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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (5)

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2017 00:46
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24/02/2017 17:39
 
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FOCUS di mons. Antonio Livi

Sosa
 

Evangelisti senza registratore? Il generale gesuita Sosa, prigioniero dell’ideologia irrazionalistica è allergico alla parola “dottrina”, non vede che con questa stolta polemica offende non solo la Chiesa, ma Cristo stesso, rinnegando i principali dogmi della Chiesa. Le stesse aberrazioni della Teologia de la revolución. Sofismi che possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri, ma sono stati decostruiti e smentiti dai documenti del Magistero.

L’intervista del generale dei gesuiti Padre Sosa, per il quale le parole di Gesù andrebbero contestualizzate perché gli evangelisti non avevano con sè un registratore, per la sua assoluta incoerenza logica, non meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata. Ma, trattandosi di un intervento dell’attuale generale dei Gesuiti nel dibattito sull’interpretazione di un documento pontificio così problematico come l’Amoris laetitia, si rende necessario, per responsabilità pastorale nei confronti dei fedeli ai quali l’intervista è giunta attraverso i media internazionali, un richiamo al corretto rapporto del Magistero e/o della sacra teologia con la verità rivelata, quella con la quale Dio «ha voluto farci conoscere la sua vita intima e i suoi disegni di salvezza per il mondo» (Vaticano I, costituzione dogmatica Dei Filius, 1870).

I fedeli cattolici (sia Pastori che fedeli) sanno che la verità che Dio ha rivelato agli uomini parlando per mezzo dei Profeti dell’Antico Testamento e poi con il proprio figlio, Gesù  (cfr Lettera agli Ebrei, 1, 1), è custodita, interpretata e annunciata infallibilmente dagli Apostoli, ai quali Cristo ha conferito la potestà di magistero autentico per l’evangelizzazione e la catechesi. Agli Apostoli Cristo ha detto: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato» (Vangelo secondo Luca, 10, 16). Il valore di verità della dottrina degli Apostoli e dei loro successori (i vescovi con a capo il Papa) dipende quindi interamente dal valore di verità della dottrina di Cristo stesso, l’unico che conosce il mistero del Padre: «La mia dottrina non è mia ma di Colui che mi ha inviato» (Vangelo secondo Giovanni, 7, 16). Padre Sosa, prigioniero com’è dell’ideologia irrazionalistica (pastoralismo, prassismo, storicismo) è allergico alla parola “dottrina”, ma non si rende conto che con questa sua stolta polemica offende non solo la Chiesa di Cristo ma Cristo stesso.

Tanto è essenziale la potestà di magistero (munus docendi), che Cristo ha conferito agli Apostoli unitamente alla potestà di amministrare i sacramenti della grazia (munus sanctificandi), con i quali gli uomini possono essere santificati, cioè uniti ontologicamente (non solo moralmente) a Cristo, e in Lui, nell’unità dello Spirito,  a Dio che è il solo Santo. Dice infatti Gesù agli Apostoli: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Vangelo secondo Matteo, 28, 20).

E per provvedere alle necessità spirituali dei fedeli, con la costituzione gerarchica della Chiesa, Cristo ha conferito agli Apostoli anche la missione pastorale (munsu regendi). Si capisce allora che non si può pensare a riforme “pastorali” della Chiesa in contrasto con la dottrina dogmatica e morale, come vorrebbe padre Sosa, con l’alibi delle presunte ispirazioni di un fantomatico “Spirito”, che certamente non è lo Spirito di Gesù (quello che «ex Patre Filioque procedit») perché contraddice frontalmente la sua dottrina e i sui comandamenti, anche lì dove Gesù ha parlato in modo definitivo e inequivocabile, com’è il caso del matrimonio naturale, che è indissolubile perché Dio così lo ha istituito «fin dal principio».

Non serve a niente – tanto meno all’edificazione della fede dei cattolici di oggi – sostenere con argomenti pseudo-teologici,  ossia con la propaganda rivoluzionaria, le riforme dottrinali di una immaginaria “Chiesa di Bergoglio”: i fedeli sanno benissimo  che la “Chiesa di Bergoglio” non esiste e non può esistere, perché Dio ha voluto solo la Chiesa del Figlio suo,  la Chiesa di Cristo, Verbo Incarnato  e Capo del Corpo Mistico, sempre presente per essere l’unico Maestro, Sacerdote e Re per ogni generazione, fino alla fine dei tempi (si vedano il classico trattato teologico del cardinale Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Paris-Bruges 1962, e  il recentissimo saggio del Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Gerhrard Ludwig Müller, intitolato Der Papst – Sendung und Auftrag, Herder Verlag, Frankfurt 2017).

Non serve a niente parlare di una “Chiesa del popolo”, immaginata secondo gli schemi  ideologici della sudamericana “teologia del pueblo”, dove è “la base”, “coscientizzata” dagli intellettuali organici (i teologi), quella che decide quale dottrina e quale prassi rispondono alle necessità politiche di quel momento storico e il Papa non è più l’interprete infallibile della verità rivelata e l’amministratore dei misteri salvifici ma l’interprete della volontà popolare e l’amministratore della rivoluzione permanente. Sono le aberrazioni pseudo-teologiche che si ritrovano già nella Teologia de la revolución del peruviano Gustavo Gutiérrez e che traggono origine dalla «nuova teologia politica» del tedesco Johann Baptist Metz. Il venezuelano padre Sosa, da sempre legato a questa corrente ideologica, ripropone oggi, nell’intento di sostenere servilmente le presunte intenzioni rivoluzionarie di papa Bergoglio, teorie che già quarant’anni fa, sotto papa Wojtyla, sono state condannate dal Magistero come contrarie al dogma ecclesiologico.

Nemmeno serve l’alibi pseudo-teologico di una nova e “aggiornata” interpretazione della Scrittura, capace di contraddire perfino le «ipsissima verba Christi» e capace poi di squalificare come “fondamentalisti” quanti nella Chiesa (non solo i teologi come Carlo Caffarra ma anche i Papi come san Giovanni Paolo II) stanno al significato ovvio e vincolante degli insegnamenti biblici. Questi sofismi possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri di discernimento: ma sono stati già da tempo decostruiti e smentiti punto per punto dai documenti del Magistero recente e dalla critica teologica (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2012).

Noi cattolici sappiamo di dover leggere l’Antico e il Nuovo Testamento alla luce della dottrina della Chiesa, perché è proprio della Chiesa che ci ha dato la Sacra Scrittura, garantendone l’ispirazione divina, ed è essa che ne fornisce l’interpretazione autentica, ogni qual volta un’interpretazione è necessaria per renderne comprensibile il messaggio salvifico agli uomini di un determinato contesto storico-culturale.

Noi cattolici, a differenza di Lutero e di tutti quei protestanti che ne hanno seguito la metodologia teologica (radicalmente eretica), non ci basiamo sull’illogico principio della «sola Scriptura» e del «libero esame», e non vediamo alcun motivo logico di opporre la Bibbia al Magistero e il Magistero alla Bibbia. Noi cattolici abbiamo motivo di credere, al di là di ogni ragionevole dubbio, all’autorità dottrinale della Chiesa che ci ha consegnato la Sacra Scrittura, assicurandoci del fatto che essa è veramente la «parola di Dio», in quanto Dio stesso ne è l’autore principale e gli agiografi, che hanno scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ne sono gli autori secondari o strumentali.

Ciò significa, contro il relativismo professato da padre Sosa, che ciò che si legge nella Sacra Scrittura è assolutamente vero, è la verità dei misteri soprannaturali che Dio ci ha rivelato gradualmente, per mezzo dei profeti, e poi definitivamente nella persona stessa di Dio Figlio. Si deve tener sempre presente che i testi scritturistici, pur contenendo la rivelazione dei misteri soprannaturali, di per sé ineffabili, forniscono ai credenti quel tanto di conoscenza (analogica) del divino che permetta loro di trovare in Cristo «la via, la verità e la vita».

Per questo loro essenziale scopo salvifico i testi scritturistici non sono “aperti” a ogni possibile interpretazione, anche in contraddizione con  il loro significato testuale, che di norma è chiaro ed inequivocabile (lo stesso significato chiaro ed inequivocabile che hanno le formule dogmatiche che nei secoli la Chiesa è andata definendo). Non è vero quello che sosteneva alcuni decenni or sono il protestante svizzero Karl Jaspers, ossia che «nella Bibbia, dal punto di vista dottrinale, si può trovare tutto e il contrario di tutto». 

Quando avviene che il significato testuale di un passo scritturistico sia suscettibile di diverse interpretazioni, è la Chiesa stessa che provvede a fornirne un’interpretazione “autentica”, ossia conforme all’insieme organico di tutta la dottrina rivelata (analogia fidei). Qualora poi la Chiesa non sia intervenuta a fornirne un’interpretazione “autentica”, i teologi sono liberi di proporre le loro personali ipotesi di interpretazione, tutte legittime purché compatibili con il dogma.

Il generale dei Gesuiti si riferisce irresponsabilmente a pericopi evangeliche, nelle quali è testualmente contenuta la dottrina rivelata sul matrimonio, dicendo che si tratta di parole di uomini (gli agiografi), trasmesse da altri uomini (gli Apostoli e i loro successori) e interpretata da altri uomini ancora (i teologi). Insomma, per lui non è mai la Parola di Dio! In un sol colpo padre Sosa riesce a rinnegare tutti i dogmi fondamentali della Chiesa cattolica, a cominciare da quello della divina ispirazione della Scrittura, da cui derivano le proprietà di “santità” e di “inerranza” degli insegnamenti biblici (richiamati da Pio XII nel 1943 con l’enciclica Divino afflante Spiritu e poi riproposto dal Vaticano II nel 1965 con la costituzione dogmatica Dei Verbum), per finire con quello dell’infallibilità del magistero ecclesiastico quando definisce formalmente le verità che Dio ha rivelato per la salvezza degli uomini (definito nel 1870 dal Vaticano I con la costituzione dogmatica Pastor Aeternus e riproposti anche dal Vaticano II con le costituzioni dogmatiche Lumen gentium e Dei Verbum).

Riducendo la Scrittura a «espressione della coscienza della comunità credente di altri tempi», a padre Sosa sembra logico di dover sostenere la necessità di una nuova interpretazione del messaggio biblico alla luce della «espressione della coscienza della comunità credente» di oggi. Ma questo è logico solo se si professa l’«anarchia ermeneutica», quella che ha portato un teologo luterano come Rudolf Bultmann a proporre la «de-mitologizzazione» del Nuovo Testamento. Invece, per la fede cattolica (che fino a prova contraria dovrebbe essere quella del generale dei Gesuiti), è del tutto illogico suppore che la Scrittura non insegni sempre e soprattutto delle verità divine indispensabili per la salvezza degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Solo chi accetta in toto l’eresia luterana può supporre che non esista quello che io chiamo il «limite ermeneutico invalicabile», ossia l’individuazione (immediata, accessibile a tutti) di un ben preciso contenuto dottrinale, che nessuna interpretazione può negare o mettere in ombra. Questo è il caso, per l’appunto, della dottrina evangelica sul matrimonio e l’adulterio.

Capisco (anche se la depreco) l’intenzione di padre Sosa di sostenere la (presunta) rivoluzione pastorale di papa Bergoglio relativizzando il dogma, per poter contraddire nella prassi quanto la Chiesa ha stabilito ormai definitivamente con la dottrina sui sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma ragioniamo: eliminando il dogma, su quale base si dovrebbe dar ascolto a un Papa, il quale – secondo l’interpretazione ufficiosa di Sosa e di tanti altri teologi ossequiosi – ha messo il dogma da parte?

Se non è assolutamente (non relativamente) vero – oggi come ieri e come domani – che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa, per quale motivo dovemmo ascoltarlo e obbedirgli? E noi sappiamo proprio dalla Sacra Scrittura (sulla quale si basano i dogmi enunciati dal Magistero, dai primi secoli fino al Vaticano I) che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa; ora, se si applicasse a questa volontà espressa di Cristo il criterio relativista di Sosa, allora ci sarebbero cattolici che venerano e rispettano il Papa e altri che lo ignorano o lo combattono. Gli uni e gli altri per motivi non teologici, ma ideologici, cioè politici. Fedeli a papa Bergoglio sarebbero solo quelli che lo seguono come si segue in politica un leader “carismatico” e non si tratterebbe certamente del carisma divino dell’infallibilità nella dottrina, ma del carisma umano del capopopolo che con le sue parole e i sui gesti ottiene consenso nelle masse. 




FOCUS di Padre Riccardo Barile O.P.
Messale
 

Con un colpo di mano l'ala progressista in Vaticano sta mettendo mano alle traduzioni della Bibbia e della liturgia, aggirando le disposizioni dell'istruzione Liturgiam authenticam. La posta in gioco è di sostanza perché attraverso le parole viene comunicata l'immagine di Dio e l'atteggiamento con cui l'uomo si rivolge a Lui.

 

«Se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate di-cendo?» (1Cor 14,8). Le “parole chiare”, che san Paolo raccomandava alla comunità di Corinto - alla lettera “di un buon segno”, cioè “ben decifrabili” -, riguardano non solo la pronuncia, ma anche la comprensibilità linguistica. È a partire da qui che la Chiesa ha curato le traduzioni della Bibbia e della liturgia, perché «la parola di Dio vuole interpellare l’uomo, vuole essere da lui compresa e avere una risposta comprensibile, ragionevole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 71).

Per quanto riguarda la liturgia, tale movimento si è andato intensificando sino a un livello critico e polemico, come la notizia dei giorni scorsi di una nuova commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam (del 28 marzo 2001), che regola i principi e i modi di tradurre i testi liturgici, mettendo da parte addirittura il prefetto del dicastero competente, cioè il cardinal Robert Sarah: un colpo di mano dell’ala progressista! Cerchiamo di capire.

Anzitutto il fedele italiano ignora che cosa sia Liturgiam authenticam, non avendone speri-mentato né i benefici né i (presunti) disastri. Infatti il Messale italiano in uso (del 1983 con alcune integrazioni) è stato tradotto dall’edizione tipica latina del 1975 e i criteri della traduzione erano regolati dalla precedente Istruzione Comme le prévoit (25.1.1969).

Dopo il Messale italiano del 1983, il Messale tipico latino ha avuto una terza edizione del 2000 con una ristampa emendata del 2008. Bisognava dunque rivedere il Messale italiano alla luce di questa terza edizione, che comportava testi aggiunti e altre modifiche. Ma la revisione era postulata anche dal fatto che nel frattempo Liturgiam authenticam, tenuto conto di certi difetti delle traduzioni, aveva riformulato i criteri per la traduzione dei testi liturgici.

Da parte della Chiesa italiana tale lavoro di revisione iniziò quasi subito, ma, trascorsi quasi 15 anni - e sono tanti -, il nuovo Messale non è ancora uscito, per cui viene da pensare che non sia uscito perché qualcuno ha manovrato perché non uscisse. E a questo punto è ipotizzabile che a tempi brevi non uscirà, in quanto la nuova traduzione dovrebbe vedere la luce più o meno in contemporanea all’uscita di un documento che riformula i criteri per le traduzioni, per cui il povero Messale, appena uscito, sarebbe da rivedere...

A questo punto il fedele cattolico si trova confuso ed estraniato. In realtà la questione tocca proprio lui senza che l’interessato se ne accorga. Perché? Perché ad oggi quando va a Messa è destinatario di una traduzione uscita nel 1983 ed elaborata fine anni ’70 e inizio anni ’80, sostanzialmente fedele ma abbastanza “liberale”; se poi, invece di una traduzione più fedele, è in arrivo una revisione con criteri più innovativi, immaginarsi il risultato. A questo punto la posta in gioco non è di letteratura, ma di sostanza, in quanto attraverso le parole viene comunicata l’immagine di Dio e viene plasmato l’atteggiamento dell’uomo che si rivolge a Lui (come stare davanti a Dio, come lodarlo, che cosa chiedergli ecc.).

Oggi si vuole rivedere Liturgiam authenticam perché i suoi criteri sarebbero troppo stretti, perché c’è bisogno di un linguaggio nuovo e - sostiene qualcuno - anche di gesti nuovi e poi perché... è espressione “anche” di un clima restaurazionista di san Giovanni Paolo II, aiutato in questo “anche” dall’allora card. Joseph Ratzinger e dal card. Jorge Medina Estévez, firmatario di Liturgiam authenticam. Quanti allora non digerirono l’Istruzione, oggi o sono nella stanza dei bottoni o ricevono benevola udienza da chi dimora in quella stanza. Ovvio il tentativo della rivincita, credendo onestamente di aver subìto un sopruso, di aver ragione e di far avanzare la Chiesa nella fedeltà all’uomo e a Gesù Cristo. È capitato tante volte nella storia, sia da destra che da sinistra. Però, senza negare questo fattore, bisognerebbe sforzarsi di guardare la realtà.

Ora un sano atteggiamento verso la realtà è di lasciar parlare Liturgiam authenticam, troppo spesso taciuta nel dibattito. Che cosa dice? Tante cose che non interessano l’Italia, ma anche tante altre sulla traduzione e dunque sul linguaggio liturgico che interessano tutti i cattolici e che qui condenso in 5 punti.

1. Esattezza formale della traduzione. La traduzione è un aspetto della «opera di inculturazione» (n. 5), però «non sia un’opera di innovazione creativa, quanto piuttosto la trasposizione fedele e accurata dei testi originali in lingua vernacola» (n. 20). E qui Liturgiam authenticam chiede una traduzione che rispetti il più possibile le parole e le frasi così come sono: questo è il metodo delle “equivalenze formali”, contrapposto al metodo delle “equivalenze dinamiche”, che invece tende a tradurre con parole e frasi di oggi ciò che con parole antiche recepì il destinatario di ieri. Tanto per fare un esempio, la traduzione biblica a equivalenze dinamiche rende il termine paolino “carne” con “egoismo”, certo facilitando, ma perdendo un mucchio di sfumature. Liturgiam authenticam, rispettando lo Spirito, la tradizione della Chiesa e il destinatario, mette in guardia dal seguire una strada così disinvolta.

2. Legittimità di una lingua liturgica e di uno stile liturgico. A quanto sopra si potrebbe obiettare che, pur usando termini comprensibili, il risultato sarebbe un linguaggio che si discosta dal modo abituale di comunicare. Ebbene, Liturgiam authenticam prende il toro per le corna e ricorda che espressioni poco consuete (ma comprensibili), possono essere ritenute più facilmente a memoria e anzi possono sviluppare nella lingua odierna uno «stile sacro» (n. 27), «dove i vocaboli, la sintassi, la grammatica siano propri del culto divino» (n. 47). Ecco un’altra presa di posizione: è normale ed è positivo per chi ascolta che esista un linguaggio del culto e uno stile sacro, che, pur comprensibili, non vanno ridotti al modo abituale di comunicare.

3. Traduzioni né ideologiche né soggettive. I libri liturgici devono essere «immuni da qualsiasi pregiudizio ideologico» (n. 3) e non sempre le attuali traduzioni lo sono. Ad esempio la Liturgia delle Ore rende “instaurare omnia in Christo” con “fare di Cristo il cuore del mondo”, espressione che trasuda di Teilhard de Chardin († 1955): con quale autorità si impone il pensiero di Teilhard a migliaia di oranti? Di più: i testi tradotti non sono funzionali ad essere «in primo luogo quasi lo specchio della disposizione interiore dei fedeli» (n. 129). Il che significa che non bisogna addolcire o aumentare i testi solo per venire incontro a ciò che si desidera oggi - ad esempio aggiungendo un “giustizia e pace” dove non c’è -, poiché il testo della preghiera della Chiesa è una proposta che va oltre le nostre attese e i nostri gusti e così facendo ci costringe a rettificarci e ad arricchirci. Di nuovo, i paletti di Liturgiam authenticam, prima di essere severi, sono promozionali per il popolo di Dio e lo preservano dalle dittature ideologiche e sentimentali.

4. Le parole giuste e varie. Alla varietà di vocaboli del testo originale «corrisponda, per quanto è possibile, una varietà nelle traduzioni» (n. 51). Qui si citano due casi: il primo è l’antropologia: “anima, animo, cuore, mente, spirito” andrebbero tradotti come sono, compresa “anima” che i traduttori aggiornati vorrebbero abolire o comunque limitare. L’altro esempio sono i modi di rivolgersi a Dio: Signore, Dio, Onnipotente ed eterno Dio, Padre ecc. La fedeltà della traduzione ci veicola un giusto concetto di Dio e aumenta il senso di rispetto e adorazione nel rivolgersi a Lui. Ciò che non sempre è capitato nelle traduzioni: ad esempio gli anni ’70 hanno prodotto in un ordine religioso delle orazioni che iniziavano con un “Tu o Dio”. Mi domando se ci si rivolgerebbe così a un impiegato al di là dello sportello.

5. Rispettare la sintassi originale. Questo è il punto più contestato e - si capisce - più decisivo: siano conservati, per quanto è possibile, la relazione delle frasi in «proposizioni subordinate e relative», la «disposizione delle parole», i «vari tipi di parallelismo» (n. 57a). Oggi tendiamo a parlare sparando delle frasi accostate: è il linguaggio della pubblicità e della comunicazione virtuale. La liturgia tende invece a collegare le frasi mettendole in ordine armonico tra di loro; soprattutto una richiesta non è generalmente formulata per prima, ma dipende da una precedente memoria delle meraviglie operate da Dio, che plasmano la richiesta stessa. Questo ordine e questa bellezza del linguaggio è ciò che il mondo classico ha prodotto e che la liturgia trasmette a tutti.

Ecco, è un poco tutto questo che si vuole rivedere e ripensare (accantonare? scartare?), creando un nuovo linguaggio più secondo l’uomo di oggi. 
Quanto sopra richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma il lettore che ha avuto il coraggio di arrivare fin qui, sarà stanco, per cui rimando a un prossimo intervento.

 
REVISIONISMO
Martin Lutero
 

Ancora nei giorni scorsi è apparso un articolo sull'Osservatore Romano che fa una esaltazione di Martin Lutero e della sua ricerca del Dio misericordioso. Ma come sempre si glissa su altri aspetti che sono preponderanti, come l'odio mostrato contro papi ed ebrei.

di Angela Pellicciari
 

Non so quanti siano i lettori dell’Osservatore Romano, a quanto si dice non molti. Per parte mia leggo solo gli articoli che, di tanto in tanto, mi vengono segnalati. Mi è capitato così, diversi anni fa, di manifestare qualche sconcerto di fronte al tentativo di recuperare il Marx buono, come al plauso (scritto da un vescovo) della massima cavouriana ‘libera Chiesa in libero stato’ letta alla maniera di Spadolini.

In questi giorni mi è stato segnalato un pezzo su Lutero, una pagina dal titolo “La storia momento di riconciliazione”. “Dall’animo tormentato di un uomo in cerca di un Dio da cui ricevere misericordia, nasce un seme di discordia”, scrive l’autrice Caterina Ciriello. Ohibò! Che ci si sia dimenticati della massima evangelica: “Li riconoscerete dai frutti”? 

Tanti buoni sentimenti, tante buone e pie parole, tanto pellegrinaggio fra storia, arte, sapienza teologica, tanta santa contrapposizione tra l’opposizione che un tempo divideva cattolici e protestanti e la ritrovata comunione di oggi! Un articolo pieno di santi propositi e di buone intenzioni di volersi bene non andrebbe commentato. Ma è comparso sull’Osservatore.

E allora giusto qualche pensiero in ordine sparso: Ciriello dà notizia di un convegno internazionale, “Rileggere la Riforma”, tenutosi a Firenze dal 20 al 22 febbraio. I protestanti avrebbero ammirato la magnificenza artistica della cattolica Firenze, magnificenza che loro hanno perso per sempre grazie all’iconoclastia del monaco in cerca della misericordia di Dio.

Verissimo. Epperò ci si scorda di dire che, mentre Lutero è ferocemente iconoclasta (non è un particolare da poco perché - lo sappiamo da sempre e in particolare dalle opere di San Giovanni Damasceno - distruggere le icone significa negare le basi stesse del cristianesimo, perché equivale a mettere fra parentesi l’incarnazione), allo stesso tempo è invece un fervente cultore delle immagini, quelle che nel corso dei decenni elabora insieme a Cranagh per rendere plasticamente evidente ai rozzi tedeschi quale satanica sentina del vizio sia la Chiesa cattolica con tutto il suo apparato di papi, cardinali, vescovi e religiosi.

Immagini orribili, disgustose, che faranno scuola ai rivoluzionari di tutte le epoche. Xilografie che Lutero vuole impreziosiscano le case del maggior numero possibile dei tedeschi per insegnare loro con mezzi semplici ed efficaci qual è il sentimento che va nutrito nei confronti di Roma: l’odio.

Ciriello finisce il pezzo con una frase ad effetto: “‘Come posso avere un Dio misericordioso?’ si chiedeva Lutero. Oggi, forse, chi ancora definisce Lutero il “demonio” che ha diviso la Chiesa, neppure si preoccupa di Dio”. 

Qui basterebbe ricordare qualcuno degli epiteti riservati dal cercatore del Dio misericordioso ai papi (asino, cane, re dei ratti, drago, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale) e soprattutto rileggere i primi due dei “sette consigli salutari” da lui indirizzati ai principi per chiarire cosa fare nei confronti degli ebrei. Primo: “è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni”. Secondo: “siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case”.




 

[Modificato da Caterina63 03/03/2017 11:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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