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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 3

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2018 11:51
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22/11/2016 22:32
 
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  Sì Amici, apriamo una terza pagina dedicata all'Esame della coscienza perchè il successo è stato notevole, due thread per un totale di oltre ventuno-mila visite in due anni... è evidente che l'argomento interessa, e di questo servizio rendiamo gloria e grazie a Dio che ci Ama immensamente.

Siamo entrati nell'anno del Centenario di Fatima... coraggio allora, frequentiamo di più il Confessionale. Del resto se per curare e guarire il corpo non ci facciamo mancare le visite specialistiche dei Medici, ecco che per la nostra Anima abbiamo Medici inviati da Gesù Cristo.....


Qui i primi due thread: 
L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 1

L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 2






  Il Sacerdote, ed anche esorcista, Don Matteo De Meo, ha pubblicato una intelligentissima e saggia risposta alle aberrazioni e contorte descrizioni mediatiche sulla Lettera del Papa... tutti i giornali a titolare: "il Papa assolve l'aborto!..." ma è davvero così? NO! se vi sta a cuore la verità, leggete queste riflessioni, vi supplichiamo NON LEGGETE I MEDIA!   

ABORTO NON PIU’ PECCATO ?

"Assolvete medici e donne che abortiscono", così Scalfaro su Repubblica, con la sua nota ambiguità, pronto come sempre a denigrare la Chiesa e la sua dottrina, divulga la lettera apostolica del Pontefice "Misericordia et misera" sull’ assoluzione del peccato di Aborto. Ma si ricredano Scalfaro Bonino e compagnia cantando!
Il Pontefice afferma nella Lettera : 

“. In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. 
Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. 
Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione. “ 


Il Pontefice ha ribadito con forza: l’aborto è un peccato grave!, A chi se ne macchia in forma diretta e indiretta se risulta pentito e pronto a riconciliarsi nella penitenza sia accordato il perdono. Ma questa è la prassi di sempre della Chiesa. Certo non c’è peccato che possa ostacolare la divina misericordia di fronte al PENTIMENTO. Pertanto solo una grave e colpevole ignoranza può far pensare che il Pontefice affermi che l’aborto non sia più un peccato grave o peggio ancora che ordini di concedere assoluzioni senza il necessario pentimento, la qualcosa tra l’altro invaliderebbe anche la sacramentale confessione!

Allora cosa cambia rispetto a prima?.
 

Permettetemi di ribadire sinteticamente cosa stabilisce la Chiesa in merito fino ad oggi!

1.Vi sono dei peccati che i sacerdoti normali non possono assolvere e per i quali è necessario ricorrere ad un penitenziere maggiore. Questo perché sono peccati che hanno come pena la scomunica latae sententiae
Il motivo è soprattutto medicinale. Non dimentichiamoci che la scomunica nella Chiesa ha questo valore! Come del resto anche per diagnosticare e curare determinate malattie si ricorre ad un medico specialista, così in qualche modo avviene anche nella confessione sacramentale.

2. Secondo il Codice di Diritto canonico vi è un solo peccato riservato al vescovo ed è l’assoluzione dall’aborto.
Il Vescovo tuttavia, all’interno della sua diocesi, può riservarsi l’assoluzione di qualche altro peccato.
Per farsi assolvere dai peccati riservati al Vescovo si ricorre al canonico penitenziere che si trova in ogni Chiesa Cattedrale e anche in altre Chiese collegiate.

3. In particolare per l’aborto la scomunica, riservata al vescovo, tocca la madre, il medico, l’infermiere, il mandante (can. 1398).
È una pena severa (latae sententiae) e “colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza” (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae 62).

Per l’aborto possono dare l’assoluzione anche altri sacerdoti facoltizzati dal Diritto canonico (Vicario generale) o personalmente dal Vescovo.
Inoltre, per antico privilegio, mai revocato, possono assolvere dall'aborto anche i sacerdoti religiosi degli ordini mendicanti (francescani, domenicani...).

Rispetto a ciò cosa cambia con la lettera del Pontefice?

1 Il papa ribadisce tutta la gravità del peccato. E in ciò non può non riflettere il contenuto morale del canone sopracitato. 

2.E' falso quanti cercano di far credere che ad oggi il peccato d’aborto non poteva essere perdonato in quanto le disposizioni canoniche riguardano proprio la modalità dell’assoluzione al peccatore pentito che viene concessa di fronte al reale pentimento.

3.Cambia la modalità con cui l’assoluzione viene concessa nella sua forma “medicinale”. Mentre prima per la forma di scomunica era riservata al vescovo o a sacerdoti con incarico evidenziandone l’aspetto della gravità, ora tutti i sacerdoti ricevono facoltà di assolvere, accertato il reale pentimento e fermo restando tutta la gravità del peccato.

Le intenzioni del Pontefice sono quelle di una agevolazione nel ricevere l’assoluzione in maniera più diretta con il confessore che sta amministrando il sacramento. Infatti è questo sacerdote che deve, dice il Pontefice, assumersi la responsabilità, di guidare il penitente a riconoscere pienamente il male fatto e a gioire della misericordia di Dio per il perdono concesso.

Infine lascio ai canonisti discutere sulla forma con cui esso dovrebbe essere ora regolato dal Diritto qualora tale decisione del Pontefice dovesse richiederne una diversa!

Certo ora dovremo attenderci sicuramente quanto già successo con la massoneria. Ovvero, quando nel nuovo codice di diritto canonico si tolse la forma della scomunica latae sententiae per i cattolici che ne facevano parte, dovette intervenire la Congregazione par la Dottrina della Fede a ribadire con un atto ufficiale che nonostante tutto l’appartenenza alla massoneria continuava ad essere incompatibile con la fede cattolica e che poneva in uno stato di peccato grave il cattolico che ne volesse far parte escudendolo quindi dalla comunione sacramentale. Pertanto pur non usando più il concetto di scomunica, il contenuto veniva di fatto trattenuto.

Vorrei infine solo ribadire, soprattutto a coloro che mi hanno contattato chiedendomi confusi e inquietati se l aborto fosse ancora da ritenersi un peccato grave: l’aborto era, è, e resterà un gravissimo peccato! Un peccato fra i più abominevoli agli occhi di Dio. 

Concedere a tutti i sacerdoti tale facoltà impone loro una ulteriore responsabilità.Una responsabilità certo molto grave per il singolo sacerdote! Ora deve essere lui, giovane o anziano, con esperienza o meno e soprattutto confidando nelle sue giuste disposizioni e nello stato di grazia a valutare e discernere con serietà, verità e carità le intenzioni del penitente; e accertato il pentimento, come d’altronde per ogni peccato, può e deve concedere l’assoluzione sacramentale. 

In questo caso(aborto) deve inoltre guidare direttamente il penitente ad una maggiore consapevolezza attraverso un cammino penitenziale di riconciliazione con Dio e di ringraziamento per la sua infinita misericordia. Inoltre a noi sacerdoti tocca ora vigilare che nessuna intenzione o tentazione di sdoganamento della gravità di tale peccato sia penetrata nelle intenzioni del penitente e in genere nel popolo di Dio.

Il signore non vuole la morte del peccatore MA CHE SI CONVERTA E VIVA.

Don Matteo De Meo

 



Papa Francesco
 

È sicuramente quella che avrà l'effetto più risonante tra le disposizioni contenute nella Lettera apostolica Misericordia et misera. Ma la possibilità per ogni prete di assolvere donne, medici, politici dal peccato di aborto non significa che l'aborto sia ora meno grave. Papa Francesco lo spiega nella Lettera, ma nei media è già partita la strumentalizzazione.

di Claudio Crescimanno

Tra le disposizioni contenute nella Lettera apostolica Misericordia et Misera, pubblicata il 21 novembre, quella che avrà l’effetto più risonante è certamente l’estensione in modo stabile a tutti i confessori della possibilità di assolvere il peccato di aborto procurato e contemporaneamente di rimettere la scomunica latæ sententiæ ad esso legata.

Il provvedimento, infatti, era già stato preso all’inizio del Giubileo straordinario, un anno fa, come misura altrettanto straordinaria, per favorire il ricorso più ampio possibile di tutti i fedeli al sacramento della confessione e favorire così quella generale purificazione dalle colpe del popolo cristiano, che è il senso ultimo di ogni Anno santo. Ora questa concessione viene estesa ad ogni sacerdote che confessa. Il cambiamento è molto importante: vediamo dunque di capirne meglio la portata con l’aiuto di qualche domanda e relativa risposta, speriamo, chiarificatrice.

1) Fino ad un anno fa il peccato di aborto non veniva assolto?
Ovviamente sì, veniva assolto, è logico. Non c’è colpa per quanto grave, che non possa essere perdonata, quando colui che la confessa è sinceramente pentito, pronto a correggersi e disposto a compiere una penitenza proporzionata.

Però comportava delle restrizioni. Per semplificare, poniamo il caso di colui o colei che (sino ad un anno fa) si presentava al confessionale e, tra le altre cose, si riconosceva colpevole di aver compiuto un aborto. Precisiamo che il peccato coinvolge a pieno titolo sia la donna che lo ha compiuto, sia i familiari che l’hanno incitata ad esso, sia il personale medico che ha cooperato direttamente alla sua realizzazione, sia i politici che lo promuovono.

A questo punto il confessore non poteva che ricordare a questa persona la gravità del peccato commesso (o favorito) e delle sue conseguenze, tra le quali il fatto di essere incorsa nella scomunica. Doveva inoltre – eccoci al punto – spiegarle che per essere assolta da questo peccato e contemporaneamente essere sciolta dalla scomunica annessa doveva rivolgersi ad alcuni sacerdoti autorizzati: il vescovo diocesano, il suo vicario generale, il canonico penitenziere della cattedrale e altri ancora incaricati ad hoc. Il ricorso ad uno di questi sacerdoti poteva essere fatto in due modi: o il penitente andava personalmente al più presto da uno di questi sacerdoti e ripeteva la confessione; oppure il confessore lasciava in sospeso la confessione in corso, ricorreva lui stesso ad una delle figure sopra elencate (naturalmente fatto salvo il segreto circa l’identità del penitente in questione) e, ricevuta l’autorizzazione, invitava il penitente a tornare per impartirgli l’assoluzione con relativa remissione della scomunica.

È evidente che questo procedimento rendeva più laborioso ricevere l’assoluzione di questo peccato. Ma questo non significa in alcun modo che si volesse porre ostacoli al perdono: molti anni prima che ci fosse un giubileo intitolato alla misericordia di Dio, già il Catechismo della Chiesa Cattolica assicurava che, ponendo delle regole per l’assoluzione di questa colpa, “la Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. (Ma piuttosto) essa mette in evidenza così la gravità del crimine commesso” (n. 2272)

2) Perché era stata posta la necessità di ricorrere a sacerdoti appositamente incaricati? Forse perché la scomunica rende più grave il peccato?

Il delitto dell’aborto procurato è un peccato mortale e nulla può rendere un peccato mortale più grave di quanto già sia. Il peccato mortale è la cosa più grave in assoluto sulla faccia della terra e oltre ad esso non c’è nulla.

Sarebbe poi assurdo che la Chiesa intervenisse per rendere più grave una cosa già mortalmente grave! Il compito della Chiesa è combattere il peccato non certo ‘aggravarlo’. 

Il senso di una censura ecclesiastica, dunque, non è quello di peggiorare una situazione di peccato, ammesso e non concesso che sia peggiorabile; il senso è, al contrario, quello di rendere più evidente la gravità di un peccato in modo da mettere in guardia coloro che non lo valutano adeguatamente per ciò che è.

3) Allora perché l’Autorità della Chiesa aggiunge la scomunica?

La scomunica è un’aggravante non sul peccato, ma sul peccatore, in quanto gli manifesta la gravità di ciò che ha fatto, e non solo per la sua personale vita morale, ma anche per la comunità: la scomunica, come dice la parola stessa, è la pena per l’impatto che il peccato commesso ha non solo sui singoli, ma sul corpo ecclesiale e sociale. Infatti “l'aborto va oltre la responsabilità delle singole persone e il danno loro arrecato, assumendo una dimensione fortemente sociale: è una ferita gravissima inferta alla società e alla sua cultura da quanti dovrebbero esserne i costruttori e i difensori … ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà” (Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitæ, n. 59).

Perché infatti l’Autorità della Chiesa avrebbe legato l’aggravante della scomunica ad alcuni peccati mortali e non a tutti, e in particolare al delitto dell’aborto, se non per questo motivo? Perché esso porta con sé dei fattori di particolare impatto sociale.

Vediamoli brevemente:

- un peccato diviene particolarmente grave quando colpisce un innocente perché, oltre al danno recato, è anche un atto di ingiustizia, poiché qualunque azione contro un innocente è immeritata; così pure è particolarmente grave quando colpisce un debole perché è anche un atto di prevaricazione, poiché il debole non può difendersi. Ora, è evidente che l’ingiustizia e la prevaricazione sono fattori fortemente destabilizzanti per la struttura della comunità umana; ed è altrettanto evidente che nessun crimine ha per vittima un soggetto più innocente e indifeso di un bambino nel grembo della madre. Dunque l’aborto costituisce un disordine sociale gravissimo. Ecco perché Madre Teresa di Calcutta poteva dire in tutta verità che il più grande nemico della pace nel mondo è l’aborto! (cf Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Vitæ, III).

- Il pericolo che gli uomini sottovalutino la gravità di un peccato è tanto più grande nella misura in cui sono numerosi e autorevoli coloro che minimizzano tale gravità. Ora, nel caso dell’aborto è lo Stato stesso, cioè la massima fonte di autorevolezza sociale, che ha dichiarato l’aborto addirittura legittimo. Dunque è evidente che una tale azione pubblica di contrapposizione alla legge di Dio deve essere sanzionata nel modo più forte possibile dall’Autorità della Chiesa, che infatti ha comminato la pena ecclesiastica più grave, a tutela della verità divina e della dignità della persona.

- L’aborto ha evidentemente come effetto primario l’uccisione di un innocente, ma ha un effetto ugualmente devastante sulla comunità nel quale si compie: la vita della madre è segnata per sempre, il rapporto di coppia e la vita coniugale, già in atto o in prospettiva di realizzazione, ne viene sconvolta, tutto l’ambiente di vita, dei partenti e degli amici, ne subisce un contraccolpo. Dunque, insieme al bambino non nato, è la famiglia, comunità base della Chiesa e della società, la ‘vittima’ dell’aborto, ed è anche per tutelare questo immenso valore che viene comminata la scomunica. 

 

4) Quali potrebbero essere gli effetti di questo cambiamento normativo?

Dopo tutto ciò che abbiamo detto, risulta chiaro qual è il motivo per cui al delitto di aborto è legata la scomunica e il perché la remissione della scomunica non era ‘facilitata’. Dopo le disposizioni contenute in Misericordia et Misera non viene modificata la legge canonica e quindi la scomunica legata all’aborto resta, ma non è più necessario ricorrere ad un confessore ‘speciale’ e qualunque sacerdote può assolverlo.

Indubbiamente questa nuova prassi potrà facilitare, come ci auguriamo, l’avvicinamento al confessionale di coloro che si convertono dopo questo orribile peccato.

D’altra parte speriamo vivamente che non diventi oggetto di strumentalizzazione da parte delle lobby abortiste e dei guru della mentalità dominante che approfittano di tutto pur di far apparire meno dura la condanna inappellabile della Chiesa, che è l’unica voce fuori dal coro rimasta. Purtroppo sappiamo bene che nella manipolazione dei media facilmente ciò che anche solo indirettamente viene meno sanzionato, significa che, anche per la Chiesa, è diventato meno grave, e se è meno grave alla fin fine vuol dire che si può fare. Occorrerà dunque moltiplicare la vigilanza perché i fedeli non cadano in questa trappola.

 

MERCOLEDÌ 30 NOVEMBRE 2016 da cantualeantonianum

Un contributo di Giovanni Paolo II al dibattito su comunione ai divorziati risposati

Nel 1981 era stata pubblicata da Giovanni Paolo II la grande Esortazione Apostolica post-sinodale sulla Famiglia, una delle tappe miliari del suo pontificato: la "Familiaris Consortio".
A pochi anni di distanza, nel dicembre del 1984, San Giovanni Paolo II, a seguito di un altro Sinodo, stavolta sulla Penitenza e la riconciliazione, dà alle stampe la "Reconciliatio et Paenitentia". 
Anche in quest'ultima Esortazione il Santo Padre non tralascia di affrontare alcuni casi "più delicati"- così scrive - che riguardano le persone in quelle situazioni che non permettono l'accesso ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. 
Possiamo leggere con quanta bontà eppure con quale schietta parresia il Pontefice polacco sapeva coniugare Verità e Misericordia, il principio della compassione e il principio della coerenza, per cui la chiesa mai può "chiamare bene il male e male il bene".
Non vogliamo che il suo magistero si perda proprio adesso che, canonizzato il Papa, viene combattuto il suo pensiero che è il pensiero della Chiesa riguardo alle "condizioni richieste" per l'accesso ai sacramenti, condizioni ben chiarite e ribadite fin da Familiaris Consortio 84.
La parola più importante è: "FINCHÉ". Il Papa non esclude nessuno dalla Misericordia di Dio, ma i Sacramenti, di cui la Chiesa ha solo l'amministrazione e non il possesso, richiedono delle condizioni oggettive e delle disposizioni minime. Non correre - fa capire il Papa - finché non ci sono le condizioni richieste dare i sacramenti sarebbe una menzogna contro la verità, come chiudere per sempre le porte della possibile riconciliazione sarebbe negare la divina bontà. Non si può fare nessuna delle due cose. Ma finché c'è vita c'è speranza di riconciliazione piena e di cambiamento.
Un principio fondamentale della Teologia cattolica è quello di leggere il magistero successivo sempre e solo alla luce della Parola di Dio e del magistero precedente, divenuto "Tradizione". Se paiono in contraddizione si deve chiedere una spiegazione. E a volte si dovrà pretenderla.

Dall'Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia, num. 34 di S.Giovanni Paolo II:

Alcuni casi più delicati


Ritengo di dover fare a questo punto un accenno, sia pur brevissimo, a un caso pastorale che il Sinodo ha voluto trattare - per quanto gli era possibile farlo -, contemplandolo anche in una delle «Propositiones». Mi riferisco a certe situazioni, oggi non infrequenti, in cui vengono a trovarsi cristiani desiderosi di continuare la pratica religiosa sacramentale, ma che ne sono impediti dalla condizione personale in contrasto con gli impegni liberamente assunti davanti a Dio e alla Chiesa. Sono situazioni che appaiono particolarmente delicate e quasi inestricabili.
 
Non pochi interventi nel corso del Sinodo, esprimendo il pensiero generale dei padri, hanno messo in luce la coesistenza e il mutuo influsso di due principi, egualmente importanti, in merito a questi casi. Il primo è il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa, continuatrice nella storia della presenza e dell'opera di Cristo, non volendo la morte del peccatore ma che si converta e viva, attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora, cerca sempre di offrire, per quanto le è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con lui. L'altro è il principio della verità e della coerenzaper cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell'eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste.
 
Circa questa materia, che affligge profondamente anche il nostro cuore di pastori, è sembrato mio preciso dovere dire parole chiare nell'esortazione apostolica «Familiaris Consortio», per quanto riguarda il caso di divorziati risposati, o comunque di cristiani che convivono irregolarmente.
 
Al tempo stesso, sento il vivo dovere di esortare, insieme col Sinodo, le comunità ecclesiali e, soprattutto, i vescovi a portare ogni aiuto possibile ai sacerdoti, che, venendo meno ai gravi impegni assunti nell'ordinazione si trovano in situazioni irregolari. Nessuno di questi fratelli deve sentirsi abbandonato dalla Chiesa. Per tutti coloro che non si trovano attualmente nelle condizioni oggettive richieste dal sacramento della penitenza, le dimostrazioni di materna bontà da parte della Chiesa, il sostegno di atti di pietà diversi da quelli sacramentali, lo sforzo sincero di mantenersi in contatto col Signore, la partecipazione alla santa messa, la ripetizione frequente di atti di fede, di speranza, di carità, di dolore il più possibile perfetti, potranno preparare il cammino per una piena riconciliazione nell'ora che solo la Provvidenza conosce.


[Modificato da Caterina63 05/09/2018 11:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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27/11/2016 17:10
 
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 I PECCATI DEGLI ANTENATI NON SI TRASMETTONO

Permettetemi un approfondimento dottrinale della trasmissione del peccato inerente al mio precedente post sulla guarigione dell’albero genealogico. 
Alcuni sono venuti a chiedermi spiegazioni perché ritenevano questa dottrina propriamente cattolica e con fondamenti anche scritturistici. 

Intanto cosa si vuol intendere con “guarigione” dell’albero genealogico?

Il concetto di fondo è che molte persone soffrirebbero nell’animo per le conseguenze dei peccati commessi dai loro antenati, la qual cosa richiederebbe il ricorso a vari mezzi spirituali di guarigione per ristabilire l’equilibrio psichico e spirituale compromesso da colpe altrui (tare spirituali e psicologiche).
Queste teorie si trovano delineate per lo più im autori di area protestante carismatica episcopaliana! Si tratta di J. HAMPSCH c.m.f., La guarigione delle vostre radici familiari… una soluzione divina per i problemi di difficile soluzione (sic), 1986,9891. Questo libro si ispira indubbiamente a molti altri, tra cui quello del Dr Mac All (episcopaliano, 1910-2001), ma l’incidenza dell’eucaristia in queste pratiche suggerisce di disciplinare la riflessione sulla teologia cattolica della messa e del purgatorio. 

Questa dottrina tira in ballo due questioni fondamentali una a livello psicologico e l’altro dogmatico. Il primo fa leva su una sorta di ereditarietà che va oltre le caratteristiche fisiche includendo anche quella spirituale e psicologica. Per esempio se la collera è la caratteristica preponderante in un clan famigliare essa deve avere una certa origine. Ovvero deve esserci un momento, un fatto, un evento, delle persone da cui tutto è iniziato.
Questa origine va ricercata anche al di là delle persone viventi. il chirurgo e psichiatra MacAll arriva addirittura ad affermare che vi è in questo modo una possibilità di ottenere una guarigione per i defunti attraverso la preghiera dei vivi e allo stesso modo guarire i vivi attraverso le preghiere per i morti. Ovvero vi sarebbe una sorta di influenza tra la condizione del defunto nell’aldilà e il suo discendente in vita. Influenze che abbraccerebbero non solo l’ambito delle tare ereditarie psicologiche e fisiche , ma anche spirituali trasmissibili, addirittura, geneticamente. .(cf. R. De Grandis, Schubert, La guarigione dell’albero genealogico, ed. S. Michele, pp. 22-25) 

Ma tale ipotesi dal punto di vista scientifico della psicologia comporta un alto rischio. Di fatto, “esso riposa su concetti semplicistici della causalità psichica. La conseguenza probabile è che impedisca un autentico lavoro di elaborazione psichica. Il soggetto si trova come “scagionato” dalle implicazioni di ciò che gli accade. La nozione di inconscio personale non viene più considerata. Il fascino esercitato dalle ipotesi genealogiche, o da chi le propone, può impedire alla persona sofferente di considerare le altre dimensioni della sua sofferenza.” (cf. Doc CONFERENZA EPISCOPALE FRANCESE,Sulla guarigione dell’albero genealogico”, nota Dottrinale n. 6, p.2).

Inoltre non pochi sono gli aspetti incompatibili dogmaticamente e dottrinalmente. La nota dottrinale precedentemente citata pone due questioni certamente non secondarie dottrinalmente: la trasmissione del peccato e la dottrina del purgatorio!

  Approfondiamo un attimo la questione sulla trasmissione del peccato!

Nella dottrina cattolica ad eccezione del peccato originale nessun peccato attuale di persona viva o defunta può trasmettersi ad un'altra, in nessun modo neanche come una sorta di influenza spirituale nel presente!. Non esiste una ereditarietà del peccato attuale, né una sua comunicabilità perchè esso riguarda appunto l’individuo e il suo corpo e non altri. (cf.. S. Th, q. 83, a 3). S. Agostino imposta il problema nel suo Enchiridion [ cc. 46,47 ].

Infatti se uno considera attentamente la questione vede l'impossibilità che si trasmettano per origine i peccati degli altri antenati, o i peccati del nostro progenitore, a eccezione del primo.
E il motivo è che l'uomo genera un essere identico nella specie, ma non identico come individuo.
Perciò gli elementi che direttamente appartengono all'individuo, come sono le azioni personali e quanto è connesso con quelle, non si trasmettono di padre in figlio (cf. S. Th. I-II, 81, 2).

Pertanto qualsiasi tipo di peccato di Adamo eccetto quello originale o degli altri antenati più prossimi può essere trasmesso ai posteri.

Infatti è dottrina certa che :

1. Senza una colpa non si può meritare una pena.
2. Si contrae il peccato originale dal nostro progenitore perché eravamo in lui come nel principio [ germinale ] della nostra natura, la quale può essere ulteriormente guastata dal peccato, come si legge nell'Apocalisse [ Ap 22,1 ]: « Chi è contaminato si contamini ancora ».

Ora, come a una persona, così anche alla natura alcune cose possono appartenere in forza di se stessa, in quanto causate dai suoi princìpi, altre invece per un dono di grazia.
E in questo modo il dono della giustizia originale era come un dono di grazia offerto da Dio a tutta la natura umana nella persona del nostro progenitore. [S. Th q. 100, a. 1 ],
Ma esso fu perduto dal primo uomo col primo peccato.
Perciò, come sarebbe stata trasmessa ai discendenti la giustizia originale insieme con la natura, così viene trasmesso anche il disordine opposto.

Invece gli altri peccati attuali, o del nostro progenitore o degli altri antenati, non corrompono la natura nei suoi elementi naturali, ma solo negli elementi personali, ossia accentuano l'inclinazione all'atto.
Per cui gli altri peccati e tutto ciò che ad esso attiene e ne deriva non si trasmettono.
Sicuramente molti addurranno numerose citazioni bibliche che sembrano affermare il contrario ma attenzione!

La maggior parte delle citazioni bibliche addotte come prova della trasmissione dell’iniquità come male oggettivo ed ereditato – a differenza ovviamente dal peccato in se stesso come colpa e mancanza soggettiva – sono prese dall’Antico Testamento. Viene citato in particolare Es 20,5-6 : “Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano”.
Ma stranamente si elude (HAMPSCH p. 37) l’insegnamento di Ezechiele 18 sulla rottura di queste solidarietà ancestrali, rinviandone la validità ai tempi della liberazione escatologica.

In altri termini, si nega alla differenza tra Esodo 20 ed Ezechiele 18 il valore di uno sviluppo della Rivelazione sul rapporto tra Dio e la responsabilità personale. L’autore (p. 35) aveva anche raggirato il testo più chiaro del Nuovo Testamento sull’argomento, cioè il racconto del cieco nato di Gv 9,2. Qui l’autore non intende negare la parola di Gesù (“Non hanno peccato né lui né i suoi genitori”). Ma Hampsch stranamente rovescia la verità autorevole dell’episodio, che sembra ricondurre l’infermità ad un’ipotesi neutra rispetto alla colpa personale e soprattutto ereditata, riducendola ad un’eccezione nel corso presente della storia della salvezza: “Gesù così mostrò loro [ai giudei] che avevano torto a generalizzare questa conclusione [che l’infermità proviene sempre da un peccato ereditato] (ibidem p. 35). Ma chiaramente questo metodo esegetico che prescinde dalla lettura e dall’nsegmaento della tradizione è estraneo alla fede cattolica e va rintracciato nell’area protestante in genere.

Intanto pochi sanno che su tale questione vi è un pronunciamento del Magistero Ordinario della Chiesa che vi invito a leggere. Esso è vincolante più per il suo contenuto dottrinale che per la sua forma.
La Conferenza Episcopale Francese nel 2007 si è espressa chiaramente e dottrinalmente sulla controversa teoria della “guarigione delle radici familiari tramite l’Eucaristia”, in parole povere sulla cosiddetta “guarigione dell’albero genealogico” (potete tranquillamente scaricare il testo on line). Purtroppo molti e soprattutto sacerdoti, sembrano ignorare un tale documento dal contenuto dottrinale certamente non secondario, che giunge alla seguente importante conclusione: “Che le strutture di peccato (peccato sociale) incidano profondamente sulla santificazione delle persone, per le causalità di condizionamento, è ammissibile. Chi potrebbe negarlo? Ma che le anime dei defunti che sono ancora in Purgatorio possano nuocere in modo attuale e decisivo alla salute attuale dei loro discendenti, e che liberando gli uni si possano contestualmente guarire anche gli altri, sembrerebbe una realtà nuova nella chiesa cattolica, che non trova nessun riscontro nella Dottrina della Fede Cattolica, per cui non si potrebbe né riconoscerla né praticarla.”

Ovvero che certe stili di vita reiterati nel tempo possano avere certe influenze (condizionamento o ereditarietà genetica di alcune parti del carattere) è un conto ma per lo più dai molti la guarigione dell’albero genealogico viene intesa come una sorta di ricaduta di colpe con relative punizioni attraverso una trasmissione generazionale da cui bisogna essere risanati.

In conclusione per la fede cattolica l’unico peccato che si trasmette ovvero si propaga per via di generazione naturale è il peccato originale, e questo è “de fide” (Denzinger, 790, 791).

Pertanto vorrei terminare citandovi la conclusione stessa del Documento CEF chiaro e sintetico di quanto sopra detto:

“Una valutazione dottrinale può fondare la sua coerenza solo sull’oggettività di un documento, per questo la nostra analisi ha scelto di concentrarsi sui racconti e sulle argomentazioni sviluppate nel libro di P. Hampsch. Il punto culminante del concetto ivi delineato ci è parso contravvenire alla dottrina cattolica del battesimo, a quella del purgatorio e delle indulgenze e, infine, all’intenzione evidente che presiede alla carità disinteressata che dobbiamo ai nostri fratelli defunti con l’applicazione della messa a loro vantaggio. Inoltre l’idea di una solidarietà del peccato attinge le prove alle fonti veterotestamentarie prese alla lettera, in termini che disconoscono - in tale ambito - lo sviluppo della Rivelazione, fino al caso esemplare del cieco nato riportato nel vangelo di san Giovanni.
Che le strutture di peccato (“il peccato sociale”) incidano pesantemente sulla santificazione delle persone, per le causalità di condizionamento, è ammissibile. Chi potrebbe negarlo? Ma che le anime dei defunti che sono ancora in purgatorio possano nuocere in modo attuale e decisivo alla salute spirituale dei loro discendenti e che, liberando gli uni, si possano contestualmente guarire anche gli altri, sembrerebbe una verità nuova nella Chiesa cattolica, che non trova alcun riscontro nella Tradizione, per cui non si potrebbe né riconoscerla né praticarla.”

Don Matteo De Meo




[Modificato da Caterina63 27/11/2016 17:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740717] [SM=g1740720] LA STORIA DI 4 CANDELE

Quando avrete ascoltato questa brevissima storia, entrando in un Santuario, o in un'altra chiesa vi troverete ad accendere una candela, un cero votivo, ci penserete di più e più seriamente al gesto che state compiendo. Ce lo auguriamo di cuore.

gloria.tv/video/Lq6oB31JHPRR3KGKBeFNJNq6g
www.youtube.com/watch?v=pwwcfmfHeZ4&t=2s

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org





[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


QUESITO: Mi è capitato di leggere in anticipo il Vangelo di domenica prossima. Gesù dice “Chiedete e vi sarà dato”. Io ho chiesto molte volte ma poche volte mi è stato dato. Che senso dare alla preghiera che mi pare si chiama “di domanda”? Giovanni

[SM=g1740733]

Andiamoci piano, caro Giovanni, nell’affermare: “Ho chiesto molte volte, ma poche volte mi è stato dato!” È proprio sicuro? Innanzitutto vorrei invitarla a riconsiderare la sua vita “ad ampio raggio”, cercando di fare memoria degli interventi provvidenziali del buon Dio, in suo favore; vorrei, poi, esortarla a fare una specie di “inventario”, ricordando quanto ha chiesto lungo tutta la sua esistenza, allo scopo di vedere concretamente come, quando e dove è stato esaudito! Non mancherà di soprendersi!!!

I NOSTRI DESIDERI E LE PROMESSE DI DIO

Sono consapevole, tuttavia, che quanto chiediamo al Padre nella preghiera non sempre ci viene donato secondo le nostre aspettative, provocando in noi la sensazione di non essere né ascoltati, né tanto meno esauditi. In questo caso ricordiamoci di quanto scrive Bonhoeffer: “Dio non esaudisce i nostri desideri, ma realizza le sue promesse”. La preghiera di domanda, infatti, non rimane mai senza risposta! Sempre il Signore ci raggiunge con una grazia più grande di quella che avevamo chiesto per noi o per coloro per i quali abbiamo pregato. L’ostacolo più grande che rende inefficace la nostra preghiera è la nostra poca fede! Crediamo poco, infatti, nella fecondità della nostra intercessione: innalziamo a Lui la nostra supplica, mettendogli davanti le nostre necessità nella loro concretezza e nella loro drammaticità, ma, ahimè… siamo poco convinti che Dio ascolta ed esaudisce veramente, secondo i tempi e i modi che Lui solo conosce! E questo è un grande errore!

DIO NON È UN DISTRIBUTORE DI BIBITE

I miracoli Dio li compie anche oggi, ma non ci crediamo abbastanza! Quando preghiamo, molte volte, siamo simili a coloro che introducono una monetina nel distributore di bevande: questione di un secondo ed ecco che una fresca bibita è tra le nostre mani! Ma il Signore non è un distributore di bibite! Succede spesso, infatti, che la grazia chiesta si fa attendere due secondi più del previsto, o 10 minuti, 24 ore, una settimana oppure un mese e… persino degli anni, in questo caso ci lamentiamo dicendo: “Non mi ha ascoltato” e ce la prendiamo con Dio affermando: “Non mi concede ciò che gli ho chiesto!”. Ma non è così! Occorre, infatti, imparare ad attendere perseverando nella preghiera e non demordere quando i tempi di attesa si fanno lunghi e, a volte, snervanti. Il Signore non risponde subito alle nostre suppliche: vuole educarci, formarci ad una fede adulta e matura, purificando i nostri desideri. Proviamo a chiederci: “Quando innalzo al cielo la mia accorata supplica, sono disponibile ad attendere tutto il tempo necessario secondo i tempi di Dio?”; e ancora: “Quanto sto chiedendo nella preghiera, è veramente il mio bene? Oppure è solo per evitare i problemi e le difficoltà della vita?”.

“CREDO MA AIUTA LA MIA INCREDULITA”

Vorrei ricordare un omelia di papa Francesco a Santa Marta nel maggio 2013, quando commentando il brano della guarigione del fanciullo posseduto da uno spirito maligno, che i discepoli non riescono a guarire, dice: “La preghiera per chiedere un’azione straordinaria deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco. (…) Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo; non quelle preghiere per cortesia, ‘Ah, io pregherò per te’: dico un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No: preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città, come quella di Mosé che aveva le mani in alto e si stancava, pregando il Signore; come quella di tante persone, di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega.

La preghiera fa miracoli, ma dobbiamo credere! Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera… e dirgli oggi, tutta la giornata: ‘Credo, Signore, aiuta la mia incredulità’… e quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, tutti i rifugiati, tutti questi drammi che ci sono adesso, pregare, ma con il cuore il Signore: ‘Fallo!’, ma dirgli: ‘Credo, Signore. Aiuta la mia incredulità’ che anche viene nella mia preghiera. Facciamo questo, oggi”.


[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 07/01/2017 17:30]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La Misericordia quando è profanata

Dalla Lettera dei Domenicani del Santo Rosario – Pentecoste 2017

 
Oggi è di moda, soprattutto negli ambienti ecclesiastici, invocare la misericordia. Nel suo nome bisognerebbe tollerare ogni comportamento, ignorare gli insulti più lampanti contro l’onore di Dio, lasciare gli uomini nella loro vita di peccato, tacere i diritti della Verità e della Sua Chiesa.

La misericordia è profanata.

Ora, la vera misericordia è tutto l’opposto di questo relativismo.

Secondo l’etimologia, la misericordia è un cuore che si occupa di una miseria per portale sollievo, per farla sparire, per quanto possibile. E’ la carità che si occupa dei mali del suo tempo.
Per saperne di più, basta aprire il Vangelo di San Luca. A tre riprese, esso presenta le tappe della misericordia: essa vede il male, è presa da compassione, passa ai fatti (1).

Vede il male

La misericordia è prima di tutto un’opera dell’intelligenza. Per essere misericordiosi in verità, il cristiano deve posare sugli uomini e sul mondo uno sguardo di fede; osservare il male del suo tempo alla luce di Dio. 
Non vedere la miseria significa impedirsi la misericordia.

Di per sé, la misericordia evangelica si pone agli antipodi del liberalismo. Essa è essenzialmente antiliberale. Il liberalismo pretende di cancellare le differenze, di vedere nel peccato e nell’errore delle debolezze, un minor bene, una tappa che condurrebbe da sé alla virtù. Per richiamarsi ad un argomento di attualità: il misericordioso vede la vita matrimoniale al di fuori del matrimonio, come un’offesa a Dio, come la morte delle anime, un’ingiuria al sacramento del matrimonio, la diffusione di un vizio, una rivoluzione sociale. E se ne duole.

E’ presa da compassione

Non basta vedere. Per essere cristiani, l’analisi dei mali del nostro tempo deve avere un’eco, talvolta anche violenta e dolorosa, nel più profondo dell’anima. La misericordia è una com-passione, nel senso forte del termine: una partecipazione interiore alla sofferenza dell’altro.

Ma l’emozione della misericordia non è quella della filantropia. Essa non è una reazione sentimentale e superficiale a qualche sofferenza umana, per quanto essa sia forte. Le lacrime della misericordia cristiana nascono dalla carità, esse sono teologali, in ragione di Dio.

La misericordia si presenta quindi interamente relativa alla verità. Compatire il peccato dell’altro, non vuol dire certo incoraggiarlo nella sua colpa e fare di questo un «cammino di comunione». Compatire il peccato significa tenersi al cospetto della Maestà di Dio, contemplare la Santità offesa dalla colpa, indovinare la pena terrena ed eterna che attende il peccatore indurito.

Passa ai fatti

L’autentica compassione prende le cose in mano. Essa agisce, consola, allevia, fa tutto ciò che può fare per far cessare il male.

Ora, il male che sta alla radice di tutti gli altri è il volgere le spalle alla Verità di Dio, è l’ignoranza dei pagani, l’apostasia dei battezzati, la fede timida dei cristiani.
Velare la divinità e la regalità di Nostro Signore significa lasciare il mondo in balia del saccheggio del demonio, come il viaggiatore di Gerico.

L’opera di misericordia per eccellenza sarà dunque la misericordia della Verità, la testimonianza della fede, la predicazione della divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
L’ecumenismo e il liberalismo che tacciono e mantengono gli uomini nelle loro illusioni sono, non solo degli errori, ma anche le peggiori delle crudeltà.

Così, la verità è talmente legata alla misericordia che la si ritrova in tutte le tappe.
La fede fa cogliere in profondità il male delle anime e delle nazioni.
La fede contempla la maestà e la santità di Dio e si dispiega nella compassione per i peccatori.
Infine, solo la predicazione ferma e integrale della fede permetterà agli uomini di uscire dal gran male nel quale sono immersi per la loro ignoranza involontaria o colpevole.

L’affliggente profanazione della misericordia che dilaga ai nostri giorni nella Chiesa è permessa dalla Provvidenza per un bene maggiore: che i fedeli si lascino prendere dallo Spirito di Verità e d’Amore, convertendosi, per convertirsi, con lo Spirito di santità che fa i veri misericordiosi.

NOTE

1 – Si veda: Luca 7, 11-14 (Resurrezione del figlio della vedova di Naïm); Luca 10, 30 e ss (Parabola del buon samaritano); Luca 15, 11 e ss (Parabola del figliuol prodigo).



 

  6 insegnamenti sbagliati che diamo ai nostri figli non andando a Messa la domenica... e quindi, peccati da confessare......



Non ci vuole tanto per capire che i nostri figli assorbono ogni cosa che facciamo e diciamo. Ricordo quando la mia piccoletta di due anni ha tirato un sospiro profondo e poi ha detto per la prima volta: “Oh mamma mia!” Il tono e l’espressione erano identici ai miei. A volte ci rendiamo conto che ciò che facciamo è sbagliato grazie alle parole e alle azioni dei bambini.

Recentemente sono stata ad un battesimo. Il sacerdote ha ricordato a ogni presente che in base alle nostre azioni la bambina battezzata avrebbe un giorno scoperto Dio o meno. Vedendoci pregare, imparerebbe che la preghiera è importante; ma se le persone a lei vicine non comunicassero con Dio, quella bambina penserebbe che non è necessario farlo.

Nessuno di noi è perfetto, ma abbiamo la responsabilità di mostrare quei comportamenti che vorremmo i nostri figli imitassero. E se i bambini imparano da ciò che facciamo, è anche vero che imparano molto da ciò che non facciamo. Se per noi andare in chiesa la domenica non è una priorità, la dice lunga su come i bambini accoglieranno la fede nei propri cuori.

6 insegnamenti sbagliati che diamo ai nostri figli non andando a Messa la domenica

1. Dio è importante sì, ma.... non più di tanto, prima vengono altre cose

Se riesco a includere Dio, tanto meglio, ma solo se mi conviene. Una partita di calcio, dormire fino a tardi e (inserite l’attività che volete) sono cose più importanti del cercare di stare con Dio almeno un’ora AL GIORNO  e la Domenica...

- RISPOSTA: L'ERRORE STA PROPRIO in quel non dare a Dio la nostra priorità su TUTTO, proprio tutto! E' Gesù che dice che il primo comandamento è "amare Dio sopra ogni cosa" poi il prossimo tuo.... e ricordarci anche che la Domenica  non è il "week-end" "fine settimana" ma per noi credenti E' L'INIZIO della settimana e il Giorno del Signore, questo significa "domenica". E durante la settimana dedicare un'ora al Signore è salutare, magari cominciando con dieci minuti, poi 15, fino ad arrivare a dire, per esempio, il Rosario OGNI GIORNO in Famiglia, anzichè perdere il tempo (di cui dovremo rendere conto) con TV o computer.


2. Dio non intende davvero ciò che dice, giustifica la nostra ignoranza, non posso sapere tutto

Sì, un comandamento prevede che dovremmo osservare il Giorno del Signore, ma Dio non sa quanto sono impegnato, quanti figli ho oppure quanto sono stanco. Quindi posso anche decidere – in base alle circostanze della mia vita, o alla mia coscienza – cosa Lui voglia davvero dire con questo comandamento (e con tutti gli altri). 

- RISPOSTA: QUESTO è IL CLASSICO PECCATO PER GIUSTIFICARE OGNI COSA: in fondo Dio è buono, che male c'è? Intanto bisogna imparare che noi non vantiamo alcun "diritto" nei confronti dei Comandamenti e della Legge di Dio, è Dio semmai a poter rivendicare ogni diritto su di noi! Certo, abbiamo il libero arbitrio, verissimo, ma sentiamo cosa dice Dio e come pensa dobbiamo USARLO: [16]Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano.
[17]Davanti agli uomini stanno la vita e la morte;
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. (dannazione eterna o beatitudine eterna)
[18]Grande infatti è la sapienza del Signore,
egli è onnipotente e vede tutto.
[19]I suoi occhi su coloro che lo temono,
egli conosce ogni azione degli uomini.
[20]Egli non ha comandato a nessuno di essere empio
e non ha dato a nessuno il permesso di peccare. (Siracide 15)



3. La Chiesa non si aspetta davvero che noi seguiamo i Suoi insegnamenti

Sì, andare a Messa la domenica è un precetto della Chiesa, ma la Chiesa non sa quanto sono impegnato, quanti figli ho oppure quanto sono stanco. Quindi posso anche decidere – in base alle circostanze della mia vita e di coscienza – cosa voglia dire la Chiesa con questo precetto.

LEGGI ANCHE: Perché un cattolico è “obbligato” ad andare a Messa la domenica?


- RISPOSTA: è quanto detto alle risposte 1 e 2 perché una volta giustificata la rimozione di un precetto, perché si deve obbedire agli altri? Così è per i Comandamenti, fatto fuori il primo, chi mi impedisce di far fuori gli altri? Ma non è questa la logica di Dio come abbiamo dimostrato. Facciamo un esempio: se siete iscritti ad un Club, pretenderete forse di andare lì e cambiare le regole del gioco a seconda della vostra coscienza o disponibilità? Se giocate in una attività sportiva, per esempio a calcio, sapete bene che prendere la palla con le mani è un fallo grave, eppure state attenti a non farlo, come mai? Il punto è che la "PASSIONE SPORTIVA" ci rende ligi alle regole.... ecco il punto focale, LA PASSIONE, quanta passione abbiamo verso Gesù Cristo?    Chi ama non ha bisogno di giustificare nulla, Gesù lo dice: chi MI AMA MI SEGUE ED OSSERVA I MIEI COMANDAMENTI.... punto! O si ama o non si ama, su questo Amore dobbiamo allenarci e non nel trovare scuse per non amare.


4. La Messa riguarda solo me e ciò che posso ricavarne


Non posso obbligare i figli ad andare alla Messa, e neppure il coniuge se non gli va, ognuno deve sentirsi libero. Le attività in parrocchia sono troppo impegnative....

- RISPOSTA: è vero, spesse volte la comunità è esigente perché c'è tutto un'apparato da mandare avanti e tu ne fai parte. Se andiamo a Messa a nostro piacimento, finiamo col dimenticare che questo è ciò che costruisce la comunità della Chiesa. La tua parrocchia potrebbe avere bisogno di te come lettore, per cantare nel coro o per raccogliere le offerte, persino per fare le pulizie, o come catechista, o come aiuto per gli anziani. Vedere la tua famiglia in Chiesa potrebbe essere l’unica cosa di cui una persona anziana ha bisogno per avere un po’ di gioia in una domenica di solitudine. Ci sono molte ragioni per cui siamo una comunità di fede, per cui ci riuniamo in Adorazione a Gesù vivo e vero presente nel Tabernacolo, dal Quale si irradia poi su tutta la comunità la Sua grazia e i benefici. Infine la comunità che vive insieme è una testimonianza forte in un modo sempre più scristianizzato. Dice Gesù che "SIAMO NEL MONDO, MA NON DEL MONDO. Va ricordato quanto siamo senza problemi per andare a mangiare una pizza con gli amici o per uscire il sabato sera, o per andare in vacanza. Siamo sempre lì al punto 3: quanto amiamo Gesù Cristo? Se non rispondiamo a questa domanda, è difficile comprendere cosa ci viene chiesto nella comunità.



5. Se le cose sono difficili (o noiose) non è necessario farle

Diciamoci la verità, la Messa è ripetitiva, posso benissimo pregare in casa o quando ne sento la necessità....

- RISPOSTA: Giustificando il fatto di non andare a Messa dicendo che “è noiosa” oppure che “non ne otteniamo nulla” (cliccare anche qui dove è spiegato bene), insegneremo ai nostri bambini che dobbiamo fare soltanto ciò che è divertente e che ci entusiasma, che ci piace. Questo è assolutamente falso, sia nella fede che nella vita di tutti i giorni. Alla maggior parte delle persone non piace pagare le tasse; non è divertente, eppure bisogna farlo. Quante volte avete a noia di portare i figli alle attività alle quali li avete iscritti? E per portarli dal medico, a scuola, o in vacanza con voi, chiedete forse il loro parere? Insegnereste forse loro che se un giorno non vi va di andare a lavorare, è giusto non andarci? Il puntoè : che cosa è LA VITA PER VOI, PER NOI CRISTIANI? Pensiamo davvero che nasciamo per fare una scampagna, una gita "fuori-porta" dal Paradiso?   Abbiamo dimenticato forse che cosa è venuto a fare Gesù PER NOI? Abbiamo dimenticato che nasciamo per GUADAGNARCI la vita eterna? E dove sta scritto che chi nasce ha "il diritto" di avrete tutto e facilmente?


6. Qui siamo alle conseguenze dei 5 punti sopra. I figli, ma anche gli adulti, iniziano a dubitare della Presenza reale di Gesù nell’Eucarestia e delle Grazie che provengono dall’accostarsi a Lui

Se credete davvero che Gesù è presente nell’Eucaristia e che Lui è con noi ogni domenica a Messa, e ci attende - se volessimo - OGNI GIORNO DELLA SETTIMANA IN TUTTE LE CHIESE, cosa vi impedisce di accostarvi a Lui? Perché non volete ricevere le grazie che Lui concede con questo incredibile dono?

Il nostro Catechismo ci insegna che: “l’Eucaristia è il cuore e il culmine della vita della Chiesa, poiché in essa Cristo associa la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al Padre una volta per tutte sulla croce; mediante questo sacrificio egli effonde le grazie della salvezza sul suo Corpo, che è la Chiesa”. (CCC, 1407)

Genitori cari padre e madre, sappiamo e comprendiamo pienamente quanto sia difficile portare i bambini in chiesa, e quanto sia difficile anche per voi che lavorate e state fuori casa tutto il giorno. Spesso, quando torniamo a casa da certe Messe, ci sentiamo come se avessimo appena affrontato un incontro di wrestling. A tal proposito POTRESTE ESSERE VOI STESSI A CHIEDERE AL SACERDOTE UNA MESSA PIU' SILENZIOSA, RIPOSANTE, CON PIU' SILENZI E PIU' PREGHIERA, la Messa infatti NON deve essere attivismo.

È una battaglia. Ma è una battaglia che vale la pena combattere. Non c’è posto migliore in cui portare i nostri figli se non ai piedi di Gesù VIVO E VERO, PRESENTE E REALE NELL'EUCARESTIA. Non c’è lezione migliore da impartire se non quella di mettere sempre Dio al primo posto. Non importa cosa stia accadendo nelle nostre vite o quanto possa essere difficile andare a Messa. Forse che il Signore non sa di cosa abbiamo bisogno "prima ancora che glielo chiediamo?" Ma Egli vuole da noi LA TESTIMONIANZA CHE SIAMO DAVVERO SUOI DISCEPOLI!


Sapete cosa accadrà se aspettate che i vostri figli si comportino bene, o che voi abbiate meno impegni, prima di portarli a Messa? Non verrà mai questo momento, e voi stessi alla fine vi allontenerete sempre di più

Satana offrirà sempre una scusa per non partecipare alla più alta forma di preghiera che abbiamo qui sulla terra, ma Dio ci darà sempre la grazia di rispondere con un “sì” quando chiederemo aiuto a Lui.

Fate in modo che andare a Messa la domenica sia ciò che la vostra famiglia fa insieme regolarmente. Fidatevi, le benedizioni e le grazie che verranno da questa disciplina trasformeranno la vostra vita familiare in un modo potente.



iglesia



ALCUNI CONSIGLI PRATICI


Come possiamo aiutarci a superare queste sfide?

- Intanto LA CONFESSIONE FREQUENTE con un bell'esame della coscienza.... ricordandoci che se la coscienza NON è bene educata "per ciò che Gesù vuole da noi" sarà impossibile ricevere da lei dei saggi consigli, lo abbiamo visto in questi 6 punti trattati.   Confessarci spesso significa anche chiedere aiuto al sacerdote che saprà darci ottimi consigli.

- VISITARE UNA CHIESA ANCHE DURANTE LA SETTIMANA E' IMPORTANTE! Gesù non va in vacanza! Gesù è sempre in attesa DI UNA NOSTRA VISITA.... (cliccare qui per i consigli in Chiesa, ed anche qui per un GALATEO in Chiesa). Perchè NON cominciare a fermarsi, ogni giorno, ALLE ORE 12 PER PREGARE L'ANGELUS? E' una preghiera di tre Ave Maria che richiede dieci minuti.... e la si può fare in qualsiasi posto vi trovate.... se non riuscite alle 12, la si può fare tra le 18 e le 19. Chiedete al Parroco di istruirvi in questo, ne sarà felice!

- IL BAMBINO IN CHIESA è FASTIDIOSO! E' una scusa!!! Tocca a VOI adulti spiegare loro L'INTERESSE. Una comunità normale sopporta il chiasso dei bambini, ma naturalmente essi VANNO EDUCATI AL RISPETTO DEL LUOGO IN CUI SI TROVANO.... Spesso i bambini più fastidosi sono proprio coloro che NON sono abituati alla preghiera..... Non ci risulta che un bambino sia felice di andare dal medico, eppure ce lo portate.... e Gesù non è forse il medico delle nostre Anime? E' ovvio che se noi adulti non ci crediamo, neppure i bambini ci crederanno.... Quindi niente scuse, portiamo i bambini in Chiesa a far Visita al Santissimo Sacramento, a pregare anche fuori della Messa,  e così alle Messe comandate, ed anche quelle settimanali se vi riesce. Gli adulti e i bambini devono FAMILIARIZZARE CON DIO....



- PREGARE CON I FIGLI.....MATTINA E SERA.... vi secca questo? Ma scusate, non mangiamo forse tre, quattro volte al giorno? Non facciamo gli spuntini? Ebbene la Preghiera è il nutrimento dell'ANIMA... Come il corpo deperisce se non mangiamo, così deperisce l'Anima se non preghiamo. Speigare questo ai bambini non è affatto difficile o complicato, ma essi hanno bisogno dell'esempio degli adulti, dell'esempio di coloro che amano e danno loro fiducia che ciò che fanno è un BENE per loro....
Colazione, pranzo e cena sono l’ideale per insegnare a tuo figlio di essere grato per tutto ciò che Dio ci dà grazia di avere, non ultimo il cibo che arriva sulle nostre tavole. Per esempio: «Signore, benedici questo cibo che per la tua infinita misericordia abbiamo oggi su questo tavolo. Signore, dà il pane a chi non ne ha, e dà fame di Te a chi ha il pane. Amen». Ricordati che il tuo esempio è lo strumento più efficace. Diventa il modello che tuo figlio seguirà e prega prima di mangiare a prescindere da dove ti trovi. Chiedigli di ripetere dopo di te, e vedrai che nel tempo pregheranno in modo autonomo e responsabile.


- QUANTI NINNOLI ABBIAMO PER LA CASA? C'E' POSTO PER UNA ICONA E PER UN CROCIFISSO? Quanto valore diamo per un oggetto che ci è stato regalato o che abbiamo comprato perché ci piaceva, tutto OK, nessun problema, ma.... perché non dare un posto PRIVILEGIATO A GESU' E A MARIA? Potreste così insegnare ai figli le vite dei SANTI di cui portiamo il nome e dare loro una immaginetta da CUSTODIRE, da avere cura, con cui fare una preghiera.... Basta davvero un piccolo spazio... E' significativo come molti cristiani in visita in località asiatiche, orientali, restano stupiti quando vedono gli altri templi, o i Budda custoditi negli atri delle case.... Non si capisce allora perché noi trattiamo COSI' MALE IL VERO DIO, GESU' VERO DIO E PRESENTE fra noi! Ogni abitazione Cristiana dovrebbe avere avere in casa un Crocifisso benedetto dal parroco, e far venire il parroco per la benedizione della casa. Questo atteggiamento è stato sempre in uso nella Chiesa per duemila anni, soltanto negli ultimi cinquant'anni le cose sono precipitate, per questo ci siamo persi di Amare Gesù e Maria per davvero, come si conviene. Riprendiamo queste TRADIZIONI e ne vedremo i frutti che sono la PACE NELLE FAMIGLIE.... e tanto altro. Inoltre accanto a questo spazio in casa dovrete tenere la Bibbia, i Vangeli, le vite dei Santi, IL CATECHISMO ed abituarci, in famiglia, a LEGGERLI INSIEME....


niños

- INFINE, ma non meno importante..... partecipare con i figli alla CARITA', alla solidarietà... che non è il pietismo, ma un modo per insegnare loro che NON TUTTO CI E' DOVUTO e che ci sono famiglie meno fortunate di noi.... Abituarli  PREGARE E RINGRAZIARE DIO SE I GENITORI HANNO UNA CASA E UN LAVORO.... questo esercizio farà dei nostri figli dei responsabili e attenti a non diventare spendaccioni, e ad impegnarsi - crescendo - per cercare un lavoro e nello studio. Sapranno apprezzare, in tempo di carestia, quello che potranno avere.... e impareranno ad amare il prossimo come si conviene, regalando a noi genitori delle grandi soddisfazioni morali. Siate voi solleciti con il parroco per organizzare, ad esempio, dei TURNI con altre famiglie, per occuparci delle famiglie più bisognose della parrocchia e dintorni.... visite ad anziani soli, ammalati in casa o in qualche ricovero vicino, questa è la vera COMUNITA'.... Molte parrocchie fanno questo: l'estate a turni si prendono cura degli anziani che rimangono soli, e durante l'anno si organizzano per fare loro la spesa... o di occuparsi di quelle famiglie che non hanno i soldi per pagare gli affitti o le bollette....

Pensiamoci bene: se ogni parrocchia dislocata sul territorio, avesse parrocchiani così, abbiamo idea di quante grazie saremo investiti dal Cielo? Certo, nessuno probabilmente dinterebbe un Papern dè Paperoni, ma i bambini non amano forse di più Paperino? Battute a parte, non è vero che diventeremo più poveri, al contrario, saremo TUTTI più benestanti e con L'ANIMO SERENO si eviterebbero tante di quelle cattive notizie che siamo costretti a sentire.... perchè, alla fine della fiera E' L'EDUCAZIONE che raffina l'anima.... e un'Anima retta, con una coscienza educata AL BENE CHE E' DIO (non esiste il bene ateo), non può che creare una societàpiù giusta e più santa.



 



[Modificato da Caterina63 05/09/2018 11:51]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2017 10:43
 
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FOCUSdi Benedetta Frigerio
Esorcismo
 

Dopo il caso delle orge sataniche nel torinese si moltiplicano le discussioni sull'occulto.

Don Gino Pierosara spiega: “E' bene, ma non bisogna relegare il male a quelle forme estreme, minimizzando i peccati quotidiani e una vita cristiana blanda che ci allontana lentamente da Dio”. Il problema principale è infatti "la crisi di fede e la confusione che nasce quando si prende alla leggera la dottrina di Cristo".


Dopo il caso delle orge sataniche nel torinese si sono moltiplicati gli interventi per cercare di spiegare o mettere in guardia dal mondo dell’occulto. “Questo è un bene, ma non basta. Si rischia di relegare il male a quelle forme estreme, minimizzando i peccati quotidiani e una vita di fede blanda: basta questo ad allontanarci da Dio e farci passare dalla parte del nemico”. Padre don Gino Pierosara, parroco ed esorcista della diocesi di Fabriano, spiega i pericoli in corso nella società e nella Chiesa e i rimedi per difendersi dalla “confusione diabolica”.

Don Gino, oltre all'ultimo episodio di cronaca sulle messe e le orge sataniche a Torino, in America ormai le università hanno sdoganato i gruppi satanici a cui viene permesso di celebrare i loro riti. Come siamo giunti a un tale e diffuso livello diabolico?

Il proliferare delle sette e, in generale, del mondo dell’occulto, è il frutto della crisi di fede che stiamo vivendo. Infatti, la gente con problemi, invece che rivolgersi a Cristo attraverso la Chiesa e i suoi sacerdoti, cerca i maghi oppure si affida alle cure e alle discipline orientali ed esoteriche. Spesso fidandosi di colleghi o conoscenti, che indicano loro a chi rivolgersi. Lo fanno inconsapevoli delle conseguenze. C’è una grande e pericolosa ignoranza in merito.

Cosa accade quando si frequentano i maghi o si seguono metodi di cura e disciplina esoterici?

All’inizio sembra che ti risolvano i problemi, ma a lungo andare li moltiplicano. Il mago agisce con poteri diabolici, quindi chi si rivolge a lui entra in relazione con il diavolo, con le relative conseguenze fisiche, spirituali, psichiche (inquietudini, depressioni, disperazioni) e anche materiali. Ci sono poi dei casi di vessazione o di ossessione dovuti a fatture o maledizioni di cui la persona non è responsabile: se chi è colpito non vive una vita cristiana o non la pratica regolarmente ha bisogno di essere liberato attraverso un cammino di fede e conversione. Se invece la vittima vive in grazia, può essere colpita in maniera molto più leggera e liberarsi con più facilità. 

Ci spieghi meglio cosa significa che la causa reale del male dilagante è la crisi di fede.

Spesso anche noi cattolici abbiamo una mentalità non cristiana, pensiamo che le cose si possano e si debbano risolvere subito, senza fatica: il mago non impegna la persona, che subisce la sua influenza. Al contrario il sacerdote chiede un impegno personale fatto di sacramenti e preghiera quotidiana per avvicinarsi a Dio. Insomma, la mentalità cristiana sembra essersi dimenticata che non c’è vera gioia e pace senza Croce: “Prendi la tua Croce e seguimi”, dice il Signore, cioé rinuncia ai tuoi idoli e sicurezze umane e affidati a Lui con pazienza e fede e sari libero. Mentre il demonio ci offre una via facile che però poi ci porta alla schiavitù. 

Quali sono i gradi delle infestazioni diaboliche?

Ci sono le sette sataniche dove si stringono patti con il diavolo che portano a vere e proprie possessioni. Queste forme, come dimostra il caso di Torino, sono certamente diffuse, spesso fra i giovanissimi, la parte più debole della nostra società, che ormai sono adescati facilmente: educati al valore del successo, del potere, dell’apparire vengono attratti da proposte estreme attraverso i media, i cellulari, i video da cui sono costantemente raggiunti. Ma questa è la punta di un iceberg di una realtà molto più vasta e sommessa, che arriva fino alla semplice superstizione o a una vita lontana dai comandamenti di Dio.

Cosa può aiutare i giovani?

Proporre integralmente l’altezza della fede e dell’amore e informarli sulle conseguenze del peccato. Anche se è difficile, perché sono diseducati e crescono in famiglie a loro volta preoccupate solo dei problemi materiali senza capire che senza fede anche la vita concreta si complica. 

Come giudica il sistema della società in cui viviamo?

La nostra società è costruita in opposizione ai comandamenti, sebbene spesso anche noi cristiani minimizziamo: per molti di noi i comandamenti non sono più un problema, “perché se lo fanno tutti, non posso non farlo anche io”. Basti pensare ai rapporti prematrimoniali o al lavoro domenicale. Quando la Madonna ha parlato ai veggenti di La Salette, uno dei lamenti espressi era proprio su questo: avete sei giorni, ma voi vi siete presi anche il settimo. Se la Domenica è del Signore, oltre che partecipare alla Messa, dovremmo svolgere attività per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli: carità, famiglia, preghiera comune. Credo che oggi il sistema anticristiano regga anche per colpa nostra, ma combatterlo da soli è impossibile, per questo dovremmo andare contro corrente insieme.

Ci spieghi perché è così grave l’incoscienza del peccato.

Perche viviamo come se Dio non c’entrasse con la vita concreta. Prendiamo le convivenze dei cristiani che non si sposano “perché tanto è lo stesso”. Significa che non credono più al sacramento e al fatto che il loro amore debba e possa nascere da quello di Dio: pensano di bastarsi e che Dio non c’entri con il loro legame. Ma lo stesso vale per certi modi volgari di vestirsi, di usare i soldi, il tempo libero. Non ci rendiamo più conto, ma così Dio non incide più nella vita, mentre san Paolo diceva: "Sia che mangiate, sia che beviate...fate tutto per la gloria di Dio".

Quindi il problema non riguarda solo chi frequenta le sette o i maghi.

Senza andare lontano siamo già nelle mani del nemico. La Chiesa dà importanza alle forme estreme di disturbi diabolici ma c’è un rischio: pensare che solo quello è male e che quindi non c’entra con noi. Perciò dico sempre che l’azione più pericolosa del demonio non è questa, ma la sua attività subdola e ordinaria, non spettacolare. Perché dicendo “che male c’è” nel commettere "piccole trasgressioni" non ci si accorge ma, piano piano, ci si separa da Dio. E’ di questo che si dovrebbe parlare, anziché sminuire il peccato piccolo o grande che sia. Anche perché è più facile salvare chi subisce un'influenze manifeste (il quale messo di fronte al fatto eclatante si accorge del male e ritorna ad una vita di fede profonda) di chi vive nel peccato senza rendersi conto della morte spirituale che lo affligge e quindi del bisogno di tornare alla Grazia. 

Cosa pensa dell’ecumenismo che sostiene che i monoteisti hanno tutti lo stesso Dio?

Si sente spesso dire anche dai cristiani che noi e i musulmani abbiamo lo stesso Dio. E’ un errore perché noi crediamo nel Dio trinitario, per loro invece è blasfemo dire che Cristo è figlio di Dio. Il rispetto per i musulmani ci deve essere e si può essere loro amici a partire da un’umanità comune e dal fatto che ogni essere umano ha una legge identica iscritta nel cuore. Ma io, oltre che fare la carità alle famiglie straniere, parlo loro di Cristo, che è il Salvatore di tutti. Tutti hanno bisogno di Lui. Il Proselitismo non è imporre una religione ma annunciare il Vangelo sapendo che l’altro è libero di aderirvi o meno. E’ nostro dovere seguire il comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. 

Il diavolo le ha mai parlato della sua azione?

Io tendo a non interrogarlo, anche se solitamente maledice l’esorcista o lo minaccia predicendo malattie che poi non si verificano. Mentre quando si nomina la Madonna reagisce in maniera estremamente violenta, non sopporta il Rosario. Un paio di volte ha detto che la Chiesa ormai è alla fine, ma noi sappiamo che è menzognero e che “le porte degli inferi non prevarranno contro di Essa”. Ciò non significa che il nemico non operi producendo confusione. Basti pensare che ormai un prete dice una cosa, un altro l’opposto. Noi sacerdoti siamo spesso gli attori di questa confusione: ognuno si regola a modo suo, a prescindere dalla dottrina della Chiesa, dicendo ai fedeli: “Secondo me, se vuoi, se ne senti il bisogno”.

Come si esce da questa confusione?

Bisogna conoscere il catechismo della Chiesa cattolica
dove è rivelata la verità immutabile, seguire il Vangelo, pregare e vivere una vita sacramentale. Vorrei concludere con una frase profetica di san Giovannni Crisostomo: “Quando l’eresia si impadronirà della Chiesa sappiate che non ci sarà prova di vera fede e di cristianità se non con le sacre scritture, perché quelli che si volgeranno altrove periranno”. 





Matrimonio
 

"Non sapete quanto bene potete fare semplicemente amando la vostra famiglia e Dio". Doug Mainwaring spiega come l'amore di un uomo e una donna cristiani lo ha riportato a casa e nella Chiesa: "Vedevo che mio figlio desiderava una mamma e un papà che si amassero". Ora, dopo anni vissuti nel peccato e persino nella sodomia, l'uomo spiega che con la forza del sacramento "si è capaci di superare insieme ogni difficoltà, onorando il coniuge e ricevendo l'aiuto diretto di Dio". 

di Benedetta Frigerio

Sposato per quasi dieci anni, divorziato per oltre dieci e da circa cinque di nuovo con sua moglie, Doug Mainwaring, ha spiegato al Wintherspoon Institute perché il matrimonio è un affare pubblico e come mai, nel bene e nel male, è contagioso. “Quando io e mia moglie eravamo ancora separati, nostro figlio minore, Chris, certe volte passava il fine settimana a casa con il suo amico delle scuole medie Ray (…) Chris amava davvero passere il tempo a casa di Ray e la ragione mi era chiara: amava la vita di quella famiglia”. Impressiona la lealtà di Mainwaring che ha chiarito di aver dovuto guardare il figlio negli occhi e ammettere che Chris “voleva una famiglia come la loro (…) con una mamma e un papà che si amavano chiaramente” e “sapevo che questo era quello di cui avevo privato Chris e suo fratello”. E’ proprio la testimonianza di questa coppia che Mainwaring incontra durante le attività sportive o scolastiche del figlio che “mi ha fatto inizialmente pensare se avessi fatto un errore enorme a divorziare da mia moglie e a spezzare la mia famiglia”. Finché, con il susseguirsi della frequentazione del figlio, “mi convincevo sempre più del mio grave errore”. Infine, “capii che non avevo altra scelta se non quella di trovare un modo per riunire la mia famiglia”. 

Quello che colpì l’uomo è che, “benché allora non credessi”, vedeva che “l’amore e la fedeltà” di quella coppia “traboccava a cascata nella mia vita tramite quella di mio figlio”, finché gli sembrò “che questo fosse il modo buono di Dio di farmi vedere che avevo sbagliato”. Tanto che, grazie a loro, “non solo io e mia moglie siamo insieme da quasi sei anni, ma sono ritornato alla Comunione con la Chiesa dopo circa vent’anni di lontananza”. Parlando a tutti gli sposi, che magari per il mondo non valgono quanto i manager gli attori e le veline, Mainwaring ha spiegato invece l’enorme potere che ha un matrimonio sulla società: “Probabilmente non avete idea dell’enorme bene che fate prendendovi cura del vostro matrimonio, del vostro coniuge e della vostra famiglia e semplicemente vivendo la vostra vita come cristiani fedeli. Il vostro rapporto personale e impegno con Cristo si riverbera tutt’intorno a voi, inviando onde che influenzano la vita degli altri in modi nascosti e inaspettati”. Per questo, ha continuato, “non c’è mai un buon motivo per non rispettare la dignità del coniuge davanti ai bambini, agli amici e alla famiglia o nelle conversazioni private con il coniuge, ma anche nella vostra mente (…) sminuire, fare spallucce che raffreddano, insultare, abbattere o ledere la dignità dello sposo in ogni caso è sempre distruttivo. Anche l’umorismo negativo è tutt’altro che innocuo” perché “tutto questo manifesta la mancanza di amore incondizionato”. 

Eppure, spiega Mainwaring, la sua lontananza da casa era dovuta a molti problemi, fra cui le sue attrazioni per persone dello stesso sesso, che sperimentò solo dopo il divorzio, credendo all’inizio di essere finalmente libero. Ma poi riscoprendo che la felicità era altro. E sebbene “nel mio matrimonio abbiamo avuto a che fare con la mia attrazione per persone dello stesso sesso, con storie familiari di comportamenti compulsivi, di difficoltà finanziarie e di problemi di salute e altro” (le stesse cose che “ci portarono al divorzio”) alla fine “ l’amore ha lentamente e costantemente trionfato sull’animosità e l’isolamento”. Come ha fatto a tornare indietro dopo oltre dieci anni? “Non ho risposte semplici – sottolinea l’uomo – ma penso che il primo passo sia questo: devi scegliere di riconoscer l’importanza e l’irrevocabilità del tuo rapporto sponsale, riconoscere la dignità del tuo sposo” e farlo “sempre, nonostante tutto, pentendoti quando è necessario”. 

Così dalla riconciliazione in poi Mainwaring e la moglie hanno “continuato ad affrontare piccole e grandi sfide, una dopo l’altra. Invece che permettere a queste di abbatterti o alla relazione di franare” o di “dire: “Questo è troppo difficile per me”.  Sempre nel tempo l’uomo ha compreso che ciò che accadde il giorno del matrimonio era che da “due siamo diventati uno, un’entità interamente nuova venne ad essere nell’universo. Non una creazione metaforica, ma una realtà”. E so che “quando il mio tempo su questa terra sarà finito, il mio matrimonio sarà il singolo e più importante contributo che abbia mai dato”. Infatti, si è in due a combattere, anzi in tre, visto che “l’amore di mia moglie per me, soprattutto nei momenti più bui, è stato un conduttore diretto dell’amore di Dio. E maggiori sono le sfide personali che ho affrontato, più lei mi ha onorato con dignità e rispetto (…) è un riflesso dell’amore di Dio”. Quindi “il mio matrimonio è più importante di ogni riserva affrontata: “Sono infelice. E quindi? Sono attratto da persone dello stesso sesso. E quindi? Sono dispiaciuto. E quindi? Abbiamo difficoltà economiche. E quindi? Siamo diventati incompatibili. E quindi? Siamo diventati vecchi e siamo ingrassati. E quindi? Il mio sposo ha assunto cattive abitudini. E quindi?”. Soprattutto “ho incontrato qualcuno che mi piace di più. E allora?”. Qui la risposta dell’uomo: “Posso sopportarlo e lo faccio con piacere. Possiamo affrontare e superare i problemi. Abbiamo navigato le acque difficili sempre insieme (…) invece che preoccuparsi o sognare su qualcosa che sarebbe potuto andare meglio, realizza che non esiste migliore opzione, perché non esiste una missione più grande e importante di questa”. 

Anche perché “se non fosse stato per le difficoltà non penso che tra me e mia moglie l’amore incondizionato e la dignità avrebbero mai avuto alcuna possibilità di mettere radici e di crescere”. Sono quindi la famiglia e il matrimonio cristiano a dimostrare che “la Chiesa è veramente un ospedale da campo, perché la chiesa domestica è in prima linea…dove le ferite vecchie e nuove possono presentarsi. Se vogliono i coniugi possono servire come medici. I migliori medici”. Per questo Mainwaring ha dichiarato tempo fa che “il matrimonio omosessuale è un grande colpo di Stato del diavolo che si fa beffe della relazione di Cristo con la sua Sposa, la Chiesa. Questa è la ragione della furia scagliata su quanti parlano contro il matrimonio omosessuale”. E per questo onorarsi fra marito e moglie per sempre, in ogni avversità, è la “mia grande missione”. L'unica che proprio grazie ai sacrifici rende i legami una potenza d'amore e quindi i coniugi e il mondo felici.







[Modificato da Caterina63 26/03/2017 12:27]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/04/2017 18:39
 
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  Un sacerdote risponde

Le chiedo cosa pensa della musica rock e metal; nonostante sia agnostico, non ho mai abbandonato Dio e non ne nego l’esistenza

Quesito

Caro Padre Angelo, 
cosa ne pensa della musica rock e metal? Pensa che in qualche modo allontani da Dio? Io penso di no, in quanto ascolto da molto questa musica e, nonostante sia agnostico, non ho mai abbandonato Dio e non ne nego l’esistenza. Ci sono alcune canzoni nel metal estremo che parlano di demonio e cose varie, ma sono testi adatti per la musica che c’è sotto, e i musicisti ci scherzano anche su… Ora vi mando il link di una canzone metal: una delle migliori (…). Parla dell’abuso delle droghe pesanti e c’ è una piccola denuncia verso chi ne fa uso… Un cristiano può ascoltare questa musica?


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. in una risposta data ad un nostro visitatore avevo scritto: 
“Ti dico subito che non sono esperto di tale genere di musica e per darti una risposta mi sono dovuto informare. Da quanto ho capito da un giovane che si è convertito e che prima della conversione ascoltava cd di questo tipo mi sono fatto questa opinione: se alcuni di questi cd sono innocui, altri invece inclinano al pessimismo e se non altro possono far male sotto il profilo psicologico. A volte non si può escludere neanche qualche influsso satanico. Il giovane da me interrogato ha detto che dopo la conversione non ne ha più fatto uso perché sentiva da se stesso che si trattava di entrare in un mondo del tutto opposto a quello della prospettiva evangelica”.
Pertanto sta a te fare discernimento tra canzone e canzone.

2. Mi dici che sei agnostico, che non hai mai abbandonato Dio né hai negato  la sua esistenza.
Ma questa non è ancora fede vera.
Anche i demoni sanno che Dio c’è, ma la loro fede non è salvifica.

3. Il Signore ci chiede di entrare in comunione con Lui.
Non ce lo chiede perché ne abbia bisogno. Non sarebbe Dio se ne avesse bisogno!
Ne abbiamo bisogno noi nel medesimo modo in cui il pesce ha bisogno di stare nell’acqua. Fuori dell’acqua il pesce boccheggia e muore.

4. Ricorda quanto ha detto Gesù: “Rimanete in me e in voi” (Gv 15,4).
La fede cristiana è esperienza di questa comunione.
È una comunione che sazia, perché porta una Persona dentro il nostro cuore. 
Non la porta col pensiero e con l’affetto soltanto, ma con la sua presenza reale.
E questo è possibile perché la Persona di cui stiamo parlando non è una persona umana (che tra l’altro non potrebbe entrarvi), ma una Persona divina.

5. Per vivere questa esperienza è necessaria la grazia, perché “Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato” (Sap 1,4).
Per questo come primo passo ti esorto alla confessione sacramentale.
Se farai una confessione sincera e integra dei tuoi peccati ti troverai nella felice condizione di potere vivere quest’esperienza.
Come il sole per poter illuminare, bonificare e riscaldare non ha bisogno di dire parole, così avvertirai in te un’analoga esperienza.
Senza dir parole, Dio invaderà il tuo cuore con la sua presenza e ti sentirai sazio.

6. Sentirai allora come siano vere le parole di Davide: “gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,11).
La vita cristiana è proprio questo: gioia piena e dolcezza senza fine per la presenza personale di Dio nel nostro cuore.
Finché non si vive quest’esperienza si rimane ancora alle soglie e la vita di fede è a rischio di spegnersi del tutto. La fede infatti è ridotta ad un’idea, ad un pensiero.

7. Domani è la festa di tutti i Santi: la preghiera unanime di tanti nostri intercessori ti ottenga questa grazia, che è la più bella che puoi ricevere nella vita presente e la più preziosa per la tua vita futura.

Ti ricorderò in tutte le Messe che celebrerò e anche nei miei Rosari.
Intanto ti benedico e ti auguro ogni bene. 
Padre Angelo


Pubblicato 25.04.2017



Un sacerdote risponde

Mi è stato detto che nella Chiesa antica chi si macchiava di apostasia non riceva il perdono per tutta la vita e che questo sarebbe vero anche oggi

Quesito

Buonasera. Mi chiamo Franca e Le scrivo per avere dei chiarimenti in merito a una discussione avuta con una persona molto preparata che, citando la storia antica, sostiene che ancora oggi nella dottrina, la Chiesa ha il potere di rimettere tutti i peccati tranne quello di apostasia.
(Nella conversazione facevamo riferimento al peccato di apostasia inteso come rifiuto totale di Dio e di Gesù).
Ho letto alcuni suoi interventi che fanno intendere invece che ogni peccato può essere rimesso dalla Chiesa senza limite alcuno e mi sono confusa.
Le sarei grata se mi desse degli aiuti, anche attraverso uno studio con il quale possa dimostrare ciò che Lei asserisce e quindi che ancora oggi il potere di legare e sciogliere riguarda tutti i peccati senza eccezione e se nel tempo questo punto possa essere cambiato dalle leggi della Chiesa. 

La ringrazio in anticipo e attendo la Sua risposta, sperando di essere stata chiara nel porgerLe la mia domanda. Le auguro ogni bene.


Risposta del sacerdote

Cara Franca,
1. per apostasia s’intende il ripudio totale della fede cristiana.
Sulla riammissione degli apostati nella Chiesa antica ti riporto quanto si legge in un testo di Storia della Chiesa, il Bihlmaeyer –Tuechle:
“La Chiesa antica quale « comunità di santi» esigeva dai suoi membri un alto tenore di vita morale. Il sigillo battesimale, già in vista del prossimo atteso ritorno del Signore, doveva essere conservato «sacro e inviolabile». Ne seguiva una grande severità verso i peccatori, anche se solo alcuni vescovi isolati della fine del 2° secolo punivano nel loro rigorismo con l'esclusione perpetua dalla Chiesa i cosiddetti peccati capitali, cioé soprattutto l'idolatria, ossia la negazione della fede (idolatria), l'assassinio e la lussuria (adulterium e fornicatio).
Anche i rei di peccati gravi erano ammessi fin da principio a fare penitenza e, dopo che l'avevano fatta, si concedevano loro il perdono e la riammissione alla Chiesa” (Storia della Chiesa, I,  § 24, 1.

2. “Secondo ogni apparenza, Tertulliano nel suo scritto premontanista «De poenitentia»
ammette il perdono della Chiesa, almeno sul letto di morte.
L'intercessione di martiri e confessori o il rilascio di una lettera di pace (libellus pacis) per un rinnegato che si pentiva, accelerava in generale l'assoluzione e la riassunzione nella Chiesa” (Ib.). 
“Non si può dimostrare che martiri e confessori laici avessero il diritto di dare per conto
proprio la pace ai peccatori e di condonare la penitenza. La loro voce aveva certamente un
peso notevole, ma per quanto riguarda la loro intercessione, essa doveva venire regolarmente
ratificata dal vescovo” (Ib.).

3. Verso la metà del 3° secolo scoppiò una violentissima persecuzione sotto l’imperatore Decio. Molti apostatarono. Ma anche nei loro confronti, una volta pentiti, la Chiesa li riammise.
Ecco la narrazione dei nostri due storici:
“A prescindere dalla breve persecuzione sotto Massimino la Chiesa aveva già goduto quarant'anni di pace. In questo periodo guadagnò notevolmente terreno e potè sviluppare indisturbata la sua organizzazione. Penetrò più che in passato anche nelle gerarchie dello Stato e nella società e conquistò molti aderenti perfino fra i nobili e i funzionari. Ma all'accrescimento esterno non corrispondeva il perfezionamento interiore; la lunga pace aveva portato un certo rilassamento. Parecchi chierici e laici si erano dati alla vita mondana ed erano diventati cristiani tiepidi.
Come osserva Cipriano (De lapsis 5) «per mettere alla prova la sua famiglia » Dio mandò un'altra persecuzione. Fu di breve durata, ma violentissima e pericolosa. È dovuta a Decio (249-51), uno di quegli imperatori militari poco colti, ma pieni di energia, di origine pannonico-illirica, che fecero una politica di restaurazione in grande stile. Egli voleva dare all'Impero quasi in rovina per la corruzione e l'invadenza soffocatrice del costume orientale maggiore forza di resistenza contro i nemici esterni ed interni e riportarlo allo splendore di un tempo; credeva quindi di dover sottomettere all'antica religione nazionale unitaria in primo luogo i cristiani, a suo avviso i nemici più pericolosi dello Stato Romano.
Procedette con tale decisione e così sistematicamente che la sua persecuzione ha un'importanza superiore a tutte le precedenti ed inaugura un periodo nuovo nella storia delle stesse. Un editto della fine del 249 o dell'inizio del 250 ordinava a tutti i sudditi di offrire agli dèi, unitamente alle mogli e ai figlioli, un solenne sacrificio propiziatorio (supplicatio). Contro gli esitanti si doveva procedere ricorrendo a tutti i mezzi propri di una giustizia crudele: carcere, confisca dei beni, esilio, lavori forzati, poi, crescendo in asprezza, la tortura e finalmente, in certe circostanze - non in molti casi - anche la pena di morte. I vescovi erano presi di mira in modo speciale; Decio diceva di tollerare più facilmente un rivale nell'Impero che un vescovo
cristiano a Roma.
Poiché il colpo venne come fulmine a ciel sereno, grande fu lo spavento dei cristiani.
Purtroppo in molti casi essi diedero prova di scarsa forza di resistenza: nelle grandi città come Alessandria, Cartagine, Smirne e Roma, si verificò una defezione in massa (Eusebio VI, 39-41; Cipriano De lapsis 7-9); tradirono la fede persino alcuni vescovi.
Una parte dei cristiani apostati (lapsi) offerse agli dèi sacrifici di animali o di incenso (sacrificati, turificati), altri invece, senza offrire sacrifici, seppero fare in modo, sia colla astuzia, sia colla corruzione, da procurarsi dalle autorità il prescritto certificato di sacrificio compiuto 
(libellus) e la registrazione nelle liste ufficiali (libellatici, acta o accepta facientes).
Ma ci fu anche «una moltitudine» (Cipriano De lapsis 2) di confessori e di martiri di ogni età e sesso saldi nella loro fede; fra gli altri il papa Fabiano, una delle prime vittime della persecuzione (la sua sede rimase vacante più di un anno), il presbitero Pionio di Smirne, che fu arso, i vescovi Babila di Antiochia e Alessandro di Gerusalemme, i quali morirono in carcere, il vecchio Origene, che soffrì gravi torture in carcere ma poi fu rilasciato. Molti, come i vescovi Cipriano di Cartagine, Dionisio di Alessandria e Gregorio il
Taumaturgo di Neocesarea, si salvarono attraverso gravi stenti con la fuga.
Nella primavera del 251 la persecuzione si rallentò, perché Decio fu distratto dall'irruzione dei Goti nella Mesia. Quando egli nel maggio o nel giugno del 251 cadde combattendo contro di loro sul Danubio inferiore, subentrò una pace totale. La Chiesa era stata scossa gravemente, ma non vinta. Molti «lapsi» rientrarono pentiti; a Roma e Cartagine la loro riammissione provocò gravi controversie (v. § 35, 1.2)” (Storia della Chiesa, I,  § 16, 1).

4. Ma “i sinodi di Roma sotto papa Cornelio (251-53) e di Cartagine decisero di ammetterli non solo in caso di pericolo di morte, ma anche per principio, dopo averli sottoposti a una penitenza di lunga durata” (Storia della Chiesa, I,  § 24, 1).

5. Questa dunque la storia antica.

6. Oggi la Chiesa riammette pacificamente coloro che hanno apostatato.
Ad essi, sotto le indicazioni del vescovo, viene fatto compiere un cammino che li aiuti a ricuperare la pienezza della fede.
Così ad esempio fà con chi ha chiesto lo “sbattezzo”, compiendo di fatto un’apostasia.
Molti di coloro che hanno chiesto lo sbattezzo se ne sono pentiti e sono stati riammessi alla comunione ecclesiale.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 26/04/2017 18:44]
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27/04/2017 20:59
 
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  riflessione provocatoria


Perché non possiamo dirci cattolici

Non possiamo dirci cattolici perché i cattolici non contano niente.
Sì, lo so, non è una scusa. Ma è la realtà. Chi se li fila ancora, i cattolici? Non sono specie protetta, anzi, sono la sola specie che è possibile cacciare impunemente. Provate a toccare una qualsiasi minoranza di pervertiti, di stranieri, di lavoratori di qualche nicchia. I coltivatori di rucola e i sodomizzatori di capre possono trovare la loro sponda in Parlamento, la loro manifestazione, il loro articolo sul giornale che sancisca il loro sacrosanto diritto a qualche legge favorevole. L’indignazione, se qualcuno osa andare loro contro. I cattolici no. Guai se parlano.
Ogni cosa loro sostengano sarà inseguita e distrutta, nello sforzo corale di distruggere il cattolicesimo stesso. Di cancellarne ogni vestigia, così che non sia più possibile essere legalmente cattolici. Essere facilmente cattolici. Essere impunemente cattolici.

Con il plauso, l’approvazione o l’indifferenza di coloro che un tempo erano cattolici; e magari lo sono ancora, ma non lo dicono più. Perché non possono dirsi cattolici.

Così assisto allibito alla esaltazione, da parte di coloro che un tempo si chiamavano cattolici, delle peggiore castronerie contro il cristianesimo. Contro il suo popolo. Contro la famiglia. Contro le persone. Contro la vita.
Adempiendo forse al precetto evangelico di amare i propri nemici, e andando forse ancora più in là, adorandoli pure.
E tali nemici ne approfittano. Come talvolta c’è chi abusa di chi lo ama. Disfacendosene quando è ridotto ad un guscio vuoto, a niente. Perché niente gli importa. A questo siamo. Ad abbracciare il male non per tirarlo verso il bene, ma perché non lo sappiamo più distinguere dal bene.
Come possiamo trasmettere il fascino di ciò che non ci affascina? Spiegare ciò che non abbiamo capito? Invitare a credere in ciò in cui non crediamo?

Abbiamo dato ascolto a troppe bugie, rendendocene conto solo dopo; ed alla bugia successiva abbiamo dato ascolto ancora, dicendoci che questa volta sarebbe stato diverso. Ogni volta. Pecore senza discernimento in mano a pastori confusi.
Sì, è questo il nostro peccato più grande. Il solo grande peccato. Credere a tutto tranne che in ciò in cui dovremmo credere davvero. Essendo cattolici.

                                                   
Non credere più a Cristo. Non sapere più cosa ha detto. Non sapere più cosa dice. O, pur sapendolo, non fidandocene. Non credendoci veramente.
No, Signore, non andiamo a Gerusalemme. Là ci ammazzeranno.
Se ci andiamo non possiamo dirci cristiani. Non possiamo dirci cattolici. Ci farebbero del male. Non crederebbero a quello che diciamo.
E allora rinnegheremo. Non ci diremo più cattolici. Il gallo canterà, ma noi non piangeremo.
Quando Lui ci chiederà se lo amiamo, cosa risponderemo?

Un sacerdote risponde

Provo un grande rancore verso mia madre perché ha abortito e mi ha negato di vivere con mio fratello

Quesito

Caro Padre Angelo,
non sono italiana, sono polacca, ma spero comunque di riuscire ad esprimermi. Il mio problema che mi accompagna per tutta la mia vita da adulta, e' l'aborto fatto da mia madre due anni della mia nascita. L'avevo sempre saputo che c'era stato qualcuno prima di me - l'avevo sentito come un vuoto. Soffro tantissimo per questa cosa, Padre Angelo, e veramente non riesco a calmarmi. Anche perche' mia madre, pur avermelo detto, non mi ha mai chiesto perdono. Anzi, quando me l'ha confessato, ha detto che tanto ormai non avrebbe avuto nessun significato per me nel senso che io non avrei rimesso niente per quella cosa. E quanto sbagliava. Sono passati piu' di trent'anni da quando me l'ha detto e io ci penso tutti i giorni, anzi, piu' volte al giorno. La mia tragedia e' che non riesco a perdonarla, ne' lei ne' mio padre, anche se loro non mi chiedono neanche il perdono. Secondo loro non sia un problema che mi riguardi. Invece non e' cosi'. Sono "figlia unica" anche se sembra grottesco in questo contesto, e come tale ho sempre avuto l'unica responsabita' di soddisfare le loro aspettative. E poi, perche' non hanno ammazzato pure me? Sarei stata piu' felice con mia sorella nel Cielo, che con loro in terra. Veramente provo un grande rancore verso mia madre soprattutto, perche' e' donna. Per mio padre invece mi dispiace e nei suoi confronti provo, piuttosto, compassione. In questa mia tragica situazione non posso neanche parlare con un sacerdote, non posso andare a confessarmi, perche' sono due volte divorziata e ancora risposata. Ho cinque figli - tutti fantastici -  che ho cresciuto quasi senza aiuto di nessuno. Sono il mio orgoglio e la mia gioia piu' grande. Pero' devo anche ammettere che il modello di vita che ho scelto e' forse una specie di opporsi contro la scelta di mia madre. Mia madre poi ora frequenta la chiesa tutti i giorni e si crede quasi l'ambasciatore di Dio e ci costringe tutti psicologicamente a seguirla - mi dica Lei, con che faccia lo fa? Non si vergogna davanti a me e a mio fratello abortito? Per cortesia, mi dia qualche consiglio perche' il mio dolore invece di passare col tempo, sta crescendo ogni giorno di piu'.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. in genere quando si pensa alle donne che hanno abortito la mente vola alla loro sofferenza interiore.
Questa è la mia esperienza di confessionale. Nessuna donna che ha abortito riesce a perdonarsi di quello cha ha fatto, anche se io le dico che deve essere certa del perdono di Dio.
C’è dunque e senza dubbio la loro sofferenza.
Ma c’è anche la sofferenza di fratelli o sorelle dei bambini abortiti quando questi vengono a sapere che la loro mamma ha volontariamente abortito.
Sentono che è stato fatto loro un torto perché è stato loro negato un fratello cui avevano diritto perché era già vivo e l’hanno soppresso prima della nascita.
Questo è il motivo per cui tu senti che tua madre avrebbe dovuto chiedere perdono anche a te.

2. Tua madre ha sbagliato sia nell’abortire sia nel dirlo anche a te.
Sarebbe stato sufficiente che l’avesse detto solo al confessore.
Ormai te l’ha detto e così senza saperlo, oltre a devastare se stessa, ha devastato anche te che sei portata ad avere sentimenti non buoni verso di lei.
Ma il rancore non ti serve a nulla. Anzi, ti è dannoso perché non attira la benevolenza di Dio, di cui hai bisogno in particolare per i cinque figli che il Signore ti ha voluto dare e di cui giustamente sei fiera.

3. Pertanto ti esorto a perdonare tua madre, anche perché pure tu hai bisogno del perdono di Dio, della sua continua misericordia e benedizione. Ne hai bisogno in particolare per la tua famiglia. Mi dici infatti che sei due volte divorziata ed attualmente sei sposata con un terzo e pertanto nell’impossibilità di poterti confessare e ricevere la Santa Comunione.
Cerca di attingere la grazia che attualmente non ti può essere data con i Sacramenti attraverso altre strade.
La prima è quella del perdono.
Ogni volta che ti assale il pensiero di quello che tua madre ha fatto, perdonala di cuore e prega per lei. 
Così attiri subito su di te e sulla tua famiglia la benevolenza di Dio.

4. Mi dici che questo rancore, anziché allentarsi col tempo, s’ingrandisce sempre più.
Cogli la tentazione che si riaffaccia di continuo come un’occasione per ribadire e moltiplicare il tuo perdono e il tuo merito.
Così anche del peccato che tua madre ha commesso puoi dire: dove è abbondato il peccato lì è sovrabbondata la grazia.

5. Questo perdono è un atto di carità.
E tu sai che per un  atto di carità Dio perdona tanti peccati.
Lo ha ricordato anche Papa Francesco in Amoris laetitia quando a proposito di coloro che vivono in una situazione irregolare dice: “Davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis (la via della carità). La carità fraterna è la prima legge dei cristiani (cfr Gv 15,12; Gal 5,14)” (AL 306).

6. Ebbene, la carità fraterna si esprime col perdono, con il dimenticare, con il buon tratto verso tutti, proprio come dice San Paolo: “la carità non manca di rispetto, (…) non si adira, non tiene conto del male ricevuto, (…). Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,5.7). 
Vale per tutti e in particolare per quanti non possono accedere ai sacramenti quanto Amoris laetitia dice: “Non dimentichiamo la promessa delle Scritture: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8)” (Ib.).

7. Il Papa riprende poi una bella affermazione di sant’Agostino: “Come dunque se fossimo in pericolo per un incendio correremmo per prima cosa in cerca dell’acqua, con cui poter spegnere l’incendio, (…) ugualmente, se qualche fiamma di peccato si è sprigionata dal fieno delle nostre passioni e perciò siamo scossi, rallegriamoci dell’opportunità che ci viene data di fare un’opera di vera misericordiacome se ci fosse offerta la fontana da cui prender l’acqua per spegnere l’incendio che si era acceso” (De catechizandis rudibus (I,14,22).

8. Forse il Signore permette al tuo avversario di ripresentarti di continuo davanti alla mente il peccato di tua madre perché tu non smetta mai di attingere a questa fonte di perdono, di grazia e di benedizione per te e per i tuoi figli.
Sfrutta dunque l’occasione.
Ti accorgerai ben presto che le tentazioni del demonio se vengono superate con le armi che il Signore ci presenta sono un’occasione di grazia e di crescita nella via della santificazione.

Ti ricordo volentieri nella preghiera insieme a tutti i tuoi figli e ti benedico. 
Padre Angelo



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   ATTENZIONE, ANCHE I SACERDOTI DEVONO CONFESSARSI....

Il mio parroco ha cambiato la formula durante la Consacrazione. La comunione era ancora valida? Ovvio che "NO!" non è valida, ma cerchiamo di capire il perché....



 Un lettore ci chiede: «Ammettiamo che il prete cambi la formula per la transustanziazione. L’ostia è divenuta lo stesso il Corpo di Cristo?»

Don Enrico Finotti, direttore della rivista “Culmen et fons” premette: «L’uomo comunica con gli altri attraverso la persona, il gesto e la parola, in modo che la persona spieghi con la parola il senso preciso dei suoi gesti».

«L’eterno Padre – prosegue il liturgista – comunica con noi nello stesso modo, inviandoci, nella pienezza dei tempi, il Suo Figlio divino, il Verbo incarnato, che, incontrandosi personalmente con gli uomini, compie i suoi gesti salvifici, illuminandoli con la potenza della sua parola mirabile ed efficace».

LA MISSIONE DELLA CHIESA

La Chiesa, «obbediente al comando del Salvatore», evidenzia Finotti, «attualizza nei secoli l’opera della nostra Redenzione, mediante la persona dei suoi ministri, che, agendo in persona Christi capitis, compiono, in modo sacramentale, i medesimi gesti del Signore e pronunziano le Sue stesse parole per la realizzazione efficace, qui ed ora, dei suoi Misteri (Sacrificio e Sacramenti)».

MINISTRO, MATERIA E FORMA

La teologia, «in perfetta coerenza con questo processo», denomina «i tre elementi intrinsecamente cooperanti – persona, gesto e parola – con i termini tecnici di ministro, materia e forma».

Nel caso specifico dell’Eucaristia, sottolinea il liturgista, «la sua celebrazione valida esige il ministro idoneo (il sacerdote validamente ordinato), la materia autentica (il pane e il vino), la forma stabilita (le parole stesse del Signore)».

QUANDO LA CELEBRAZIONE E’ ILLECITA

L’omissione o l’alterazione sostanziale di uno di questi tre elementi necessari (intrinseci e indissolubili) «provoca l’invalidità del sacramento, ossia la sua inesistenza fin dal principio. Mentre, la loro attuazione in modalità e condizioni difformi dalle leggi liturgiche della Chiesa rende la celebrazione illecita».

LE PAROLE DI GESU’

La Chiesa Cattolica ha dichiarato che «la forma necessaria per realizzare il Sacrificio sacramentale – sottolinea il liturgista – é costituita dalle medesime parole pronunziate dal Signore sul pane e sul calice, così come sono attestate dalla costante tradizione liturgica della Chiesa e contenute nelle Preci eucaristiche approvate».

LA FORMULA CONSACRATORIA

Finotti evidenzia la «formula consacratoria» stabilita nel vigente Messale Romano:

(forma ordinaria)

(sul pane)  Accipite et manducate ex hoc omnes:

hoc est enim Corpus meum,

quod pro vobis tradétur.

(sul calice) Accipite et bibite ex eo omnes:

hic est enim calix Sanguinis mei,

novi ed aeterni testamenti,

qui pro vobis et pro multis effundetur

in remissionem peccatorum.

Hoc facite in meam commemorationem.

(forma extraordinaria)

(sul pane)         Hoc est enim Corpus meum.

(sul calice) Hic est enim calix Sanguinis mei,

novi ed aeterni testamenti:

mysterium fidei:

qui pro vobis et pro multis effundetur

in remissionem peccatorum.

LA LEZIONE DEL CONCILIO

«Il monito conciliare – … assolutamente nessuno, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica (SC 22), se riguarda ogni rito liturgico e ciascuna sua parte, vale in modo del tutto speciale (stricte) per la forma della Consacrazione eucaristica e per quella di ognuno degli altri Sacramenti».

NESSUNA MODIFICA

A nessuno è quindi lecito aggiungere, togliere o mutare, conclude il liturgista, «alcunché delle parole con le quali l’autorità della Chiesa, in coerenza con la tradizione perenne, ha stabilito di voler realizzare sacramentalmente il mistero (“transustanziazione”) del Corpo e Sangue del Signore nell’atto stesso del Suo Sacrificio incruento».

 


[Modificato da Caterina63 26/09/2017 13:40]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Visione di S. Teresa d'Avila, circa la Confessione:

Risultati immagini per santa Teresa d'avila

"(…) ed ecco, ad un tratto, spalancarsi innanzi agli occhi una voragine profondissima tutta ripiena di fuoco e di fiamma, e laggiù cadere abbondantissime, come la neve d’ inverno, le povere anime. Spaventata, santa Teresa alza gli occhi al cielo e dice :”Mio Dio, mio Dio! Che cosa vedo mai? Chi sono tutte quelle anime che vanno perdute? Saranno certamente anime di poveri infedeli…”.

“No, Teresa – rispose Gesù – no! Sappi: quelle anime che vedi in questo momento andare all’ inferno per mia permissione, sono tutte anime di cristiani come te”.
Teresa ancora più stupita intervenne: “Ma saranno anime di gente che non credevano, che non praticavano la religione, che non frequentavano i Sacramenti…”.

“No, Teresa, no! Sappi che sono anime di cristiani battezzati come te, che come te credevano e praticavano…”.
“Ma allora non si saranno confessati mai, neppure in punto di morte”.

“No, sono anime che si confessavano e si sono confessate anche in punto di morte…”, dice Gesù.
“Come, o mio Dio, vanno dannate?”.

“Vanno dannate perchè si confessano male!…Và, o Teresa, racconta a tutti questa visione e scongiura Vescovi e Sacerdoti di non stancarsi mai di predicare sul rischio delle confessioni mal fatte, onde i miei cari cristiani non abbiano a convertire la medicina in veleno e servirsi in male di questo sacramento, che è il sacramento della misericordia e del perdono”.

Un sacerdote risponde

Sui peccati impuri e se si possa fare la Comunione ugualmente con la volontà di confessarli poi tutti insieme una volta al mese

Quesito

Caro Padre Angelo, 
le scrivo per togliermi qualche dubbio sui peccati che compio in merito al 6° comandamento... Sono un ragazzo di 18 e sono credo 4 anni ormai che pratico la masturbazione. Ovviamente so bene che ciò non è da contemplare, chiedo spesso il perdono di Dio oltre a confessarmi (una volta al mese circa) e dunque dopo l'atto non mi posso dire soddisfatto. 
Ma il problema torna sempre, forse perché non mi impegno veramente e non mi affido completamente a Dio. C'è da dire che dopo la confessione spesso e volentieri riesco a stare una settimana (a volte 2) senza autoerotismo e mi soddisfa molto il fatto di non cadere in tentazione.
Ma prima o poi gli impulsi carnali si fanno sentire e di conseguenza pecco.
Dopo questa tediosa introduzione le volevo porgere i miei dubbi riguardo la questione:
1) nella mia ultima confessione ho chiesto in che modo capire quando non potersi più accostare al sacramento, e quindi confessarsi di nuovo prima di ricevere la Comunione. Il parroco, che sa quali sono i miei peccati e il fatto che commetta atti impuri, mi ha detto che in generale se ci si confessa una volta al mese basta l'atto penitenziale ad inizio messa. Prima di ciò, consideravo la masturbazione come il punto limite, oltre il quale non poter più prendere l'Ostia (anche se a volte peccati diversi a cui generalmente si fa poca attenzione potrebbero, come è capitato, impedire di accostarsi ovviamente).
Adesso dunque pensavo di prendere la Comunione questa Domenica dopo le parole del parroco ma, in una sua risposta più datata ad un altro ragazzo, lei diceva che il peccato della masturbazione non consente di accostarsi al sacramento se non dopo una nuova e rinnovata riconciliazione con Dio. Che fare dunque? Pecco se mi accosto?
2) Nella confessione rinchiudo diversi peccati, non specificandoli per troppa vergogna, dicendo "ho commesso atti impuri"... questi peccati sono, oltre a quelli che invece cito come pensieri ed atti impuri pornografia o altro, su pornografia transessuale e immaginaria. Spiego meglio: a volte compio atti impuri su persone che non sono mie coetanee, ma in generale attraenti; atti impuri guardando pornografia transessuale, "fortunatamente" da poco tempo e non spesso (come se a furia di peccare non bastasse il peccato normale ma abbiamo bisogno di altro); infine pornografia immaginaria nel senso di disegni, e a volte, mi vergogno a dirlo, con personaggi zoomorfi. 
Ho chiesto al parroco se la confessione valesse lo stesso nel caso mi scordassi di riferire qualche peccato, e la risposta è stata affermativa. Il problema è che a volte mi dimentico, altre volte mi vergogno e dico più in generale " ho commesso atti impuri". 
Inoltre il padre presso cui mi confesso spesso tende a darmi l'assoluzione prima che possa dire tutti i peccati perché ritiene che Dio già sa ciò che abbiamo fatto e ciò di cui abbiamo bisogno.  Posso considerare valida la confessione anche in questi casi? Oppure non mi posso accostare al corpo di Cristo? Omettere ciò è peccato grave da confessare? A volte penso di voler andare in centro città in un'altra Chiesa per confessarmi nel totale anonimato e dire tutto ciò che ho dentro, ma non l'ho ancora fatto per problemi di spostamento o tempo.
Grazie in anticipo della disponibilità e delle risposte, il Signore la benedica.
Pace e bene.


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. se prima di fare la Santa Comunione hai dei peccati impuri non ancora confessati non puoi fare la Comunione.
“Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato” (Sap 1,4).
Col criterio della confessione mensile ti viene a mancare la forza della grazia sacramentale per porre rimedio ai tuoi peccati.
Inoltre s’indebolisce l’impegno per conversione.
E la confessione viene ridotta ad un momento in cui si paga la bolletta.

2. E poi perché un mese e non due?
E perché non due o tre o quattro?
Ho conosciuto persone che da due anni facevano la Comunione col peccato impuro ripetuto con la scusa che avevano il proposito della confessione. Ma questa di fatto è arrivata solo dopo due anni.
Si può immaginare con quali sentimenti facessero la Comunione…
Era un “prendere l’Ostia” come si dice in alcune parti d’Italia, ma nessuna fusione della propria anima col Signore.

3. San Giovanni Paolo II nell’enciclica sull’Eucaristia a questo proposito riporta le parole di San Giovanni Crisostomo, uno dei quattro grandi Padri e dottori della Chiesa orientale: “San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta.
Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunioneanche se tocchiamo mille volte il corpo del Signorema condanna, tormento e aumento di castighi» (Omelie su Isaia 6,3).

4. Quest’ultima espressione è ricavata dalla Sacra Scrittura nella quale si legge: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna
È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
Essere “sarà reo del corpo e del sangue del Signore” equivale a peccato di lesa maestà che ai quei tempi meritava la pena di morte.
Nel nostro caso si tratta di morte portata nella propria anima.
Ecco perché la Sacra Scrittura dice: “mangia e beve la propria condanna”.
E poi specifica ulteriormente: “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e un buon numero sono morti”.

5. Sempre nella sua enciclica sull’Eucaristia Giovanni Paolo II scrive ancora: “In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione» (CCC 1385).
Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale” (Ecclesia de Eucharistia 36).
Nel tuo caso non si tratta neanche di essere consapevole di peccato mortale, perché sei consapevole di peccati mortali (al plurale).

6. Per porre rimedio al problema che ti affligge la prima cosa che devi eliminare è la pornografia di ogni tipo. Questa è veleno.
La tua anima con la pornografia si inquina. E questo inquinamento lo avverti anche dopo per diversi tempo.
Senti che ne sei posseduto.
Come puoi accostarti a Cristo in quelle condizioni?

7. Quando Isaia ebbe la visione di Dio, avvertì subito di essere un uomo dal cuore e dalle labbra impure e non osava accostarsi. 
E disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti»” (Is 6,5).
Ed ecco che cosa successe: “Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato»” (Is 6,6-7).
Si noti che l’Angelo prese il carbone ardente con le molle.
Commenta il padre Girotti, oggi Beato: “Anche la mano di un Serafino non poteva toccare i vasi o gli oggetti consacrati a Dio o le cose che gli si sacrificavano”.

8. Ancora: nell’ultima cena a Pietro che era già mondo (“Voi siete mondi per la parola che avete ascoltato” Gv 15,3) il Signore chiese una mondezza ancora più grande altrimenti non avrebbe potuto aver parte con lui (Gv 13,8).
È questa la purezza che si richiede per fare la Santa Comunione.
Diversamente si compie il rito, ma non si vive la sostanza e si corre il rischio “di mangiare e di bere la propria condanna”.

9. Infine quando ti confessi, accusa subito i peccati mortali.
Non ci vuole tanto tempo, né è necessario dare tante spiegazioni. In tal modo il sacerdote non si stanca e non ti dice di omettere il resto della confessione.

Ti auguro con tutto il cuore di fare le cose seriamente e santamente, come vuole il Signore.
Allora comincerai a sentire qualcosa di nuovo nella tua vita spirituale.
Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo





I SETTE PECCATI CONTRO L'EUCARESTIA



Perché sia salda la chiarezza della fede nella Presenza eucaristica e indiscussa la fedeltà a tale Presenza, ricordiamo i sette peccati contro la Santissima Eucaristia.

1. Non creder nella Messa come sacrificio, ma celebrarla solo come convito fraterno, come invito alla festa e alla gioia, non alla preghiera e di rin­graziamento e alla penitenza.

2. Negare la partecipazione all'offerta cruenta della Croce sacramentalmente ripresen­tata sull'altare nella celebra­zione di ogni messa, in modo incruento, ossia, vero è che chi partecipa alla santa Messa (specialmente in stato di grazia), rivive lo stesso momento della passione e morte di Gesù, chi nega questo commette una profanazione.

3. Non credere che le parole della consacrazione produco­no la transustanziazione, ossia, la vera, reale, sostanziale presenza di Gesù Cristo sotto le specie eucaristiche, rite­nendo tale presenza solo simbolica, o un segno o persino spirituale.

4. Non curarsi di briciole e frammenti del pane consacra­to caduti durante la celebra­zione, non considerandoli più materia del sacramento. Specialmente coloro che la riceveno nelle mani dovrebbero ricredersi di questo gesto e dei tanti frammenti dispersi. Negare dunque che Gesù possa essere presente in ogni singolo frammento tutto integralmente, è un peccato della fede.

5. Non inginocchiarsi durante la Consacrazione, né davanti al tabernacolo (a meno che di non esserne impediti per motivi di salute), poiché l'Ostia sarebbe solo un simbolo e non il vero Corpo di Cristo, o comunque sottovalutando la Divina Presenza negando a Dio Vivo e Vero il culto massimo dell'adorazione e della prostrazione (Filippesi 2,10 perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra)

6. Giudicare superflua la Con­fessione sacramentale prima di comunicarsi, soprattutto in stato di peccato mortale, perché sarebbe sufficiente amare Cristo, fidarsi dei suoi meriti e rimettersi alla misericordia del Padre. Con la conseguen­te moltiplicazione dei sacri­legi.

7. Ritenere che basti la recita del Confiteor per ottenere il perdono dei peccati mortali, dimenticando che Gesù ha detto ai suoi apostoli: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Gv. 20); non è neppure sufficiente il Confiteor se - chi vuole partecipare del Sacrificio della Messa e del Banchetto nuziale di Cristo - ha in sospeso quei peccati riportati nei Dieci Comandamenti: i primi sono i peccati contro Dio, anche mortali se deliberatamente commessi, gli altri sono quelli contro il prossimo, ed anche questi mortali se commessi deliberatamente e rifiutando il pentimento, la conversione e la confessione.



Dai «Discorsi» di Sant'Agostino, vescovo
(Disc. 19,2-3; CCL 41,252-254)

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio

David ha confessato: «Riconosco la mia colpa» (Sal 50,5). Se io riconosco, tu dunque perdona. Non presumiamo affatto di essere perfetti e che la nostra vita sia senza peccato. Sia data alla condotta quella lode che non dimentichi la necessità del perdono. Gli uomini privi di speranza, quanto meno badano ai propri peccati, tanto più si occupano di quelli altrui. Infatti cercano non che cosa correggere, ma che cosa biasimare. E siccome non possono scusare se stessi, sono pronti ad accusare gli altri. Non è questa la maniera di pregare e di implorare perdono da Dio, insegnataci dal salmista, quando ha esclamato: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 5,5). Egli non stava a badare ai peccati altrui. Citava se stesso, non dimostrava tenerezza con se stesso, ma scavava e penetrava sempre più profondamente in se stesso. Non indulgeva verso se stesso, e quindi pregava sì che gli si perdonasse, ma senza presunzione.

Vuoi riconciliarti con Dio? Comprendi ciò che fai con te stesso, perché Dio si riconcili con te. Poni attenzione a quello che si legge nello stesso salmo: «Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti» (Sal 50,18). Dunque resterai senza sacrificio? Non avrai nulla da offrire? Con nessuna offerta potrai placare Dio? Che cosa hai detto? «Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti» (Sal 50,18). Prosegui, ascolta e prega: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi». Dopo aver rigettato ciò che offrivi, hai trovato che cosa offrire. Infatti presso gli antichi offrivi vittime del gregge e venivano denominate sacrifici. «Non gradisci il sacrificio»: non accetti più quei sacrifici passati, però cerchi un sacrificio.

Dice il salmista: «Se offro olocausti, non li accetti». Perciò dal momento che non gradisci gli olocausti, rimarrai senza sacrificio? Non sia mai. «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi». Hai la materia per sacrificare. Non andare in cerca del gregge, non preparare imbarcazioni per recarti nelle più lontane regioni da dove portare profumi. Cerca nel tuo cuore ciò che è gradito a Dio. Bisogna spezzare minutamente il cuore. Temi che perisca perché frantumato? Sulla bocca del salmista tu trovi questa espressione: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 50,12). Quindi deve essere distrutto il cuore impuro, perché sia creato quello puro.

Quando pecchiamo dobbiamo provare dispiacere di noi stessi, perché i peccati dispiacciono a Dio. E poiché constatiamo che non siamo senza peccato almeno in questo cerchiamo di essere simili a Dio nel dispiacerci di ciò che dispiace a Dio. In certo qual modo sei unito alla volontà di Dio, poiché dispiace a te ciò che il tuo Creatore odia.



[Modificato da Caterina63 11/11/2017 18:08]
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Schema di esame di coscienza per la confessione sacramentale di adulti

Quesito

Buongiorno Padre Angelo 
desidero fare una confessione generale, sento il bisogno di confessare quello che ricordo fin da ragazzo ad oggi che sono anziano.
Anche se ho già confessato i peccati con la confessione particolare, desidero rinforzare il mio pentimento in questo modo. 
Lei cosa ne pensa??? (Voglio pulirmi nel modo migliore) 
Ho già trovato il sacerdote disponibile ad ascoltarmi. 
Grazie, buona giornata.


Risultati immagini per confessionaleRisposta del sacerdote

Carissimo, 
1. il desiderio di rinforzare il pentimento dei tuoi peccati e di ricevere ulteriore grazia di redenzione, di purificazione e di santificazione per la tua vita è senza dubbio una cosa buona.
Vedo che questo tuo desiderio non è dettato dalla scrupolosità che vuole mettere in dubbio le confessioni fatte precedentemente. Se così fosse, ti sconsiglierei di fare la confessione generale e se io fossi il sacerdote richiestone ti direi con tutte le mie forze di desistere, perché si aprirebbe una diga che non avrebbe più fine. E in breve metteresti in dubbio la validità anche della confessione generale.

2. Sono contento che tu abbia trovato un sacerdote disposto ad ascoltare la confessione generale della tua vita. Anche questa è una grande grazia.
Sono certo che dopo aver fatto la tua confessione generale avvertirai qualcosa di quello che provò il futuro Papa Giovanni quando il 21 dicembre 1928 in occasione del venticinquesimo di sacerdozio ebbe l’opportunità di fare quanto tu desideri: “Oggi, festa di san Tommaso apostolo, ho fatto la confessione generale dei venticinque anni di sacerdozio al P. Luigi Proy, “et dedit mihi Dominus fluvium pacis” (Il Signore fece scorrere verso di me un fiume di pace; Is 66.12).
3. Penso che per un buon esame di coscienza torni utili seguire i vari comandamenti del Decalogo integrati da qualche altro elemento della vita cristiana.
Ecco dunque uno schema di esame di coscienza per la confessione sacramentale di adulti:

Primo comandamento: non avrai altro Dio fuori di me
Circa la vita di preghiera: com’è andata in questo tempo la mia vita di preghiera?
Ho cercato di evitare distrazioni?
Ho curato la mia formazione cristiana partecipando alle catechesi proposte e ascoltando la sacra predicazione?
Ho atteso all’obiettivo che Dio ha dato alla mia vita, quello della santificazione?
L’ho amato con tutto il cuore?
Sono stato alla sua presenza?
Al contrario ho partecipato a sedute spiritiche? Sono ricorso a maghi, sono stato superstizioso? Ho praticato il maleficio?

Secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano
Ho fatto dei voti o promesse a Dio che non ho mantenuto?
Ho bestemmiato? Ho pronunciato il nome di Dio o della Vergine invano?
Ho giurato il falso usando il nome di Dio?

Terzo comandamento: ricordati di santificare le feste
Ho trascurato di partecipare alla S. Messa domenicale o nelle altre feste di precetto?
Ho ricevuto l'Eucaristia senza aver confessato prima i peccati gravi?
Ho taciuto peccati gravi in confessione?

Quarto comandamento: onora il padre e la madre
Sono stato motivo di sofferenza per i genitori, per il marito, per la moglie, per gli altri famigliari?
Ho compiuto i miei doveri di lavoro?
Sono caritatevole in casa e col prossimo? Ho compiuto mancanze gravi di carità?
Ho perdonato le offese?
Mi sono vendicato?
Ho parlato male degli altri?
Ho seminato discordie?
Ho dato il mio contributo e il mio impegno alla società? 
Ho contribuito alle necessità della Chiesa?

Quinto comandamento: non uccidere
Ho commesso o consigliato aborto?
Ho ucciso?
Ho fatto uso di sostanze stupefacenti? 
Sono schiavo della gola o dell'alcool?

Sesto comandamento: non commettere atti impuri
Ho commesso atti impuri da solo o con altre persone?
Nell’ambito matrimoniale ho fatto contraccezione o profanato in altro modo il mio corpo e quello della sposa o dello sposo?
Prima del matrimonio ho compiuto fornicazione (rapporti sessuali tra persone libere) oppure ho compiuto impurità varie con altre persone sia dello stesso sesso che di sesso diverso?
Ho conservato la fedeltà matrimoniale oppure ho compiuto azioni o intrattenuto relazioni di adulterio?

Settimo comandamento: non rubare
Ho rubato?
Ho danneggiato i beni altrui?
Ho riparato quanto ho rubato o danneggiato? 
Ho cercato guadagni disonesti?
Ho sfruttato il mio prossimo non rimunerandolo come si doveva?

Ottavo comandamento: non dire falsa testimonianza
Sono stato bugiardo? Le bugie hanno danneggiato il prossimo?
Ho calunniato?
Ho espresso sospetti o giudizi temerari?
Ho riparato le maldicenze, le calunnie e le bugie che hanno recato danno?

Nono comandamento: non desiderare la donna d'altri
Ho fatto uso di pornografia? 
Ho partecipato a spettacoli immorali
, a discorsi osceni?

Ho custodito il pudore?
Ho combattuto pensieri e fantasie impure?
Il mio linguaggio è puro?
Ho guardato altre persone con concupiscenza?

Decimo comandamento: non desiderare la roba d'altri
Sono invidioso dei beni altrui, desiderando che gli altri non li avessero?
Ho goduto del male o delle disgrazie altrui?
Ho organizzato truffe nei confronti del prossimo, anche se poi non le ho realizzate?

A questo puoi aggiungere altri eventuali peccati non facilmente riconducibili allo schema dei comandamenti:
Ho osservato il carattere penitenziale del venerdì? 
Ho digiunato secondo le leggi della Chiesa il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo?
Ho osservato il digiuno eucaristico?
Mi sono recato a Messa con ritardo colpevole?
Ho accolto il Signore nella Santa Comunione col dovuto raccoglimento?
Sono stato imprudente nelle mie decisioni?
Sono stato superbo, arrogante, vanitoso, invidioso?
Sono stato pigro nel compimento dei miei doveri?
Ho mancato di umiltà?
Ho coltivato la virtù della penitenza?

4. Come avrai potuto notare alcuni di questi peccati li ho messi in corsivo, per dire che si tratta di peccati di suo sempre gravi.
Quelli che non sono messi in corsivo possono essere gravi oppure non gravi. Dipende dalla consistenza della materia.

5. Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di esporre un esame di coscienza anche per gli adulti.
Per i giovani l’avevo già presentato.
Per te si tratta di fare la confessione generale. Pertanto non è necessario iniziare dicendo è da tot tempo che non ti confessi.
Ma per le confessioni ordinarie è necessario circostanziare sempre il tempo che è passato dall’ultima confessione.

Adesso non mi resta che augurarti una buona immersione nel Sangue redentore di Cristo, una profonda purificazione e una fruttuosa santificazione della tua anima.

Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo Bellon O.P.



Un sacerdote risponde

Dopo la mezzanotte, a capodanno, a casa di amici la conversazione cade sull'accesso all'eucarestia in peccato mortale

Quesito

Dopo la mezzanotte, a capodanno, a casa di amici la conversazione cade sull'accesso all'eucarestia in peccato mortale. Senza entrare nel merito del dibattito su AL, ognuno ha raccontato la sua esperienza.
Tutte queste persone sono cattoliche, e stanno vivendo un cammino di fede.
La prima amica racconta di essere stata sposata ad un uomo divorziato e che durante questo matrimonio (poi naufragato), dato che il marito considerava il suo primo matrimonio come nullo, si accostava normalmente alla Comunione e che questo nutrimento di fatto l'ha avvicinata sempre di più al Signore e alla fede.
Il secondo amico, sposato e con 4 figli, di cui uno seminarista, ha avuto un problema di dipendenza con annessi e connessi (non scendo nei dettagli) alla pornografia. 30 anni di dipendenza. È guarito miracolosamente un paio di anni fa durante un incontro di guarigione e preghiera e di questa guarigione siamo tutti testimoni.
Lui sostiene che nei primi anni di questa dipendenza andava sempre a confessarsi prima di comunicarsi (sempre da preti diversi perchè si vergognava di continuare a dire di cadere nell'errore), e se non era confessato non si comunicava. Secondo la sua esperienza questo atteggiamento innestava un circolo vizioso che non era d'aiuto: pecco, tanto dopo mi confesso. Vedendo però che la dipendenza non si risolveva, aiutato da uno psicoterapeuta, inizia ad affrontare il problema per quello che è, ovvero una patologia. Prende poi l'importante decisione di confessarsi sempre dallo stesso prete, comunicandosi però anche se non era in stato di grazia. Dopo 5-6 anni accade la guarigione, improvvisa che secondo lui è stata una vera propria liberazione da un demone.
La terza persona, mio marito, racconta di avere avuto nel passato una relazione adultera con una donna sposata (prima del nostro fidanzamento) e che in questi cinque anni non si era mai avvicinato alla comunione né alla confessione perchè sapeva in cuor suo di essere nell'errore, di non volersene distaccare e quindi rispettava con dolore questa lontananza dal Signore.
Non voglio affatto metterla alla prova raccontando questo episodio che è accaduto realmente due giorni fa.
Ma quest'episodio mi ha scosso.
La conclusione dei miei amici è stata, noi eravamo nel peccato ma nutrendoci con L'Eucarestia siamo guariti.
Io voglio bene ai miei amici, ma ritengo scorretta la loro posizione mentre ritengo che mio marito, pur avendo commesso un peccato grave sia stato per lo meno giusto nell'ammettere con umiltà il suo essere nel peccato.
Nello stesso tempo non posso negare che il Signore non li ha abbandonati e che il loro cammino di fede è sincero.
Ma c'è qualcosa che non mi torna, mi aiuta a discernere?
Un caloroso saluto Manuela


Risposta del sacerdote

Cara Manuela,
1. sono contento per tutte le persone che sono tornate ad una vita di fervore.
Ma certo non si può arguire che proprio da quelle Comunioni fatte senza le dovute disposizioni sia scaturita la scintilla della loro conversione o di un loro avvicinamento al Signore.
Quando studiavo logica nei corsi di filosofia ci insegnavano che dal post hoc, non si può concludere dicendo: ergo propter hoc. In italiano: “è avvenuto dopo questo: dunque a causa di questo!”.
Quando queste persone saranno davanti al buon Dio vedranno finalmente per causa di chi sono state liberate. Forse per le preghiere e i sacrifici di qualche monaca di clausura, di qualche bambino malato, di qualche martire per la fede.

2. Mentre rimane sempre vero quello che ha detto Nostro Signore per bocca di Paolo: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.
Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna
È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-20).
Questi tuoi amici hanno concluso troppo in fretta dicendo che a causa delle loro Comunioni si sono avvicinati al Signore.

3. Penso invece a quanto disse la Madonna il 13 luglio 1917 ai tre pastorelli di Fatima: “Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte, specialmente quando farete qualche sacrificio: 'O Gesù, è per vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore immacolato di Maria'!».
E a quanto disse il 19 agosto successivo: “Pregate, pregate molto; e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi e preghi per loro”.
Sappiamo tutti con quale eroismo questi bambini vi abbiamo corrisposto!

4. Penso anche a quanto scrisse Pio XII nell’enciclica Mistici Corporis con parole che sembrano eco di quelle della Madonna a Fatima: 
“Mistero certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in collaborazione col divin Salvatore” (EE 6, 193)1 .

4. Credo allora che l’unica parola intelligente che questi tuoi amici  possano dire sia questa: “Misericordia Domini quia non sumus consumpti” (È per la misericordia di Dio se non siamo periti” (Lamentazioni di Geremia 3,22).

5. Sarebbe bello se essi stessi adesso iniziassero a fare quanto molti hanno fatto nascostamente per loro perché non venissero sferzati dal comune avversario, perché che non cadessero nella malattia o non morissero impenitenti.
Anziché vantarsi di quanto hanno fatto, come se parola di Dio espressa in termini così forti come quella di 1 Cor 11,2-30 non conti nulla, sarebbe meglio che rientrassero in se stessi e si umiliassero davanti a Dio.
Sì, “Misericordia Domini quia non sumus consumpti”.
Perché in virtù delle preghiere e dei sacrifici di molti, forse di molti bambini, sono stati liberati.

5. Onore invece a tuo marito, che nonostante le sue debolezze non ha sfidato la misericordia del Signore. 
Si è riconosciuto peccatore.
È rimasto come il pubblicano in fondo al tempio e “fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»” (Lc 18,13).

6. Tuttavia quanto mi hai scritto mi offre l’occasione per dire che il Papa in nessun modo ha detto che si può fare la Santa Comunione in peccato mortale.
Non l’ha mai detto e non lo dirà mai.
Di questo ne siamo certi.

7. Ugualmente a proposito del sesto comandamento non ha mai detto e non dirà mai che è lecito avere relazioni sessuali fuori del matrimonio.
Cioè non potrà mai dire che è lecita la fornicazione o l’adulterio.

8. Potrà invece dire: questa persona nella sua soggettiva situazione, pur essendo in uno stato oggettivamente contrario al disegno di Dio, tuttavia è pentita e purtroppo non può venirne fuori (perché ad esempio nella nuova unione vi sono dei figli). Cerca però di osservare la legge di Dio ed è risoluta a non commettere peccati gravi (come ad esempio le relazioni sessuali fuori del matrimonio).
Se è così, non vengono posti ostacoli ai Sacramenti, procurando nello stesso tempo di evitare confusione o scandalo presso i fedeli.

Ti ringrazio per quanto mi hai riferito. La vostra conversazione nella notte del primo dell’anno mi ha fornito l’occasione di precisare alcune cose.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo  

1 Sono parole che sono eco di quelle dette dalla Madonna ai pastorelli di Fatima.
Il 13 luglio 1917 disse: “Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte, specialmente quando farete qualche sacrificio: 'O Gesù, è per vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore immacolato di Maria'!». A questo punto feci alcune richieste, che non ricordo bene quali furono. Quel che mi ricordo è che la Madonna disse che era necessario recitare il rosario per ottenere le grazie durante l'anno. E continuò: «Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte, specialmente quando farete qualche sacrificio: 'O Gesù, è per vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore immacolato di Maria'!» (Lucia racconta Fatima, Queriniana 1977, p. 121). 
Il 19 agosto 1917: “Pregate, pregate molto; e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi e preghi per loro” (Ib., p. 123).


 


[Modificato da Caterina63 10/01/2018 21:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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LA CATECHESI

Che cosa significa dire «Io ti assolvo»

Bisogna sempre ricordare che i sacramenti non sono incontri interiori privati del fedele con Dio, ma espressioni visibili della fede della Chiesa. Per questo la Chiesa ha sempre richiesto che i fedeli non si trovassero in contraddizione con la forma di vita cristiana.

Pubblichiamo la traduzione di un articolo del cardinale Gerhard Müller pubblicato su First Things il 15 dicembre 2017.

Molti oggi stanno proponendo che l’assoluzione sacramentale possa essere concessa a quei penitenti che, in ragione di circostanze attenuanti, possono ritenere di essere esenti davanti a Dio di colpevolezza soggettiva, nonostante il fatto di continuare a vivere in un oggettivo stato di peccato grave. La distinzione tra uno stato oggettivo di peccato e la colpevolezza soggettiva è generalmente riconosciuta dalla tradizione teologica cattolica. Ad essere più dibattuto è l’applicazione di questo principio nell’ordine sacramentale. È possibile usare la probabile assenza di colpevolezza soggettiva come criterio per dare l’assoluzione? Ciò non significherebbe trasformare i sacramenti in realtà soggettive, contrariamente alla loro vera natura di segni efficaci, visibili - e perciò oggettivi - della grazia?

Per rispondere a questa domanda, è necessario andare alle radici del sacramento della riconciliazione. Nel suo amore per noi, Dio prende così sul serio gli esseri umani da consegnare il suo Figlio unigenito alla morte più terribile e infamante sulla Croce (Gv. 3, 16), così che i nostri peccati possano essere perdonati e noi possiamo essere riconciliati con lui (2 Cor. 5, 19). Se questo è il prezzo della nostra salvezza, allora i vescovi e i sacerdoti non possono prendere alla leggera l’autorità che hanno ricevuto da Cristo stesso (Mt. 18, 18; Gv. 20, 22) di perdonare quei peccati che il penitente ha confessato e dei quali è pentito.

Perciò è con un’autorità che viene da Dio che gli Apostoli dicono la parola di riconciliazione ai fedeli (2Cor. 5, 20). Il sacramento della riconciliazione con Dio e con la Chiesa come corpo di Cristo richiede la confessione di tutti i peccati gravi nella loro interezza. Questa necessità proviene dalla preoccupazione per la salvezza eterna ed è più importante di un transitorio senso di tranquillità del cristiano, che un confessore potrebbe temere di disturbare. Per essere in grado di giudicare se perdonare o ritenere i peccati di qualcuno (Gv. 20, 23), il sacerdote deve sapere quali peccati gravi il penitente ha commesso. Questi comprendono sia i peccati pubblici che quelli segreti commessi nei pensieri, nelle parole, nelle opere e nelle omissioni, violando i comandamenti di Dio, che sono la rivelazione del suo santo e santificante disegno di amore per noi.

Non basta semplicemente dire in generale di essere peccatori. Questa potrebbe essere facilmente una scusa: si è soggetti all’umana debolezza come chiunque altro. I peccati vengono così relativizzati come degli onnipresenti difetti umani. In realtà, il cristiano battezzato non è comunque coinvolto nella dialettica di Lutero del simul iustus et peccator (nello stesso tempo giusto e peccatore). Attraverso il battesimo noi siamo stati veramente cambiati. Non siamo più schiavi del peccato ma siamo divenuti amici e figli di Dio. Siamo nello stato di grazia santificante. Non è una necessità che il peccato segua da quella debolezza che è rimasta (concupiscenza). Piuttosto, il peccato è l’esito di un atto consapevole e deliberato contro la santità di Dio e l’amore di Cristo che ha versato il suo sangue sulla Croce per il perdono dei peccati. È stato attraverso una libera accettazione della fede e della grazia che siamo diventati figli di Dio. Nello stesso modo, noi dobbiamo cooperare con la venuta del Regno in questo mondo, servendo l’adempimento della volontà di Dio sulla Terra come in cielo. Attraverso i peccati gravi, noi ci separiamo da Dio ed escludiamo noi stessi dall’eredità della vita eterna.

L’amore non rende superflui i comandamenti di Dio, ma è la loro più profonda forma di adempimento. I comandamenti non sono prescrizioni esterne, che promettono una ricompensa a quelli che li adempiono e minacciano un castigo verso quelli che non li osservano. Essi sono invece la rivelazione del disegno salvifico di Dio e ci indicano la strada del suo amore. Ogni peccato mortale è una contraddizione consapevole e deliberata della volontà di Dio. Questo è l’aspetto formale che trasforma un atto cattivo in un peccato mortale, il cui aspetto materiale è il contenuto dell’atto. Perciò l’apostolo Paolo può dire in maniera categorica: “né fornicatori, né idolatri, né adulteri… erediteranno il regno di Dio” (1 Cor. 6, 9-10).

Il Concilio di Trento (1551) insegna che i peccati mortali ci rendono nemici di Dio e ci consegnano all’eterna dannazione se non ci pentiamo, se non confessiamo i nostri peccati e, mediante le opere di riparazione, otteniamo l’assoluzione e recuperiamo lo stato di grazia santificante. Il penitente, pertanto, deve confessare al suo confessore tutti i peccati mortali pubblici e segreti dei quali è cosciente dopo un serio esame di coscienza (DH 1680). Egli deve inoltre indicare quelle circostanze atte a cambiare la natura del peccato (DH 1681). Ciò a cui ci riferiamo qui non sono le circostanze attenuanti che riducono la gravità della colpa e che ci rendono meritevoli di minore punizione. Si intendono piuttosto quelle circostanze che cambiano la specie dell’atto e richiedono così un diverso tipo di pena e di punizione, che deve essere determinata dal confessore il quale agisce come giudice. È importante sottolineare che la motivazione del confessore è la salvezza del penitente.

Infatti, il Concilio ha perfettamente ragione nel respingere la polemica protestante che considera la necessità della confessione completa dei peccati una specie di “tortura delle coscienze” nel confessionale (DH 1682). Che cosa accade se il penitente non è responsabile dei propri peccati, a causa di una mancanza di conoscenza o di responsabilità? La libertà di una persona potrebbe risultare compromessa a motivo dell’ignoranza. Dio solo è in grado di giudicare la colpevolezza soggettiva di una persona. Tutto quello che il confessore può fare è accompagnare con grande cura il penitente nel suo esame di coscienza. Ma neppure il penitente stesso può stabilire in che misura Dio lo ritenga responsabile del peccato. Fare così significherebbe semplicemente giustificare se stessi.

Anche se io non fossi a conoscenza di alcuna colpa, non potrei essere assolutamente certo della mia salvezza e mi dovrei sempre affidare con fiducia al giudizio della grazia di Dio. La Chiesa non può anticipare e neppure interferire nel giudizio di Dio. Gli Apostoli e perciò anche i vescovi e i sacerdoti sono solamente servi di Cristo e amministratori dei suoi sacramenti. Essi possono amministrare i sacramenti come mezzi della grazia solo in conformità con il modo in cui Cristo li ha istituiti e in conformità con il mandato che lui ha affidato alla Chiesa.

Dobbiamo prendere in considerazione anche la possibilità che l’ignoranza sia essa stessa colpevole, come quando serve come un modo di esonerare qualcuno dal cambiare il proprio modo di vivere. Ricordiamo l’insegnamento del Concilio di Sens, secondo il quale una persona può peccare anche se agisce con ignoranza (DH 730). Anche se un confessore è in grado di trovare ragioni che depongono in favore della diminuzione di responsabilità di un penitente, il confessore non dovrebbe dimenticare che proprio queste ragioni ostacolano la persona dal discernere la propria situazione davanti a Dio nel modo corretto. In ogni caso, dire “io ti assolvo” in questi casi equivarrebbe a confermare l’errore in cui la persona vive, un errore che è profondamente nocivo per la sua capacità di vivere in conformità al piano amorevole di Dio.

È fondamentale ricordare che i sacramenti non sono incontri interiori privati del fedele con Dio, ma espressioni visibili della fede della Chiesa. Questo è il motivo per cui la disciplina ecclesiastica che regola l’ammissione sacramenti, ha sempre richiesto che i fedeli non si trovassero in contraddizione con la forma di vita cristiana. San Tommaso afferma che ammettere ai sacramenti una persona che continua a vivere nel peccato significa introdurre “una falsità nei segni sacramentali” (S. Th. III q. 68, a. 4). Perciò una persona potrebbe essere senza colpevolezza davanti a Dio a causa di ignoranza invincibile, eppure non ancora in grado di ricevere l’assoluzione.

Le parole “io ti assolvo dai tuoi peccati” non ratificano la mancanza di responsabilità del penitente di fronte a Dio. Esse piuttosto esprimono ed effettuano la sua riconciliazione con Dio, la sua re-incorporazione con il corpo visibile di Cristo, che è la Chiesa. Allora, affinché queste parole siano efficaci, il penitente deve prendere la ferma risoluzione di vivere in accordo con quel modo di vivere che la Chiesa ci ha insegnato e che la Chiesa testimonia al mondo. Fare diversamente significherebbe “soggettivizzare” l’economia sacramentale della Chiesa, rendendola una funzione del nostro rapporto invisibile con Dio.

Un caso di natura completamente differente si presenta se, per ragioni esterne, sia impossibile chiarire canonicamente lo status di un’unione, come quando un uomo ha le prove che il proprio presunto matrimonio con una donna era invalido, sebbene per qualche ragione egli non sia in grado di addurre queste prove nel foro ecclesiastico. Questa caso è del tutto diverso da quello di una persona validamente sposata che richiede il sacramento della Penitenza senza voler abbandonare una relazione sessuale stabile con un altro, sia in situazione di concubinato che di “matrimonio” civile, che non è valido davanti a Dio e alla Chiesa. Mentre in quest’ultima situazione si ha una contraddizione con la pratica sacramentale della Chiesa (materia di legge divina), nel primo caso la discussione riguarda come determinare se il matrimonio sia nullo o meno (materia di legge ecclesiastica).

Dal punto di vista teologico, le cose sono molto chiare. Le parole di Cristo, l’insegnamento degli Apostoli e i dogmi della Chiesa costituiscono una chiara linea guida di ogni sforzo pastorale per sostenere i singoli cristiani nel loro pellegrinaggio verso Dio. Erano i vecchi farisei (il cui nome oggi viene fin troppo usato come parola denigratoria) che cercavano di mettere in difficoltà Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Da una parte, tutti vogliono mantenere l’indissolubilità matrimoniale come parte del progetto del Creatore sul matrimonio tra un uomo e una donna. Dall’altra parte, alcuni cercano di aggirare il comandamento di Cristo. La loro scusa è che oltre al “Cristo severo” legislatore del Nuovo Testamento, c’è anche il “Gesù misericordioso” del Vangelo, consapevole del fatto che l’ideale si trova calato nella concreta realtà umana vissuta, la quale è lacerata dal peccato di Adamo. Gesù non risponde come un fariseo, ma contro i farisei – ed anche contro l’obiezione degli Apostoli che pretendono di conoscere la prassi umana e la realtà meglio di Gesù stesso – che “chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio”, principio che egli applica anche alla donna che sposa un uomo che non è celibe o non è vedovo (Mc. 10, 11-12).

Secondo l’apostolo Paolo, se gli sposi si sono separati, essi devono sforzarsi di riconciliarsi. Se la riconciliazione non è possibile, essi devono rimanere da soli fino alla morte dello sposo o della sposa legittimi (1Cor. 7, 11, 39). E’ vero per chiunque che la ricezione sacramentale della Santa Comunione è fruttuosa solamente quando si è in stato di grazia santificante. Ma anche indipendentemente dalla questione del soggettivo stato di grazia di una persona – del quale, in ultimo, solo Dio è giudice – è necessario che quanti vivono in contraddizione oggettiva con i comandamenti di Dio e l’ordine sacramentale della Chiesa prendano la risoluzione di cambiare il proprio modo di vivere per poter essere riconciliati con Dio e con la Chiesa nel sacramento della Penitenza.

In molte situazioni complicate, di fronte alle ideologie ostili al matrimonio, ed in un contesto in cui la trasmissione della fede è stata troppo spesso superficiale, il prudente amministratore della grazia di Dio guiderà con accortezza i cristiani, che cercano seriamente una vita di fede, a considerare la loro situazione familiare alla luce del Vangelo di Cristo. Nei casi in cui vi siano gravi ragioni per non sciogliere la nuova unione e dove una dichiarazione di nullità della prima unione non possa essere ottenuta, l’obiettivo di questo cammino spesso difficoltoso e lungo è di vivere insieme come fratello e sorella e poter così accedere alla Santa Comunione.

Inoltre non dobbiamo dimenticare che la fede cattolica non riduce il mistero dell’Eucaristia alla ricezione della Santa Comunione. Ad essere essenziale è anzitutto e principalmente la partecipazione al Sacrificio Eucaristico. La preoccupazione primaria dei pastori della Chiesa dev’essere l’adempimento da parte dei fedeli del precetto domenicale. Dio non negherà certamente il suo amore a coloro che, nonostante ripetute cadute, chiedono umilmente la sua grazia, così da poter osservare i comandamenti. Non ultimo, tenendo in considerazione i nostri stessi peccati, dobbiamo rispettare ed aiutare amorevolmente nel nostro comune pellegrinaggio quei nostri fratelli e sorelle che avvertono di trovarsi in un dilemma quando si tratta della propria situazione familiare e realizzano che, nonostante la loro buona volontà, non sempre riescono a vivere conformemente ai comandamenti di Dio. E’ vero che i confessori sono anche giudici. Ma essi svolgono questo ruolo non a partire dall’orgoglio umano, così da condannare il peccatore. Il loro giudizio è piuttosto come la diagnosi di un medico saggio, che cerca di conoscere la natura della malattia e quindi versa olio e vino sulle ferite, come fece il buon Samaritano, restituendo le persone alla casa della Santa Madre Chiesa.






Un sacerdote risponde

Il nostro sacerdote dice che non dobbiamo tralasciare la comunione anche se abbiamo dei peccati mortali non confessati perché nessuno è degno di riceverla

Quesito

Gentilissimo Padre Angelo
Da tempo che seguo la sua pagina, volevo farle alcune domande.
Volevo sapere se é possibile fare la comunione in peccato mortale, perchè il nostro sacerdote dice che non dobbiamo tralasciare la comunione anche se non ci siamo confessati.
Dice che nessuno è degno. Io parlo dei peccati mortali non veniali.
Aspetto il suo chiarimento, perchè ho un pò di confusione.
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissima, 
1. il tuo sacerdote dice che non si è mai degni.
Questo sotto un certo aspetto è vero.
Ma bisogna distinguere tra indegnità comune a tutti gli uomini e indegnità specifica perché causata da peccati gravi di cui non si è pentiti

2. L’indegnità generica è quella del Centurione, del quale il Signore loda la fede dicendo che neanche in Israele aveva trovato una fede così grande (Mt 8,10).
Sapendo che stava per andare il Signore da lui, disse: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). 
La Chiesa al momento di fare la Comunione mette sulle nostre labbra le parole del Centurione per ricordare la grandezza del Mistero di Dio che si fa cibo e nutrimento dell’uomo. 
Sicché prima di darci il Corpo di Cristo ci chiede di purificarci ulteriormente perché Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato (Sap 1,4).

3. Ma quando San Paolo dice: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29) non parla di un’indegnità generica, quella per la quale neanche gli Angeli sarebbero degni di fare la Santa Comunione, ma di una indegnità specifica, e cioè di quella legata al peccato mortale di cui non si è pentiti.

4. Se non si fa questa distinzione e si dice che comunque tutti siamo insegni si potrebbe ugualmente concludere che facendo la Santa Comunione ognuno mangerebbe sempre la propria condanna. 
Il che è assurdo.

5. Purtroppo qualcuno conclude dicendo che se tutti sono indegni, tutti possono, anzi devono fare la Comunione.
Sicché - indipendentemente dall’esaminare se stessi come attesta la Sacra Scrittura e dal pentimento personale - tutti, anche se hanno fornicato o commesso adulterio, anche se hanno compiuto peccati di sodomia o non hanno santificato le feste da anni, anche se hanno compiuto aborto o sono medici e infermieri che praticato aborto, anche se hanno profanato l’Eucaristia o hanno messo in giro calunnie gravemente nocive nei confronti del prossimo, ecc… tutti vengono esortati caldamente a fare la Comunione e vengono guardati malamente dal sacerdote se non la fanno.

6. Si stenta a capire come si possa giungere a tal punto.

7. Forse si potrebbe sottolineare che – come ha ricordato il Signore – ognuno parla dall’abbondanza del proprio cuore.
Può capitare anche ad un prete di smarrire il senso del peccato!
Allora se ha perso il senso del peccato non avverte più neanche che cosa si provi ad essere in peccato o ad essere in grazia, e tanto meno avverte gli effetti della S. Comunione.
Vorrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che taluni mentre parlano non sanno di rivelare pubblicamente i segreti del proprio cuore.

8. San Tommaso commentando le parole di San Paolo di 1 Cor 11,27-29 dice che si può essere indegni di fare la santa Comunione in diversi modi.
Alcuni, dice, sono indegni a motivo del poco fervore e delle distrazioni.
E allora, se è così, tutti siamo indegni.
Ma questa indegnità, soggiunge, non rende incapaci di ricevere il sacramento perché si tratta di imperfezioni o di peccati veniali. 
Altri invece sono indegni a motivo del peccato mortale e questi non possono ricevere il sacramento se non premessa la confessione.
Altri lo ricevono ulteriormente in maniera indegna perché in essi persiste la volontà di peccare mortalmente. E questa è un’indegnità ancora più grave perché non possono neanche confessarsi fino a quando non hanno rimosso la volontà di continuare peccare mortalmente (Commento a 1 Corinzi 11,27).

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo







[Modificato da Caterina63 13/02/2018 14:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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