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La Chiesa in Cina ma non sono buone notizie

Ultimo Aggiornamento: 18/08/2016 16:53
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Accordo in vista tra Cina e Santa Sede, ma per la Chiesa (forse) non è una buona notizia

di Riccardo Cascioli

18-08-2016
Cina, fedeli in preghiera

 

Da settimane si parla di una prossima svolta nelle relazioni tra Cina e Santa Sede, un accordo che porterebbe alla normalizzazione dei rapporti e magari spianerebbe la strada anche a una visita del Papa nel Continente di mezzo. Si tratterebbe di un evento storico, atteso da decenni, ma non necessariamente una buona notizia per la Chiesa cattolica, e non solo quella cinese. Perché stando alle indiscrezioni che si fanno sempre più insistenti, il risultato di questo eventuale accordo – a cui sembra tenere solo la Santa Sede – non sarebbe la libertà religiosa tanto agognata ma una pericolosa sottomissione della Chiesa alla volontà del governo cinese, che si evidenzierebbe nella scelta dei vescovi.

La questione delle nomine episcopali è da sempre il nodo decisivo nei rapporti con il governo comunista cinese. Da quando ha conquistato il potere nel 1948, il Partito comunista ha infatti cercato di sopprimere la religione seguendo un doppio binario: da una parte la persecuzione diretta, dall’altra il riconoscimento ufficiale di cinque religioni (oltre al cattolicesimo, il buddhismo, il protestantesimo, l’islam e il taoismo) ma poste sotto lo stretto controllo del governo tramite l’apposito Ufficio Affari Religiosi. È così che è stata istituita l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, con nomine episcopali decise dal Partito comunista e non riconosciute dalla Santa Sede mentre dall’altra parte cresceva una Chiesa “clandestina” o “sotterranea” che pagava – e paga tuttora - spesso con il sangue la sua fedeltà alla comunione con il Papa, con vescovi il cui destino era sparire nelle carceri cinesi o vivere da reclusi in casa. 

Il dialogo informale tra Santa Sede e Cina, coinciso con la nuova dirigenza comunista che ha iniziato le riforme economiche degli anni ’80 e il pontificato di Giovanni Paolo II, ha dato come frutto il riconoscimento da parte di Roma – e quindi la legittimazione - a tutti quei vescovi “patriottici” che l’hanno espressamente richiesto esprimendo fedeltà al Papa. Questo ha portato tra l’altro a rendere molto labile e differenziato a seconda delle province il confine tra Chiesa ufficiale e clandestina. Per un breve periodo si è anche trovato unmodus vivendi per cui le nomine trovavano un tacito accordo da Roma e Pechino, ma negli ultimi anni le cose sono nuovamente peggiorate: il governo comunista ha forzato la mano imponendo alcuni vescovi e forzando altri vescovi in comunione con Roma a partecipare alle ordinazioni illegittime, mentre in tutto il Paese è in corso da almeno due anni una guerra alle croci e alle chiese, distrutte a migliaia. Anche per sacerdoti e vescovi la situazione non è certo cambiata, ma a questa situazione negativa sul campo, da un po’ di tempo fa da contraltare un improvviso ottimismo per quel che riguarda le relazioni diplomatiche tra Cina e Santa Sede.

Si parla insistentemente di un gesto clamoroso di papa Francesco che entro la fine dell’anno giubilare perdonerebbe gli otto vescovi (su 109) consacrati senza l’approvazione vaticana, ma si parla soprattutto di una normalizzazione dei rapporti in vista tra Cina e Santa Sede, la quale accetterebbe di approvare vescovi proposti dal governo attraverso l’Associazione patriottica. E questo malgrado papa Francesco abbia detto che resta valido quanto scritto nella Lettera ai cattolici cinesi di papa Benedetto XVI, in cui si affermava chiaramente che organismi quali l’Associazione patriottica sono inconciliabili con la dottrina cattolica.

Del resto che questa sia la direzione intrapresa lo si capisce dalle notizie che ne dà padre Jerome Heyndrickx, sinologo gesuita da sempre sostenitore di concessioni al regime di Pechino, che lascia intendere di avere informazioni di prima mano. E alle stesse informazioni dà credito il cardinale John Tong, arcivescovo di Hong Kong, che in una lunga riflessione sembra voler preparare i cattolici cinesi alle novità in arrivo, preoccupandosi dell’unità della Chiesa in Cina e di questa con la Chiesa universale, esprimendo però perplessità per la confusione che si sta creando tra i fedeli a proposito della legittimità di vescovi e sacerdoti. Al proposito, lasciando trapelare dei timori, il cardinale Tong scrive: «Sebbene il contenuto sostanziale dell’accordo delle due parti non sia ancora pubblico, osiamo credere che Papa Francesco, come garante dell’unità e della comunione della Chiesa universale, non accetterà nulla che possa danneggiare l’integrità della fede della Chiesa universale o mettere in pericolo la comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale». 

Né si può tralasciare l’atteggiamento di una testata considerata molto vicina a Santa Marta, Vatican Insider, che da mesi – con una serie di articoli e interviste di Gianni Valente – promuove apertamente la causa del compromesso con l’Associazione Patriottica e il governo cinese, e demonizza il principale critico di una operazione che sacrifichi la libertà religiosa, ovvero il combattivo vescovo emerito di Hong Kong, il novantenne cardinale Joseph Zen. Lo stesso Zen, peraltro, ha nei giorni scorsi ribadito con molta chiarezza le sue critiche e perplessità rispondendo punto per punto allo stesso Valente (clicca qui).

Come si diceva all’inizio, però, la vicenda va ben oltre la realtà cinese perché mette in evidenza concezioni di dialogo, di Chiesa, di testimonianza che riguardano tutti i cattolici.

Anzitutto il dialogo. A sentire alcuni commentatori sembra che il dialogo sia iniziato con questo pontificato mentre prima si privilegiava il conflitto. Nulla di più falso, e qualcuno ricorderà ancora negli anni ’90 delle pubbliche quanto inopinate concessioni che l’allora segretario di Stato Angelo Sodano si disse pronto a fare per promuovere la normalizzazione dei rapporti con la Cina. Il problema sta invece nella concezione di dialogo. Diceva Benedetto XVI nella già citata lettera ai cinesi del 2007:  «... La soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime autorità civili. (...) Nello stesso tempo però non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscono indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa». 

In altre parole il dialogo in questo caso punta alla libertà religiosa, con un’attenzione particolare all’unità della Chiesa. La Santa Sede in questi decenni ha teso ripetutamente e pazientemente la mano al regime cinese ma si è sempre scontrata con un governo per cui il controllo della Chiesa – finalizzato al suo annientamento – non è neanche da mettere in discussione. Oggi invece c’è chi interpreta il dialogo in chiave diplomatica o utilitaristica, finalizzato a buoni rapporti e a una pace con il mondo che mette in secondo piano l’identità della Chiesa. Non cedere al regime comunista, per costoro, crea solo conflitti e nessun beneficio alla Chiesa mentre un accordo a qualsiasi costo permetterebbe ad esempio una vita tranquilla con una gerarchia ecclesiastica assicurata. «Vescovi fantocci», commenta giustamente il cardinale Zen, «non pastori del gregge ma lupi rapaci, funzionari di un governo ateo», questa sarebbe la pace. La Chiesa, non solo per la Cina, rischia seriamente di perdere la sua identità di corpo mistico di Cristo, che ha il compito di annunciare la morte e Risurrezione di Gesù a tutti gli uomini, per divenire una semplice organizzazione etica con il compito di costruire buone relazioni tra gli uomini.

E qui si capisce il fastidio che danno coloro che si ostinano a testimoniare la propria fedeltà alla Chiesa di Cristo. Intransigenti, ideologici, incapaci di ascoltare l’uomo di oggi: così vengono definiti quando va bene. Ma in questo modo si rinnega anche tutta la storia della Chiesa. Basti ricordare che nei primi secoli numerosi cristiani furono martirizzati per essersi rifiutati di bruciare l’incenso all’imperatore: in fondo gli era chiesto solo di fare un piccolo gesto di riconoscimento dell’autorità imperiale e poi avrebbero potuto fare i cristiani come volevano. Come oggi si pretende di piegarsi davanti al nuovo imperatore per poi poter andare a messa tranquillamente. E invece no, la storia della Chiesa è tutta costellata di martiri che hanno semplicemente confessato l’unica fede in Cristo Gesù che non ammette idolatria. Nessuno si va a cercare le persecuzioni ma a ciascuno è chiesto di non piegarsi davanti a nessun altro Dio. Tanto meno di barattare il mandato divino della Chiesa con una pace umana (e in quanto tale effimera).

Ed è qui il grave problema per la Chiesa universale che sorgerebbe da un accordo sino-vaticano come quello prefigurato. Se la nomina dei vescovi diventasse diritto di un governo civile, pur mascherato da procedure di discernimento e da esigenze pastorali, verrebbe meno il senso stesso della Chiesa. Come spiega ancora Benedetto XVI nella Lettera del 2007: «Considerando “il disegno originario di Gesù”, risulta evidente che la pretesa di alcuni organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica, secondo la quale la Chiesa è “apostolica”, come ha ribadito anche il Concilio Vaticano II. La Chiesa è apostolica “per la sua origine, essendo costruita sul ‘fondamento degli Apostoli’ (Ef 2, 20); per il suoinsegnamento, che è quello stesso degli Apostoli; per la sua struttura, in quanto istruita, santificata e governata, fino al ritorno di Cristo, dagli Apostoli, grazie ai loro successori, i Vescovi, in comunione con il successore di Pietro».

Se nella sostanza un tale privilegio venisse concesso al governo cinese, perché altri governi non potrebbero allo stesso modo interferire sulla scelta dei vescovi magari impedendo la nomina di quanti sono troppo critici dell’ideologia dominante? L’attacco esplicito oggi a vescovi occidentali che si pronunciano contro l’ideologia gender e a favore della famiglia naturale – mal sopportati non a caso dai profeti del dialogo – non ha forse la stessa natura e la stessa pretesa degli interventi del regime comunista cinese? Capitolare davanti a Pechino significherebbe allora mettere la Chiesa nelle mani del potere che governa questo mondo.

Come direbbe il cardinale Tong, «osiamo credere che il Papa non accetterà nulla che possa danneggiare l’integrità della fede della Chiesa universale».



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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CINA-VATICANO




Il card. John Tong, vescovo di Hong Kong, spiega con larghezza i motivi che spingono la Santa Sede a continuare a dialogare con Pechino: garantire maggiore libertà religiosa alle comunità cristiane; recuperare i vescovi non ufficiali e imprigionati; recuperare i vescovi illeciti. La Lettera di papa Benedetto XVI è “assolutamente valida”.

Hong Kong (AsiaNews) – Presentiamo questa riflessione a tutto campo del card. John Tong, vescovo di Hong Kong, su alcune questioni relative al dialogo fra la Santa Sede e la Cina. In essa appare ad esempio la precisazione che i dialoghi fra Roma e Pechino non vogliono dimenticare (almeno da parte della Santa Sede) la Chiesa non ufficiale, né i vescovi in prigione, né il potere spirituale del papa di nominare i vescovi… Queste domande sono spesso emerse dai cattolici dopo relazioni ed espressioni forse troppo ottimiste sui dialoghi Cina-Santa Sede. Fra coloro che più esprimono queste domande vi è anche il card. Joseph Zen Ze-kiun, che è di fatto portavoce di una folta schiera di cattolici non ufficiali e del quale presentiamo un articolo sulla stessa homepage.

Interrogato da AsiaNews sul perché di questa relazione così composita, il card. Tong ci ha detto: “Ho cominciato a scrivere questo articolo dallo scorso 24 maggio, la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Lo scopo è di aiutare e promuovere il dialogo fra la Chiesa di Cina e la Chiesa universale, e fra la Cina e la Santa Sede. L’ho scritto dopo consultazione con diverse fonti”.

Uno dei punti salienti dell’articolo è l’affermazione della validità della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. La richiesta che il Vaticano si esprimesse su questo punto è stata molto fortedopo il “voltafaccia” di mons. Taddeo ma Daqin, vescovo di Shanghai, agli arresti domiciliari da oltre 4 anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica. Dopo un articolo in cui mons. Ma torna sui suoi passi, ed apprezza in modo esagerato l’Associazione patriotticail Vaticano ha taciuto proprio sulla validità o meno della Lettera di Benedetto XVI, che bolla come “incompatibile” con la fede cattolica l’Associazione patriottica.

“Certo – ci ha detto il card. Tong – la Lettera di papa Benedetto per la Chiesa in Cina è valida. I principi stabiliti nella Lettera sono assolutamente validi”. E ha aggiunto: “La Lettera di Benedetto XVI, del 2007, e i documenti del Concilio Vaticano II spingono al dialogo fra i membri della Chiesa e al dialogo con le persone all’esterno della Chiesa, anche con le autorità civili”.

L’articolo è datato 31 luglio 2016

 

Introduzione

La Chiesa cattolica è stata fondata da Gesù Cristo ed è una, santa, cattolica e apostolica. Da quando è entrata in Cina, la Chiesa ha mantenuto queste caratteristiche fondamentali. Ma dopo la fondazione della Nuova Cina nel 1949, la comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale ha incominciato a incontrare sempre maggiori difficoltà, fino all’espulsione dell’Internunzio Apostolico, S.E. Mons. Antonio Riberi, nel 1951; in tal modo, i legami con la Chiesa universale sono stati profondamente danneggiati. Per questo, oggi si ritiene che la Chiesa in Cina abbia perso visibilmente la comunione con la Chiesa universale. Tuttavia, per quanto riguarda la sua natura, non si tratta di una Chiesa scismatica; al contrario, è una Chiesa che cerca positivamente di riprendere la comunione con la Chiesa universale.

La comunione con la Chiesa universale non deve essere solo un legame spirituale, ma deve manifestarsi nell’azione concreta della nomina dei vescovi locali da parte del Santo Padre. Sebbene nella visione della Chiesa, la nomina dei vescovi da parte del Sommo Pontefice sia un affare del tutto religioso ed interno ad essa, negli ultimi sessant’anni, a causa della mancanza di comprensione da parte del Governo cinese, non è stato facile per il Santo Padre nominare formalmente i vescovi in Cina, per cui la comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale non si è potuta manifestare pienamente.

Gli sforzi compiuti per tanti anni dalla Chiesa cattolica a riguardo di questo problema hanno gradualmente guadagnato la riconsiderazione del Governo cinese; si vuole raggiungere un accordo con la Santa Sede relativo alla nomina dei vescovi in Cina e cercare insieme una soluzione accettata da entrambe le Parti. L’obiettivo è da un lato di non danneggiare l’unità fondamentale della Chiesa cattolica e l’integrità dell’autorità della Santa Sede nell’iter di nomina dei vescovi; dall’altro lato, fare in modo che l’autorità del Santo Padre nel nominare i vescovi non sia considerata una intromissione nella Cina.

Gli sforzi dei recenti Pontefici stanno producendo i primi risultati. Ancorché incoraggianti, non poche persone, però, all’interno e all’esterno della Cina, sono preoccupate, manifestano dubbi e perplessità circa la possibilità di raggiungere un accordo; temono che gli ufficiali della Curia e lo stesso Pontefice cedano sui principi fondamentali; lanciano improperi e invettive contro alcuni ufficiali di Curia; puntano la lancia anche contro l’attuale Pontefice, accusando Papa Francesco di contraddire il principi difesi da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, come pure temono che la propria fedeltà di tanti anni sia dimenticata o messa da parte a favore di quel clero che ambiguamente ha giocato tra il riconoscimento civile e quello papale. Sebbene il contenuto sostanziale dell’accordo delle due parti non sia ancora pubblico, osiamo credere che Papa Francesco, come garante dell’unità e della comunione della Chiesa universale, non accetterà nulla che possa danneggiare l’integrità della fede della Chiesa universale o mettere in pericolo la comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale.

Insieme con il gruppo di sacerdoti cinesi interessati alla Chiesa in Cina, credo che dobbiamo dare alle persone preoccupate di questi problemi una spiegazione chiara e comprensibile della posizione base della Chiesa sui punti seguenti per evitare ogni malinteso. Le domande fondamentali a cui rispondere sono: Perché la Santa Sede persevera nel portare avanti il dialogo con il Governo cinese e non si oppone ad esso? In che cosa consiste la comunione della Chiesa locale con la Chiesa universale? Nella Chiesa cattolica, come sono nominati i vescovi della Chiesa locale e secondo quali principi? Quale ruolo ha la cosiddetta ‘Conferenza episcopale dei Vescovi cinesi’ e che rapporti ha con ogni singola Diocesi?

Il significato dei negoziati tra Cina e Vaticano

Il Vangelo, entrando in un qualsiasi Paese del mondo, in qualsiasi popolo e cultura, non deve emarginare, distruggere o danneggiare quel Paese, quel popolo e quella cultura, anzi li deve perfezionare in modo da raggiungere lo scopo per cui Dio li ha creati fin dall’inizio, cioè condividere la sua vita divina. Papa Francesco nell’intervista concessa al quotidiano Asia Times il 28 gennaio scorso ha detto che la responsabilità della Chiesa cattolica è di mostrare rispetto per ogni cultura e, quindi, anche verso la cultura cinese mostra il più grande rispetto. Il Vangelo però entra non in modo astratto in un Paese, in un popolo e in una cultura, ma tramite persone concrete, i cristiani: per cui, i messaggeri della buona novella rivestono il Vangelo di un abito esteriore umano. Quando questi cristiani esprimono in profondità lo spirito e i valori del Vangelo, come la carità, la pace e la misericordia, ecc., diventa più facile per gli ascoltatori farne esperienza, comprendere ed accogliere. Ma se per i limiti personali, i cristiani presentano il Vangelo come una ‘minaccia’ o, senza che abbiano nessun intento di ‘minaccia’, la loro testimonianza fa nascere il dubbio che si tratti di un ‘complotto’, allora la diffusione del Vangelo incontra ostacoli.

Il Vangelo di Cristo, nel corso della sua diffusione in Cina, attraverso diversi successi, insuccessi e proibizioni, ha registrato entrambi gli atteggiamenti sopra descritti. In realtà, la Chiesa cattolica, negli impegni di evangelizzazione e di sviluppo nella Cina attuale, deve affrontare queste sfide, dal momento che un certo numero di cinesi conserva ancora dubbi e timori nei riguardi della diffusione della Chiesa cattolica nel Paese. Di fronte a questi dubbi e timori, non dobbiamo lamentarci sul perché le buone intenzioni dei Cattolici non siano capite, giacché lamentarsi non risolve i dubbi e timori di queste persone, né occorre passivamente attendere che tali dubbi e i timori spariscano spontaneamente ad un dato tempo. La missione di annunciare il Vangelo al popolo cinese ci spinge ad agire positivamente, non attendendo passivamente o tergiversando: per questo, di fronte a persone che nutrono sospetti e dubbi verso la Chiesa cattolica, il metodo positivo che noi dobbiamo assumere è quello della comunicazione e del dialogo.

Indubbiamente, il cammino dall’incomprensione e dal malinteso alla comprensione, fiducia, accettazione ed amicizia non è immediato. Come nelle relazioni interpersonali, la fiducia si guadagna non solo a parole, ma con i fatti e con l’impegno di entrambe le parti. Così noi non solo cerchiamo di comprenderci a parole, ma con azioni adeguate per favorire una maggiore fiducia vicendevole. L’unico metodo proprio per risolvere i dubbi e i timori richiede buona volontà e iniziative dai tempi lunghi. A partire dalla nuova politica di apertura della Cina negli anni ’80 del secolo scorso ad oggi, la Chiesa cattolica, per iniziativa dei Pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e dell’attuale Papa Francesco, ha alzato frequentemente il ramo d’olivo verso la Cina, manifestando la sua buona intenzione di dialogare: le due Parti si sono scambiate le visite delle proprie delegazioni per iniziare i negoziati. Mantenendo la buona volontà e una comunicazione paziente da circa venti anni, la Santa Sede non ha dimostrato di essere dispiaciuta per la mancanza di comprensione. Questo durevole atteggiamento di umiltà e di pazienza è la dimostrazione che la Chiesa cattolica rispetta il popolo cinese e gli concede tutto il tempo necessario perché aumenti la comprensione reciproca, tesa a mostrare che essa non è nemica del Paese o pensi ad un’invasione straniera. Non serba nessuna cattiva intenzione nei confronti del popolo cinese, anzi è una presenza amica che intende aiutare la compagine sociale a cercare il senso della vita. Come ho spesso sottolineato, per poter sciogliere i nodi del cuore, occorre umiltà, pazienza e dialogo costante: questa è appunto la via che viene dal cielo.

             Sebbene il Signore sia il padrone dell’universo, non fa uso della forza per costringere l’umanità ad attuare il suo piano. Al contrario, quando il suo piano incontra l’incomprensione e l’opposizione degli uomini, Dio inizia pazientemente il dialogo. Biblicamente parlando, ha mandato dapprima i profeti, che però non sono stati accolti dagli uomini, anzi li hanno persino uccisi. Ma Dio non ha rinunciato. Ha mandato il suo unico Figlio, che è stato lui stesso ucciso. Se dovessimo ragionare umanamente, il Signore è il più grande perdente; ma la morte del Suo figlio diventa l’occasione più importante per dimostrare l’amore di Dio, come anche l’esempio più grande per capire davvero chi è Dio. La morte del Figlio è la Parola più chiara e più forte di Dio per noi uomini ed è l’apice del dialogo di Dio con noi. Il Signore non ha fatto uso di nessuna forza per costringere l’umanità; fa uso del dialogo, dell’umiltà e della pazienza per smuovere il cuore degli uomini, in modo che acconsentano ad accettare il Suo invito.  

Lo stile del dialogo tra Dio e l’umanità è il modello per noi cristiani e per tutti coloro che cercano di dialogare con altri. Il dialogo più che decennale tra la Santa Sede e Pechino mostra le seguenti caratteristiche: calma, umiltà, onestà e pazienza. L’accordo come primo passo tra la Santa Sede e Pechino è il risultato di questo tipo di dialogo, che ha condotto gradualmente le Parti dall’incomprensione e diffidenza vicendevole alla comprensione e alla fiducia; è una vittoria per entrambe le Parti, perché tra amici c’è appoggio reciproco e arricchimento di vita. L’accordo tra la Santa Sede e Pechino diventa un modello di dialogo tra gli uomini, è l’inizio della normalizzazione dei rapporti reciproci: credo che entrambe le parti possano d’ora in avanti continuare a sperimentare la mutua fiducia per continuare il dialogo fino alla fine.

L’obiettivo del dialogo: la libertà religiosa, la Chiesa cattolica in Cina e la comunione con la Chiesa universale

Secondo quanto detto sopra, l’obiettivo del dialogo tra la Santa Sede e Pechino è di eliminare tutti i malintesi e permettere al popolo cinese di conoscere oggettivamente il senso e il valore positivo della Chiesa cattolica, in modo da eliminare le restrizioni imposte alla Chiesa cattolica in Cina. In altre parole, l’obiettivo del dialogo tra la Santa Sede e Pechino è appunto di ottenere e di garantire alla Chiesa in Cina la libertà religiosa e i diritti fondamentali che sono iscritti nella Costituzione. La Santa Sede spera che tramite il dialogo la Chiesa cattolica mostri con chiarezza il suo impegno a rispettare le leggi dello Stato, il potere costituito e le leggi amministrative. La libertà religiosa, che la Chiesa desidera, non solo è un diritto naturale dovuto ad ogni persona, ma aiuterà maggiormente tutti a cercare la verità, il bene, il bello e il giusto, migliorando i rapporti personali, come anche l’armonia e l’ordine della società.[1] Il Vangelo che la Chiesa cattolica diffonde in Cina non è solo una Buona Novella per gli individui ma anche per tutta la società.

Alcuni non apprezzano il contenuto e gli obiettivi del dialogo tra la Santa Sede e Pechino, dal momento che la Santa Sede non ha pubblicamente criticato la politica cinese sui diritti umani, che non intende far cambiare nessun aspetto del sistema politico cinese: la Santa Sede sembra rinunciare a promuovere alcuni valori base. Tale genere di critiche non è giusto né obiettivo. Papa Benedetto XVI nella Lettera a tutti i Cattolici cinesi del 2007 ha detto chiaramente che la Chiesa deve preoccuparsi della giustizia sociale e non rinunciare a fare i dovuti sforzi per promuoverla; tuttavia, la Chiesa non può certamente ingerirsi negli ambiti che sono di competenza del Governo. La missione della Chiesa cattolica non è di cambiare le istituzioni governative o amministrative di un Paese, non può e non deve entrare nella lotta politica, ma deve, tramite l’analisi razionale, esaminare e risvegliare le forze spirituali nelle singole persone per raggiungere questo obiettivo. Senza rinunciare ai suoi principi, la Chiesa cerca di risolvere i problemi tramite un dialogo costruttivo ed autorevole e non per mezzo di continui scontri. [2] Il Signore Gesù non ha fatto uso di spade, ma sacrificando se stesso, ha ottenuto la salvezza dell’umanità e la vera libertà. Per questo, la Chiesa cattolica deve dialogare con Pechino con “rispetto e carità”. L’obiettivo del dialogo, quindi, naturalmente non è di sacrificare i principi della Chiesa; [3] se non fosse per salvaguardare la verità e i principi, perché la Chiesa vorrebbe dialogare con Pechino?   

La comunione della Chiesa in Cina con la Chiesa universale

            “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, in modo che chi crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Secondo il Vangelo di Giovanni, il piano salvifico del Signore riguarda tutti gli uomini.  Per questo, c’è un solo popolo di Dio, la cui natura regale non è umana ma divina: è composto da tutti i popoli. Per attuare questo piano del Padre celeste, il Signore Gesù ha incominciato dapprima a chiamare i Dodici Apostoli e a formarli in una ‘comunità’, cioè in una forma di istituzione comunitaria stabile. Tra di loro ha scelto Pietro come capo della comunità… Li ha mandati poi ai figli di Israele e, infine, fino ai confini della terra (Rom 1,16). Ha voluto condividere con loro la sua autorità: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, santificandole e governandole… con l’aiuto dello Spirito Santo… raccoglietele nella Chiesa universale, la Chiesa che ha come fondamento Cristo e gli Apostoli e che è costruita sulla roccia di Pietro e la cui pietra angolare è Cristo”. [4] In sintesi, “Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia di tutti i vescovi sia del popolo di Dio”. [5]  Solo in unione con il Romano Pontefice si può essere in comunione con la Chiesa universale ed essere membra della Chiesa cattolica; l’unità con il Sommo Pontefice attua la forma di comunione con la Chiesa universale ed è il segno di tale comunione.

I principi sopra esposti devono essere applicati alla Chiesa in Cina, in modo che sia parte della Chiesa universale. Sia la dimensione spirituale che la forma visibile richiedono l’unità con il Sommo Pontefice per attuare la comunione con la Chiesa universale. Il Papa emerito Benedetto XVI nella Lettera ai Cattolici cinesi ha scritto: “Come voi sapete, la profonda unità che lega fra di loro le Chiese particolari esistenti in Cina e che le pone anche con tutte le altre Chiese particolari sparse nel mondo, è radicata, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, soprattutto nell’Eucaristia e nell’Episcopato, di cui il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento”. Continua lungo i secoli mediante la successione apostolica ed è fondamento anche dell’identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli. La dottrina cattolica insegna che il vescovo è principio e fondamento visibile dell’unità nella Chiesa particolare, affidata al suo ministero pastorale.  Ma in ogni Chiesa particolare, affinché sia pienamente Chiesa, dev’essere presente la suprema autorità della Chiesa, vale a dire il collegio episcopale insieme con il suo capo, il Romano Pontefice, e mai senza di esso. Pertanto, il ministero del Successore di Pietro appartiene all’essenza di ogni Chiesa particolare dal “di dentro”. Inoltre, la comunione di tutte le Chiese particolari nell’unica Chiesa cattolica e, quindi, l’ordinata comunione gerarchica di tutti i Vescovi, Successori degli Apostoli, con il Successore di Pietro, sono garanzia dell’unità della fede di tutti i cattolici. Perciò, è indispensabile, per l’unità della Chiesa nelle singole nazioni, che ogni vescovo sia in comunione con gli altri vescovi, e che tutti siano in comunione visibile e concreta con il Papa”. [6]

La Chiesa in Cina e la manifestazione e forma di attuazione della comunione universale

La nomina dei vescovi da parte del Pontefice è la manifestazione della comunione tra la Chiesa particolare e la Chiesa universale. Il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Chiesa dice a riguardo della nomina del vescovo locale: “La missione canonica dei vescovi può essere data per mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e universale potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa autorità o da esse riconosciute, oppure direttamente dallo stesso Successore di Pietro; se questi rifiutano o negano la comunione apostolica, i vescovi non possono essere assunti all’ufficio”. [7]

In altre parole, la Chiesa particolare non ha l’autorità di scegliere e nominare il proprio vescovo, ma solo il permesso e la nomina del Pontefice rendono il candidato pastore della Chiesa particolare. [8] Da qui si evince che la conferenza episcopale di un luogo, separata dal Pontefice, non ha l’autorità di costituire e di nominare un vescovo locale; essa può solo, con il permesso del Sommo Pontefice, esercitare il magistero e l’autorità pastorale in comunione con la Chiesa universale. [9] Un governo secolare, a maggior ragione, non ha il potere di nominare un vescovo locale, perché “il ministero apostolico dei vescovi è stato istituito da Cristo Signore e mira ad un fine spirituale e soprannaturale. Questo Santo Sinodo ecumenico dichiara che il diritto di nominare e di costituire i vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica. Perciò, per difendere debitamente la libertà della Chiesa e per promuovere più adeguatamente e speditamente il bene dei fedeli, questo Santo Concilio fa voti che, per l’avvenire, alle autorità civili non siano più concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale”. [10]

I principi sopra esposti sono usati propriamente dalla Santa Sede per trattare i problemi della Chiesa in Cina. Papa Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi ha espresso chiaramente che “alcuni organismi voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, che pretendono di porsi al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale non corrispondono alla dottrina cattolica. Secondo la dottrina della Chiesa, la Chiesa è apostolica, come ha ribadito anche il Concilio Vaticano II. La Chiesa è apostolica per la sua origine, essendo costruita sul ‘fondamento degli Apostoli’ (Ef 2,20); per il suo insegnamento, che è quello stesso degli Apostoli; per la sua struttura, in quanto istruita, santificata e governata, fino al ritorno di Cristo, dagli Apostoli, grazie ai loro successori, i Vescovi, in comunione con il successore di Pietro”.

Anche “l’attuazione del principio di indipendenza, autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa è inconciliabile con la dottrina cattolica”. [11] Per questo, la Chiesa in Cina nell’attuare la comunione con la Chiesa universale e l’uniformità con le altre Chiese deve obbedire alla suprema autorità del Romano Pontefice sia per il magistero che per l’amministrazione. Dal momento che in Cina vi sono persone che dubitano che spetti al Sommo Pontefice di scegliere e nominare i vescovi cinesi, la nomina dei Vescovi diventa un problema cruciale nei rapporti tra le due Parti. La Santa Sede insiste che la nomina dei vescovi è la garanzia dell’unità e della comunione della Chiesa. Nella nomina di un vescovo si esercita la suprema autorità del Pontefice, ma tale autorità non intende intromettersi negli affari politici interni dello Stato, anche se la Santa Sede è consapevole della preoccupazione del Governo cinese sulla possibilità di esercitare una certa influenza sulla società. Per questo, la Santa Sede, per la necessità di scegliere e nominare i candidati episcopali per la Chiesa in Cina, continua a promuovere il dialogo e, senza violare i principi della fede cattolica e la comunione ecclesiale, cerca di raggiungere un’intesa comune con le Autorità cinesi, dal momento che ciò non contraddice i principi fondamentali della Chiesa. [12]

 

A riguardo della nomina dei vescovi, il Codice di Diritto Canonico al canone 377 dichiara:

§1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.

§2. Almeno ogni triennio i Vescovi di una provincia ecclesiastica, oppure, dove le circostanze lo suggeriscono, le Conferenze Episcopali, mediante una consultazione comune e segreta, compilino un elenco di presbiteri, anche membri di istituti di vita consacrata, che risultino particolarmente idonei all’episcopato, e lo trasmettano alla Sede Apostolica, fermo restando il diritto di ciascun Vescovo di presentare separatamente alla Sede Apostolica i nomi dei presbiteri che giudica degni e idonei alla funzione episcopale.

§3. A meno che non sia stato stabilito legittimamente in modo diverso, ogni volta che deve essere nominato un Vescovo diocesano o un Vescovo coadiutore, per proporre la cosiddetta terna alla Sede Apostolica, spetta al Legato pontificio ricercare singolarmente e comunicare alla stessa Sede Apostolica, insieme con il suo voto, ciò che suggeriscono il Metropolita e i Suffraganei della provincia, alla quale appartiene la diocesi a cui occorre provvedere o con la quale è aggregata, e altresì il presidente della Conferenza Episcopale; il Legato pontificio inoltre ascolti alcuni del collegio dei consultori e del capitolo cattedrale e, se lo riterrà opportuno, richieda anche singolarmente e in segreto il parere di altri, del clero diocesano e religioso, come pure di laici distinti per saggezza.

§4. Se non è stato legittimamente disposto in modo diverso, il Vescovo diocesano che ritenga si debba dare un ausiliare alla sua diocesi, proponga alla Sede Apostolica un elenco di almeno tre presbiteri idonei a tale ufficio.

§5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.

 

Dal Codice di Diritto Canonico appaiono chiare le condizioni richieste per la nomina dei vescovi: la nomina dei vescovi da parte del Sommo Pontefice è un compito puramente ecclesiale. Tale autorità e potere sono riservati alla Chiesa stessa, che non cede alle autorità statali la prerogativa di scegliere, nominare, presentare o proporre il candidato episcopale. Il modo che il Pontefice usa per nominare un vescovo locale è in genere di due tipi: il primo, il Sommo Pontefice nomina il vescovo liberamente di persona; il secondo, il Pontefice approva il vescovo che è stato scelto in accordo con le richieste formulate dalla legge. Qui, naturalmente, per legge si indicano le disposizioni del Codice di diritto canonico e le altre disposizioni emesse dalla competente autorità ecclesiastica. [13] Se, senza osservare le leggi richieste, si decidono candidati episcopali, il Pontefice allora seguendo il suo criterio di giudizio nomina lui il vescovo, senza subire nessun vincolo di qualsiasi forza religiosa e secolare. Quando il Pontefice nomina liberamente un vescovo, sonda prima le opinioni dei membri della Chiesa e tenendo conto della lista dei candidati proposti, sceglie chi ritiene più idoneo. Tra i membri della Chiesa interpellati ci sono i vescovi delle Diocesi vicine che appartengono alla stessa regione ecclesiastica, altri vescovi membri della Conferenza episcopale di quel Paese, il vescovo attuale o emerito della Diocesi stessa e il Rappresentante Pontificio. Questi deve recarsi personalmente sul posto a raccogliere le opinioni dei membri della Chiesa locale e, dopo l’inchiesta, stende la lista dei candidati proposti e la sottopone alla Santa Sede. La lista dei candidati episcopali comprende il nome del candidato che lui giudica più idoneo, il nome del candidato ritenuto idoneo dall’Arcivescovo e dai vescovi della stessa regione ecclesiastica e il nome del candidato ritenuto idoneo dalla Conferenza episcopale del Paese. Inoltre, il Codice stabilisce che il Rappresentante Pontificio debba ascoltare il parere dei consultori diocesani e dei canonici della cattedrale, e se lo crede utile, consultare segretamente anche altri membri del clero che operano nella Diocesi e persino laici che si dimostrano particolarmente saggi.

            Quanto sopra sintetizza i grandi principi da osservare comunemente nella scelta e nella nomina dei vescovi nella Chiesa cattolica. Nell’attuazione pratica, si può scegliere il modo più adatto alle situazioni locali, che non violi i principi della fede né la comunione ecclesiale, come per esempio, il cosiddetto “modello vietnamita”, concordato con la Santa Sede, dopo una seria considerazione delle condizioni specifiche della Chiesa in Vietnam. La Santa Sede, nel trattare con il Governo cinese per la scelta dei vescovi nella Chiesa in Cina, vuole solo che non si violino i principi sopra esposti: la Santa Sede ha l’autorità di stabilire la modalità più opportuna per la nomina dei vescovi in Cina, senza dover subire nessuna censura. Per la nomina dei vescovi in Cina, il Pontefice ha l’autorità specifica di considerare le condizioni particolari della Chiesa nel Paese e stabilire leggi speciali, che però non violino i principi di fede e non distruggano la comunione ecclesiale.

            La Chiesa in Cina non ha tuttora una Conferenza episcopale riconosciuta dalla Santa Sede. Se in futuro la Conferenza episcopale, grazie al suo pieno adeguamento alle richieste fondamentali della Chiesa, fosse riconosciuta dalla Santa Sede e divenisse legale, tale Conferenza e i vescovi che vi appartengono avrebbero l’autorità e il dovere di proporre al Pontefice i candidati episcopali che ritengono idonei: questo sarebbe in pieno accordo con la fede tradizionale della Chiesa e non distruggerebbe la comunione ecclesiale.  Se l’accordo tra la Santa Sede e Pechino comprenderà la possibilità che la Conferenza episcopale, una volta riconosciuta dalla Santa Sede, proponga i candidati episcopali per la Chiesa in Cina, non dovremmo ritenere che la Chiesa abbia sacrificato la sua comunione universale e che il Pontefice abbia rinunciato alla sua autorità di governare la Chiesa in Cina. Naturalmente, la Conferenza episcopale cinese, una volta costituita e riconosciuta, e i suoi membri della regione ecclesiastica avrebbero solo il potere di proporre i candidati, dal momento che l’autorità decisiva rimane riservata al Sommo Pontefice; la Santa Sede ha il potere di scegliere il candidato più idoneo come anche ha il potere di rifiutare il candidato proposto dalla Conferenza episcopale e dai suoi membri, dando inizio ad una nuova consultazione.

La Conferenza episcopale cinese

La Conferenza episcopale di un dato luogo ha il potere di proporre i candidati episcopali. Ma nella Chiesa in Cina Continentale per ragioni note a tutti “ci sono Pastori che, sotto la spinta di circostanze particolari hanno consentito a ricevere l’ordinazione episcopale senza il mandato pontificio, ma che in seguito, hanno chiesto di poter essere accolti nella comunione con il Successore di Pietro e con gli altri fratelli nell’episcopato. Il Pontefice, considerando la sincerità dei loro sentimenti e la complessità della situazione, e tenendo presente il parere dei Vescovi viciniori, in virtù della propria responsabilità di Pastore universale della Chiesa ha concesso ad essi il pieno e legittimo esercizio della giurisdizione episcopale.” [14] Questa iniziativa del Papa nasceva dalla conoscenza delle particolari circostanze della loro ordinazione e dalla sua profonda preoccupazione pastorale nel favorire il ristabilimento di una piena comunione.

   “Non mancano anche – ma in numero molto ridotto – Vescovi che sono stati ordinati senza il mandato pontificio e non hanno chiesto o non hanno ancora ottenuto, la necessaria legittimazione. Secondo la dottrina della Chiesa cattolica essi sono da ritenere illegittimi, ma validamente ordinati, qualora ci sia la certezza che hanno ricevuto l’ordinazione da Vescovi validamente ordinati e che è stato rispettato il rito cattolico dell’ordinazione episcopale.” [15]

            Nella Cina Continentale, inoltre, ci sono anche vescovi che appartengono alla Chiesa non ufficiale, i quali non sono riconosciuti dal Governo cinese e sono persino costretti a vivere in regime di detenzione o domicilio coatto, non potendo esercitare il ministero episcopale. Per questo, attualmente nella Cina Continentale non esiste una Conferenza episcopale riconosciuta dalla Santa Sede, “perché non ne fanno parte i Vescovi ‘clandestini’, cioè non riconosciuti dal Governo, che sono in comunione con il Papa. Al contrario, include Presuli, che sono tuttora illegittimi, ed è retta da Statuti, che contengono elementi inconciliabili con la dottrina cattolica”. [16] Conseguentemente, in futuro, la Conferenza episcopale dovrebbe includere non solo tutti i vescovi legittimi della Chiesa ufficiale, ma anche i vescovi della Chiesa non ufficiale in modo da formare insieme un’unica Conferenza episcopale cinese. I vescovi del continente che non sono stati ancora legittimati dovrebbero, seguendo le condizioni richieste per un vescovo legittimo, essere riconosciuti dalla Santa Sede. Il Pontefice spera ardentemente che “questi vescovi pervengano alla comunione piena con il Successore di Pietro e con tutto l’Episcopato cattolico e così portare alla Chiesa cattolica in Cina una grande ricchezza spirituale”.

            Roma deve includere nel dialogo anche la causa dei vescovi della Chiesa non ufficiale, in modo che il Governo cinese li riconosca ufficialmente, facendo di tutto per ottenere e garantire la loro legittima autorità. Alcuni sono preoccupati che le trattative tra la Cina e il Vaticano abbiano come conseguenza l’abbandono dei vescovi non ufficiali, passando in secondo luogo i principi di fede della Chiesa e la comunione ecclesiale: tale preoccupazione è indebita. Il dialogo che la Santa Sede sta intavolando con il Governo cinese da più di dieci anni e che intende continuare ha come obiettivo non certamente di sacrificare i principi di fede e la comunione ecclesiale, ma, per mezzo di questi scambi e trattative, far capire al Governo cinese i principi di fede della Chiesa e il vero significato della comunione ecclesiale, in modo che le Autorità cinesi non continuino a serbare dubbi e prendere misure amministrative indebite nei confronti della Chiesa, garantendo così la sua fede e unità. Se la Santa Sede avesse l’intenzione di abbandonare i principi di fede e la comunione ecclesiale, non avrebbe bisogno di fare il dialogo o di trattare con le Autorità cinesi. L’impegno persistente della Chiesa nel dialogo dimostra di fatto che essa continui ad essere preoccupata di tali istanze.

Altre persone temono che il dialogo tra Santa Sede e Pechino sacrifichi i diritti legittimi della Chiesa non ufficiale. Per esempio, c’è chi si preoccupa che nelle trattative, Roma si dimentichi dei vescovi clandestini che sono in prigione. Tale preoccupazione potrebbe manifestare una mancanza di fiducia nell’amore che la Santa Sede ha per la Chiesa in Cina. Tale giudizio sarebbe un affronto verso la Santa Sede e verso gli incaricati del dialogo, giudizio che non dovrebbe uscire dal cuore di noi cattolici. Il sacrificio della Chiesa non ufficiale per mantenere la fedeltà alla Chiesa è noto ed apprezzato da tutti. L’intera Chiesa universale si preoccupa degli sforzi di sussistenza nelle difficoltà da parte della Chiesa non ufficiale e con ogni mezzo cerca di aiutarla. Il dialogo tra la Santa Sede e Pechino mira appunto a risolvere tali condizioni anormali della vita della Chiesa non ufficiale, in modo che i suoi membri possano condurre al più presto una vita religiosa protetta dalla legge. Il Papa emerito Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi, fin dall’inizio, sottolinea la sua grande preoccupazione per i fratelli e le sorelle della Chiesa in Cina ed assicura la sua preghiera quotidiana per la Chiesa. [17] Papa Francesco nella sua cappella privata venera la “Madonna di Sheshan” e prega ogni mattina per la Chiesa in Cina. [18] Non dobbiamo per nulla dubitare che il Pontefice dimentichi i fratelli e le sorelle della Chiesa non ufficiale.

Il dialogo e i negoziati tra la Santa Sede e la Cina sono un processo a lungo termine. La conoscenza vicendevole delle due Parti, la mutua comprensione e fiducia, la comune intesa esigono tempo e noi non possiamo aspettarci che i problemi accumulatisi in decenni vengano risolti tutti in una volta. Dobbiamo concedere tempo e pazienza: il cammino di mille miglia inizia con il primo passo. Quando entrambe le parti incominciano a fidarsi reciprocamente, non abbiamo motivo di nutrire previsioni pessimistiche a riguardo del loro dialogo e prevederne la fine. Dobbiamo aspettare ottimisticamente che il dialogo porti i suoi frutti positivi e questo a motivo della nostra fede: noi crediamo che non è il male ma il bene la forza ultima che governa il mondo. La Chiesa cattolica considera che anche i cinesi e le loro Autorità siano amici alla ricerca del bene, della giustizia e dei valori universali, “rapporti che favoriscano l’amicizia, la condivisione della gioia del cuore, l’unità e l’aiuto vicendevole”. [19] Accompagniamo con la preghiera le trattative tra la Santa Sede e Pechino, affinché procedano tranquillamente fino a raggiungere l’obiettivo che le due Parti si prefiggono. L’accordo dev’essere una vittoria per entrambi, non si ridurrà a un gioco senza nessun risultato.

Conclusione

Non occorre nascondere che alcune persone conservino ancora gravi malintesi e incomprensioni a riguardo del meccanismo della comunione della Chiesa cattolica. Per questo la Chiesa continua a reiterare la “speranza che la Santa Sede e i vescovi della Cina sviluppino mutuo rispetto e dialogo sincero così da poter risolvere i suddetti problemi”, come anche “la speranza che si trovi un accordo con il Governo per risolvere i nodi relativi alla scelta dei candidati all’episcopato, alla pubblicazione della nomina dei vescovi e al riconoscimento, agli effetti civili, del nuovo vescovo da parte delle Autorità locali”. [20] Recentemente la Santa Sede e il Governo cinese hanno ripreso il dialogo, molti nutrono aspettative ottimistiche sui rapporti diplomatici tra la Cina ed il Vaticano nella speranza che il dialogo tra le due Parti porti ad un miglioramento nelle condizioni di vita della Chiesa in Cina. Abbiamo notato che anche molti fratelli e sorelle della Chiesa non ufficiale appoggiano il dialogo tra la Santa Sede e Pechino: “Non considerare l’accordo una volta raggiunto tra la Santa Sede e il Governo della Repubblica Popolare Cinese come un compromesso politico o persino come sottomissione”, ma considerare la normalizzazione dei rapporti tra Cina e Vaticano come “un grande orientamento” che “è di vantaggio alla nazione cinese e anche alla Chiesa cattolica”; “è un avvenimento festoso per i cattolici della grande Cina”,  “vantaggioso ai cattolici del continente per poter avere una vita religiosa normale”; “la Chiesa non ufficiale potrà naturalmente godere di maggior libertà religiosa”, per cui “noi obbediremo a qualsiasi decisione che il Santo Padre prenderà nei riguardi dei rapporti tra la Cina e il Vaticano”. [21] Attendiamo che queste belle speranze della Chiesa non ufficiale in Cina possano presto avverarsi.

______________

 

[1] Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, nn. 7.11.

[2] Benedetto XVI, Lettera ai vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica popolare cinese, 2007, n. 4.

[3] Id., n. 7.

[4] Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 19.

[5] Id., n. 23.

[6] Benedetto XVI, Lettera, n. 5.

[7] Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 24.

[8] Id., Christus Dominus, nn. 4.18.

[9] Id., Lumen Gentium, n. 21.

[10] Id., Christus Dominus, n. 20.

[11] Benedetto XVI, Lettera, n. 7.

[12] Id., n. 9.

[13] Lumen Gentium, n. 24.

[14] Benedetto XVI, Lettera, n. 8.

[15] Ibid.

[16] Ibid.

[17] Benedetto XVI, Lettera, n. 1.

[18] Sito della Radio Vaticana, febbraio 26, 2016.

[19] Benedetto XVI, Lettera, n. 4.

[20] Benedetto XVI, Lettera, nn. 3.9.12.

[21]VATICAN INSIDER, gennaio 28, 2016. 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/08/2016 16:53
 
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CINA - VATICANO


Confusione e polemiche per il silenzio del Vaticano sul caso di mons. Ma Daqin di Shanghai



Bernardo Cervellera

Per alcuni l’articolo di mons. Ma con cui elogia l’Associazione patriottica, riconoscendo i suoi “errori”, è solo “fango”. Per altri egli si è umiliato “per il bene della sua diocesi”. Molti esprimono perplessità per il silenzio della Santa Sede: silenzio sul contenuto dell’articolo; silenzio sulla persecuzione subita dal vescovo di Shanghai. Il sospetto che in Vaticano si vede bene lo svolgimento del “caso” Ma Daqin che però fa emergere un problema: la Lettera di Benedetto XVI (con cui dichiara l’AP non compatibile con la dottrina cattolica) è abolita? E chi l’ha abolita? Il rischio di una strada di compromessi senza verità.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Fra i fedeli di Shanghai continua a dominare la confusione per il “voltafaccia” del loro vescovo, mons. Taddeo Ma Daqin, che dopo quattro anni di arresti domiciliari per essersi dimesso dall’Associazione patriottica (AP), con un articolo pubblicato lo scorso 12 giugno, ha “confessato” i suoi errori e ha elogiato “il ruolo insostituibile nello sviluppo della Chiesa in Cina” per l’organismo di controllo del Partito comunista sulla Chiesa. A tutt’oggi molti fedeli e amici del vescovo credono che mons. Ma sia stato forzato a scrivere quell’articolo e che il suo contenuto “è solo fango”.

Un sacerdote del nord (lui stesso sotto sorveglianza del governo) ha parole di compassione per mons. Ma. “È comprensibile – dice ad AsiaNews – il cambiamento di mons. Ma Daqin. Egli ha accettato di ingoiare tutte queste umiliazioni considerandole con serietà. E lo ha fatto per il bene della diocesi, perché egli possa ritornare ad averne cura. Il governo cinese era fuori di sé per aver ‘perso la faccia’ davanti all’atteggiamento del vescovo di quattro anni fa. Il suo pentimento e i suoi elogi verso l’Associazione patriottica espressi nel blog, fanno riguadagnare ‘faccia’ al governo e questo potrebbe rendere le cose più facili per lo stesso Ma”.

Per molti cattolici cinesi, da diverse parti del Paese, lo stupore  più grande è dovuto al silenzio del Vaticano e ne chiedono un intervento per precisare che nell’articolo scritto o non scritto da mons. Ma vi sono “elementi non compatibili con la dottrina della Chiesa”.

Abolita la Lettera di Benedetto XVI?

In effetti, l’articolo, pieno di elogi sperticati verso l’AP, vanifica quanto Benedetto XVI aveva stabilito nella sua Lettera ai cattolici cinesi, definendo i principi di “indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa” su cui si fonda l’AP “incompatibili con la dottrina cattolica” (n. 7, nota 36). Per diversi cinesi, il silenzio del Vaticano sembra dare adito a far credere che la Lettera di Benedetto XVI sia superata.

Un sacerdote 70enne si domanda: “La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi è stata abolita? E chi l’ha abolita? Con quale potere, visto che lo stesso papa Francesco ha detto che essa è ancora valida?”.

“Ammettiamo pure – continua - che quell’articolo di mons. Ma è un tentativo di mettersi d’accordo con il potere: non si rischia di affidare il cammino di fede a delle contrattazioni politiche? Fino a che punto si può arrivare in questo commercio? Avallare una sudditanza una volta, rischia di far scivolare verso una serie di compromessi.  E qual è il limite? A cosa teniamo? Accettiamo tutte le indicazioni dell’Ap e del governo? Accettiamo tutti i vescovi scomunicati? Accettiamo tutti i vescovi illegittimi (quelli non ufficialmente scomunicati)? Ma a questo punto non c’è più verità. Perché allora essere ancora cristiani?”.

In effetti sono in molti a prevedere per mons. Ma la stessa parabola di mons. Wu Qinqing, vescovo di Zhouzhi (Shaanxi). Egli, ordinato senza il permesso dell’AP e tenuto per 10 anni in isolamento, è stato installato dal governo come vescovo della sua diocesi solo dopo aver accettato di concelebrare con un vescovo illecito. “Fra poco vedremo Ma Daqin concelebrare con un vescovo illegittimo, o sarà chiamato a dare ‘show’ della sua ‘riconversione’ in preparazione alla Nona Assemblea [dei rappresentanti cattolici cinesi, in preparazione], o addirittura durante quella Assemblea”.

Il sacerdote – di una diocesi della Cina centrale - conclude con amarezza: “Il silenzio del Vaticano su questa situazione è davvero grave perché come minimo mantiene e accresce la confusione”.

Un vescovo del sud confessa il suo imbarazzo per il silenzio della Santa Sede: “Non importa chi sia l'autore dell'articolo, la Santa Sede deve ribadire che l'articolo contiene elementi non compatibili con la dottrina della Chiesa. Altrimenti si dà adito a sospetti e timori, come se la ‘riconversione’ di Ma Daqin fosse consentita da qualcuno in Vaticano magari nella speranza di promuovere il dialogo con il governo cinese”. “Il silenzio della Santa Sede – ribadisce – crea solo confusione e tante domande”.

Fallimento dei dialoghi Cina-Santa Sede

Per un laico professionista di Pechino il “voltafaccia” di mons. Ma Daqin rappresenta “un fallimento” della politica vaticana verso la Cina. “Se l’articolo pubblicato è di mons. Ma – egli dice ad AsiaNews - dobbiamo dire che il Vaticano ha fallito nella sua policy (che cercava il rapporto con il governo, ma affermava che l’AP è ‘inconciliabile con la dottrina cattolica’). Se non è stato Ma Daqin a scriverlo, allora è un gesto forzato e di persecuzione, che però nessuno denuncia, nemmeno la Santa Sede”.

“In realtà – continua -  in questo episodio si rivela il fallimento della politica vaticana: essa non ha mai sostenuto nemmeno moralmente il povero mons. Ma Daqin, anche se lui ha spesso inviato messaggi al papa. Dalla Santa Sede ha solo ottenuto un silenzio imbarazzante. Se Ma Daqin è stato costretto a scrivere l’articolo sul suo blog, significa che vi è stata violenza sulla sua persona, costretta a seguire la politica di falsa libertà religiosa del regime. Ma anche qui si evidenzia il fallimento della politica vaticana, nel tentare il dialogo con il governo cinese. Questo dialogo non è servito nemmeno a salvare un minimo di libertà per questo povero vescovo”.

Vale la pena notare che questa posizione è agli antipodi di quella manifestata da alcuni commentatori di questioni sino-vaticane che in questi giorni hanno detto che il caso di Ma Daqin fa ben sperare per i dialoghi fra Pechino e la Santa Sede perché smonta alcuni ostacoli a questo dialogo. Nessuna condanna per i quattro anni di arresti domiciliari per Ma Daqin; nessuno scandalo che un vescovo della Chiesa cattolica non sia raggiungibile per capire cosa lui pensa, vive e soffre: egli è solo “un caso” prima negativo, ora positivo per i rapporti diplomatici fra Cina e Santa Sede. Eppure proprio papa Francesco ha chiesto spesso a sacerdoti e vescovi (e penso anche ai laici) di non ridurre i problemi delle persone a “casi”, ma di avere a cuore il loro volto.





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Il card. Zen ai cattolici cinesi: se si fa l’accordo con la Cina, non dovete seguire il Papa

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Il vescovo emerito di Hong Kong fa appello alla «coscienza» e richiama i «fratelli e le sorelle» della Repubblica Popolare a ignorare una possibile intesa tra Cina e Santa Sede approvata da papa Francesco.

[…] Come è noto, all’anziano porporato non piace il tipo di pax sino-vaticana che sembra prender forma nei contatti in corso tra funzionari cinesi e officiali vaticani, confermati anche da Papa Francesco. Così, rompendo ogni indugio, l’alto prelato salesiano incalza i cattolici cinesi a imboccare la via della dissociazione silenziosa anche rispetto a eventuali misure e prassi che fossero ufficialmente approvate dal Vescovo di Roma, come extrema ratio per dribblare le implicazioni di un possibile, futuro inizio di intesa tra Pechino e la Sede apostolica.

hong_kong_-_1024_-_zen_e_papa_s-e1452538214635L’appello è stato lanciato da Zen sul suo blog personale: «Fratelli e sorelle del Continente, dobbiamo farci onore!» , scrive il cardinale con tono perentorio, rivolto ai cattolici della Repubblica popolare cinese. Nelle prime righe, il porporato inquadra subito i suoi bersagli polemici: sono quelli «che stanno dalla parte del governo», e «gli opportunisti della Chiesa», i quali «sperano che la Santa Sede firmi un accordo per legittimare l’attuale situazione anomala». Costoro – sostiene Zen – negli ultimi tempi gridano che bisogna essere «pronti ad ascoltare il Papa», e obbedire «a tutto quello che lui dirà». Addirittura, gli stessi ipotizzano che il rifiuto di scelte approvate dal Papa potrebbe arrivare proprio da alcuni tra quelli che hanno sempre rivolto verso altri il rimprovero di scarsa fedeltà al Papato e alla Chiesa di Roma.

Davanti a questi nuovi scenari, Zen invita innanzitutto a «mantenere la calma», e poi dispensa ai fratelli e alle sorelle «continentali» linee guida e accorgimenti per affrontare questo momento delicato, in attesa di tempi migliori. Premette che nella Chiesa «l’autorità suprema è il Papa, Vicario di Cristo in terra». Ricorda che per tanti anni, soprattutto durante il pontificato di Papa Benedetto, lui stesso diceva a destra e a manca «che la Santa Sede non rappresenta il Papa». Ma certo, se un giorno tra la Cina e la Santa Sede «venisse firmato un accordo ufficiale– riconosce Zen -, allora sicuramente quell’accordo avrebbe l’approvazione del Papa». In tale eventuale circostanza – suggerisce in via preliminare il vescovo emerito di Hong Kong, delineando quale dev’essere il modus operandi – «Qualsiasi cosa viene approvata dal Papa, noi non la dobbiamo criticare». Va evitata ogni reazione che possa essere riconosciuta e additata come una critica diretta al Successore di Pietro. Ma «di certo» aggiunge subito Zen «in fin dei conti è la coscienza il criterio ultimo per giudicare del nostro comportamento. Quindi, se secondo la vostra coscienza il contenuto di qualsivoglia accordo è contrario al principio della nostra fede, non lo dovete seguire». Come base d’appoggio per l’evocata dissociazione rispetto a eventuali accordi tra la Cina e la Santa Sede approvati dal Papa, Zen chiama in causa – riproponendole in una libera sintesi, non collimante con il testo originale – le parole della Lettera di Papa Benedetto XVI ai cattolici cinesi (giugno 2007), dove si dichiara che i princìpi di autonomia, indipendenza, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa, perseguìti dalla Associazione patriottica e dagli altri organismi “patriottici” ispirati dagli apparati politici cinesi, sono «inconciliabili» con la dottrina cattolica. «Voi» prescrive il cardinale ai “fratelli e sorelle del Continente” – «non dovete assolutamente mai aderire all’Associazione Patriottica». Nella parte finale del suo breve messaggio, l’anziano porporato pronostica un futuro catacombale per quelli che non vorranno accettare l’accordo tra Cina e Santa Sede, e a suo giudizio dovranno essere pronti a rinunciare alla pratica pubblica dei sacramenti e della vita ecclesiale che oggi connotano e alimentano la condizione ordinaria dei cattolici cinesi.

«Nel futuro» spiega Zen, equiparando gli effetti di un possibile accordo Cina-Vaticano alle condizioni vissute dai cristiani cinesi negli anni bui e cruenti della Rivoluzione Culturale «c’è da temere che non avrete più un posto pubblico per pregare, ma potrete pregare in casa; e anche se non ci fosse l’opportunità di ricevere i sacramenti, il Signore Gesù verrà ugualmente nel vostro cuore; e se anche non fosse più possibile fare il prete, potete anche tornare a casa a coltivare i campi. Il prete rimane prete per sempre». Il messaggio di Zen finisce con una rassicurazione: la “resistenza” da lui prospettata davanti all’eventuale accordo tra Pechino e la Sede apostolica potrebbe essere breve: «La Chiesa primitiva» scrive il cardinale nativo di Shanghai «ha dovuto aspettare 300 anni. Non penso che noi dovremo aspettare così a lungo. L’inverno sta per finire». […]

(Gianni Valente, La Stampa, 30-06-2016)



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