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Noi NON accettiamo alcuna dichiarazione coi Protestanti se non è dottrinale

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2017 15:53
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IL SOMMO PONTEFICE AD ALTA QUOTA: MARTIN LUTERO «ERA INTELLIGENTE». CERTO, COME LO ERA ANCHE JACK LO SQUARTATORE

Anche il famoso serial killer noto come Jack lo Squartatore era sicuramente intelligente, n’è prova il fatto che il meglio della polizia diScotland Yard non riuscì mai a scoprire chi fosse e tutt’oggi la sua identità è avvolta nel mistero. Sebbene sulla sua intelligenza si potrebbe discutere, analizzando la cosa da altra angolatura. Così come si dovrebbe discutere sul fatto che non è da cristiani veramente intelligenti cadere nell’eresia e distruggere la Chiesa, per cui, come era ovvio, Lutero non ha saputo dare alcuna giustificazione intelligente e plausibile dei danni che ha fatto.

Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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In uno dei nostri colloqui privati, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo è tornato a esprimermi una sua convinzione: «Pare che il Sommo Pontefice tenda a dare il meglio di sé in aereo, ad alta quota, parlando coi giornalisti». Detto questo ha espresso altre sue personali teorie legate alla «ossigenazione del cervello», sulle quali sorvolo. In verità fu ad alta quota, intervistato da un giornalista durante il viaggio di ritorno dall’Armenia, che il Santo Padre ha espresso a braccio alcune opinioni sue personali su Lutero, prive di qualunque valore magisteriale, alcune certamente notevoli, altre del tutto discutibili, perché in parte contrastanti con quanto il Magistero della Chiesa ha già espresso su Lutero, soprattutto con Leone X e il Concilio di Trento [la risposta del Santo Padre è registrata QUI dal minuto 30,53 — N.d.R. In questo filmato si noti a destra il volto di Padre Federico Lombardi s.j. che alla domanda rivolta dal giornalista al Santo Padre «… se non è arrivato il momento di ritirare la scomunica a Martin Lutero», si mette a sorridere. Poi, durante la risposta data del Santo Padre, fin quando non è distolta l’inquadratura da lui, la sua faccia e tesa come una corda d’arco. D’altronde, nel mondo dell’immagine, nel quale la Chiesa è voluta entrare a spron battuto e spesso anche in modo imprudente, le immagini parlano, inevitabilmente le immagini parlano].

Jack lo Squartatore a caccia di vittime …

Questo non vuol dire che l’idea della Chiesa su Lutero sia ferma a quei famosi interventi del XVI secolo, contenenti giudizi che non vanno corretti, ma integrati, utilizzando criteri di giudizio forniti del Concilio Vaticano II e tenendo conto dei risultati dell’attuale ecumenismo, come laDichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani, del 31 ottobre 1999, il quale, peraltro, ricordiamo che è un organo semplicemente consultivo della Santa Sede, che come tale non fa magistero [1],tanto per essere chiari.

Prima di commentare le parole del Papa, credo sia bene premettere una breve presentazione dello status quaestionis. Nell’impresa di Lutero giocano due fattori fondamentali, caratteristici della spiritualità agostiniana: il problema del proprio personale rapporto con Dio e la cura del bene della Chiesa. Mentre però Agostino è riuscito a mettere come cardine della sua spiritualità lo amor Dei usque ad contemptum sui, Lutero fu sempre tentato dall’amor sui usque ad contemptum Dei. Egli così cercò la soluzione non nella carità, ma nella sua fede fiduciale:  Dio mi salva nonostante il mio peccato. Sant’Agostino gli avrebbe detto: vis fugere a Deo? Fuge in Deum! In Lutero invece la fede in Dio prende il posto dell’amore di Dio.

A questi temi si aggiunge una forte attrazione per il Cristo di San Paolo Apostolo che «ha dato se stesso per me» [Gal 2,20], tema questo carissimo, a tutta la spiritualità medioevale, soprattutto francescana e domenicana.

Lutero, inizialmente tormentato, irritato, angosciato e spaventato da una coscienza esagerata dei propri peccati e della sua fragilità, da un’eccessiva esigenza di perfezione e dall’idea di un Dio inesorabilmente severo, con lui adirato e minaccioso, credette di risolvere il suo insopportabile dramma interiore con la famosa dottrina della fede fiduciale, o giustificazione forense, per la quale egli si convinse irremovibilmente per tutta la vita che Dio non avrebbe tenuto conto dei suoi peccati e lo avrebbe salvato, a patto soltanto che egli credesse questo, senza preoccuparsi dei peccati, che gli sarebbero sempre stati comunque perdonati. Si trattava in sostanza dell’incapacità di praticare serenamente il sacramento della penitenza, che a lui appariva una tortura, un’umiliazione ed un esercizio inutile, a causa del suo orgoglioso perfezionismo, per il quale non sopportava di doversi accusare sempre degli stessi peccati.

Lutero credette che la fede fiduciale fosse un atto di grande umiltà davanti a Dio, in quanto si riconosceva peccatore, affermava l’inutilità ed anzi l’impossibilità delle opere buone e si convinceva che nell’opera della giustificazione il Dio «misericordioso» faceva tutto, mentre lui non aveva niente da fare, per cui poteva tranquillamente continuare a peccare, che del resto non avrebbe potuto fare a meno, dato che confondeva la permanente tendenza a peccare ― “concupiscenza” ― col peccato. Per questo, decise di smettere di confessarsi, giacché era convinto di essere sempre in grazia, benché sempre immerso ― come egli credeva ― nel peccato mortale. Invece la vera umiltà è quella di riconoscere che le opere buone sono doverose, possibili e necessarie, benché non sufficienti, ed insieme con i conseguenti meriti esse sono doni di Dio.

Il grande dramma di Lutero, non era però ancora cominciato, perché egli, soprattutto come religioso e sacerdote, ed anche per un’apertura naturale del suo animo ― suo padre voleva indirizzarlo all’avvocatura ―, non sentiva solo il bisogno di curare la propria salvezza, ma anche quella degli altri e il bene della Chiesa. E difatti i suoi Superiori nell’Ordine notarono subito queste attitudini e ben presto gli affidarono numerosi incarichi, soprattutto quello dell’insegnamento della teologia.

L’idea della fede fiduciale che Lutero considerava però come basata sull’umiltà e la fiducia nella misericordia di Dio, aveva messo tali radici nel suo animo sottilmente superbo [2], che egli la sosteneva come fosse vera Parola di Dio e la scoperta del vero Vangelo.

Lutero possedeva un carattere molto attivo ed energico, generoso ma anche autoritario, capace di grandi sforzi e fatiche nelle opere esterne, nel contempo debole nel dominio delle passioni. La sua ben nota  tesi dell’inutilità delle “opere” non va intesa in senso quietistico, come fece Molinos, ma si riferisce al rifiuto della disciplina ascetica, non all’occuparsi del bene del prossimo, dove Lutero invece spese molte energie e sapeva raccogliere collaboratori e seguaci. Da qui nasce il suo intento riformatore, sebbene questo suo attivismo e questo zelo spesso duro e violento non nasceva, a differenza da Sant’Agostino e di tutti i veri riformatori, da un’ardente carità divina, quindi da un’autentica motivazione soprannaturale ― quello che Santa Caterina da Siena chiamava «ardentissimo desiderio» ―, ma del suo eccezionale dinamismo naturale e dalla sua convinzione di essere giustificato dalla fede fiduciale.

Quindi non si trattava di vera carità fraterna,che sgorga dalla carità divina, o di vero servizio a Dio e al prossimo, ma ― senza probabilmente che se ne rendesse conto ―, di bisogno o impulso di autoaffermazione e di dominio sugli altri. E così la suddetta arbitraria e presuntuosa idea di essere giustificato gli procurò un’eccessiva sicurezza di sé e la cocciuta convinzione che Dio fosse sempre in lui e con lui, tanto da avere ad un certo punto l’audacia, lui, eretico, di accusare di eresia Papa Leone X che aveva “osato” censurarlo. In tal modo Lutero avocò a sé quell’infallibilità nell’interpretazione della Scrittura, che Cristo concesse a Pietro; e come ben capite, questo, non ha proprio nulla a che vedere con l’umiltà.

La svolta tragica nella vita di Lutero avviene quando egli rompe col Papa a proposito della questione della giustificazione, attorno al 1518-19. Fino a quel momento egli accetta la Chiesa nella sua divina essenza e, con le famose 95 tesidel 1517, è mosso dall’intento di riformarla, liberarla dalla mondanità, purificarla, ritrovare il Vangelo originario, togliere le incrostazioni e gli appesantimenti, gli elementi inutili e gli intralci, correggere i costumi, combattere i vizi, incrementare la virtù e lo studio della Parola di Dio, formare le coscienze, ridar loro slancio e fervore. Alcune delle idee di Lutero di questo periodo sarebbero state fatte proprie dalla riforma avviata dal Concilio Vaticano II, ma ovviamente in tutt’altri modi e termini dottrinali e pastorali.

storico ritratto di Martin Lutero

Quando però il Papa gli condanna la sua idea della giustificazione con la famosa bolla Exsurge Domine del 1520, esplode nell’animo di Lutero un vero furore contro il Papa e in generale contro il Magistero della Chiesa, che d’ora innanzi egli sente come sommo impostore, falsificatore del Vangelo, oppressore della libertà del cristiano e della Chiesa, servo del Demonio.

L’idea di riformare la Chiesa si trasforma così in distruzione della Chiesa: Lutero perde la percezione di ciò che può essere cambiato e ciò che dev’essere conservato e si mette a togliere o cambiare elementi essenziali. Da notare che adesso la sua istanza di fondo è una vantata o millantata istanza di verità e non soltanto e non principalmente una semplice riforma dei costumi o delle istituzioni. Egli solo sa e ha trovato o ritrovato, contro le menzogne del Papa, come si interpreta la Scrittura, qual è il vero insegnamento di San Paolo, che cosa è la fede, qual è il vero Vangelo, come si acquista la salvezza, che cosa è la Chiesa.

Fino al 1517 Lutero accetta la verità della Chiesa e la vuole solo riformare. Dal 1520, egli comincia a demolire la Chiesa, convinto di sapere lui qual è la vera Chiesa. Non più una ri-forma, ma una de-forma. Fu l’inizio della catastrofe. Per questo bisognerebbe andarci molto cauti ― come più volte da noi spiegato in numerosi articoli su questa nostra Isola di Patmos ―, a chiamare quella di Lutero e quella luterana “riforma”.

il grande squarcio di Lutero lo Squartatore

Ritenendosi infine libero dal controllo del Magistero della Chiesa interprete indiscutibile della Rivelazione, direttamente ispirato dallo Spirito Santo, Lutero finisce col divenire una fucina di eresie e le enormità si susseguirono in lui, una dietro all’altra, per il resto della sua vita, come un torrente in piena, incontrando notevole successo fino ai nostri giorni. Non sto qui ad elencarle, tanto esse sono note da cinque secoli. Tra i luterani, alcuni errori sono stati corretti, altri sono peggiorati. Fa però piacere il fatto che, anche a seguito delle attività ecumeniche, alcune frasi di Lutero, accostate da alcuni esegeti cattolici [3] con maggiore attenzione critica, hanno mostrato, al di là dell’espressione infelice, la loro intenzione ortodossa.

Volendo fare un bilancio della cosiddetta “riforma” luterana, lasciamo a Dio il giudizio sulle intenzioni intime di Lutero e stando invece alle sue intenzioni esplicite e dichiarate, stando a ciò che di fatto Lutero ha realizzato, stando ai risultati della sua “riforma”, stando al giudizio della Chiesa e della storia, al di fuori di ogni servile fanatismo e di ogni riprovevole demonizzazione, per dare una valutazione complessiva dell’opera di Lutero, bastano alcune semplici indiscutibili considerazioni accessibili a tutti, per dire con sicurezza, animo sereno e responsabile ― e questo è il giudizio più benevolo che si possa dare ― che la sua “riforma” ha fatto molto più male che bene.

la vittima di Lutero lo Squartatore: l’Unità della Chiesa

Prima considerazione. Vogliamo chiamarlo “riformatore”? Facciamolo pure, ma non senza tener conto del contrasto del personaggio Lutero con i veri riformatori santi, che hanno prodotto dei santi, molti canonizzati dalla Chiesa. Tanto per fare alcuni nomi noti a tutti:  San Benedetto da Norcia, Gregorio VII, San Pier Damiani, San Bernardo di Chiaravalle, Innocenzo III, San Francesco d’Assisi, San Domenico di Guzmán, Santa Caterina da Siena, il Servo di Dio Gerolamo Savonarola, Sant’Ignazio di Loyola. Per seguire con la grande Riforma operata dal Concilio di Trento in una stagione che è stata un grande fiorire di santi: Santa Teresa d’Avila, San Pio V, San Carlo Borromeo. Per seguire con i riformatori contemporanei: San Pio X, San Giovanni XXIII, la Riforma del Concilio Vaticano II che ha dato a sua volta vita a numerosi santi: il Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, San Pio da Pietrelcina, San Josemaria Escrivà de Balaguer, Santa Teresa di Calcutta … Sono tutti confronti illuminanti che non hanno bisogno di commenti.

Seconda considerazione. Se c’è voluto il Concilio di Trento per rimediare alla “riforma” di Lutero, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Basti pensare alle guerre di religione ed alla tragica divisione religiosa dell’Europa. La riforma tridentina ha prodotto frutti immensi di santità. Quale santità ha prodotto invece quella luterana?

il Concilio Vaticano II ha riconosciuto che alcune istanze di Lutero potevano essere valide, ma non ha mai negata la portata di tutti i suoi elementi altamente negativi e dannosi

Terza considerazione. Il Concilio Vaticano II ha promosso il riconoscimento degli aspetti validi della riforma di Lutero, senza ignorare però quelli negativi. I fratelli protestanti in dialogo, ne stanno tenendo conto?

Il Santo Padre, con parole che hanno fatto il giro del mondo, ha affermato:

«Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore».

Credo che giudicare delle intenzioni non è facile, ma in certi casi può essere possibile ed utile, soprattutto quando si tratta di valutare il pensiero e l’azione di personaggi famosi, molto studiati, che ci hanno lasciato molte testimonianze e molti documenti Ma questo è proprio il caso di Lutero, benché nella sua condotta e nei suoi scritti si trovino contraddizioni, oscurità ed ambiguità. Le intenzioni intime, morali, al limite sono note solo a Dio che può leggere la coscienza dell’uomo, ed all’interessato. Esistono però intenzioni comunicabili di un autore, che appaiono dalla loro espressione linguistica e comportamentale. Su questo piano non è storicamente vero dire che tutte le intenzioni di Lutero fossero giuste, perché le sue parole ed i suoi comportamenti provano invece l’esatto contrario. Tanto per fare alcuni esempi: non fu giusto l’intento di separarsi dalla Chiesa Romana. Non fu giusto l’intento di abolire il papato. Non fu giusto l’intento di abolire la gerarchia. Non fu giusto l’intento di abolire il Magistero della Chiesa. Non fu giusto l’intento di abolire la Messa e i Sacramenti. Non fu giusto l’intento di abolire l’adorazione eucaristica. Non fu giusto l’intento di abolire il culto dei santi. Non fu giusto l’intento di abolire la vita religiosa. E con tutto ciò, è molto importante notare che Lutero non ha distrutto la Chiesa completamente; altrimenti non sarebbe stato un eretico, ma un apostata. Così, nel luteranesimo, sono rimasti i dogmi fondamentali della fede: Dio Uno, la creazione, la provvidenza, l’uomo immagine di Dio, gli angeli, il dogma trinitario, l’Incarnazione, la Redenzione. E assieme a questa “memoria” è rimasta anche la struttura fondamentale della Chiesa: il battesimo, la grazia di Cristo, la salvezza, il popolo di Dio, i ministri, la Scrittura, il profetismo, i carismi dello Spirito, la preghiera, la Cena del Signore, l’etica cristiana. Tutti questi valori sono alla base dei rapporti ecumenici.

Il Santo Padre ha affermato:

«Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato».

Lutero ha squarciato l’Unità della Chiesa …

Forse andrebbe ben precisato che non si tratta solo di metodi ingiusti, ma anche di obbiettivi e di contenuti ingiusti o sbagliati, come quelli esposti sopra, che hanno trasformato la “riforma” in una distruzione, in una eresia che ha dato vita ad un drammatico scisma.

Il Santo Padre seguita dicendo:

«Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa». 

Anche il famoso serial killer noto come Jack lo Squartatore era sicuramente intelligente, n’è prova il fatto che il meglio della polizia di Scotland Yard non riuscì mai a scoprire chi fosse e tutt’oggi la sua identità è avvolta nel mistero. Sebbene sulla sua intelligenza si potrebbe discutere, analizzando la cosa da altra angolatura. Così come si dovrebbe discutere sul fatto che non è da cristiani veramente intelligenti cadere nell’eresia e distruggere la Chiesa, per cui, come era ovvio, Lutero non ha saputo dare alcuna giustificazione intelligente e plausibile dei danni che ha fatto. La vera intelligenza, è frutto dell’umiltà. L’eretico, di solito, è una persona intelligente, ma superba e manca di carità. Egli non ascolta l’avvertimento di San Paolo: «La scienza gonfia. La carità edifica» [I Co 8,2]. L’intelletto ci vuole, ma, come dice Dante, dev’essere un «intelletto d’amore». Infine, se davvero Lutero ha fatto una “medicina”, come mai allora, il Concilio di Trento, l’ha sostituita con un’altra? In tal caso: quale delle due medicine è quella giusta?

il Romano Pontefice a Lund (Svezia) per la celebrazione del 500 anni della “riforma” di Lutero, abbraccia al termine di una liturgia una Gentile Signora mascherata da “arcivescova” e come tale rivestita delle insegne sacerdotali. In un mondo che vive spesso di immagini, viene da domandarsi: una simile immagine d’impatto, era proprio necessaria? E se necessaria, a che cosa, è stata necessaria?

Il Santo Padre infine conclude: 

«Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione credo che sia uno dei  documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi […] Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese».

Del documento sulla giustificazioneho già parlato sopra. In esso bisogna distinguere da una parte le divisioni tra le Chiese che toccano la carità ; dall’altra, la divisione o separazione dei luterani dallaChiesa cattolica, in quanto, questa seconda, tocca molto a fondo la verità, la fede e  il dogma.

Varazze, 23 ottobre 2016 

_______________________

[1] Ne ho fatto un recente commento nel mio articolo «Il concetto di giustificazione in Lutero», luglio 2017, vedere QUI.

[2] Lutero stesso, qui eco della saggezza agostiniana, dice che esiste un orgoglio nascostissimo nel nostro animo. Cf il Salmo 19,14: “Dall’orgoglio nascosto salva il tuo servo”. Il problema della salvezza è tutto qui. Purtroppo Lutero cadde in quell’orgoglio, del quale aveva un eccessivo timore.

[3] Vedi per es: J.Lortz – E.Iserloh, Storia della Riforma, Società Editrice Il Mulino, Bologna 1990.

Invitiamo i Lettori a leggere questo nostro articolo QUI


«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],



La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán

(di Cristina Siccardi) Ottocento anni fa avvenne un fatto fondamentale per la vita della Chiesa, che andò a sommarsi all’operato dei Frati minori di san Francesco di Assisi: era il 1217 quando san Domenico di Guzmán (Caleruega 1170/1175-Bologna 6 agosto 1221) inviò nelle città europee, dove si trovavano le principali sedi universitarie (Bologna, Parigi, Madrid…), i membri dell’Ordine dei Predicatori da lui fondato al fine di renderli dotti per risanare il tessuto cattolico.

I due ordini mendicanti, mendichi per volontà di san Francesco e di san Domenico della sola Provvidenza, risollevarono le sorti di una Chiesa piena di boria, moralmente corrotta, avente parroci spesso ignoranti e fedeli imbevuti di errori diffusi da movimenti pauperisti.

La vita di san Domenico di Guzmán è meno nota rispetto a quella del suo contemporaneo san Francesco di Assisi (1181/1182-1226), in quanto il fondatore dei Predicatori si identifica per lo più con la sua opera, a differenza di san Francesco, il cui percorso terreno fu caratterizzato dalla sua stessa originale personalità. Proprio per tale ragione la figura di san Domenico ha subito meno stravolgimenti e profanazioni rispetto a quella del poverello di Assisi, in quanto l’icona del santo spagnolo è stata associata più che altro alla sua fondazione.

Ma c’è anche un altro dato che non può essere sottovalutato: Francesco era l’uomo di Dio che apriva il suo santo animo alla singola creatura, dunque la devozione che scaturì fu di carattere personale, un po’ come accadrà per san Pio da Pietrelcina: ognuno, anche il laico, sente un richiamo magnetico per san Francesco (da qui la più agevole strumentalizzazione da parte delle diverse ideologie: gnostica, comunista, relativista…); mentre la devozione per san Domenico non assume questo carattere di empatia personale, bensì si confonde nella sfera del suo Istituto, creato ad hoc contro le eresie, utilizzando un metodo preciso: formare predicatori di elevata qualità per essere in grado di confutare gli errori.

L’azione catechetica e di evangelizzazione che adottò san Domenico era per l’appunto focalizzata sulla predicazione con lo scopo precipuo di debellare le eresie, in particolare puntò la sua attenzione sui càtari, che si consideravano puri, detti anche albigesi, dal nome della cittadina francese di Albi, altresì dalla locuzione latina in albis (in [vesti] bianche), come ha ricordato il professor Dario Pasero, filologo, linguista e glottologo che negli scorsi giorni ha tenuto una splendida lezione, all’interno di un incontro organizzato dall’Associazione John Henry Newman di Rivarolo Canavese, sulla figura di san Domenico tratteggiata da Dante nel XII canto del Paradiso, dove la terzina 72 così lo dipinge: «Domenico fu detto; e io ne parlo/sì come de l’agricola che Cristo/elesse a l’orto suo per aiutarlo».

I càtari si diffusero nella Linguadoca, nella Provenza, nella Lombardia, in Bosnia, in Bulgaria, nell’Impero bizantino. La tolleranza praticata dai signori di Provenza, come il conte di Tolosa, da alcuni ecclesiastici, come i vescovi di Tolosa e Carcassonne, e dall’Arcivescovo di Narbonne, nei confronti dei predicatori eretici, permise che quest’ultimi non solo circolassero indisturbati nei villaggi e ricevessero lasciti cospicui, ma venissero posti a capo di istituti religiosi.

I sacerdoti locali si disinteressavano degli eretici proprio perché, essendo intellettualmente impreparati, non avevano mezzi per controbatterli. Fu così che i Domenicani, formati nei migliori atenei, acquisirono gli strumenti adeguati per compiere la loro missione in funzione della ragione e della Fede contro menzogne ed inganni.

Domenico apparteneva alla nobile famiglia dei Guzmán della Castiglia e sostenuto da uno zio sacerdote aveva studiato in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse alla Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, tanto da vendere i suoi libri manoscritti di grande valore (all’epoca non esisteva ancora la stampa) per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.

Nel 1196 fu eletto canonico del capitolo cattedrale di Osma. Il Vescovo del luogo, Diego de Acevedo, lo chiamò al suo fianco e nel 1203, divenuto sottopriore dello stesso capitolo, lo accompagnò in una missione diplomatica, per conto del Re di Castiglia, da espletare nella Germania del Nord. Giunti a destinazione constatarono le devastazioni morali prodotte in Turingia da una popolazione pagana dell’Europa centrale, i Cumani. Da questo istante fino al termine della sua vita Domenico sarà animato dal desiderio di convertire.

Sulla strada per la Germania, il Vescovo e il suo collaboratore avevano soggiornato nella contea di Tolosa, prendendo così coscienza del successo che qui aveva riscosso il catarismo. Tale termine deriva dal latino medievale catharus (a sua volta dal greco καϑαρός «puro»), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del Vescovo Novaziano elettosi antipapa dal 251 al 258; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa nei canoni del Concilio di Nicea del 325. Con la definizione di càtari sono indicati gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili… e in Italia patarini), che ebbero terreno fertile dal IV fino al XIV secolo.

Fu proprio per contenere l’estendersi dei càtari che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Padre Domenico concepì un nuovo metodo di predicazione: per combatterli bisognava usare i loro stessi mezzi, vale a dire operare in povertà, umiltà e carità. Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

Per loro Cristo aveva avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo) e la dottrina si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo fra materia e spirito di derivazione gnostica e manichea. Le opposizioni erano irriducibili (Spirito-Materia, Luce-Tenebre, Bene-Male), all’interno delle quali tutto il creato era una sorta di grande tranello di Satana (Anti-Dio), il quale irretiva lo spirito umano contro le sue rette inclinazioni.

Lo stesso Dio dell’Antico Testamento corrispondeva ad un dio malefico. Basandosi su questi principi divennero vegani ante litteram, rifiutando il consumo di carne, latte, uova e dei loro derivati (ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale). Consideravano peccaminoso persino il matrimonio, poiché serviva ad accrescere il numero degli schiavi di Satana. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del male comportava il rifiuto dei sacramenti. La perfezione per il càtaro si raggiungeva quando non si possedevano beni materiali e, attraverso un percorso “ascetico”, ci si lasciava morire di fame e di sete (pratica dell’endura).

Nel terzo Concilio Lateranense, convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, il catarismo venne condannato. Dopo l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la Chiesa reagì con decisione all’eresia con l’indizione nel 1208 della Crociata albigese (1209-1229), mentre papa Gregorio IX istituirà il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegherà settant’anni per estirpare la malapianta dal Sud della Francia.

In questa drammatica situazione per la Chiesa, La Divina Provvidenza chiama Domenico di Guzmán, con la povertà, lo studio approfondito, la predicazione, e san Francesco di Assisi, con la povertà, l’immolazione, l’esempio di vita per ristabilire la verità e l’ordine.

Il primo successore nella guida dei Domenicani, il beato Giordano di Sassonia (1190-1237), autore del Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, un testo che propone la prima biografia di san Domenico (canonizzato nel 1234) e la storia degli anni iniziali dell’Ordine, scrive: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio» (in P. Lippini OP, San Domenico visto dai suoi contemporaneiI più antichi documenti relativi al Santo e alle origini dell’Ordine Domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1982, p. 133). I testimoni affermano che «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana continua a tramandare un’opera dal titolo Le nove maniere di pregare di San Domenico, che venne redatta fra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano.

Ogni preghiera viene sempre svolta da Padre Domenico di fronte a Gesù Crocifisso. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come i passi di un cammino, verso la comunione con la Trinità: Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà; steso a terra per chiedere perdono dei peccati; in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze di Cristo; con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore; con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato verso il Regno di Dio.

L’ottava pratica consiste nella meditazione personale, quella che conduce alla dimensione intima, fervorosa, rasserenante. Al termine della Liturgia delle Ore e dopo la celebrazione della Santa Messa, egli prolunga il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo: tranquillamente seduto, si raccoglie in sé e in ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in estasi con il volto trasfigurato, e dopo riprendeva le sue attività come niente fosse, corroborato dalla forza acquisita dalla preghiera.

Infine c’è l’orazione che svolge durante i viaggi da un convento all’altro: recita le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i confratelli e, percorrendo valli e colline, contempla la bellezza della creazione, mentre dal cuore gli sgorga sovente un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tutti i doni, soprattutto per il più grande: la Redenzione operata da Cristo.

Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, narra il beato Alano della Rupe, ebbe una visione della Vergine Maria, che gli consegnò il Rosario, come richiesta a una sua preghiera per combattere l’eresia albigese. Secondo il racconto del beato, nel 1213-1214 san Domenico, mentre predicava in Spagna con il confratello Fra’ Bernardo, venne rapito dai pirati.

La notte dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) una tempesta stava facendo naufragare la nave su cui si trovavano, quando la Madonna disse a Domenico che l’unica salvezza dalla morte per l’equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario: furono dunque i pirati con i Domenicani a bordo ad esserne i primi membri. Da allora il Rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, con il passare dei decenni, una delle più tradizionali preghiere cattoliche.

In occasione di un viaggio a Roma, nell’ottobre 1215, per accompagnare il Vescovo Folchetto, che doveva partecipare al Concilio Laterano IV, Domenico avanzò la proposta a Innocenzo III di un nuovo ordine monastico e mendicante dedicato alla predicazione. Il Papa l’approvò verbalmente, così come aveva fatto con san Francesco nel 1209.

Ma seguendo i canoni conciliari, da lui stesso promulgati (Conc. Laterano IV can. 13), propose di non fare una nuova regola, bensì prenderne una già approvata poiché i tempi erano troppo travagliati per la Chiesa. Seguendo il consiglio, san Domenico con i suoi sedici seguaci, scelse la Regola di Sant’Agostino, corredata da Costituzioni idonee alla loro missione. «San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo […] sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche», così affermò Benedetto XVI nell’Udienza generale di cinque anni fa, tenuta a Castel Gandolfo (8 agosto 2012).

Chi, oggi, si preoccupa con umiltà, serenità, santità delle anime «cadute nelle reti delle eresie» del nostro tempo? Anche noi, vittime di una funesta carestia di vita interiore e oranti con il Santo Rosario – insistentemente raccomandato cento anni fa da Nostra Signora di Fatima – siamo mendichi, sull’esempio di san Domenico e di san Francesco, della Divina Provvidenza. (Cristina Siccardi)


[Modificato da Caterina63 26/10/2017 10:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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