dichiara di esitare a riconoscere in quei Vercellesi «la discendenza dei santi padri, che approvarono Eusebio non appena l’ebbero visto, senza averlo mai conosciuto prima di allora, dimenticando persino i propri concittadini». Nella stessa Lettera il Vescovo di Milano attesta nel modo più chiaro la sua stima nei confronti di Eusebio: «Un così grande uomo», scrive in modo perentorio, «ben meritò di essere eletto da tutta la Chiesa».

L’ammirazione di Ambrogio per Eusebio si fondava soprattutto sul fatto che il Vescovo di Vercelli governava la diocesi con la testimonianza della sua vita: «Con l’austerità del digiuno governava la sua Chiesa». Di fatto anche Ambrogio era affascinato – come egli stesso riconosce – dall’ideale monastico della contemplazione di Dio, che Eusebio aveva perseguito sulle orme del profeta Elia. Per primo – annota Ambrogio – il Vescovo di Vercelli raccolse il proprio clero in vita communis e lo educò all’«osservanza delle regole monastiche, pur vivendo in mezzo alla città». Il Vescovo e il suo clero dovevano condividere i problemi dei concittadini, e lo hanno fatto in modo credibile proprio coltivando al tempo stesso una cittadinanza diversa, quella del cielo (cfr Eb 13,14). E così hanno realmente costruito una vera cittadinanza, una vera solidarietà comune tra i cittadini di Vercelli.

Così Eusebio, mentre faceva sua la causa della sancta plebs di Vercelli, viveva in mezzo alla città come un monaco, aprendo la città verso Dio. Questo tratto, quindi, nulla tolse al suo esemplare dinamismo pastorale. Sembra fra l’altro che egli abbia istituito a Vercelli le pievi per un servizio ecclesiale ordinato e stabile, e che abbia promosso i Santuari mariani per la conversione delle popolazioni rurali pagane. Piuttosto, questo «tratto monastico conferiva una dimensione peculiare al rapporto del Vescovo con la sua città. Come già gli Apostoli, per i quali Gesù pregava nella sua Ultima Cena, i Pastori e i fedeli della Chiesa «sono nel mondo» (Gv 17,11), ma non sono «del mondo». Perciò i Pastori – ricordava Eusebio – devono esortare i fedeli a non considerare le città del mondo come la loro dimora stabile, ma a cercare la Città futura, la definitiva Gerusalemme del cielo. Questa «riserva escatologica» consente ai Pastori e ai fedeli di salvare la scala giusta dei valori, senza mai piegarsi alle mode del momento e alle pretese ingiuste del potere politico in carica. La scala autentica dei valori – sembra dire la vita intera di Eusebio – non viene dagli imperatori di ieri e di oggi, ma viene da Gesù Cristo, l’Uomo perfetto, uguale al Padre nella divinità, eppure uomo come noi. Riferendosi a questa scala di valori, Eusebio non si stanca di «raccomandare caldamente» ai suoi fedeli di «custodire con ogni cura la fede, di mantenere la concordia, di essere assidui nell’orazione» (Ep. seconda).

Cari amici, anch’io vi raccomando con tutto il cuore questi valori perenni, mentre vi saluto e vi benedico con le parole stesse, con cui il santo Vescovo Eusebio concludeva la sua seconda Lettera: «Mi rivolgo a tutti voi, miei fratelli e sante sorelle, figli e figlie, fedeli dei due sessi e di ogni età, perché vogliate ... portare il nostro saluto anche a quelli che sono fuori dalla Chiesa, e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore» (ibid.). 


[Modificato da Caterina63 02/08/2016 15:51]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un imam parla all'ambone in una chiesa cattolica
 

Il dibattito sugli imam a messa interroga gli esperti. Sotto accusa la sura Aprente, considerata il "Padre nostro" islamico sulla quale non c'è un'interpretazione univoca di tutte le comunità. Ma che secondo l'Ucoii si riferisce all'ira di Allah per gli ebrei mentre successivamente i cristiani sono "sviati" perché credono alla Trinità. L'islam politico usa questa interpretazione, che non è quella degli altri islamici. Ecco perché occorre fare chiarezza. 

di Valentina Colombo

Il 26 luglio 2016 sarà ricordato per la barbara uccisione di padre Jacques Hamel da parte di un soldato dell’esercito dello Stato islamico. Domenica 31 luglio 2016 sarà ricordata come il giorno in cui alcuni musulmani sono entrati nelle chiese di Francia e Italia per mostrare solidarietà ai cristiani. I giorni successivi saranno ricordati per l’acceso dibattito scaturito da questa presenza pacifica che ha riportato alla superficie molti interrogativi e molti nodi irrisolti del rapporto tra cristiani e musulmani.

In Italia hanno partecipato alla funzione domenicale singole persone, ma soprattutto l’islam organizzato - legato all’Ucoii, alla Coreis e ad altre sigle islamiche – e i vari imam locali. Alcuni hanno portato i saluti, alcuni si sono fermati alla celebrazione, altri hanno voltato le spalle al pulpito mentre veniva letto il Vangelo, altri hanno scambiato il gesto di pace, altri ancora hanno recitato il Corano. Ed è proprio questo ultimo punto che ha scatenato una diatriba sia sulla liceità di far recitare il testo sacro dell’islam in una Chiesa, ma soprattutto sui contenuti dei versetti e delle sure recitate, prima fra tutte la sura Aprente del Corano considerata e spesso definita il Padre Nostro dell’islam.

La sura in questione recita come segue“In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso, La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi, il Compassionevole, il Misericordioso, Re del Giorno del Giudizio, Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto, Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati”. Il problema sollevato risiede nell’interpretazione dell’ultimo versetto che secondo alcuni si riferisce prima ai musulmani che seguono la retta via e in successione agli ebrei e ai cristiani, mentre secondo altri non avrebbe tale significato.

Che il versetto sia controverso lo dimostra l’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni islamiche in Italia, il cui presidente ha assistito alla celebrazione nel Duomo di Firenze e i cui membri erano presenti nelle Chiese italiane domenica scorsa.

Nella versione online della sura il versetto viene commentato solo per quanto concerne la prima parte. Vi si spiega che “in questo ultimo versetto è contenuta l'affermazione che già prima della rivelazione del Corano la misericordia dell'Altissimo era operante tra gli uomini, producendo comportamenti fortemente illuminati dalla fede e guidati dal timor di Allah (gloria a Lui, l'Altissimo). Secondo un commento di Ibn 'Abbas (che Allah sia soddisfatto di lui) "coloro che hai colmato dei Tuoi doni" sono i Sinceri (siddiqûn), quelli che hanno avuto il martirio testimoniando la fede (shuhadâ.), i Devoti (salîhûn)”.

Ma nella versione a stampa della “traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo, revisione e controllo dottrinale Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia – UCOII”, pubblicata 2004 dalla Newton & Compton, il commento è di tutt’altro tono e spiega, ad esempio, l’espressione “coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira” come segue: “Tutta l’esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla Tradizione, afferma che con questa espressione Allah indica gli ebrei (yahud). A questo proposito sarà bene precisare che nel Corano troviamo tre diversi modi di identificarli:

1) Bani Isra’il […]; 2) quelli che si sono giudaizzati e cioè quelle popolazioni diverse dai discendenti di Giacobbe che hanno abbracciato la religione israelita; 3) yahud e cioè i portatori di una pratica antispirituale e antitradizionale che usa la religione per scopi di potere e che Allah ha condannato con grande severità”.

Segue la spiegazione che riguarda i cristiani: “Gli sviati sulla base di alcuni ahadith autentici dell’Inviato di Allah, l’esegesi classica ritiene che costoro siano da identificare nei cristiani che accentando il dogma trinitario si sono allontanati dalla purezza monoteista.”

E’ evidente ed è ormai risaputo che la grande differenza tra islam e cristianesimo riguardi proprio la Trinità e l’impossibilità di considerare Gesù figlio di Dio, ma questo punto non riguarda certo quanto è accaduto domenica. Ebbene, Wael Faruq, intervistato da Il Sussidiario, ha sottolineato a ragione che “il problema non è che cosa dice il Corano, bensì come capiamo il Corano”.  Quel che importa è quindi è l’interpretazione che viene presentata e la versione a stampa del Corano dell’Ucoii conduce all’interpretazione che oggi viene negata.

Anche il versetto 62 della seconda sura parrebbe dimostrare un’apertura dell’islam verso l’altro quando recita: “In verità, coloro che credono, siano essi giudei, nazareni o sabei, tutti coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti”, ma ancora una volta il commento dell’Ucoii smentisce l’apertura: “Non si potrà utilizzare questo versetto per rivendicare una sorta d atteggiamento di tipo irenistico o, peggio ancora sincretista, da parte della dottrina islamica. Tutta l’esegesi afferma che esso si riferisce a quelli che vissero prima della rivelazione del Corano e della missione profetica affidata a Muhammad. Non c’è nessuna alternativa alla piena sottomissione dell’uomo al suo creatore. Ciononostante il versetto stabilisce tolleranza e rispetto per i seguaci di un culto monoteista […]”.

Nel commento si fa riferimento a un altro versetto in cui si legge: “Chi vuole una religione diversa dall’islam, il suo culto non sarà accettato e nell’altra vita sarà tra i perdenti” (Corano III, 85) che viene così illustrato: “Questo versetto stabilisce inequivocabilmente che dopo la rivelazione del Corano e la predicazione di Muhammad il solo culto che Allah accetterà sarà quello islamico.” Sono numerosi i commenti simili a quelli appena riportati nel Corano supervisionato dall’Ucoii, che è il più venduto, il più diffuso anche tra i convertiti.

Non v’è dubbio che questa interpretazione non corrisponda a quella diffusa dalla Coreis oppure a quella data da musulmani non appartenenti all’islam politico, ma a questo punto serve fare chiarezza, serve promuovere un’interpretazione in sintonia con la gravità del momento che stiamo vivendo e che promuova il rispetto dell’altro a trecentosessanta gradi. La traduzione interpretativa dell’Ucoii sin dalla prima edizione ha subito delle modifiche ed è stata epurata dai commenti marcatamente antisemiti e anti-occidentali, ma oggi dovrebbe forse essere totalmente ripensata e riscritta soprattutto nella parte interpretativa che ancora nell’edizione del 2004 recava un capitolo dedicato al jihad in cui si legge: “Quando la Comunità dei musulmani è aggredita, minacciata oppressa o perseguitata, i credenti hanno il dovere di combattere esercitando il loro diritto-dovere alla legittima difesa”.

Ha ragione Farouq quando afferma che “ci sono tanti buoni e grandi studiosi accecati dalla rabbia, dall’odio e dalla paura che fanno involontariamente pubblicità all’ideologia dell’Isis. In questo modo, i milioni di musulmani che vivono qui si trovano in mezzo a due fuochi: la propaganda dell’Isis e le tesi di questi studiosi che convergono sulla stessa idea, cioè che la violenza sia parte dell’identità dell’islam. Questa convergenza di vedute è il più grande favore che facciamo all’Isis”, ma al tempo stesso ci sono anche interpretazioni del testo coranico che vanno nella stessa direzione e sono ugualmente da evitare. Ancora una volta responsabilità e onestà dovranno prevalere per avviare un vero dialogo in nome del rispetto e della sacralità della vita di tutti. 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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FRANCESCO D'ASSISI, IL «FONDAMENTALISTA» CHE ANDÒ IN TERRA SANTA PER CONVERTIRE I MUSULMANI

Francesco d&#039;Assisi, il «fondamentalista» che andò in Terra Santa per convertire i musulmani

di Antonio Socci

e pubblicato da IlTimone

Forse papa Bergoglio non si è reso conto, ma ieri alla Porziuncola di Assisi, cuore del francescanesimo, egli ha reso omaggio al più grande dei “fondamentalisti cattolici”, al simbolo di quel fondamentalismo cattolico che è stato il bersaglio polemico di Bergoglio anche nella nota conferenza stampa in aereo di domenica.

In quell’occasione il papa, interrogato sul sacerdote sgozzato sull’altare a Rouen, non ha dedicato nemmeno una parola a padre Jacques, ma si è fatto in quattro per negare che quel terrorismo abbia a che fare con l’Islam.
Poi – sempre in difesa dell’Islam – Bergoglio ha aggiunto un attacco ai cattolici: “credo che in quasi tutte le religioni ci sia sempre un piccolo gruppetto fondamentalista. Noi ne abbiamo”.

Ma cos’è il “fondamentalismo”? 

Significa: applicazione letterale dei testi sacri. Nella storia cattolica è proprio san Francesco colui che ha predicato l’applicazione del Vangelo alla lettera, “sine glossa”.

Bergoglio però non lo ha detto. E non ha detto che mentre i fondamentalisti islamici – applicando alla lettera il Corano e l’esempio di Maometto – proclamano la jihad, impongono la sharia, opprimono nei loro regimi le altre religioni e i diritti umani e usano la violenza, i "fondamentalisti cattolici" come san Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta, applicando alla lettera il Vangelo, fanno l’esatto opposto. Semplicemente perché Corano e Vangelo insegnano cose opposte.

Che vuol dire per san Francesco “il Vangelo sine glossa”? Si legge che Gesù nel Vangelo dice al giovane ricco: “vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10, 21).

Francesco ascoltò e seguì “alla lettera” le parole di Gesù. Lui prendeva sempre “alla lettera” quello che ascoltava dal Signore (perfino quando il crocifisso di san Damiano gli disse: “Francesco, vai e ripara la mia chiesa”).

Un altro giorno, alla Porziuncola, il santo ascoltò questa pagina del Vangelo: 

“Andate e predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento…” (Mt 10, 7-11). 

Era il mandato missionario di Gesù: 

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

Francesco fece così “alla lettera”. 

CROCIATA

E, dopo che il papa bandì la crociata (nel 1213) per liberare i luoghi santi occupati dai musulmani, che rendevano pericolosi i pellegrinaggi a Gerusalemme, anche Francesco partì.

Scriveva anni fa Franco Cardini: “nella vita di Francesco l’episodio crociato costituisce uno scandalo nello scandalo”, ma “il Francesco ‘crociato’ non è un argomento eludibile”.

Era “crociato” come lo erano tutti i pellegrini per la Terra Santa. Cardini spiega che, diversamente da ciò che pensano oggi gli ignoranti e gli anticlericali, “la crociata non è mai stata una ‘guerra di religione’, la crociata non è una ‘guerra santa’ ” per imporre la fede cattolica. No, “è un pellegrinaggio armato” il cui scopo era la liberazione e la difesa dei Luoghi Santi che erano stati occupati dai musulmani.

Così Francesco, che non portava armi, andò in pellegrinaggio: era molto pericoloso, ma lui voleva venerare fra quelle pietre la presenza di Gesù, essere tutt’uno con Lui, anche a costo della vita. 

“Francesco vedeva nella crociata anzitutto l’occasione  del martirio e nel martirio la forma più alta e più pura della testimonianza cristiana” (Cardini).

Ovviamente non un martirio ricercato, che sarebbe  un peccato di superbia. Egli in tutta umiltà vuole semplicemente annunciare il Vangelo ai saraceni “perché essi credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, perché chiunque non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno dei Cieli”.

Già qui siamo agli antipodi dell’ecumenismo modernista in cui crede Bergoglio, che infatti equipara le religioni, rifiuta l’idea di predicare la conversione a musulmani e miscredenti e ha liquidato con disprezzo il “proselitismo”. 

La cronaca di Giacomo da Vitry ci dice che, là in Terra Santa, “non soltanto i cristiani, ma perfino i saraceni e gli altri uomini avvolti ancora nelle tenebre dell’incredulità, quando essi (Francesco e i suoi frati) compaiono per annunziare intrepidamente il Vangelo, si sentono pieni di ammirazione per la loro umiltà e perfezione”.

Francesco “volle recarsi intrepido e munito dello scudo della sola fede all’accampamento del sultano d’Egitto”. 

Viene fatto prigioniero e si fa portare da lui che era noto per la sua durezza. Ma il Sultano a vedere Francesco restò ammansito e fu turbato dalle sue parole. Poi “temendo che qualcuno dei suoi si lasciasse convertire al Signore” lasciò andare libero il santo.

SINE GLOSSA

Per Francesco la cosa essenziale era l’annuncio del Vangelo perché questo era il commando di Cristo. La vita del santo di Assisi è tutta basata sull’applicazione del Vangelo "sine glossa" e le stigmate che ricevette rappresentano proprio il “sigillo” del Cielo a questa sua totale conformità al Figlio di Dio.

Il Vangelo “alla lettera”, senza accomodamenti alla mentalità dominante, senza compromessi col mondo, è la forma suprema di "fondamentalismo cattolico".

Esattamente l’opposto di Bergoglio che combatte proprio i "dottori della lettera" (come li chiama lui), quelli cioè che, come san Francesco, gli ricordano le precise parole del Vangelo e dissentono dalla sua religione mondanizzata e accomodante (per esempio sui temi del matrimonio).

Anche su tutto il resto il santo di Assisi e il papa della teologia della liberazione sono agli antipodi. 

SALVEZZA DELL’ANIMA

San Francesco non faceva che ammonire sul pericolo di finire eternamente all’inferno e sulla necessità di convertirsi e fare penitenza per andare in Paradiso (si veda la “Lettera ai governanti”).

Bergoglio invece parla solo di questioni terrene, sociali e politiche, non parla mai dell’inferno e del Purgatorio, tanto che nella sua Bolla di indizione dell’Anno Santo ha tolto ogni riferimento al Purgatorio stesso e pure alle “indulgenze” che servono a evitarlo (ieri era imbarazzato alla Porziuncola dal momento che il “Perdono di Assisi” ottenuto da san Francesco è tutto centrato proprio sull’indulgenza relativa al Purgatorio, cioè la remissione delle pene temporali).

San Francesco poi ricorda ai governanti il loro dovere di difendere la fede cristiana del popolo “e se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

Bergoglio invece sostiene i governanti più laicisti, dice “chi sono io per giudicare?” sui “principi non negoziabili” e cancella la presenza pubblica dei cattolici e la dottrina sociale della Chiesa.

San Francesco scrive ai sacerdoti che devono tributare il massimo onore “al Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo”, è per lui fondamentale, mentre Bergoglio è noto per la sua scelta di neanche inginocchiarsi davanti all’Eucaristia.

Resta l’ecologia pilastro del bergoglismo. Purtroppo però non è mai esistito un san Francesco ecologista. 
Il Cantico delle creature infatti (che ricalca un salmo) non esalta la natura, la quale a quel tempo prevaleva sull’uomo e non aveva bisogno di essere “protetta” (casomai il contrario). 

Il Cantico, che non rammenta gli animali (ma parla di peccato mortale e inferno), è invece un invito alla preghiera di lode a Dio, un inno alla bontà del Creatore, assai significativo in un’epoca in cui la gnosi dei Catari predicava la malignità del Demiurgo e della natura creata. 

Tutt’altra cosa. 

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/08/2016 10:43
 
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LO SCONTRO DELLA CHIESA CON L'ISLAM È SUL PUNTO DI CESSARE OD I CONTRASTI DURERANNO SINO ALLA FINE DEL MONDO?


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Le Crociate, nulla avevano a che fare con i metodi violenti con i quali i musulmani imponevano la loro fede, ma servivano semplicemente a difendere i pellegrini della Terra Santa dalle aggressioni islamiche. Come è noto, le Crociate cessarono nel XVI secolo con l’avvento del tollerante Impero Ottomano. Ma, come è ben noto dalla storia, i Turchi ripresero il tentativo di invadere militarmente l’Europa. Se allora l’Islam tentò l’invasione con gli eserciti, oggi la tenta con l’immigrazione, nella speranza che la loro presenza possa talmente rafforzarsi, fino ad influire sulla politica dei paesi dove sono insediati. Il che ovviamente non vuol dire che non dobbiamo accogliere i bisognosi. Ma bisogna avere discernimento, perché i musulmani  sanno molto bene fingere.


 


Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

PDF articolo formato stampa

«Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato».

Apocalisse di San Giovanni Apostolo, 12,4

 

Giovanni da Modena Maometto all Inferno

Giovanni da Modena, Concattedrale di San Petronio in Bologna. Raffigurazione dell'Inferno dantesco. In alto a sinistra: Maometto condannato alla pena eterna con i falsi profeti

Lo scontro che dura da XIV secoli dell’Islam [1] con la Chiesa è sul punto di cessare, od i contrasti dottrinali dureranno fino alla fine del mondo? I casi sono due: se l’Islam cessa la sua ostilità e fa la pace con la Chiesa, avremo un precorrimento della resurrezione finale; se invece si ostinerà fino alla fine, si aspetti il verificarsi delle parole dell’Apocalisse: «Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli» [Ap 20, 9-10].

Da quattordici secoli l’Islamismo combatte la Chiesa e vuol distruggerla e sostituirla nel condurre l’umanità alla salvezza. Il motivo fondamentale per il quale il Corano si oppone al cristianesimo è la nostra fede nella divinità di Gesù Cristo Figlio di Dio unico salvatore del mondo. In questo senso il Corano è in continuità con la religione ebraica pre-cristiana.

Il Corano, come sappiamo, si presenta come vero messaggio divino di salvezzaper tutta l’umanità, in contrapposizione a quello cristiano, in quanto ritiene che sia impossibile che Dio possa generare un figlio divino. Per il Corano è empietà ed idolatria la pretesa di associare a Dio, che è uno solo, considerato come “Padre”, un altro dio considerato come Figlio, oltre al fatto che è blasfemo pensare che un uomo possa essere Dio. Il Corano mostra stima per Gesù “figlio di Maria vergine”, lo considera un grande profeta, modello di santità, che comparirà alla fine dei tempi nella linea dei profeti e dei patriarchi biblici, a cominciare da Noè ed Abramo, discendente da Adamo.

Gesù, secondo il Corano, ha riconosciuto il Dio unico, creatore, sapiente, provvidente, onnipotente, giusto e misericordioso ed ha insegnato buoni costumi morali. Ma è stato incoerente e presuntuoso per essersi fatto Dio, ingannando i suoi discepoli che tale lo considerano. Ma come se ciò non bastasse, ha introdotto una terza divinità, oltre a se stesso (“Figlio”) e il “Padre”, ed è lo “Spirito Santo”. Sicché i cristiani, nonostante la loro dichiarazione di essere monoteisti, in realtà sono dei politeisti, perché adorano tre dèi. Ma a bestemmia si aggiunge bestemmia: i cristiani considerano se stessi “figli di Dio”, condividendo la presunzione del loro maestro.

Il Corano ritiene dunque di accogliere quanto di buono c’è nell’insegnamento di Gesù, correggendo gli errori, soprattutto l’idea di un Dio unico in tre persone. Per il Corano questa è un’assurdità e una bestemmia: Dio è una natura ed è una persona. Tre persone farebbero tre dèi. Così pure per la fede coranica è impossibile che un uomo abbia due nature: una umana e una divina.

L’uomo ha una natura umana e Dio una natura divina. Altrimenti, per il musulmano, verrebbero mescolate le nature in una sola persona umana e Dio verrebbe profanato abbassandolo a livello dell’umano. Ritenersi Dio o “figlio di Dio” è un’insopportabile superbia. I credenti sono “fratelli” non perché tutti figli di Dio, ma fratelli in senso lato nella comune condizione di credenti.

Come per noi cristiani, anche per i musulmani, “fratelli” nel senso religioso sono solo i correligionari. In questo senso un cristiano non può essere “fratello” di un musulmano, così come egli non ci considera affatto suo fratello. Però per entrambe le religioni, dato il loro carattere universalistico, tutti gli uomini, se vogliono salvarsi, sono chiamati ad essere fratelli nell’accettazione dell’unica fede, la quale per noi è il Vangelo, per i musulmani, il Corano.

Certamente la distinzione fra natura e persona è sottile. Richiede un’intelligenza metafisica che pochi possono raggiungere. Eppure la fede trinitaria e nell’Incarnazione sono i pilastri della nostra fede e ci accorgiamo come da duemila anni anche i fanciulli possono raggiungerla. Il rischio del triteismo o del modalismo [2] è reale e forse molti sono triteisti senza accorgersene; eppure l’esperienza cristiana di sempre ci dice che Dio in ciò illumina la mente anche del fanciullo obbediente, aperto alla verità e fiducioso nei suoi educatori.Sinite parvulos venire ad Me.

Comunque non c’è dubbio che il monoteismo islamico sembra più ragionevole di quello cristiano trinitario. Ciò spiega il fatto che da XIV secoli folle sterminate di persone abbiano preferito il primo al secondo. O per amore o per forza, dato il metodo impositivo e quasi terroristico col quale l’Islam ha sempre diffuso la sua fede tra le masse.

Il principale quesito è: chi ci comunica la Parola di Dio, Cristo o Maometto? Ciò non vuol dire che la teologia coranica, che risente della Bibbia veterotestamentaria, non abbia un suo fascino, una sua razionalità e una sua credibilità, tale da attirare spontaneamente l’interesse e l’ammirazione di molti eletti ingegni filosofici, religiosi e mistici nel corso di questi quattordici secoli fino ad oggi [3].

Non possiamo dimenticare che, come è noto agli storici, l’ingresso di Aristotele nella cultura europea del XIII secolo è dovuto al fatto che lo studio dello Stagirita era coltivato dai saggi musulmani, che lo utilizzavano per commentare il Corano. Ai Domenicani Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino dobbiamo l’idea di utilizzare Aristotele per l’interpretazione della rivelazione cristiana.

L’opposizione del Corano a Cristo non è un rifiuto totale di Cristo, al contrario, gli vengono riconosciuti meriti e qualità; eppure è il rifiuto dell’elemento essenziale principale della sua missione: quella di essere la somma e definitiva guida dell’umanità all’eterna salvezza. Dio rivela a Maometto nel Corano che è Maometto il profeta escatologico, ossia quello che porta a compimento tutta l’opera dei profeti precedenti, Cristo compreso. Per salvarsi, quindi, non basta il Vangelo, anzi esso è fuorviante, in quanto insegna la Trinità e l’Incarnazione.

Maometto si presenta come inviato da Dio per svolgere questo compito, in quanto nel Corano Dio figura essere Colui Che istruisce Maometto informandolo su tutto ciò che deve comunicare all’umanità per la sua salvezza. Il fedele, quindi, leggendo il Corano, viene ad apprendere da Dio stesso che Si rivolge a Maometto, tutte le verità e tutti i precetti della sua fede.

Da qui vediamo che la missione di Cristo, da come risulta dal Vangelo, e quella di Maometto, come risulta dal Corano, sono incompatibili e si escludono a vicenda. Se una è vera, l’altra è falsa. Da chi dipende la salvezza dell’uomo? Dal Vangelo o dal Corano? Da qui discende che la Chiesa e l’Islam sono incompatibili.

È evidente che una rivelazione divina va accolta col massimo rispetto e “sottomissione” (islàm”). Essa è sorgente di assoluta certezza e fonda una condotta morale assolutamente sicura ed onesta. È Parola salvifica. È verità universale, assoluta e immutabile, che non va né abbandonata né cambiata per nessun motivo.  Può essere, all’occorrenza, solo interpretata, commentata e spiegata. Se ne possono ricavare conclusioni teoriche e pratiche. Ma essa va trasmessa di generazione in generazione così com’è, va “ripetuta” (“Corano” viene dal sostantivo kuràn, che vuol dire “ripetizione”).

Una domanda però sorge in noi spontaneamente: come Maometto si accertò che il messaggio ricevuto era veramente Parola di Dio? Come e in base a che cosa o a quali prove o segni ne divenne sicuro? E come ha fatto a persuadere i discepoli di ciò? Tanto più che questa supposta “rivelazione” pretendeva di soppiantare quella di Cristo, che da sei secoli era all’origine della civiltà cristiana. Si potrebbe dire che forse Maometto non conosceva bene il Vangelo e la Chiesa. Tuttavia, quello che meraviglia è come mai i suoi discepoli lungo i secoli, che hanno avuto tutto l’agio di informarsi e di confrontare il Corano col Vangelo, non si sono accertati dell’inattendibilità del Corano? Come è stato possibile e come è tuttora possibile un partito preso del genere? Questa non è fede, ma fanatismo e fideismo. È  un grande mistero. Per invalidare la rivelazione coranica basterebbe appunto confrontarla con quella di Cristo, di ben più alta sapienza e fondata su ben altre prove. Ma la cosa paradossale oggi, nel clima di relativismo intellettuale e morale che sta vivendo l’Europa, è che mentre molti cristiani, che avrebbero a disposizione un’autentica rivelazione divina, certificata da un’infinità di prove, hanno una fede fiacca, pavida, sterile, incerta e dubbiosa, per cui abbassano il Vangelo al livello di un’opinione tra le altre; per converso i musulmani, che, al contrario, avrebbero tutti i motivi per dubitare, mostrano un’arrogante sicumera, sorgente di violenza e di persecuzioni. 

È comunque cosa consolante, confortante ed importantissima che Cristianesimo ed Islam abbiano in comune molte verità di religione naturale, a cominciare dagli attributi divini. Questa cosa è stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica nel Concilio Vaticano II per la prima volta dopo la nascita dell’Islam nel VII secolo. È un segno di grande speranza ai fini della conversione dei musulmani a Cristo e della retrocessione dell’espansione islamica.

Può esistere una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani? Assistiamo in questi XIV secoli ad alterne vicende con situazioni differenti a seconda dei paesi e dei regimi. Consolante è la convivenza da otto secoli in Terrasanta dei Francescani coi musulmani. La Santa Sede e numerose iniziative cattoliche, a seguito delle disposizioni conciliari, curano il dialogo con l’Islam sul piano della cultura, delle strutture educative e sociali e della collaborazione in opere umanitarie.

Sappiamo della vita difficile dei cristiani nei paesi islamici. E sappiamo come in Medio Oriente l’arroganza islamica costringa molti cristiani a fuggire, mentre avvengono persecuzioni e a volte anche massacri. Non possiamo neanche negare che le potenze occidentali cerchino di opprimere e sfruttare il mondo islamico per la conquista e lo sfruttamento delle fonti di energia.

È innegabile in questi XIV secoli lo sforzo costante dell’Islam di diffondersi nel mondo coltivando il sogno di invadere l’Europa, terra civilizzata dal cristianesimo, dove c’è Roma, sede del papato. Sottomettere Roma, per l’Islam, sarebbe la vittoria sul cristianesimo. In questi decenni milioni di musulmani si sono insediati in Europa e pochissimi  si sono convertiti al cristianesimo. Quali sono le loro intenzioni? Sperano di conquistare l’Europa in questo modo? Usando la democrazia? I recenti atti di terrorismo vogliono probabilmente essere un avvertimento all’Europa della capacità rivoluzionaria delle frange estremiste, che però non sembrano sufficientemente condannate dagli ambienti ufficiali. Il mondo cristiano europeo è fiacco, debole e scettico. Esistono tendenze teologiche, come per esempio quella di Schillebeeckx, con la sua cristologia del “profeta escatologico”, che sembrano fatte apposta per cedere al fondamentalismo islamico. È un organismo senza anticorpi e questo gli islamici lo hanno capito bene. L’Europa, tuttavia non solo si è scristianizzata, ma è diventata anche irreligiosa, per cui si stenta ad immaginare un’islamizzazione dell’Europa agnostica, relativista ed illuminista, a meno che non sia lo stesso Islam a far rinascere il senso religioso, come capitò quarant’anni fa con la conversione all’islamismo del filosofo marxista Roger Garaudy o cinquant’anni fa all’esoterista René Guénon. Nel panteismo eternalista di Emanuele Severino c’è qualcosa del fatalismo islamico.

L’Europa appare sempre più al bivio, se dunque non ci sarà una ripresa del cristianesimo, come già avvertiva il Cardinale Giacomo Biffi nel citato discorso, l’Europa rischia di essere islamizzata, non nelle forme minute degli usi e delle pratiche cultuali dell’Islam, ma nell’assolutismo intellettuale che caratterizza il suo fanatismo. L’uomo ha bisogno di certezze e l’invertebrato europeo o, come preferisce dire Biffi, il nichilista europeo, potrebbe trovare un sostituto della certezza nella tracotanza maomettana, dove, al posto dell’arcangelo Gabriele, subentra la coscienza trascendentale. D’altra parte, la Chiesa deve poter tornare in quei territori, che nel passato le furono sottratti con la forza dall’invasione islamica. I musulmani, non contenti di aver invaso e scristianizzato con la forza questi immensi territori, ora sognano, come fanno da secoli, di conquistare l’Europa fino ad arrivare a Roma, come fecero nel XV secolo distruggendo l’Impero cristiano di Oriente con la conquista di Costantinopoli.

Lo scontro vero e proprio è sulla questione della rivelazione divina. L’Arcangelo Gabriele che ha rivelato a Maometto che Gesù non è Figlio di Dio, ma semplice profeta, può essere lo stesso che ha rivelato a Maria la sua maternità divina? Evidentemente o è falsa la rivelazione evangelica o è falsa quella coranica. Quando è questione di vero o di falso, non si può invocare il rispetto del “diverso” o il valore del pluralismo religioso. Bisogna capire e scegliere da che parte sta la verità.

Quello che oggi più di un tempo meraviglia noi cristiani è come il fedele islamico, dopo tanti secoli di progresso dei costumi e delle scienze, e nel campo della critica letteraria e dell’esegesi dei testi sacri, non riesca a distinguere nel Corano quelle parti che indubbiamente esprimono un’alta sapienza teologica e morale da altre parti evidentemente segnate dal tempo o, peggio, infette da veri e propri errori teologici e morali, in particolare il rifiuto irragionevole dei dogmi cristiani della Trinità e dell’Incarnazione.

Bisogna che i musulmani prendano il coraggio a quattro mani e, proprio in nome di Dio, dopo XIV secoli di guerre e polemiche inutili, anzi, dannose per noi e per loro, si decidano una buona volta, alla luce della moderna esegesi, di una sana filosofia e teologia, e tenendo conto degli onesti costumi morali della modernità, a purgare il Corano dai suoi errori e dalle sue vedute superate. In particolare occorre che tolgano l’insensata opposizione ai dogmi cristiani, proprio per il rispetto di quelle parti di alta scienza teologica, religiosa e morale, che sono precisamente in linea con quegli stessi dogmi, quelle parti valide che la stessa Chiesa del Vaticano II riconosce al Corano.

La vera sfida e quindi nell’apologetica. La Chiesa ha riconosciuto i valori contenuti nel Corano. Ora l’Islam riconosca il valore del Vangelo. In ogni forma di rapporto umano corretto deve valere la legge della reciprocità, come ebbe a dire il Cardinale Giacomo Biffi in un suo discorso del 2000 [4] proprio a proposito dei rapporti della Chiesa con l’Islam. L’apologetica cristiana e quella islamica non reggono al confronto. Un confronto oggettivo, libero, informato e spassionato degli argomenti e dei segni di credibilità fra le due religioni, induce qualunque animo onesto, amante della verità, della virtù e  di Dio, attento al valore delle testimonianze storiche, ad accorgersi della assai maggiore credibilità del cristianesimo nei confronti dell’islamismo.

È sufficiente confrontare la personalità morale e spirituale di Maometto con quella di Cristo; la storia della santità cristiana con quella islamica; la migliore produzione filosofica e teologica cristiana rispetto a quella islamica; la maggior saggezza dei costumi cristiani; la molto più ricca ed avanzata produzione tecnico-scientifica della civiltà cristiana; il maggior rispetto della persona umana (uomo e donna); la maggior sapienza delle istituzioni giuridiche e politiche; una maggior ricchezza e varietà di istituzioni culturali, sociali, caritative ed assistenziali; i migliori metodi della diffusione del messaggio religioso, improntati al rispetto della persona e alla sua libertà di scelta, senza forzature o minacce di pene temporali.

Come emerge soprattutto dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il cristianesimo è liberale,  comprensivo e tollerante nei confronti delle altre religioni, rispettoso della libertà d’opinione, apprezza i loro valori senza tacere sui loro difetti. Invece l’islam, come è noto, è autoritario, oppressivo, e discriminante, tanto da meritarsi il titolo di integrista e fondamentalista. Non respinge il metodo della persuasione, per cui certamente molti, fuori degli Stati islamici, si fanno islamici liberamente; ma, dove ha il potere politico, preferisce l’imposizione, come è testimoniato da questa dichiarazione del filosofo Al-Gazali dell’XI-XII secolo: «Certo non è bene che si eserciti una pressione in materia religiosa; ma bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della filosofia o della convinzione. E se la prima generazione non aderisce all’islam che con la lingua, la seconda aderirà anche col cuore e la terza si considererà musulmana per sempre»[5].

Il Magistero postconciliare della Chiesa ci chiarisce che la pluralità delle religioni, al di fuori di quella cristiana, soprattutto le altre religioni monoteistiche ebraica ed islamica, non è affatto senza importanza nella questione della salvezza dell’umanità.

Se Cristo è l’unico e sommo Salvatore [6], e se la sua religione è l’unica religione divina, essendo fondata da un Dio, e quindi tra tutte eccelle, ciò non vuol dire che anche le religioni non-cristiane non diano un loro contributo, seppur parziale e anche difettoso alla salvezza dell’umanità.

Anche se non sono state fondate da Cristo, ma da semplici uomini peccatori, per quanto grandi, ciò non vuol dire che in qualche modo o misura, in quanto hanno di buono, non derivino da Lui e non tendano a Lui, che, come Dio, sta all’origine di ogni via verso Dio. Tutti coloro che si salvano, a qualunque religione appartengano, si salvano dunque grazie a Cristo, anche se non lo sanno e se ciò avviene per la mediazione del fondatore della religione alla quale appartengono.

La Chiesa ha fatto la sua parte. Adesso tocca all’Islam. Il Concilio Vaticano II ha opportunamente messo in luce i valori comuni a cristianesimo ed islamismo, che si riassumono nel monoteismo e in un comune riferimento all’Antico Testamento. Ma non ha pensato a indicare ai cristiani come possono condurre gli islamici a Cristo e come questi possono incontrare Cristo. Inoltre il Concilio ha trascurato di ricordare gli errori e i pericoli che vengono dal Corano. Il mondo islamico allora sembrava relativamente pacifico e non era ancora sorta la ripresa espansionistica islamica avviata da Khomeini in Persia nel 1979, con la sua caratteristica aggressività anti-cristiana, che a tutt’oggi è divenuta molto pericolosa per il suo accanimento, ricorrendo anche al terrorismo, e punta sull’Europa, la patria del cristianesimo o, come dicono i musulmani, la patria dei “crociati”. È dunque più che mai necessario non perdersi d’animo e non cedere alla tentazione di ripagare male col male.

Occorre certo una difesa armata contro l’aggressione armata [7], occorre distruggere i centri del terrorismo, occorre difendere ed accogliere tra noi i cristiani perseguitati, ma soprattutto, partendo dall’insegnamento del Concilio, andando oltre nel senso che ho detto, occorre pregare per la conversione degli islamici e bisogna che la Chiesa (in un nuovo Concilio?) organizzi un’azione intelligente ed efficace per l’evangelizzazione dei musulmani, giacchè anche loro sono chiamati alla salvezza in Cristo.

Se gli islamici vogliono convertirci a Maometto, noi dobbiamo rispondere loro cavallerescamente e francamente che vogliamo convertirli a Cristo. Chi è il vero Salvatore? Questa è la sfida per il mondo d’oggi. I Domenicani e i Francescani sin dal loro primo sorgere concepirono il disegno di convertire i musulmani. E noi oggi che cosa stiamo facendo? Tergiversiamo tra la rabbia, la frustrazione e un “dialogo” ipocrita?

Occorre dunque mettere Maometto al suo posto: l’abbassarlo sotto Cristo sarà il suo vero onore, la sua vera gloria, forse quello che inconsciamente desiderava. Quindi non al di sopra di Cristo, ma al di sotto. Non oltre Cristo, ma via verso Cristo. Non lui deve correggere Cristo, ma Cristo corregge lui. Maometto non ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare. E Mentre sale in dignità, è liberato dagli errori del peccatore. Anch’egli è salvato da Cristo. Non sarà lui sollevare Cristo a sé, ma al contrario è Cristo che solleva lui e con lui tutti i suoi fedeli, da quattordici secoli, perchè anche a loro, magari inconsciamente, è stato dato di conoscere Cristo, perchè come tutti gli uomini, devono render conto a Cristo.

Nella basilica di San Petronio a Bologna, c’è un affresco del XV secolo che rappresenta Maometto all’inferno. Da una dozzina d’anni la chiesa è sorvegliata dalle forze dell’ordine, poiché si teme una reazione di qualche musulmano sdegnato per l’offesa al Profeta. Ma sappiamo come si sarà trovato Maometto davanti a Cristo? Uno scontro o un incontro?

Varazze, 5 agosto 2016

________________________________

NOTE

[1] Non sono d’accordo con Magdi Cristiano Allam nel negare l’esistenza di un Islam moderato,  per cui secondo lui, l’Islam sarebbe estremista e violento per essenza [cf Il Corano spiegato da Magdi Cristiano Allam, Editrice Elledici, Torino-Leumann 2008]. È un giudizio troppo sbrigativo, che abbisogna di precisazioni, quelle che ha cercato di dare sull’Isola di Patmos Ariel S. Levi di Gualdo in alcuni suoi articoli nei quali ha trattato anche il problema di una “insita violenza”. Nell’Islam ci sono moderati e ci sono estremisti. Allo stesso modo, è un giudizio sbrigativo e quindi ingiusto quello di chi dice che è una «religione di pace. C’è un fine di pace: la salvezza proposta a tutti, ma i mezzi sono violenti. A parte il fatto che l’essere moderato o immoderato sono più qualità morali delle persone, che delle dottrine, anche se è vero che esistono dottrine fautrici di pace e dottrine generatrici di violenza. Teniamo conto infine del fatto che gli estremisti e i pacifici esistono tanto nell’islam quanto nel cristianesimo. L’aspirazione alla pace è insita nell’uomo, ma solo il sacrificio di Cristo riconcilia l’uomo con Dio e gli uomini fra di loro. Visione bellicosa è invece lo gnosticismo ciclico, che inizia col mito della Dèa Sciva, per giungere fino a Nietzsche attraverso Hegel.

[2] Eresia dei primi secoli, secondo la quale le tre persone sono tre modi diversi di essere dell’unico Dio. È  ricomparsa oggi con Rahner, il quale sostiene che le tre persone sono tre modi diversi di sussistenza dell’unico Dio. No, le tre persone sono tre sussistenze distinte dell’unico Dio.

[3] Questa fioritura di grandi personalità filosofiche islamiche si riscontra soprattutto nei secoli XI-XIII, con Averroè, Alfarabi, Alkindi, Avicenna, Avempace, Algazzali, ecc.. Rimando, per approfondimenti, agli studi di André Guénon, di Olivier Lacombe, di Louis Gardet e dei miei confratelli, l’egiziano Georges Anawati e Padre Pier Paolo Ruffinengo, che ebbi come insegnante di metafisica nel lontano 1972.

[4] Intervento al seminario della Fondazione Migrantes del 30 settembre 2000.

[5] Cit. da Giovanni Sale, Isis Islam e cristiani d’Oriente, Jaca Book 2016.,p.138.

[6] Cf la Dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede del 6 agosto 2000.

[7] Del resto le Crociate, almeno nello scopo inteso dal papato e dai santi di quel tempo, per esempio San Bernardo, San Luigi IX e Santa Caterina da Siena, nulla avevano a che fare con i metodi violenti con i quali i musulmani imponevano la loro fede, ma servivano semplicemente a difendere i pellegrini della Terra Santa dalle aggressioni islamiche. Come è noto, le Crociate cessarono nel XVI secolo con l’avvento del tollerante Impero Ottomano. Ma, come è ben noto dalla storia, i Turchi ripresero il tentativo di invadere militarmente l’Europa. Se allora l’Islam tentò l’invasione con gli eserciti, oggi la tenta con l’immigrazione, nella speranza che la loro presenza possa talmente rafforzarsi, fino ad influire sulla politica dei paesi dove sono insediati. Il che ovviamente non vuol dire che non dobbiamo accogliere i bisognosi. Ma bisogna avere discernimento, perché i musulmani  sanno molto bene fingere.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Parroco spiega la messa a islamica. E lei va altrove
di Andrea Zambrano
04-08-2016
I musulmani a messa

Peri i giornali l’occasione era troppo ghiotta titolare: “Islamica a messa rifiutata dal parroco”. Roba da disegnarci la prima pagina del lunedì. E infatti a Cremona, la Provincia c’è riuscita a titolareMusulmana “respinta” a messa, ma accolta dall'altro parroco. Le virgolette davano già il senso dell’operazione truffaldina. Perché infatti l’articolo, firmato da Mauro Cabrini raccontava una storia di buon senso, unito alla saggezza tutta cattolica di dare ragione della propria speranza che ormai abbiamo dimenticato.

La scena è quella standard degli imam alla ricerca di una messa per domenica 31 luglio. A Cremona una giovane islamica contatta il parroco di Sant’Imerio. “Vorrei venire a portare la mia testimonianza di pace alla messa domenica, per dire che l’islam non è terrorismo”. Il parroco l’ha squadrata per bene, ma non l’ha rifiutata affatto. Le ha parlato. Come un pastore parla ad ogni pecorella. E le ha spiegato il significato della messa affinché fosse consapevole dell’inutilità e dell’inopportunità della sua presenza.

La ragazza, per nulla offesa, a quel punto ha deciso di recarsi in un'altra chiesa, a San Michele dove il parroco l’ha accolta a braccia aperte senza neanche conoscerla e l’ha salutata dall’altare al termine della celebrazione.

Ovviamente, per quanto l’articolo fosse rispettoso delle opinioni di don Giuseppe Nevi, è intuibile immaginare da che parte stesse il giornale: dalla parte del parroco buono, mentre l’altro, quello cattivo che ha respinto con le virgolette la ragazza, sarebbe il cattivo.

Ma le cose stanno davvero così?

Don Nevi ha raccontato al giornale della sua città quanto ha detto a quella donna. “Il mio non è stato un rifiuto – ha spiegato – e nemmeno un atto di esclusione. La mia volontà era quella di farla riflettere per capire, prima di compiere un gesto come quello, che cosa significa essere cristiani e che cosa significa essere musulmani. Così quando mi ha telefonato annunciandomi la sua intenzione, l’ho invitata ad una riflessione. Ma non le ho detto no, non venire”. Già, che cosa le ha detto? “Prima rifletti, poi decidi e la scelta di non venire alla fine è stata sua”. Versione confermata dalla stessa ragazza.

Proprio come Gesù ai discepoli di Emmaus, ha snocciolato il succo del discorso: “Le ho spiegato che la messa non è un incontro e nemmeno un’assemblea. Non ci si trova per caso o semplicemente per stare insieme. La messa è partecipazione al sacrificio di Dio che si è fatto carne ed è morto in croce, una partecipazione non riconosciuta dall’Islam. Ed è proprio sulla base di questa differenza sostanziale che ho ritenuto e ancora ritengo che la manifestazione di solidarietà organizzata dalla comunità islamica andasse sviluppata fuori dalle nostre chiese. Non dentro. Diversamente sarebbe stato ed è stato un atto poco rispettoso del nostro e del loro credo. E per questo non ne capisco il senso”.

Ma don Nevi è andato oltre il semplice catechismo. “Perché venire in chiesa? Secondo quale convinzione quando sanno di non riconoscere il sacrificio che invece noi celebriamo? Diversamente, se decidessero di venire in chiesa perché riconoscono il nostro credo allora a quel punto mi viene da pensare che sarebbe normale convertirsi. La vicinanza si può dimostrare in altro modo”.

Chapeau. Nella babele di versioni trite e ritrite all’insegna del dialogo qualunquista, questo sacerdote ha mostrato una serie di virtù tale da far impallidire un manuale di filotea. Ha evangelizzato, ha dato ragione della sua speranza, ha custodito il bene perfetto e sommo della messa perché nulla andasse perduto. E lo ha fatto con quelle tanto strombazzate armi del dialogo, che permettono ad un uomo di farsi conoscere, rispettare e ascoltare.

In tempi dove tutto è scontato e deprezzato al gran mercato del volemosebbene e dell’annacquamento delle identità, don Nevi non si è sottratto ad un compito faticoso, ma richiesto proprio ad ogni battezzato: difendere la verità nella carità. Ovviamente per il mainstream questo prete è retrogrado e oscurantista. Più facile non avere grane con giornali e vescovadi e allinearsi al pensiero più conveniente. Tentare di evangelizzare come un novello San Francesco col sultano, poi, men che meno. Meglio non rischiare. 

Come ha fatto il suo vescovo Antonio Napolioni, che ieri è intervenuto nella vicenda. Chi ha ragione tra i due sacerdoti? "Entrambe sono posizioni legittime perché sono state spiegate le ragioni - ha detto - ma le nostre chiese sono aperte, noi non chiediamo nè passaporto nè carta di identità, dobbiamo costruire ponti e non muri. L'iniziativa è stata positiva e spero che si ripeterà". 

Ma se mai questa ragazza un giorno dovesse seriamente interrogarsi su quel confronto e approdasse ad una conversione, dovrebbe ringraziare questo anacronistico pastore. Che forse, a differenza di tanti altri, le ha usato davvero misericordia, perché non si è accontentato di esaudire una pretesa, ma è andato al cuore di un’esperienza che anche lei potrebbe vivere. 



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26/08/2016 14:25
 
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"Ma il papa non ha scritto queste cinque semplici parole". Ecco quali

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Marafioti

"Il papa nella 'Amoris laetitia' ha scritto oltre 56 mila 600 parole, ma non ha scritto queste cinque semplici parole: 'È possibile dare la comunione ai divorziati risposati'. Se lui non le ha scritte, ritengo che nessuno le debba inserire, e nessuno deve fare ciò che lui non ha detto".

Questo dice il gesuita Domenico Marafioti in una limpida presentazione dell'esortazione postsinodale "Amoris laetitia" pubblicata sul numero di Ferragosto di "Ascolta", periodico dell'associazione ex alunni e amici della Badia di Cava.

Padre Marafioti è persona di grande autorevolezza. È preside presso la Facoltà teologica dell'Italia Meridionale di Napoli e insegna teologia dei sacramenti, in particolare del matrimonio, dell'ordine e della penitenza.

Appartiene alla Compagnia di Gesù, come papa Francesco. E infatti scrive di voler dare dell'esortazione "una lettura ignaziana e cattolica". Ignaziana nel senso "che bisogna cercare sempre di interpretare bene quello che l’altro dice (Esercizi, n. 22)". E cattolica nel senso che bisogna "leggere questo testo secondo la normale fede cattolica".

Ma lasciamo a lui la parola, nella parte dell'articolo che egli dedica all'ottavo capitolo di "Amoris laetitia", quello su cui "molti discutono".

*

"LUI NON HA DATO QUESTA AUTORIZZAZIONE"

di Domenico Marafioti S.J.

Il punto più difficile da interpretare è il n. 305 di "Amoris laetitia" che dice: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato si possa vivere in grazia di Dio, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. Non ci fermiamo a considerare in che senso uno può essere in grazia di Dio stando in una situazione oggettiva di peccato. Certamente è giusto che tutti, in qualsiasi situazione, ricevano “l’aiuto della Chiesa”. A questo punto il documento rinvia alla nota n. 351: "In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti". E intende la confessione e la comunione, e precisa che l’eucaristia "non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.

Come interpretare il testo e questa spiegazione in nota? Ci sono due alternative, una “secondo l’insegnamento della Chiesa”, come il papa stesso dice al n. 300; e un'altra che finirebbe per introdurre il divorzio nella Chiesa cattolica.

La prima è questa. Il papa dice “in certi casi”. Infatti ci sono due casi in cui è possibile dare la comunione ai divorziati risposati: quando vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria (e pertanto non si può ottenere l’annullamento canonico); e poi quando i due divorziati risposati accettano di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quindi non vivono più come marito e moglie. In questi due casi si può dare la comunione, con l’attenzione a evitare il pericolo di scandalo.

Ma si noti che il papa usa il condizionale “potrebbe essere”: vuol dire che neppure lui è completamente certo che sia la cosa più opportuna. Questa osservazione vale soprattutto per la seconda alternativa. Infatti qualcuno potrebbe interpretare queste parole come se il papa autorizzasse a dare la comunione anche ai divorziati risposati, il cui primo matrimonio era vero e giusto, e nella seconda unione vivono come marito e moglie. Ma lui non ha dato questa autorizzazione.

Bisogna infatti dire con semplicità che il papa nella "Amoris laetitia" ha scritto oltre 56.600 parole, ma non ha scritto queste cinque semplici parole: “È possibile dare la comunione ai divorziati risposati”. Perché non le ha scritte? Qualche motivo c’è. Se lui non le ha scritte, ritengo che nessuno le debba inserire, e nessuno deve fare ciò che lui non ha detto.

Papa Francesco infatti non vuole andare contro il magistero dei papi precedenti. Ecco tre loro affermazioni precise, in particolare di San Giovanni Paolo II che in "Familiaris consortio", n. 84, dice: “La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati”. In "Reconciliatio et paenitentia", n. 34, ancora Giovanni Paolo II dice che la Chiesa invita i suoi figli che si trovano in queste dolorose condizioni, e cioè sono divorziati risposati, “ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia”. E Benedetto XVI, in "Sacramentum caritatis", n. 29, ribadisce: “Il sinodo dei vescovi [sull’eucaristia, del 2005] ha confermato la prassi della Chiesa di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati”.

Il contesto precisa il valore di queste chiare affermazioni. Leggendo i documenti della Chiesa non si può mettere in conflitto un sinodo con l’altro, e un papa con l’altro. Per l’ermeneutica della continuità, non si può attribuire a papa Francesco l’intenzione di cambiare questo insegnamento del magistero. Chi fa diversamente non fa un buon servizio al papa e alla Chiesa.

Per il resto siamo tutti d’accordo che l’eucaristia è un “rimedio” per i malati, ma ci sono certi malati che sono allergici a certi farmaci, per esempio agli antibiotici: se li prendono, non guariscono, ma peggiorano. Ed è vero che è un “alimento per i deboli”, ma ora sappiamo che vi sono le intolleranze alimentari, per esempio al glutine, e la cosa più buona, come il pane, si rivela dannoso per chi lo mangia.

Sono solo esempi e altri se ne potrebbero portare, per dire la stessa cosa: l’eucaristia che è per la vita può diventare motivo di morte. Così diceva già san Tommaso d’Aquino: “Sumunt boni sumunt mali, sorte tamen inaequali, vitae vel interitus”; mangiano i buoni, mangiano i cattivi, con sorte differente, di vita o di morte.

L’eucaristia è necessaria per la vita cristiana e per il cammino spirituale. Se però è ricevuta senza le disposizioni dovute, si rivela controproducente, come dicono chiaramente i testi di Matteo 22,1 1-14, e 1 Corinti 11, 27-30. Siamo in un momento delicato in cui bisogna accogliere l’invito di papa Francesco a favorire l’integrazione dei divorziati risposati nella comunità ecclesiale, ma non bisogna compromettere la verità della prassi sacramentale della Chiesa. La prudenza e il discernimento aiuteranno a trovare la via giusta.

*

In un'altro passaggio del suo articolo, padre Marafioti fa un curioso raffronto tra "Amoris laetitia" e la precedente esortazione di papa Francesco "Evangelii gaudium", riguardo all'indissolubilità del matrimonio:

Scrive:

"In 'Amoris laetitia' c’è un progresso rispetto a 'Evangelii gaudium': in questo primo testo (n. 66) il papa non aveva parlato di indissolubilità; adesso per ben otto volte presenta il matrimonio come 'esclusivo e indissolubile' (nn. 52.53.86.123.124.134.218)".






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