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Noi NON accettiamo alcuna dichiarazione coi Protestanti se non è dottrinale

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2017 15:53
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"Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno..." (Mt.21.37)

FOCUS 
di padre Riccardo Barile O.P.

Papa Francesco a Lund



Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l'Eucarestia, l'approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide.

Molti e positivi sono stati i commenti sul viaggio ecumenico di Papa Francesco in Svezia (31 ottobre - 1 novembre u.s.) per inaugurare l’anno commemorativo del cinquecentesimo anni-versario della Riforma protestante. La positività è stata ovviamente vista nell’incontrarsi e nel prendere coscienza di un riavvicinamento nonché di un diverso contesto storico che postula un nuovo tipo di rapporto. E di prendere coscienza dell’azione dello Spirito Santo.

In parallelo si sono avute perplessità e critiche sia nei riguardi di Papa Francesco, sia per mar-care le differenze tra cattolicesimo e protestantesimo manifestando il timore di una “prote-stantizzazione” della Chiesa Cattolica, che arrecherebbe seri danni alla medesima.

Mi sembra utile proporre alcune riflessioni di metodo, cioè di “come” leggere i vari testi dell’evento. La considerazione generale è che in questi casi i grandi personaggi - politici o uomini di Chiesa - non affrontano in dettaglio le questioni. Così ad esempio avvenne nel primo dei grandi incontri “dopo il Concilio”, quello di Paolo VI con Atenagora il 25 luglio 1967: i due non discussero né del Filioque né del ruolo dei patriarchi nella struttura ecclesiale. Naturalmente tali questioni c’erano e Atenagora le avvertì, risolvendole con la famosa frase rivolta a Paolo VI e giunta attraverso una tradizione non scritta: «Noi andiamo avanti da soli e mettiamo tutti i teologi in un’isola, che pensino». 

Papa Francesco sembra aver adottato esattamente questa prospettiva: poniamo un gesto ecumenico, simbolico e “profetico”, poi toccherà ai teologi mettere le cose a posto. Ma chi sta su di un’isola e legge la Dichiarazione congiunta, le omelie e gli altri interventi, subito vede ciò che i testi non dicono, cioè vede una filigrana talvolta più decisiva del testo. Ed è proprio per avviare tale metodo di lettura in filigrana - metodo che si basa più sul non detto e sul confronto tra i testi che non sull’analisi dei testi stessi - che propongo cinque suggerimenti o stimoli.

1. I due tavoli. Papa Francesco spesso - non sempre - ha giocato su due tavoli: le parole ai protestanti negli incontri ecumenici e le parole ai cattolici nella Messa allo stadio. Nelle parole ai cattolici, riferendosi alla Riforma, non ha potuto non citare i santi, che «ottengono dei cam-biamenti grazie alla mitezza del cuore», atteggiamento tipico cattolico e lontanissimo dai metodi di Lutero. E naturalmente ha citato la Vergine Maria: «Alla nostra Madre del Cielo, Regina di tutti i Santi, affidiamo le nostre intenzioni e il dialogo per la ricerca della piena comunione di tutti i cristiani, affinché siamo benedetti nei nostri sforzi e raggiungiamo la santità nell’unità», «abbiamo sempre l’aiuto e la compagnia della Vergine Maria, che oggi si presenta a noi come la prima tra i Santi, la prima discepola del Signore. Ci abbandoniamo alla sua protezione e le presentiamo i nostri dolori e le nostre gioie, le paure e le aspirazioni. Tutto poniamo sotto la sua protezione, con la certezza che ci guarda e si prende cura di noi con amore di madre». Nella Dichiarazione congiunta e negli interventi ecumenici manca invece questo accenno. Il che sembra normale, ma il teologo sull’isola vede e legge una questione in filigrana: “E se un giorno si arriverà all’unità e si giocherà su di un solo tavolo, si metterà da parte la Vergine Maria o la si farà accettare?”. E la stessa domanda si estende a tanti altri contenuti che forse, prima di essere “cattolici”, sono semplicemente “cristiani”.

2. La convergenza sull’impegno umano è un punto di forza sottolineato soprattutto nella Dichiarazione congiunta. Impegno che va dall’aiuto ai poveri, al perseguimento della giustizia sociale, all’accoglienza dei migranti sino alla custodia della casa comune. Questa base è solida e può sostenere iniziative tra protestanti e cattolici favorendo l’incontro e l’accettazione vicendevole. Ma il teologo sull’isola si domanda: “È una base definitiva?”. No, perché come Gesù Cristo non operò mai dei miracoli senza relazionarli a un ulteriore itinerario - significativo il cieco nato che, dopo la luce della vista, ricevette la rivelazione di Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te» (Gv 9,37) -, così per il discepolo di Cristo l’impegno umano è aperto a un “oltre” da proporre ai destinatari e questo “oltre” nel caso dei cattolici e dei protestanti è diverso e diviso. Che cosa proporremmo a coloro ai quali andiamo incontro: solo la base comune della lectio divina o anche il sacramento della Penitenza, l’adorazione eucaristica, il Rosario ecc.?

3. L’adozione della categoria di differenze teologiche e culturali ha permesso di ritrovare punti di convergenza verso un’unità più profonda: tra noi ci sono state e ci sono «differenze teologiche», pregiudizi «verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi», ma - ieri e oggi - con «una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difen-dere la vera fede». Ma il teologo sull’isola sospira: “Come sarebbe bello se fosse così!”. Se la fede fosse la stessa e le differenze fossero solo di teologia o di linguaggio, ognuno si terrebbe le proprie differenze e l’unità sulla fede sarebbe fatta. 
Invece non ci si può limitare a differenze nella teologia: vi sono differenze nella formulazione della fede che intaccano la fede stessa, che arrivano ad un “altro” Gesù Cristo e ad una “altra” Chiesa. Il voler ridurre le differenze a sole differenze di teologia all’interno di un’unica fede è un principio troppo facile che porta a conclusioni errate. Ad esempio di recente un teologo ha ipotizzato una ospitalità eucaristica tra cattolici e luterani partendo dal fatto che la fede di entrambi circa il “Fate questo in memoria di me” è identica, anche se poi sussistono spiegazioni teologiche divergenti: non è vero, quelle spiegazioni teologiche sono una diversa fede e il risultato è che quando si celebra così l’Eucaristia non si fa il “questo” richiesto da Gesù, ma si fa “altro”.

4. Bisogna ripensare e ridire la storia. Nei vari discorsi si nota un eccessivo peso sul tale procedimento, ma il teologo sull’isola si domanda: “La storia può essere necessariamente molto diversa da quella che è stata tramandata?”. C’è una verità della Riforma cattolica che non può essere oscurata. Bisogna poi concedere e non demonizzare che da entrambe le parti un qualche appoggio se non politico per lo meno istituzionale fu inevitabile (lo è ancora oggi). Bisogna tenere conto della necessità di segni di distinzione e di identificazione delle diverse culture, per cui - naturalmente senza eccessi - è naturale che protestanti e cattolici abbiano cercato di distinguersi e molti lo facciano ancora oggi. Bisogna infine usare una qualche tolleranza senza condannare sempre tutti gli eccessi, in quanto in una certa misura sono normali e nessuna riforma è mai perfettamente equilibrata. Ecco: che la storia sia andata così è normale ed è onesto così raccontarla e... proseguirla.

5. I primi padri protestanti e i padri del Concilio di Trento furono degli sprovveduti? A fronte di affermazioni tipo che ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide o che Lutero era alla ricerca di un Dio misericordioso e finalmente l’ha scoperto in Gesù Cristo come colui che ci giustifica precedendo la nostra risposta, a fronte di tutto questo così bello ed edificante il teo-logo sull’isola si domanda: “Possibile che i padri del Concilio di Trento fossero così ingenui e sprovveduti da non essersene accorti sino a riscrivere tutto il processo della salvezza cristiana? Possibile che i primi protestanti fossero così in malafede da non accorgersi che Trento parlava quasi come loro? Possibile che solo noi oggi siamo tanto saggi da averlo scoperto?”.

In conclusione, come è stato scritto da diverse parti, i punti di distanza tra cattolici e protestanti sono parecchi e profondi: il sacramento del ministero sacerdotale e per giunta maschile (come Papa Francesco ha ribadito nella conferenza stampa in volo), la Messa come sacrificio, la transustanziazione e il tipo di presenza eucaristica che ne deriva, il numero settenario dei sacramenti, la giustificazione come rinnovamento vero e interiore dell’uomo, l’approccio alle Scritture, la provvidenza di usare un buon sistema filosofico ecc. L’accettazione di tutto ciò, che prima di essere “cattolico” è “cristiano”, è più ipotizzabile come conversioni personali che come avvicinamento tra le due comunità, fermo restando che l’incontro continua ad avere un suo senso e va perseguito grazie a quanto resta di elementi comuni. Naturalmente ogni progresso deve avvenire non come una vittoria della Chiesa Cattolica, ma come una scoperta della vera salvezza offerta da Gesù Cristo e «questo è (quasi) impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26).


   

Religione cattolica.

Cito: <<Colui che, anche in un punto solo, dissente dalle verità rivelate, ha perduto del tutto la fede, in quanto ricusa di venerare Dio come somma verità e proprio motivo di fede; perciò Agostino dice: “In molte cose concordano con me, in alcune poche no; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me, a nulla giovano loro le molte in cui convengono con me” [S. Augustinus, In Psal. LIV, n. 19].

E con ragione; perché coloro che prendono della dottrina cristiana quello che a loro piace, si basano non sulla fede, ma sul proprio giudizio: e non “riconducendo tutto il proprio intelletto all’obbedienza a Cristo”(1Cor 10,5), obbediscono più propriamente a loro stessi che a Dio. “Voi, diceva Agostino, che nel Vangelo credete quello che volete, e non credete quello che non volete, credete a voi stessi piuttosto che al Vangelo”
[S. Augustinus, lib. XVII, Contra Faustum Manichaeum, cap. 3]>> (cf. SATIS COGNITUM DEL SOMMO PONTEFICE LEONE XIII SULLA UNITÀ DELLA CHIESA)

  Piccola enciclopedia della commemorazione dell’eretico Lutero 

1.11.16 – 


Anche noi prendiamo le distanze, come Cattolici della Santa Chiesa Romana, da questa Dichiarazione congiunta
 





dichiarazione congiunta
firmata da Jorge Mario Bergoglio, vescovo romano, e Munib Yunan, vescovo luterano.

Attraverso il dialogo e la testimonianza condivisa non siamo più estranei. Anzi, abbiamo imparato che ciò che ci unisce è più grande di ciò che ci divide.

… siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa.

Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati.

Riconosciamo che siamo liberati per grazia per camminare verso la comunione a cui Dio continuamente ci chiama.

Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica.

Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere chi è straniero, per venire in aiuto di quanti sono costretti a fuggire a causa della guerra e della persecuzione, e a difendere i diritti dei rifugiati e di quanti cercano asilo.

Oggi più che mai ci rendiamo conto che il nostro comune servizio nel mondo deve estendersi a tutto il creato, che soffre lo sfruttamento e gli effetti di un’insaziabile avidità.

esprimiamo la nostra gratitudine ai fratelli e alle sorelle delle varie Comunioni e Associazioni cristiane mondiali che sono presenti e si uniscono a noi in preghiera.

___________________________________________________________________________________

Piccolo commento a caldo (di L. P.):

Deo gratias! L’assassino, lo scismatico che ha spezzato la tunica inconsutile della Chiesa, il satanico eversore della dottrina cattolica, colui che definì il Vicario di Cristo “merda del diavolo”, il padre di coloro che oggi celebrano matrimoni sodomiti, il violatore di monache, lo stragista di migliaia di contadini, il crapulone, il suicida Lutero e la sua riforma, sono, secondo Jorge Mario Bergoglio, “un dono di Dio!” e con una Chiesa che, ancora una volta, si prende la colpa. 
Si rinnova il tradimento di Giuda e, con esso, la Passione di Gesù ad opera dei suoi, secondo quanto profetizzò Zaccaria. 
“E a chi lo interrogherà: come mai queste ferite sul tuo corpo?risponderà: Le ho ricevute nella casa di coloro che mi amavano!” (13, 7). 
E se non bastasse Zaccaria a testimoniare il tradimento di Roma, ci sono le visioni della beata Emmerick – e lo sapete anche voi – che vide la protestantizzazione della Chiesa Cattolica. 

Ma “quei che più n’ha colpa / vegg’io a coda d’una bestia tratto / invèr la valle ove mai non si scolpa”  (Purg. XXIV, 82/84). 

Non si sfugge alla vendetta di Dio. Altro che misericordia!!!!

Domine, rumpantur ilia proditoribus nostris.

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.

_______________________________________________________

SUGGERIAMO A TAL RIGUARDO LA SUPPLICA, I CONSIGLI, L'ACCORATO APPELLO DEL TEOLOGO DOMENICANO PADRE GIOVANNI CAVALCOLI A RIGUARDO DI QUESTA PIETOSA SCELTA DA PARTE DEL PONTEFICE..... con la quale anche lui si preoccupa di questo scenario CLICCARE QUI

IL SANTO PADRE FRANCESCO E L’ARBITRIO SUPER PARTES. IL SOMMO PONTEFICE COME FAUTORE DI UNITÀ E CONCORDIA NELLA CHIESA

Non che il Papa negli incontri ecumenici debba atteggiarsi a maestro tra gli scolaretti o debba proclamare l’Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Ma anche così come adesso si comporta, sembra eccessivamente riguardoso e quasi intimidito. A volte sembra anche esagerare nelle manifestazioni d’ affetto, come se avesse a che fare con i suoi più cari amici. Dopotutto, sono “fratelli separati”. Credo che il mantenere una certa dignitosa distanza, senza freddezza o sussiego, sarebbe già un tacito richiamo alla sublime e impareggiabile dignità del suo carisma di servus servorum Dei.

[...] non è affatto proibito a un Papa avere le sue idee od opinioni personali, più o meno discutibili. Non gli è certo proibito seguire una data corrente di opinione. È troppo evidente che il Santo Padre Francesco preferisce il progressismo, con le scelte pastorali o di governo, che da ciò possono discendere. Ma occorre che egli, al di sopra delle sue idee personali, si ricordi della sua delicatissima posizione di Sommo Pontefice super partes, padre di tutti i cattolici, altrimenti rischia di sbilanciarsi da una parte e quindi di non recar giustizia all’altra.

Nei suoi frequenti interventi a braccio e in discorsi improvvisati o nelle sue battute ― pensiamo alle interviste in aereo ― non è sempre chiaro se egli esprime sue opinioni o impressioni personali, soggettive, oppure parla proprio come maestro della fede e della morale, cioè come Papa.
Per questo, sembrerebbe opportuno e utile per la Chiesa che il Papa limitasse i suoi discorsi. Ciò limiterebbe il rischio che l’insegnamento pontificio venga declassato, frainteso e svalorizzato. Dal Papa non si richiede tanto la quantità, quanto piuttosto la qualità ed autorevolezza dei suoi interventi, che possono affrontare quesiti, temi ed argomenti di grande importanza, dove da lui solo si può e si deve avere una risposta o un indirizzo teorico o pratico.
(Padre Giovanni Cavalcoli O.P.)





[Modificato da Caterina63 30/10/2017 21:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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discorso di Jorge Mario Bergoglio nella Malmö Arena – 31 ottobre 2016

"rendo grazie a Dio per questa commemorazione congiunta dei 500 anni della Riforma,

riconosciamo che tra di noi è molto più quello che ci unisce di quello che ci separa.

un grande dono che Dio ci fa e, grazie al suo aiuto, siamo oggi qui riuniti, luterani e cattolici, in spirito di comunione

Il dialogo tra di noi ha permesso di approfondire la comprensione reciproca, di generare mutua fiducia e confermare il desiderio di camminare verso la comunione piena 

A noi cristiani oggi è chiesto di essere protagonisti della rivoluzione della tenerezza..."

___________________________________________


Piccolo commento a caldo:

Perché Bergoglio ringrazia Dio per una cosa che ha voluto lui? Forse che Dio ha espresso la sua approvazione? O invece non è crollata la Cattedrale di San Benedetto a Norcia? Una coincidenza? forse sì, ma anche che no, visto che la natura stessa obbedisce agli ordini di Dio.

Dunque il nulla – “quello che unisce” – non può essere “molto di più” del tutto – “quello che ci separa” -. Tranne che Bergoglio non parli per se stesso… 


La rivoluzione della tenerezza è una bestialità linguistica e… quindi… una solenne turlupinatura.
Naum, 1, 2-3 e 7-8

Nella firma in comune nulla vi è detto sulle comunità luterane che, sostenute dai loro pastori, sostengono l'aborto, il divorzio, l'eutanasia, unioni omosessuali, donne "prete", è perciò per noi inaccettabile una Dichiarazione che non chiarisca questi punti eretici.

Sapienza 3,9
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli
vivranno presso di lui nell'amore,
perché grazia e misericordia
sono riservate ai suoi eletti.

Siracide 5,6
Non dire: «La sua misericordia è grande;
mi perdonerà i molti peccati»,
perché presso di lui ci sono misericordia e ira,
il suo sdegno si riverserà sui peccatori (recidivi).

Siracide 16,13
Tanto grande la sua misericordia,
quanto grande la sua severità;
egli giudicherà l'uomo secondo le sue opere.

Isaia 55,7
L'empio abbandoni la sua via
e l'uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.

Ecco allora che stiamo vivendo i giorni predetti da San Paolo, i giorni dell’iniquità:
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. (II Tim 4, 3-4)

Così che per noi cattolici
vale l’ingiunzione:
Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore (II Tim 2, 19)

e incombe il dovere di esclamare a imitazione di Gesù Cristo, alto e forte:
Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! (Mt 16, 23; Mc. 8, 33)

Galati 1
1 Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, 2 e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. 3 Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, 4 che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, 5 al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
6 Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. 7 In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. 8 Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! 9 L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! 10 Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!
11 Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; 12 infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Trafiletto di L. P.:


Con commozione, Bergoglio afferma che luterani e cattolici sono “profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, un dono per l’unità dei cristiani”. 

Da ciò consegue che la vera Chiesa è quella luterana che, quale ottavo dono dello Spirito Santo, gode dell’assistenza della Santissima Trinità onde, se fila il sillogismo, noi tutti, cattolici, dovremmo aderire a quella chiesa per poterci sentire nella Chiesa di Cristo 

Ma, beatissimo Papa Bergoglio, noi avremmo delle serie difficoltà a fare il salto del fossato perché dovremmo ritenere: 

1) illegittima la scomunica comminata da Leone X con la bolla “Decet Romanum Pontificem” del 3 gennaio 1521 - 

2) inutile la cosiddetta “Riforma cattolica” attuata dal Concilio di Trento – quella che i nemici definiscono “Controriforma” – 

3) casuale se non superflua o mitologica, come afferma la Scuola di Tubinga, la fioritura di santità che costella luminosa la storia della Chiesa (martiri, confessori, vergini, missionari. . .) – 

4) esclusivi dello scisma luterano i frutti spirituali - 

5) castello di carta tutto l’impianto teologico – N. T., Tradizione, Santi Padri, Dottori – e, quindi, logicamente da rottamare: 
a) la presenza reale di Cristo nell’Eucaristìa - 
b) le opere di bene che necessariamente si affiancano alla fede - 
c) il culto di iperdulìa reso alla Vergine Marìa - 
d) il carattere sacrificale della Santa Messa – 
e) i sacramenti quale via e pratica di salvezza - 
f) il primato di Pietro e l’infallibilità ex cathedra - 
g) l’efficacia dell’indulgenza - 
h) il culto dei santi - 
i) il magistero principe della Chiesa nell’interpretazione biblica – 
l) il sacerdozio maschile – 
m) il celibato del clero – 
n) il libero arbitrio. 

Per contro dovremmo, rispettivamente, credere: 
l’Eucaristìa come simbolo del Corpo di Cristo; 
la “sola fides” come mezzo di salvezza; 
il culto della vergine quale “cancro del cattolicesimo”, siccome afferma Karl Barth; 
la Messa quale semplice memoria della Cena pasquale; 
inutili i sacramenti; 
il Papa un abusivo capo di una chiesa; 
inutili le indulgenze; 
inutile e idolatrico il culto dei santi; 
erroneo il Magistero cattolico; 
valida l’interpretazione personale della Sacra Scrittura; 
liberi il sacerdozio e le dignità episcopale femminile, 
ed, infine, 
legittimo il matrimonio omosessuale celebrato in chiesa.

Santità, vuole sapere come la pensiamo? Glielo diciamo con la coraggiosa, luminosa e chiara risposta data al massone Napoleone Bonaparte da Pio VII: NON POSSUMUS, NON VOLUMUS, NON DEBEMUS – non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo.  

Sacrosanto Concilio Tridentino 

Sessione VI - 13 gennaio 1547


Cànoni sulla Dottrina della Giustificazione

1 - Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anàtema.

2 - Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia, egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anàtema.

3 - Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito Santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anàtema.


4 - Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anàtema.


5 - Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anàtema.


6 - Se qualcuno afferma che non è potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anàtema.


7 - Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto piú uno si sforza di disporsi alla grazia tanto piú gravemente pecca: sia anàtema.


8 - Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anàtema.


9 - Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, cosí da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anàtema.


10 - Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anàtema.


11 - Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito Santo e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anàtema.


12 - Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anàtema.


13 - Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anàtema.


14 - Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anàtema.


15 - Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anàtema.


16 - Se qualcuno dice, con infallibile ed assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale - a meno che sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale -: sia anàtema.


17 Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensí chiamati, ma non ricevono la grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anàtema.


18 - Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili a osservarsi: sia anàtema.


19 - Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anàtema.


20 - Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anàtema.


21 - Se qualcuno afferma che Gesú Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anàtema.


22 - Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anàtema.


23 - Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può piú peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa ritiene delle beata Vergine: sia anàtema.


24 - Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anàtema.


25 - Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor piú intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anàtema.


26 - Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio - per la sua misericordia e per tutti meriti di Gesú Cristo - l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio, qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine: sia anàtema.


27 - Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può essere perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anàtema.


28 - Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva, o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anàtema.


29 - Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa Chiesa romana e universale, istruita da Cristo Signore e dai suoi Apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anàtema.


30 - Se qualcuno afferma che dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anàtema.


31 - Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anàtema.


32 - Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, cosí da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesú Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anàtema.


33 - Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesú Cristo nostro Signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesú Cristo: sia anàtema.



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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 lo stesso dicasi per la dichiarazione congiunta con gli anglicani, dal momento che, nel documento, non c'è alcun richiamo dottrinale e dei Sacramenti

Papa Francesco e Justin Welby,  l'arcivescovo di Canterbury (credits: Corbis Images)

La visita in Vaticano della regina Elisabetta II ha un sapore particolare. In quanto sovrana d’Inghilterra, infatti, essa è anche Supremo reggente della Chiesa anglicana. Dunque l’incontro con Francesco è stato, in un certo senso, anche l’incontro tra due autorità religiose.

Le origini del titolo di Elisabetta risalgono agli albori della Chiesa anglicana, nata nel Cinquecento. Re Enrico VIII aveva chiesto a papa Clemente VII di annullare il suo matrimonio con Caterina di Aragona (non erano nati maschi, necessari alla successione) per sposare Anna Bolena; Enrico ignorò il rifiuto del Pontefice e sposò Anna: quando giunse la scomunica formalizzò il distacco da Roma e diede vita alla Chiesa anglicana, sottoposta ancora oggi al primato del re. Subito dopo la separazione sono nate diverse correnti all’interno dell’Anglicanesimo, alcune delle quali vicine al Cattolicesimo, ma tra le Chiese rimangono differenze sostanziali dottrinali


CHIESA CATTOLICA

IL RUOLO DEL PAPA: E' GUIDA SUPREMA
Per la Chiesa cattolica, il Papa è il vicario di Cristo e il successore di Pietro, perciò è la più alta autorità religiosa. Viene riconosciuto il dogma dell’infallibilità papale: quando parla “ex cathedra”, cioè dalla “cattedra” di pastore della Chiesa universale, su temi di fede e morale, egli non può sbagliare.

CHI PUÒ FARE IL SACERDOTE? SOLO I MASCHI
Il Sacramento dell’Ordine che abilita all’esercizio del ministero di pastore  prevede tre gradi: diaconato (diacono), presbiterato (sacerdote) ed episcopato (vescovo). Il sacerdozio è riservato agli uomini e c’è l’obbligo del celibato: i preti non possono sposarsi. La Chiesa Cattolica riconosce che questa scelta non è un dogma di fede, ma uno dei più alti e sublimi consigli espressi personalmente da Gesù e lo ha adottato come stile di vita per i sacerdoti, ad imitazione di Cristo stesso. Anche nella Chiesa Ortodossa, dove è ammesso il prete sposato, è caratterizzato da una normativa severa che prevede quanto segue:
il prete non sposato, una volta diventato prete NON può sposarsi più; i vescovi vengono scelti solo ed esclusivamente dal clero non sposato chi è sposato, infatti, non può accedere ad altri gradi della gerarchia.

SACRAMENTI: SONO SETTE
Per la Chiesa cattolica i sacramenti (i segni e gli strumenti attraverso cui lo Spirito Santo diffonde la grazia di Cristo nella Chiesa) sono sette. I tre della Iniziazione: Battesimo, Confermazione (o Cresima) ed Eucaristia; i due della Guarigione: Penitenza e Unzione degli infermi; i due dell’Edificazione della Chiesa: Ordine e Matrimonio. Per definirsi cattolici è necessario credere e professare tutti e sette i Sacramenti, basta escluderne uno per rompere la comunione ecclesiale.

IL MATRIMONIO: SOLO UOMO E DONNA, E INDISSOLUBILE
Condizione essenziale per il matrimonio cattolico è l’essere stati battezzati, aver ricevuto l'Eucaristia, la Penitenza  e cresimati. È indissolubile: non è ammesso il divorzio; un matrimonio, però, può essere riconosciuto nullo quando l’autorità religiosa riconosce la mancanza in partenza di condizioni essenziali. Non si parla assolutamente di nozze omosessuali essendo queste contro-natura e contro la volontà di Dio.

IL BATTESIMO: CONTRO PECCATO E DIAVOLO
Nelle promesse battesimali, i genitori e i padrini devono dichiarare di “rifiutare il peccato” e di “rinunciare al diavolo”. Il Battesimo è fondamentale ed è il primo dei Sacramenti percjé da questo si viene incorporati alla Chiesa in Cristo Gesù, si è rigenerati e si diventa "Figli di Dio" e membra effettive della Chiesa di Cristo, in senso proprio.

LA LITURGIA: E' SACRAMENTO E' PREGHIERA GRADITA A DIO
Si usano diversi messali: quello della Santa Messa (informazioni per chi celebra la Messa perchè nessun sacerdote, o vescovo, può inventare le formule e le parole della Liturgia), breviario (preghiere e letture ordinate secondo le ore obbligatorio per i sacerdoti, facoltativo per i laici), rituale (tutto quanto riguarda i sacramenti) e pontificale (per le celebrazioni del vescovo favente funzioni del Papa nella propria diocesi). L’introduzione della lingua locale nel rito risale al Concilio Vaticano II (1962-1965), ma il latino rimane raccomandato (vedi Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI) specialmente nel Canone di Consacrazione della Messa.

IMMAGINI E RELIQUIE: FONDAMENTALI
Il rapporto con la devozione dei Santi è uno dei punti cruciali e fondamentali della fede cattolica che pronunciamo nella formula del Credo: Credo la Comunione dei Santi. Tutti gli Altari conservano, all'atto della consacrazione dell'altare, una reliquia del Santo di cui la chiesa porta il nome. Le statue o le icone dei Santi sono benedette ma non vengono "adorate". L'alta venerazione che si ha di esse non è all'oggetto, quanto al contenuto e a chi rappresentano. E sia chiaro che l'Eucaristia con la Presenza reale NON è una "reliquia".

MARIA
Due dogmi tratteggiano la figura della Madre di Gesù e hanno chiarito definitivamente (dogmaticamente) il ruolo della Madre di Dio nella Chiesa: l'Immacolata Concezione (proclamato nel 1854) e l'Assunzione (1950). Chi vuole definirsi cattolico, è vincolato a questa fede.


   vediamo ora come è messa LA COMUNITA' ANGLICANA e perchè non è possibile, al momento, la comunione o l'unità con loro

La Comunione anglicana, l’insieme delle 44 chiese ispirate all’Anglicanesimo, raccoglie nel mondo circa 80 milioni di fedeli. Capo di questa comunità è la regina, oggi, d'Inghilterra che delega all'arcivescovo di Canterbury, le mansioni della guida pastorale.

IL RUOLO DEL PAPA? NESSUNO
Gli Anglicani non riconoscono l’autorità del Papa, ma ci sono stati tentativi di dialogo sul tema. Il Supremo reggente della Chiesa è il sovrano d’Inghilterra e ha il compito di nominare i vescovi; l’arcivescovo di Canterbury (dal 2012 è Justin Welby) è la massima autorità spirituale.

CHI FA IL SACERDOTE? MASCHI E FEMMINE
Gli anglicani hanno conservato la stessa struttura che avevano quando erano in comunione con Roma (senza papa oggi, s’intende), con il diaconato, presbiterato ed episcopato. Dal 1992, però, è aperto il sacerdozio alle donne, che possono arrivare fino alla carica di vescovo. Il clero, poi, può sposarsi. Ricordiamo che a seguito di queste ultime scelte, migliaia di anglicani hanno fatto ritorno nella Chiesa cattolica sotto il pontificato di Benedetto XVI che ha concesso loro una struttura idonea a mantenere le sane tradizioni, ma al tempo stesso di vivere la piena comunione ecclesiale con Roma.

SACRAMENTI: SETTE, MA …
Originariamente la Chiesa anglicana ne riconosceva due come obbligò Lutero: Battesimo ed Eucaristia. Poi è tornata a celebrare anche gli altri. Per gli Anglicani, però, tutti possono ricevere la Comunione, anche divorziati e conviventi, a meno che non abbiano commesso grave ingiustizia o violenza. Inoltre, come i luterani, anch'essi non credono nella Presenza reale di Cristo, non credono nella Transustanziazione delle specie del pane e del vino. Riguardo anche al Sacramento della Penitenza, non è come quello insegnato dalla Chiesa, inoltre il loro sacerdozio NON E' VALIDO perchè la comunione con la Successione Apostolica, non c'è più. Insomma, i sette Sacramenti li avrebbero ma... non hanno la stessa dottrina.

IL MATRIMONIO: APERTO A TUTTI
Per sposarsi con il rito anglicano non è necessario essere stati battezzati né cresimati. Recentemente l’arcivescovo di Canterbury ha aperto alle nozze omosessuali, annunciando che la Chiesa anglicana non opporrà più resistenza al matrimonio tra fedeli dello stesso sesso, e così la testimonianza che stanno dando è che ci sono persino pastori e pastore sposate fra persone dello sesso che avrebbero la pretesa di insegnare così, la dottrina di Cristo....  «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». (Mt.15,13,14)

IL BATTESIMO: CONTRO IL MALE IN TUTTE LE SUE FORME
Molte parrocchie anclicane usano una liturgia in cui nelle promesse sono spariti “peccato” e “diavolo”: in generale si deve “rinunciare al male, a tutte le sue forme e le sue false promesse”, in tal modo però, si viene a deformare il fondamento sacramentale dottrinale e dunque si arriva a non formulare ciò che Cristo ha voluto attraverso Pietro e i suoi Successori.

LA LITURGIA: UN LIBRO PER TUTTI
Messale, breviario, rituale e pontificale sono stati sostituiti fin dal 1549 con il “Book of Common Prayer” (Il “Libro delle preghiere comuni”), il testo liturgico ufficiale che, tra l’altro, sostituì il latino con l’inglese. Il “Libro” è stato revisionato e aggiornato più volte (l’edizione più recente è del 1968). Così anche nella preghiera e nel pregare NON c'è alcuna comunione perché sono state eliminate tutte quelle formule che conducono alla comunione con il Papa, i vescovi e sacerdoti, e tutto il popolo di Dio, unito in una sola comunione sacramentale.

IMMAGINI E RELIQUIE: RIFIUTATE
La dottrina su immagini, reliquie e invocazione dei Santi è considerata senza fondamento, sulla scia luterana e calvinista. Per gli anglicani i cattolici sono e rimangono IDOLATRI.

MARIA: RICONOSCIUTA, MA…
La figura della Madonna è riconosciuta, ma sono rifiutati i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. Come i Santi, non dispensa la grazia che viene solo da Dio. Inoltre in molti ambienti è ammesso il dubbio della Verginità perpetua di Maria Santissima, che non costituisce alcun problema dogmatico.

EUCARISTIA: SI, MA....
Hanno conservato la struttura della Messa ereditata dal cattolicesimo ma in essa è il popolo, l'assemblea il protagonista. Credono in una certa presenza "spirituale" di Gesù durante la imitata consacrazione, ma non nella Presenza reale insegnata dalla Chiesa. Rigettano il termine Transustanziazione con tutto ciò che questo comporta. Inoltre, non avendo essi il sacerdozio comune, di fatto non avviene nulla durante la consacrazione che celbrano, effettivamente, non vi è alcun cambiamento nelle specie del pane e del vino che usano, e non hanno alcuna adorazione eucaristica. Tutto è svolto in termini "spirituali", rinnegando una vera Presenza, in anima, corpo, sangue e divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.

Comprendiamo bene, allora, perché è per noi impossibile accettare alcuna dichiarazione congiunta se questa non porta in se LA CONVERSIONE DEGLI ERETICI verso la dottrina Cattolica su queste questioni fondamentali.....





Comunicato del Superiore del Distretto di Francia
sulla
Dichiarazione congiunta fra il Papa e la chiesa luterana

2 novembre 2016


Il Superiore del Distetto di Francia della Fraternità Sacerdotale San Pio X
è Don Christian Bouchacourt 


Il comunicato è stato pubblicato sul sito internet del Distretto di Francia della FSSPX:
La Porte Latine


Alla lettura della dichiarazione congiunta che il Papa ha fatto con i rappresentanti della chiesa luterana in Svezia il 31 ottobre, in occasione del quinto centenario della rivolta di Lutero contro la Chiesa cattolica, il nostro dolore è al colmo.

In presenza del vero scandalo che rappresenta una tale dichiarazione: in cui gli errori storici si intrecciano con dei gravi pregiudizi alla predicazione della fede cattolica e con un falso umanesimo fonte di tanti mali, non possiamo rimanere in silenzio.

Sotto il falso pretesto dell’amore per il prossimo e del desiderio di una unità artificiale e illusoria, la fede cattolica viene sacrificata sull’altare dell’ecumenismo, che mette in pericolo la salvezza delle anime. Gli errori più enormi e la verità di Nostro Signore Gesù Cristo sono posti sullo stesso piano.

Come possiamo essere «profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma» quando Lutero ha manifestato un odio diabolico verso il Sommo Pontefice, un disprezzo blasfemo contro il Santo Sacrificio della Messa, insieme con il rifiuto della grazia salvifica di Nostro Signore Gesù Cristo? Egli ha anche distrutto la dottrina eucaristica rifiutando la transustanziazione, ha allontanato le anime dalla Santissima Vergine Maria e ha negato l’esistenza del Purgatorio.

No! Il protestantesimo non ha apportato alcunché al cattolicesimo! Esso ha rovinato l’unità cristiana, ha separato interi paesi dalla Chiesa cattolica, ha sprofondato le anime nell’errore, mettendo in pericolo la loro salvezza eterna. Noi cattolici vogliamo che i protestanti ritornino all’unico ovile di Cristo che è la Chiesa cattolica, e preghiamo per questa intenzione.

In questi giorni in cui celebriamo Tutti i Santi, noi ci appelliamo a San Pio V, a San Carlo Borromeo, a Sant’Ignazio e a San Pietro Canisio che hanno combattuto eroicamente l’eresia protestante e salvato la Chiesa cattolica.

Invitiamo i fedeli del Distretto di Francia a pregare e a fare penitenza per il Sommo Pontefice, affinché Nostro Signore, di cui è il Vicario, lo preservi dall’errore e lo mantenga nella verità di cui è custode.

Io invito i sacerdoti del Distretto a celebrare una Messa di riparazione e a organizzare un’Ora Santa davanti al Santissimo Sacramento per chiedere perdono per questi scandali e per supplicare Nostro Signore di calmare la tempesta che scuote la Chiesa da più di mezzo secolo.

Madonna Santa, Ausilio dei cristiani, salva la Chiesa cattolica e prega per noi!

Don Christian Bouchacourt
Superiore del Distretto di Francia della Fraternità Sacerdotale San Pio X

Suresnes, 2 novembre 2016, commemorazione di tutti i fedeli defunti.



[Modificato da Caterina63 06/11/2016 08:57]
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14/11/2016 09:34
 
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Due profezie di Paolo VI, il papa più amato da Bergoglio. Entrambe avverate



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Paolo VI


di Sandro Magister

Se c'è un papa al quale Jorge Mario Bergoglio dice di volersi ispirare di più, questo è sicuramente Paolo VI. L'ha detto e ridetto più volte, soprattutto nell'omelia della messa di beatificazione di questo suo amato predecessore, il 19 ottobre 2014, in cui lo elesse a umile e coraggioso "profeta" dei nuovi tempi della Chiesa.

E infatti, come non riconoscere un'affinità tra ciò che disse Paolo VI sul tema dell'ecumenismo, nell'udienza generale del 22 gennaio 1969, e ciò che papa Francesco dice e pratica oggi?

Disse Paolo VI in quella sua catechesi di 47 anni fa:

"Verso i cristiani separati dobbiamo guardare con nuovo spirito. Non possiamo più rassegnarci alle situazioni storiche della separazione. Dobbiamo umilmente riconoscere la parte di colpa morale che i cattolici possano avere avuto in tali rovine. Dobbiamo apprezzare ciò che di buono si è conservato e coltivato del patrimonio cristiano presso i fratelli separati".

Poche righe più avanti, però, Paolo VI cambiò musica. E qui di colpo sparisce l'affinità tra lui e l'attuale pontefice, specie dopo la trasferta luterana di Lund.

Proseguì così papa Giovanni Battista Montini, con impressionante anticipazione dell'oggi:

"Ma facciamo attenzione, figli carissimi, di non compromettere il cammino e l’esito d’una causa di somma importanza, qual è quella dell’autentico ecumenismo, con procedimenti superficiali, frettolosi e controproducenti. Si notano infatti fenomeni pericolosi e dannosi in questo improvviso entusiasmo di riconciliazione fra cattolici e cristiani da noi separati. Alcuni aspetti di questa incauta precipitazione ecumenica devono essere tenuti presenti affinché tanti buoni desideri e tante fortunate possibilità non abbiano a perdersi nell’equivoco, nell’indifferenza, nel falso irenismo.

"Quelli, ad esempio, che vedono tutto bello nel campo dei fratelli separati, e tutto pesante e censurabile nel campo cattolico non sono più in grado di promuovere efficacemente ed utilmente la causa dell’unione. Come osservava con tristezza ironica uno dei migliori ecumenisti contemporanei, protestante costui: "Il più grande pericolo per l’ecumenismo è che i cattolici vengano ad entusiasmarsi per tutto ciò di cui noi abbiamo riconosciuto la nocevolezza, mentre essi abbandonano tutto ciò di cui noi abbiamo riscoperto l’importanza". È questo un atteggiamento servile, né vantaggioso, né decoroso.

"Così potremmo dire di quell’altro atteggiamento, oggi anche più diffuso, che pretende ristabilire l’unità a scapito della verità dottrinale. Quel credo, che ci fa e che ci definisce cristiani e cattolici, sembra, in tale modo, diventare l’ostacolo insuperabile alla restaurazione dell’unità stessa. Esso pone certamente delle esigenze molto severe e molto gravi; ma la soluzione delle difficoltà che ne derivano non può consistere, pena l’incomprensione della realtà delle cose, pena il tradimento della causa, nel sacrificare la fede, nell’illusoria fiducia che a ricomporre l’unità basti la carità; basti cioè la pratica empirica, spoglia da scrupoli dogmatici e da norme disciplinari.

"Gli episodi della così detta 'intercomunione', registrati in questi ultimi mesi, si iscrivono in questa linea, che non è la buona e che dobbiamo lealmente riprovare. Ricordiamo il Concilio, il quale 'esorta i fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso dell’unità' (Unitatis redintegratio n. 24)".

Il grande ecumenista citato da Paolo VI è Louis Bouyer, che da luterano si convertì a cattolico e per poco non fu fatto cardinale dallo stesso papa Montini.

Ma vale riprendere di Paolo VI anche un altro passaggio, dall'udienza generale della settimana successiva a quella ora citata. Un passaggio anch'esso tanto "profetico" da sembrare un ritratto della Chiesa d'oggi:

"Perché, sotto certi aspetti, la Chiesa dopo il Concilio non si trova in condizioni migliori di prima? Perché tante insubordinazioni, tanto decadimento della norma canonica, tanti tentativi di secolarizzazione, tanta audacia nell’ipotizzare trasformazioni di strutture ecclesiali, tanta voglia di assimilare la vita cattolica a quella profana, tanto credito alle considerazioni sociologiche in luogo di quelle teologiche e spirituali?

"Crisi di crescenza, si dice da molti; e sia. Ma non è anche crisi di fede? Crisi di fiducia di alcuni figli della Chiesa nella Chiesa stessa? Vi è chi, scrutando questo allarmante fenomeno, parla d’uno stato d’animo di dubbio sistematico e debilitante in mezzo alle file del clero e dei fedeli. E chi parla di impreparazione, di timidezza, di pigrizia. E chi addirittura accusa di paura sia l'autorità ecclesiastica che la comunità dei buoni, quando l’una e l’altra lasciano prevalere, senza ammonire, senza rettificare, senza reagire, certe correnti di manifesto disordine nel campo nostro, e cedono, quasi per un complesso d’inferiorità, al dominio affermato nell’opinione pubblica, mediante poderosi mezzi di comunicazione sociale, di tesi discutibili, e spesso punto conformi allo spirito del Concilio stesso, per timore del peggio, si dice; o per non apparire abbastanza moderni e pronti all’auspicato aggiornamento".





EDITORIALE
Jurgen Moltmann
 

Il quinto centenario della riforma luterana ha riportato d'attualità il tema della comunione insieme cattolici e protestanti, teorizzata ad esempio dal teologo riformato Jurgen Moltmann. Ma la Chiesa ha sempre detto no, perché non basta il Battesimo a giustificare qualsiasi cosa. E a Moltmann ha risposto Giovanni Paolo II.

di mons. Nicola Bux

Le celebrazioni del quinto centenario della Riforma luterana, e i gesti ecumenici che ne hanno accompagnato l'inizio, hanno portato alcuni settori della Chiesa cattolica ad approfondire e anche sostenere il tema dell'intercomunione. Ad esempio sull'Osservatore Romano del 26-27 settembre 2016, è stata riportata una tesi del teologo protestante Jurgen Moltmann, il quale sosteneva che la vera comunità cristiana «nasce quando i cristiani sentono la chiamata di Cristo e insieme vanno verso l’altare dove Cristo li aspetta. Che parliamo di “comunione” cattolica o di “santa cena” evangelica, si tratta sempre del “sangue di Cristo versato per voi” e “corpo di Cristo offerto per voi”. Come possiamo rimanere separati di fronte al Cristo crocifisso per noi?».
Si tratta della cosiddetta "open Communion", già praticata da molte denominazioni protestanti, in cui sono ammessi alla comunione, senza restrizioni, cristiani di altre denominazioni.

Perché questa idea di Moltmann è contraria alla Scrittura e alla Tradizione, cioè alle due Fonti della Rivelazione, come insegna il Concilio Vaticano II, e quali rischi correrebbero i fedeli, se essa diventasse normale? 

San Tommaso,  alla Questione IIIª q. 80 a. 4 co. risponde: 

"In questo come negli altri sacramenti il rito sacramentale è segno della cosa prodotta dal sacramento. Ora, la cosa prodotta dal sacramento dell'Eucaristia è duplice, come sopra abbiamo detto: la prima, significata e contenuta nel sacramento, è Cristo stesso; la seconda, significata e non contenuta, è il corpo mistico di Cristo, ossia la società dei santi. Chi dunque si accosta all'Eucaristia, per ciò stesso dichiara di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra. Ma questo si attua per mezzo della fede formata, che nessuno ha quando è in peccato mortale [e tanto meno se la fede, oltre a non essere formata, è anche deficiente nelle cose da credere n.d.r]. È chiaro dunque che chi riceve l'Eucaristia con il peccato mortale commette una falsità nei riguardi di questo sacramento. Perciò si macchia di sacrilegio come profanatore del sacramento. E quindi pecca mortalmente".

Se io faccio la Comunione, dichiaro di essere un tutt'uno con Cristo, a tal punto che lo "mangio"; ma la separazione reale (o unione meramente potenziale) da Cristo e dalla Chiesa è stato oggettivo in cui si trovano:
a) chi non ha la grazia e b) chi non ha la fede. Costoro rendono il "mangiare" Cristo (ovvero il dichiarare di essere un tutt'uno con Lui - realmente presente - e con la Chiesa - significata), una menzogna.

Di conseguenza:

1) Sia leggendo il vangelo di Giovanni cap.6, sia leggendo in specie la Prima lettera di san Paolo ai Corinzi cap.11, si comprende che ciò è contrario alla Scrittura, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa, perché, per ricevere la Comunione bisogna aver fatto l'iniziazione cristiana (battesimo e confermazione); e inoltre, se si fosse caduti in peccato grave, aver fatto l'itinerario penitenziale, in specie la confessione sacramentale.
Proprio l'itinerario di iniziazione e quello penitenziale, dimostrano che colui che vuole comunicarsi, deve prima essere entrato nella comunione di fede della Chiesa; o se si fosse allontanato a causa di un peccato grave o di scisma o di eresia, deve ri-entrare con la penitenza. 

Alla tesi di Moltmann ha risposto, in certo senso, Giovanni Paolo II, con l'enciclica Ecclesia de Eucharistia, quando scrive: "La celebrazione dell'Eucaristia, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione. Il Sacramento esprime tale vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che,in Cristo, per l'azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra noi,sia nella dimensione visibile implicante la comunione della dottrina degli Apostoli, nei Sacramenti e nell'ordine gerarchico"(35)

2) Se per assurdo la Sede Apostolica cambiasse la regola, cioè alla Comunione ci si potesse accostare senza aver fatto l'iniziazione cristiana (battesimo e confermazione) oppure, senza aver fatto la confessione sacramentale, si andrebbe contro la Rivelazione e contro il Magistero della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, inducendo i fedeli a commettere una empietà e un sacrilegio.

E' vero che tutte le confessioni cristiane si  riferiscono a Gesù Cristo,ma «secondo la persuasione dei cattolici - ricordava Giovanni Paolo II, il 17 novembre 1980, al Consiglio della Chiesa evangelica di Germania - il dissenso verte "su ciò che è di Cristo", su "ciò che è suo": la sua Chiesa e la sua missione,il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento». 

Dunque, la fede che i Protestanti professano al battesimo, non è quella cattolica; in particolare, perché non hanno il sacramento della Confermazione: pertanto, non potendo fare l'itinerario di Iniziazione, non possono arrivare all'Eucaristia.

Infine, i Protestanti non hanno il sacramento della Penitenza (Confessione e Riconciliazione): pertanto, non possono ritornare alla Comunione eucaristica.

Chi dicesse che questo è un linguaggio di condanna e non di misericordia, o che esprime la rigidità e non la comprensione,vorrebbe che quei "farmaci" speciali, che sono i sacramenti, in primis il farmaco d'immortalità che è l'Eucaristia, fossero amministrati e assunti, anche in presenza di "controindicazioni", ovvero l'assenza delle disposizioni richieste dal Catechismo della Chiesa Cattolica; così facendo però, li si priverebbe degli effetti di grazia e si danneggerebbero le anime che li ricevessero, in questo mondo e per la vita eterna.

Risultati immagini per sant'Ignazio loyola

L'ecumenismo di sant'Ignazio di Loyola 

"Mentre, dunque, andava per la sua strada, lo raggiunse un moro che cavalcava un mulo. Conversando tra loro, il discorso cadde sulla Madonna. Il moro sosteneva che, anche secondo lui, la Vergine aveva concepito non ad opera d'uomo; ma, che avesse partorito restando vergine, questo non lo poteva credere. A ciò adduceva gli argomenti naturali che si offrivano. Il pellegrino [cioè sant'Ignazio], per quante ragioni portasse, non riuscì a smuoverlo da quella opinione.

Il moro si allontanò tanto in fretta, che lo perse di vista, ed egli se ne restò a riflettere su ciò che gli era accaduto con lui. Quindi gli vennero dei pensieri che gli rattristarono l'anima: gli sembrava che non avesse fatto il suo dovere; provava indignazione contro il moro; gli pareva di aver fatto male nel consentire che un moro avesse detto tali cose della Madonna, e che era obbligato a badare all'onore di Lei.

Gli venivano desideri di andare a cercare il moro, e prenderlo a pugnalate per ciò che aveva detto; e poiché questi pensieri in lotta duravano tanto, alla fine restò col dubbio, senza sapere che cosa doveva fare.
Il moro, prima di allontanarsi, gli aveva detto che era diretto in un luogo, di lì poco distante, sul suo stesso percorso, molto vicino alla via principale ...
Ormai stanco di esaminare ciò che era bene fare, non avendo trovato una soluzione certa a cui attenersi, decise proprio questo: avrebbe lasciato andare la mula a briglia sciolta fin dove le strade si dividevano; che, se la mula fosse andata per la via del paese, egli avrebbe cercato il moro e l'avrebbe preso a pugnalate; se invece non fosse andato verso il paese, ma per la via principale, lo avrebbe lasciato andare.

[...] Nostro Signore volle che la mula se ne andasse per la via principale, e lasciasse quella del paese".






[Modificato da Caterina63 02/01/2017 20:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Suprema Sacra Congregazione del Sant'Uffizio
Istruzione «Ecclesia Catholica» 
agli Ordinari diocesani, 
sul «Movimento ecumenico»

20 dicembre 1949

La Chiesa Cattolica, pur non prendendo parte ai congressi ed alle altre riunioni ecumeniche, tuttavia non ha mai desistito - come molti documenti pontifici dimostrano - né mai in futuro desisterà di perseguire con particolare impegno e con assidue preghiere a Dio ciò che tanto sta a cuore a Cristo Signore, cioè che tutti coloro che credono in Lui «siano riuniti insieme» (Gv., XVII, 23).

Ed infatti con affetto materno essa abbraccia tutti coloro che tornano a lei come all’unica vera Chiesa di Cristo; non possono mai essere abbastanza approvati e promossi tutti gli sforzi e le iniziative che, con il consenso dell’Autorità Ecclesiastica, sono stati intrapresi e portati a termine nella giusta istruzione di quanti desiderano convertirsi e nella maggiore formazione di coloro che ad essa si sono convertiti.

In molte parti del mondo, infatti, sia da molti eventi esterni e per mutazioni degli animi, sia soprattutto per le comuni preghiere dei fedeli, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, nell’animo di molti dissidenti dalla Chiesa Cattolica è andato crescendo il desiderio di tornare all’unità di tutti coloro che credono in Cristo Signore. La qual cosa è senza dubbio motivo di santa letizia nel Signore per tutti i figli della Chiesa, ed insieme invito per aiutare coloro che cercano sinceramente la verità, invocando con la preghiera la luce e la forza su di essi.

I tentativi finora intrapresi da persone e gruppi diversi per la riconciliazione dei dissidenti cristiani con la Chiesa Cattolica, pur essendo ispirati da ottime intenzioni, non sempre sono informati a retti principi e, anche se questo avviene, nondimeno sono scevri dai pericoli, come l’esperienza dimostra.

Per la qual cosa a questa Suprema Sacra Congregazione, che ha la funzione di conservare integro e di proteggere il deposito della fede, è parso opportuno ricordare ed ordinare quanto segue:

1. Poiché la suddetta riunione è di pertinenza specialissima della funzione e dell’ufficio della Chiesa, è necessario che se ne interessino i Vescovi, che «lo Spirito Santo pose al reggere la Chiesa di Dio» (Atti, XX, 28). Essi dunque non solo dovranno sorvegliare con diligenza ed efficacia tutta questa attività, ma anche promuoverla e dirigerla con prudenza, sia per aiutare coloro che cercano la verità e la vera Chiesa, sia per allontanare dai fedeli i pericoli che possono facilmente seguire l'attività di questo Movimento.

Per la qual cosa essi dovranno essere continuamente aggiornati su tutto ciò che nelle loro diocesi viene realizzato e promosso per mezzo di detto Movimento. Essi designeranno a tal scopo Sacerdoti idonei che si attengano scrupolosamente alla dottrina ed alle norme prescritte dalla Santa Sede, cioè a quanto nelle Lettere Encicliche Satis cognitum, Mortalium animos e Mystici Corporis Christi riguarda il Movimento ecumenico e che vi facciano riferimento, nei modi e nei tempi stabiliti.

Con cura particolare controlleranno le pubblicazioni che su questo argomento in qualsiasi modo siano edite dai cattolici e si adopreranno perché vengano osservati i sacri canoni «Sulla previa censura dei libri e sulla loro proibizione» (can. 1384 sgg.). Non ometteranno parimenti di agire allo stesso modo per quanto concerne le pubblicazioni degli acattolici che su questo argomento siano destinate all’acquisto, alla lettura o alla vendita da parte dei cattolici.

Favoriranno poi diligentemente gli acattolici, che desiderano conoscere la fede cattolica, in tutto ciò che possa loro essere utile. Designeranno persone ed Uffici che possano essere di aiuto e consiglio agli acattolici e faranno in modo che chi si sia già convertito alla fede possa ricorrervi, perché sia istruito con maggior cura e profondità nella fede cattolica, perché partecipi attivamente alla vita religiosa, soprattutto per mezzo di riunioni e conferenze, Esercizi Spirituali ed altre opere di pietà.

2. Per quanto concerne il modo e il criterio di procedere in quest’opera, i Vescovi prescriveranno ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare, ed esigeranno che le loro prescrizioni siano da tutti osservate. Parimenti vigileranno perché, col pretesto che si dovrebbe dare maggiore considerazione a quanto ci unisce che a quanto ci separa dagli acattolici, non venga favorito l’indifferentismo, sempre pericoloso, specialmente presso coloro che sono poco istruiti nelle materie teologiche e poco praticanti la religione.

Si deve infatti evitare che, per uno spirito, chiamato oggi «irenico», l’insegnamento cattolico (si tratti di dogma o di verità connesse col dogma) venga talmente conformato o accomodato con le dottrine dei dissidenti (e ciò col pretesto dello studio comparato e per il vano desiderio dell’assimilazione progressiva delle differenti professioni di fede) che ne abbia a soffrire la purezza della dottrina cattolica e ne venga oscurato il senso genuino e certo.

Si deve anche evitare quel modo di esprimersi da cui hanno origine opinioni false e speranze fallaci che non possono mai attuarsi; come per esempio, dicendo che non deve essere preso in tanta considerazione l’insegnamento dei Romani Pontefici, contenuto nelle encicliche, sul ritorno dei dissidenti alla Chiesa, sulla costituzione della Chiesa e sul Corpo Mistico di Cristo, perché non è tutto di fede, oppure (ancora peggio) perché in materia di dogmi nemmeno la Chiesa cattolica possiede più la pienezza del Cristo, ma essa può venire perfezionata dalle altre chiese.

Prenderanno diligenti precauzioni, e vi insisteranno con fermezza, perché nell’esporre la storia della Riforma o dei Riformatori, non siano così esagerati i difetti dei cattolici e invece così dissimulate le colpe dei riformati, oppure messi così in evidenza gli elementi piuttosto accidentali che a stento si riesca a scorgere e a sentire ciò che soprattutto è essenziale, cioè la definizione della fede cattolica.

Infine cureranno che, per zelo esagerato e falso o per imprudenza ed eccessivo ardore nell’azione, non si nuoccia invece di servire al fine proposto.

La dottrina cattolica dovrà dunque essere proposta ed esposta totalmente ed integralmente: non si dovrà affatto passare sotto silenzio o coprire con parole ambigue ciò che la verità cattolica insegna sulla vera natura e sui mezzi di giustificazione, sulla costituzione della Chiesa, sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice, sull’unica vera unione che si compie col ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo.

Si insegni loro che essi, ritornando alla Chiesa, non rinunceranno a nessuna parte del bene che, per grazia di Dio, è finora nato in loro, ma che col loro ritorno questo bene sarà piuttosto completato e perfezionato. Non bisogna però parlare di questo argomento in modo tale che essi abbiano a credere di portare alla Chiesa, col loro ritorno, un elemento essenziale che ad essa sarebbe mancato fino al presente.

Queste cose devono essere dette chiaramente ed apertamente, sia perché essi cercano la verità, sia perché non si potrà ottenere una vera unione fuori della Chiesa. [...]

Data a Roma, dal Palazzo del Sant'Officio, il 20 Dicembre 1949

+ Francesco Card. Marchetti Selvaggiani, Segretario
+ Alfredo Ottaviani, Assessore

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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1517-2017:
500 anni di sovversione protestante




Sintesi storica del protestantesimo
 
di Vincent Lhermite

Pubblicato su Le Sel de la terre n° 99 - inverno 2016-2017

Le immagini nel testo sono nostre


Tutti i Padri hanno errato nella fede, e se non se ne sono pentiti prima di morire, essi sono dannati per l’eternità.
San Gregorio è l’autore di tutte le favole sul Purgatorio e delle Messe per i morti. Agostino si è sbagliato spesso, non si può contare su di lui. 
Gerolamo è un eretico che ha scritto molte cose empie; non c’è nessuno dei Padri che io detesti più di lui: egli ha sempre il digiuno e la verginità sulla bocca. 
Non faccio neanche più caso a Crisostomo, che è un oratore sterile. 
Basilio non è buono a niente, è un puro monaco. 
Tommaso d’Aquino è solo un nano teologico: è un pozzo di errori, un miscuglio di ogni sorta di eresie che annientano il Vangelo. (1)

Queste dichiarazioni sono state fatte da Martin Lutero e dimostrano che egli non ha fatto una riforma, ma una rivoluzione, poiché i più vecchi dottori che egli attacca vissero nel IV secolo. E tuttavia egli spiega altrove:
Io sostengo in ogni occasione che Agostino è d’accordo con noi, a causa dell’alta stima nella quale ciascuno tiene questo dottore; ma è sicuro che egli non ha mai ammesso la giustificazione per la sola fede (2).

Questa duplicità è rappresentativa dell’insieme dell’opera teologica di Martin Lutero. La sua morale individuale è dello stesso genere. Su una Bibbia conservata in Vaticano, egli ha lasciato, scritte di suo pugno, queste parole:

Mio Dio, per la vostra bontà, provvedeteci di vitelli belli grassi, di giovenche, di molte donne e di pochi figli. Ben bere e ben mangiare è il mezzo per non s’annoiare (3).

O ancora:
Se nostro Signore e Dio mi vuol perdonare per averlo crocifisso e martirizzato per vent’anni celebrando la messa, egli può anche essermi grato per bere una buona coppa in suo onore (4).

Si viene presi dall’indignazione quando si vede Francesco recarsi in Svezia per aprire i festeggiamenti del cinquecentesimo anniversario di questa «Riforma», con una celebrazione ecumenica congiunta con il presidente e il segretario generale della Federazione Luterana Mondiale (31 ottobre 2016).


Pari indignazione di fronte alla dichiarazione congiunta sulla giustificazione, firmata con i luterani il 31 ottobre 1999 ad Augusta, la quale lascia credere che il problema dottrinale sarebbe ormai risolto, mentre essa non è altro che un’altalena tra un paragrafo luterano e un altro più o meno cattolico. 
La data scelta, il 31 ottobre, è quella in cui Lutero affisse, nel 1517, le 95 tesi contro le indulgenze sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg; mentre il luogo, Augusta, richiama la confessione di Augusta (1530), principale «confessione di fede» dei luterani.

 
Ancora pari indignazione di fronte alla dichiarazione di Francesco del 27 giugno 2016 a proposito di Lutero e della giustificazione: «su questo punto così importante egli non aveva sbagliato (5)». Bisogna concluderne che si siano sbagliati i Padri del Concilio di Trento? Vero è peraltro che già Giovanni Paolo II, a Magonza, nel 1980, aveva dichiarato: «Oggi vengo io a voi, all’eredità spirituale di Martin Lutero; vengo da pellegrino (6)».

Per valutare l’ampiezza dello scandalo, bisogna conoscere cosa fu la rivolta del 1517; comprendere la dinamica rivoluzionaria che essa ha scatenato sia nella Chiesa sia nella società; soppesarne tutte le conseguenze; per rendersi conto che Lutero è l’antenato comune del modernismo e della contemporanea società permissiva, che confonde instancabilmente la libertà con la licenza.

Prima di intraprendere questo giro d’orizzonte sul protestantesimo, precisiamo da dove viene il suo nome. 
Dopo la condanna di Lutero da parte della Chiesa e dell’Impero, si riunì una prima dieta [assemblea] a Spira, in Germania, nel 1526. I negoziati tra i rappresentanti dell’Imperatore e gli eretici fallirono e venne proclamato il principio: cujus regio, hujus religio (7). Carlo V, scontento, ritornò sulla questione nella dieta di Spira del 1529; il partito imperiale tentò di fare ammettere la libertà della religione cattolica negli Stati tedeschi in cui il luteranesimo era già dominante. Questo tentativo sollevò tra i príncipi tedeschi una protesta, che è all’origine del nome protestante.


Gli antecedenti del protestantesimo

Ogni eresia è un rigetto dell’autorità di Dio e della sua Chiesa. A questo titolo, l’eresia protestante si accomuna a tutte quelle che l’hanno preceduta. Alcune di esse, però, l’hanno maggiormente prefigurata e come preparata.

Berengario di Tours, nell’XI secolo, attaccò il dogma della Presenza Reale e della consacrazione, ma non adottò una posizione netta, oscillando continuamente tra diverse concezioni, tra cui l’impanazione: Cristo nell’Eucarestia si unirebbe al pane e al vino in maniera simile all’unione ipostatica che realizza l’Incarnazione.

Nel secolo successivo, abbiamo Pietro di Bruys (morto verso il 1137), prete interdetto, nativo del Delfinato, che imperversò per vent’anni in Linguadoca e in Provenza.
Egli rigettava il battesimo dei bambini, la Messa, l’Eucarestia, il culto delle immagini e della Croce, le preghiere e le offerte per i morti, il celibato ecclesiastico e religioso, l’uso di edificare le chiese; i suoi partigiani fanatizzati maltrattavano i chierici e i monaci per costringerli al matrimonio, rovesciavano gli altari e i crocifissi. 
Egli fu gettato tra le fiamme dagli abitanti di Saint-Gilles, indignati nel vederlo far cuocere della carne con un pezzo di crocifisso (8).

Bisogna anche menzionare Pietro Valdo (1140- 1206), mercante lionese che vendette tutti i suoi beni e distribuì il ricavato alla moglie e ai poveri; benché laico, partì per predicare il Vangelo, praticando una grande povertà. Indubbiamente ben intenzionato, all’inizio, ma preso da un grande orgoglio, si rifiutò di sottomettersi alle interdizioni che gli vietavano di darsi alla predicazione. Egli se la prese col clero al quale rimproverò di possedere dei beni. La scomunica che lo colpì non lo indusse alla resipiscenza, si ostinò e scivolò con uno zelo imprudente nell’eresia.
Per giustificare la sua condotta, arrivò a negare il sacramento dell’Ordine, affermando che ogni fedele è sacerdote e può consacrare se conduce una vita da santo. I suoi discepoli, chiamati valdesi, si sono mantenuti e poi si sono associati ai calvinisti.

Nel XIV secolo, in Inghilterra imperversò John Wycliffe (1324-1384), chierico da un orgoglio tale che lo portò ad agognare una carica episcopale che non ottenne; cosa di cui s’adombrò. Nel 1366, il Papa Urbano V reclamò dal Re Edoardo III il pagamento di un tributo che l’Inghilterra doveva pagare alla Santa Sede a partire da Giovanni Senza Terra, ma che non era stato pagato da più di 33 anni. Il parlamento rifiutò di autorizzare la spesa e Wycliffe lo sostenne contro l’autorità della Chiesa. Egli venne severamente rimproverato e, pur mantenendo una certa riservatezza, coltivò del rancore. Il grande scisma d’Occidente, che si verificò nel 1378, gli permise di consumare pubblicamente la sua rottura.
Secondo lui, la Bibbia è la sola autorità in materia religiosa; il battesimo dev’essere conservato, ma la transustanziazione è assurda; la confessione sarebbe stata inventata da Innocenzo III. A questo si aggiungono alcuni elementi di panteismo. A partire dal 1380, egli si ritirò allo scopo di scrivere. La sua opera principale è il Trialogus, in cui fa dialogare la verità, la menzogna e la prudenza. I suoi discepoli si riuniranno in seguito con una setta preesistente: i Lollardi, di cui conservarono il nome, e si uniranno agli eretici del XVI secolo.

I principii del wycliffismo furono condannati, ma anche studiati, al pari degli altri errori, nelle Università. E’ nell’Università di Praga che cercheranno di svilupparsi.
Qui Jean Hus (1369-1415) faceva il professore e predicava la riforma della Chiesa e un ritorno alla povertà dell’età apostolica. Egli si lasciò sedurre dagli scritti di Wycliffe e si mise a predicare un wycliffismo privo degli errori sull’Eucarestia e del panteismo. Nella sua opera principale: De Ecclesia, dove espone l’essenziale della sua dottrina, egli afferma la necessità delle buone opere. I suoi discepoli, chiamati Hussiti, si divisero in seguito in due gruppi, i moderati: calixtini, e gli esaltati: taboriti o horebiti. Tuttavia, erano tutti degli utraquisti, che reclamavano cioè la Comunione sotto le due specie [sub utraque specie].
I calixtini si allearono con i cattolici contro gli esaltati, che vennero sconfitti e sparirono, ma in seno ai calixtini nacquero dei nuovi esaltati che persistettero per secoli. Nel corso del tempo si verificarono nuove divisioni da cui sorsero i Fratelli Moravi e i Fratelli Cechi, questi due gruppi si unirono ai luterani.

A queste sette va aggiunto lo spirito che l’Umanesimo contribuiva a diffondere vantando senza riserve l’antichità pagana: spirito di indipendenza nei confronti della fede o, quanto meno, dell’autorità ecclesiastica.
Erasmo (1467-1536) affermava: «Ogni uomo, che sia contadino o tessitore, possiede la vera teologia, ispirato e guidato dallo spirito di Cristo (9)». 
Mettendo l’uomo in primo piano, l’Umanesimo l’ha allontanato da Dio e l’ha condotto ad emanciparsene.

Il terreno era pronto, il seme era già gettato, la zizzania aveva solo da germogliare…


La rivoluzione luterana

Martin Lutero (1483-1546)

Martin Lutero, nativo di Eisleben, fu colui che permise che tutto si cristallizzasse. Temperamento scrupoloso ed angosciato, egli entrò nel convento degli eremiti di Sant’Agostino a Erfurt, nel 1505, pensando di trovare nel chiostro la pace dell’anima; venne ordinato prete nel 1507. Nel 1508 fu nominato professore all’Università di Wittenberg, incaricato di insegnarvi filosofia, materia che non lo interessava, mentre invece era appassionato di esegesi. 
Era sempre tormentato dalle sue angosce che lo serravano sempre più. Egli riteneva che la confessione distruggesse e sradicasse il peccato e quindi si disperava nel vedersi sempre tentato nonostante le sue confessioni e penitenze. Partì in viaggio per Roma verso la fine del 1510, con l’autorizzazione del suo superiore Staupitz, per fare lì una buona confessione generale e trovarvi la pace dell’anima. Ma non accadde niente, e non poteva essere diversamente viste le sue errate concezioni. 
Nel 1512, divenne professore di Sacra Scrittura. Egli iniziò con un commento ai Salmi, in cui non si riscontra alcun errore, se non delle originalità da cui è impossibile giungere al suo futuro sistema. Nel 1515, tiene un corso sulla Lettera di San Paolo ai Romani, nel quale si ritrova il fondamento della sua dottrina. Della frase dell’Apostolo: «Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge» (Rm. 3, 28), egli dà quell’interpretazione che calmerà le sue angosce: poco importa ciò che si compie; ciò che giustifica è la fede, quella fiducia nel fatto che Cristo, per bontà, ci applica da fuori la sua giustizia. 
Con tale interpretazione, la fede è solo fiducia in Dio, una fede fiduciale, ma essa sola, che basta da sola per la salvezza.


Se la rivolta di Lutero ha inizio nel 1517, quand’egli affigge le sue 95 tesi contro le indulgenze, in effetti essa è già matura nel 1515. La diatriba delle indulgenze non è quindi all’origine della sua dottrina, ma è solo l’occasione per esprimerla pubblicamente.

All’epoca la Santa Sede, avendo deciso la costruzione della Basilica di San Pietro, fece appello alle donazioni dei fedeli. Per assicurarsi delle elemosine più abbondanti, si accordarono ai donatori delle indulgenze come ricompensa della loro generosità. Lutero si trovò così di fronte a ciò che negava: le opere. Egli si servì di questa occasione per predicare la sua dottrina. Venne invitato a tacere. Su richiesta del Papa e con una grande bontà, nell’ottobre del 1518 arrivò da Roma il Gaetano, per cercare di ricondurlo alla fede, ma senza successo. Leone X, il 9 novembre, pubblicò il decreto Cum postquam, spiegando le indulgenze. 
Il Sommo Pontefice fece tenere un’udienza a Lipsia, dal 27 giugno al 15 luglio, in cui Lutero poté esporre le sue tesi in compagnia di uno dei suoi discepoli, il Carlostadio(10) (1480-1541); lo scopo era quello di convincerlo che fosse in errore, ma non fu così. Leone X allora si decise a condannarlo con la bolla Exsurge Domine del 15 giugno 1520. Carlo V, giovane Imperatore, fece lo stesso nella dieta di Worms nel 1521.

Alcuni elementi essenziali della sua dottrina

Il nostro proposito non è innanzi tutto dottrinale, quindi ci limiteremo ai grandi temi della dottrina luterana:

- La giustificazione è operata da Dio che ci applica dall’esterno la giustizia di Cristo, senz’altra partecipazione da parte nostra se non la fede in questa giustificazione. Le opere non servono a niente per la salvezza, perché il peccato non ha solo ferito l’uomo, ma lo ha corrotto totalmente: egli pecca qualunque cosa faccia. Le opere umane sono tutte sistematicamente affette da peccati e se, malgrado tutto, esse mirano a fare il bene, non fanno altro che manifestare il perdono che Dio ci accorda: esse non sono affatto una qualche forma di nostra collaborazione all’opera della nostra redenzione. La giustificazione non comporta alcuna trasformazione interiore. Quanto alla Lettera di San Giacomo che dice esplicitamente che la fede non può essere separata dalle opere e che senza di queste essa è morta (Gc, 2, 14), Lutero dichiara che è una lettera di paglia.
Questa nozione della giustificazione è il punto centrale del luteranesimo e di tutte le credulità che produrrà.

- Cambia anche la natura della fede. Essa non è più una virtù infusa da Dio nell’anima, che porta quest’ultima ad aderire a ciò che Lui le rivela con l’insegnamento della Chiesa; non è neanche il contenuto dottrinale di questo insegnamento; essa è solo la fiducia in Dio, il solo autore della giustificazione.

- Lo Spirito Santo ispira direttamente ad ogni uomo come comprendere la Sacra Scrittura. Ognuno quindi è abilitato ad interpretarla come gli sembra meglio, senza che qualcuno abbia la possibilità di costrizione su altri. Tutti sono dunque rigorosamente uguali e non esiste alcun magistero esterno. Il che è quanto si è convenuto di chiamare libero esame. 
La gerarchia è solo qualcosa al servizio dell’organizzazione, essa insegna, ma ognuno è assolutamente libero di non seguirla; almeno in teoria, perché in pratica il luteranesimo conosce la legge del doppio ritmo: da una parte il libero esame in base al quale ognuno interpreta da sé la parola di Dio, dall’altra la vigilanza che devono esercitare le autorità statuite al fine di conservare una certa coesione nel luteranesimo. Cosa con la quale si produce un trasferimento d’autorità dai vescovi ai príncipi (11). Lutero è l’autore di entrambi gli aspetti di questa legge.

- Dei sacramenti, i soli che rimangono sono il battesimo e l’Eucarestia, chiamata cena. A proposito di quest’ultima, Lutero insegna la consustanziazione, teoria secondo la quale la sostanza del pane e del vino coesiste con quella di Cristo. Tuttavia, tali sacramenti sono solo dei simboli che dimostrano l’azione di Dio, essi non cambiano alcunché.

- La Bibbia è la sola che contenga la parola di Dio: è l’unica fonte della Rivelazione.

Lutero elabora via via il suo sistema in funzione dei suoi bisogni, mescolandoli a imprecazioni e oscenità; il ruolo di teologo viene svolto dal suo discepolo Philiph Schwartzherdt, detto Melantone (1497-1560). Lo stesso Lutero dirà: «Il dottor Philiph è sempre preoccupato per le grandi questioni dello Stato e della religione, mentre io mi vedo ossessionato dalle preoccupazioni personali (12)».

Completiamo lo schema osservando che il luteranesimo è stato in Germania la religione di Stato, come il calvinismo lo sarà in altri paesi, in particolare in diversi cantoni svizzeri. Tuttavia, certi protestanti rifiutarono questa nozione di religione di Stato.

Ufficialmente, ancora oggi, il luteranesimo si basa, oltre che sulla Bibbia, su sette testi di riferimento, detti «libri simbolo» (i cattolici direbbero testi del magistero). Essi sono: 1, il Simbolo degli Apostoli; 2, il Simbolo di Nicea-Costantinopoli; 3, il Simbolo di Sant’Atanasio; 4, la formula di concordia del 1577-1580; 5, La confessione di Augusta redatta da Melantone nel 1530, che è il testo di riferimento dei luterani e che riassume la loro credenza; 6, l’apologia della confessione di Augusta redatta dallo stesso autore nel 1531; 7, un insieme di testi costituiti dal piccolo catechismo e dal grande catechismo redatti da Lutero, nonché gli articoli di Smalcalda del 1536 e i loro annessi del 1537 redatti da Melantone.

Questi ultimi sono quindi di una certa importanza: essi descrivono chi è il protestante. Melantone finisce con l’ammettere i sette sacramenti, il criterio della tradizione patristica e ciò che egli chiama: sinergismo, e cioè che l’essere umano deve collaborare alla sua salvezza e può accettare o rifiutare la grazia. Che rimane della fede fiduciale di Lutero? 
Egli però rifiuta l’autorità della Chiesa. Questa sua evoluzione gli procurerà l’opposizione dei luterani puri e duri, come il tale Mattia Flacio Illirico (1520-1575).

Nel 1525, Lutero constatava, amareggiato ma per nulla pentito, le conseguenze della sua dottrina: «Vi sono tante sette e tanti Credo quante teste. Punte di volgarità così grossolana che immaginano di aver ricevuto una rivelazione dallo Spirito Santo e si erigono a profeti per aver sognato o immaginato qualcosa. (13)».

Dinamiche rivoluzionarie

Niente di più logico di tale deflagrazione. Dal momento che ognuno è in contatto diretto con Dio, che l’ispira personalmente, ecco che può fabbricare un sistema a sua convenienza. Mai messi in questione, tali princípi finiranno col distruggere tutto: la Rivelazione, la società, la stessa setta, che non smetterà mai di dividersi e di suddividersi.

La Rivelazione

La Chiesa insegna che Dio si rivela a noi esteriormente e che questa Rivelazione ci viene trasmessa da due fonti: la Tradizione e la Sacra Scrittura. L’elenco dei libri canonici è stabilito dal magistero, cosa che dimostra il carattere primario della Tradizione rispetto alla Bibbia.

Il protestantesimo non ha mai potuto trovare un equilibrio stabile nella concezione degli elementi fondamentali. Già il ministro calvinista Pierre Jurieu (1637-1713), messo con le spalle al muro da Bossuet, affermava che la religione, essendo vivente, non poteva che evolversi, perché non è un cadavere. Qualcuno dei suoi correligionari, comprendendo l’abbaglio di cui era vittima, non riprese i suoi argomenti, dei quali in un primo tempo andò fiero, prima di rendersi conto del suo errore. Ma il male era fatto ed era anche rivelatore: in assenza di un magistero esterno, appoggiandosi solamente sull’interpretazione personale della parola di Dio, niente più ne garantiva la stabilità. Jurieu, senza volerlo, annunciò la deliquescenza della nozione di Rivelazione e di tutta la dogmatica dei protestanti.

Jurieu era calvinista, ma le conseguenze saranno simili anche presso i luterani. Le stesse cause producono gli stessi effetti.

Gotthold Lessing (1729-1781) per primo: distingue la religione di Cristo dal dogma cristologico. La prima sarebbe fatta di pietà, che a poco a poco si ridurrà ad una sentimentale vita interiore; il secondo sarebbe una formulazione speculativa puramente umana.

Alla stessa epoca, Emmanuel Kant (1724-1804) elabora il suo sistema filosofico idealista e Friedrich Hegel (1770-1831), con la sua fenomenologia e la sua dialettica, conduce la ragione umana ad evolversi verso la divinità. Questi sistemi filosofici avranno un’importanza considerevole nello sviluppo del pensiero protestante e oltre.

Friedrich Schleiermacher (1768-1834) è il teologo dell’esperienza spirituale fondata sul sentimento religioso. Cristo è semplicemente colui che ha preso meglio coscienza di ciò che siamo, poiché non vi è alcuna Rivelazione oggettiva. La Chiesa non è altro che la messa in comune delle esperienze individuali. Il dogma è solo la formulazione speculativa fatta in un dato momento, che manifesta la coscienza collettiva in quel momento della storia; una semplice testimonianza dello stato di un’epoca.

Schleiermacher ebbe un discepolo in Francia in Auguste Sabatier (1839-1901) che dipese molto dalle teorie tedesche e per il quale la religione si fonda sulla presenza di Dio in noi e si sviluppa col sentimento. Nel 1897 pubblicò un’opera considerata da alcuni come la più importante dopo l’Istituzione della religione cristiana del 1536 di Giovanni Calvino: Esquisse d’un philosophie de la religion.

Giunti a questo punto, che ne è del Nuovo Testamento? 
David Friedrich Strauss (1808-1874) ne contesta logicamente l’autenticità e Friedrich Christian Baur (1792-1860) lo completa affermando che il cristianesimo è solo il frutto dell’evoluzione della ragione.

Albert Ritschl (1822-1889) vorrebbe ritornare alle norme dell’obiettività, ma dove trovarle dal momento che si ha per principio il libero esame? Ma nel Nuovo Testamento! Così da essere a contatto diretto con la personalità di Cristo! E chi l’ha conosciuto meglio? La prima generazione dei Suoi discepoli! Ma, attenzione, bisognerà liberare le parole di Cristo da tutti gli apporti che la comunità primitiva vi ha aggiunto.
Insomma Ritschl si dà ad una vera inchiesta storica e la porta avanti. Ma che rimane del suo lavoro tra i suoi epigoni? Certi insisteranno soprattutto sull’aspetto morale, e allora si parlerà di etica; altri spingeranno sull’aspetto sociale; ma tutti, al seguito del loro maestro, finiranno col fare della religione un bisogno naturale.

Rudolf Bultmann (1884-1976) realizza una cesura radicale tra il Cristo storico, che deriva dal dominio delle scienze umane, senza peraltro che possano coglierlo con certezza, e il Cristo della fede, che tocca la nostra esperienza.

Adolf Harnack (1851-1930) si dà ad una sistematica demolizione della Sacra Scrittura. Secondo lui, il Nuovo Testamento non è altro che un affastellamento di apporti filonici, ellenici, rabbinici, mescolati ad alcuni versetti del Vecchio Testamento. Trascorrerà la sua vita lavorando a questo vero massacro della Sacra Scrittura.

Wilhelm Hermann (1846-1922) propugna i diritti della fede personale, l’indipendenza delle coscienze, il carattere sacro dell’esperienza religiosa individuale. Per lui, l’individuo crea la religione.
Nessuno ha il potere di imporci delle idee estranee, che vengano dagli Apostoli o da Gesù stesso: sarebbe obbligarci a rinunciare alla religione personale: «l’invito – egli dice – di aderire alla religione altrui è assurdo e immorale. […] La religione è una vita; niente di ciò che rassicura le collettività deve sostituirsi alle spontaneità della coscienza. […] Il concetto di chiesa è antireligioso. Si lasci che le coscienze protestanti seguano ciascuna il suo cammino: più esse divergeranno, più testimonieranno dell’intensità della vita religiosa che circola in esse. Il giorno in cui si cristallizzeranno nell’unità di una fede e nella stabilità di un dogma, la chiesa sarà senza dubbio alla vigilia della sua ricostituzione, ma con delle anime spogliate dalla vera vita divina (14).

Theodor Haering (1884-1964) insegna che «La religione è l’opera degli individui e il grido di un tempo» (15).
[Egli] distingue accuratamente la nozione di fede religiosa dalla scienza della fede. La fede è un’adesione a dei concetti che la coscienza talvolta adotta, talvolta modifica, talvolta rigetta. Essa è mutevole; essa segue l’evoluzione della vita. Vi è contraddizione interna a parlare di scienza della fede, la prima implica infatti la stabilità e l’universalità necessarie, la seconda, la mobilità e la contingenza. Non si può avere quindi una scienza delle verità che dovremmo credere, come fossero giunte ad uno stadio di immutabile perfezione. (16). 

Segnaliamo infine, senza pretendere di essere esaustivi, Oscar Cullmann (1902-1999) che, da parte luterana, è stato uno degli iniziatori del dialogo ecumenico con i cattolici, cosa che gli è valsa l’essere uno degli osservatori protestanti al concilio Vaticano II.

All’inizio del XX secolo, il luteranesimo è diviso in due tendenze: i radicali, che più tardi verranno denominati liberali, e i conservatori più o meno moderati, come Paul Lobstein (1850-1922), i quali scivoleranno pian piano verso coloro che pretendevano di combattere e che l’avranno vinta del loro conservatorismo.


   continua............





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/03/2017 09:07
 
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L’atomizzazione delle sette

Anabattisti e Mennoniti

Il principio del libero esame implica di per sé il regno della discordia. E questa non tarderà ad arrivare. Fin dagli inizi della rivoluzione luterana sorsero gli anabattisti, così chiamati perché si opponevano al battesimo dei bambini. Gli iniziatori: Nicolas Storch (1500-1530) e Thomas Münzer (1490-1525), ai quali si aggiunse Carlstadt, sollevano i contadini in arme e cominciano a dare battaglia, abbandonandosi alla violenza più estrema. Lutero non consiglia la guerra ai contadini, ma rivolge loro dei discorsi tali da indurveli. Una volta avvenuti i misfatti, l’ecclesiaste di Wittenberg, come amava essere chiamato, rivolge ai príncipi dei discorsi di repressione; bilancio: più di 100.000 morti. Gli anabattisti vennero schiacciati, i sopravvissuti si nascosero e poi emigrarono, finendo col porsi sotto le direttive di un prete apostata, Menno Simons (1496-1561), da cui il nome di mennoniti. Essi esistono tuttora e perpetuano l’anabattismo; nel loro seno vi è  una comunità particolare – gli amish – che prendono il nome dal pastore Jakob Ammann (1656-1730). Quest’ultima comunità vive negli Stati Uniti e rifiutano più o meno le tecniche e le tecnologie apparse dopo la loro fondazione; i componenti hanno il tasso di natività più alto al mondo: da sei a otto figli. 

Calvinisti

Nel 1536, un giovane francese si distinse pubblicando L’istituzione della religione cristiana. L’autore, Jehan Cauvin (1509-1564), passerà alla storia come Giovanni Calvino. Dopo gli studi di diritto, divenne riformato e si stabilì a Ginevra, su invito di Guillaume Farel (1489-1565). Quest’ultimo, che aveva fatto parte del Cenacolo di Meaux (17), aderì alla riforma, fu predicatore itinerante e nel 1532 si stabilì a Ginevra, dove più tardi fece venire Calvino. Nel 1538, il Consiglio della città li espulse. Farel andò ad abitare a Neuchatel, Calvino andò a Strasburgo su invito di Martin Bucer(1491-1551), domenicano  apostata divenuto luterano che organizzò la riforma in Alsazia e poi dovette andare in esilio in Inghilterra. Nel 1541, Calvino ritornò a Ginevra e a poco a poco vi stabilì la sua dittatura. Inviò dei predicatori dappertutto e in particolare in Francia. Gli successe Teodoro di Beza (1519-1605).

Per Giovanni Calvino, alla cena Cristo è presente spiritualmente, niente di più. Egli rigetta, non solo la verità cattolica espressa dal termine transustanziazione, ma anche l’eresia luterana detta consustanziazione. Egli sostiene anche la doppia predestinazione assoluta: teoria secondo la quale Dio predestina ciascuno alla salvezza o alla dannazione eterne, senza che si possa cambiare alcunché. Da cui la concezione secondo la quale la ricchezza è una benedizione di Dio e un segno di salvezza, mentre la povertà è il contrario.

Un po’ dopo, con le stesse idee di Calvino, Ulrich Zwingli (1484-1531) installa la rivoluzione a Zurigo, gli succede Heinrich Bullinger (1504-1575); Giovanni Ecolampadio (1482-1531), prima discepolo e poi avversario di Lutero, si stabilì a Basilea e Pierre Viret (1510-1571) a Losanna, dopo aver influito sulla decisione del cantone di Vaud al momento della disputa di Losanna nell’ottobre del 1536. Più tardi, andrà a predicare nel Sud della Francia.
Segnaliamo anche Antoine Marcout (1485-1561), redattore dei manifesti [contro la Messa] affissi nella notte [in Francia] tra il 17 e il 18 ottobre 1534.

Anglicani

Nel 1531, il Re d’Inghilterra, Enrico VIII (1491-1547), si proclama da sé capo della Chiesa e del clero d’Inghilterra, in seguito al fatto che non riuscì ad ottenere dal Papa la dichiarazione di nullità del suo matrimonio con Caterina d’Aragona. Egli fece uccidere i recalcitranti. Non era un eretico e nel passato aveva scritto contro Lutero e la sua nuova dottrina, ma ruppe con Roma e aprì la porta all’eresia. Alla sua morte, il figlio divenne Re col nome di Edoardo IV (1537-1553), ma non aveva ancora 10 anni. Lo zio materno Lord Seymour divenne reggente. Sotto la sua direzione, Thomas Cranmer (1489-1556), arcivescovo di Canterbury, installò l’eresia nel regno e pubblicò, nel 1549, il Book of common prayer o Prayer book [Il libro delle preghiera comune o Libro della preghiera], il quale venne rivisto una prima volta nel 1552 per sopprimervi le volontarie ambiguità introdotte nella prima edizione, e una seconda volta nel XVII secolo. La regina Elisabetta I (1533-1603), dopo il breve ritorno al cattolicesimo sotto Maria Tudor (1516-1558), riaffermò l’eresia e, nel 1559, impose l’Atto di conformità; dopo, nel 1571, promulgò i 39 articoli redatti nel 1563, che contengono ciò a cui devono aderire gli anglicani. Lei si proclama «governatrice» e non più «capo» della Chiesa e del clero d’Inghilterra, per significare che non intendeva esercitare la sua autorità in materia dottrinale.

L’anglicanesimo è diviso in tendenze: la High Church [Chiesa Alta], i cui membri amano farsi chiamare anglo-cattolici, cosa che indica di per sé la loro inclinazione, anche se rimangono fuori dalla Chiesa cattolica; la Low Church [Chiesa bassa], apertamente protestante; e la Radical christianity [Cristianità radicale] i cui membri sono dei liberali.
L’anglicanesimo si è diffuso con le conquiste coloniali dell’Impero britannico e, in definitiva, può ricondursi a quattro princípi: la Bibbia, l’episcopato (che non è valido), il Prayer book e la corona.

Presbiteriani e Congregazionalisti

John Knox (1513-1572) impiantò il calvinismo in Scozia, fondando i Presbiteriani, che rifiutano l’episcopato. Essi riassumono le loro credenze nella Confessione di Westminster, elaborata nel 1647-48. Sono i cosiddetti Puritani. Nel 1590, su istigazione di Robert Browne (1550-1633) ed Henry Barrow (1550-1593), si divisero e nacque una nuova denominazione: i Congregazionalisti, che propugnano l’uguaglianza. I presbiteriani avevano soppresso i vescovi, i congregazionalisti aboliscono i pastori. Finiranno con l’essere perseguitati e molti di loro partiranno nel 1620 per l’America con la nave Mayflower…

Battisti

Nel 1602, un gruppo di congregazionalisti inglesi diretto da John Smyth (1554-1612) accolse gli anabattisti fuggiti dal continente per scampare alle persecuzioni. A poco a poco essi adottarono le opinioni dei rifugiati sul battesimo e John Smyth si ribattezzò lui stesso nel 1609. Nacquero così i Battisti. Al pari degli altri si divisero in due gruppi: i generali e i particolari, a seconda dell’estensione che attribuivano alla salvezza di Cristo.

Le contestazioni teologiche a tutto campo e la legge del doppio ritmo

Sul continente si manifesta una nuova tendenza; gli Arminiani, il cui nome deriva da Arminius, soprannome di Jacob Harmensen (1560-1609), il quale pur rimanendo calvinista non intendeva aderire alla doppia predestinazione assoluta. In occasione del sinodo calvinista di Dordrecht, nel 1618, gli arminiani avanzarono delle rimostranze, cosa che li portò ad essere chiamati Remostranti. Un teologo calvinista sostenitore della doppia predestinazione assoluta: François Gomar (1563-1641), intervenne contro di loro, il sinodo lo seguì e gli arminiani furono condannati e poi perseguitati.

Tutte le opinioni sono libere, perché ispirate dallo Spirito Santo, ma i più forti impongono le loro agli altri, che si devono sottomettere: in effetti, se il protestantesimo ha soppresso il magistero, non ha abolito l’autorità, l’ha semplicemente trasferita dai vescovi ad altri (príncipi, assemblee, sinodi, popolo, ecc.) che vegliano per mantenere una certa coesione sociale; è anche questa un’applicazione della legge del doppio ritmo, che si ritrova sia tra i calvinisti, sia tra i luterani.

Altro esempio dell’applicazione di questa legge: sul piano della dottrina, diversi, come Kaspar Schwenckfeld von Ossig (1490-1561), danno preminenza, sulla Bibbia, ad una luce divina interiore ricevuta da ogni uomo. Da qui, ad identificare questa luce divina con la ragione umana non v’è che un passo, che sarà presto compiuto. A questo stadio, i dogmi proclamati nei primi secoli della Chiesa, e che né Lutero né Calvino mettevano in discussione, sono tutti distrutti. La Trinità, l’Incarnazione, la Redenzione, il peccato originale, tutto passa al vaglio della ragione. Ed ecco i neo-ariani, gli antitrinitari o unitariani e altri sociniani, dei quali le figure principali sono: Lelio Sozzini [Socinus o Socini] (1525-1562) e suo nipote Fausto Sozzini (1539-1604) o Michel Servet (1511-1553) che Calvino mandò al rogo: altra messa in opera, quantunque anteriore, della legge del doppio ritmo.

Pietisti

L’invasione di questo razionalismo antidogmatico che in definitiva ridusse la religione ad una specie di morale, annientò ogni vita interiore. Ma l’inevitabile moto di bilanciamento provocherà l’eccesso opposto. Nel XVII secolo, in seno al luteranesimo farà la sua comparsa un movimento indicato come pietismo, il cui fondatore fu Johann Arndt (1555- 1621), e che arriverà al suo apogeo nel 1675 con la pubblicazione del libro di Philip Jacob Spener (1635-1705): Pia desideria. 
Questa corrente ricordava, molto giustamente, che il cristiano deve tendere alla perfezione, ma commise l’errore di rigettare la teologia concettuale, col pretesto che essa condurrebbe al razionalismo antidogmatico.
Considerando lo svuotamento progressivo di tutta la Rivelazione presso i protestanti, il timore sembrerebbe legittimo; l’errore sta nel non aver capito che la teologia, la sana teologia, quella che opera sotto l’occhio vigile e benevolo del magistero e non nega il valore soprannaturale delle buone opere, ci permette di conoscere meglio Dio e di nutrire la nostra vita spirituale preservandola così dal sentimentalismo.

Quaccheri

George Fox (1624-1691), nel 1648, fondò la Società degli Amici, i cui membri sono conosciuti col nome di Quaccheri. Egli soppresse ogni cerimonia esteriore nel culto e ogni funzione gerarchica; i sacramenti sono solo interiori, gli elementi esteriori sono inutili e ingannevoli. Di buona eloquenza, egli ottenne un gran successo che, aggiunto alla sua dottrina, attirò su lui e i suoi amici la persecuzione. Essi emigrarono negli Stati Uniti dove uno di essi, William Penn (1644-1718), titolare di un credito col Re d’Inghilterra, ottenne in cambio la concessione di un vasto territorio, dove poterono recarsi i rifugiati della Società degli Amici. E’ dal suo nome che quel territorio boscoso è conosciuto come Pennsylvania. In più, padre Chéry O. P. ritiene che i loro princípi abbiano fortemente impregnato la Costituzione americana.

Metodisti

In reazione al razionalismo del XVIII secolo, in Inghilterra, John Wesley (1703-1791) e suo fratello Charles Wesley (1707-1788) fondarono il metodismo. Essi rifiutarono la dottrina della predestinazione su motivazioni ispirate al luteranesimo e intesero condurre una seria vita spirituale, incitando gli altri a fare lo stesso, cosa che procurerà loro numerose difficoltà. Il metodismo, al pari di molti altri errori, emigrò negli Stati Uniti dove si diffuse.

Darbisti

Agli inizi del XIX secolo, un pastore anglicano nato in Irlanda, John Nelson Darby(1800-1882) si mise a pensare  che il potere degli Apostoli non fosse trasmissibile, per cui non può aversi alcuna gerarchia ecclesiastica. Egli predicò la sua dottrina in Irlanda, in Inghilterra, in Francia, in Svizzera, negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda, dove si fece dei discepoli, chiamati darbisti, ma il cui nome ufficiale è Assemblea dei Fratelli. Secondo loro, il ritorno di Cristo sarebbe prossimo, bisogna dunque preparare il gregge dei veri fedeli che Gli andrà incontro. La setta si è divisa tra i fratelli stretti, che rifiutano ogni collaborazione con gli altri cristiani, e i fratelli larghi, che l’accettano.

Mormoni

Nella stessa epoca, negli Stati Uniti, Joseph Smith (1805-1844), nato in una famiglia presbiteriana, fondò la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, i cui membri sono meglio noti col nome di mormoni. John Smith pretese di aver avuto delle rivelazioni che gli permisero di trovare e di tradurre il Libro di Mormon, libro santo di valore pari alla Bibbia, che contiene delle rivelazioni di profeti sconosciuti. I mormoni, all’inizio erano poligami e vennero perseguitati sulla costa est, partirono quindi per il Far West fermandosi al Lago Salato, dove costruirono la città che prese il nome di Salt Lake City. In seguito rinunciarono alla poligamia per mettersi in regola con la Costituzione americana. Credono che Gesù Cristo ritornerà e regnerà in America.

Avventisti

A partire dal 1833, William Miller (1782-1849), proveniente dall’ambito battista, comincia predicare il prossimo ritorno di Cristo, di cui fissa la data al 22 marzo 1844, poi al 22 ottobre dello stesso anno. Dopo questi due fallimenti, le 100.000 persone che si erano fidate di lui, l’abbandonarono, sia per ritornare alla loro confessione d’origine, sia per aderire ad uno dei gruppi fondati dopo tale scacco. Uno di questi gruppi era diretto da James White (1821-1881), predicatore al servizio di Miller, e da sua moglie Ellen White (1827-1915), «profetessa» proveniente dall’ambito metodista. Fu lei che diede l’impulso definitivo a ciò che divenne la Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno. Costoro hanno 28 credenze fondamentali, osservano come festività il sabato, si astengono da alcool, tè, caffè, tabacco, dalla carne in generale e da quella di porco in particolare, da quasi tutti i pesci e i frutti di mare. Quando Cristo ritornerà, regnerà mille anni con 144.000 avventisti perfetti. Non conoscono il culto dei Santi, né i suffragi per i morti; la morte, d’altronde, non sarebbe altro che uno stato d’incoscienza fino al ritorno di Cristo. La cena è preceduta dalla lavanda dei piedi.

Salutisti

Nel 1861, William Booth (1829-1912) rompe con i metodisti e nel 1865 fonda la Missione Cristiana, ben presto denominata Esercito Alleluia, il quale, verso il Natale del 1877, adotterà il nome definitivo di Esercito della Salvezza. Organizzato sul modello dell’esercito inglese, il suo scopo è la salvezza degli uomini attraverso uno slancio missionario verso i più bisognosi. Non si tratta di filantropia, poiché lo scopo finale è la conversione; ma Booth si rende conto «che è difficile salvare un uomo che ha i piedi nel fango (18)». Egli aveva scoperto quello che le opere di carità cattoliche conoscevano da lungo tempo: la salvezza è il punto d’arrivo della trilogia zuppa, sapone, salvezza. Del resto, questo metodo non è infallibile; San Vincenzo di Paola parlava di cristiani della zuppa per indicare quei poveri ai quali offriva un pasto per poter parlare loro di Dio e che da parte loro accettavano il discorso per poter mangiare. E’ questo l’essenziale dell’attività dell’Esercito della Salvezza, che non si cura della dottrina, tranne che non sia anticattolica.

Testimoni di Geova e Amici dell’uomo

Charles Taze Russel (1852-1916), nato in una famiglia presbiteriana, perdette la “fede”. La ritrovò nel 1870 a contatto con gli Avventisti, da cui si separò nel 1874 per fondare la Torre di Guardia, di cui si servì per pubblicare i suoi scritti, che diffuse in America e nel mondo. Fondò l’Associazione degli Studenti della Bibbia, che il suo successore, il giudice Joseph Franklin Rutherford (1869-1942), rinominò: Associazione dei Nuovi Studenti della Bibbia, poi Testimoni di Geova, nel 1931. Essi non credono nella divinità di Gesù Cristo o affermano che è solo stato divinizzato; le interpretazioni che danno della Bibbia sono estremamente fantasiose e danno luogo a dei calcoli sulla data di ritorno di Cristo. Dal loro seno sorsero in particolare, nel 1920, gli Amici dell’uomo, fondati da Alexandre Freytag (1870-1947), i quali si divisero ancora alla morte del messaggero dell’Eterno, come Freytag amava chiamare se stesso.

Pentecostali

Assai diverso è il movimento dei Pentecostali, il quale non ha un preciso fondatore, ma deriva dalla convergenza di gruppi di origine diversa. Si tratta di un movimento di risveglio come ve ne sono stati in seno al protestantesimo nel corso dei secoli precedenti. Come origine possiamo citare: Reuben Archer Torrey (1856-1925), a Los Angeles; Agnès Ozman (1870-1937) e il suo maestro spirituale, il pastore metodista Charles Fox Parham (1873-1929), a Topeka nel Kansas. 
Il 1 gennaio del 1901, Agnès Ozman visse un’esperienza di battesimo nello spirito e di glossolalia (19). Questa donna è all’origine di un movimento che amplierà la sua influenza col pastore nero William Joseph Seymur (1870-1922), a Los Angeles. Questi attirerà alle sue riunioni, che teneva nella via d’Azusa, moltissime persone, compresi dei pastori, provenienti dal mondo intero, le quali ripartivano per propagare dappertutto l’effusione nello spirito.
Segnaliamo anche il risveglio nel Galles dovuto ad un minore entusiasta, EvanRoberts (1878-1951); risveglio che si riversò su tutte le regioni del Regno Unito e giunse anche sul continente. L’attività di Roberts fu di breve durata, perché si ritirò molto presto nella solitudine per pregare, per più di 40 anni. Egli sconfessò il movimento dei pentecostali di cui aveva preparato il terreno.
Movimenti simili si svilupperanno a partire dal 1907 nelle Indie e in Cina.

Questo movimento si inscrive nella lotta contro l’esegesi di critica storica e predica, oltre alla fede fiduciale, il battesimo nello spirito. Sono queste le sue sole preoccupazioni dottrinali, a fianco di una certa tenuta morale, il che lascia uno spazio molto importante a ciò che costituisce il suo nucleo: la ricerca dell’esperienza sensibile e dei carismi. Una nota organizzazione di questa tendenza è quella delle Assemblee di Dio.
Il movimento dei pentecostali si diffuse a macchia d’olio perché corrispondeva alla mentalità moderna: una sensibilità esacerbata, un’assenza, o quasi, di lavoro intellettuale, la ricerca dello straordinario e un’empatia dei membri.

Chiese evangeliche

Il pentecostalismo fa parte della  tendenza evangelica, che è interconfessionale. Essa si caratterizza per il battesimo nello spirito. Le chiese evangeliche si definiscono chiese di professanti, che significa che la «professione di fede» ha valore solo come scelta personale di colui che la fa; dal momento che i bambini non possono farla, sono esclusi dal battesimo, che potranno ricevere solo a partire dall’adolescenza.

In questo modo, esse si ricollegano alla corrente anabattista risalente al XVI secolo; e si rifanno anche al pietismo, al battistismo e al metodismo.
Quanto al pentecostalismo, esso corrisponde ad un «risveglio» che è cominciato in Armenia verso il 1880, ma anche in India, in Cina, nel Cile, nel Galles e negli Stati Uniti, come abbiamo visto prima, ma senza che tali iniziative si siano influenzate le une con le altre.

Statistiche

Le chiese evangeliche compongono il movimento più numeroso. Infatti, nel 2014, l’Alleanza Evangelica Mondiale rivendica più di 600 milioni di aderenti, di cui quasi 300 milioni di pentecostalisti. 
I luterani, la maggior parte dei quali appartengono alla Federazione Luterana Mondiale, i calvinisti, con la loro Comunione mondiale delle Chiesa Riformate e gli anglicani, raggruppano ciascuno quasi 80 milioni di persone. 
I metodisti sono 75 milioni; e i battisti, uniti nell’Alleanza Battista Mondiale, sono 36 milioni. Gli avventisti, 25 milioni; i mormoni, 15 milioni; i testimoni di Geova, 8 milioni; i presbiteriani, 5 milioni; i congregazionalisti, 3 milioni; i darbisti, 3,4 milioni; i mennoniti, raggruppati nella Conferenza Mennonita Mondiale, sono 1,5 milioni; gli amish, 300.000.
A questi bisogna aggiungere tutti quelli di cui non abbiamo parlato, come i discepoli di Simon Kimbangu (1887-1951), che lasciò il battistismo per fondare la sua chiesa nel Congo Belga e che ancora oggi raggruppa 7 milioni di membri.

Il liberalismo

La legge del doppio ritmo, che ha dilagato nel dominio religioso, trova un altro terreno di applicazione: la politica.
Se per la salvezza le opere non servono a niente, quale sarà lo scopo della vita?
La risposta è molto semplice: la prosperità.
La virtù del cittadino, che è il bene comune della società, fa riferimento all’insegnamento cattolico e alle opere che esso esige, ma questo non ha più ragione di esistere in un paese sottomesso alla legge del libero esame.

Molto presto si pone un problema concreto: in seguito alla scoperta dell’America, i papi divisero i territori tra le potenze cattoliche, ma i protestanti, che aborrivano il Papa, non rispettarono le sue direttive. I navigli portoghesi e olandesi diedero inizio ad una guerra di corsa, arrembandosi gli uni gli altri, impedendo così il regolare svolgimento dei commerci. Allora, si fece avanti un uomo, Hugo de Groot, conosciuto col nome di Grotius (1583-1645), giurista, diplomatico e filosofo rinomato, che cercò di risolvere la questione a partire da un substrato comune: le due parti si fanno la guerra e questa intralcia il commercio. Qui poco importa la soluzione concreta da lui proposta (20), importante è notare che egli stabilisce, forse involontariamente, il fondamento del diritto liberale. In effetti, in questa questione non si fa alcun riferimento all’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, che definisce il diritto come l’oggetto della giustizia (21); qui le due parti constatano che si fanno la guerra e non possono più commerciare in tutta sicurezza: non si tratta più di vero, di bene, di giusto, ma solo di interesse; l’interesse generale rimpiazza il bene comune. 
Il fondamento del diritto è più solo l’interesse.

Questo principio posto a livello internazionale, si trasferisce molto facilmente allo Stato. Questo non sarebbe altro che un servizio per organizzare la vita in comune degli individui, e poiché questi hanno più interesse a vivere in società piuttosto che isolati, il loro livello di vita ne guadagna e di molto. Tuttavia, per impedire che chi va ad assumere le funzioni di governo non si serva di tale incarico per il suo profitto personale, occorre inquadrare questo potere. Ecco allora che ci sono diversi princípi liberali: la sovranità dell’uomo, il contratto sociale e la separazione dei poteri (22), che servono ad indebolirlo.
I teorici di riferimento, limitandoci agli autori provenienti dagli ambienti protestanti, sono: Thomas Hobbes (1588-1679) e John Locke (1632-1704).

Il primo ha scritto, tra le altre cose, Leviathan, in esso descrive una società in cui l’uomo esce da un quadro di vita naturale e ogni cosa viene garantita da un sistema invasivo che dirige tutto. Oggi si parlerebbe di sistema burocratico o tecnocrazia. Da notare che Leviathan è il nome che presso i Fenici designava il caos; questo nome è dunque tutto un programma!

Il secondo ha scritto anche lui diverse opere, tra le quali: Lettera sulla tolleranza e Due trattati del governo civile. Nella lettera predica la libertà religiosa nello Stato, poiché la religione incita gli uomini ad essere onesti e dunque a rispettare i loro contratti; essa è buona perché presenta un interesse sociale. Questa tolleranza, però, può essere accordata solo a coloro che ne accettano il principio. Locke sostiene che di tale tolleranza non può godere il cattolicesimo, poiché questo ha la pretesa di detenere la verità, pretesa che nuoce alla libertà. 
Se i protestanti affermano che in materia religiosa ognuno è ispirato dallo Spirito Santo e quindi può interpretare la Bibbia, in materia politica sostengono che ognuno è uguale agli altri e gode pienamente della sua libertà.

Con questi due trattati, Locke pone come principio della società che la libertà è inviolabile e che poggia sulla proprietà; ma dovendo vivere in società, è necessario che l’uomo vi acconsenta: è il contratto sociale; così che i poteri devono essere sia divisi e affidanti a persone diverse, sia designati e controllati da tutti.
Come si vede, si tratta dei princípi dell’attuale regime democratico. Il protestantesimo, in tutta logica, è democratico per principio. E l’esempio migliore che si può fare è quello dei congregazionalisti del Myflowers.

Notiamo infine che questo sistema include l’obbligo per l’oppositore o per colui che si è sbagliato, di fare autocritica e di cambiare opinione, lo esige il contratto sociale. Le leggi sono fatte dai rappresentanti di tutti e quindi tutti devono accettarle.
Siamo di fronte ad un buon esempio dell’applicazione nel dominio politico della legge del doppio ritmo. Il principio è la libertà individuale, ma si è costretti ad uniformarsi al tipo d’uomo. La teoria della volontà generale di Gian Giacomo Rousseau (23) (1712-1778) ne è la formulazione dal punto di vista politico. La volontà generale è manifestata dalla maggioranza, ma non si identica con questa; così, trattandosi della volontà che non è solo della maggioranza, essa si impone a tutti e in particolare alla minoranza.

Tuttavia, il rifiuto delle leggi non è sanzionato uniformemente: certi verranno castigati severamente, certi altri beneficeranno di un’incomprensibile clemenza; incomprensibile per chi non ha compreso la società liberale nella sua essenza. Rifiutare la volontà generale equivale a rifiutare il contratto sociale, e questo significa farsi nemico della società e divenire un essere refrattario.

Vediamo quindi per prima cosa il delinquente. 
Egli non rispetta le leggi, viola la libertà altrui, e per questo dev’essere punito; tuttavia il sistema lo riconosce come uno dei suoi reietti, senza dubbio esorbitante, ma certo non infedele. Il malfattore ama la libertà, la libertà nel senso liberale, e la sua condotta lo prova a sazietà. Quindi, lui in realtà non è in opposizione al sistema, ma semplicemente devia un po’, in avanti. 
In fondo, è particolarmente legato ai princípi del sistema, e nella loro messa in atto è più intransigente del sistema stesso; ed è per questo che il sistema lo protegge. In un sistema democratico esistono sempre delle leggi per garantire il rispetto dei diritti del delinquente; e tali diritti sono peraltro meglio rispettati e difesi di quelli delle sue vittime. E non si tratta di debolezza, ma dell’implacabile applicazione dei princípi liberali. La protezione del delinquente è la garanzia che la società liberale ha sempre come riferimento i princípi che l’hanno fondata.
In fin dei conti, il delinquente è l’eroe della società liberale. 

Quanto alla prosperità che potrebbe patirne, il sistema economico è ormai organizzato per poter elargire agli «eroi» del liberalismo un più ampio margine di manovra.
Riprendiamo Grotius: bisogna evitare la guerra perché essa ostacola il commercio e nuoce così alla prosperità; le nostre società moderne non puniscono più i piccoli misfatti o quelli considerati come tali, e non per mancanza di mezzi, ma per scelta ideologica (24). La vittima di un furto sarà indennizzata dalla sua assicurazione o la modicità del prezzo della cosa rubata permetterà di rimpiazzarla senza nuocere alla libertà del delinquente, arricchendo nel contempo il fabbricante e il venditore. Ormai, la società è abbastanza prospera da poter agire in questo modo ed accordare maggiore libertà a quelli che la vogliono.
Del pari, il mondo conosceva uno stato di guerra permanente, non sempre negli stessi posti e di preferenza non nelle regioni più ricche, perché questa guerra non ostacolava il commercio; al contrario, essa perfino lo favoriva, arricchendo il complesso dell’industria militare. La guerra e i diversi misfatti rappresentano ormai un interesse.

Non è lo stesso per chi rifiuta i princípi del sistema. Rifiutando questi princípi egli rifiuta la volontà generale, il contratto sociale, la nozione liberale di libertà… è un refrattario. E’ un nemico del sistema e come tale l’intero sistema lo combatte e cerca di sbarazzarsene: sia facendolo cambiare, sia escludendolo per neutralizzare il suo potere di resistenza. Nella nostra società democratica mediatizzata, la congiura del silenzio spesso permette un’esclusione sufficiente, ma non soddisfacente. Il sistema deve fagocitare il refrattario, ma il suo scopo resta sempre l’eliminazione del nemico al di là della semplice congiura del silenzio.
Quest’odio che la società liberale nutre per il refrattario deriva dal fatto che egli oppone principio a principio, sistema a sistema. E’ una lotta senza pietà e senza possibile conciliazione; ed essa potrà finire solo con la distruzione dell’uno o l’eliminazione dell’altro (25).
Non bisogna stupirsene, si tratta di una costante talmente importante che Nostro Signore Gesù Cristo si è preoccupato di metterci sull’avviso:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. […] Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; […] Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. […] Chi odia me, odia anche il Padre mio» (Gv. 15, 18-23).

Conclusione

Che si consideri la barca religiosa o la barca politica, per usare una terminologia cara a Mons. Henri Delassus (26), il protestantesimo ha distrutto da cima a fondo la cristianità. 
E’ dunque a Cristo Re che bisogna ritornare per la salvezza delle anime.

Nella barca politica, il protestantesimo ha prodotto il liberalismo e la democrazia moderna, nonché il mondialismo e le diverse violazioni alla morale naturale. La libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali amplia il campo della libertà; intesa ovviamente in senso rivoluzionario e non secondo la magnifica definizione di Leone XIII: «La libertà è la facoltà di muoversi da se stessi nel bene» (27). Lo stesso vale per le violazioni della legge naturale. Già Thomas Malthus(1766-1834), che fu  pastore anglicano, propugnava la limitazione delle nascite…

Nella barca religiosa, il protestantesimo ha prodotto il razionalismo, l’indifferentismo, il sentimentalismo e il modernismo. 
Per darne l’idea, rileviamo tre fatti.

Per primo, il prorompere del protestantesimo non corrisponde per niente alla parola di Nostro Signore Gesù Cristo: «Che siano uno» (Gv. 17, 11, 22 e 23). I protestanti se ne rendono conto e, deplorando la loro frantumazione dottrinale senza poterla risolvere, affermano che l’unità deve farsi col cuore. Cosa che disconosce che l’unità col cuore dipende dalla verità: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.» (Gv. 17, 3). E’ solo dopo aver detto queste parole che il divino Maestro esprime il suo auspicio di unità.

Seconda cosa: quando l’essere umano rifiuta il magistero, egli vaga in balia di ogni vento di dottrina, piomba nell’assurdo e si ribella contro la stessa natura. E’ ciò che ha espresso mirabilmente Gilberth Keith Chesterton (1874-1936): «Rimuovete il soprannaturale, e resta solo ciò che non è naturale» (28).

Infine, come non fare il parallelo con la Chiesa conciliare? 
Studiando l’evoluzione della nozione di Rivelazione presso i teologi protestanti non si può non rimanere colpiti dalla rassomiglianza col modernismo. Si ha l’impressione di leggere le dottrine che condanna San Pio X nell’enciclica Pascendi (8 settembre 1907). E tale somiglianza non è un caso. I modernisti, tutti impregnati di filosofia tedesca, si sono messi al rimorchio dell’esegesi protestante. E’ questo cambiamento di princípi che spiega la dichiarazione congiunta del 1999.

Vediamo allora tutta la nocività del protestantesimo e il rovesciamento che esso opera in ogni dominio, al punto che la sua teologia sovrasta ogni questione politica, prestandole i suoi princípi e fissandone lo scopo.

Noi siamo su questa terra per la gloria, non quella che passa (29), ma quella che resta in eterno, quella che appartiene a Dio e che, nella sua bontà, Egli vuole comunicarci e per la quale ci ha tratti dal nulla. Egli si aspetta da noi la fedeltà e lo zelo per il Suo nome.

Quanto allo zelo, a seguito di San Domenico che bruciava per le anime, noi lamentiamo: «Che ne sarà dei poveri peccatori?», badiamo accuratamente di non dimenticare «quelli che stanno nelle tenebre 
e nell'ombra della morte» (Lc., 1, 79).

Quanto alla fedeltà, a seguito di Mons. Lefebvre:

Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l’anima alla Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità.
Noi rifiutiamo, invece, e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite.
Tutte queste riforme, in effetti, hanno contribuito e contribuiscono ancora alla demolizione della Chiesa, alla rovina del Sacerdozio, all’annientamento del Sacrificio e dei Sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, a un insegnamento naturalista e teilhardiano nelle università, nei seminari, nella catechesi, insegnamento uscito dal liberalismo e dal protestantesimo più volte condannati dal magistero solenne della Chiesa.
[…]
Questa riforma, essendo uscita dal liberalismo e dal modernismo, è tutta e interamente avvelenata; essa nasce dall’eresia e finisce nell’eresia, anche se non tutti i suoi atti sono formalmente ereticali. È dunque impossibile per ogni cattolico cosciente e fedele adottare questa riforma e sottomettersi ad essa in qualsiasi maniera.
L’unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, per la nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettazione della riforma (30). 


NOTE

1 – Martin Lutero, dichiarazioni citate in Abbé Joseph-Épiphane Darras, Histoire générale de l’Église, ed. Luis Vivès, 1905, edizione in compendio, t. 4, p. 88.
2 – Citato in L. Marion, Histoire de l’Église, Paris, Pierre Téqui, 1932, t. III, pp. 279-280, n. 3.
3 – Citato in Jacques d’Arnoux, Les sept colonnes de l’héroïsme, Chiré-en-Montreuil, Éditions de Chiré, 1982, p. 35, n. 17.
4 – Citato in L. Marion, ibid., pp. 278-279, n. 3 in fine. Le citazioni potrebbero essere molteplici, ci limitiamo ad aggiungere questa: «Dalla mattina alla sera sono in ozio e ubriaco», estratto di una lettera del 1521 a Melantone, citato da Jacques d’Arnoux, p. 35. N. 17.
5 – Conferenza stampa in aereo, di ritorno dall’Armenia: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/june/documents/
papa-francesco_20160626_armenia-conferenza-stampa.html

6 – Viaggio in Germania, discorso al Consiglio della chiesa evangelica, Magonza, 17 novembre 1980: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1980/november/
documents/hf_jp_ii_spe_19801117_chiesa-evangelica.html

7 - «di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione» – Formula con la quale si designò l’obbligo dei sudditi di seguire la confessione religiosa del loro principe [NdT].
8 - L. Marion, Histoire de l’Église, Paris, Pierre Téqui, 1932, t. II, p. 523.
9 – Citato in Jacques Ploncard d’Assac, L’Église occupée, Chiré-en-Montreuil, éditions de Chiré, 1983, p. 10.
10 - In tedesco Karlstadt, dalla città in cui era nato Andreas Rudolf Bodenstein, che fu dapprima il maestro, poi il discepolo e infine l’avversario di Lutero, quando passò agli anabattisti.
11 – Questo trasferimento facilita il passaggio di certi príncipi al luteranesimo.
12 - 
Don J. Dedieu, Instabilité du protestantisme, Paris, Librairie Bloud & Gay, 1928, p. 33.
13 – Citato in Marion, ibid., t. III. p. 294.
14 – Dedieu, ibid., pp. 117-118.
15 – Ibid., p. 119.
16 – Ibid., p. 118.
17 – Fondato con l’accordo dell’Ordinario, Mons. Guillaume Briçonnet (1470-1534), contava come principale pensatore Jacques Lefèvre d’Étables (1455-1537).
18 – Affermazione riportata dal R. P. Henri-Charles Chéry, O. P., in L’offensive des sectes, Paris, Les éditions du Cerf, 1959, p. 75.
19 – Si tratta del parlare in altre lingue.
20 – Citiamo due delle sue opere: De jure belli ac pacis, e Mare liberum.
21 – S. Th., II-II, q. 57, a. 1.
22 – Legislativo, esecutivo e giudiziario. Il legislativo promulga le leggi, l’esecutivo ne assicura l’applicazione e il giudiziario sanziona le violazioni.
23 – Rousseau ha oscillato tra il calvinismo e il cattolicesimo; è difficile sapere se i suoi molteplici cambiamenti abbiano una spiegazione diversa dall’interesse del momento.
24 – Il bilancio della Francia conosceva un deficit abissale, che permise ai governi successivi che l’hanno accresciuto di chiedere ai Francesi dei contributi sempre più importanti. Tuttavia, a partire del 1 aprile 2016, tutti gli atti (analisi, consulti, ecografie…) legati all’interruzione volontaria della gravidanza sono stati rimborsati al 100% dalla Sécureté Sociale [Previdenza Sociale]; misura economicamente in contrasto con i discorsi tenuti abitualmente, ma che non lo è più se si colloca questa decisione nel quadro ideologico che l’ha prodotta.
25 – La fede ci illumina sulla conclusione di questa lotta.
26 – In particolare nel suo capolavoro La conjuration antichrétienne, pubblicato a Lille nel 1909 da Desclée-de-Brouwer. Quest’opera, esaurita da tempo, è stata ristampata recentemente dalle Éditions Saint-Remi. [Una versione ridotta in italiano è stata pubblicata da Effedieffe, nel 2015, col titolo L’americanismo e la congiura anticristiana]
27 – Leone XIII, enciclica Libertas prestantissimum, 20 giugno 1988.
28 - «Take away the supernatural, and wath remains is the innatural», in Heretics, pubblicato in Inghilterra nel 1905; è una raccolta di saggi pubblicati sul Daily News in tre anni [Ultimamente ripubblicato in italiano dalle Edizioni Lindau, Torino].
29 – La tripla concupiscenza: «La concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1 Gv. 2, 16).
30 - Mons. Marcel Lefebvre, Dichiarazione del 21 novembre 1974.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0286_Dichiarazione_Lefebvre__21.11.1974.html

 

 


marzo 2017
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/03/2017 12:37
 
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EDITORIALE
 

In questo 500mo anniversario della Riforma luterana, i cattolici  – soprattutto uomini di Chiesa e teologi – sembra abbiamo scelto di puntare su due aspetti: le sue intenzioni piuttosto che i contenuti dogmatici della Riforma e fare “un tratto di strada insieme”. Ma questo sposa già la prospettiva luterana perché si accettano due importanti presupposti.

Di Stefano Fontana

In questo 500mo anniversario della Riforma luterana, i cattolici  – soprattutto uomini di Chiesa e teologi – sembra abbiamo scelto di puntare su due aspetti. Il primo è quello delle intenzioni soggettive di Lutero piuttosto che i contenuti dogmatici della Riforma. Il secondo è di fare comunque “un tratto di strada insieme” indipendentemente dalle questioni dottrinali. A ben vedere, però, ambedue queste sottolineature sposano già la prospettiva luterana, sono interne alla Riforma in quanto ne accettano due importanti presupposti.

E’ evidente che la Riforma deve molto alla soggettività di Lutero, alla sua vicenda interiore, al suo carattere. La sua biografia sia psicologica che spirituale non va messa da parte. Su questo hanno scritto – e giustamente – in molti, da Jacques Maritain a Jean Guitton ad Angela Pellicciari. Però non va nemmeno assolutizzata, facendone l’unico focus.

La tendenza odierna è invece proprio questa, sostenendo che Lutero non voleva una rivoluzione ma una riforma della Chiesa. Fino a ieri la linea cattolica era di dire che la Riforma non è stata una riforma ma una rivoluzione. Ora si dice il contrario. Il cardinale Kasper nel suo ultimo libretto su Lutero edito dalla Morcelliana dice infatti: “Lutero era un uomo desideroso di rinnovamento, non un Riformatore. Con questa istanza evangelica Lutero si poneva nella lunga tradizione dei rinnovatori cattolici che lo avevano preceduto. Si pensi soprattutto a Francesco d’Assisi“.

Sembra che le cose siano poste in questo modo: le intenzioni originarie di Lutero erano buone e legittime, poi la storia ha prodotto ostacoli e intralci di vario genere, causati non da ultima dalla Chiesa cattolica, provocando anche difficoltà di comunicazione come scrive Padre Pani sul numero 4000 de “La Civiltà Cattolica”, sicché se si tolgono di mezzo gli ostacoli e le incomprensioni e se ci si ricollega alle intenzioni originarie di Lutero tutto può essere messo a posto. L’accostamento temerario tra Lutero e San Francesco la dice lunga sugli obiettivi di questa strategia.

Questa impostazione mette in secondo piano gli elementi di contenuto dottrinali della Riforma per incentrarsi sulla buona fede del testimone. Ma un testimone è attendibile non solo per la sua buona fede bensì anche per le verità che dice. La concentrazione sulle intenzioni soggettive di Lutero accoglie già l’impostazione luterana delle cose. La fede, infatti, è sia l’atto del soggetto che crede, sia il contenuto creduto (gli esperti parlano di fides qua e di fides quae). Ora, per il cattolico le due cose vanno tenute insieme, ma per il luterano no, vale solo la prima. La fede nel senso luterano del termine è un “fidarsi”, è una fede fiduciale in Cristo. Padre Coggi OP, nel suo ultimo libro su Lutero edito dallo Studio Domenicano di Bologna, spiega bene che quella di Lutero è una “fede senza dogmi”.

Concentrare l’attenzione solo sulle intenzioni soggettive di Lutero è quindi già un collocarsi nella prospettiva luterana della centralità della coscienza individuale e di una fede senza argomenti.

Anche l’altro aspetto su cui i cattolici insistono in questo cinquecentesimo anniversario presenta queste caratteristiche. “Fare una tratto di strada insieme” significa anteporre la prassi, un comune agire, alla dottrina. E’ difficile fare una simile proposta ai Riformati. Se si vuole fare un tratto di strada insieme nonostante le diversità dottrinali ci si dovrebbe rifare alla legge morale naturale, che però Lutero nega, in quanto frutto di una ragione “meretrice”. Non è difficile riscontrare, nel dialogo ecumenico, una notevole difficoltà a trovare accordi pratici per esempio sulle questioni di bioetica e biopolitica e sui cosiddetti “nuovi diritti”, il che dimostra come sia impossibile “camminare insieme” senza i dovuti chiarimenti dottrinali. 

In ogni caso, questa priorità della prassi sulla dottrina è una posizione tipicamente luterana. Il Monaco infatti era interessato non a conoscere ma a sentirsi in grazia, come acutamente fanno notare tanti suoi interpreti da Maritain a Coggi. Il suo interesse non era per Cristo in sé, ma per Cristo per lui. Egli mirava a fare esperienza della salvezza di Cristo, non a conoscerlo. Il suo intento, in altri termini, era eminentemente pratico. Anche tra i cattolici oggi si pensa alla fede più come esperienza che come conoscenza e viene da chiedersi se non sia per effetto dell’influenza protestante. La verità di Cristo viene in secondo piano per Lutero, che separa il Cristo della fede dal Cristo della storia. La demitizzazione del Vangelo potrebbe diventare anche totale, come cercherà di fare Rudolf Bultmann, ma ciò non intaccherebbe la fede, che non ha bisogno di argomenti. 

Come motivare la scelta di queste due ottiche così consenzienti nei confronti della Riforma se non come segno di una disponibilità perfino eccessiva ad affrettare i tempi su molte questioni ecumeniche spinose? 




LUTERO NON ERA UN RIFORMATORE MA RIVOLUZIONARIO ERETICO

Basta con le menzogne! C’è un limite a tutto! Nessun Vescovo e nessun Papa, in nome della pace e del dialogo o dell’ecumania, possono imporre una visione distorta della storia.

E’ di questi giorni la notizia di solite manovre occulte, per imporre alla Chiesa, visioni distorte della storia. In questo sito francese, vedi qui – è riportato che si sta svolgendo in Vaticano, fino al 31 marzo, un incontro dal titolo: «Lutero, 500 anni dopo. Una rilettura della Riforma luterana nel suo contesto storico ecclesiale» dove per concetto di “rilettura della Riforma” si intende con ciò RIABILITARE Lutero, riletto appunto distorcendo la storia. Infatti, in una conferenza stampa che si è tenuta ieri 22 marzo 2017, nella Sala Stampa della Santa Sede, il Presidente del Comitato, il Padre Ardura, assistito dal prof. Johannes Grohe, storico che insegna alla Pontificia Università della Santa Croce, ha spiegato ai giornalisti che questo seminario di studi consiste in «una ricerca della verità» in un contesto storico ed economico complesso:

«Lutero voleva fare inizialmente una riforma dall’interno, non voleva provocare uno scisma» – ha dichiarato. «All’inizio voleva fare una riforma all’interno della Chiesa, come è stato spesso il caso nel corso dei secoli. Egli compì un cammino spirituale, il punto di partenza quindi era buono. Ma in seguito ci sono state delle pressioni da tutti i lati, degli elementi che sono sopraggiunti dall’esterno, storici, politici ed economici, che hanno influenzato l’evoluzione della stessa Riforma e hanno condotto alla rottura.»

Insomma, detto in breve, il Padre Ardura, mentre afferma da un lato di non sapere se Papa Francesco voglia riabilitare Lutero, dall’altro professa, abusivamente – diciamo chiaro -, che cattolici e protestanti hanno «una comunione nella stessa fede», grazie ad «un accordo tra le due Chiese»!

Tutto ciò E’ FALSO! Clamorosamente falso! Mentono sapendo di mentire, e questo è inaccettabile! In questo link – Ripensando  Lutero – avevamo già dato prova, attraverso il domenicano Padre Coggi, che questa visione benevola, ma modernista, delle azioni di Lutero, non erano affatto di RIFORMA ma di  RIVOLUZIONE. Lutero è stato un rivoluzionario, non un riformatore. Chi sono infatti i veri Riformatori? SONO I SANTI e non gli ereticiSant’Ignazio di Lojola fonda la Compagnia per contrastare l’eresia luterana, senza alcun patteggiamento, senza alcun compromesso!

Lutero inizia la sua avventura NON per una benevola Riforma interna alla Chiesama perché NON sopportava più il voto celibatario. In quanto monaco agostiniano, non accettava più di doversi “contenere” e da qui inizia senza dubbio la sua “bella” ricerca del Volto misericordioso di Dio, ma lo fa per un motivo personale soggettivo, che appartiene alle incontinenze e non al cuore… Il suo interessamento contro i vizi e i peccati nella Chiesa, la vendita delle indulgenze, ed altre immoralità, è solo una fase successiva che sarà usata da Lutero come manganello e ricatto.

Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne. Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni, penitenze, digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all’inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l’atroce dubbio di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.

I veri motivi, spiega poi nel libro Padre Coggi, furono di natura strettamente teologica e soprattutto legati al dramma interiore che egli viveva…. Anche il domenicano Padre Riccardo Barile – vedi qui – ha espresso chiarissimamente in un articolo a La Nuova Bussola Quotidiana del novembre scorso, una preoccupante riflessione: “Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l’Eucarestia, l’approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide…”

Lutero ROMPE CON LA FEDE DELLA CHIESA da subito, fin dall’inizio della sua ricerca del Volto misericordioso di Dio, negando, poiché non lo accettava, la dottrina MORALE della Chiesa Cattolica. Per Lutero doveva esserci UN’ALTRA interpretazione della Scrittura e finisce per trovarla con il suo metodo: il “Sola Scriptura”, ossia, abbandonare tutto il magistero dei Papi e RILEGGERE quello patristico e la Scrittura, in senso letterale e UMANO, soggettivo, orizzontale.

Quale vero RIFORMATORE ha reagito in questo modo? Ditecelo, ve ne preghiamo, portateci qualche esempio concreto perché noi non ne abbiamo trovati.

Quando nel Libro del Siracide 16,13 troviamo scritto: “Tanto grande la sua misericordia, quanto grande la sua severità; egli giudicherà l’uomo secondo le sue opere…” Lutero lo cancella, risolve il problema relegando questi Libri nell’indice, e con quale autorità fece questo? Lutero mette da parte il concetto delle “opere” perché sa bene che significa che avrebbe dovuto resistere semplicemente alle tentazioni della carne (opera volontaria del libero arbitrio dell’uomo, ma negato da Lutero), e non trovare la scorciatoia, da qui inventa il “Sola fidei”, cioè, non siamo salvati per le opere, ma solo per la fede, da qui il famoso “pecca quanto vuoi, purché tu abbi fiducia salda, che Cristo copre i tuoi peccati con la sua giustizia…”

Scriveva la Civiltà Cattolica nel 1918, quando era ancora cattolica, vedi qui testo originale – “tutto il sistema di Lutero riposa sul falso: nella Scrittura non c’è un testo che lo legittimi. Lutero con audacia bronzea torse in parte violentemente la Scrittura, e in parte vi sostituì le sue falsificazioni… “.

E’ forse cambiata la Scrittura, oggi, e non ce ne siamo accorti, o cos’altro di ben peggiore sta accadendo nella Chiesa di oggi? Questi Pastori odierni, apostati ed eretici, ben sapendo che non possono usare la Scrittura per legittimare Lutero, cosa stanno facendo? Lo fanno apparire come VITTIMA DELL’OSCURANTISMO CATTOLICO DI IERI. E così “Lutero non fu compreso”…. Lutero non voleva rompere con la Chiesa, è ovvio, pretendeva solo che la Chiesa modificasse la sua dottrina secondo la sua interpretazione. Ed infatti: non è che la chiesa odierna si è un tantino protestantizzata tanto da abbracciare le tesi di Lutero, in campo dottrinale, e di conseguenza riabilitarlo nel tentativo di dare forza alle sue nuove rivendicazioni moderniste? Provateci il contrario! Portate le prove per dirci che siamo in torto!

E attenzione, qui il Concilio Vaticano II non c’azzecca nulla! Qui siamo oltre, siamo forse ad un Vaticano III senza accorgercene? Il secondo infatti ammoniva: “Gli episodi della così detta ‘intercomunione’, registrati in questi ultimi mesi, si iscrivono in questa linea, che non è la buona e che dobbiamo lealmente riprovare. Ricordiamo il Concilio, il quale ‘esorta i fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso dell’unità’ (Unitatis redintegratio n. 24)”.

Vogliamo concludere queste riflessioni invitandovi AD UNA RESISTENZA A NON ACCETTARE ALCUNA RIABILITAZIONE DI LUTERO (e nessun Papa può imporlo, fino a prova contraria), attraverso le parole della Civiltà Cattolica del 1918, che suonano davvero come profezia per questi nostri tempi:

Questo è il Lutero storico, cioè, vero. I suoi partigiani, numerosi come legione e inconcussi più che scogli, lo possono esaltare come e quanto vogliono fino alle stelle.. (…) In questa sfera Lutero fu forse il più grande figlio “del mondo”: iniziò il movimento di ribellione contro ogni autorità che non sia la forza di ferro, aprì il campo del soggettivismo, vide le cose non come erano, ma come voleva che fossero, fece legge morale il placito della sua volontà…

Se così non fosse, dovremo forse dare ragione a Lutero quando predicava che: “Dalla nostra parte sta il Cristo, dalla parte del papa sta il diavolo!”  giudicate voi! ma non possono avere ragione entrambi!

Consigliamo vivamente, a chi volesse approfondire i fatti, i seguenti libri:

– Angela Pellicciari, Martin Lutero;

– Angela Pellicciari, Martin Lutero il lato oscuro di un rivoluzionario;

– Padre Roberto Coggi O.P. Ripensando Lutero

   



[Modificato da Caterina63 05/04/2017 17:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/04/2017 17:04
 
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LETTERA ENCICLICA
MORTALIUM ANIMOS
DI SUA SANTITÀ 
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, 
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI 
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI 
CHE HANNO PACE E COMUNIONE 
CON LA SEDE APOSTOLICA

SULLA DIFESA DELLA VERITÀ
RIVELATA DA GESÙ 

Risultati immagini per Pio XI

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. Infatti, quantunque le nazioni non godano ancora pienamente i doni della pace, ed anzi in talune località vecchi e nuovi rancori esplodano in sedizioni e lotte civili, né d’altra parte è possibile dirimere le numerosissime controversie che riguardano la tranquillità e la prosperità dei popoli, ove non intervengano l’azione e l’opera concorde di coloro che governano gli Stati e ne reggono e promuovono gli interessi, facilmente si comprende — tanto più che convengono ormai tutti intorno all’unità del genere umano — come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale.

Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio.

Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola »? [1]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [2]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo.

Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica.

Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani.

Dio, Fattore dell’Universo, Ci creò perché lo conoscessimo e lo servissimo; ne segue che Egli ha pieno diritto di essere da noi servito. Egli avrebbe bensì potuto, per il governo dell’uomo, prescrivere soltanto la pura legge naturale, da lui scolpitagli nel cuore nella stessa creazione, e con ordinaria sua provvidenza regolare i progressi di questa medesima legge. Invece preferì imporre dei precetti ai quali ubbidissimo e nel corso dei secoli, ossia dalle origini del genere umano alla venuta e alla predicazione di Gesù Cristo, Egli stesso volle insegnare all'uomo i doveri che legano gli esseri ragionevoli al loro Creatore: « Iddio, che molte volte e in diversi modi aveva parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del figlio » [3]. Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta poi nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo. Orbene, se Dio ha parlato, e che abbia veramente parlato è storicamente certo, tutti comprendono che è dovere dell’uomo credere assolutamente alla rivelazione di Dio e ubbidire in tutto ai suoi comandi: e appunto perché rettamente l’una cosa e l’altra noi adempissimo, per la gloria divina e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio fondò sulla terra la sua Chiesa. Quanti perciò si professano cristiani non possono non credere alla istituzione di una Chiesa, e di una Chiesa sola, per opera di Cristo; ma se s’indaga quale essa debba essere secondo la volontà del suo Fondatore, allora non tutti sono consenzienti. Fra essi, infatti, un buon numero nega, per esempio, che la Chiesa di Cristo debba essere visibile, almeno nel senso che debba apparire come un solo corpo di fedeli, concordi in una sola e identica dottrina, sotto un unico magistero e governo, intendendo per Chiesa visibile nient’altro che una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte. Invece Cristo nostro Signore fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo [4], con l’insegnamento a viva voce [5], con l'amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste [6]; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno [7], a una casa [8], ad un ovile [9], ad un gregge [10]. Tale Chiesa così meravigliosamente costituita, morti il suo Fondatore e gli Apostoli, che primi la propagarono, non poteva assolutamente cessare ed estinguersi, poiché ad essa era stato affidato il compito di condurre alla salvezza eterna tutti gli uomini, senza distinzione di tempo e di luogo: « Andate adunque e insegnate a tutte le genti » [11]. Ora, nel continuo adempimento di questo ufficio, potranno forse venir meno alla Chiesa il valore e l’efficacia, se è continuamente assistita dallo stesso Cristo, secondo la solenne promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo »? [12].

Necessariamente, quindi, non solo la Chiesa di Cristo deve sussistere oggi e in ogni tempo, ma anzi deve sussistere quale fu al tempo apostolico, se non vogliamo dire — il che è assurdo — che Cristo Signore o sia venuto meno al suo intento, o abbia errato quando affermò che le porte dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro la Chiesa [13].

E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane.

I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: « Che tutti siano una cosa sola … Si farà un solo ovile e un solo pastore » [14], nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità.

Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo.

A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [15]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate « dai testimoni preordinati da Dio » [16], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [17].

Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita.

Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [18]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede.

Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [19], Gesù Cristo? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo » [20]. Pertanto lo stesso santo Martire a buon diritto grandemente si meravigliava come qualcuno potesse credere « che questa unità la quale procede dalla divina stabilità ed è saldata per mezzo di sacramenti celesti, possa scindersi nella Chiesa e separarsi per dissenso di volontà discordanti » [21]. Essendo il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa [22] uno, ben connesso [23]; e solidamente collegato, come il suo corpo fisico, sarebbe grande stoltezza dire che il corpo mistico possa essere il risultato di componenti disgiunti e separati. Chiunque perciò non è con esso unito, non è suo membro né comunica con il capo che è Cristo [24].

Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, « madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo » [25]?

Ascoltino le affermazioni di Lattanzio: a « Soltanto … la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno » [26].

Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » [27], ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » [28] faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei.

Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità » [29], ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » [30].

Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione.

 Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato.

 

PIUS PP. XI 


[1Ioann., XVII, 21.

[2Ioann., XIII, 35.

[3Hebr., I, 1 seq.

[4] Matth., XVI, 18 seq.: Luc., XXII, 32; Ioann., XXI, 15-17.

[5Marc., XVI, 15.

[6Ioann., III, 5; VI,48-59; XX, 22 seq.; cf. Matth., XVIII, 18; etc.

[7Matth., XIII

[8] Cf. Matth., XVI, 18.

[9Ioann., X, 16.

[10Ioann., XXI, 15-17.

[11Matth., XXVIII, 19.

[12Matth., XXVIII, 20.

[13Matth., XVI, 18.

[14Ioann., XVII, 21; X, 16.

[15] Ioann., XVI, 13. 1

[16Act., X, 41.

[17Marc., XVI, 16.

[18II Ioann., 10.

[19] Cf. I Tim., II, 5.

[20De cath. Ecclesiae unitate, 6.

[21Ibidem.

[22I Cor., XII, 12.

[23Eph., IV, 15.

[24] Cf. Eph., V, 30; I, 22.

[25] Conc. Lateran. IV, c. 5.

[26Divin instit., IV, 30, 11-12.

[27] S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3.

[28I Tim., 111, 15.

[29I Tim., II, 4.

[30] Eph., IV, 3.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Che significa riforma nella Chiesa?

di Gerhard Card. Müller

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Secondo la definizione fornita dallo storico della Chiesa Diarmaid MacCulloch, professore a Oxford, la cosiddetta «Riforma protestante», che ha avuto come esito il frazionamento religioso e politico della cristianità occidentale, coincide con l’epoca compresa tra il 1490 e il 1700.[1] A seconda dei rispettivi punti di vista, le valutazioni di questo evento storico possono essere molto differenti, se non addirittura contrastanti. Alcuni, prescindendo dal contenuto della fede cristiana, leggono la Riforma protestante, assieme alla riforma cattolica e alla controriforma, come un processo di pluralizzazione avvenuto a cavallo tra Medioevo ed Età moderna. Per i sostenitori di una lineare fede nel progresso invece, la Riforma protestante storica diventa antesignana e ideatrice di un progresso conclusosi con l’Illuminismo e l’Età moderna. Ma che cos’è l’Età moderna: l’uomo senza Dio o l’uomo in un rapporto paritario con Dio? Allora la Riforma protestante, alla fine, prescindendo dalla sua originaria intenzione religiosa, condurrebbe a una visione secolare del mondo, in cui la scelta religiosa e in particolare quella cristiana, è solo una tra le tante.[2] La Riforma protestante sarebbe dunque soltanto il primo passo verso unʼauto-relativizzazione della verità e della salvezza, che avrebbe fatto il suo ingresso definitivo nel mondo con l’autorivelazione escatologica di Dio. L’intento dei riformatori però, non era spianare la strada a un processo che vuole scristianizzare la società e privare della religione la comunità cristiana. Loro mirarono a ciò che ritenevano un rinnovamento della Chiesa. È vero che così entrarono in contrasto con la visione cattolica del Vangelo e della Chiesa, ma non formarono alcuna alleanza con la cultura secolare inaugurata dal Rinascimento, come invece sostiene la lettura dellʼevento storico della Riforma protestante e della rivoluzione contro la Chiesa cattolica, fornita dal movimento tedesco del cosiddetto “Kulturprotestantismus”.

Risultano perciò de facto inconsistenti tutte le vecchie descrizioni contraddittorie e polemiche, nate da una lettura superficiale della giustizia prodotta dalla fede o dalle opere, che vorrebbero contrapporre una Chiesa evangelica del Vangelo, della libertà, della coscienza e della parola ad una Chiesa cattolica della legge, dell’obbedienza, dell’autorità e dei sacramenti.

Nonostante tutte le controversie sulla dottrina, sulla vita e sulla condizione della Chiesa, i cristiani di tutte le confessioni sono però uniti dalla fede nella definitiva e sublime autocomunicazione di Dio nella Sua Parola, il Figlio del Padre, che con la sua morte sulla croce e la sua risurrezione dai morti ha preso la nostra carne e ha edificato il Regno di Dio per sempre. Sotto questo punto di vista, la comune confessione della figliolanza divina e della mediazione salvifica universale di Cristo, unisce il cristianesimo cattolico a quello evangelico, non distinguendo affatto tra una Chiesa segnata da una presunta arretratezza medievale e una Chiesa sviluppatasi in apparente compatibilità con l’Età moderna. La Chiesa quale segno sacramentale e strumento del regno di Dio che è venuto e si compie nel Cristo che verrà, non può essere sopraffatta né dalle forze del male né dalla morte. È questa la promessa che, a Cesarea di Filippo, Gesù fece ai suoi discepoli guidati da Simon Pietro (cfr. Mt 16, 18). Quando la pienezza dei tempi si sarà compiuta, non potrà più esserci niente di nuovo al di sopra di lui; niente potrà superarlo né rendere obsoleto il suo messaggio. In quanto corpo di Cristo, la Chiesa, però, è tanto strettamente legata al suo capo da partecipare sempre alla sua vita ed essere sempre vivificata mediante il suo Spirito, in modo tale che essa non potrà mai essere completamente staccata da lui, né aver bisogno di una rinascita e di una nuova istituzione, perché “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola” (Ef 5, 25s). Allo stesso modo in cui il matrimonio tra un uomo e una donna è indissolubile in Cristo e, nonostante ogni crisi possibile, verrà sempre rinnovato dalla sorgente dell’amore, così Cristo non abbandonerà mai la Chiesa, nonostante tutti i peccati e tutte le mancanze delle sue membra. Così come marito e moglie sono un corpo solo, questo vale anche per Cristo, capo della Chiesa, che “non ha mai preso in odio la propria carne; al contrario Egli nutre e cura la Chiesa, poiché è membra del suo corpo” (cfr. Ef 5,29). La riforma non significa cambiare le dimensioni vitali di martyrialeiturgia e diakonia, che Cristo ha istituito nella sua Chiesa, ma rinnovare le membra del corpo di Cristo nella vita che si spande dal capo al corpo della sua Chiesa. La riforma non è una via che, nel senso dell’Umanismo e del Rinascimento, riconduce ad fontes con la pretenziosità di coloro che, nell’appropriarsi filologicamente dei testi originali greci, ebraici e latini della Bibbia, dei Padri della Chiesa e degli autori antichi, si sono mostrati più abili di coloro che li precedevano nelle cattedre o del popolo comune. Rinnovamento in Cristo è una via che porta avanti, verso il Signore che verrà, affinché possiamo fare come le sagge vergini che, con le lampade accese, vanno incontro allo sposo ed entrano con il Signore nelle nozze (cfr. Mt 25,10).

La Riforma in senso teologico, non ha niente a che fare con l’antico mito dell’Era dorata che si vorrebbe ristabilire. E anche le letture della storia della Chiesa, che evidenziano una defezione dalla pura origine o il progresso puramente positivo, vengono smentite dalla fede nella presenza escatologica della salvezza operata in Cristo e dalla consapevolezza della drammaticità della storia del mondo e della Chiesa tra civitas Dei e civitas terrena. Cristo è la luce intramontabile di Dio nel mondo. Ma la storia della Chiesa si muove tra luci e ombre. La Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” (LG 8). Alla domanda degli gnostici, che cosa avrebbe portato Cristo di così straordinariamente nuovo, sant’Ireno di Lione, nel II secolo, risponde: “Portando se stesso per rinnovare e vivificare l’uomo, Colui che è stato annunciato ha portato solo cose nuove”. – Omnem novitatem attulit semetipsum afferens ... quoniam novitas veniet innovatura et vivificatura hominem.[3]

Il progresso della scienza, della tecnologia e dell’ordinamento sociale non può né superare Cristo né stare al passo con lui. La pienezza della salvezza e della verità è stata comunicata per sempre a tutti gli uomini in Cristo da Dio, suo Padre. Nello Spirito Santo, la Chiesa viene introdotta a una conoscenza sempre più profonda delle verità rivelate. Per questo, nonostante la pienezza dei tempi compiuta in Cristo, esiste un progresso comunitario e individuale, con delle rispettive diverse forme di inculturazione del cristianesimo, che fanno nascere delle nuove forme di cultura cristiana. In forza della presenza incarnata e sacramentale della verità e della salvezza, non si tratta di una trasmissione meccanica, ma della tradizione viva dell’insegnamento apostolico che è vitale e risveglia la vita spirituale. Perciò, il magistero ecclesiale non ha né una funzione puramente conservativa né innovativa. È piuttosto nel concorso di entrambe queste funzioni, che si mostrano la fedeltà alla definitività della Rivelazione e la crescita della Chiesa nella fede viva delle sue membra. Puntualizzando questa tensione, il Concilio Vaticano II afferma nella sua Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: “Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri» (Ireneo di Lione, Adversus haer. II,3,1). […] Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio”(DV 7u.8).

Secondo la credenza cattolica, fondata sulle parole di Gesù, una moltitudine di confessioni contrapposte contrasterebbe l’unità della Chiesa nella verità rivelata. Essendo la Chiesa corpo di Cristo, tenuto insieme nelle sue tante membra da Cristo stesso quale capo di questo corpo, la fede e la vita sacramentale non possono conoscere che una sola Chiesa. La Chiesa è “un solo spirito, un solo corpo”, e cioè: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5ss).

Anche Martin Lutero, Ulrico Zuinglio e Giovanni Calvino, che hanno fortemente influenzata, anzi avviata, la storica epoca della Riforma protestante, essendosi così guadagnati il nome di “riformatori”, non vollero affatto rinunciare all’unità della Chiesa a favore di una moltitudine di confessioni. Vollero piuttosto riformare e rinnovare la Chiesa esistente, istituita da Cristo nella storia, nello spirito del suo fondatore divino e del suo Capo vivente. Adattarono il metodo della purificazione della Chiesa di Cristo dagli errori dogmatici che avevano comportato una serie di malcostumi e abusi compromettenti per la salvezza. Ciò che scatenò la separazione dei seguaci di Lutero, Zuinglio e Calvino dalla Chiesa schieratasi attorno al Papa e ai vescovi, non fu il desiderio di migliorare la vita morale e spirituale, di modernizzare le istituzioni umane della Chiesa (Università, cura dei poveri, scelta e formazione di candidati adatti per il ministero sacro) e di combattere la mondanizzazione della Chiesa: ciò che determinò la svolta, il passaggio da una riforma nella Chiesa alla Riforma protestante che avrebbe dato vita a un’altra Chiesa, fu l’affermazione che la Chiesa aveva errato gravemente nella fede.

E qui siamo arrivati al punto in cui la concezione cattolica e quella protestante della riforma nella Chiesa divergono. Se la Chiesa può rinnegare la Rivelazione, prendendo come unico criterio per la retta prassi e dottrina le Sacre Scritture, allora bisogna purificare e riformare la Chiesa sulla base della Parola di Dio, nel suo insegnamento, nella sua vita e nel suo ordinamento. Ma se – come insegna la dottrina cattolica – la Chiesa non può rinnegare la Rivelazione, allora la riforma può prendere soltanto la forma di un rinnovamento o di un approfondimento. Nel mondo protestante abbiamo una Riforma della Chiesa e cioè una profonda trasformazione della Chiesa sulla base della Parola di Dio. Nel mondo cattolico invece abbiamo soltanto una riforma nella Chiesa, nel senso che il Papa, i vescovi, i religiosi e l’insieme dei laici sono chiamati a far sì che la loro vita rispecchi al meglio la loro vocazione. I riformatori, convinti che, per quanto riguarda la dottrina centrale circa la salvezza e la giustificazione dei peccatori, la Chiesa – con a capo il Papa e i vescovi – si sarebbe allontanata dal Vangelo di Cristo, si convinsero che bisognava mettere in atto una riforma e una trasformazione sostanziali della Chiesa e di una portata tale da superare tutte le riforme messe in atto sino ad allora.

Ricordiamoci, per esempio, di riforme attuatesi nella Chiesa cattolica come la Rinascita carolingia, che era sostanzialmente una riforma dei luoghi di formazione cattolica. La riforma gregoriana, poi, mirò alla liberazione della Chiesa dalle strette briglie della società feudale e delle Chiese proprietarie, avendo come scopo primario la lotta alla simonia e all’investitura laica, nonché il sostegno del celibato ecclesiastico. C’erano le grandi riforme dei monasteri (Gorze, Cluny, Hirsau, Windsheim, Melk) e la nascita di nuovi ordini religiosi con specifici carismi, in risposta alle nuove esigenze legate ai processi di trasformazione in atto nella Chiesa e nella società. Conosciamo le riforme dei programmi di studi e dei seminari dopo il Concilio di Trento. E conosciamo anche i vescovi che cercarono con zelo apostolico di corrispondere all’ideale di pastore proposto dal Concilio di Trento (per esempio il cardinale Carlo Borromeo di Milano, l’arcivescovo Turibio de Mogrovejo, il cardinale Gregorio Barbarigo di Padova).

Le grandi fondazioni monastiche di san Domenico e san Francesco invece, puntarono al rinnovamento della predicazione apostolica, a una pastorale capace di rispondere all’emergente cultura urbana e alle esigenze dei giovani accademici, come anche a un ideale di vita basato sull’umiltà e sulla povertà evangelica. Fu nel XIX e nel XX secolo che la Chiesa, con nuovi ordini religiosi e lo sviluppo della sua dottrina sociale, diede una esemplare dimostrazione di quanto fosse capace di adattare la sua mentalità e la sua struttura alle nuove esigenze.

I Concili riformatori del XV secolo tentarono, seppure ancora invano, di avviare una riforma della Chiesa che avrebbe toccato sia il capo che le sue membra. Rivelatori del clima sempre più ostile nei confronti di Roma e dei crescenti dubbi circa la Chiesa visibile e la sua azione salvifica sacramentale furono per esempio le Gravamina Germanicae nationis che venivano spesso presentate in occasione delle diete, spianando la strada alla rivoluzione scatenatasi nella Chiesa del XV secolo.

La riforma cattolica seguita al Concilio di Trento si distingue essenzialmente dalla Riforma protestante che diede vita alle varie associazioni confessionali protestanti, in quanto la Chiesa cattolica ha conservato la sua identità nella dottrina e nell’ordinamento sacramentale. Ma ci sono anche elementi che la accomunano con le comunità nate dalla Riforma protestante: ambedue hanno a cuore un approfondimento della religiosità e la serietà della vita morale nella sequela di Cristo.

Nell’insieme, però, il cristianesimo ha perso credibilità a causa non solo delle guerre di religione che infuriarono in Inghilterra, Francia, Svizzera e Germania, ma anche a causa della persecuzione e dell’oppressione disumana e poco cristiana dei seguaci di altre confessioni, come anche per la violenza inflitta a eretici, concittadini ebrei e persone appartenenti a religioni non-cristiane. Al cristianesimo e a tutte le religioni orientate verso la trascendenza, l’Illuminismo contrappose una lettura della nostra vita che colloca lo scopo dell’esistenza umana non più in Dio, ma nella felicità terrena. E qui inizia la fede nel progresso che mira al perfezionamento di sé con l’aiuto della scienza e della costruzione sociale ideale, perfezionamento che vorrebbe sostituirsi alla fede nella redenzione per grazia divina. La teonomia nella parola e nel comandamento divini venne utilizzata come argomento contro l’autonomia morale della persona umana. Facendo così però, si dimenticava che la grazia di Dio non ci condanna alla passività, ma rende il libero arbitrio capace di partecipare in modo attivo alla venuta del Regno di Dio. La grazia infatti presuppone la natura; non la distrugge, ma la perfeziona, come scrisse San Tommaso d’Aquino parlando del rapporto tra la creatura e il suo Signore e Creatore.[4]Le varie forme del “cristianesimo culturale” hanno cercato di alleviare la tensione creatasi tra la fede nella Rivelazione e nella grazia quale ragione di salvezza e l’insieme dei programmi liberalistici e socialisti di auto-redenzione terrena.

Anche nel mondo cattolico questa tensione tra la fede tramandata e il cosiddetto mondo moderno si era avvertita. Il termine “mondo moderno” non descrive quindi soltanto alcune acquisizioni tecniche che rendono la vita concreta più facile. La cultura moderna è la quintessenza di tutti i principi e i modelli che sembrano essere l’opposto soprattutto della fede cattolica e della sua forma ecclesiale: la soggettività, la libertà, l’autonomia della coscienza e soprattutto la visione del mondo non metafisica diffusa dall’empirismo e dal positivismo. Per tanto tempo, il Sillabo (1864), l’elenco degli ottanta errori condannati da Papa Pio IX, venne considerato, sia dagli amici che dai nemici, il sinonimo e la prova del contrasto tra fede cattolica e mondo moderno. L’ultima frase di questo documento presa a bersaglio diceva: “Il Pontefice romano deve e può riconciliarsi con il progresso, il liberalismo e la cultura moderna, diventandone amico” (DH 2980).

In questo contesto, però, bisogna riflettere sul significato del termine diffuso dalla “cultura-guida” liberale moderna, di cui il Papa, quale rappresentante supremo della fede nella Rivelazione cristiana, dovrebbe diventare amico, e cioè il liberalismo che permette semmai una religione dell’immanenza sotto forma di un “cristianesimo culturale”, servendosi poi dell’onnipotenza dello Stato per livellare i cittadini, soggiogandoli al proprio paradigma cognitivo. Le battaglie culturali e i cosiddetti “Kirchenkämpfe” (battaglie delle Chiese) scatenatesi nel XIX e XX secolo, ci dimostrano ampiamente quale fosse la forma di tolleranza e libertà della coscienza che la Chiesa si aspettava dai rappresentanti di una visione del mondo e di una ideologia basata sulla scienza.

All’inizio del XX secolo, Albert Ehrhard, rappresentante di spicco del cosiddetto “Reformkatholizismus” (cattolicesimo riformatore), poté avanzare una convincente dimostrazione del significato culturale del cattolicesimo, in grado di smentire la tesi per esempio di Adolf von Harnack dell’incompatibilità della cultura moderna con la Chiesa cattolica e persino di una Chiesa nemica che impedirebbe il progresso.[5]

Fu soprattutto con la Costituzione Pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che il Concilio Vaticano II poté delineare il rapporto costruttivo tra Chiesa e mondo, evidenziando il suo sviluppo immanente e individuando la meta trascendente dell’uomo in Dio, facendo sì che venisse smentita la contrapposizione ostile tra Chiesa e mondo affermata invece dal liberalismo ideologico del XIX secolo e dalle ideologie politiche del XX secolo. E se la Chiesa cattolica ha potuto dare un così notevole contributo allo sviluppo positivo dell’umanità, fu soprattutto perché non ha mai smesso di insistere sulla dignità inalienabile dell’uomo, come viene dimostrato dalla dottrina sociale espressa già con Papa Leone XIII e, più recentemente, dall’enciclica Laudato sì di Papa Francesco sul rapporto tra ecologia e teologia della creazione.

Il fatto che la Chiesa non solo debba difendere la sua identità di sacramento di salvezza istituita da Dio contro un’ideologia terrena di auto-redenzione e progresso, ma sia anche chiamata a sviluppare sempre nuove sintesi teologiche e pratiche di fede e ragione, grazia e verità, in grado di dare una risposta alla trasformazione profonda della nostra immagine scientifica e storica del mondo, ha dato, nel corso degli ultimi due secoli, il via alla polarizzazione e allo schieramento dei cosiddetti “liberali” e “progressisti” da una parte, e dei cosiddetti “conservatori” e “integralisti” dall’altra: uno sviluppo con delle conseguenze catastrofiche per la missione universale della Chiesa.

Tutto ciò ha anche determinato la trasformazione del contenuto e della finalità del termine di “riforma” all’interno della Chiesa cattolica.

Tutte le forme storiche di riforma nella Chiesa erano incentrate sul rinnovamento dell’essere cristiani e della vita della Chiesa, nonché sull’approfondimento della fede e su un rinnovamento in Cristo. La traduzione della lettera ai Romani nella Bibbia Vulgata ha marcato l’ingresso del termine “riforma” nella terminologia della Chiesa. L’apostolo invita i fedeli romani a non conformarsi a questo mondo (nolite conformari huic saeculo), ma a riformarsi e rinnovarsi nel modo di pensare (sed reformamini in novitate sensus vestri), “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).

Attualmente, le riforme ritenute necessarie mirano più a una mondanizzazione della Chiesa. E così si cerca di ridurre i comandamenti non vivibili di Dio a ideali che ognuno di noi può seguire secondo la propria scienza e coscienza, ma non necessariamente per essere in pace con noi stessi o raggiungere la felicità terrena. La Chiesa non è più servitrice del mondo in cammino verso Dio, ma le offre il suo servizio per dimostrare la sua utilità come una delle tante iniziative sociali, guadagnandosi così il suo diritto ad esistere. La Chiesa è oramai soltanto una visione del mondo utile al superamento della contingenza, un’agenzia per l’impegno sociale.

La Chiesa, però, non essendo una realtà finita e transitoria creata dall’uomo, ma istituita da Dio, non può adottare un concetto politico e ideologico della riforma estraneo a se stessa. Tutto ciò che è stato creato dall’uomo può e deve essere adattato alle condizioni generali in continua trasformazione, in modo che possa servire sempre di più alla realtà familiare, statale, sociale ed economica dell’uomo. La misura è la realizzazione e la tutela della dignità dell’uomo. L’attenzione per i “segni dei tempi” e un’analisi dell’attuale situazione culturale ed economica dell’umanità con l’aiuto anche delle scienze empiriche, costituiscono il prerequisito affinché la Chiesa possa compiere la sua missione. Essa è stata mandata da Cristo in tutto il mondo e a tutti gli uomini per comunicare, alla luce di Cristo e in forza dello Spirito di Dio a ogni uomo, che egli è chiamato alla conoscenza di Dio e alla vita dalla sua grazia e misericordia. Così lo descrive il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes (GS 4-10).

Naturalmente, la Chiesa, in quanto creazione divina, non può essere oggetto degli sforzi riformatori dell’uomo. Non possiamo riformare e trasformare la Chiesa a nostro gusto e piacimento. Dio è il soggetto del popolo dell’Alleanza, che egli chiama. Dio, in Cristo, ha istituito la Chiesa. Egli stesso la guida come Buon Pastore, riempiendola con il suo Spirito e la sua vita. Non spetta a noi riformare la Chiesa di Dio a nostra immagine e somiglianza, ma è Dio che riforma noi, quando ci lasciamo rinnovare in Cristo nel nostro fare e pensare, configurandoci a lui. Il risultato di questo è la vivificazione della Chiesa nelle forme essenziali dell’annuncio e della cura pastorale, nella liturgia, nella carità e nei servizi sociali. È lo Spirito che porta la vita, non la lettera, e cioè: il rinnovamento della vita in Cristo fa sì che anche le riforme strutturali e organizzative possano acquistare un orientamento positivo. Perciò, il termine di uso politico del “blocco delle riforme” non può essere applicato alla Chiesa senza politicizzarla e mondanizzarla. L’opinione secondo cui basterebbe “abolire” il celibato dei presbiteri o re-introdurre i viri probati per risolvere il problema della mancanza di sacerdoti, è diffusa. E allo stesso modo si pensa anche che basterebbe ammettere le donne agli ordini sacri e la questione “Donne e Chiesa” sarebbe risolta. Che basterebbe invitare i cristiani evangelici alla sacra comunione e l’unità nella fede sarebbe restaurata – anche se rimarrebbero le contraddizioni dottrinali, e le chiese separate, vista la visibile ribellione alla volontà di Dio, darebbero un’anti-testimonianza della piena comunione nell’unica Chiesa di Cristo. Che basterebbe fare appello alla misericordia di Gesù, per poterci sbarazzare dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, che, però, in questo modo verrebbe ridotto a istituzione puramente umana, negando l’origine del matrimonio come alleanza di Dio con gli uomini.

Essendo chiamate “riforme”, tutte queste operazioni e opzioni vorrebbero reclamare per sé una connotazione positiva; in verità, però, hanno poco a che fare con le riforme storiche della Chiesa e dei monasteri e con la riforma come segno del rinnovamento nella novità intramontabile di Cristo.

Contrariamente a quanto spesso ritenuto, l’espressione Ecclesia semper reformanda non fu formulata da sant’Agostino, ma proviene dall’ambiente della teologia riformata del XVII secolo e più precisamente, dal teologo olandese Jodocus van Lodenstein e dal suo testo Contemplazione di Sion (Amsterdam 1674); un’espressione usata spesso anche da Karl Barth. Secondo la convinzione cattolica, la Chiesa, grazie alla sua successione apostolica, non può sperimentare un contrasto tra il suo magistero papale e vescovile e la fede rivelata nelle Sacre Scritture e nella tradizione apostolica. Essendo sacra e potendo, nei mezzi sacramentali della santificazione, confidare sempre nell’aiuto di Dio, essa porta nel suo grembo, come membra sue, non solo i laici e i vescovi, ma anche i peccatori. E questi, a causa dei loro peccati personali, per non aver adempiuto ai loro compiti o per aver omesso misure urgenti, possono rendersi colpevoli davanti a Dio e agli uomini. La Chiesa “è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento” (LG 8), come il Concilio Vaticano II afferma nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium.

È qui che emerge il legame tra riforma della Chiesa ed ecumenismo. Sullo sfondo del triste frazionamento della cristianità d’Occidente, bisogna chiederci quale sarebbe stato il contributo degli uomini e quale responsabilità avremmo oggi per lo stallo verificatosi nel cammino ecumenico a causa di una mancanza d’amore, dell’aggravamento comodo dei vecchi pregiudizi e della precedenza data al pensiero politico anziché religioso laddove si tratta di risolvere delle controversie. Nel decreto sull’ecumenismo, il Concilio Vaticano IIafferma: “Questa conversione del cuore e questa santità di vita, [...] devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico” (UR 8). È soltanto in questo contesto che la teologia può dare un importante contributo all’avvicinamento nelle questioni dogmatiche.

Soltanto così sarà possibile che la Riforma protestante del 1517 possa dare un contributo importante che vada oltre la questione puramente storica e cioè invitando tutti i cristiani a dare, mediante il rinnovamento in Cristo e la “riforma” del nostro modo di pensare, testimonianza credibile della redenzione del mondo mediante la morte espiatoria di Gesù sulla croce per amore nostro e la sua risurrezione dai morti.

Oggi, quando si parla della riforma o delle riforme nella Chiesa, si affaccia subito la domanda su che cosa potremmo o dovremmo fare. E allora cominciamo a organizzare dei dialoghi, oppure a incaricare un consulente aziendale, il cui consiglio è davvero “buono e caro”. Ci sbrighiamo a organizzare qualche azione pastorale o diocesana, o fondiamo ancora un’altra commissione. Gli ordini religiosi si mettono a elaborare nuovi statuti e i professori di teologia organizzano la raccolta di firme per manifesti appassionati e appelli inutili. Tutto questo tradisce un pensiero troppo pelagiano. Noi crediamo: prima dobbiamo fare qualcosa per ottenere qualcosa dagli uomini, e poi, alla fine, avremo anche la benedizione dello Spirito Santo.

L’apostolo Paolo invece, basandosi sull’insegnamento del primato della grazia, adotta l’approccio opposto, non comincia dal fare: non spetta a noi configurarci al mondo. Il battesimo ha configurato l’uomo a Cristo, permettendogli così di vivere la sua vita come via di continua sequela. Il nuovo modo di essere fa nascere un nuovo modo di fare e di pensare e noi dobbiamo analizzare e riformare il nostro modo di pensare, per poter riconoscere la volontà di Dio e diventare, obbedendogli, buoni e perfetti.

E questo deve valere anche per la definizione finora così controversa della Chiesa come creatura verbi o sacramentum mundi.

In verità, il contrasto tra protestanti e cattolici finora non colmabile, non si riflette soltanto nella giustificazione per grazia, ma anche nel concetto di Chiesa. Infatti, come mostrano le fonti della fede cristiana rintracciabili nelle nostre comuni Sacre Scritture, nessun uomo può soggettivamente ottenere la giustificazione grazie alle proprie azioni, il che, in pratica, farebbe del peccatore il redentore di se stesso. Ma è altrettanto sbagliato ridurre la fede obiettiva nella realtà redentrice in Cristo alla certezza soggettiva di essere giustificati, il che renderebbe la condizione della mia personale convinzione più importante della reale redenzione in Cristo. La fede come fiducia, infatti, comprende anche la conoscenza di Dio e della sua Rivelazione nell’insegnamento della Chiesa; comprende la speranza come grazia continua che ci permette di proseguire su quella via, che è Cristo; e comprende la metache anch’essa è Cristo; e infine include l’amore come natura più intima e meta raggiunta della relazione con Dio.

Il contrasto finora irrisolto non consiste nell’esistenza e nella natura della Chiesa, ma nel significato della sua forma sacramentale e della necessità della mediazione salvifica. È da lì che nascono, in modo coerente, anche le questioni circa i sacramenti, il sacerdozio e il magistero.

Per Lutero tutta la Chiesa è creatura verbi: “Poiché la Chiesa nasce dalla Parola della promessa ottenuta dalla fede; ed è la stessa Parola della promessa a nutrirla e conservarla, e cioè, essa [la Chiesa] viene istituita dalla Promessa divina, e non è la promessa che viene istituita da essa [la Chiesa]. Poiché la Parola di Dio è infinitamente saggia e al di sopra della Chiesa; e su quella Parola di Dio la Chiesa, in quanto creatura, non ha alcun potere, non potendo essa istituire, amministrare o fare nulla, ma è lei che deve essere istituita, amministrata e fatta”.[6]

Con questo si è detto che la Chiesa interiore quale comunità dei Santi, dei giustificati, che Dio solo conosce, va formandosi nella fede tramite la Parola della promessa, che, però, è solo laddove la Parola e il sacramento vengono predicati e amministrati secondo la volontà di Dio (CA 7). La cosa è diversa, quando l’ordinamento ecclesiale esteriore spetta all’autorità secolare o ai membri di un’organizzazione. Questa appartenenza istituzionale a un ente non ha alcuna rilevanza salvifica per la giustificazione e cioè per l’appartenenza alla Chiesa nel senso vero e proprio e cioè alla Chiesa come communio sanctorum, colei che è veramente stata giustificata nella fede e che Dio solo conosce.

La visione cattolica della Chiesa parte dal presupposto che è soltanto per mezzo della Chiesa visibile con i suoi insegnamenti vincolanti, i suoi mezzi salvifici sacramentali e il riconoscimento del suo ordinamento apostolico istituito nello Spirito Santo, che possiamo giungere alla comunità salvifica.

Nella sua Simbolica, Johann Adam Möhler definisce le differenze così: “I cattolici insegnano: la Chiesa visibile esiste per prima, poi viene quella invisibile. È la prima che forma la seconda. All’incontrario i luterani dicono: la Chiesa visibile esce dall’invisibile: la seconda è il fondamento della prima. Cotesta contrarietà così piccola al primo osservarla implica un enorme differenza.”[7]

Come sostiene Möhler, il concetto che Lutero ebbe della Chiesa è unilaterale, ma non del tutto sbagliato. Perciò, non è da rifiutare in toto, ma può anche fornire la correzione di un’ecclesiologia cattolica unilateralmente concentrata sulla forma visibile della Chiesa. Per evitare di far dipendere la certezza salvifica nella Chiesa da cose create e dagli uomini, Lutero si rifiuta di riconoscere l’efficacia salvifica dei sacramenti ex opere operato, la rilevanza salvifica e l’infallibilità delle decisioni conciliari, nonché il mandato spirituale del sacerdote consacrato (character indelebilis) per l’offerta del sacrificio della messa. Infatti, egli, in tutto questo avverte il pericolo che l’uomo possa cercare di basare la sua relazione con Dio non sulla fede, ma sulle opere e sulle istituzioni fatte dall’uomo. Ma ciò che è stato creato, non può mai essere motivo della giustificazione del peccatore, ma soltanto il luogo che corrisponde alla natura fisica dell’uomo. Ciò che è visibile serve solo per accertare ciò che succede sul piano dell’immediatezza tra Dio e l’uomo nella correlazione tra promessa divina e fede per grazia. Lutero, però, sottovaluta la legge fondamentale della mediazione salvifica fondata nell’incarnazione, che, a causa della nostra condizione fisica, sociale e storica noi possiamo raggiungere soltanto per visibilia ad invisibilia. Se invece di contrapporre, in modo dialettico, Chiesa visibile e invisibile, salvezza divina e mediazione affidata all’uomo, essi, alla luce del mistero dell’incarnazione, vengono messi in relazione analoga tra loro − in ciò che li collega e ciò che li distingue −, allora si potrà riprendere il pensiero di Lutero e formulare la fede cattolica, evitando qualsiasi inutile controversia teologica, con la seguente definizione fornita dal Concilio Vaticano II:

“Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16). Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica” (LG 8).

Nel senso strettamente evangelico-luterano, la Chiesa cattolica non può essere riconosciuta come la Chiesa, ma soltanto come una comunità ecclesiastica tra tante altre. Un’unità complessiva che abbraccia tutti i cristiani in una Chiesa visibilmente unica, nella forma in cui, cattolicamente parlando, essa si presenta grazie alla sua sacramentalità quale conseguenza del carattere incarnato della sua istituzione, non è necessario per la salvezza, seppure, per motivi pragmatici, altamente augurabile (“il Papa come portavoce della cristianità”, ma non come testimone di Cristo e perciò principio perpetuo dell’unità della Chiesa in Cristo).[8] Ed è per questo che, nonostante i contrasti nella professione e nell’ordinamento delle comunità ecclesiali conclamate, ci può essere una “diversità riconciliata” – se solo si ha l’unione con Cristo e cioè la comunione dei santi, grazie alla comunione nella predicazione, nel battesimo e nell’eucaristia.

Nel senso cattolico il termine “Chiesa” non è un termine generale applicato o negato per definitionem a delle concrete comunità ecclesiali. La “Chiesa” è sempre quella specifica comunità identificabile dalla sua storicità e dai suoi tratti essenziali, che riconduce le sue origini a Cristo, la Parola incarnata. L’attestazione della sua identità e continuità storica fa parte del suo essere, ed è questo che caratterizza la Chiesa in senso proprio.

Da lì si può anche definire il suo rapporto con altre chiese con vera successione apostolica e comunità ecclesiali che non hanno vescovi validamente ordinati. Essa cerca la piena comunità attraverso il ristabilimento dell’unità nella professione di fede, nelle essenziali forme sacramentali del culto divino e della mediazione salvifica, nonché nella base apostolica del suo magistero. Il Concilio Vaticano II ai cristiani che, senza colpa propria, non sono cattolici, riconosce molto chiaramente non solo l’unione con Cristo nella fede, nella speranza e nella carità; e, nonostante tutte le differenze nella comprensione e nella dimensione dei mezzi salvifici, il Concilio riconosce anche alle altre comunità ecclesiali il rango di strumento della salvezza (cfr. UR 3). Ed è per questo che, sul piano della visibilità, soprattutto nel sacramento battesimale, esiste ancora un’unità della Chiesa e una comunità visibile dei cristiani come membra dell’unico Corpo di Cristo, anche se la communio non è completa e mira alla sua piena unione visibile nella Chiesa sacramentale.

La comprensione cattolica dell’ecumenismo e della riforma della Chiesa non vuole ristabilire lo status quo ante 1520, ma non può neanche accettare il paradigma di un processo di pluralizzazione necessario dal punto di vista della storia del pensiero, che si approprierebbe dello status quo delle chiese, che per istituzione e confessione sono diverse, il che tradirebbe un’opposizione totale alla volontà di Cristo, in cui l’unità, la santità, la cattolicità e l’apostolicità della Chiesa di cui lui è il Capo hanno il loro fondamento. La meta che si vuole raggiungere non è la diversità riconciliata − con l’accento sulla diversità che rimane −, ma la riconciliazione dei contrasti in una più profonda communio in Cristo: Unus et totus Christus, caput et membra. Il Concilio, avendo ricordato con gratitudine la molteplicità dei legami di unità con le chiese non-cattoliche, continua così:

“Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa” (LG 15). I mezzi salvifici disponibili al di fuori della communio, però, non devono indurci a non considerare più la piena comunione della Chiesa visibile istituzionale come meta dell’ecumenismo, in quanto, secondo la comprensione cattolica, l’unità della Chiesa non deve essere costruita dagli uomini e dai loro compromessi e negoziati, ma essa si è già realizzata nell’unità con il Papa e i vescovi. Questo riguarda la completezza dei mezzi di salvezza, ma non la vita spirituale e morale dei cattolici, vita che può prendere delle forme ancora più esemplari nelle comunità di cristiani non-cattolici.

Costatando la colpa umana nella divisione tra cattolici e protestanti, Möhler definisce ciò che è la meta dell’ecumenismo: la riconciliazione dei cristiani e l’unità della Chiesa: “Questo è anche il luogo in cui un giorno cattolici e protestanti si incontreranno in grande massa, dandosi la mano. Tutti e due, consapevoli della loro colpa, dovranno esclamare: Abbiamo tutti peccato, solo lei [la Chiesa] è immacolata sulla terra. E poi, a questa aperta ammissione della colpa comune seguirà una grande festa di riconciliazione!”.[9]

500 anni di Riforma e divisione della Chiesa – nessun motivo per trionfalismi da parte dei protestanti o rinnovamento di sentimenti di inferiorità da parte cattolica. Fino al 2017 dovremmo tutti essere diventati più evangelici e più cattolici, nel senso del rinnovamento in Cristo e di una penitenza e riconciliazione comune.

È questa la riforma della Chiesa che si realizzerà non tramite noi, ma dentro di noi.


 

[1] Cfr. Diarmond MacCulloch, Reformation: Europe's House Divided 1490–1700, Penguin UK 2003.

[2] Cfr. Charles Taylor, A secular age, Harvard University Press 2007.

[3] Sant`Ireneo, Adversus haer. IV,34,1.

[4] Cfr. S.Th I, q. 8 ad 2.

[5] Cfr. Albert Ehrhard, Der Katholizismus und das zwanzigste Jahrhundert im Lichte der kirchlichen Entwicklung der Neuzeit, Stoccarda e Vienna 1902.

[6] Martin Lutero, De captivitate babylonica: WA 6,560.

[7] Möhler, Symbolik, §48.

[8] Cfr. CA 7, dove con tradizioni umane non si intendono forme secondarie, ma si escludono i mezzi salvifici ritenuti, da parte cattolica, necessari per la salvezza e anche la sacramentalità della Chiesa.

[9] Möhler, Symbolik, §37.


[Modificato da Caterina63 21/10/2017 11:07]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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I Cattolici sono Cooperatoris Veritatis non discepoli di Lutero

Vogliamo ritornare sull’argomento già affrontato da altre tastiere più forti della nostra come quella della Bussola Quotidiana, vedi qui, altri hanno ricordato il florilegio pervertito di Lutero contro il Papato e la Chiesa tutta, vedi qui; il domenicano Padre Coggi ha scritto un libro interessante per capire come Lutero ha sbagliato, vedi qui; e ancora parlammo qui del chiarimento che Lutero non fu riformatore ma rivoluzionario…. ed infine anche il domenicano Padre Riccardo Barile, vedi qui,disse chiaramente: “Ferma restando la necessità del dialogo ecumenico, è però importante rendersi conto che non è vero che tra cattolici e luterani ci unisce la fede e ci dividono solo delle interpretazioni teologiche. È vero invece che sui sacramenti, l’Eucarestia, l’approccio alle Scritture, il ministero sacerdotale, la Messa come sacrificio, la Madonna è proprio la fede che ci divide…”

Dunque: è proprio la fede che ci divide, ma per il segretario della CEI sembra piuttosto che lo Spirito Santo abbia invece “illuminato” Lutero. Se bestemmia non è ci è andato molto vicino, è stato sacrilego e profanatore, di certo è un grave scandalo l’affermazione di Galantino a riguardo, laddove ha detto che “la riforma di Lutero fu un evento dello Spirito Santo!”

E allora delle due una, non si scappa: o lo Spirito Santo si diverte a confondere la Chiesa, i Papi, i Dottori della Chiesa, i Santi, il gregge…. oppure Galantino non ha capito nulla ed usa la sua posizione per imporre un pensiero che non è cattolico. Disse Paolo VI (ora beatificato) allo scrittore ed amico Guitton:

«C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?”. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta  il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».

Per comprendere perché noi cattolici non possiamo assolutamente accettare la rivoluzione di Lutero, è presto spiegato nella famosa Mortalium Animos di Pio XIscritta proprio per difendere la vera Fede di Gesù Cristo e in Gesù Cristo, dalle contaminazioni protestantiLutero non ha nulla da insegnare ai Cattolici, checché ne dicano – erroneamente – tanti pastori oggi! L’unica cosa di utile che possiamo riscontrare – e ricavare – da questo “ecumenismo” (se fatto come Dio comanda) è il fatto che abbiamo l’opportunità di riconoscere autentica la Fede della Chiesa nei Sacramenti, nell’antropologia e nell’umanesimo autentico, possiamo capire che la Chiesa aveva ragione ad opporsi alle prepotenze dottrinali di Lutero.

Se mons. Galantino avesse ragione allora farebbe bene a spretarsi, tanto per essere coerente con il rivoluzionario Lutero! Se Galantino avesse ragione allora nessuno di noi dovrebbe obbedire al Pontefice o al Catechismo della Chiesa, nessuno dovrebbe più andarsi a confessare, nessuno avrebbe più DEI DOVERI, perché varrebbe l’idea di Lutero sulla salvezza che non prevede la Grazia santificante, non prevede il libero arbitrio degli uomini e dunque, diceva: “pecca fortiter”…. “pecca fortemente ma ogni giorno che passa abbi sempre piu’ fede in Dio !” che per Lutero, incapace di vivere la continenza del celibato, significava che la salvezza non dipende dai tuoi sforzi, perché “l’uomo è incapace di non peccare“, perciò è sufficiente il Sola Fide.

A ben vedere, effettivamente, ci sembra sia proprio questa la strada intrapresa dalla Chiesa di oggi. Le discussioni sull’Amoris laetitia, sul peccato, sul sesto comandamento, sembrano indirizzare – questa nuova pastorale – verso una RASSEGNAZIONE senza precedenti nei confronti della debolezza degli uomini. Lutero si rassegnò al suo peccare, ma anziché vivere di penitenza e di remissione verso Dio, si preoccupò di trovare nelle Scritture un qualche appiglio per poter giustificare le sue debolezze. Così nasce uno dei documenti dottrinali più inquietanti, quello sulla GIUSTIFICAZIONE nel quale Lutero nega all’uomo una liberà volontà, gli nega il libero arbitrio ed avanza sul sentiero perverso della predestinazione che poi Calvino porterà a compimento.

E’ lana caprina quella di quanti cercano di affermare che non fu Lutero, ma Calvino il grande briccone rivoluzionario!!! Senza dubbio Calvino, porterà alle estreme conseguenze la rivoluzione di Lutero, tanto è vero che il calvinismo e il luteranesimo prenderanno due strade non opposte ma parallele, come a dire che il discepolo Calvino, aveva superato il maestro. Oggi poi è così comodo gettare tutte le colpe addosso Calvino, dal momento che il calvinismo è pressoché scomparso… mentre il luteranesimo, per quanto in forte crisi, è comunque sia sempre alle fondamenta di tutto il movimento Protestante che oggi si chiama “evangelico”… il lupo cambia il pelo e pure il nome, ma non il vizio!

Le affermazioni profane e sacrileghe di Galantino ci riportano così a quel “pecca fortiter”…. non a caso infatti, questa chiesa di oggi filtra, senza affermazioni dottrinali ma solo pastorali (sic!) una certa compiacenza con l’uomo peccatore, ossia con il suo peccare senza spingerlo alla conversione: “pecca uomo, pecca fin che puoi – sembrano dire questi pastori – tanto Dio è misericordioso! Lo Spirito Santo ha illuminato Lutero…” e così vorrebbero salvare capre e cavoli, avere la botte piena e la moglie ubriaca.

E se nel 1977 Paolo VI affermava che sui “libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, gli episcopati tacciano…”, oggi sono andati ben oltre non solo tacendo nel difendere la Verità, ma come Galantino afferma, li appoggiano, li fanno propri, li scrivono loro stessi riempiendoli di ogni possibile eresia, si veda quied anche qui per capire come, tutto ciò, era stato profetizzato dal Patriarca di Venezia nel 1883.

Ratzinger lo aveva capito bene, lo denunciò e non cambiò mai parere: «Chi oggi parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista…» (Rapporto sulla Fede del 1984, cap.11 Fratelli ma separati).

Caro mons. Galantino, tra noi Cattolici e Luterani è proprio la FEDE che ci divide!

Ci vengono a mente le parole meste del Signore Gesù: «Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc.18,8) “Gratia facit fidem“, dice san Tommaso d’Aquini: la grazia crea la fedeNON UN FEDE QUALSIASI, attenzione, e non soltanto quando la fede inizia, ma la grazia crea la fede istante per istante, momento per momento DISCIPLINANDOLA AL VOLERE DEL CRISTO, partendo però dalla CONVERSIONE e non da un ribaltamento dell’identità del Cristo come fece Lutero e come fa oggi Galantino affermando che lo Spirito Santo avrebbe sostenuto così Lutero nelle sue farneticazioni contro la Grazia ed altro. A questa fede fa eco la bellissima Lettera di Giacomo, una di quelle che Lutero voleva eliminare perché non rispondeva alle sue esigenze di peccatore:

Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà…” (Gc.4,1-10), un programma del tutto ostico a Lutero ieri, e a Galantino oggi…

Lutero non sopportava la sottomissione, non sopportava la penitenza, il piangere per i propri peccati, l’umiliarsi davanti a Dio, non digeriva il concetto della CONVERSIONE, di conseguenza arriverà a stravolgere non solo il Peccato originale ma anche l’essenza stessa del peccato e del peccare, proprio ciò che sta accadendo oggi nella nuova pastorale cattolica.

Come possiamo reagire?

Intanto se dovessimo dare corrispondenza al sacrilegio di Galantino, per seguire Lutero, allora per coerenza non dovremmo obbedire ad alcun vescovo, ne a lui e neppure al Papa! Ma noi non siamo protestanti, non siamo luterani e per quanto queste affermazioni di un vescovo ci feriscono, ci fanno male, ci fanno soffrire, noi resteremo Cattolici PER GRAZIA DIVINA! Perciò non obbediremo a Galantino, ma continueremo nell’abbraccio filiale ed obbediente al Sommo Pontefice, obbedienza a quel DEPOSITUM FIDEI che egli stesso è chiamato a conservare intatto e a trasmettere.  Non possiamo sceglierci noi fede o dottrine, il Papa, un’altra Chiesa, non esiste…. ma abbiamo LA CHIESA una, santa e cattolica che – guidata dal vero ed unico Spirito Santo – ha parlato per mezzo di Lei e tutto è stato sigillato in quello che chiamiamo IL CATECHISMO, la dottrina, il Deposito della Fede per mezzo della viva Tradizione, non abbiamo altro e non ci serve altro se non di studiarlo esserne coerenti e metterlo in pratica. Ci serve di esercitare le virtù della pazienza, dell’umiltà, della tenacia, con mitezza e spirito di carità, ma anche fermezza, scaltrezza, audacia, PERSEVERANZA.

Ricorda che:

Disse Paolo VI all’Udienza generale del 19 gennaio 1972: “Noi possiamo allora comprendere perché la Chiesa cattolica, ieri ed oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione (..) e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1Tim. 6,20; 2Tim. 1,14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; ed a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Act. 4, 20).” (vedi qui).

Laudetur Jesus Christus





EDITORIALE

A leggere che secondo il vescovo Galantino la Riforma fu “un evento dello Spirito Santo” viene subito da pensare che lo Spirito Santo allora si contraddice. Siccome questo non è possibile, non rimane che ritenere l’affermazione molto temeraria. Affermazioni simili sono oggi molto frequenti ed è importante chiederci da dove provengano.

L’essenza della posizione di Martin Lutero è la riduzione della fede ad atto di fede. Nella fede non ci sono contenuti, verità cui aderire, ma ciò che conta è l’affidarsi, senza ragioni, a Cristo, fidandosi che lui coprirà con un mantello tutte le nostre colpe. Per la religione cattolica non è così. La fede ha due versanti, quello dell’atto soggettivo del credere e quello oggettivo delle verità cui ai aderisce con la fede per l’autorità di Dio che ce le ha rivelate. E’ la fides qua e la fides quae. Quella cattolica non è una fede cieca, è l’adesione al dogma. La fede di Lutero invece è solo atto senza dogmi.

Perché ricordo questo aspetto? Perché il fatto che Lutero sia stato spinto dall’amore di Dio, o dalla “passione per Dio” - come si intitolava il convegno alla Lateranense ove mons. Galantino ha fatto il suo intervento – dice poco di significativo dal punto di vista cattolico. Passione per quale Dio? La passione è solo il polo soggettivo della fede come atto, manca il polo oggettivo delle verità credute, ossia dei dogmi. Accettare come valida questa impostazione fondata sulla sola “passione per Dio” significa già accettare l’impostazione luterana. E che dialogo ci può essere se si accetta fin da subito la posizione dell’altro con cui si vorrebbe dialogare?

Celebrando questo 500mo anniversario della Riforma luterana, la Chiesa cattolica ha fatto spesso questo errore di impostazione iniziale: spostare l’attenzione dalla dottrina alle “intenzioni” di Lutero, ossia dai contenuti della fede all’atto di fede. Tutti vedono che in questo modo si sposa già fin dall’inizio la posizione luterana e la si fa propria. Nella fede luterana è centrale la coscienza, dato che non interessa tanto Cristo in sé, quanto Cristo per me, il Cristo della fede e non il cristo della Storia. Il Padre Coggi dei domenicani di Bologna ce lo ha spiegato molto bene. La fede per Lutero non è conoscenza ma esperienza soggettiva, fatta in coscienza al cui interno si consuma il rapporto io-Tu tra il credente e Dio. Se, quindi, la Chiesa cattolica si concentra sulla coscienza del monaco Lutero piuttosto che sulla dottrina luterana rinuncia alle proprie esigenze già in partenza, accettando la validità di una fede senza dogmi. Le intenzioni di Lutero non contano se non per una ricostruzione storica o psicologica. Contano le cose da lui scritte e formalizzate nella dottrina della Riforma. Contano le cose da lui scritte contrarie alla verità della fede cattolica.

L’idea oggi prevalente è che le intenzioni di Lutero erano buone ed ispirate dallo Spirito Santo, mentre poi la cose presero una strada diversa, complici anche le chiusure della Chiesa cattolica. Bisognerebbe quindi recuperare le buone intenzioni degli inizi e usufruirne anche per una riforma del cattolicesimo stesso. Si è anche detto in questi giorni che Lutero avrebbe addirittura anticipato il Vaticano II, richiamando l’attenzione sul Vangelo. E rieccoci all’atto senza i contenuti. Aver proposto la salvezza per Sola Scriptura è stato un grave errore e non un merito, in quanto l’attenzione al Vangelo, dal punto di vista cattolico, senza la dovuta attenzione alla Tradizione e al Magistero non è cosa da apprezzare. Se il Vaticano II fosse stato influenzato da un’eresia, come si dice in questo caso, ne deriverebbe un inquinamento dello stesso Concilio dalle proporzioni devastanti.

Sia sostenendo che la Riforma è stata un dono dello Spirito Santo, sia dicendo che la valorizzazione luterana del Vangelo ha anticipato il Vaticano II, si insiste solo ed eventualmente sulle “intenzioni” e non sui contenuti. Ma insistendo solo sulle intenzioni di coscienza sparisce completamente il concetto di eresia. Uno non è eretico per le sue intenzioni ma per quanto ha detto di contrario al dogma. E da questo punto di vista Lutero è stato un eretico, quali che fossero le sue intenzioni. Faccio notare che se sparisce il concetto di eresia sparisce anche quello di dogma.

L’altro aspetto della strategia della Chiesa cattolica in questo 500mo anniversario della Riforma protestante è quello di fare un pezzo di strada insieme, cioè di fare delle cose insieme puntando sulla prassi più che sulla dottrina. Anche questo obiettivo lo si persegue meglio non tenendo conto della dottrina luterana ma delle cosiddette buone intenzioni del monaco Lutero. Depurando la fede dai suoi contenuti e soffermandosi sul suo essere un atto personale  si pensa di camminare meglio insieme. Ma per andare dove? Verso quale Cristo? Verso quale salvezza? L’atto di fede preso in se stesso è cieco, sono i contenuti a dargli la luce. Anticipare la prassi rispetto alla dottrina è un’altra concessione fatta in partenza alla posizione luterana.

C’è infine l’aspetto forse più inquietante della questione. Incentrarsi sulla fede come atto, ossia sulla coscienza e sulla prassi piuttosto che sui contenuti e sulla dottrina, potrebbe voler dire maturare insieme una nuova autocoscienza credente (come direbbe Hegel), ossia vedere insieme i contenuti in un modo nuovo. L’eresia sarebbe allora uno stimolo indispensabile all’evoluzione dialettica del dogma. Ma questa sarebbe una concessione all’evoluzione del dogma all’interno dell’autocoscienza dei credenti completamente fuori della visione cattolica, anche se certamente compatibile con la confessione protestante.

   



«Quella di Lutero? Non fu riforma, ma rivoluzione»

Il cardinale Müller

Non bisogna confondere il desiderio di camminare verso l'unità con i cristiani non cattolici con ciò che è successo 500 anni fa e che ha avuto effetti disastrosi.  Dal punto di vista della dottrina della Chiesa, quello di Lutero fu un cambiamento totale dei fondamenti della fede cattolica. E non fu opera dello Spirito Santo, ma contro lo Spirito Santo.

C’è grande confusione oggi nel parlare di Lutero, e bisogna dire chiaramente che dal punto di vista della teologia dogmatica, dal punto di vista della dottrina della Chiesa non fu affatto una riforma, ma una rivoluzione, cioè un cambiamento totale dei fondamenti della fede cattolica. Non è realistico sostenere che la sua intenzione fosse solo di lottare contro alcuni abusi delle indulgenze o contro i peccati della Chiesa rinascimentale. Abusi e azioni cattive sono sempre esistite nella Chiesa, non solo nel Rinascimento, e anche oggi ci sono. Siamo la Chiesa santa a causa della Grazia di Dio e dei sacramenti, ma tutti gli uomini di Chiesa sono peccatori, tutti hanno bisogno del perdono, della contrizione, della penitenza.

Questa distinzione è molto importante. E nel libro scritto da Lutero nel 1520, “De captivitate Babylonica ecclesiae”, appare assolutamente chiaro che Lutero ha lasciato dietro di sé tutti i principi della fede cattolica, della Sacra Scrittura, della Tradizione apostolica, del magistero del Papa e dei Concili, dell’episcopato. In questo senso ha stravolto il concetto di sviluppo omogeneo della dottrina cristiana, così come spiegato nel Medioevo, arrivando a negare il sacramento quale segno efficace della grazia che vi è contenuta; ha sostituito questa efficacia oggettiva dei sacramenti con una fede soggettiva. Qui Lutero ha abolito cinque sacramenti, ha anche negato l’Eucarestia: il carattere sacrificale del sacramento dell’Eucarestia, e la reale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Gesù Cristo. E ancora: ha definito il sacramento dell’ordine episcopale, il sacramento dell’ordine, una invenzione del Papa - definito l’Anticristo - e non parte della Chiesa di Gesù Cristo. Noi diciamo invece che la gerarchia sacramentale, in comunione con il successore di Pietro, è elemento essenziale della Chiesa cattolica, non solo un principio di una organizzazione umana.

Per questo non possiamo accettare che la riforma di Lutero venga definita una riforma della Chiesa in senso cattolico. Quella cattolica è una riforma che è un rinnovamento della fede vissuta nella grazia, nel rinnovamento dei costumi, dell’etica, un rinnovamento spirituale e morale dei cristiani; non una nuova fondazione, una nuova Chiesa.

È perciò inaccettabile affermare che la riforma di Lutero «fu un evento dello Spirito Santo». È il contrario, fu contro lo Spirito Santo. Perché lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conservare la sua continuità tramite il magistero della Chiesa, soprattutto nel servizio del ministero Petrino: su Pietro solo Gesù ha fondata la Sua Chiesa (Mt 16,18) che è «la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» ( 1Tim 3,15). Lo Spirito Santo non contraddice se stesso.

Si sentono tante voci che parlano troppo entusiasticamente di Lutero, non conoscendo esattamente la sua teologia, la sua polemica e gli effetti disastrosi di questo movimento che ha rappresentato la distruzione dell’unità di milioni di cristiani con la Chiesa cattolica. Noi possiamo valutare positivamente la sua buona volontà, la lucida spiegazione dei misteri della fede comune ma non le sue affermazioni contro la fede cattolica, soprattutto per quel che riguarda i sacramenti e la struttura gerarchica-apostolica della Chiesa.

Non è corretto neanche affermare che Lutero aveva inizialmente buone intenzioni, intendendo con ciò che fu poi l’atteggiamento rigido della Chiesa a spingerlo sulla strada sbagliata. Non è vero: Lutero aveva sì intenzione di lottare contro il commercio delle indulgenze, ma l’obiettivo non era l’indulgenza come tale ma in quanto elemento del sacramento della penitenza.

Non è neanche vero che la Chiesa abbia rifiutato il dialogo: Lutero ebbe prima una disputa con Giovanni Eck, poi il Papa inviò come legato il cardinale Gaetano per dialogare con lui. Si può discutere sulle modalità ma quando si tratta della sostanza della dottrina, si deve affermare che l’autorità della Chiesa non ha commesso errori. Altrimenti si deve sostenere che la Chiesa ha insegnato per mille anni errori nella fede, quando sappiamo – e questo è elemento essenziale della dottrina – che la Chiesa non può errare nella trasmissione della salvezza nei sacramenti.

Non si deve confondere sbagli personali, i peccati delle persone della Chiesa con errori nella dottrina e nei sacramenti. Chi lo fa crede che la Chiesa sia solo una organizzazione fatta di uomini e nega il principio che Gesù stesso ha fondato la sua Chiesa e la protegge nella  trasmissione della fede e della Grazia nei sacramenti tramite lo Spirito Santo. La Sua Chiesa non è un’organizzazione solo umana: è il corpo di Cristo, dove c’è la infallibilità del Concilio e del Papa in modalità precisamente descritte. Tutti i concili parlano della infallibilità del magistero, nella proposizione della fede cattolica. Nella confusione odierna in tanti sono arrivati invece a capovolgere la realtà: ritengono il papa infallibile quando parla privatamente, ma poi quando i papi di tutta la storia hanno proposto la fede cattolica dicono che è fallibile.

Certo, sono passati 500 anni, non è più il tempo della polemica ma della ricerca della riconciliazione: non però a costo della verità. Non si deve fare confusione. Se da una parte dobbiamo saper cogliere l’efficacia dello Spirito Santo in questi altri cristiani non cattolici che hanno buona volontà, che non hanno commesso personalmente questo peccato della separazione dalla Chiesa, dall’altra non possiamo cambiare la storia, ciò che è successo 500 anni fa. Una cosa è il desiderio di avere buone relazioni con i cristiani non cattolici di oggi, al fine di avvicinarci a una piena comunione con la gerarchia cattolica e con l’accettazione anche della tradizione apostolica secondo la dottrina cattolica; un’altra cosa è l’incomprensione o la falsificazione di ciò che è successo 500 anni fa e dell’effetto disastroso che ha avuto. Un effetto contrario alla volontà di Dio: «...Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anche essi in noi, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gio 17, 21).








[Modificato da Caterina63 24/10/2017 15:50]
Fraternamente CaterinaLD

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23/10/2017 22:24
 
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IL SOMMO PONTEFICE AD ALTA QUOTA: MARTIN LUTERO «ERA INTELLIGENTE». CERTO, COME LO ERA ANCHE JACK LO SQUARTATORE

Anche il famoso serial killer noto come Jack lo Squartatore era sicuramente intelligente, n’è prova il fatto che il meglio della polizia diScotland Yard non riuscì mai a scoprire chi fosse e tutt’oggi la sua identità è avvolta nel mistero. Sebbene sulla sua intelligenza si potrebbe discutere, analizzando la cosa da altra angolatura. Così come si dovrebbe discutere sul fatto che non è da cristiani veramente intelligenti cadere nell’eresia e distruggere la Chiesa, per cui, come era ovvio, Lutero non ha saputo dare alcuna giustificazione intelligente e plausibile dei danni che ha fatto.

Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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In uno dei nostri colloqui privati, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo è tornato a esprimermi una sua convinzione: «Pare che il Sommo Pontefice tenda a dare il meglio di sé in aereo, ad alta quota, parlando coi giornalisti». Detto questo ha espresso altre sue personali teorie legate alla «ossigenazione del cervello», sulle quali sorvolo. In verità fu ad alta quota, intervistato da un giornalista durante il viaggio di ritorno dall’Armenia, che il Santo Padre ha espresso a braccio alcune opinioni sue personali su Lutero, prive di qualunque valore magisteriale, alcune certamente notevoli, altre del tutto discutibili, perché in parte contrastanti con quanto il Magistero della Chiesa ha già espresso su Lutero, soprattutto con Leone X e il Concilio di Trento [la risposta del Santo Padre è registrata QUI dal minuto 30,53 — N.d.R. In questo filmato si noti a destra il volto di Padre Federico Lombardi s.j. che alla domanda rivolta dal giornalista al Santo Padre «… se non è arrivato il momento di ritirare la scomunica a Martin Lutero», si mette a sorridere. Poi, durante la risposta data del Santo Padre, fin quando non è distolta l’inquadratura da lui, la sua faccia e tesa come una corda d’arco. D’altronde, nel mondo dell’immagine, nel quale la Chiesa è voluta entrare a spron battuto e spesso anche in modo imprudente, le immagini parlano, inevitabilmente le immagini parlano].

Jack lo Squartatore a caccia di vittime …

Questo non vuol dire che l’idea della Chiesa su Lutero sia ferma a quei famosi interventi del XVI secolo, contenenti giudizi che non vanno corretti, ma integrati, utilizzando criteri di giudizio forniti del Concilio Vaticano II e tenendo conto dei risultati dell’attuale ecumenismo, come laDichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani, del 31 ottobre 1999, il quale, peraltro, ricordiamo che è un organo semplicemente consultivo della Santa Sede, che come tale non fa magistero [1],tanto per essere chiari.

Prima di commentare le parole del Papa, credo sia bene premettere una breve presentazione dello status quaestionis. Nell’impresa di Lutero giocano due fattori fondamentali, caratteristici della spiritualità agostiniana: il problema del proprio personale rapporto con Dio e la cura del bene della Chiesa. Mentre però Agostino è riuscito a mettere come cardine della sua spiritualità lo amor Dei usque ad contemptum sui, Lutero fu sempre tentato dall’amor sui usque ad contemptum Dei. Egli così cercò la soluzione non nella carità, ma nella sua fede fiduciale:  Dio mi salva nonostante il mio peccato. Sant’Agostino gli avrebbe detto: vis fugere a Deo? Fuge in Deum! In Lutero invece la fede in Dio prende il posto dell’amore di Dio.

A questi temi si aggiunge una forte attrazione per il Cristo di San Paolo Apostolo che «ha dato se stesso per me» [Gal 2,20], tema questo carissimo, a tutta la spiritualità medioevale, soprattutto francescana e domenicana.

Lutero, inizialmente tormentato, irritato, angosciato e spaventato da una coscienza esagerata dei propri peccati e della sua fragilità, da un’eccessiva esigenza di perfezione e dall’idea di un Dio inesorabilmente severo, con lui adirato e minaccioso, credette di risolvere il suo insopportabile dramma interiore con la famosa dottrina della fede fiduciale, o giustificazione forense, per la quale egli si convinse irremovibilmente per tutta la vita che Dio non avrebbe tenuto conto dei suoi peccati e lo avrebbe salvato, a patto soltanto che egli credesse questo, senza preoccuparsi dei peccati, che gli sarebbero sempre stati comunque perdonati. Si trattava in sostanza dell’incapacità di praticare serenamente il sacramento della penitenza, che a lui appariva una tortura, un’umiliazione ed un esercizio inutile, a causa del suo orgoglioso perfezionismo, per il quale non sopportava di doversi accusare sempre degli stessi peccati.

Lutero credette che la fede fiduciale fosse un atto di grande umiltà davanti a Dio, in quanto si riconosceva peccatore, affermava l’inutilità ed anzi l’impossibilità delle opere buone e si convinceva che nell’opera della giustificazione il Dio «misericordioso» faceva tutto, mentre lui non aveva niente da fare, per cui poteva tranquillamente continuare a peccare, che del resto non avrebbe potuto fare a meno, dato che confondeva la permanente tendenza a peccare ― “concupiscenza” ― col peccato. Per questo, decise di smettere di confessarsi, giacché era convinto di essere sempre in grazia, benché sempre immerso ― come egli credeva ― nel peccato mortale. Invece la vera umiltà è quella di riconoscere che le opere buone sono doverose, possibili e necessarie, benché non sufficienti, ed insieme con i conseguenti meriti esse sono doni di Dio.

Il grande dramma di Lutero, non era però ancora cominciato, perché egli, soprattutto come religioso e sacerdote, ed anche per un’apertura naturale del suo animo ― suo padre voleva indirizzarlo all’avvocatura ―, non sentiva solo il bisogno di curare la propria salvezza, ma anche quella degli altri e il bene della Chiesa. E difatti i suoi Superiori nell’Ordine notarono subito queste attitudini e ben presto gli affidarono numerosi incarichi, soprattutto quello dell’insegnamento della teologia.

L’idea della fede fiduciale che Lutero considerava però come basata sull’umiltà e la fiducia nella misericordia di Dio, aveva messo tali radici nel suo animo sottilmente superbo [2], che egli la sosteneva come fosse vera Parola di Dio e la scoperta del vero Vangelo.

Lutero possedeva un carattere molto attivo ed energico, generoso ma anche autoritario, capace di grandi sforzi e fatiche nelle opere esterne, nel contempo debole nel dominio delle passioni. La sua ben nota  tesi dell’inutilità delle “opere” non va intesa in senso quietistico, come fece Molinos, ma si riferisce al rifiuto della disciplina ascetica, non all’occuparsi del bene del prossimo, dove Lutero invece spese molte energie e sapeva raccogliere collaboratori e seguaci. Da qui nasce il suo intento riformatore, sebbene questo suo attivismo e questo zelo spesso duro e violento non nasceva, a differenza da Sant’Agostino e di tutti i veri riformatori, da un’ardente carità divina, quindi da un’autentica motivazione soprannaturale ― quello che Santa Caterina da Siena chiamava «ardentissimo desiderio» ―, ma del suo eccezionale dinamismo naturale e dalla sua convinzione di essere giustificato dalla fede fiduciale.

Quindi non si trattava di vera carità fraterna,che sgorga dalla carità divina, o di vero servizio a Dio e al prossimo, ma ― senza probabilmente che se ne rendesse conto ―, di bisogno o impulso di autoaffermazione e di dominio sugli altri. E così la suddetta arbitraria e presuntuosa idea di essere giustificato gli procurò un’eccessiva sicurezza di sé e la cocciuta convinzione che Dio fosse sempre in lui e con lui, tanto da avere ad un certo punto l’audacia, lui, eretico, di accusare di eresia Papa Leone X che aveva “osato” censurarlo. In tal modo Lutero avocò a sé quell’infallibilità nell’interpretazione della Scrittura, che Cristo concesse a Pietro; e come ben capite, questo, non ha proprio nulla a che vedere con l’umiltà.

La svolta tragica nella vita di Lutero avviene quando egli rompe col Papa a proposito della questione della giustificazione, attorno al 1518-19. Fino a quel momento egli accetta la Chiesa nella sua divina essenza e, con le famose 95 tesidel 1517, è mosso dall’intento di riformarla, liberarla dalla mondanità, purificarla, ritrovare il Vangelo originario, togliere le incrostazioni e gli appesantimenti, gli elementi inutili e gli intralci, correggere i costumi, combattere i vizi, incrementare la virtù e lo studio della Parola di Dio, formare le coscienze, ridar loro slancio e fervore. Alcune delle idee di Lutero di questo periodo sarebbero state fatte proprie dalla riforma avviata dal Concilio Vaticano II, ma ovviamente in tutt’altri modi e termini dottrinali e pastorali.

storico ritratto di Martin Lutero

Quando però il Papa gli condanna la sua idea della giustificazione con la famosa bolla Exsurge Domine del 1520, esplode nell’animo di Lutero un vero furore contro il Papa e in generale contro il Magistero della Chiesa, che d’ora innanzi egli sente come sommo impostore, falsificatore del Vangelo, oppressore della libertà del cristiano e della Chiesa, servo del Demonio.

L’idea di riformare la Chiesa si trasforma così in distruzione della Chiesa: Lutero perde la percezione di ciò che può essere cambiato e ciò che dev’essere conservato e si mette a togliere o cambiare elementi essenziali. Da notare che adesso la sua istanza di fondo è una vantata o millantata istanza di verità e non soltanto e non principalmente una semplice riforma dei costumi o delle istituzioni. Egli solo sa e ha trovato o ritrovato, contro le menzogne del Papa, come si interpreta la Scrittura, qual è il vero insegnamento di San Paolo, che cosa è la fede, qual è il vero Vangelo, come si acquista la salvezza, che cosa è la Chiesa.

Fino al 1517 Lutero accetta la verità della Chiesa e la vuole solo riformare. Dal 1520, egli comincia a demolire la Chiesa, convinto di sapere lui qual è la vera Chiesa. Non più una ri-forma, ma una de-forma. Fu l’inizio della catastrofe. Per questo bisognerebbe andarci molto cauti ― come più volte da noi spiegato in numerosi articoli su questa nostra Isola di Patmos ―, a chiamare quella di Lutero e quella luterana “riforma”.

il grande squarcio di Lutero lo Squartatore

Ritenendosi infine libero dal controllo del Magistero della Chiesa interprete indiscutibile della Rivelazione, direttamente ispirato dallo Spirito Santo, Lutero finisce col divenire una fucina di eresie e le enormità si susseguirono in lui, una dietro all’altra, per il resto della sua vita, come un torrente in piena, incontrando notevole successo fino ai nostri giorni. Non sto qui ad elencarle, tanto esse sono note da cinque secoli. Tra i luterani, alcuni errori sono stati corretti, altri sono peggiorati. Fa però piacere il fatto che, anche a seguito delle attività ecumeniche, alcune frasi di Lutero, accostate da alcuni esegeti cattolici [3] con maggiore attenzione critica, hanno mostrato, al di là dell’espressione infelice, la loro intenzione ortodossa.

Volendo fare un bilancio della cosiddetta “riforma” luterana, lasciamo a Dio il giudizio sulle intenzioni intime di Lutero e stando invece alle sue intenzioni esplicite e dichiarate, stando a ciò che di fatto Lutero ha realizzato, stando ai risultati della sua “riforma”, stando al giudizio della Chiesa e della storia, al di fuori di ogni servile fanatismo e di ogni riprovevole demonizzazione, per dare una valutazione complessiva dell’opera di Lutero, bastano alcune semplici indiscutibili considerazioni accessibili a tutti, per dire con sicurezza, animo sereno e responsabile ― e questo è il giudizio più benevolo che si possa dare ― che la sua “riforma” ha fatto molto più male che bene.

la vittima di Lutero lo Squartatore: l’Unità della Chiesa

Prima considerazione. Vogliamo chiamarlo “riformatore”? Facciamolo pure, ma non senza tener conto del contrasto del personaggio Lutero con i veri riformatori santi, che hanno prodotto dei santi, molti canonizzati dalla Chiesa. Tanto per fare alcuni nomi noti a tutti:  San Benedetto da Norcia, Gregorio VII, San Pier Damiani, San Bernardo di Chiaravalle, Innocenzo III, San Francesco d’Assisi, San Domenico di Guzmán, Santa Caterina da Siena, il Servo di Dio Gerolamo Savonarola, Sant’Ignazio di Loyola. Per seguire con la grande Riforma operata dal Concilio di Trento in una stagione che è stata un grande fiorire di santi: Santa Teresa d’Avila, San Pio V, San Carlo Borromeo. Per seguire con i riformatori contemporanei: San Pio X, San Giovanni XXIII, la Riforma del Concilio Vaticano II che ha dato a sua volta vita a numerosi santi: il Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, San Pio da Pietrelcina, San Josemaria Escrivà de Balaguer, Santa Teresa di Calcutta … Sono tutti confronti illuminanti che non hanno bisogno di commenti.

Seconda considerazione. Se c’è voluto il Concilio di Trento per rimediare alla “riforma” di Lutero, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Basti pensare alle guerre di religione ed alla tragica divisione religiosa dell’Europa. La riforma tridentina ha prodotto frutti immensi di santità. Quale santità ha prodotto invece quella luterana?

il Concilio Vaticano II ha riconosciuto che alcune istanze di Lutero potevano essere valide, ma non ha mai negata la portata di tutti i suoi elementi altamente negativi e dannosi

Terza considerazione. Il Concilio Vaticano II ha promosso il riconoscimento degli aspetti validi della riforma di Lutero, senza ignorare però quelli negativi. I fratelli protestanti in dialogo, ne stanno tenendo conto?

Il Santo Padre, con parole che hanno fatto il giro del mondo, ha affermato:

«Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore».

Credo che giudicare delle intenzioni non è facile, ma in certi casi può essere possibile ed utile, soprattutto quando si tratta di valutare il pensiero e l’azione di personaggi famosi, molto studiati, che ci hanno lasciato molte testimonianze e molti documenti Ma questo è proprio il caso di Lutero, benché nella sua condotta e nei suoi scritti si trovino contraddizioni, oscurità ed ambiguità. Le intenzioni intime, morali, al limite sono note solo a Dio che può leggere la coscienza dell’uomo, ed all’interessato. Esistono però intenzioni comunicabili di un autore, che appaiono dalla loro espressione linguistica e comportamentale. Su questo piano non è storicamente vero dire che tutte le intenzioni di Lutero fossero giuste, perché le sue parole ed i suoi comportamenti provano invece l’esatto contrario. Tanto per fare alcuni esempi: non fu giusto l’intento di separarsi dalla Chiesa Romana. Non fu giusto l’intento di abolire il papato. Non fu giusto l’intento di abolire la gerarchia. Non fu giusto l’intento di abolire il Magistero della Chiesa. Non fu giusto l’intento di abolire la Messa e i Sacramenti. Non fu giusto l’intento di abolire l’adorazione eucaristica. Non fu giusto l’intento di abolire il culto dei santi. Non fu giusto l’intento di abolire la vita religiosa. E con tutto ciò, è molto importante notare che Lutero non ha distrutto la Chiesa completamente; altrimenti non sarebbe stato un eretico, ma un apostata. Così, nel luteranesimo, sono rimasti i dogmi fondamentali della fede: Dio Uno, la creazione, la provvidenza, l’uomo immagine di Dio, gli angeli, il dogma trinitario, l’Incarnazione, la Redenzione. E assieme a questa “memoria” è rimasta anche la struttura fondamentale della Chiesa: il battesimo, la grazia di Cristo, la salvezza, il popolo di Dio, i ministri, la Scrittura, il profetismo, i carismi dello Spirito, la preghiera, la Cena del Signore, l’etica cristiana. Tutti questi valori sono alla base dei rapporti ecumenici.

Il Santo Padre ha affermato:

«Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato».

Lutero ha squarciato l’Unità della Chiesa …

Forse andrebbe ben precisato che non si tratta solo di metodi ingiusti, ma anche di obbiettivi e di contenuti ingiusti o sbagliati, come quelli esposti sopra, che hanno trasformato la “riforma” in una distruzione, in una eresia che ha dato vita ad un drammatico scisma.

Il Santo Padre seguita dicendo:

«Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa». 

Anche il famoso serial killer noto come Jack lo Squartatore era sicuramente intelligente, n’è prova il fatto che il meglio della polizia di Scotland Yard non riuscì mai a scoprire chi fosse e tutt’oggi la sua identità è avvolta nel mistero. Sebbene sulla sua intelligenza si potrebbe discutere, analizzando la cosa da altra angolatura. Così come si dovrebbe discutere sul fatto che non è da cristiani veramente intelligenti cadere nell’eresia e distruggere la Chiesa, per cui, come era ovvio, Lutero non ha saputo dare alcuna giustificazione intelligente e plausibile dei danni che ha fatto. La vera intelligenza, è frutto dell’umiltà. L’eretico, di solito, è una persona intelligente, ma superba e manca di carità. Egli non ascolta l’avvertimento di San Paolo: «La scienza gonfia. La carità edifica» [I Co 8,2]. L’intelletto ci vuole, ma, come dice Dante, dev’essere un «intelletto d’amore». Infine, se davvero Lutero ha fatto una “medicina”, come mai allora, il Concilio di Trento, l’ha sostituita con un’altra? In tal caso: quale delle due medicine è quella giusta?

il Romano Pontefice a Lund (Svezia) per la celebrazione del 500 anni della “riforma” di Lutero, abbraccia al termine di una liturgia una Gentile Signora mascherata da “arcivescova” e come tale rivestita delle insegne sacerdotali. In un mondo che vive spesso di immagini, viene da domandarsi: una simile immagine d’impatto, era proprio necessaria? E se necessaria, a che cosa, è stata necessaria?

Il Santo Padre infine conclude: 

«Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione credo che sia uno dei  documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi […] Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese».

Del documento sulla giustificazioneho già parlato sopra. In esso bisogna distinguere da una parte le divisioni tra le Chiese che toccano la carità ; dall’altra, la divisione o separazione dei luterani dallaChiesa cattolica, in quanto, questa seconda, tocca molto a fondo la verità, la fede e  il dogma.

Varazze, 23 ottobre 2016 

_______________________

[1] Ne ho fatto un recente commento nel mio articolo «Il concetto di giustificazione in Lutero», luglio 2017, vedere QUI.

[2] Lutero stesso, qui eco della saggezza agostiniana, dice che esiste un orgoglio nascostissimo nel nostro animo. Cf il Salmo 19,14: “Dall’orgoglio nascosto salva il tuo servo”. Il problema della salvezza è tutto qui. Purtroppo Lutero cadde in quell’orgoglio, del quale aveva un eccessivo timore.

[3] Vedi per es: J.Lortz – E.Iserloh, Storia della Riforma, Società Editrice Il Mulino, Bologna 1990.

Invitiamo i Lettori a leggere questo nostro articolo QUI


«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],



La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán

(di Cristina Siccardi) Ottocento anni fa avvenne un fatto fondamentale per la vita della Chiesa, che andò a sommarsi all’operato dei Frati minori di san Francesco di Assisi: era il 1217 quando san Domenico di Guzmán (Caleruega 1170/1175-Bologna 6 agosto 1221) inviò nelle città europee, dove si trovavano le principali sedi universitarie (Bologna, Parigi, Madrid…), i membri dell’Ordine dei Predicatori da lui fondato al fine di renderli dotti per risanare il tessuto cattolico.

I due ordini mendicanti, mendichi per volontà di san Francesco e di san Domenico della sola Provvidenza, risollevarono le sorti di una Chiesa piena di boria, moralmente corrotta, avente parroci spesso ignoranti e fedeli imbevuti di errori diffusi da movimenti pauperisti.

La vita di san Domenico di Guzmán è meno nota rispetto a quella del suo contemporaneo san Francesco di Assisi (1181/1182-1226), in quanto il fondatore dei Predicatori si identifica per lo più con la sua opera, a differenza di san Francesco, il cui percorso terreno fu caratterizzato dalla sua stessa originale personalità. Proprio per tale ragione la figura di san Domenico ha subito meno stravolgimenti e profanazioni rispetto a quella del poverello di Assisi, in quanto l’icona del santo spagnolo è stata associata più che altro alla sua fondazione.

Ma c’è anche un altro dato che non può essere sottovalutato: Francesco era l’uomo di Dio che apriva il suo santo animo alla singola creatura, dunque la devozione che scaturì fu di carattere personale, un po’ come accadrà per san Pio da Pietrelcina: ognuno, anche il laico, sente un richiamo magnetico per san Francesco (da qui la più agevole strumentalizzazione da parte delle diverse ideologie: gnostica, comunista, relativista…); mentre la devozione per san Domenico non assume questo carattere di empatia personale, bensì si confonde nella sfera del suo Istituto, creato ad hoc contro le eresie, utilizzando un metodo preciso: formare predicatori di elevata qualità per essere in grado di confutare gli errori.

L’azione catechetica e di evangelizzazione che adottò san Domenico era per l’appunto focalizzata sulla predicazione con lo scopo precipuo di debellare le eresie, in particolare puntò la sua attenzione sui càtari, che si consideravano puri, detti anche albigesi, dal nome della cittadina francese di Albi, altresì dalla locuzione latina in albis (in [vesti] bianche), come ha ricordato il professor Dario Pasero, filologo, linguista e glottologo che negli scorsi giorni ha tenuto una splendida lezione, all’interno di un incontro organizzato dall’Associazione John Henry Newman di Rivarolo Canavese, sulla figura di san Domenico tratteggiata da Dante nel XII canto del Paradiso, dove la terzina 72 così lo dipinge: «Domenico fu detto; e io ne parlo/sì come de l’agricola che Cristo/elesse a l’orto suo per aiutarlo».

I càtari si diffusero nella Linguadoca, nella Provenza, nella Lombardia, in Bosnia, in Bulgaria, nell’Impero bizantino. La tolleranza praticata dai signori di Provenza, come il conte di Tolosa, da alcuni ecclesiastici, come i vescovi di Tolosa e Carcassonne, e dall’Arcivescovo di Narbonne, nei confronti dei predicatori eretici, permise che quest’ultimi non solo circolassero indisturbati nei villaggi e ricevessero lasciti cospicui, ma venissero posti a capo di istituti religiosi.

I sacerdoti locali si disinteressavano degli eretici proprio perché, essendo intellettualmente impreparati, non avevano mezzi per controbatterli. Fu così che i Domenicani, formati nei migliori atenei, acquisirono gli strumenti adeguati per compiere la loro missione in funzione della ragione e della Fede contro menzogne ed inganni.

Domenico apparteneva alla nobile famiglia dei Guzmán della Castiglia e sostenuto da uno zio sacerdote aveva studiato in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse alla Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, tanto da vendere i suoi libri manoscritti di grande valore (all’epoca non esisteva ancora la stampa) per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.

Nel 1196 fu eletto canonico del capitolo cattedrale di Osma. Il Vescovo del luogo, Diego de Acevedo, lo chiamò al suo fianco e nel 1203, divenuto sottopriore dello stesso capitolo, lo accompagnò in una missione diplomatica, per conto del Re di Castiglia, da espletare nella Germania del Nord. Giunti a destinazione constatarono le devastazioni morali prodotte in Turingia da una popolazione pagana dell’Europa centrale, i Cumani. Da questo istante fino al termine della sua vita Domenico sarà animato dal desiderio di convertire.

Sulla strada per la Germania, il Vescovo e il suo collaboratore avevano soggiornato nella contea di Tolosa, prendendo così coscienza del successo che qui aveva riscosso il catarismo. Tale termine deriva dal latino medievale catharus (a sua volta dal greco καϑαρός «puro»), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del Vescovo Novaziano elettosi antipapa dal 251 al 258; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa nei canoni del Concilio di Nicea del 325. Con la definizione di càtari sono indicati gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili… e in Italia patarini), che ebbero terreno fertile dal IV fino al XIV secolo.

Fu proprio per contenere l’estendersi dei càtari che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Padre Domenico concepì un nuovo metodo di predicazione: per combatterli bisognava usare i loro stessi mezzi, vale a dire operare in povertà, umiltà e carità. Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

Per loro Cristo aveva avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo) e la dottrina si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo fra materia e spirito di derivazione gnostica e manichea. Le opposizioni erano irriducibili (Spirito-Materia, Luce-Tenebre, Bene-Male), all’interno delle quali tutto il creato era una sorta di grande tranello di Satana (Anti-Dio), il quale irretiva lo spirito umano contro le sue rette inclinazioni.

Lo stesso Dio dell’Antico Testamento corrispondeva ad un dio malefico. Basandosi su questi principi divennero vegani ante litteram, rifiutando il consumo di carne, latte, uova e dei loro derivati (ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale). Consideravano peccaminoso persino il matrimonio, poiché serviva ad accrescere il numero degli schiavi di Satana. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del male comportava il rifiuto dei sacramenti. La perfezione per il càtaro si raggiungeva quando non si possedevano beni materiali e, attraverso un percorso “ascetico”, ci si lasciava morire di fame e di sete (pratica dell’endura).

Nel terzo Concilio Lateranense, convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, il catarismo venne condannato. Dopo l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la Chiesa reagì con decisione all’eresia con l’indizione nel 1208 della Crociata albigese (1209-1229), mentre papa Gregorio IX istituirà il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegherà settant’anni per estirpare la malapianta dal Sud della Francia.

In questa drammatica situazione per la Chiesa, La Divina Provvidenza chiama Domenico di Guzmán, con la povertà, lo studio approfondito, la predicazione, e san Francesco di Assisi, con la povertà, l’immolazione, l’esempio di vita per ristabilire la verità e l’ordine.

Il primo successore nella guida dei Domenicani, il beato Giordano di Sassonia (1190-1237), autore del Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, un testo che propone la prima biografia di san Domenico (canonizzato nel 1234) e la storia degli anni iniziali dell’Ordine, scrive: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio» (in P. Lippini OP, San Domenico visto dai suoi contemporaneiI più antichi documenti relativi al Santo e alle origini dell’Ordine Domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1982, p. 133). I testimoni affermano che «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana continua a tramandare un’opera dal titolo Le nove maniere di pregare di San Domenico, che venne redatta fra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano.

Ogni preghiera viene sempre svolta da Padre Domenico di fronte a Gesù Crocifisso. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come i passi di un cammino, verso la comunione con la Trinità: Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà; steso a terra per chiedere perdono dei peccati; in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze di Cristo; con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore; con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato verso il Regno di Dio.

L’ottava pratica consiste nella meditazione personale, quella che conduce alla dimensione intima, fervorosa, rasserenante. Al termine della Liturgia delle Ore e dopo la celebrazione della Santa Messa, egli prolunga il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo: tranquillamente seduto, si raccoglie in sé e in ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in estasi con il volto trasfigurato, e dopo riprendeva le sue attività come niente fosse, corroborato dalla forza acquisita dalla preghiera.

Infine c’è l’orazione che svolge durante i viaggi da un convento all’altro: recita le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i confratelli e, percorrendo valli e colline, contempla la bellezza della creazione, mentre dal cuore gli sgorga sovente un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tutti i doni, soprattutto per il più grande: la Redenzione operata da Cristo.

Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, narra il beato Alano della Rupe, ebbe una visione della Vergine Maria, che gli consegnò il Rosario, come richiesta a una sua preghiera per combattere l’eresia albigese. Secondo il racconto del beato, nel 1213-1214 san Domenico, mentre predicava in Spagna con il confratello Fra’ Bernardo, venne rapito dai pirati.

La notte dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) una tempesta stava facendo naufragare la nave su cui si trovavano, quando la Madonna disse a Domenico che l’unica salvezza dalla morte per l’equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario: furono dunque i pirati con i Domenicani a bordo ad esserne i primi membri. Da allora il Rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, con il passare dei decenni, una delle più tradizionali preghiere cattoliche.

In occasione di un viaggio a Roma, nell’ottobre 1215, per accompagnare il Vescovo Folchetto, che doveva partecipare al Concilio Laterano IV, Domenico avanzò la proposta a Innocenzo III di un nuovo ordine monastico e mendicante dedicato alla predicazione. Il Papa l’approvò verbalmente, così come aveva fatto con san Francesco nel 1209.

Ma seguendo i canoni conciliari, da lui stesso promulgati (Conc. Laterano IV can. 13), propose di non fare una nuova regola, bensì prenderne una già approvata poiché i tempi erano troppo travagliati per la Chiesa. Seguendo il consiglio, san Domenico con i suoi sedici seguaci, scelse la Regola di Sant’Agostino, corredata da Costituzioni idonee alla loro missione. «San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo […] sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche», così affermò Benedetto XVI nell’Udienza generale di cinque anni fa, tenuta a Castel Gandolfo (8 agosto 2012).

Chi, oggi, si preoccupa con umiltà, serenità, santità delle anime «cadute nelle reti delle eresie» del nostro tempo? Anche noi, vittime di una funesta carestia di vita interiore e oranti con il Santo Rosario – insistentemente raccomandato cento anni fa da Nostra Signora di Fatima – siamo mendichi, sull’esempio di san Domenico e di san Francesco, della Divina Provvidenza. (Cristina Siccardi)


[Modificato da Caterina63 26/10/2017 10:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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BOLLA DI SCOMUNICA
“Decet Romanum Ponteficem”
di Sua Santità Leone X

(Testo a cura di anonimo, raccolto da Piergiorgio Seveso)

La condanna e la scomunica di Martin Lutero, l’eretico, e dei suoi seguaci, gennaio 1521.

Preambolo
Per il potere conferitogli da Dio, compete per nomina e divina disposizione al Romano Pontefice gestire le pene spirituali e temporali come ogni caso solidalmente merita. Lo scopo di ciò è la repressione dei malvagi disegni di uomini fuorviati, che sono stati così affascinati dal loro degradato impulso verso fini malvagi da dimenticare il timore del Signore, da mettere da parte con disprezzo i canonici decreti e gli apostolici comandamenti, e di osare formulare nuovi e falsi dogmi e di introdurre il male dello scisma nella Santa Chiesa di Dio – o di supportare, aiutare e aderire a tali scismatici, che fanno un commercio del loro stracciare la tunica del nostro Redentore e l’unità della corretta fede. Quindi si addice al Pontefice, per timore che la nave di Pietro sembri navigare senza pilota o rematore, prendere severe misure contro tali uomini e i loro seguaci, e attraverso il moltiplicare misure punitive e attraverso altri opportuni rimedi fare in modo che questi stessi uomini prepotenti, dedicati come sono a fini malvagi, insieme ai loro aderenti, non debbano ingannare la moltitudine dei semplici con le loro menzogne ed i loro meccanismi ingannevoli, né trascinarli insieme a condividere il loro errore e la loro propria rovina, contaminandoli con ciò che equivale ad una contagiosa malattia. Si addice anche al Pontefice, dopo aver condannato gli scismatici, per evitare la loro ancora maggiore perdizione e confusione – pubblicamente,mostrare e dichiarare apertamente a tutti i fedeli cristiani come temibili sono le censure e le punizioni a cui la colpa può portare, acciocché attraverso una tale dichiarazione pubblica loro si possano rivolgere, in contrizione e rimorso, alla loro vera essenza, facendo un’ abiura incondizionata delle conversazioni proibite, ristabilendo comunione e (soprattutto) obbedienza a quanto detto nella precedente missiva ( la bolla Exsurge Domine n.d.r.), in questo modo essi possono sfuggire ai castighi divini, ed a qualsiasi grado di partecipazione alle rispettive loro condanne.

I
[qui il Santo Padre riassume la sua precedente bolla Exsurge Domine ]

II
Siamo stati informati che dopo che questa Nostra precedente missiva ( la bolla Exsurge Domine n.d.r.) Era stata esposta in pubblico e dal momento che l’intervallo o gli intervalli temporali di risposta prescrittivi sono trascorsi [60 giorni] – e con la presente notifichiamo solennemente a tutti i
cristiani fedeli che questi intervalli erano e sono trascorsi – molti di coloro che avevano seguito gli errori di Martino Lutero hanno preso atto della nostra missiva e dei suoi avvertimenti e ingiunzioni; lo Spirito di un sano consiglio li ha portati di nuovo in loro stessi, hanno confessato i loro errori e abiurato l’eresia come da Nostra istanza e, tornando alla vera fede Cattolica, hanno ottenuto la benedizione di assoluzione che quegli stessi messaggi erano stati autorizzati a concedere, e in diversi stati e località della detta Germania, i libri e gli scritti del suddetto Martino furono pubblicamente bruciati, come avevamo ingiunto.
Tuttavia lo stesso Martino, e ci dà grave dolore e turbamento il dire questo, lui lo schiavo di una mente depravata, ha disprezzato di revocare e rinnegare i suoi errori nell’intervallo prescritto e di inviarci anche una sola parola di revoca come da Noi paternamente richiesto, o di venire da Noi lui stesso, anzi , come una pietra d’inciampo, non ha temuto di scrivere e predicare cose peggiori di prima, contro di Noi e questa Santa Sede e la fede cattolica, e di guidare gli altri a fare lo stesso.
Ora viene solennemente dichiarato eretico, e così anche gli altri, qualunque sia la loro autorità e rango, che non hanno curato nulla della propria salvezza, ma pubblicamente e davanti gli occhi di tutti gli uomini diventano seguaci della perniciosa ed eretica setta di Martino, e coloro che hanno dato a lui apertamente e pubblicamente il loro aiuto, consiglio e favore, incoraggiandolo in mezzo a loro nella sua disobbedienza e ostinazione, o ostacolando la pubblicazione della nostra suddetta missiva: questi uomini sono incorsi nelle pene stabilite in tale missiva, e devono essere trattati legittimamente come eretici ed evitati da tutti fedeli cristiani, come dice l’Apostolo (Tito 3. 10-11).

III
Il nostro proposito è che tali uomini debbano legittimamente essere classificati alla stessa stregua di Martino e degli altri infausti eretici e scomunicati, e che proprio qualora si siano schierati con la stessa caparbietà nel peccare del suddetto Martino, loro parimenti condivideranno le sue punizioni ed il suo stesso nome, portando con loro ovunque il titolo (marchio) di “luterani” e le punizioni che esso comporta. Le nostre istruzioni precedenti erano così chiare e così efficacemente notificate e se ci si attiene così strettamente ai nostri presenti decreti e dichiarazioni, che non mancherà, avviso, prova o citazione. I Nostri decreti che seguono vengono rivolti contro Martino e gli altri che lo seguono nella caparbietà verso il suo scopo depravato ed esecrabile, come anche contro coloro che lo difendono e lo proteggono con una guardia del corpo militare, e coloro che non temono di sostenerlo con le proprie risorse o in qualsiasi altro modo, e coloro che hanno la presunzione di offrire e fornire aiuto, consiglio e favore verso di lui. Tutti i loro nomi, cognomi e grado – per quanto elevata e folgorante possa essere la loro dignità – vogliamo che siano considerati come inclusi in questi decreti con lo stesso effetto come se vi fossero elencati singolarmente e potrebbero esservi così elencati nella pubblicazione dei decreti, che deve essere favorita con un’energia pari all’altezza della forza suoi articoli.
Su tutti costoro noi decretiamo, dichiariamo, definiamo le sentenze di scomunica, di anatema, della nostra perpetua condanna e interdetto, di privazione della dignità, degli onori e delle proprietà sopra di essi e sopra i loro discendenti, e di inidoneità dichiarata per i beni stessi; della confisca dei loro beni e del delitto di lesa maestà: queste e le altre sentenze, censure e pene che vengono inflitte dal diritto canonico per gli eretici e che sono indicate nella nostra predetta missiva, decretiamo essere cadute su tutti questi uomini a loro dannazione.

IV
Noi aggiungiamo alla nostra presente dichiarazione, con la Nostra Autorità Apostolica, che gli stati, territori, campi, città e luoghi in cui questi uomini hanno temporaneamente vissuto o che gli è capitato di visitare, insieme con i loro beni – città che hanno cattedrali e sedi metropolitane,
monasteri e altre case religiose e luoghi sacri, privilegiati o non privilegiati – ognuno e tutti sono posti sotto il nostro interdetto ecclesiastico, mentre questo interdetto dura, nessuna pretesa di Indulgenza Apostolica (tranne nei casi consentiti dalla legge, e anche lì, per così dire, a porte chiuse e escluse quelle sotto la scomunica e interdetto), può essere invocata per consentire la celebrazione della messa e degli altri uffici divini. Noi prescriviamo e ingiungiamo che gli uomini in questione siano dappertutto da essere denunciati pubblicamente come scomunicati, infausti, condannati, interdetti, privi dibenie incapaci di possederli. Essi devono essere rigorosamente evitati da tutti i cristiani fedeli.

V
Vorremmo far conoscere a tutti il piccolo commercio malevolo che Martino e i suoi seguaci e gli altri ribelli hanno creato su Dio e la Sua Chiesa con la loro temerarietà ostinata e senza vergogna. Vogliamo proteggere il gregge da un animale infetto, per timore che la sua infezione si diffonda a quelle pecore sane. Quindi poniamo l’ingiunzione seguente ad ogni e ciascun Patriarca, arcivescovo, vescovo, ai prelati della cattedrale patriarcale, metropolitana, e alle chiese collegiate, e ai religiosi di ogni ordine, anche mendicante – privilegiato o non privilegiato – ovunque esso si trovi di stanza : che con la forza della fede e del loro voto di obbedienza e sotto pena della sentenza di scomunica, essi, se richiesto per l’esecuzione di questi presenti decreti, annuncino pubblicamente e facciano in modo che siano annunciati da altri nelle loro chiese, che lo stesso Martino e il suo seguito sono scomunicati, dannati, condannati, eretici, induriti, interdetti, privati di beni e incapaci di possederne, e così elencati nell’esecuzione di questi decretali. Tre giorni verranno concessi: noi pronunciamo un avvertimento canonico e concediamo un giorno di preavviso sul primo (avvertimento n.d.r.), un altro sul secondo, ma sul terzo decretiamo un’esecuzione perentoria e definitiva del nostro ordine.
Questo avrà luogo di Domenica o in un giorno di festa, quando una grande moltitudine si riunisce per il culto. Il vessillo della croce deve essere sollevato, suonino le campane, le candele restino accese e dopo un certo tempo si spengano, si gettino a terra e si calpestino sotto i piedi, e delle pietre devono essere gettate via tre volte, e si facciano le altre cerimonie che sono solite essere osservate in tali casi. I cristiani fedeli, tutti, devono essere rigorosamente ingiunti di rifuggire quegli uomini.

Vorremmo ancora un’occasione in più per contrastare il suddetto Martino e gli altri eretici che abbiamo menzionato, e i loro seguaci e partigiani: da adesso, sulla forza della loro fede e del loro voto di obbedienza noi ingiungiamo ad ogni e ciascun Patriarca , arcivescovo e tutti gli altri prelati, che proprio in quanto sono stati incaricati con l’autorità di San Girolamo a dissipare scismi, così ora nella crisi attuale, come il loro ufficio li obbliga, devono ergere un muro di difesa per il loro popolo cristiano. Essi non devono tacere come cani muti che non possono abbaiare, ma incessantemente devono gridare e alzare la voce della predicazione e fare che sia predicata la parola di Dio e la verità della fede Cattolica contro gli articoli condannati ed eretici suddetti.

VI
Ad ogni rettore di chiese parrocchiali, ai rettori di tutti gli Ordini, anche mendicanti, privilegiati o non privilegiati, noi ingiungiamo negli stessi termini – sulla forza della loro fede e del loro voto di obbedienza – che sono designati dal Signore ad essere come le nubi, le quali cospargono piogge spirituali sul popolo di Dio – che non abbiano paura a dare la più ampia pubblicità alla condanna contenuta negli articoli suddetti, in quanto il loro ufficio li obbliga. È scritto che l’amore perfetto scaccia via la paura. Lasciate che ognuno di voi si assuma l’onere di tale dovere meritorio con devozione completa, mostratevi quindi puntigliosi nella sua esecuzione, così zelanti e ansiosi in
parole e opere, che dai vostri lavori, con il favore della grazia divina, venga l’auspicata raccolta , e che attraverso la vostra devozione non solo guadagniate quella corona di gloria che è la ricompensa dovuta a tutti coloro che promuovono la difesa della fede, ma anche otteniate da noi e la Santa Sede l’elogio sconfinato che la vostra diligenza si merita.

VII
Tuttavia, poiché sarebbe difficile consegnare la presente missiva, con le sue dichiarazioni e i suoi annunci, a Martino in persona e agli altri dichiarati scomunicati , a causa della forza della loro fazione, il nostro desiderio è che l’affissione pubblica della presente missiva sulle porte di due cattedrali – o entrambe metropolitane o una cattedrale e una metropolitana fra le chiese di Germania – da parte di un messo dei nostri in quei luoghi, abbia una tale efficacia vincolante che Martino e gli altri che abbiamo nominato, devono essere mostrati condannati in ogni punto in modo deciso, come se la missiva fosse stata portata personalmente a loro conoscenza e presentata a loro.

VIII
Sarebbe anche difficile trasmettere questa missiva in ogni singolo posto dove la sua pubblicazione potrebbe essere necessaria. Di qui il nostro desiderio e decreto autorevole è che le copie di esso,sigillate da qualche prelato ecclesiastico o da uno dei nostri messaggeri di cui sopra, e controfirmato dalla mano di qualche pubblico notaio, dovrebbe recare ovunque la stessa autorità come la proposizione e l’ esibizione dello stesso originale.

IX
Nessun ostacolo è concesso ai nostri desideri nelle costituzioni Apostoliche e nei decreti o in nulla nella nostra suddetta missiva precedente ( la bolla Exsurge Domine n.d.r.) che noi non vogliamo ostacolare, o da qualunque altro pronunciamento contrario.

X
Nessuno può,infrangere questa,o alcuna nostra decisione,scritto,dichiarazione, precetto, ingiunzione, assegnazione, volontà, decreto o avventatamente contravvenirli. Se qualcuno osa tentare una cosa del genere, sappia che incorrerà nella collera di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo. Noi abbiamo detto.

 

Dato a San Pietro, Roma, il 3 Gennaio dell’ anno del Signore 1521 anno VIII del Nostro Pontificato





Leone X: Bolla exsurge domine et iudica


(1520)
Non possiamo più tollerare che il serpente strisci nel campo del signore. Il nostro ufficio pastorale non può più tollerare la mortifera infezione dei 41 errori seguenti […]. I libri di Martin Lutero che contengono questi errori devono essere bruciati. Lutero ha voluto appellarsi a un futuro concilio sebbene Pio II e Giulio II avessero condannato tali appelli alle pene previste per l’eresia. Concediamo a Lutero 60 giorni entro i quali dovrà far atto di sottomissione. 





Testo della bolla

La bolla presenta gli errori di Martin Lutero dichiarando in modo esplicito le 41 tesi da ritrattare:

  1. È sentenza eretica, ma largamente seguita, che i sacramenti della Nuova Alleanza danno la graziagiustificante a coloro che non vi pongono ostacolo.
  2. Negare che il peccato rimane nel bambino dopo il battesimo, significa disprezzare insieme Cristo e Paolo.
  3. Il fomite del peccato, anche se non c'è nessun peccato attuale, trattiene l'anima che esce dal corpodall'ingresso nel cielo.
  4. La non perfetta carità di colui che sta per morire porta necessariamente con sé un grande timore, che di per sé è solo sufficiente a ottenere la pena del purgatorio, e impedisce l'ingresso nel regno.
  5. Che le parti della confessione siano tre: contrizioneconfessione e soddisfazione non è fondato nella Sacra Scrittura, né negli antichi santi dottori cristiani.
  6. La contrizione che si ottiene con l'esame, la ricapitolazione e la detestazione dei peccati, e con la quale si ripensa alla propria vita nell'amarezza della propria anima (cfr.Is 38,15), soppesando la gravità, la moltitudine, la turpitudine dei peccati, la perdita della beatitudine eterna e il conseguimento dell'eterna dannazione, questa contrizione rende ipocrita, anzi addirittura peccatore.
  7. Verissima e più perfetta in tutto della dottrina fino a questo momento proposta sulla contrizione è la massima: "Non farlo più è la migliore penitenza; una nuova vita è l'ottima penitenza".
  8. Non presumere in alcun modo di confessare i peccati veniali, ma neppure tutti i mortali, perché è impossibile che tu conosca tutti i peccati mortali.Per questo motivo nella chiesa primitiva si confessavano soltanto quelli mortali manifesti.
  9. Quando vogliamo confessare tutto in modo completo non facciamo altro che questo: non vogliamo lasciare nulla da perdonare alla misericordia di Dio.
  10. A nessuno sono rimessi i peccati, se non crede che gli sono rimessi dal sacerdote che assolve; anzi il peccato rimane, se non lo crede rimesso: non sono sufficienti infatti la remissione del peccato e il dono della grazia, ma bisogna anche credere che è stato rimesso.
  11. Non confidare in nessun modo di essere assolto a motivo della tua contrizione, ma per la parola di Cristo: "Tutto ciò che scioglierai" (cfr. Mt 16,19). In questo confida, io dico: se tu hai ottenuto l'assoluzione del sacerdote, e credi fermamente che tu sei stato assolto, sarai stato assolto davvero, qualsiasi cosa sia in quanto alla contrizione.
  12. Se, per assurdo, colui che si confessa non fosse contrito, oppure il sacerdote assolvesse non sul serio, ma per gioco, se tuttavia egli si crede assolto, è assolto con assoluta certezza.
  13. Nel sacramento della penitenza e nella remissione della colpa, il papa o il vescovo non fanno nulla di più di un semplice sacerdote: anzi, dove non c'è un sacerdote, può fare ugualmente un semplice cristiano, anche se fosse una donna o un bambino.
  14. Nessuno deve rispondere al sacerdote di essere contrito e il sacerdote non lo deve domandare.
  15. È grande l'errore di coloro che si accostano al sacramento dell'eucaristia fidandosi del fatto di essersi confessati, di non essere consapevoli di nessun peccato mortale, di aver premesso preghiere personali e preparatorie: tutti questi mangiano e bevono la propria condanna. Ma se credono e confidano che qui essi conseguiranno la grazia, questa fede sola li rende puri e degni.
  16. Risulta come deciso, che la chiesa abbia stabilito in un concilio universale che i laici debbono comunicarsisotto le due specie: e i Boemi che si comunicano sotto le due specie, non sono eretici, ma scismatici.
  17. I tesori della chiesa, da cui il papa trae le indulgenze, non sono i meriti di Cristo e dei Santi.
  18. Le indulgenze sono dei pii inganni dei fedeli, e dispense dalle opere buone; e appartengono al numero delle cose che sono permesse, e non al numero di quelle che sono utili. (cfr.1Cor 6,121Cor 10,23).
  19. Le indulgenze, per coloro che veramente le acquistano, non hanno valore per la remissione della pena dovuta alla giustizia divina per i peccati attuali.
  20. Si ingannano coloro che credono che le indulgenze sono salutari e utili per il bene dello spirito.
  21. Le indulgenze sono necessarie solo per le colpe pubbliche, e vengono propriamente concesse solo ai duri di cuore e agli insensibili.
  22. Per sei categorie di uomini le indulgenze non sono né necessarie né utili: e cioè per i morti o per quelli che stanno per morire, per i malati, per i legittimamente impediti, per coloro che non hanno commesso peccati, per coloro che hanno commesso peccati, ma non pubblici, per coloro che compiono cose migliori.
  23. Le scomuniche sono soltanto pene esteriori, e non privano l'uomo delle comuni preghiere spirituali della chiesa.
  24. Bisogna insegnare ai cristiani più ad amare la scomunica che a temerla.
  25. Il pontefice romano, successore di Pietro, non è il vicario di Cristo sopra tutte le chiese del mondo intero, dallo stesso Cristo costituito nel beato Pietro.
  26. La parola di Cristo a Pietro: "Tutto ciò che scioglierai sulla terra" ecc. (cfr.Mt 16,19) si estende soltanto alle cose legate dallo stesso Pietro.
  27. È certo che non è affatto in mano della chiesa o del papa lo stabilire gli articoli di fede, e anzi neppure le leggi morali o delle opere buone.
  28. Se il papa con una gran parte della chiesa pensasse in un modo o nell'altro, e inoltre non sbagliasse, non è ancora peccato o eresia pensare il contrario, soprattutto in cose non necessario per la salvezza, finché da un concilio universale una cosa non è stata respinta e l'altra approvata.
  29. Ci è stata aperta la via per svuotare l'autorità dei concili e per contraddire liberamente le cose da loro compiute, per giudicare i loro decreti e per confessare con confidenza qualsiasi cosa sembri vero, sia che sia stato approvato, sia che sia stato respinto da un qualsiasi concilio.
  30. Alcuni articoli di Jan Hus condannati nel concilio di Costanza sono cristianissimi, verissimi ed evangelici, e neppure la chiesa universale potrebbe condannarli.
  31. In ogni opera buona il giusto pecca.
  32. L'opera buona compiuta nel modo migliore, è peccato veniale.
  33. È contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati.
  34. Combattere contro i Turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre iniquità per mezzo loro.
  35. Nessuno è certo di non peccare sempre mortalmente, a motivo del segretissimo vizio della superbia.
  36. Dopo il peccato, il libero arbitrio è una realtà in modo solo apparente; e quando compie ciò che gli compete, pecca mortalmente.
  37. Il purgatorio non può essere provato mediante la sacra Scrittura che si trova nel canone.
  38. Le anime nel purgatorio non sono sicure della propria salvezza, almeno non tutte; e non è provato da nessun argomento razionale né dalle Scritture, che esse si trovano al di fuori della condizione di meritare o di accrescere la carità.
  39. Le anime del purgatorio peccano in modo continuo finché cercano il riposo e hanno orrore delle pene.
  40. Le anime liberate dal purgatorio per i suffragi di coloro che sono vivi godono minore beatitudine che se avessero soddisfatto da se stesse.
  41. prelati ecclesiastici e i principi secolari non farebbero male, se eliminassero tutte le sacche di mendicità.

[Censura:] Tutti e ciascuno gli articoli o errori sopra elencati, Noi li condanniamo, respingiamo e rigettiamo totalmente, in conformità a quanto detto sopra, rispettivamente come eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o in quanto capaci di sedurre le menti degli uomini semplici e in contraddizione con la fede cattolica.




L’Utero

Il mio professore di italiano delle superiori lo chiamava Martin l’Utero. Qualcuno ha sostenuto che a spingerlo alla sua famosa rottura siano stati le pulsioni sessuali; in effetti, sposare una ex-suora ed andare a vivere in un convento espropriato può apparire improprio. Con lui il matrimonio, cioè il sesso, diventa non più affare di Dio, ma dell’individuo, cioè del potere; si può essere anche poligami, basta che non si sappia troppo in giro.
Per cercare conferme o smentite a questa tesi in questi giorni ho letto di tutto. In generale chi lo difende dice che ha agito con in mente uno scopo più grande – come, che so, Stalin – e ponendo l’accento sui molti protestanti degni di rispetto. Forse perché, dal punto di vista storico, molto di quello che ha personalmente detto, scritto e fatto è oggettivamente disgustoso al nostro occhio attuale.
Certo, è politicamente scorretto affermarlo, come del resto lo sarebbe chiamare assassino pedofilo l’altro grande eretico, Maometto, solo perché sposava bambine di nove anni e massacrava chi gli dava fastidio.

Qualcuno sostiene che è merito suo se siamo entrati nella modernità. Vorrei rispondere con le parole di Chesterton, scritte quando ancora era su quella stessa sponda:

“Sono fermamente convinto che la Riforma del sedicesimo secolo sia vicina come può esserlo una cosa mortale al puro male. Persino le parti di essa che possono apparire plausibili ed illuminate da un punto di vista puramente secolare sono risultate marce e reazionarie, anche da un punto di vista puramente secolare. Sostituendo la Bibbia al sacramento ha creato una casta pedante di quelli che potevano leggere, identificati superstiziosamente con quelli che potevano pensare. Distruggendo i monaci, prese il lavoro sociale dai poveri filantropi che avevano scelto di negare se stessi per darlo ai ricchi filantropi che sceglievano di affermare se stessi. Predicando l’individualismo mentre preservava l’ineguaglianza, ha prodotto il moderno capitalismo. Distrusse la sola lega di nazioni che aveva qualche possibilità. Produsse la peggiore guerra di nazioni che sia mai esistita. Ha prodotto la più efficiente forma di Protestantesimo, che è la Prussia. E sta producendo la peggiore parte del paganesimo, che è la schiavitù.”
(New Witness, 20 Giugno 1919)

Sì, forse è anche merito del protestantesimo se si è sviluppato l’odierno mondo. Ma niente mi leva dalla testa che, se non ci fosse stato, avrebbe potuto svilupparsi un mondo migliore.








[Modificato da Caterina63 04/11/2017 10:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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05/11/2017 09:50
 
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Basta balle. Ai cattolici non frega niente dei luterani. Ed è reciproco.

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di Francesco Filipazzi

La domanda è semplice, la risposta ancora di più. La pongo a chi, come me, frequenta parrocchie e chiese e parroci, avete per caso rilevato grande entusiasmo e fermento per il riavvicinamento, ipotetico o meno, dei cattolici con i luterani?

La risposta è, udite udite, assolutamente no. Il popolo cattolico non è minimamente interessato a questa idiozia. Ogni tanto qualche vescovo cerca di inscenare una cerimonia ecumenica, qualche parroco forse, ma sono azioni isolate, che coinvolgono un pubblico estremamente risicato, di gente precettata per l'occasione o marginalmente incuriosita da qualche aspetto culturale. Nulla d'altro. Il cattolico medio sa cosa sono i sacramenti e sa che questi non sono contemplati nel luteranesimo. Purtroppo "il popolo" è considerato alla stregua di una massa di mentecatti da parte di vescovi e cardinali, che si credono sempre i più furbi e intelligenti della situazione.

Le gerarchie sono scollate dalla base

Purtroppo i primi a non capire che non c'è alcuno spazio per un riavvicinamento, sono gli alti prelati, modernisti. Abituati a stare chiusi nelle loro curie, gli italiani agiscono principalmente per assunti ideologici che non hanno alcuna attinenza con la realtà. Forse qualcuno è in buona fede, ma lo scollamento con "la base" è evidente. C'è poi chi agisce per soldi, come i tedeschi, che vivono solo ed esclusivamente per grattare preferenze nel sistema di contribuzione tedesco, che prevede un contributo ben più corposo rispetto all'8 per 1000 italiano. La strategia sembra però fallimentare, perché la conferenza episcopale tedesca ha perso centinaia di migliaia di preferenze fra i cattolici e quindi ha perso molti soldi. Ciò spiega il tentativo, sempre dei crucchi e poi trasmesso al resto, di sposare i gay e di risposare i divorziati. Un tentativo di racimolare grana. Che fallirà.
Ci sono poi le pagliacciate come quella di Bruxelles, capitale di un Belgio un tempo fiore all'occhiello della cattolicità e oggi deserto spirituale ed esistenziale, dove i cattolici buoni vengono cacciati in malo modo e quelli meno buoni sono pochi e non hanno alcuna influenza sulla società.

La freddezza dei luterani

A dimostrazione dello scarso contatto con la realtà dei vertici cattolici, c'è la freddezza dei luterani verso le invasioni di campo di Bergoglio e verso l'afflato amoroso di alcuni cattolici. A parte sorrisi e strette di mano di circostanza, i protestanti non hanno nessuna voglia di farsi cattolici. E lo dicono pure. Certo anche nel loro caso alcuni fra le loro pseudo gerarchie spacciano una vicinanza inesistente, ma fior di pastori delle varie confessioni hanno dichiarato apertamente che non c'è alcuna possibilità di unità. Anche l'ormai risibile popolo protestante non fa i salti di gioia e di noi papisti se ne frega altamente. 
Soprattutto i luterani svedesi, aperti ad ogni porcata possibile in fatto di etica e bioetica, sono i primi a non trovare alcun punto di contatto con Roma. Non basta un'Amoris Laetitia qualsiasi per apparire più aperti agli occhi di chi è totalmente sbragato.
A spiegare che ci sono tre piccoli dettagli che non possono essere conciliabili ci ha pensato Margot Kassman, una voce piuttosto importante del mondo luterano, da qualcuno definita "papessa". Costei dice che i cattolici hanno una concezione del sacerdozio, del papato e dell'eucarestia che non può essere accettabile per i protestanti. Valle a spiegare che Bergoglio e soci stanno cercando di demolire proprio questi tre elementi, ma probabilmente la tizia lo sa, ma sa anche (forse più di certi cattolici) che i cambiamenti dogmatici non si fanno schioccando le dita, anzi non si fanno proprio.
Inoltre, e qui si svela un po' l'arroganza dell'ecumenismo d'accatto, la luterana dice apertamente che, nonostante ci siano fughe di fedeli da entrambi i lati, lei è comunque punto di riferimento di milioni di persone (che vede solo lei, ma vabbé) e che fare un frullato di tutte le confessioni cristiane non ha senso.
«Neanche i partiti si uniscono per mancanza di tesserati. In Germania ci sono comunque 45 milioni di persone che appartengono a una Chiesa, oltre la metà della popolazione. Mantenere un profilo autonomo ha quindi ancora senso». Qualcuno lo spieghi a Ravasi e soci.

L'unica unità è la loro conversione

Che dire, è chiaro che o si è protestanti o si è cattolici, tertium non daturLo aveva capito bene Benedetto XVI che con il motu proprio Anglicanorum Coetibus aveva dato facoltà ai pastori anglicani di ritornare a Roma, solo però dopo aver accettato a pacchetto completo l'insegnamento cattolico e, soprattutto, previa ordinazione sacerdotale cattolica
Inoltre per i pastori sposati è stata fatta una deroga, così come per i vescovi a cui è stato riconosciuto il rango di monsignori, ma è una deroga di fatto temporanea, utilizzabile solo da pastori che rientrano, non per chi vuole diventare prete cattolico ex novo. Sembra che questo metodo, che parte dal presupposto che sono loro che devono tornare a casa, perché noi ci siamo già, abbia dato buoni frutti. 
L'unica unità possibile fra i seguaci della cosiddetta Riforma e i cattolici può avere luogo solo se i primi abbandonano in toto Lutero e tutto ciò che ne discende. Oppure, ed è ciò che qualcuno fra i cattolici auspica, servirebbe un'apostasia di massa della Chiesa di Roma.
Sia chiaro, qui non stiamo dicendo che non si debba fare un tentativo per l'unità dei cristiani, ma questa unità è possibile solo nella vera fede e sotto Roma. Fingere che si possano trovare vie di mezzo insapori incolori e inodori è solo un vaneggiamento satanico, una presa in giro.
 

Luterani e cattolici uniti? Meglio di no. Parola di vescova

«Una riunificazione con i cattolici non è immaginabile né auspicabile». Parola di Margot  Kässmann, pastora protestante, ex presidentessa del Consiglio delle Chiese luterane, nominata  «ambasciatrice» e volto dei luterani nel mondo in occasione dei cinquecento anni della riforma. Concetti espressi in un’intervista all’Ansa. Interessante perché, mentre da parte cattolica c’è grande enfasi sul «cammino per la costruzione dell’unità visibile» (per usare un’espressione che va per la maggiore), Frau Kässmann dice con molta chiarezza che è meglio restare separati.

Dopo aver spiegato che «Lutero fu l’uomo che pose le questioni giuste nel momento giusto, in una Chiesa che aveva bisogno di riforme», colei che la stampa ha ribattezzato la «papessa dei protestanti tedeschi» spiega che ci sono almeno tre questioni sostanziali che inevitabilmente dividono: il sacerdozio, il valore dell’eucaristia e la funzione del papa. Questioni che non si possono aggirare. D’altra parte, aggiunge, «trovo che una Chiesa unica sia noiosa. Nella diversità c’è creatività, pluralismo».

Il fatto che sia i cattolici sia i luterani, precisa la pastora Kässmann, abbiano il problema della fuga dei fedeli non è sufficiente per auspicare una riunificazione: «Neanche i partiti si uniscono per mancanza di tesserati. In Germania ci sono comunque 45 milioni di persone che appartengono a una Chiesa, oltre la metà della popolazione. Mantenere un profilo autonomo ha quindi ancora senso».

Domanda dell’intervistatrice Rosanna Pugliese: ma la novità rappresentata da papa Francesco, così attento all’ecumenismo da recarsi personalmente a Lund per pregare con i luterani, non riduce le distanze?

Risposta: «No. Il linguaggio e i gesti del papa costituiscono certamente un ritorno alle radici del messaggio cristiano, e su questioni sociali ed etiche, come la critica al capitalismo e l’accoglienza di migranti e profughi, Francesco si è mostrato molto deciso, ma ciò non significa che appoggerebbe un cambiamento a livello dogmatico».

Margot Kässmann non precisa ulteriormente che cosa pensi quando dice «a livello dogmatico». In precedenza ha però citato i tre punti che ritiene nodali (sacerdozio, eucaristia, funzione del papa) lasciando dunque intendere che lì la divisione non è aggirabile.

Ma non basta. Poco oltre, rispondendo a una domanda sul perché la Chiesa evangelica sia «decisamente più veloce nel modernizzarsi» rispetto alla Chiesa cattolica, la signora spiega con decisione: «La Chiesa cattolica intende ancora se stessa come una mediatrice della salvezza, per arrivare a Dio. Nella Chiesa evangelica non è così: noi non amministriamo la salvezza. La Chiesa è solo un’organizzazione per i cristiani. E questo rende i cambiamenti più veloci». Infine aggiunge: «Una Chiesa resta comunque vitale se annuncia in modo vivo e lieto il Vangelo, non se insegue qualche forma di modernità».

Evviva la sincerità, verrebbe da dire. Mentre da parte cattolica molti discorsi «ecumenicamente corretti» si segnalano per la loro ambiguità e fumosità, ecco una presa di posizione chiara. Punto primo: la riunificazione non è possibile per questioni dogmatiche ben precise. Punto secondo: la riunificazione non è auspicabile perché rappresenterebbe inevitabilmente un appiattimento. Punto terzo: la differenza tra Chiesa luterana e Chiesa cattolica è tale, ed è così intrinsecamente legata alle rispettive nature, da metterle su due piani completamente diversi. Da un lato c’è un’organizzazioni di cristiani che non ha nulla da dire circa la salvezza, perché ritiene che la questione sia di esclusiva pertinenza dell’individuo e del suo rapporto con Dio. Dall’altro c’è invece una Chiesa che si pone come necessaria mediatrice tra la creature e il Creatore.

Nel corso dell’intervista la pastora esprime poi altri concetti. In questo nostro tempo, dice, «è la Chiesa che deve andare verso la gente, non più solo il contrario». In Germania, dove ci sono regioni in cui i fedeli si sono ridotti a circa il dieci per cento della popolazione, la sfida «è immane», sicché «occorre uscire dalle chiese, incontrare la gente per le strade e nelle piazze, e noi lo stiamo facendo, per esempio invitando le persone a chiacchierare, a prendere insieme un caffè».

Ma Lutero è ancora attuale in Germania? Sì, risponde. Nonostante la secolarizzazione, la cultura tedesca resta segnata dal luteranesimo. Infatti «del messaggio di Lutero sono cruciali ancora oggi alcuni aspetti: la traduzione della Bibbia, con la quale ha chiamato in vita la lingua tedesca; poi l’istruzione estesa a tutti (cosa che all’epoca fu davvero rivoluzionaria) e infine la dimensione etica nell’economia, perché Lutero voleva che si agisse in modo responsabile, con il lavoro, e questo segna ancora oggi il paese».

Da notare che l’attualità di Lutero, nel giudizio di Margot Kässmann, si pone tutta a livello culturale più che spirituale.

Qualche nota biografica aiuta a capire chi è Margot Kässmann e quale la sua tempra. Definita dalla stampa tedesca un incrocio tra Madre Teresa e Demi Moore (per via di una vaga somiglianza con l’attrice americana), è stata sposata per ventisei anni con un pastore protestante, Eckhard Kässmann, ma ha poi divorziato. Madre di quattro figlie, nel 2006 è stata colpita da un cancro al seno, ma lo ha affrontato e vinto. Classe 1958, teologa, autrice di numerosi libri, per dieci anni vescova luterana di Hannover, nel 1999 è stata eletta da venticinque milioni di fedeli delle Chiese riformate alla carica di presidentessa del Consiglio dei vescovi della Evangelische Kirche in Germania, ma nel febbraio del 2010 ha dato le dimissioni da tutti gli incarichi ecclesiastici dopo essere stata trovata ubriaca alla guida dell’auto di servizio, ad Hannover.

Disse in quell’occasione: «Ho commesso un grave errore, del quale sono profondissimamente pentita. Ma anche se me ne pento non posso e non voglio negare che sia l’incarico sia la mia autorità come vescova regionale e come presidente del consiglio risultano danneggiati. Il mio cuore mi dice inequivocabilmente: non posso rimanere nell’incarico con la necessaria autorità».

La vicenda ha fatto inevitabilmente scalpore, come era già successo in occasione del divorzio tra Margot e il marito Eckhard. In quel caso, mentre in Germania si sviluppava un dibattito sull’opportunità o meno delle dimissioni da parte della vescova Kässmann, lei si rivolse alle autorità della sua Chiesa rivendicando il diritto di continuare a svolgere le proprie funzioni pastorali. «Il fallimento del mio matrimonio – scrisse – non condiziona la mia vocazione al servizio della Chiesa. Intendo continuare a svolgere il compito affidatomi. Posso continuare a rappresentare un modello mantenendo un atteggiamento aperto, di trasparenza e autenticità». E in effetti le dimissioni non arrivarono, né le furono chieste.

Sono invece arrivate dopo l’episodio della guida in stato di ubriachezza, ma successivamente Margot Kässmann è stata comunque nominata «ambasciatrice» della Chiesa luterana nel mondo in occasione dei cinquecento anni dalla riforma. Ed è in questa veste che negli ultimi anni ha partecipato a numerosi incontri e ha dato diverse interviste.

Aldo Maria Valli



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris

Tratto da Enciclopedia Cattolica, Vol. IV, Coll. 117-119, Imprimatur 8 ottobre 1950. Per comunicazione nelle cose sacre o communicatio in sacris si intende la partecipazione dei cattolici alle cerimonie sacre (preghiere, funzioni, pre­diche, riti) compiuti dagli acattolici (eretici, scisma­tici, infedeli) dentro o fuori della loro chiese o templi. Questa partecipazione può essere: attiva, quando, cioè, si prende parte al culto religioso positivamente, compiendo qualche atto, che con esso abbia relazione; passiva, quando vi si prende parte solo negativamente, astenendosi da ogni azione, che dica relazione con la cerimonia religiosa; formale, quando vi sia l’ade­sione della mente e del cuore; materiale, quando quest’adesione manca e tutto si riduce ad un atto di presenza esteriore e fisica. La comunicazione nelle cose sacre si suole designare con il nome di comunicazione in divinis, per di­stinguerla dalla comunicazione in profanis cioè nelle relazioni pri­vate e pubbliche che riguardano la vita domestica e civile, e dalla comunicazione in rebus mixtis, cioè nelle rela­zioni, le quali importano atti che si possono conside­rare o hanno un lato anche religioso, come i matri­moni, i funerali e cerimonie simili. La condotta dei cattolici a questo riguardo è re­golata in linea di massima dal CIC (Codex Iuris Canonici del 1917), e nelle varie sue applicazioni dalle norme emanate dalle Sacre Con­gregazioni romane.

La comunicazione in profanis. - Secondo il diritto canonico vigente, è lecita, quando non vi sia pericolo di danno spirituale; illecita, quando questo pericolo vi sia. Per­ciò si devono evitare anche quelle azioni, le quali, mas­sime in alcune determinate circostanze, possono signifi­care o importare una familiarità o confidenza o dimesti­chezza eccessive, e per conseguenza pericolose, con gli acattolici, specialmente per le persone «semplici e de­boli nella fede» (cf. Sum. Theol., 2a-aae, q. 10, a. 9). Le relazioni con gli scomunicati vitandisono regolate da norme particolari (CIC, can. 2267).

La comunicazione in divinis. Non è mai lecito ai fe­deli di assistere attivamente o prendere parte, in qualsiasi modo, ai riti sacri degli acattolici (CIC, can. 1258 § 1). Ciò vale non soltanto quando si tratta di riti falsi o empi in se stessi, ma anche quando si tratta di quei riti che sono propri di questa o quella setta o gruppo eretico, scismatico, pagano. Perché simile partecipazione equivale alla profes­sione di una falsa religione e per conseguenza al rin­negamento della fede cattolica. E anche nel caso che ogni idea di rinnegamento potesse escludersi, rimangono sempre tre danni assai gravi: 1) il peri­colo di perversione nel cattolico che vi partecipa; 2) lo scandalo, sia dei fedeli, che prendono motivo di giudicar male della persona che tratta con gli av­versari della fede e forse anche di dubitare della verità di essa, sia degli acattolici stessi, che così si confermano nel loro errore; 3) l’indifferentismo in materia di religione, cioè l’approvazione esteriore di credenze erronee e l’idea che l’espressione esterna della propria fede sia una cosa trascurabile.

In particolare:

1. Sacramenti:

a) Battesimo: un cat­tolico non può fare da padrino, neanche per interposta persona, in un Battesimo conferito da un ministro ere­tico, perché ciò sarebbe come un obbligarsi a istruire o far istruire il battezzato in una dottrina erronea (S. Uffi­zio, 10 maggio 1710; 7 luglio 1864; Collectan. de Prop. Fide, Roma 1907, nn. 478, 1257).

b) Eucaristia: un cat­tolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, do­vesse altrimenti rimanere senza Messa (S. Uffizio, 7 ag. 1704; ibid., n. 267).

c) Matrimonio: non è lecito con­trarre matrimonio davanti a un ministro eterodosso, nean­che nel caso di un matrimonio di religione mista, nep­pure se già prima si è contratto, o s’intende contrarlo dopo, davanti al sacerdote cattolico (CIC, can. 1063). La trasgressione importa la scomunica riservata all’Or­dinario (can. 2319). Se però il ministro eterodosso funge soltanto da funzionario dello Stato, è lecito servirsi di lui, quando non ne derivi pericolo di perversione o di scandalo o di disprezzo dell’autorità ecclesiastica (can. 1526 § 2).

d) Ultimi Sacramenti: in pericolo di morte, man­cando il sacerdote cattolico, si può ricevere l’assoluzione da un sacerdote eretico, alla condizione che vi sia la probabilità che essa venga data secondo il rito cattolico (S. Uffizio, 30 giugno e 7 luglio 1864; Collectan. de Propag. Fide, n. 1257, ad 6).
Inoltre: un cattolico non può chiamare il ministro di un culto eterodosso al capezzale di un moribondo della medesima religione perché gli amministri i Sacramenti. Può, però, ricorrere all’inter­vento di un correligionario dell’infermo, o anche avver­tire egli stesso il ministro eterodosso semplicemente del desiderio del moribondo di ricevere una sua visita. In questo secondo caso non si ha che un invito simile a quello che si rivolgerebbe ad una persona qualsiasi, pa­rente o amica. —

2. Altre cerimonie. Resta proibito ai cattolici di pregare, cantare, suonare l’organo nelle chiese e cappelle di eretici e scismatici, da soli o con essi, mentre questi fanno le loro funzioni religiose (S. Congr. di Propag. Fide, 12 giugno e 8 luglio 1889; Collectan. de Prop. Fide, n. 1713).

- 3. Dispute pubbliche. I cattolici non possono prendere parte a discussioni e controversie, specialmente pubbliche, in materia di fede con gli acattolici, senza il permesso della S. Sede, o, nei casi urgenti, dell’Ordinario (CIC, can. 1325 § 3).

— 4. Uso comune della chiesa. L’Or­dinario può concedere l’uso di una chiesa cattolica per le funzioni dei dissidenti, però in ore diverse dalle funzioni cattoliche. Così avviene, p. es., in Alsazia, Germania, Svizzera e nella chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme (S. Uffizio, 5 giugno 1889; CIC, Fontes, n. 1119).

La comunicazione in rebus mixtis. La presenza o parte­cipazione puramente passiva alle cerimonie di un culto acattolico è dalla Chiesa tollerata, quando sus­siste un motivo di onore o di ossequio civile; alla condizione, però, che il motivo sia grave (approvato in caso di dubbio dall’Ordinario), sia escluso il peri­colo di scandalo o di perversione e non vi si presti parte alcuna né immediata, né mediata. Si può quindi assistere, in questi casi, ai funerali, ai matrimoni e ad altre cerimonie simili degli acattolici (CIC, can. 1258 § 2).

Così nel caso dei funerali:

a) se il funerale è orga­nizzato come manifestazione di incredulità o di disprezzo della religione cattolica, non vi si può partecipare (S. Uf­fizio, 11 maggio 1892; CIC, Fontes, n. 1154);

b) negli altri casi si può o per motivo di dovere civile (quando, p. es., si tratta del padrone, di un capo militare, del capo dello Stato); o per ragioni di onore (quando si tratta di un parente prossimo, di un pubblico benefattore, di un amico molto intimo).
Però accompagnando il corteo fu­nebre non si può portare la candela accesa, né far suf­fragi per l’anima del defunto, né cantare, perché questi e simili atti indicano partecipazione al rito religioso. Il visitare le chiese degli eretici può essere ammesso a ti­tolo di curiosità o di studio, purché non comporti alcuna intenzione di partecipare agli eventuali riti religiosi o non sia imposto dall’autorità civile per indicare un’armonia di credenze fra cattolici e acattolici (S. Uffizio, 13 genn. 1818; CIC, Fontes, n. 856).

Gli acat­tolici possono ricevere le benedizioni con l’intenzione di ottenere il lume della fede, o, con questo, la salute del corpo (CIC, can. 1149). Il can. 1152, poi, permette di recitare sopra di essi anche gli esorcismi. Inoltre la Congregazione del S. Uffizio ha dichiarato che le donne scismatiche possono cantare con le cattoliche nelle fun­zioni liturgiche (cattoliche, ndR) (24 genn. 1906); che in via di eccezione gli acattolici possono fare da testimoni in un matrimo­nio cattolico (19 ag. 1891); che un protestante può temporaneamente fare da organista in una chiesa cattolica, purché non ne derivi scandalo (22 febbr. 1820); che la partecipazione degli acattolici al culto cattolico si ammetta solo con riserva, non abbia carattere ufficiale e non com­porti comunione di pensiero con essi (22 giugno 1859; CIC, Fontes, rispettivamente nn. 1276, 1144, 858,952).

Voce compilata dal P. Celestino Testore

[per CIC si intende Codex Iuris Canonici Pio-Benedettino del 1917]





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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