A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

e ne scelse Dodici Itinerari sacri dove sono sepolti gli apostoli di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2016 19:12
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
01/12/2016 21:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


  San PIETRO 

Risultati immagini per san Pietro apostolo

«Nei sotterranei della Basilica Vaticana ci sono i fondamenti della nostra fede. La conclusione finale dei lavori e degli studi risponde un chiarissimo sì: la tomba del Principe degli apostoli è stata ritrovata». Così papa Pio XII diede l’annuncio, a conclusione del Giubileo del 1950, del riconoscimento della sepoltura di Pietro, peraltro attestata da una tradizione antichissima e unanime. Al luogo della sepoltura si fa riferimento per la prima volta nelle parole del presbitero Gaio, negli anni del pontificato di papa Zefirino, tra il 198 e il 217: «Io posso mostrarti i trofei degli apostoli [Pietro e Paolo].

Se vorrai recarti nel Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa [di Roma]» (in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, II, 25, 7). Che cosa è il “trofeo”? Non solamente una struttura, come spesso si è semplificato, ma, in senso proprio, il corpo del martire: è questo, propriamente, il “trofeo della vittoria”.

In quello stesso periodo, il martirio di Pietro è attestato da Tertulliano, che verso il 200 scrive (cfr. 
La prescrizione contro gli eretici, 36) che la preminenza di Roma è legata al fatto che tre apostoli, Pietro, Paolo e Giovanni, vi hanno insegnato e i primi due vi sono morti martiri. Ma ancor prima il martirio è attestato da Clemente Romano, nella prima lettera ai Corinzi (5-6) databile forse al 96: «Prendiamo in considerazione i buoni apostoli: Pietro, che per gelosia ingiusta sopportò non uno né due ma molti affanni, e così, dopo aver reso testimonianza, s’incamminò verso il meritato luogo della gloria. [...] Intorno a questi uomini [Pietro e Paolo] che piamente si comportarono si raccolse una grande moltitudine di eletti, i quali, dopo aver sofferto per gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero fra noi bellissimo esempio».

Clemente scrive da Roma e il contesto stesso della lettera si riferisce a fatti accaduti a Roma: a Pietro e Paolo vengono inoltre accomunati i martiri romani «fra noi» della persecuzione neroniana, ai quali si riferisce l’ultima frase riportata. Pietro morì infatti nei giardini di Nerone presso il Vaticano insieme a una grande moltitudine di cristiani, nella persecuzione scatenata dall’imperatore dopo l’incendio che, divampato il 19 luglio del 64, distrusse gran parte di Roma.

Proprio al 64 deve essere riportata, secondo gli studi più recenti e accettati, la data del martirio di Pietro, che invece la tradizione derivante da Girolamo pone al 67 insieme a quello di Paolo (coerentemente con quest’ultima tradizione si sviluppano in antico anche quelle della detenzione dei due apostoli nel Carcere Mamertino, e del loro ultimo incontro, prima del martirio, lungo la via Ostiense poco fuori della città). Il martirio dei primi cristiani di Roma ci è rimasto descritto nelle parole dello storico romano Tacito: «Dunque, per primi furono arrestati coloro che facevano aperta confessione di quella credenza [nella risurrezione di Cristo], poi, su denuncia di questi, ne fu arrestata una gran moltitudine, non tanto con l’accusa di aver provocato l’incendio, quanto per l’odio che avevano contro il genere umano.

E a quanti morivano s’aggiunse lo scherno, sicché, rivestiti di pelli ferine, perivano sbranati dai cani, o appesi alle croci e dati alle fiamme venivano bruciati vivi, al calar del sole, come torce per la notte. Nerone aveva messo a disposizione i suoi giardini per quello spettacolo, e aveva allestito giochi circensi, partecipando mescolato alla folla in vesti di auriga o in piedi sul carro. Perciò, sebbene fossero gente colpevole e meritevole di quegli originali tormenti, si generava un senso di pietà, perché erano sacrificati non per il comune vantaggio, ma alla crudeltà di uno solo» (
Annali, XV, 44, 4-5). 

L’imperatore Costantino, nel secondo decennio del IV secolo, racchiuse la sepoltura di Pietro (una tomba nella nuda terra, scavata presso il circo che segnava il limite settentrionale dei giardini di Nerone) all’interno di un monumento in muratura e successivamente, verso il 320, edificò intorno a questo una basilica. Per fare questo non sfruttò, come sarebbe stato più ovvio e più sicuro per la solidità della nuova costruzione, lo spazio piano tra Gianicolo e Vaticano che era stato occupato dal circo, ma con un grandioso lavoro ingegneristico realizzò una vasta piattaforma artificiale, da un lato tagliando le pendici del colle Vaticano, dall’altro seppellendo e utilizzando come fondamenta le strutture di una necropoli sviluppatasi lungo il lato settentrionale del circo tra I e IV secolo.

Volle infatti che il fulcro della basilica, all’intersezione tra navata centrale e transetto, fosse proprio il monumento che racchiudeva la sepoltura dell’apostolo. Per questo motivo anche l’asse dell’edificio costantiniano non tiene conto, come sarebbe stato più facile, di quello della necropoli e del circo; corre all’incirca nella stessa direzione ma se ne distanzia, sia pur di poco, perché determinato con assoluta esattezza dall’orientamento della memoria petrina. Così da allora il sepolcro dell’apostolo è, oltre che il punto di attrazione, anche l’esatto centro di tutto ciò che nel corso dei secoli gli si è sviluppato attorno, dalle sepolture dei primi fedeli cristiani, alle installazioni per i pellegrini nel primo Medioevo, alle strade, alle mura della 
civitas Leonianaedificate dopo il sacco dei Saraceni dell’846, fino al moderno quartiere di Borgo. Anche la costruzione della nuova Basilica, fondata da papa Giulio II il 18 aprile 1506, pur se ha comportato la demolizione di quella costantiniana e delle sue aggiunte medievali, tuttavia ha rispettato rigorosamente la centralità del sepolcro di Pietro: l’attuale altare maggiore, che risale a papa Clemente VIII (1594), si trova esattamente sopra a quello medievale di papa Callisto II (1123), che a sua volta ingloba il primo altare di papa Gregorio Magno (590 circa), costruito sul monumento costantiniano che custodisce la tomba di Pietro. E il culmine della cupola di Michelangelo si trova esattamente a perpendicolo sopra di essa. 

Tra il 1939 e il 1949, per volontà di Pio XII, fu condotta da quattro studiosi di archeologia, architettura e storia dell’arte – Bruno Maria Apollonj Ghetti, padre Antonio Ferrua sj, Enrico Josi, padre Engelbert Kirschbaum sj –, sotto la direzione di monsignor Ludwig Kaas, segretario della Reverenda Fabbrica di San Pietro, lo scavo archeologico al di sotto dell’altare maggiore della Basilica Vaticana. Fu inizialmente rinvenuto il monumento di Costantino, un parallelepipedo alto circa tre metri, fasciato di marmo pavonazzetto e porfido. Il lato anteriore di questo monumento aveva un’apertura che corrisponde all’attuale Nicchia dei Palli, nelle Grotte Vaticane; quello posteriore, rimesso parzialmente in luce, è tuttora visibile dietro l’altare della Cappella Clementina.

Scavando lungo i lati del monumento costantiniano, al di sotto di esso si giunse a rinvenire la tomba di Pietro. Apparve una piccola edicola formata da una mensa sorretta da due colonnine di marmo, appoggiata a un muro intonacato e dipinto in rosso (il cosiddetto “muro rosso”) in corrispondenza di una nicchia; sul pavimento davanti alla nicchia, al di sotto di un chiusino, una tomba nella nuda terra. L’edicola, databile al II secolo, venne da subito identificata con il “trofeo di Gaio”. Ma la tomba rinvenuta era vuota. 

Pio XII, come sopra riportato, diede l’annuncio del rinvenimento. Dopo un certo periodo di tempo dalla fine degli scavi e dalla loro pubblicazione, ebbe inizio una seconda fase delle indagini. Il monumento costantiniano aveva inglobato anche un’altra struttura accanto all’edicola, un muretto perpendicolare al “muro rosso”. Questo muretto fu denominato “muro g”, cioè muro dei graffiti, poiché presentava sulla parete opposta all’edicola numerosissimi graffiti sovrapposti l’uno all’altro. Dentro il muretto era stato ricavato in antico, sicuramente dopo l’apposizione dei graffiti e prima della definitiva sistemazione del monumento costantiniano, un loculo parallelepipedo foderato di marmo sul fondo e, fino a una certa altezza, sui quattro lati, uno dei quali, quello occidentale, andava a terminare proprio sul “muro rosso”.

Questo loculo era stato già notato durante gli scavi, nel novembre del 1941, prima di arrivare alla sottostante tomba nella terra, ma non ne era stata immediatamente compresa l’importanza. Esso dunque, secondo quanto ricostruito in seguito dall’archeologa Margherita Guarducci, era stato svuotato di gran parte del materiale che conteneva, tanto che il giorno seguente alla scoperta uno degli scavatori, il padre Antonio Ferrua, lo aveva visto vuoto. Certo è che, come si seppe vari anni dopo il completamento e la pubblicazione degli scavi, da lì proveniva un importantissimo documento epigrafico, un piccolissimo frammento delle dimensioni di cm 3,2 x 5,8, di intonaco rosso, cadutovi dall’adiacente “muro rosso”, con inciso sopra il graffito, in greco, “PETR(Oc) ENI”, cioè “Pietro è qui”, come interpretò la Guarducci.

I suoi studi, compiuti tra il 1952 e il 1965, portarono alla decifrazione dei graffiti del “muro g” (quello che conteneva il loculo), che si rivelarono numerosissime invocazioni a Cristo, Maria e Pietro, sovrapposte e combinate insieme. E portarono anche, dopo complesse e articolate ricerche condotte con rigore scientifico, al riconoscimento di quanto era stato contenuto nel loculo, cioè le reliquie di Pietro, lì trasferite, antecedentemente ai lavori di Costantino, dalla sottostante prima tomba scavata nella terra. Rinvenute in una cassetta nei locali delle Grotte Vaticane, dove erano state deposte da chi le aveva anni prima estratte dal loculo, le reliquie, dopo essere state analizzate, risultarono pertinenti a un solo uomo, di corporatura robusta, morto in età avanzata.

Erano incrostate di terra e mostravano di essere state avvolte in un panno di lana colorato di porpora e intessuto d’oro; rappresentavano frammenti di tutte le ossa del corpo a esclusione del sia pur minimo frammento di quelle dei piedi. Particolare, questo, veramente singolare, che non può non richiamare alla mente la circostanza (e gli esiti sul corpo, cioè il distacco dei piedi) della crocifissione 
inverso capite (a testa in giù), attestataci da un’antica tradizione a significare l’umiltà di Pietro. Una circostanza, questa, perfettamente rispondente a quanto storicamente ben noto: l’usanza romana, cioè, di rendere spettacolari, per la soddisfazione del popolo, le esecuzioni capitali dei condannati a morte. Il loro cadavere, privato del diritto di sepoltura, veniva lasciato giacere sul luogo del supplizio. Così avvenne per Pietro, messo a morte confuso fra tanti altri e sepolto nell’umile terra – probabilmente in fretta, nel luogo più vicino in cui fu possibile – quando si poté recuperarne il corpo. 

Le reliquie identificate da Margherita Guarducci come quelle di Pietro furono riconosciute come tali da papa Paolo VI che il 26 giugno 1968, ricollegandosi alle parole pronunciate nel 1950 da papa Pio XII, diede l’annuncio durante l’udienza pubblica nella Basilica Vaticana: «Nuove indagini pazientissime e accuratissime furono in seguito eseguite con risultato che noi, confortati dal giudizio di valenti e prudenti persone competenti, crediamo positivo: anche le reliquie di san Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente, e ne diamo lode a chi vi ha impiegato attentissimo studio e lunga e grande fatica. Non saranno esaurite con ciò le ricerche, le verifiche, le discussioni e le polemiche.

Ma da parte nostra ci sembra doveroso, allo stato presente delle conclusioni archeologiche e scientifiche, dare a voi e alla Chiesa questo annuncio felice, obbligati come siamo a onorare le sacre reliquie, suffragate da una seria prova della loro autenticità [...] e nel caso presente tanto più solleciti ed esultanti noi dobbiamo essere, quando abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti, resti mortali del Principe degli apostoli». Fatte ricollocare il giorno successivo all’interno del ripostiglio del “muro g” (a eccezione di nove frammenti richiesti dal Papa e conservati nella sua cappella privata), le reliquie da pochi anni sono state rese nuovamente visibili ai fedeli. 

Relativamente ai luoghi di Pietro a Roma, è opportuno anche segnalare l’epigrafe di papa Damaso (366-384) presso la Memoria Apostolorum lungo la via Appia ad catacumbas (oggi Basilica di San Sebastiano), dove si legge: «Chiunque sei che cerchi i nomi congiunti di Pietro e di Paolo, sappi che questi santi hanno qui riposato (habitasse) un tempo». Sulla base di questo testo, e della presenza nelle catacombe di numerose iscrizioni di invocazione congiunta a Pietro e Paolo, si è ipotizzata una temporanea traslazione delle reliquie dei due fondatori della Chiesa di Roma in questo luogo nel periodo della persecuzione avviata dall’imperatore Valeriano (258): ma siamo nel campo delle ipotesi di studio. 

È anche da ricordare infine che, nell’ambito delle ricerche svolte dalla Guarducci, venne compiuta una ricognizione scientifica sulle reliquie attribuite da una tradizione medievale alla testa di Pietro, presenti dall’VIII secolo nel Sancta Sanctorum e di lì trasferite da papa Urbano V, il 16 aprile 1369, in uno dei due busti all’interno del ciborio della Basilica lateranense, dove attualmente sono. I risultati di questa ricognizione non hanno però in nulla inficiato la validità del riconoscimento delle reliquie di Pietro sotto la Basilica Vaticana. 
 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:36. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com