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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (5)

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2017 00:46
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16/11/2016 10:45
 
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Magistero non-convenzionale e ideologia - di Padre Giovanni Scalese

 


Venerdí scorso, 11 novembre, La Repubblica riportava l’ennesima intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco. Se devo essere sincero, la cosa mi ha lasciato del tutto indifferente: di quello che il fondatore di Repubblica mette sulle labbra del Papa non mi interessa proprio nulla. Il discorso si fa diverso quando l’intervista viene rilanciata da L’Osservatore Romano, che, fino a prova contraria, è il quotidiano ufficioso della Santa Sede. Per carità, anche qui, finché il Papa si limita a dire che il male peggiore che esiste nel mondo sono le diseguaglianze, dal mio punto di vista, non è un grosso problema: si tratta di opinioni personali su cui si può essere piú o meno d’accordo. Magari qualcuno potrebbe far notare — come di fatto è avvenuto — che da un leader religioso ci si aspetterebbe un’analisi meno sociologica e piú religiosa della realtà (il male peggiore, una volta, non era forse il peccato?); ma, ripeto, si può discutere. Cosí come non mi crea eccessivi problemi l’affermazione secondo cui «sono i comunisti che la pensano come i cristiani»: anche questa, un’affermazione discutibile quanto si vuole, ma pur sempre una battuta con un suo fondo di verità.


Ma quando si afferma che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», passiamo dal piano dell’opinabile a quello della mistificazione. Sia ben chiaro, non credo minimamente che Papa Francesco abbia potuto fare un’affermazione del genere: chiunque, anche un bambino del catechismo con una minima conoscenza del vangelo, sa che Gesú non ha mai detto una simile sciocchezza. Solo chi non ha mai letto il vangelo e ha la presunzione di conoscerlo per sentito dire, potrebbe pensare una cosa del genere. È quindi evidente che in tal caso (ma si potrebbe giungere alla medesima conclusione per l’intera “intervista”) si tratta di parole messe in bocca a Papa Bergoglio da Eugenio Scalfari. Ha fatto giustamente notare Luis Badilla, Direttore de Il Sismografo:
L’incontro tra il Santo Padre e il fondatore della testata sarebbe durato 40 minuti circa e la conversazione (7 novembre), come nel caso delle prime interviste (1° ottobre 2013 e 13 luglio 2014), non è stata registrata; dunque è una conversazione senza supporto. Non è stata nemmeno un’intervista a regola d’arte, domande e risposte. Il giornalista non ha chiesto formalmente un’intervista. Ha chiesto un incontro personale.
Eugenio Scalfari ancora una volta avrebbe costruito “l’intervista”, usando la tecnica della domanda/risposta basandosi però sulla sua memoria e sulle sue conoscenze e, ovviamente, non su contenuti registrati. Ciò apparirebbe molto chiaro in virgolettati del Papa che non appartengono al suo linguaggio e naturalmente alla sua formazione teologica, in particolare quando si fa riferimento alle parole di Gesú. 
Ma allora, se tutto questo è vero, ci si chiede: perché riprendere questa pseudo-intervista su L’Osservatore Romano? Sono convinto che il quotidiano della Santa Sede non prenderebbe mai l’iniziativa di pubblicare un testo del genere. Ma allora mi chiedo: non ci si rende conto che, permettendo una cosa del genere, chiunque ne sia responsabile, si fa dire al Papa una enormità?
 
Mi sembra che questo incidente dovrebbe far riflettere quanti, anche fra i cattolici piú conservatori, sono convinti che qualsiasi esternazione del Papa sia una forma di “magistero”, un nuovo modo di fare magistero. È vero che è stato lo stesso Pontefice a incoraggiare questa convinzione: in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino La Nación il 7 dicembre 2014 aveva affermato: «Faccio continuamente dichiarazioni e pronuncio omelie, e questo è magistero». Anche se però aveva aggiunto una frase a mio parere rivelatrice: «Quello che c’è lí è ciò che io penso». Il magistero, se ben ricordo, non è ciò che il Papa pensa (queste semmai sono le sue opinioni personali, rispettabilissime, ma pur sempre opinioni), bensí quello che “pensa” (= crede) la Chiesa.
Mi ero già espresso sulla questione del magistero nell’intervista che durante l’estate avevo rilasciato al sito Cooperatores veritatis: personalmente, non riconosco valore magisteriale alle omelie mattutine di Santa Marta (che rientrano, semmai, nel munus docendi della Chiesa esercitato da qualsiasi sacerdote); tanto meno considero atti magisteriali i libri, le interviste o le conferenze stampa in aereo (il cosiddetto “magistero volante”). L’incidente di cui ci stiamo occupando dimostra che, in questi casi, si tratta di dichiarazioni che possono essere discutibili e talvolta, come nel caso presente, addirittura errate.
 
Ho l’impressione inoltre che non ci si renda conto che tale magistero, diciamo cosí, “non-convenzionale” (unconventional, in inglese) può spesso sfociare in ideologia, con grave danno per la purezza del vangelo. Persone non sufficientemente preparate e dotate di senso critico, leggendo che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», sono portate a concludere che sia vero: lo ha detto il Papa, e il Papa non può sbagliare. Mentre si tratta di pura ideologia. 
 
Il Papa è molto sensibile su questo punto. Il giorno stesso della pubblicazione dell’intervista a Scalfari, al mattino, in Santa Marta, ha proprio fatto una meditazione sulla possibilità di trasformare il cristianesimo in ideologia. Di solito Papa Bergoglio sottolinea il pericolo che la dottrina cristiana diventi ideologia. Questa volta non poteva farlo, perché la seconda lettera di Giovanni, da cui prendeva spunto la meditazione, ci invita a «rimanere nella dottrina» (v. 9); per cui ha dovuto, necessariamente, ammettere che si può ideologizzare anche l’amore:
Francesco ha fatto riferimento alla parola greca proagon, che è “tanto forte”, per indicare «chi va, chi cammina oltre» [interessante notare come la New American Bible traduca πᾶς ὁ προάγον (= “chi va oltre”) con anyone who is so “progressive” (= “chi è cosí progressista”), N.d.R.]. E «da lí — ha proseguito — nascono tutte le ideologie sull’amore, le ideologie sulla Chiesa, le ideologie che tolgono alla Chiesa la carne di Cristo». Ma proprio «queste ideologie scarnificano la Chiesa». Portano a dire: «sí, io sono cattolico; sí, sono cristiano; io amo tutto il mondo di un amore universale». Ma «è tanto etereo». Invece «un amore è sempre dentro, concreto, e non oltre questa dottrina dell’incarnazione del Verbo».
«La vita della Chiesa, l’appartenenza alla Chiesa — ha affermato il Pontefice — è sempre dentro, va oltre, esce dalla Chiesa». E cosí «chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente: non ama con tutto il corpo e con tutta l’anima». E «questo modo di fare delle teorie, delle ideologie, anche delle proposte di religiosità che tolgono la carne al Cristo, che tolgono la carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa». Non si deve «mai andare oltre il seno della madre, della santa madre Chiesa gerarchica» [citazione dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, N.d.R.].
Ecco, appunto, affermare che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere» significa esattamente trasformare il vangelo in ideologia e perciò “scarnificare la Chiesa”. Decisamente meglio non rilasciare piú interviste a Eugenio Scalfari e, men che meno, pubblicarle su L’Osservatore Romano.






Cardinal Burke: “Se il Papa non fornirà i chiarimenti richiesti, i Cardinali potrebbero adottare un atto formale di correzione di errore grave”

 
Come dicevo si è innescato un processo, su una base ineludibile e importantissima dalla quale ci si aspettano ulteriori sviluppi. Stiamo parlando degli echi del documento : “Fare chiarezza”.
Nodi irrisolti dell'
Amoris Laetitia.
L'appello di quattro Cardinali al papa, 
rimasto privo di risposta e reso pubblico [qui] al fine di lanciare e approfondire la riflessione sui problemi sollevati, che riguardano l'intero edificio della morale cattolica. Esso rivolge al Papa 5 brevi domande sotto forma di “Dubia” che comportano un breve “responsum” (cioè una risposta “sì” o “no”).

Dopo l'intervista di ieri a Catholic action [qui], in una successiva intervista a Edward Pentin, corrispondente romano di NCRegister[qui], il Cardinale Raymond Leo Burke afferma che i cardinali stanno prendendo in considerazione l'idea di una “correzione formale”, nel caso il Papa dovesse mancare di rispondere alle loro perplessità. 

Va da sé che le risposte indirette e confermanti l'errore, per vie informali ed ecclesialmente poco corrette [vedi Spadaro su Twitter], equivalgono ad una 'non risposta'.

Stralciamo, nella nostra traduzione, le relative domande cruciali, che tutto il mondo cattolico si sta ponendo da tempo, e le relative risposte.

Questo lo spirito dell'iniziativa, ripetutamente espresso dal cardinale: “Noi, come cardinali, abbiamo ritenuto essere nostra responsabilità richiedere un chiarimento per quanto riguarda i punti di conflitto, al fine di porre fine alla diffusione di questa confusione che, davvero, conduce la gente in errore. Se noi fossimo stati in silenzio su questi fondamentali dubbi, che sono sorti a seguito del testo di Amoris Laetitia, avremmo commesso una grave mancanza di carità verso il Papa e saremmo venuti colpevolmente meno al dovere del nostro ufficio nella Chiesa”. (M.G.)

[...] 
Cosa succede nell'ipotesi che il Santo Padre non risponda al vostro atto di giustizia e di carità e non dia chiarimenti che sperate di ottenere sugli insegnamenti della Chiesa?
 
Dovremmo affrontare questa specifica situazione. Nella Tradizione della Chiesa, infatti esiste la possibilità di correggere il Romano Pontefice. Certamente è una circostanza rarissima. Ma se non vi fosse risposta alle domande sui punti controversi, allora direi che si porrebbe la questione di adottare un atto formale di correzione di un errore grave.
 
In caso di conflitto tra un'autorità ecclesiale e la Sacra Tradizione della Chiesa, cosa si è vincolati a credere e qual è l'autorità che lo determina?
 
Ciò che è vincolante è la Tradizione. L'autorità ecclesiale esiste unicamente al servizio della Tradizione. Penso al passo di S. Paolo (Lettera ai Galati 1, 8) “se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!”

Se il Papa dovesse insegnare un grave errore o un'eresia, qual è la legittima autorità che può dichiararlo e quali sarebbero le conseguenze?

In questi casi è dovere dei cardinali e vescovi - e storicamente è accaduto - render chiaro che il Papa sta insegnando l'errore e chiedergli di correggerlo.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]




 

Il dibattito su AL e i dubia al Papa dei quattro cardinali. Parla il teologo Livi: "L’esortazione di papa Francesco sembra voler contraddire nella prassi quello che nella dottrina viene confermato. L’ambiguità è inaccettabile in un documento che pretende di essere magistero. In realtà è sudditanza psicologica alla falsa teologia del progressismo storicistico, per cui la Chiesa dovrebbe cambiare la verità rivelata da Dio per assecondare le esigenze del mondo moderno".

di Benedetta Frigerio

Sono due anni ormai, con l'apertura del sinodo sulla famiglia, che nella Chiesa emergono le interpretazioni più svariate e diverse circa la dottrina legata al matrimonio e all'Eucarestia. Il tutto è culminato con la pubblicazione dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” che ha portato il disorientamento a livelli preoccupanti. Per questo il nostro giornale ha ospitato l’intervento di quattro cardinali che hanno sollevato dubbi in merito all’esortazione facendo notare che la confusione crescente sta alimentando le divisioni nella Chiesa. Anche il teologo monsignor Antonio Livi parlando di “disorientamento generale”spiega perché è necessario che ciascuno, chierico o laico, si muova sull’esempio dei quattro cardinali. 

Livi, la interpelliamo innanzitutto come sacerdote: può confermare lo stato di confusione? Che clima si respira fra voi prelati. Insomma, che effetto ha fatto questo sinodo su di voi e sui fedeli?

L’effetto è stato quello di un tremendo “disorientamento pastorale” (termine che ho usato per intitolare un libro che sto per mandare alle stampe). Questo disorientamento consiste nella sensazione che l’episcopato sia irrimediabilmente diviso sulle questioni più importanti riguardanti il dogma e la morale della Chiesa, e anche sull’autorità del Papa. Di conseguenza, i fedeli non si sentono i guidati in modo fermo e unanime nella loro vita di fede. Il disorientamento di cui parlo, però, non è prodotto direttamente dai lavori del Sinodo né dalla Amoris Laetitia ma dal modo con cui l’opinione pubblica cattolica è stata informata. Purtroppo i media hanno presentato il dibattito sinodale come una battaglia tra conservatori e progressisti, con la vittoria finale dei progressisti e il tentativo dei conservatori di frenare la “riforma”. Questo non corrisponde affatto a ciò che in realtà è avvenuto, ossia all’esercizio collegiale del governo della Chiesa e del magistero ecclesiastico.
Lo scopo, il valore e i risultati dei lavori sinodali – ivi compresa l’esortazione post-sinodale scritta dal Papa – non sono stati apprezzati sufficientemente dai fedeli, frastornati dalle interpretazioni ideologiche che ne hanno dato i giornalisti, e purtroppo anche dalle interpretazioni faziose che ne hanno dato vescovi, sia progressisti sia conservatori. Per questo motivo mi rallegro assai e benedico Iddio per l’intervento pubblico dei quattro cardinali, i quali si collocano al di sopra delle diatribe ideologiche e mirano soltanto a ri-orientare i fedeli cattolici e a salvaguardare l’unità della Chiesa.  

Quindi ritiene giusto esprimere pubblicamente una perplessità circa un'esortazione apostolica, sebbene il papa non abbia riposto nemmeno privatamente ai cardinali?

Certo che è giusto. Ci sono state diverse proposte durante i lavori del sinodo: il Papa ha deciso di fare sue alcune di esse e di respingere altre, ma lo ha fatto con quella «voluta ambiguità» che io ho deprecato più volte nei miei commenti alla Amoris Laetitia che tutti possono leggere sul web. E l’ambiguità è inaccettabile in un documento che pretende di essere magistero ecclesiastico. Giustamente quei cardinali sfidano il Papa a dire chiaramente che la sua dottrina si discosta dalla Tradizione della Chiesa (cosa che implicherebbe l’accusa di eresia e la perdita di ogni autorità magisteriale), oppure – ed è la cosa auspicabile -  a dare di quel suo documento un’interpretazione chiara e corretta (conforme cioè alla Tradizione dogmatica e morale).

Quali sarebbero i problemi gravi contenuti nel capitolo ottavo dell'Amoris Laetitia, della cui interpretazione i cardinali sono preoccupati? 

I problemi sono la fedeltà alla Tradizione della Chiesa in materie davvero fondamentali, come sono i sacramenti della Nuova Legge: il Battesimo, il Matrimonio, la Penitenza, l’Eucaristia. L’esortazione di papa Francesco sembra voler contraddire nella prassi quello che nella dottrina viene confermato; e ciò è possibile perché il Papa parla della dottrina come di qualcosa di statico e di formalistico che, all’atto pratico, deve essere messo da parte. Il documento tradisce una mentalità erroneamente “pastorale”, che in realtà è la sudditanza psicologica alla falsa teologia del progressismo storicistico, per cui la Chiesa dovrebbe cambiare la verità rivelata da Dio per assecondare le presunte esigenze del cosiddetto “mondo moderno” (che non esiste: è un’invenzione dei sociologi). 

In quali punti dell'esortazione viene meno la certezza di norme morali assolute? E perché queste norme assolute sono necessarie?

E’ il discorso sula coscienza, svolto in contraddizione con la dottrina della chiesa, recentemente attualizzata da san Giovanni Paolo II nell’enciclica sulla teologia morale, Veritatis splendor. La coscienza del singolo fedele, secondo l’esortazione apostolica, può legittimamente ritenere non vincolante un comandamento di Dio se non lo “sente” come applicabile al suo caso concreto. Ma la coscienza non è un cieco sentimento soggettivo: è un atto dell’intelligenza che “legge” nella realtà concreta l’ordine o il disordine oggettivo rispetto alla volontà salvifica di Dio, che è Amore sapientissimo e misericordioso.

La coscienza di ogni fedele cristiano percepisce sempre benissimo il bene e il male in relazione ai comandamenti di Dio i quali costituiscono quello che sant’Agostino chiama l’«ordo amoris», l’ordine dell’amore divino. Ogni cristiano sa, nel suo intimo, che la disobbedienza ai comandamenti di Dio è la propria rovina, temporale ed eterna. Ognuno di noi può dire, come il Salmista. «Il mio bene  non è senza di te, o Dio mio!».

Come sacerdote e confessore posso assicurare che non c’è persona che nel suo cuore (nella sua coscienza) dia retta agli alibi e alle argomentazioni ipocrite che egli stesso è  capace di inventarsi per “sentirsi a posto” quando trasgredisce in materia grave la Legge di Dio. Una cosa è quello che uno dice proprio giustificarsi e un’altra cosa è quello che uno veramente pensa in cuor suo. Per questo è un gran danno alle coscienze dei fedeli un discorso come quello della Amoris Laetitia  che sembra incoraggiare i fedeli a mentire a se stessi e alla Chiesa ritenendosi “senza peccato” per una presunta mancanza di consapevolezza o condivisione della legge morale. I casi che vengono presi in esami – quelli relativi a fedeli regolarmente coniugati che si separano dal legittimo coniuge e convivono more uxorio con un’altra persona – non ammettono in realtà l’ipotesi astratta di una mancanza di consapevolezza o di piena condivisione della legge morale: tali persone sanno benissimo di essere in stato di peccato mortale e di non poter ricevere l’assoluzione sacramentale finché non intendono convertirsi e cambiare vita. 

I quattro cardinali e quanti hanno sollevato dubbi in merito all'A.L. sono accusati di voler affermare la propria autonomia e la propria idea (di essere dei legalisti), piuttosto che servire umilmente l'unità della Chiesa con misericordia. Al contrario i cardinali sostengono di aver agito per amore all'unità (carità) e per giustizia. A questo punto occorre chiedersi: cosa genera davvero l'unità (quindi cosa genera la divisione) e cosa significa servire la Chiesa?

La Chiesa esiste per annunciare la salvezza in Cristo, nostro Redentore. La Chiesa ha questi tre compiti: istruire (magistero), santificare (amministrazione dei sacramenti) e governare (pastorale). Sono tre compiti (tria munera) affidatele da Cristo stesso, il quale l’assiste indefettibilmente con il suo santo Spirito, fornendo ai Pastori le grazie necessarie, a cominciare dal carisma dell’infallibilità nell’insegnamento ufficiale della dottrina rivelata. Pertanto, servire la Chiesa significa contribuire – ciascuno nel proprio ruolo in senso al  Corpo Mistico – al bene delle anime, che debbono essere guidate tutte e sempre – a una vita di fede, di speranza e di carità.

L’intervento dei quattro cardinali è un esempio per tutti: loro hanno fatto, coraggiosamente, quello che spettava loro per l’incarico che hanno di collaborare con il Papa alla guida della Chiesa; a tutti noi – fedeli laici, sacerdoti in cura d’anime, teologi – spetta di fare altrettanto, con altrettanto coraggio e amore per la Chiesa, nei limiti della propria personale condizione e dei mezzi materiali che la Provvidenza ci mette a disposizione. Io, per quanto mi riguarda, ho fatto quanto ho potuto per orientare alla verità cattolica le coscienze dei fedeli a me affidati e ho anche cercato di chiarire gli aspetti dottrinali messi in discussione da false interpretazioni ideologiche dei documenti del Concilio e dei lavori sinodali sulla famiglia pubblicando nel 2016 un saggio teologico intitolato Dogma e pastorale (Leonardo da Vinci). E non occorre che menzioni lo splendido lavoro che da anni svolgono “Il Timone” e “La Nuova Bussola Quotidiana”, entrambi diretti da un laico colto e coraggioso come Riccardo Cascioli.

 

-VIA AL CONCISTORO, SULLO SFONDO LO SCONTRO di Lorenzo Bertocchi




RATZINGER: IL PAPA INCARNA L’OBBLIGO DELLA CHIESA A CONFORMARSI ALLA PAROLA DI DIO, ANCHE SUL MATRIMONIO

Ratzinger: il Papa incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio, anche sul matrimonio

Joseph RatzingerDio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald

 

«Il Papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio”  – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua.
Il Papa non può dire: “La Chiesa sono io”, oppure: “La Tradizione sono io”, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il Papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. 

Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il Papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa (Giovanni Paolo II) ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

 



 

[Modificato da Caterina63 18/11/2016 23:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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