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e ne scelse Dodici Itinerari sacri dove sono sepolti gli apostoli di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2016 19:12
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01/12/2016 20:59
 
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  SAN FILIPPO 
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Filippo, il quinto nella lista degli apostoli, originario di Betsaida, probabilmente parlava il greco. È lui l’apostolo al quale si rivolge Gesù nel miracolo della prima moltiplicazione dei pani e dei pesci (
Gv 6, 5-13); e questo episodio rimarrà caratteristica iconografica (in alternanza alla croce, che indica la modalità del suo martirio) nelle rappresentazioni artistiche della sua figura. La tradizione letteraria più sicura gli attribuisce l’evangelizzazione della Frigia, mentre il Breviario Romano e alcuni martirologi vi aggiungono anche quella della Scizia e della Lidia.

In Frigia visse gli ultimi anni della sua vita, a Ierapoli, dove ebbe la sepoltura. Ne è testimonianza precisa un passo di Policrate, vescovo di Efeso nella seconda metà del II secolo, che nella lettera al papa Vittore scrive: «Filippo, uno dei dodici apostoli, riposa a Hierapolis con due sue figlie che si serbarono vergini tutta la vita, mentre la terza, vissuta nello Spirito Santo, è sepolta a Efeso» (il passo è riportato da Eusebio, 
Storia ecclesiastica, III, 31, 3).
E a conforto di questa notizia, anche i dati archeologici hanno mostrato in questa città le tracce del suo culto fin dalla prima epoca cristiana: infatti un’iscrizione dell’antica necropoli di Ierapoli accenna a una chiesa dedicata all’apostolo Filippo. La sua morte avvenne per martirio, al tempo dell’imperatore Domiziano (81-96), mediante la stessa pena alla quale era stato condannato, molti anni prima, Pietro, e cioè la crocifissione 
inverso capite (a testa in giù), in età sicuramente molto avanzata, che fonti più tarde fissano a ottantasette anni.

Dal VI secolo appare come data del suo martirio, unitamente all’apostolo Giacomo il Minore, il giorno 1° di maggio: ma si tratta in realtà del giorno della dedicazione della chiesa dei Santi Apostoli a Roma, di cui papa Pelagio I (556-561) avviò la costruzione in occasione della traslazione dei corpi dei due apostoli (o almeno di una significativa parte di essi) da Costantinopoli, presumibilmente nel 560, e che papa Giovanni III (561-574) completò forse con l’aiuto economico del viceré bizantino Narsete. Si deve dedurre dunque una precedente traslazione delle reliquie di Filippo da Ierapoli a Costantinopoli, della quale però nessuna documentazione è rimasta.

La tradizione della presenza di significative reliquie di Filippo a Roma è stata confermata da una ricognizione avvenuta nel 1873. Fino a quella data si conservava nella Basilica dei Santi Apostoli un reliquiario contenente, quasi intatto, il suo piede destro (e un altro reliquiario conteneva il femore di Giacomo il Minore), mentre i corpi dei due apostoli erano venerati sotto l’altare centrale. Nello scavare al di sotto di questo, nel gennaio 1873, venne alla luce un conglomerato di calce e mattoni: demolito questo, apparvero in piano due lastre di marmo frigio, unite esattamente fra di loro, che portavano scolpita a rilievo una croce greca (con i bracci uguali), e sotto di esse, perpendicolarmente sotto l’altare, un loculo, nel quale in particolare era una cassetta con alcune ossa, la maggior parte delle quali nello stato di frammenti o di scaglie, alcuni denti e molta sostanza impastata formata da disfacimento di materiale osseo; e inoltre residui di tessuto che in seguito, analizzati, si rivelarono lana con una preziosa coloritura con porpora.

Le analisi sui reperti vennero compiute a opera di una commissione scientifica della quale erano parte anatomopatologi, fisici, chimici e archeologi (tra gli altri, Angelo Secchi, Giovanni Battista De Rossi e Pietro Ercole Visconti), e ne venne redatta e pubblicata una dettagliata relazione. Si poté constatare che le reliquie appartenevano a due distinti individui adulti di sesso maschile: a uno, di corporatura più gracile, le ossa conservatesi integre (in particolare parti di una scapola, di un femore e del cranio) e anche il piede conservato nel reliquiario e attribuito a Filippo; a un secondo invece, di corporatura più robusta, in particolare un molare (si veda più avanti a proposito di Giacomo il Minore).

Non fu invece possibile distinguere fra i due individui tutto il resto dei frammenti, a causa del loro stato di disfacimento. Il contesto archeologico rimandava senza dubbi al VI secolo, e dunque all’edificio costruito da Pelagio I e Giovanni III; dalla ricognizione venne confermata quindi l’esattezza della notizia relativa alla traslazione del 560. La quantità delle reliquie fa ritenere che parte di esse si sia dispersa nelle traslazioni (che furono almeno due per ciascun apostolo) dall’Oriente a Roma.

Nel 1879, dopo un certo periodo di esposizione alla venerazione dei fedeli, le reliquie rinvenute sotto l’altare furono deposte in un’arca di bronzo all’interno di un sarcofago di marmo collocato nella cripta della chiesa, al di sotto del luogo dove erano state trovate. La reliquia del piede fu invece lasciata al di fuori, all’interno di un reliquiario, attualmente non esposto ai fedeli. 
 


SAN GIACOMO IL MINORE 

Risultati immagini per san Giacomo minore(il martirio di san Giacomo)

S
ono verosimilmente la stessa persona il Giacomo, fratello dell’apostolo Giuda Taddeo, che i Vangeli e gli Atti elencano tra i dodici apostoli chiamandolo figlio di Alfeo, e il Giacomo che altrove gli stessi Vangeli chiamano “fratello” (cioè cugino, secondo la corretta interpretazione del termine ebraico) del Signore, figlio di Maria, una delle donne presenti ai piedi della croce di Gesù, moglie di Cleofa, “sorella” (cioè cognata) della Madonna.

Cleofa e Alfeo potrebbero essere infatti due nomi della stessa persona, o meglio due forme dello stesso nome aramaico. Il Giacomo “fratello” di Gesù è nominato da Paolo come una delle “colonne” della Chiesa, con Pietro e Giovanni, a Gerusalemme, dove fu vescovo dalla partenza di Pietro per Roma (l’anno 44) fino al martirio avvenuto durante la Pasqua del 62.

La Chiesa d’Oriente distingue tuttora tra l’apostolo e il vescovo di Gerusalemme, sulla base di una tradizione introdotta da scritti pseudoclementini (
Ipotiposi, VI) tra la fine del II e l’inizio del III secolo e seguita in particolare da Eusebio di Cesarea e Giovanni Crisostomo, ma non da altri numerosi Padri greci; mentre per la Chiesa d’Occidente il Concilio di Trento ha affermato l’identità dell’uno con l’altro. 

Il martirio di Giacomo, noto dalla notizia di Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, XX, 197. 199-203), della fine del I secolo, ci viene descritto nei dettagli da Eusebio di Cesarea, che riferisce per esteso in particolare la precedente narrazione di Egesippo (Memorie, 5). Morto il prefetto di Giudea Festo, e mentre era ancora in viaggio da Roma il suo successore designato Albino, il sommo sacerdote Ananos il Giovane approfittò del momento per convocare il sinedrio e condannare Giacomo alla lapidazione. Siamo nell’anno 62.
Giacomo fu gettato giù dal pinnacolo del Tempio e, poiché non era morto, fu lapidato; e poiché, messosi in ginocchio, pregava per coloro che lo stavano lapidando, «uno di loro, un follatore, preso il legno con cui batteva i panni, colpì sulla testa il Giusto, che morì martire in questo modo. Fu quindi sepolto sul luogo, vicino al Tempio, dove si trova ancora il suo monumento» (Egesippo, in Eusebio, 
Storia ecclesiastica, II, 23, 18).

Il suo cippo sepolcrale, secondo la testimonianza di Girolamo, rimase al suo posto fino al tempo dell’imperatore Adriano (117-138); poi se ne dovettero perdere le tracce, se si ha la notizia dell’invenzione (cioè del ritrovamento), verso la metà del IV secolo, del corpo di Giacomo, insieme a quelli dei martiri Simeone e Zaccaria, a opera di un eremita, Epifanio. Il corpo di Giacomo fu temporaneamente traslato dentro Gerusalemme dal vescovo Cirillo il 1° dicembre 351, poi successivamente fu riportato nella chiesa costruita presso il luogo dell’invenzione; infine si ha notizia di una traslazione – ancora il giorno 1° di dicembre – in un’altra chiesa in Gerusalemme, costruita sotto l’imperatore bizantino Giustino II (565-578) e dedicata a Giacomo.

Ma qui le varie notizie si integrano con difficoltà. Si deve infatti collegare con una traslazione di parte delle reliquie da Gerusalemme (o forse da Costantinopoli?) a Roma, l’avvio della costruzione, al tempo di papa Pelagio I (556-561), di una basilica dedicata agli apostoli Giacomo e Filippo, la cui la festa liturgica da allora in Occidente ricorre il 1° maggio (ora spostata al 3 maggio); basilica che fu completata da papa Giovanni III (561-574), e attualmente è intitolata ai santi XII Apostoli. 

Nel gennaio 1873, come si è detto più sopra a proposito dell’apostolo Filippo, venne fatta, a opera di una commissione scientifica, una ricognizione sotto l’altare della chiesa dei Santi XII Apostoli a Roma. Le reliquie appartenevano a due distinti individui.
Quello di corporatura più robusta, del quale si conservavano solo scaglie e frammenti ossei, anche se in quantità consistente, oltre a un femore presente 
ab immemorabili in Basilica, fu identificato con Giacomo il Minore.
Nel 1879 le reliquie furono deposte in un’arca di bronzo all’interno di un sarcofago di marmo che venne collocato nella cripta della chiesa, al di sotto dell’altare centrale e del luogo dove erano state rinvenute; e lì sono anche oggi. La reliquia del femore fu invece collocata in un reliquiario appositamente fabbricato, attualmente non esposto ai fedeli. 

A Santiago di Compostella si venera la reliquia della testa di Giacomo il Minore; secondo una tradizione la portò in Occidente il vescovo di Braga Mauricio Burdino, dopo averla prelevata verso il 1104 da Gerusalemme durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Verso il 1116 Urraca, regina di Castiglia e León, se ne impadronì e la donò alla chiesa di Santiago, dove tuttora è custodita in un busto-reliquiario nella cappella dedicata all’apostolo. Ma un altro cranio attribuito a Giacomo il Minore è noto dal Medioevo ad Ancona, ora custodito nel Museo diocesano annesso alla chiesa cattedrale di San Ciriaco: esaminato a seguito della ricognizione delle reliquie conservate a Roma, risultò con esse compatibile. 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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