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Centenario di Fatima 1917-2017 con Maria Santissima preghiere e meditazioni

Ultimo Aggiornamento: 09/12/2017 10:36
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08/11/2016 12:59
 
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FOCUS di padre Riccardo Barile O.P.


Papa Francesco a Lund

 



Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l'Eucarestia, l'approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide.





Molti e positivi sono stati i commenti sul viaggio ecumenico di Papa Francesco in Svezia (31 ottobre - 1 novembre u.s.) per inaugurare l’anno commemorativo del cinquecentesimo anni-versario della Riforma protestante. La positività è stata ovviamente vista nell’incontrarsi e nel prendere coscienza di un riavvicinamento nonché di un diverso contesto storico che postula un nuovo tipo di rapporto. E di prendere coscienza dell’azione dello Spirito Santo.

In parallelo si sono avute perplessità e critiche sia nei riguardi di Papa Francesco, sia per mar-care le differenze tra cattolicesimo e protestantesimo manifestando il timore di una “prote-stantizzazione” della Chiesa Cattolica, che arrecherebbe seri danni alla medesima.

Mi sembra utile proporre alcune riflessioni di metodo, cioè di “come” leggere i vari testi dell’evento. La considerazione generale è che in questi casi i grandi personaggi - politici o uomini di Chiesa - non affrontano in dettaglio le questioni. Così ad esempio avvenne nel primo dei grandi incontri “dopo il Concilio”, quello di Paolo VI con Atenagora il 25 luglio 1967: i due non discussero né del Filioque né del ruolo dei patriarchi nella struttura ecclesiale. Naturalmente tali questioni c’erano e Atenagora le avvertì, risolvendole con la famosa frase rivolta a Paolo VI e giunta attraverso una tradizione non scritta: «Noi andiamo avanti da soli e mettiamo tutti i teologi in un’isola, che pensino». 

Papa Francesco sembra aver adottato esattamente questa prospettiva: poniamo un gesto ecumenico, simbolico e “profetico”, poi toccherà ai teologi mettere le cose a posto. Ma chi sta su di un’isola e legge la Dichiarazione congiunta, le omelie e gli altri interventi, subito vede ciò che i testi non dicono, cioè vede una filigrana talvolta più decisiva del testo. Ed è proprio per avviare tale metodo di lettura in filigrana - metodo che si basa più sul non detto e sul confronto tra i testi che non sull’analisi dei testi stessi - che propongo cinque suggerimenti o stimoli.

1. I due tavoli. Papa Francesco spesso - non sempre - ha giocato su due tavoli: le parole ai protestanti negli incontri ecumenici e le parole ai cattolici nella Messa allo stadio. Nelle parole ai cattolici, riferendosi alla Riforma, non ha potuto non citare i santi, che «ottengono dei cam-biamenti grazie alla mitezza del cuore», atteggiamento tipico cattolico e lontanissimo dai metodi di Lutero. E naturalmente ha citato la Vergine Maria: «Alla nostra Madre del Cielo, Regina di tutti i Santi, affidiamo le nostre intenzioni e il dialogo per la ricerca della piena comunione di tutti i cristiani, affinché siamo benedetti nei nostri sforzi e raggiungiamo la santità nell’unità», «abbiamo sempre l’aiuto e la compagnia della Vergine Maria, che oggi si presenta a noi come la prima tra i Santi, la prima discepola del Signore. Ci abbandoniamo alla sua protezione e le presentiamo i nostri dolori e le nostre gioie, le paure e le aspirazioni. Tutto poniamo sotto la sua protezione, con la certezza che ci guarda e si prende cura di noi con amore di madre». Nella Dichiarazione congiunta e negli interventi ecumenici manca invece questo accenno. Il che sembra normale, ma il teologo sull’isola vede e legge una questione in filigrana: “E se un giorno si arriverà all’unità e si giocherà su di un solo tavolo, si metterà da parte la Vergine Maria o la si farà accettare?”. E la stessa domanda si estende a tanti altri contenuti che forse, prima di essere “cattolici”, sono semplicemente “cristiani”.

2. La convergenza sull’impegno umano è un punto di forza sottolineato soprattutto nella Dichiarazione congiunta. Impegno che va dall’aiuto ai poveri, al perseguimento della giustizia sociale, all’accoglienza dei migranti sino alla custodia della casa comune. Questa base è solida e può sostenere iniziative tra protestanti e cattolici favorendo l’incontro e l’accettazione vicendevole. Ma il teologo sull’isola si domanda: “È una base definitiva?”. No, perché come Gesù Cristo non operò mai dei miracoli senza relazionarli a un ulteriore itinerario - significativo il cieco nato che, dopo la luce della vista, ricevette la rivelazione di Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te» (Gv 9,37) -, così per il discepolo di Cristo l’impegno umano è aperto a un “oltre” da proporre ai destinatari e questo “oltre” nel caso dei cattolici e dei protestanti è diverso e diviso. Che cosa proporremmo a coloro ai quali andiamo incontro: solo la base comune della lectio divina o anche il sacramento della Penitenza, l’adorazione eucaristica, il Rosario ecc.?

3. L’adozione della categoria di differenze teologiche e culturali ha permesso di ritrovare punti di convergenza verso un’unità più profonda: tra noi ci sono state e ci sono «differenze teologiche», pregiudizi «verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi», ma - ieri e oggi - con «una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difen-dere la vera fede». Ma il teologo sull’isola sospira: “Come sarebbe bello se fosse così!”. Se la fede fosse la stessa e le differenze fossero solo di teologia o di linguaggio, ognuno si terrebbe le proprie differenze e l’unità sulla fede sarebbe fatta. 
Invece non ci si può limitare a differenze nella teologia: vi sono differenze nella formulazione della fede che intaccano la fede stessa, che arrivano ad un “altro” Gesù Cristo e ad una “altra” Chiesa. Il voler ridurre le differenze a sole differenze di teologia all’interno di un’unica fede è un principio troppo facile che porta a conclusioni errate. Ad esempio di recente un teologo ha ipotizzato una ospitalità eucaristica tra cattolici e luterani partendo dal fatto che la fede di entrambi circa il “Fate questo in memoria di me” è identica, anche se poi sussistono spiegazioni teologiche divergenti: non è vero, quelle spiegazioni teologiche sono una diversa fede e il risultato è che quando si celebra così l’Eucaristia non si fa il “questo” richiesto da Gesù, ma si fa “altro”.

4. Bisogna ripensare e ridire la storia. Nei vari discorsi si nota un eccessivo peso sul tale procedimento, ma il teologo sull’isola si domanda: “La storia può essere necessariamente molto diversa da quella che è stata tramandata?”. C’è una verità della Riforma cattolica che non può essere oscurata. Bisogna poi concedere e non demonizzare che da entrambe le parti un qualche appoggio se non politico per lo meno istituzionale fu inevitabile (lo è ancora oggi). Bisogna tenere conto della necessità di segni di distinzione e di identificazione delle diverse culture, per cui - naturalmente senza eccessi - è naturale che protestanti e cattolici abbiano cercato di distinguersi e molti lo facciano ancora oggi. Bisogna infine usare una qualche tolleranza senza condannare sempre tutti gli eccessi, in quanto in una certa misura sono normali e nessuna riforma è mai perfettamente equilibrata. Ecco: che la storia sia andata così è normale ed è onesto così raccontarla e... proseguirla.

5. I primi padri protestanti e i padri del Concilio di Trento furono degli sprovveduti? A fronte di affermazioni tipo che ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide o che Lutero era alla ricerca di un Dio misericordioso e finalmente l’ha scoperto in Gesù Cristo come colui che ci giustifica precedendo la nostra risposta, a fronte di tutto questo così bello ed edificante il teo-logo sull’isola si domanda: “Possibile che i padri del Concilio di Trento fossero così ingenui e sprovveduti da non essersene accorti sino a riscrivere tutto il processo della salvezza cristiana? Possibile che i primi protestanti fossero così in malafede da non accorgersi che Trento parlava quasi come loro? Possibile che solo noi oggi siamo tanto saggi da averlo scoperto?”.

In conclusione, come è stato scritto da diverse parti, i punti di distanza tra cattolici e protestanti sono parecchi e profondi: il sacramento del ministero sacerdotale e per giunta maschile (come Papa Francesco ha ribadito nella conferenza stampa in volo), la Messa come sacrificio, la transustanziazione e il tipo di presenza eucaristica che ne deriva, il numero settenario dei sacramenti, la giustificazione come rinnovamento vero e interiore dell’uomo, l’approccio alle Scritture, la provvidenza di usare un buon sistema filosofico ecc.
L’accettazione di tutto ciò, che prima di essere “cattolico” è “cristiano”, è più ipotizzabile come conversioni personali che come avvicinamento tra le due comunità, fermo restando che l’incontro continua ad avere un suo senso e va perseguito grazie a quanto resta di elementi comuni. Naturalmente ogni progresso deve avvenire non come una vittoria della Chiesa Cattolica, ma come una scoperta della vera salvezza offerta da Gesù Cristo e «questo è (quasi) impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26).


   




Era andato ad Aparecida a chiedere il miracolo della guarigione del fratello, ma non immaginava cosa sarebbe successo a lui

La storia del pellegrino che ha visto il suo cuore trasformarsi man mano che si avvicinava a Maria


Era andato ad Aparecida a chiedere il miracolo della guarigione del fratello, ma non immaginava cosa sarebbe successo a lui


Quel venerdì mattina, il 42enne Paulo Luís ricevette la notizia che il fratello maggiore Wagner, di 50 anni, era ricoverato in terapia intensiva in condizioni gravi. Secondo quanto gli raccontò la cognata, Wagner era in coma dopo un’emorragia cerebrale. In quel momento non c’era altro da fare che pregare. Il sacerdote che conosceva la famiglia si stava già recando in ospedale per dargli l’estrema unzione.

Paulo Luís era disperato. Wagner era il suo eroe. Aveva aiutato ad allevarlo quando era piccolo, lavorando sempre al fianco del padre pieno di vita, allegria e buona disposizione. Era un uomo simpatico, il leader della famiglia. Non poteva morire così all’improvviso, perché avrebbe lasciato una moglie poco più che quarantenne e due figli adolescenti. La situazione era davvero drammatica.

Quando arrivò in ospedale, trovò i familiari più stretti in stato di shock. Il loro sguardo era velato e i sentimenti spaziavano dalla disperazione alla speranza.

Vedendo che in ospedale in quel momento non poteva fare nulla, neanche entrare a vedere il fratello visto le cure mediche a cui era sottoposto, Paulo prese una decisione inaspettata: sarebbe andato in bicicletta al Santuario di Aparecida per chiedere il miracolo della guarigione del fratello.

Il viaggio di oltre 100 chilometri che Paulo iniziò immediatamente non era stato preparato in alcun modo. La bicicletta era vecchia e semplice, non aveva neanche il sistema di marce. Paulo partì con quello che aveva addosso, portando con sé solo il denaro che aveva nel portafogli, sufficiente appena per uno o due caffè e un panino. Non pensò neanche al ritorno, perché non aveva soldi per tornare in autobus e men che meno per rimanere in un hotel ad Aparecida. Il suo unico obiettivo era arrivare davanti all’immagine di Nostra Signora Aparecida e far sì che la sua storia entrasse nella lunga lista di miracoli ottenuti per intercessione della Patrona del Brasile. Pensava solo a Dio, a Maria e alla guarigione di suo fratello.

Vedendo il Santuario di Aparecida profilarsi all'orizzonte, le lacrime che scorsero sul suo viso non erano più di dolore o disperazione, ma di gioia e speranza.
Vedendo il Santuario di Aparecida profilarsi all'orizzonte, le lacrime che scorsero sul suo viso non erano più di dolore o disperazione, ma di gioia e speranza.

 

Percorse i primi 20 chilometri della strada secondaria che attraversava la Valle del Paraíba in direzione di Aparecida in trance. Paulo era in sovrappeso. Se non fosse stato per la partita a calcio settimanale che giocava con gli amici (e organizzata da Wagner), sarebbe stato totalmente sedentario. Non era certo preparato fisicamente, né si poteva considerare un ciclista.

 

Già nella prima metà del viaggio cominciò a sentire una fitta alla schiena, e il sole di ottobre in quella regione del Brasile in cui verso mezzogiorno la temperatura raggiunge i 35 gradi gli sferzava il volto. Dovette fermarsi una prima volta. Accostò la bicicletta, si sedette sul marciapiedi e pianse con il viso nascosto tra le mani.

 

Fu in quel momento che comprese la situazione sorprendente in cui si trovava: non aveva fede, non pregava da molti anni e Dio era un argomento che non faceva più parte della sua vita. Ma allora perché era lì in mezzo al nulla con una bicicletta, poche monete in tasca e diretto al Santuario di Aparecida pregando incessantemente?

 

Da molto tempo era assolutamente solo, con il cuore vuoto. Aveva dimenticato Dio in qualche momento della sua infanzia, perché era l’infanzia che gli veniva in mente mentre piangeva per il fratello.Qualcosa gli si accendeva nel petto, toccandogli l’anima. L’unica cosa che poteva fare era andare avanti, e fu quello che fece.

 

Nella seconda metà del viaggio il corpo non gli obbediva più. I dolori avevano superato il punto che in qualsiasi altra situazione lo avrebbe fatto fermare. Ora Paulo pedalava mortificato dalla stanchezza fisica ed emotiva. Usciva da se stesso verso qualcosa di nuovo, diverso da qualsiasi ricerca di consolazione personale. Continuava a pregare. Non pregava più solo per il fratello in terapia intensiva. La sua preghiera si estendeva a tutti.

 

Nei chilometri finali del viaggio, dopo un’intera giornata trascorsa pedalando, Paulo capì che non era solo. Dio camminava al suo fianco e non lo lasciava senza protezione. Fu questo che sentì nel cuore. Dovette andare al di là di sé, superarsi a livello fisico ed emotivo per trovare quello che era sempre stato al suo fianco.

 

Vedendo il Santuario di Aparecida profilarsi all’orizzonte, le lacrime che gli scorsero sul volto non erano più di dolore o disperazione, ma di speranza e gioia. Suo fratello era guarito, ne era sicuro, e anche Paulo era guarito. Come pellegrino aveva vinto se stesso, aveva superato il proprio egoismo.

 

Ai piedi dell’immagine di Nostra Signora Aparecida non chiese la guarigione, ringraziando solo Dio per il dono della vita, della famiglia, di suo fratello, della bellezza nelle cose più semplici. Quando Paulo uscì dalla basilica, un amico di famiglia lo stava aspettando. Aveva saputo di quel pellegrinaggio improvvisato e aveva deciso di seguire Paulo da lontano in macchina senza che lui se ne rendesse conto. Quell’amico ero io.

 

Quando Paulo andò in ospedale il giorno dopo, suo fratello era uscito dalla terapia intensiva. Wagner, sorprendentemente, era in stanza, in piedi, e guardava fuori dalla finestra. Nello sguardo di entrambi c’era qualcosa di diverso, una profondità e una contemplazione che il tempo non ha mai cancellato. E qualcosa di quell’espressione è rimasta anche nei miei occhi.

 

_____

 

(Questa è una storia vera raccontata ad Aleteia da due fratelli e un loro amico. Vivono in una città della Valle del Paraíba – San Paolo, Brasile – e frequentano la parrocchia del quartiere)

 

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]
LEGGI ANCHE: “Gesù mi fece guarire. E ora dedico la mia esistenza a Lui”



LEGGI ANCHE: Le 5 destinazioni cattoliche più visitate al mondo



 


[Modificato da Caterina63 10/11/2016 23:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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