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Quando e come un Papa favorisce l'eresia... (2)

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2018 01:10
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20/12/2016 14:38
 
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 la situazione è attualmente aggrovigliata che non possiamo ignorare i fatti che stanno avvenendo. Apriamo una seconda pagina (essendo saturata la prima  - vedi qui - anche con oltre semila visite in pochi mesi), per continuare a spiegare che noi, qui, non giudichiamo affatto il Santo Padre Francesco, bensì discutiamo sul suo pensiero poco cattolico, portandovi i fatti, le prove, i testi..... Qui non si fanno processi alle persone, men che meno al Papa, ma abbiamo il dovere di giudicare i fatti, i testi, le parole, i pensieri....


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Dal vangelo secondo Scalfari, “ispirato” da Francesco (di mestiere papa)

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I grandi difensori di Papa Francesco continuano a sostenere che certe “confidenze” private all’amico Scalfari, non sono magistero ufficiale del Papa e, di conseguenza, non ci riguarda. Tuttavia, queste confidenze, vengono poi rese pubbliche dal sito ufficiale de L’Osservatore Romano che, non per nulla, si chiama la “voce del Papa”, e qui vengono pubblicati i Documenti ufficiali del ministero petrino. Quindi non è giustificato il dire che ciò che il Papa dice – in confidenza – all’amico Scalfari o ad altri, non ci riguarda, dal momento che queste confidenze sono di dominio pubblico.

E le ultime “confidenze” sono davvero drammatiche a livello dottrinale. Scalfari arriva a descrivere un “vangelo nuovo” scaturito  dalle riflessioni che egli attribuisce a Papa Francesco, ma che il Papa non smentisce. E sono pensieri gravissimi, eretici, senza sé e senza ma, sono eretici. Qui troverete il testo integrale di Scalfari. Ecco alcune “perle”:

– nel “nuovo vangelo” secondo Scalfari: per Bergoglio il sacerdozio è secondario, e così sarebbe stato nei primi tempi del cristianesimo, tesi luterana che Bergoglio appoggia, secondo Scalfari, ma anche tesi condannata dal concilio di Trento… da qui il luteranesimo, pur tenendosi i “vescovi” ha eliminato di fatto il clero inventandosi i “pastori” senza alcun sacramento dell’Ordine Sacro… Secondo il vangelo di Scalfari, Bergoglio gli avrebbe confidato che Gesù ha istituito SOLO due Sacramenti, il resto “sono venuti DOPO”… dando così l’impressione di sostenere la tesi protestante…. che di fatto ha tolto gli altri sacramenti;

– nel “nuovo vangelo” secondo Scalfari: Bergoglio è d’accordo non sull’unicità di Dio (dottrina cattolica) ma su un dio unico per il mondo (tesi mondialista e dell’Anticristo di Soloviev);

– nel “nuovo vangelo” secondo Scalfari: per Bergoglio, naturalmente è sempre Scalfari che racconta, ma le definisce “confidenze”, Gesù è “realmente un uomo con tutte le passioni, le debolezze, le virtù d’un uomo (qui manca di unirci Dan Brown con la Maddalena sposa di Gesù e siamo a posto!);

Quest’ultima novità è di una gravità, perché detta da un Papa, o a lui attribuita dal suo amico, senza precedenti nella storia della Chiesa. Gesù è Dio e di conseguenza non essendoci in Lui il germe del “Peccato Originale” non vi è neppure la concupiscenza della carne che è la nostra debolezza umana. Se in Maria Vergine, Concepita Immacolata, è stata preservata dal peccato originale come dice il dogma, in Cristo non è un dogma della Chiesa che stabilisce l’innocenza di Gesù, bensì è proprio la Sua situazione di “Dio incarnato” ad offrire a Maria questa primizia di innocenza e alla Sua Chiesa LA VERITA’ ASSOLUTA.

Il Verbo Divino, nato appunto da un grembo verginale reso immune dal peccato originale, essendo Dio vivo e vero, non recava con Se le debolezze e le virtù degli uomini. Il pensiero attribuito al Papa è gravissimo perché attribuisce, persino all’uomo, virtù – ma capovolgendo il donatore – che Dio avrebbe assunto in Se con l’incarnazione mentre – queste virtù – sono suoi, sono DONI DI DIO nella coscienza originale dell’uomo, prima del peccato, e che a causa di questo l’uomo ha dimenticato.

Gesù non aveva in sé nessuna debolezza! E l’unica passione che lo animava, in quanto uomo, era quella giustizia divina che l’uomo aveva ricevuto prima del peccato originale, e che questi ha oscurato, offuscato, fatto dimenticare.

Nel Getsemani non vi è affatto “la debolezza del Cristo”, ma quella lotta giusta che fu abbandonata dal peccato originale: l’uomo ha per istinto la sopravvivenza, ed ha in orrore la morte (entrata per invidia del demonio), il soffrire – nel Libro di Giobbe è spiegato assai bene – inoltre Gesù non soffre per “se stesso” in quel frangente nell’orto degli Ulivi, ma “vede” tutto il male degli uomini in ogni tempo, fino alla fine, e ne ha orrore. Da qui la supplica al Padre: “se puoi allontana da me questo calice…”Questa supplica non è l’indice di una debolezza del Cristo, al contrario, è la prova – anche – della nostra sofferenza nei confronti della giustizia, della verità, del recupero dell’uomo afflitto dal peccato originale.

Il Peccato originale, oltre che con il Battesimo che ci dona la Grazia, ci rende Figli adottivi di Dio in senso proprio, lo si vince con ATTI DI VOLONTA’ al progetto di salvezza del Padre. Questo è il Getzemani che ogni uomo deve superare. Gesù anche nel Getzemani insegna, è maestro, sulla propria pelle, di come l’uomo può vincere. Egli assumendo su di sé il peccato degli uomini, soffre nella carne quello che l’uomo soffre nell’anima.

È gravissimo che un Pontefice confidi ad un amico ateo – e gaio di esserlo – che Gesù Cristo avrebbe incarnato in se anche le debolezze degli uomini le quali provengono esclusivamente dal Peccato Originale.

È gravissimo che un Pontefice confidi ad un amico ateo – e gaio di esserlo – che il sacerdozio è roba secondaria, ed è FALSO affermare che: “Così avveniva nei primi secoli del cristianesimo, quando i Sacramenti erano direttamente celebrati dai fedeli e i presbiteri facevano soltanto il servizio…” (parole attribuite al Papa da Scalfari, e dal Papa non smentite). Ma basta leggere i primi capitoli degli Atti degli Apostoli per capire che qui si sta manipolando la Scrittura! Gli Apostoli nominano i diaconi per “occuparsi del servizio ai poveri” e lasciare agli Apostoli il compito DEI SACRAMENTI. Cristo affida solo agli Apostoli il  Sacramento della Riconciliazione; Giacomo descrive che compito dei presbiteri era quello di portare il Sacramento detto “Viatico” o di consolazione ai moribondi: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15).

Il sacerdozio non è affatto “secondario” ma primario, e la malattia del clericalismo nasce purtroppo quando il prete pretende di comandare nell’imporre le sue opinioni personali. Il prete ricopre un ruolo AUTOREVOLE nell’eseguire i comandi del Signore, in questo senso è: «Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso forma di servo, è diventato servo (Fil 2,5-11), e diventa un despota quando, deposta la sana dottrina, vuole comandare per imporre la sua visione di Chiesa. Questo fu uno dei peccati di Lutero: pretendere di comandare e di dire alla Chiesa cosa fosse giusto fare in base alle sue opinioni.

I Sacramenti sono 7 e tutti riportati nella Sacra Scrittura: «La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette Sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l’esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis n. 16). E del resto lo afferma il Catechismo della Chiesa: «I sacramenti della Nuova Legge sono istituiti da Cristo e sono sette, ossia: il Battesimo, la Confermazione, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Unzione degli infermi, l’Ordine e il Matrimonio» (CCC n. 1210). Come fa un Pontefice a dire all’amico ateo che non è così? O Scalfari capisce fischi per fiaschi, ma è grave che l’amico Papa non smentisca mai, oppure ci troviamo davanti ad un Papa che – nelle confidenze ad un amico ateo – MENTE SAPENDO DI MENTIRE, per non dire di peggio, che è convinto degli errori che confida all’amico, felice di essere ateo.

Non spetta a noi trarne delle conclusioni, il dibattito rimane aperto, perché qui non si fa processo a nessuno, ma si ragiona con vigilanza, onestà di mente e di cuore, memori delle parole di San Paolo: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!» (Gal 1,6-10).

E stendiamo un velo pietoso sul quel concetto dell’unicità di Dio completamente stravolto e distorto da queste “confidenze”. Il Papa, secondo Scalfari, avrebbe detto testuali parole: «Per me esiste l’Assoluto, la nostra fede ci porta a credere nel Dio trascendente, creatore dell’Universo. Tuttavia ciascuno di noi ha un relativismo personale, i cloni non esistono. Ognuno di noi ha una propria visione dell’Assoluto: da questo punto di vista il relativismo c’è e si colloca a fianco della nostra fede…». Grave! Gravissimo! Inaudito ed eretico!

Il Vangelo di Nostro Signore e la Predicazione apostolica intendeva proprio eliminare quel relativismo della vera Fede a cominciare, infatti, dalla discussione sulla circoncisione (At 15). Perché dunque non usiamo più circonciderci? Il relativismo non si colloca affatto “a fianco della nostra fede” ma piuttosto la relativizza, gli toglie la vera unicità, e conduce la nostra fede A CREARCI UN DIO FATTO A NOSTRA IMMAGINE. Eccolo il capovolgimento del gesuita Karl Rahner di cui, purtroppo, è affetto anche Bergoglio, che male consiglia all’amico fiero di essere ateo.

Secondo Scalfari il Papa avrebbe affermato che “auspica” l’arrivo di una RELIGIONE UNICA nel mondo, in cui ci sia posto non per l’Unico Dio, incarnato, ma per un dio generico FRUTTO DELLA FEDE RELATIVA degli uomini, che però metta “tutti d’accordo”. Qui siamo ad uno stadio superato e ben peggiore dell’eresia ariana.

Gesù è venuto proprio a togliere le personali visioni dell’Assoluto (ora si chiama così, non più Dio, sic!): «Chi ha visto me ha visto il Padre… Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse…» (Gv 14,10-11), accogliere e seguire Gesù, per andare dal Padre, non è un optional, non è un punto di vista soggettivo e relativo…

Ma nel Bergoglio secondo Scalfari, la VERITA’ ASSOLUTA NON ESISTE ed è ovvio che se non esiste tutto diventa relativo e a seconda delle nostre opinioni soggettive. Dunque, ci chiediamo, Gesù che dice: “io sono la Verità…”, esiste o no? E’ Persona viva e vera oppure è solo frutto del nostro relativismo fidei? Un Pontefice non può seminare questi dubbi, non può affermare queste eresie all’amico ateo. E’ ovvio che poi il Papa dica, pubblicamente, che davanti alla sofferenza non abbiamo risposte, oppure che nel Presepe troveremo il “bambinello migrante”. L’uomo è stato messo al posto di Dio! Eresia modernista e del gesuita Rahner, ed oggi di questo magistero liquido. Siamo davanti ad un Papa che invece di correggere gli erranti, si fa confermare da un ateo, felicemente ateo.




ULTIM'ORA: Card. Burke dà utlimatum al Papa: "Deve chiarire i dubia o dopo l'Epifania potrebbe arrivare l'atto formale di correzione"

 
Il Card. Burke pone un limite di tempo al Papa per rispondere, e avvisa: "O risponde dopo l'Epifania o si dovrà procedere con l'atto formale di correzione, dopo l'Epifania. 
L'articolo ricorda un precedente: un atto di formale correzione da parte di teologi dell'Università di Parigi che ammonirono e corressero Papa Giovanni XXII nel XVI secolo. Più che giusto, alla luce anche del ben più autorevole precedente: la correzione che San Paolo ebbe a fare a San Pietro "pubblicamente, perchè ne andava della fede". 
Citiamo, circa la legittimazione dei 4 cardinali (che non sono più soli!) di correggere il Papa, quanto scrissero San Tommaso e sant'Agostino (come riportato da Corrispondenza Romana in un interessantissimo studio di don P. Leoni del 14.12.2016):

"Scrive San Tommaso d’Aquino (ad Gal.2.14): “Essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte di quelli che sono loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede”.
E Sant’Agostino commenta: “Lo stesso San Pietro dette esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dal loro soggetti”.
Riferendosi di nuovo alla critica pubblica di San Paolo a San Pietro, scrive ancora San Tommaso: “La riprensione fu giusta ed utile, ed il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di fatti di un pericolo per la preservazione della verità evangelica… il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò San Paolo scrive: ‘Parlai a Cefa’ cioè a Pietro ‘di fronte a tutti’ perché la simulazione operata da san Pietro comportava un pericolo per tutti.” 
Questo è lo spirito dunque in cui sarà intrapresa la critica delle dottrine o dei gesti che seguono, con la pietà dovuta di un figlio verso il proprio padre spirituale, capo visibile della santa Chiesa di Dio. Le dichiarazioni (o i gesti) trattati riguarderanno solo tre punti determinati: 1) l’Ecumenismo, 2) l’Eroticismo, e 3) l’Adulterio. (segue nell'articolo "Non si può più tacere") "
 
Roberto

Intervista al Card. Burke (19.12.2016)
Traduzione di MiL:

In un'intervista esclusiva con LifeSiteNews(19.12.2016), il cardinale Raymond Burke ha dato un'indicazione del possibile termine entro cui dovràavvernire una "correzione formale" di Papa Francescoqualo lo stesso pontefice dovesse non rispondere ai cinque dubia, che chiedono chiarezza su Amoris Laetitia, presentatigli da quattro cardinali, tra cui il cardinale Burke. 

"I dubia devono avere una risposta perché hanno a che fare con i fondamenti stessi della vita morale e del costante insegnamento della Chiesa in materia di bene e male, per quanto riguarda le varie realtà sacre come il matrimonio e la Santa Comunione e così via,"  ha detto il Card. Burke durante una intervista telefonica. 
"Ora, naturalmente, siamo negli ultimi giorni, giorni di forte grazia prima della Solennità della Natività di Nostro Signore, e poi abbiamo l'ottava della Solennità e le celebrazioni di inizio del nuovo anno - cioè di tutto il mistero della nascita di Nostro Signore e della sua Epifania - quindi  il termine potrebbe essere fissato qualche giorno dopo".

Il cardinale, che è il patrono del Sovrano Ordine di Malta, ha detto che la forma della correzione sarebbe "molto semplice": "Sarebbe diretta (anche perchè i dubbi, se risolti, non lascerebbero più spazio ad altre domande) e si potrebbe fare confrontando le dichiarazioni confuse in Amoris Laetitia con quanto è stato il costante insegnamento e la prassi della Chiesa, e correggendo in tal modo Amoris Laetitia," 

L'esortazione ha causato confusione diffusa nella Chiesa cattolica dalla sua uscita nel mese di aprile 2016, in gran parte a causa della sua ambiguità su importanti questioni morali.Questo ha permesso a vari vescovi e alle conferenze episcopali di  interpretare il documento, a volte in modi che sono in contrasto con la dottrina cattolica sul matrimonio, sulla sessualità, sulla coscienza, e sulla ricezione della Santa Comunione.  
Ad esempio, i vescovi di Buenos Aires e il vescovo Robert McElroy di San Diego hanno interpretato il documento per consentire ai divorziati cattolici risposati civilmente e che vivono quindi in adulterio di ricevere in alcuni la Santa Comunione. 
 Il Papa stesso ha scritto ai vescovi di Buenos Aires per lodare le loro linee guida, dicendo che non c'era "nessun' altra interpretazione possibile."

Il cardinale Burke, insieme a cardinali Walter Brandmüller, Carlo Caffarra, e Joachim Meisner, ha presentato nel mese di settembre 2016 i dubia, cinque domande a cui si deve rispondere sì o no, alla ricerca di chiarezza da parte di Papa Francesco sul fatto che l'esortazione siaconforme o non alla dottrina morale cattolica.  
Poichè il Papa dopo due mesi non aveva dato alcuna risposta dopo due mesi, i cardinali li hanno reso pubblici i dubia. 
 E 'stato dopo questo che il cardinale Burke ha rivelato che un atto formale di correzione sarebbe necessario, se il Papa si rifiutasse di chiarire il significato della sua esortazione. 

Mentre un tale atto di correzione formale è qualcosa di raro nella vita della Chiesa, non è comunque senza precedenti. Papa Giovanni XXII nel XIV secolo è stato pubblicamente sfidato da cardinali, vescovi e teologi laici dopo aver negato la dottrina che le anime dei giusti sono ammessi alla visione beatifica dopo la morte, insegnando invece che il cielo è ritardatofino alla risurrezione generale alla fine di tempo. Papa Giovanni alla fine ritrattatò la sua posizione, dovuta in parte a una lettera congiunta di teologi dell'Università di Parigi, che professavano sì una totale obbedienza al papa, ma mettevano in chiaro  che il suo insegnamento era contraddetto dalla fede cattolica. 
Burke ha chiamato la procedura di correggere l'errore di un pontefice un "modo di salvaguardia che l'ufficio e il suo esercizio. e che sarebbe 'realizzata con il rispetto assoluto per l'ufficio del Successore di San Pietro".



 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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23/12/2016 17:06
 
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  LA SAGGEZZA DI IPAZIA GATTA ROMANA. LA SCIATTERIA CLERICALE È DIVENUTA QUELL’OTTAVO SACRAMENTO CHE IL SOMMO PONTEFICE ESALTA. APPELLO: REGALATE UN SATURNO DI CASTORINO AL PADRE ARIEL, SARÀ LIETO DI INDOSSARLO

Oggi, per udire il Santo Padre usare la parola «vergogna», bisogna respingere i colonizzatori islamici dell’Europa, o chiudere le porte a delinquenti e potenziali terroristi fatti passare in modo truffaldino per profughi, oppure bisogna indossare una talare; quella talare che da sempre, i preti, hanno usato come segno di sobrietà e di distacco dalla mondanità, ma anche come segno di quella riconoscibilità da alcuni pagata sino allo spargimento del proprio sangue.

Autore Ipazia gatta romana
Autore
Ipazia gatta romana
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Preti mondani vanitosi come le donne – il Beato Rolando Rivi, seminarista, in talare e saturno, ucciso a 15 anni in odio alla fede cattolica per essersi rifiutato di togliersi la talare di dosso

Durante un briefing col Gruppo della Azione Gattolica Italiana dedicato a Gatto Pio, martire della rivoluzione spagnola del 1937, commentando l’ultima perla uscita della Domus Sanctae Marthae diffusa da Zenit [cf. QUI], gattopardesca agenzia stampa fondata dai Legionari di Cristo, emblema ieri del rigore e dellasanta tradizione sotto i pontificati di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, oggi ridotta ad una succursale della Teologia della Liberazione, ho espresso a gatti e gatte che se il mio direttore spirituale, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, fosse il rettore di un seminario, oggi avrebbe difficoltà a istruire i candidati al sacerdozio. Per esempio sullo stile di linguaggio del sacerdote, che può essere anche deciso e duro, quando il caso lo richiede. Come a volte sono richiesti giudizi netti, laddove non è possibile chiamare diversamente il male, che tale va’ sempre chiamato, indicato e fuggito. Ammesso che in tal senso il Vangelo e la letteratura di San Paolo Apostolo abbiano sempre un significato ben preciso.

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Preti mondani vanitosi come le donne – il cadavere del Presbitero Umberto Pessina, ucciso in odio alla fede cattolica e morto dentro la sua mondana talare

Il parlare del Sacerdote, ad alto o basso tono, amorevole o severo secondo quanto richiesto dal caso, deve essere mosso sempre da spirito di imparzialità. Il sacerdote deve essere equilibrato, non lasciarsi influenzare dagli umori personali e meno che mai dall’orgoglio ferito.

Per meglio trasmettere il messaggio, potrei portare più esempi di vita vissuta del mio direttore spirituale, che ogni tanto si confida con me, specie la sera prima di dormire, quando io mi metto sul suo letto in fondo ai suoi piedi recitando la coroncina a Gatto Pio. Ricordo per esempio che il mio buon Padre fu chiamato anni fa da due prelati per dare un parere su un certo sacerdote, al quale essi stavan guardando per un particolare incarico. Questo sacerdote, quando il mio buon Padre si stava preparando ai sacri ordini, tentò di rendergli il percorso vocazionale un inferno, d’impedirgli l’accesso al sacerdozio, ma soprattutto di divenire sacerdote in quella diocesi, ricorrendo a tal fino a illazioni, alla semina di veleni e via dicendo. Ciò non perché vi fossero motivi, ma perché aveva deciso di nutrire verso di lui antipatia. Tutto questo motivato dal fatto che in lui, anziché un futuro confratello, aveva deciso di vedere un potenziale concorrente, secondo lo stile di quei preti che considerano il presbiterio un pollaio del quale si sentono i galletti incontrastati.

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Preti mondani vanitosi come le donne – il Presbitero Giovanni Minzoni, ucciso a bastonate dentro la sua mondana talare

Quale occasione migliore poteva presentarsi al mio buon Padre? Due prelati dai quali dipendeva quell’incarico, che si rimettevano al suo parere, sapendo che lui conosceva il soggetto in questione, loro no. Quell’episodio mi ha insegnato, come futura filosofa metafisica, che gli uomini dotati dell’animo sacerdotale e dello spirito di governo pastorale, non devono mai cedere agli umori personali …

… fu così che il mio buon Padre rispose nel merito della domanda a lui rivolta su uno dei suoi più feroci nemici, affermando in modo imparziale: «Per questo genere di incarico non vedrei elemento migliore di questo giovane sacerdote al quale voi avete pensato, non ultimo anche in considerazione del livello molto basso dei membri di quel presbitèrio».

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Preti mondani vanitosi come le donne – se questo prete non fosse stato un rigido e un mondano, si sarebbe fatto fucilare in bermuda con al collo una stola fatta coi colori della bandiera della pace.

Questo galletto seguita tutt’oggi a odiare il mio buon Padre, mosso da un malanimo affatto mitigato ma accresciuto nel corso degli anni. Lungi dal darsi pace, ha tentato di creargli ulteriori problemi in quel presbiterio, usando come braccio armato la propria adorante corte di omuncoli, se non peggio didonnette. Forse costui pensa che l’incarico avuto a suo tempo dipenda da chissà qualiprelatoni ammaliati dalla sua scienza e dal suo irresistibile fascino intellettuale, mentre invece – come a volte può accadere nella Chiesa –, dipende dal giudizio positivo dato da un prete imparziale relegato da sempre nei margini più periferici di quella struttura ecclesiastica sempre più simile allaCamorra, alla N’drangheta ed a Cosa Nostra. Giudizio – quello del mio buon Padre – che a suo tempo fu preso letteralmente come oro colato, proprio perché considerato leale e imparziale. 

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Preti mondani vanitosi come le donne – il Presbitero Virginio Icardi, un altro giovane mondano ucciso dentro la sua talare

Al ché mi chiedo – sempre se per ipotesi il mio buon Padre fosse rettore di un seminario – in che modo potrebbe istruire i seminaristi alla imparzialità e alla fuga dall’agire umorale? Correrebbe il rischio che qualche seminarista dotato di un neurone in più, gli risponda: «Il Papa, però, in quanto a parzialità, spirito umorale e giudizi avventati giocati sul caricaturale e persino sul discredito altrui, non è che ci vada poi tanto leggero».

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Preti mondani vanitosi come le donne – il Presbitero Mario Borzaga, altro giovane prete vanitoso ucciso dentro la sua talare

In effetti, il Sommo Pontefice ha gridato quasi allo scandalo verso i preti “mondani” con la talare e col saturno in testa, ma non ha mai espresso una parola sui numerosi preti che disattendendono le norme canoniche, per esempio andando in giro con i jeans e le magliette variopinte. Non una parola ha mai espresso il Santo Padre su quei preti che in estate si presentano in sacrestia con i bermuda a fiori e le ciabatte ai piedi, indossando un camice e una sciarpina coi colori arcobaleno che vorrebbe essere una stola, ed andando parati in modo così indecente all’altare per celebrare la Santa Messa. Può essere però che quelli, per il Santo Padre, non siano preti mondani, ma preti di frontiera, pretidi periferia, preti di strada, forse prossimi alla nomina episcopale, mica come queimondanacci che osano indossare sempre le talari, memori non ultimo di quanti loro confratelli, anche in tempi recenti, dentro le talari ci sono morti di morte violenta.

Prendo quindi atto che il mio buon Padre è un prete mondano, perché la talare la indossa sempre, tutti i giorni. E le sue talari sono di eccellente fattura, fatte su misura dal sarto e rigorosamente pagate da sua madre e da suo fratello, i quali più volte, quando gli hanno chiesto di che cosa in particolare avesse bisogno, in varie occasioni si sono sentiti rispondere: «Una bella talare nuova, perché usandola tutti i giorni, già si cominciano a vedere i segni del tempo».

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Preti mondani vanitosi come le donne – il Presbitero Francesco Spoto, morto martire in odio alla fede dentro la sua talare

Tra il mio buon Padre, che rientra a quanto pare nella categoria dei mondani, ed i preti sociali, preti di strada, preti di periferia e di frontiera oggi tanto di moda e tanto beneamati dal Santo Padre, c’è però una gran differenza: dopo che il suo cellulare pagato 48 euro ad un discount si spense dopo tre anni di uso e non si riaccese mai più, sua cognata gli regalò un suo vecchio telefono cellulare di seconda mano e di quarta generazione addietro. E ciò al contrario dei tanti preti sociali, preti di strada, preti di periferia e di frontiera oggi tanto di moda e tanto beneamati dal Santo Padre, i quali sempre e di rigore hanno gli ultimi e più costosi modelli di telefono cellulare.

Dall’anno 2010 il mio buon Padre usa un computer portatile acquistato durante le liquidazioni ai magazzini vaticani, mentre i tanti preti sociali, preti di strada, preti di periferia e di frontiera oggi tanto di moda e tanto beneamati dal Santo Padre, quelli per intendersi che si presentano a far gioire l’Augusto Inquilino della Domus Sanctae Marthae con i loroclergyman scollacciati e sdruciti, hanno di prassi e di rigore i gadget elettronici di ultima generazione, più costosi e soprattutto più inutili, il costo dei quali equivale a tre volte tanto quello di una talare di buona fattura. E molti di costoro non esitano a celebrare la Santa Messa dentro i cocci di terracotta colorata, semmai spiegando ai fedeli che «Papa Francesco vuole una Chiesa povera per i poveri». Però, dopo avere messo il Preziosissimo Corpo e Sangue di Cristo dentro scodelle di terracotta, nelle loro abitazioni private hanno maxi schermi televisivi pagati migliaia di euro.
Il mio buon Padre, emblema della mondanità in talare, è stato per anni senza avere il televisore in casa; e quando infine lo ha acquistato – non reputando opportuno privarne il suo collaboratore che da anni vive con lui –, ha speso 188 euro per acquistare una modesta sottomarca anonima. Però … è unmondano in talare. E non approfondiamo neppure il tema dei tanti preti sociali, preti di strada, preti di periferia e di frontiera oggi tanto di moda e tanto beneamati dal Santo Padre, che pur provedendo da famiglie povere o molto modeste, dopo essere entrati in seminario con le pezze attaccate addosso e dopo essere stati mantenuti per tutto il ciclo formativo dalle diocesi o da qualche benefattore, dopo avere indossato per tutta la vita abiti civili squallidi e paramenti sintetici logori e puzzolenti per le sacre celebrazioni, alla loro morte lasciano in eredità due o tre appartamenti di pregio agli amati nipoti e un consistente gruzzolo di danaro, ed al tempo stesso le spese del funerale da pagare a carico diocesi. E vogliamo forse parlare dei tanti preti sociali, preti di strada, preti di periferia e di frontiera oggi tanto di moda e tanto beneamati dal Santo Padre, che hanno venduto agli antiquari ed ai collezionisti d’arte preziosi paramenti antichi, suppellettili d’altare e opere d’arte? Perché se qualcuno crede che lo abbiano fatto per sfamare i poveri, in tal caso mostrerebbe di vivere veramente nella fantasia diAlice nel Paese delle Meraviglie.

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Preti mondani vanitosi come le donne – il giovane Presbitero Ubaldo Marchionne, ucciso all’altare a colpi di mitra mentre stava distribuendo la Comunione.

Mi dispiace che il Santo Padre abbia abbinato la talare alla mondanità, ben guardandosi però dal parlare dei preti mondani in jeans e maglietta variopinta che spesso traboccano vizi pessimi e quasi di rigore sempre molto costosi. Ma soprattutto, una cosa che respingo al Venerabile Mittente, è l’infelice paragone tra la vanitosità delle donne e certi indossatori di talari. La respingo per un motivo semplice: il mio buon Padre la talare la porta anche per nascondere in modo discreto ciò che ci porta sotto dalla vita in giù. Perché di questi tempi e in questa Chiesa così mal ridotta, per diventare preti occorrono, oltre al dono di grazia di una fede granitica, anche degli attributi virili notevoli e pure lodevoli. Attributi che sarebbe sconveniente far intravedere dai pantaloni. Anche per questo motivo egli porta la talare, per una questione di comune senso del pudore.

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Preti mondani vanitosi come le donne – la pisside forata da un proiettile tenuta in mano dal giovane Presbitero Ubaldo Marchionne ucciso rivestito delle insegne sacerdotali col Santissimo Sacramento in mano

Detto questo rimando i Lettori ad un articolo pubblicato in passato da Ariel S. Levi di Gualdo per le nostre colonne di Theologica, dove si parla e si spiega l’alto valore spirituale, pastorale e anche sociologico dell’abito del prete, che per la legge ecclesiastica disattesa, malgrado alcuni decenni di richiami in tal senso da parte dei tre predecessori del Pontefice Regnante, rimane la talare, ma soprattutto rimane sempre obbligatoria. Perché dunque, il Santo Padre, invece di ricordare che la talare è obbligatoria e che ilclergyman può essere usato solo in alternativa, nei casi di necessità e mai di usuale prassi, si è preso invece beffa di chi rispetta ancor oggi una legge canonica della Chiesa, dopo avere indicato in varie altre circostanze il rispetto della legge come rigidità e l’uso dell’abito ecclesiastico come sinonimo di mondanità ?

modello di saturno in castorino, sarebbe un ottimo regalo natalizio per il Padre Ariel [cf. QUI]

Ma d’altronde, oggi,per udire il Santo Padre usare la parola «vergogna», bisogna respingere i colonizzatori islamici dell’Europa, o chiudere le porte a delinquenti e potenziali terroristi fatti passare in modo truffaldino per profughi, oppure bisogna indossare una talare; quella talare che da sempre, i preti, hanno usato come segno di sobrietà e di distacco dalla mondanità, ma anche come segno di quella riconoscibilità da alcuni pagata sino allo spargimento del proprio sangue. E quando il bene è mutato in male ed il male in bene, il rispetto delle leggi canoniche è sbeffeggiato come rigidità e lo sprezzo delle leggi canoniche elevato a segno di grande apertura pastorale e sociale; quando il decoro esteriore della dignità sacerdotale è mutato in mondana vanità e la sciatteria pretesca elevata a rango di grande apertura sociale e di alta pastoralità, vuol dire che siamo messi molto male, o come dice un triste ma saggio detto popolare: «Il pesce puzza a partire dalla testa».

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Romolo, gatto del quartiere Centocelle, condannato a due anni e tre mesi per atti di vandalismo, è uno dei diversi gatti assistiti in carcere dall’Azione Gattolica Italiana di Ipazia gatta romana

Se in occasione del Santo Natale, qualche Lettore volesse donare un saturno di castorino al Padre Ariel, egli sarà ben lieto di indossarlo in memoria del Beato Antonio Rivi, il giovane seminarista ucciso in odio alla fede dopo che gli fu comandato di togliersi di dosso la talare. Rispose il martire ragazzino: «Non me la tolgo, perché è il segno che io appartengo a Gesù».

Ricordo ai nostri Lettori che col Gruppo dell’Azione Gattolica Italiana, sono dedita all’assistenza dei gatti in carcere, ai quali garantiremo una particolare vicinanza spirituale durante questo Santo Natale. 

 

vedere articolo  cliccando sotto:

I MUSULMANI OSTENTANO, I PRETI SI NASCONDONO. IL CONCETTO TEOLOGICO DELL’ABITO SACERDOTALE E RELIGIOSO: «SIA CHE MANGIATE, SIA CHE BEVIATE …»



NOVITA' PER IL 2017
 

È ormai palese l'intenzione di procedere all'ordinazione di "probati viri" in Amazzonia, con il pretesto di supplire alla scarsità di clero nelle aree di indigeni, la cui cultura non comprenderebbe il celibato. Ragioni già smentite dalla Vergine di Guadalupe, ma si vuole aprire la porta all'abolizione del celibato sacerdotale.

di Guido Villa
Amazzonia
 

Dato il ruolo che il portale Vatican Insider riveste nel farsi interprete e portavoce degli umori e delle intenzioni che muovono i Sacri Palazzi, non può passare inosservato l’articolo “Amazzonia, dove i preti sono un lusso” (vedi qui), pubblicato il 21 dicembre a firma di Rafael Marcoccia, nel quale viene rivelato un importante progetto prossimo venturo: l’ordinazione sacerdotale in Amazzonia di “probati viri”, anche sposati. Conseguenza di tale iniziativa sarebbe, prima o poi, l’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale nella Chiesa cattolica di rito latino.

Come sempre accade quando si vogliono introdurre novità eclatanti, ciò viene passato gradualmente: è la nota tecnica della “rana bollita”, che se fosse subito gettata nell’acqua bollente, reagirebbe, quindi si cerca di bollirla a fuoco lento, affinché non se ne accorga.

Nel caso concreto, la novità viene introdotta in aree limitate, cercando la “situazione limite” che apparentemente ne giustifichi l’attuazione senza troppe proteste: per l’ordinazione sacerdotale dei “probati viri” quale area di sperimentazione si è scelto il Brasile, più precisamente l’area amazzonica, vastissima dal punto di vista territoriale e con pochi sacerdoti attivi.

Nell’articolo di Rafael Marcoccia si sottolinea la necessità di “soluzioni concrete e coraggiose” che la Chiesa amazzonica attenderebbe, e cioè che «papa Francesco possa annunciare a breve delle iniziative per facilitare il lavoro di evangelizzazione e la celebrazione più frequente della Messa in un’area sterminata e con severa scarsità di sacerdoti». L’idea centrale è quella di creare un clero autoctono e indigeno che possa prendersi cura delle comunità più isolate. Tale clero dovrebbe essere «coinvolto realmente nella cultura, nella storia, nei problemi, nei sogni e nei progetti del popolo amazzonico, includendo in modo particolare l’universo dei popoli indigeni, che sono i popoli originari della regione». 

Il motivo per il quale si insiste molto sul fatto che si debba trattare di clero autoctono che è testimone vivente della cultura locale viene espresso senza mezzi termini: «Potrebbero essere scelti anche uomini sposati che notoriamente guidano con saggezza le loro famiglie. “Questo sarebbe importante perché la cultura indigena non comprende il celibato”, afferma il vescovo di São Gabriel da Cachoeira». Il celibato non è compreso dalle popolazioni amazzoniche, quindi va tolto di mezzo.

A parole, la dottrina quindi non cambierebbe, muterebbe solamente l’applicazione pastorale della stessa - un concetto già espresso durante il dibattito sui sacramenti ai divorziati risposati - e soprattutto è da applicare caso per caso, cioè deve rispettare le culture locali e sottomettersi a essa.

Ma una dottrina che si pieghi agli usi e costumi delle varie popolazioni cui viene annunciata, non è più dottrina cattolica, cioè universale. A questo proposito, il Cielo ha parlato, proprio in America latina, mostrando la totale estraneità di tali affermazioni con la fede cattolica: quando la Beata Vergine Maria, oggi venerata come Nostra Signora di Guadalupe - la Morenita -, impresse la propria immagine sul mantello di san Juan Diego nel Messico nel 1531, ella si mostrò con i capelli sciolti, segno che per la cultura azteca stava ad indicare la verginità. 

In questo modo la Madonna presentava non solamente la sua natura di eternamente vergine, bensì anche il valore della verginità perpetua per il Regno dei Cieli, cosa del tutto sconosciuta alle popolazioni indigene. La Madonna ribadiva quindi la dottrina eterna della Chiesa, non annacquandola agli usi locali, bensì, semplicemente, utilizzando un linguaggio comprensibile per i fedeli del posto.

Un aspetto essenziale della questione della progettata ordinazione sacerdotale dei “probati viri” è che questo esperimento, sebbene per il momento limitato alla sola area amazzonica, verrebbe subito reclamato da altri. Che differenza c’è, ad esempio, tra le difficoltà provocate dalla scarsità di sacerdoti in Amazzonia e quelle esistenti in Germania, Belgio, o Francia? L’eccezione diventerebbe subito regola, e l’inevitabile conseguenza dello spuntare un po’ ovunque del clero uxorato rappresentato dai probati viri ordinati sacerdoti, porterebbe subito gli altri sacerdoti a reclamare anche per sé la possibilità di abbandonare da subito il celibato.

Lo stesso accade con l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati: dal ‘caso per caso’ si passerà subito a una regola generale che permetterà a tutti loro di accedere ai sacramenti pur continuando a vivere in uno stato matrimoniale irregolare. Così anche il card. Kasper, a proposito della cosiddetta ‘Intercomunione’, chiede che essa sia autorizzata solamente per i casi di coppie miste cattolico-protestanti (vedi qui), poi, dal caso eccezionale, si passerebbe molto presto a una regola generale che l’autorizza per tutti i fedeli cattolici e protestanti.

La notizia delle possibili ordinazioni di “probati viri” in Brasile non rappresenta una novità: alla fine del 2014 il vaticanista Marco Tosatti rivelò l’esistenza di una lettera di papa Francesco al cardinale Hummes, brasiliano, già prefetto della Congregazione per il clero, che trattava appunto la possibilità di ordinazione dei “viri probati” per le diocesi dell’Amazzonia (vedi qui). Rispose il portavoce vaticano, con quella che a molti apparve un’excusatio non petita: padre Lombardi smentì l’esistenza di una lettera del Papa che riguardasse il celibato sacerdotale, cosa che Tosatti non aveva scritto, limitandosi a parlare dell’ordinazione di “probati viri” (vedi qui).

La questione è quindi assai grave. In questi giorni anche l’ex frate francescano brasiliano Leonardo Boff (vedi qui l'originale, e qui come è stata riportata in italiano da Marco Tosatti) chiede egualmente il clero uxorato per supplire il problema della mancanza di sacerdoti. Del resto, mentre Vatican Insider va con i piedi di piombo perché diretto a un pubblico italiano, in Germania il portale ufficiale della Conferenza Episcopale Tedesca, katholisch.de riporta le parole di Boff con malcelata soddisfazione (vedi qui), come se fosse un’iniziativa della quale i vescovi tedeschi attendono con ansia gli sviluppi per poterla applicare anche in Germania. 



[Modificato da Caterina63 03/01/2017 15:33]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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IL LIBRO

Aldo Maria Valli

 



Il vaticanista Aldo Maria Valli pubblica un pamphlet sui quattro anni di Papa Francesco. E non tace sugli interrogativi garbati che suscitano alcune posizioni. A cominciare dal "caso per caso" eretto a sistema. Un libro costellato di domande, scritto con rispetto da un figlio della Chiesa. 



di Lorenzo Bertocchi


La documentata raccolta di quasi quattro anni di pontificato di Papa Francesco, messa in pagina dal vaticanista del Tg1, lascia il lettore con un enorme punto di domanda. Come un quiz irrisolto.

Aldo Maria Valli in circa 200 pagine (266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P., Liberilibri, euro 16) offre una lunga e dettagliata serie di episodi e citazioni del 266° Successore di Pietro, sollevando interrogativi garbati, ma che non lasciano dubbi sulle perplessità che Papa Bergoglio ha sollevato.

In principio fu il cardinale Kasper; come tutti ricordano al primo Angelus, Papa Francesco fece una citazione con lode del cardinale e teologo tedesco, allora un po' ai margini della intellighenzia cattolica. Definito come un «teologo in gamba, un buon teologo», e lodato per un suo libro sul tema della misericordia, Kasper può essere considerato il riferimento “accademico” di ciò che poi è diventato (guarda caso?) il cuore del pontificato di Francesco: la Misericordia. Sempre al cardinale Kasper bisogna ritornare per comprendere il doppio sinodo sulla famiglia, quello che ha trovato sintesi nella discussa esortazione Amoris laetitia. Fu dalla famigerata relazione Kasper al concistoro del febbraio 2014 che prese avvio la lunga maratona sinodale, che ha portato, in certi casi, all'accesso all'eucaristia per i divorziati risposati conviventi more uxorio

Al netto delle possibili dissertazioni sulla interpretazione (controversa) della misericordia divina secondo Kasper, rimane il passaggio di paradigma che sembra guidare il pontificato di Bergoglio, un uomo di azione e non certo un teologo o un filosofo: dalla logica del dottore della legge a quella del samaritano. Peccato, scrive Valli, che questo passaggio «comporta numerosi problemi». Il più grave, soprattutto alla luce del “caso per caso” eretto a sistema, parrebbe essere quello del «trionfo del contingente sull'assoluto, del transitorio sullo stabile, del possibile sul necessario». A colpi di “discernimento” e “accompagnamento” ci si chiede se la realtà non finisca per risolversi solo nell'esperienza del singolo come unico giudice di sé. Qualcuno, in più occasioni, ha parlato di oblio degli assoluti morali e trionfo dell'etica della situazione, quella già condannata da san Giovanni Paolo II nell'enciclica Veritatis Splendor. Domande che incalzano nelle pagine del libro di Valli, domande condensate nei famosi 5 “dubia” presentati da quattro cardinali a proposito del capitolo VIII di Amoris laetitia.

Il Papa del “chi sono io per giudicare un gay”, frase cult estrapolata da una delle sue prime interviste in alta quota, è il Papa dei ripetuti e confidenti incontri con il re dei laicisti italici Eugenio Scalfari, in cui ha espresso altri tormentoni come ad esempio il citatissimo “Dio non è cattolico”. Ha definito Lutero come una “medicina” per la Chiesa che era malata, e ha partecipato alla commemorazione dei 500 anni dalla Riforma, balenando possibili cammini verso quell'intercomunione che già trattò in modo confuso con i luterani di Roma nel 2015. Nel viaggio papale in Svezia per la festa della Riforma ha dato per scontato il superamento dei problemi sulla dottrina della giustificazione (c'è la Dichiarazione congiunta del 1999 a cui lavorò con solerzia il cardinale Kasper) che però non ha risolto tutti i problemi.

Riguardo all'Islam e al terrorismo, secondo Valli, il punto è che Francesco tace «circa il problema che l'islam ha con la violenza. Quantomeno riduttiva», aggiunge il vaticanista, «è poi la lettura soltanto sociologica ed economica del terrorismo». Sul tema del terrore c'è un altro tormentone: quello del “fondamentalismo” cattolico messo sostanzialmente sullo stesso piano di quello islamico. Di ritorno dal viaggio in Polonia, in aereo, il Papa disse ai giornalisti che non gli «piace parlare di violenza islamica perché tutti i giorni quando sfoglio i giornali vedo violenze qui in Italia: quello che uccide la fidanzata, un altro che uccide la suocera...E questi sono violenti cattolici battezzati! Sono violenti cattolici...Se io parlassi di violenza islamica, dovrei parlare anche di violenza cattolica».

Gli aspetti socio-economici sono un altro dei temi ripetuti delle analisi proposte da Francesco: entrano in ballo anche per la questione della cura dell'ambiente, espressa nell'enciclica Laudato sii, e sopratutto nei rapporti con quei movimenti popolari che spesso hanno una chiara matrice marxista. Più volte ha attaccato genericamente “il sistema” e “l'idolo denaro”, indicati anche come causa della difficoltà di sposarsi.

Tutto ciò, e molto di più, si trova nelle 200 pagine di Aldo Maria Valli che si tormenta a furia di domande di fronte alle perplessità che gli solleva la cronaca papale. A un certo punto c'è un dialogo con un giornalista misterioso, il quale offre una sintesi del Bergoglio Papa. Si dice che il pontefice argentino sia leggermente ripetitivo e così il misterioso giornalista fa un riassunto delle frasi e temi ricorrenti: «Dio? Misericordioso [Dio è più grande del nostro peccato, nda]. La Chiesa? Sia povera e per i poveri, in uscita e verso le periferie, e curi i feriti in un ospedale da campo. La pastorale? Non introduca dogane, ma faciliti l'incontro con il Signore. Poi ci sono i corollari, altrettanto ripetuti: i pastori portino l'odore delle pecore, non facciano pettegolezzi e non pensino alla carriere. La società? Combatta la cultura dello scarto e il dio denaro [e la corruzione che è un male più grave del peccato, nda]. I nonni siano rispettati. Casa, terra e lavoro siano garantiti».

Al lettore che prenderà in mano il pamphlet di Aldo Maria Valli lasciamo la scoperta degli ultimi punti di domanda che costellano le ultime pagine di un libro libero, scritto con rispetto da un figlio della Chiesa. 


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“La Verità” intervista Aldo Maria Valli: «Un papa non può guidare la Chiesa con i “forse”, i “dipende”, i “però”»

In un pamphlet su papa Francesco, il vaticanista (progressista) del Tg1 è critico su questo pontificato: «Nelle sue parole segni di relativismo. Non indica una via sicura ai credenti. Vedo una grande confusione».

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di Lorenzo Bertocchi (07-01-2017)

Nel 2007, un gruppo di intellettuali firmò un appello, promosso dal professor Giuseppe Alberigo, fondatore della Scuola di Bologna, perché la Gerarchia non s’immischiasse con la politica (ce l’avevano con il card. Camillo Ruini). Il gruppo progressista voleva il silenzio rispetto al dibattito allora in corso a proposito dei DiCo, versione soft di quella che poi è diventata la legge Cirinnà, in materia di unioni civili. Di questo gruppo, facevano parte, tra gli altri: Franco Bassanini, Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida, Vito Mancuso e Alberto Melloni. E poi c’erano un po’ di giornalisti, come Raniero La Valle, Giancarlo Zizola e Aldo Maria Valli, tutti di sinistra certificata.

Aldo Maria Valli

Valli, attuale vaticanista del Tg1, che allora firmò per il silenzio delle gerarchie, oggi dà alle stampe un pamphlet perplesso sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Il libro sul 266° successore di Pietro (266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus PP., Liberilibri) pone una garbata ma scottante sequela di interrogativi su papa Francesco. «Non so se la mia si possa chiamare una conversione», dice Valli a La Verità«per che continua a non piacermi l’ingerenza della Gerarchia sulla politica politicante, ma di certo oggi penso che ci sia bisogno di un intervento più elevalo del Magistero che aiuti il laico cattolico con indicazioni morali e antropologiche chiare, in modo da abituare il pensiero a fuggire dal rischio della facile omologazione». Padre di 6 figli e nonno di 2 nipoti. Valli è in Rai dal 1988. Era il vaticanista del Tg3, alias Telekabul. Dal 2007 e passato al Tg1. Per anni ha collaborato con il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, ma anche con Europa, l’organo (oggi defunto) della Margherita. Oggi, da padre di famiglia, sembra preoccupato dalle ambiguità di un’antropologia liquida che si spinge fino ad accarezzare la fluidità dei sessi come una possibilità tra le altre. «La liquidità culturale e morale», dice Valli, «è figlia del soggettivismo imperante, secondo il quale non c’è un bene oggettivo, ma ciò che conta è il modo in cui una data esperienza, in un dato momento, è vissuta in coscienza dal soggetto, centro e fine di tutto. L’utero in affitto, tanto per fare un esempio concreto, e una pratica figlia di questa concezione; il soggetto al centro, con la tecnologia come strumento per massimizzare il suo tornaconto individuale e il suo piacere».

Ma, allora, i cattolici del Family Day 2016 non sono stati lasciati troppo soli dalle gerarchia ecclesiastiche?

«Non so se siano stati lasciati soli o meno. Quello che so è che nei seminari e nelle università cattoliche è difficile trovare chi insegni filosofia cristiana. Così come e difficile imbattersi in pubblicazioni in grado di offrire ai credenti solidi punti di riferimento. Cornelio Fabro, grande teologo e filosofo cattolico, scrisse che siamo tutti malati di parole: non conosciamo più parole che siano solido criterio e fondamento di verità. Non conosciamo più parole uniche, perenni, immutabili».

C’era una volta Caterina Caselli che cantava «nessuno mi può giudicare», non vorrà dire che anche il Papa è di ventato un fan del relativi amo romantico?

«Non penso che il Papa sia un relativista consapevole, però di fatto alcune sue parole approdano a conclusioni dal sapore relativista. Quando per esempio, dialogando con Eugenio Scalfari, sostiene che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male” e “noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”, è davvero difficile non riscontrare lì segni evidenti di relativismo. In alcuni suoi interventi ha denunciato la cultura del relativismo, salvo poi enunciare un’idea di misericordia dalla quale sembra estromesso il giudizio. Ma la prima forma di misericordia non dovrebbe essere mostrare con chiarezza la distinzione tra bene e male e indicare una via sicura verso il bene per opporsi al male? Se e il Papa e la Chiesa rinunciano a questa funzione di giudizio, non si appiattiscono su una visione relativista dell’uomo e del mondo?».

Si può essere padri senza mettere qualche paletto?

«La mia risposta è semplice: è impossibile. Qualunque padre lo sa. Se il padre rinuncia alla sua funzione di giudizio e di indirizzo morale, di fatto non è un padre. Può essere un amico, un compagno di strada, ma non è padre. Non significa cadere nell’autoritarismo: significa esercitare l’autorità, della quale i figli hanno bisogno. Abbiamo davanti agli occhi i risultati di una cultura che ha rinunciato all’autorità e al giudizio: è lo sbandamento morale».

A proposito di padri e madri: il matrimonio dopo l’Amoris Laetitia sembra un sacramento che, in certa pastorale, diventa a velocità variabile. Ora qui, ora là, l’indissolubilità è una questione del “caso per caso”?

«Quest’esortazione post-sinodale che tanto ha fatto discutere è stata per me come uno spartiacque. Quel testo, letto e riletto, mi ha convinto sempre meno e, a un certo punto, ho avvertito la necessità di aprire il mio cuore ai lettori. L’Amoris Laetitia è un documento lungo e complesso, nel quale si può trovare un po’ di tutto. Vi è dipinta la bellezza del matrimonio cristiano, ma vi troviamo anche l’idea che ogni esperienza, se vissuta in coscienza come buona, sia buona in sé, il che è in aperto contrasto con la dottrina cattolica, ma soprattutto non è di aiuto alla crescita morale della persona e alla salvezza dell’anima. Inoltre l’indissolubilità e l’apertura alla vita vengono presentati non tanto come valori oggettivi bensì come ideali a cui tendere. Ecco di nuovo che soggettivismo e relativismo si insinuano nelle pieghe dell’insegnamento del papa. Questa è misericordia? Secondo me no».

Quattro cardinali hanno sollevato cinque dubia sull’interpretazione di un capitolo dell’Amoris Laetitia. Qualcuno li ha accusati di lesa maestà.

«A parte il fatto che i prelati in questione sono sei e non quattro, benché due abbiano chiesto di non apparire, credo che con la loro iniziativa si siano fatti interpreti di un disagio mollo diffuso tra il popolo cattolico. Tuttavia il Papa, che parla spesso del popolo e gli attribuisce tanta importanza, non risponde, e così facendo viene meno al suo compito fondamentale, che è confermare i fratelli nella fede. Oltre ai dubia dei cardinali ci sono quelli di tanti vescovi, preti e comuni fedeli. La situazione è di grande confusione, e la confusione ha ben poco a che fare con la misericordia. “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no”, insegna Gesù. Qui invece siamo in balia del “sì ma anche”, del “forse si forse no”, del “dipende”».

Nel libro lei accenna all’ambiguità in campo ecumenico. Qualcuno dice che il Papa applica una pastorale alla Jovanotti: «Esiste solo una grande “Chiesa” che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa»?

«Eh, il rischio c’è, purtroppo. Certe aperture di Francesco – penso in particolare al caso dei luterani, con la visita in Svezia – sono davvero troppo generiche. Bergoglio ama dire che non bisogna occuparsi troppo delle questioni teologiche, ma che è bene fare qualcosa insieme. Per questa via, però, le Chiese si riducono ad agenzie sociali e, ancora una volta, si rinuncia a indagare sulla verità e sul bene. Non si può bollare la teologia come una sorta di fissazione da esperti avulsi dalla realtà».

Papa Francesco

Ma papa Francesco dice di riferirsi proprio alla realtà.

«Sì, ama dire che la realtà è più importante dell’idea. Bisognerebbe capire che cosa intende per realtà. Il mondo dei fenomeni può nascondere all’uomo la sua stessa realtà più vera e profonda».

In una delle sue interviste, il Papa ha messo praticamente sullo stesso piano il fondamentalismo islamico con quello cattolico. Anche questo è ecumenismo?

«No, questa è confusione pericolosa. Tutte le fedi possono certamente scivolare verso forme di fondamentalismo, ma non tutte le fedi sono uguali. Se un cristiano utilizza la violenza in nome del Vangelo va contro il Vangelo. L’islam ha un evidente problema con la violenza, e la radici del problema sono nel Corano. Benedetto XVIlo disse chiaramente e fu trattato come sappiamo».

Con queste posizioni, visto il suo passato di “martiniano di ferro”, essendo lei stato molto vicino al cardinale Carlo Maria Martini, la accusano di aver tradito. Non è più “fedele alla linea”?

«Non sono mai stato fedele ad alcuna linea, se non a quella di cercare di capire il mondo con il massimo di onestà intellettuale, al netto dei miei peccati, dei miei limiti e delle mie debolezze. L’amicizia con il cardinale Martini è stato un grande dono della provvidenza. Il suo invito a suddividere le persone non fra credenti e non credenti, ma fra pensanti e non pensanti, mi ha spinto a utilizzare la libertà cristiana senza paura. Non eravamo sempre d’accordo.
Circa l’aborto, per esempio, arrivai a dirgli che, secondo me, da parte sua c’era un eccesso di giustificazionismo. Ricordo che quando gli chiesi di approfondire la questione del dialogo, mi consigliò di rileggermi l’Ecclesiam suam, dove Paolo VI chiede prima di tutto alla Chiesa di meditare su sé stessa. C’è una certa differenza con Bergoglio, che chiede alla Chiesa di uscire da sé stessa. Con Martini c’era un costante, rigoroso aggancio alla Scrittura. Non temeva di confrontarsi con le grandi questioni della modernità. Si poteva essere d’accordo o meno con lui, ma di certo non lo si poteva accusare di superficialità. Chi dice che Bergoglio sta realizzando l’idea di Chiesa di Martini probabilmente non conosce Martini, ma forse nemmeno Bergoglio».

(fonte: laverita.info)



[Modificato da Caterina63 07/01/2017 23:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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14/01/2017 17:19
 
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  ATTENZIONE: INTERVISTA IMPONENTE, IMPORTANTE E GRAVISSIMA DEL CARDINALE CAFFARRA

su i Dubia e la crisi nella Chiesa....


“Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra


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“La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne”. “Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

di Matteo Matzuzzi (14-01-2017)

Bologna – «Credo che vadano chiarite diverse cose. La lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento». Il cardinale Carlo Caffarrapremette questo, prima di iniziare la lunga conversazione con Il Foglio sull’ormai celebre lettera “dei quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti in relazione all’Amoris laetitìa, l’esortazione che ha tirato le somme del doppio Sinodo sulla famiglia e che tanto dibattito – non sempre con garbo ed eleganza – ha scatenato dentro e fuori le mura vaticane. «Eravamo consapevoli che il gesto che stavamo compiendo era molto serio. Le nostre preoccupazioni erano due. La prima era di non scandalizzare i piccoli nella fede. Per noi pastori questo è un dovere fondamentale. La seconda preoccupazione era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa. Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti».

Fatte queste premesse, Caffarra entra in materia. «Che cosa ci ha spinto a questo gesto? Una considerazione di carattere generale-strutturale e una di carattere contingente-congiunturale. Iniziamo dalla prima. Esiste per noi cardinali il dovere grave di consigliare il Papa nel governo della Chiesa. È un dovere, e i doveri obbligano. Di carattere più contingente, invece, vi è il fatto – che solo un cieco può negare – che nella Chiesa esiste una grande confusione, incertezza, insicurezza causate da alcuni paragrafi di Amoris laetitìa. In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi».

«questo è un fatto, innegabile, perché i fatti sono testardi, come diceva David Hume. La via di uscita da questo “conflitto di interpretazioni” era il ricorso ai criteri interpretativi teologici fondamentali, usando i quali penso che si possa ragionevolmente mostrare che Amoris laetitìa non contraddice Famìliaris consortio. Personalmente, in incontri pubblici con laici e sacerdoti ho sempre seguito questa via». Non è bastato, osserva l’arcivescovo emerito di Bologna. «Ci siamo resi conto che questo modello epistemologico non era sufficiente. Il contrasto tra queste due interpretazioni continuava. C’era un solo modo per venirne a capo: chiedere all’autore del testo interpretato in due maniere contraddittorie qual è l’interpretazione giusta. Non c’è altra via. Si poneva, di seguito, il problema del modo con cui rivolgersi al Pontefice. Abbiamo scelto una via molto tradizionale nella Chiesa, i cosiddetti dubia». Perché? «Perché si trattava di uno strumento che, nel caso in cui secondo il suo sovrano giudizio il Santo Padre avesse voluto rispondere, non lo impegnava in risposte elaborate e lunghe. Doveva solo rispondere “Sì” o “No”. E rimandare, come spesso i Papi hanno fatto, ai provati autori (in gergo: probati auctores) o chiedere alla Dottrina della fede di emanare una dichiarazione congiunta con cui spiegare il Sì o il No. Ci sembrava la via più semplice. L’altra questione che si poneva era se farlo in privato o in pubblico. Abbiamo ragionato e convenuto che sarebbe stata una mancanza di rispetto rendere tutto pubblico fin da subito. Così si è fatto in modo privato, e solo quando abbiamo avuto la certezza che il Santo Padre non avrebbe risposto, abbiamo deciso di pubblicare».

È questo uno dei punti su cui maggiormente s’è discusso, con relative polemiche assortite. Da ultimo, è stato il cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio, a giudicare sbagliata la pubblicazione della lettera. Caffarra spiega: «Abbiamo interpretato il silenzio come autorizzazione a proseguire il confronto teologico. E, inoltre, il problema coinvolge così profondamente sia il magistero dei vescovi (che, non dimentichiamolo, lo esercitano non per delega del Papa ma in forza del sacramento che hanno ricevuto) sia la vita dei fedeli. Gli uni e gli altri hanno diritto di sapere. Molti fedeli e sacerdoti dicevano “ma voi cardinali in una situazione come questa avete l’obbligo di intervenire presso il Santo Padre. Altrimenti per che cosa esistete se non aiutate il Papa in questioni così gravi?”. Cominciava a farsi strada lo scandalo di molti fedeli, quasi che noi ci comportassimo come i cani che non abbaiano di cui parla il Profeta. Questo è quanto sta dietro a quelle due pagine».

nxvfh7vckjlk_s4Eppure le critiche sono piovute, anche da confratelli vescovi o monsignori di curia: «Alcune persone continuano a dire che noi non siamo docili al magistero del Papa. È falso e calunnioso. Proprio perché non vogliamo essere indocili abbiamo scritto al Papa. Io posso essere docile al magistero del Papa se so cosa il Papa insegna in materia di fede e di vita cristiana. Ma il problema è esattamente questo: che su dei punti fondamentali non si capisce bene che cosa il Papa insegna, come dimostra il conflitto di interpretazioni fra vescovi. Noi vogliamo essere docili al magistero del Papa, però il magistero del Papa deve essere chiaro. Nessuno di noi – dice l’arcivescovo emerito di Bologna – ha voluto “obbligare” il Santo Padre a rispondere: nella lettera abbiamo parlato di sovrano giudizio. Semplicemente e rispettosamente abbiamo fatto domande. Non meritano infine attenzione le accuse di voler dividere la Chiesa. La divisione, già esistente nella Chiesa, è la causa della lettera, non il suo effetto. Cose invece indegne dentro la Chiesa sono, in un contesto come questo soprattutto, gli insulti e le minacce di sanzioni canoniche».

Nella premessa alla lettera si constata «un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa». In che cosa consistono, nello specifico, la confusione e lo smarrimento? Risponde Caffarra: «Ho ricevuto la lettera di un parroco che è una fotografia perfetta di ciò che sta accadendo. Mi scriveva: “Nella direzione spirituale e nella confessione non so più che cosa dire. Al penitente che mi dice: vivo a tutti gli effetti come marito con una donna che è divorziata e ora mi accosto all’Eucarestia, propongo un percorso, in ordine a correggere questa situazione. Ma il penitente mi ferma e risponde subito: guardi, padre, il Papa ha detto che posso ricevere l’eucaristia, senza il proposito di vivere in continenza. Io non ne posso più di questa situazione. La Chiesa mi può chiedere tutto, ma non di tradire la mia coscienza. E la mia coscienza fa obiezione a un supposto insegnamento pontificio di ammettere all’eucaristia, date certe circostanze, chi vive more uxorio senza essere sposato”. Così scriveva il parroco. La situazione di molti pastori d’anime, intendo soprattutto i parroci – osserva il cardinale – è questa: si ritrovano sulle spalle un peso che non sono in grado di portare. È a questo che penso quando parlo di grande smarrimento. E parlo dei parroci, ma molti fedeli restano ancor più smarriti. Stiamo parlando di questioni che non sono secondarie. Non si sta discutendo se il pesce rompe o non rompe l’astinenza. Si tratta di questioni gravissime per la vita della Chiesa e per la salvezza eterna dei fedeli. Non dimentichiamolo mai: questa è la legge suprema nella Chiesa, la salvezza eterna dei fedeli. Non altre preoccupazioni. Gesù ha fondato la sua Chiesa perché i fedeli abbiano la vita eterna, e l’abbiano in abbondanza».

La divisione cui si riferisce il cardinale Carlo Caffarra è originata innanzitutto dall’interpretazione dei paragrafi di Amoris laetitia che vanno dal numero 300 al 305. Per molti, compresi diversi vescovi, qui si trova la conferma di una svolta non solo pastorale bensì anche dottrinale. Altri, invece, che il tutto sia perfettamente inserito e in continuità con il magistero precedente. Come si esce da tale equivoco?

«Farei due premesse molto importanti. Pensare una prassi pastorale non fondata e radicata nella dottrina significa fondare e radicare la prassi pastorale sull’arbitrio. Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è una Chiesa più pastorale, ma è una Chiesa più ignorante. La Verità di cui noi parliamo non è una verità formale, ma una Verità che dona salvezza eterna: Veritas salutaris, in termini teologici. Mi spiego. Esiste una verità formale. Per esempio, voglio sapere se il fiume più lungo del mondo è il Rio delle Amazzoni o il Nilo. Risulta che è il Rio delle Amazzoni. Questa è una verità formale. Formale significa che questa conoscenza non ha nessuna relazione con il mio modo di essere libero. Anche se la risposta fosse stata il contrario, non sarebbe cambiato nulla sul mio modo di essere libero. Ma ci sono verità che io chiamo esistenziali. Se è vero – come Socrate aveva già insegnato – che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla, enuncio una verità che provoca la mia libertà ad agire in modo molto diverso che se fosse vero il contrario. Quando la Chiesa parla di verità – aggiunge – parla di verità del secondo tipo, la quale, se obbedita dalla libertà, genera la vera vita. Quando sento dire che è solo un cambiamento pastorale e non dottrinale, o si pensa che il comandamento che proibisce l’adulterio sia una legge puramente positiva che può essere cambiata (e penso che nessuna persona retta possa ritenere questo), oppure significa ammettere sì che il triangolo ha generalmente tre lati, ma che c’è la possibilità di costruirne uno con quattro lati. Cioè, dico una cosa assurda. Già i medievali, dopotutto, dicevano: theoria sine pratii, currus sine ati; pratis sine tìieoria, caecus in via».

La seconda premessa che l’arcivescovo di Bologna fa riguarda «il grande tema dell’evoluzione della dottrina, che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. E che sappiamo è stato ripreso in maniera splendida dal beato John Henry Newman. Se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione. Se io dico che s è p e poi dico che s non è p, la seconda proposizione non sviluppa la prima ma la contraddice. Già Aristotele aveva giustamente insegnato che enunciare una proposizione universale affermativa (e. g. ogni adulterio è ingiusto) e allo stesso tempo una proposizione particolare negativa avente lo stesso soggetto e predicato (e. g. qualche adulterio non è ingiusto), non si fa un’eccezione alla prima. La si contraddice. Alla fine, se volessi definire la logica della vita cristiana, userei l’espressione di Kierkegaard: “Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto”». Il problema, aggiunge il porporato, «è di vedere se i famosi paragrafi nn. 300-305 di Amoris laetitia e la famosa nota n. 351 sono o non sono in contraddizione con il magistero precedente dei Pontefici che hanno affrontato la stessa questione. Secondo molti vescovi, è in contraddizione. Secondo molti altri vescovi, non si tratta di contraddizione ma di uno sviluppo. Ed è per questo che abbiamo chiesto una risposta al Papa».

Si arriva così al punto più conteso e che tanto ha animato le discussioni sinodali: la possibilità di concedere ai divorziati e risposati civilmente il riaccostamento all’eucaristia. Cosa che non trova esplicitamente spazio in Amoris laetitia, ma che a giudizio di molti è un fatto implicito che rappresenta nulla di più se non un’evoluzione rispetto al n. 84 dell’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

03282012080753sacramentum-caritatis-copy«Il problema nel suo nodo è il seguente», argomenta Caffarra: «Il ministro dell’eucaristia (di solito il sacerdote) può dare l’eucaristia a una persona che vive more uxorio con una donna o con uomo che non è sua moglie o suo marito, e non intende vivere nella continenza? Le risposte sono solo due: Sì oppure No. Nessuno per altro mette in questione che Familiaris consortio, Sacramentum Caritatis, il Codice di diritto canonico, e il Catechismo della Chiesa cattolica alla domanda suddetta rispondano No. Un No valido finché il fedele non propone di abbandonare lo stato di convivenza more uxorio. Amoris laetitia ha insegnato che, date certe circostanze precise e fatto un certo percorso, il fedele potrebbe accostarsi all’eucaristia senza impegnarsi alla continenza? Ci sono vescovi che hanno insegnato che si può. Per una semplice questione di logica, si deve allora anche insegnare che l’adulterio non è in sé e per sé male. Non è pertinente appellarsi all’ignoranza o all’errore a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio: un fatto purtroppo molto diffuso. Questo appello ha un valore interpretativo, non orientativo. Deve essere usato come metodo per discernere l’imputabilità delle azioni già compiute, ma non può essere principio per le azioni da compiere. Il sacerdote – dice il cardinale – ha il dovere di illuminare l’ignorante e correggere l’errante».

«Ciò che invece Amoris laetitia ha portato di nuovo su tale questione, è il richiamo ai pastori d’anime di non accontentarsi di rispondere No (non accontentarsi però non significa rispondere Sì), ma di prendere per mano la persona e aiutarla a crescere fino al punto che essa capisca che si trova in una condizione tale da non poter ricevere l’eucaristia, se non cessa dalle intimità proprie degli sposi. Ma non è che il sacerdote possa dire “aiuto il suo cammino dandogli anche i sacramenti”. Ed è su questo che nella nota n. 351 il testo è ambiguo. Se io dico alla persona che non può avere rapporti sessuali con colui che non è suo marito o sua moglie, però per intanto, visto che fa tanto fatica, può averne… solo uno anziché tre alla settimana, non ha senso; e non uso misericordia verso questa persona. Perché per porre fine a un comportamento abituale – un habitus, direbbero i teologi – occorre che ci sia il deciso proposito di non compiere più nessun atto proprio di quel comportamento. Nel bene c’è un progresso, ma fra il lasciare il male e iniziare a compiere il bene, c’è una scelta istantanea, anche se lungamente preparata. Per un certo periodo Agostino pregava: “Signore, dammi la castità, ma non subito”».

A scorrere i dubia, pare di comprendere che in gioco, forse più di Familiaris consortio, ci sia Veritatis splendor. È così? «Sì», risponde Carlo Caffarra. «Qui è in questione ciò che insegna Veritatis splendor. Questa enciclica (6 agosto 1993) è un documento altamente dottrinale, nelle intenzioni del Papa san Giovanni Paolo II, al punto che – cosa eccezionale ormai nelle encicliche – è indirizzata solo ai vescovi in quanto responsabili della fede che si deve credere e vivere (cfr. n° 5). A essi, alla fine, il Papa raccomanda di essere vigilanti circa le dottrine condannate o insegnate dall’enciclica stessa. Le une perché non si diffondano nelle comunità cristiane, le altre perché siano insegnate (cfr. n° 116). Uno degli insegnamenti fondamentali del documento è che esistono atti i quali possono per sé stessi ed in se stessi, a prescindere dalle circostanze in cui sono compiuti e dallo scopo che l’agente si propone, essere qualificati disonesti. E aggiunge che negare questo fatto può comportare di negare senso al martirio (cfr. nn. 90-94). Ogni martire infatti – sottolinea l’arcivescovo emerito di Bologna – avrebbe potuto dire: “Ma io mi trovo in una circostanza… in tali situazioni per cui il dovere grave di professare la mia fede, o di affermare l’intangibilità di un bene morale, non mi obbliga più”. Si pensi alle difficoltà che la moglie di Tommaso Moro faceva a suo marito già condannato in prigione: “Hai doveri verso la famiglia, verso i figli”. Non è, quindi, solo un discorso di fede. Anche se uso la sola retta ragione, vedo che negando resistenza di atti intrinsecamente disonesti, nego che esista un confine oltre il quale i potenti di questo mondo non possono e non devono andare. Socrate è stato il primo in occidente a comprendere questo. La questione dunque è grave, e su questo non si possono lasciare incertezze. Per questo ci siamo permessi di chiedere al Papa di fare chiarezza, poiché ci sono vescovi che sembrano negare tale fatto, richiamandosi ad Amoris laetitia. L’adulterio infatti è sempre rientrato negli atti intrinsecamente cattivi. Basta leggere quanto dice Gesù al riguardo, san Paolo e i comandamenti dati a Mosè dal Signore».

Ma c’è ancora spazio, oggi, per gli atti cosiddetti “intrinsecamente cattivi”. O, forse, è tempo di guardare più all’altro lato della bilancia, al fatto che tutto, dinanzi a Dio, può essere perdonato? Attenzione, dice Caffarra: «Qui si fa una grande confusione. Tutti i peccati e le scelte intrinsecamente disoneste possono essere perdonate. Dunque “intrinsecamente disonesti” non significa “imperdonabili”. Gesù tuttavia non si accontenta di dire all’adultera: “Neanch’io ti condanno”. Le dice anche: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8,10). San Tommaso, ispirandosi a sant’Agostino, fa un commento bellissimo, quando scrive che “Avrebbe potuto dire: va’ e vivi come vuoi e sii certa del mio perdono. Nonostante tutti i tuoi peccati, io ti libererò dai tormenti dell’inferno. Ma il Signore che non ama la colpa e non favorisce il peccato, condanna la colpa… dicendo: e d’ora in poi non peccare più. Appare così quanto sia tenero il Signore nella sua misericordia e giusto nella sua Verità” (cfr. Comm. a Gv. 1139). Noi siamo veramente, non per modo di dire, liberi davanti al Signore. E quindi il Signore non ci butta dietro il suo perdono. Ci deve essere un mirabile e misterioso matrimonio tra l’infinita misericordia di Dio e la libertà dell’uomo, il quale deve convertirsi se vuole essere perdonato».

9788831508292_0_0_978_80Chiediamo al cardinale Caffarra se una certa confusione non derivi anche dalla convinzione, radicata pure tra tanti pastori, che la coscienza sia una facoltà per decidere autonomamente riguardo ciò che è bene e ciò che è male, e che in ultima istanza la parola decisiva spetti alla coscienza del singolo.

«Ritengo che questo sia il punto più importante di tutti», risponde. «È il luogo dove ci incontriamo e scontriamo con la colonna portante della modernità. Cominciamo col chiarire il linguaggio. La coscienza non decide, perché essa è un atto della ragione; la decisione è un atto della libertà, della volontà. La coscienza è un giudizio in cui il soggetto della proposizione che lo esprime è la scelta che sto per compiere o che ho già compiuto, e il predicato è la qualificazione morale della scelta. È dunque un giudizio, non una decisione. Naturalmente, ogni giudizio ragionevole si esercita alla luce di criteri, altrimenti non è un giudizio, ma qualcosa d’altro. Criterio è ciò in base a cui io affermo ciò che affermo e nego ciò che nego. A questo punto risulta particolarmente illuminante un passaggio del Trattato sulla coscienza morale del beato Rosmini: “C’è una luce che è nell’uomo e c’è una luce che è l’uomo. La luce che è nell’uomo è la legge di Verità e la grazia. La luce che è l’uomo è la retta coscienza, poiché l’uomo diventa luce quando partecipa alla luce della legge di Verità mediante la coscienza a quella luce confermata”. Ora, di fronte a questa concezione della coscienza morale si oppone la concezione che erige come tribunale inappellabile della bontà o malizia delle proprie scelte la propria soggettività. Qui, per me – dice il porporato – c’è lo scontro decisivo tra la visione della vita che è propria della Chiesa (perché è propria della Rivelazione divina) e la concezione della coscienza propria della modernità».

«Chi ha visto questo in maniera lucidissima – aggiunge – è stato il beato Newman. Nella famosa Lettera al duca di Norfolk, dice: “La coscienza è un vicario aborigeno del Cristo. Un profeta nelle sue informazioni, un monarca nei suoi ordini, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. Per il gran mondo della filosofia di oggi, queste parole non sono che verbosità vane e sterili, prive di un significato concreto. Al tempo nostro ferve una guerra accanita, direi quasi una specie di cospirazione contro i diritti della coscienza”. Più avanti aggiunge che “nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza”. Ecco perché fra i cinque dubia il dubbio numero cinque è il più importante. C’è un passaggio di Amoris laetitia, al n° 303, che non è chiaro; sembra – ripeto: sembra – ammettere la possibilità che ci sia un giudizio vero della coscienza (non invincibilmente erroneo; questo è sempre stato ammesso dalla Chiesa) in contraddizione con ciò che la Chiesa insegna come attinente al deposito della divina Rivelazione. Sembra. E perciò abbiamo posto il dubbio al Papa».

«Newman – ricorda Caffarra – dice che “se il Papa parlasse contro la coscienza presa nel vero significato della parola, commetterebbe un vero suicidio, si scaverebbe la fossa sotto i piedi”. Sono cose di una gravità sconvolgente. Si eleverebbe il giudizio privato a criterio ultimo della verità morale. Non dire mai a una persona: “Segui sempre la tua coscienza”, senza aggiungere sempre e subito: “Ama e cerca la verità circa il bene”. Gli metteresti nelle mani l’arma più distruttiva della sua umanità».

(Fonte: IlFoglio.it)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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18/01/2017 18:45
 
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Il dolore innocente e la risposta cristiana. Che c’è

Nell’udienza generale di mercoledì 4 gennaio, la prima del 2017, papa Francesco è tornato sulla questione del dolore innocente. Ne aveva già parlato nel dicembre scorso, durante il discorso rivolto alla comunità dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù, e di nuovo, come in quella occasione, rispetto al testo scritto ha voluto fare un’integrazione a braccio.

Il 15 dicembre 2015, improvvisando, Francesco disse: «Perché i bambini soffrono? Non c’è risposta. Soltanto guardare il Crocifisso, lasciare che sia Lui a darci la risposta».

E continuò con un  dialogo immaginario: «Tu potrai dirmi: “Ma lei, Padre, non ha studiato teologia?”». «Sì!». «E  ha letto libri su questo?». « Sì! E la risposta non c’è! Guarda il Crocifisso: soffre e piange, e questa è la nostra vita. Io non voglio vendere ricette che non servono, questa è la realtà: il pianto, il dolore come Gesù in croce. Piangere con lui, con lei, soltanto questo. Perché soffrono i bambini? Una delle domande aperte della nostra esistenza: non sappiamo. Dio è ingiusto? Eh sì! È stato ingiusto con  suo Figlio, lo ha mandato in croce! Eh, se seguiamo questa logica, dobbiamo dire questo? Ma è la nostra esistenza umana, è la nostra carne che soffre in quel bambino. E quando si soffre non si parla: si piange e si prega, in silenzio».

Molto simili le espressioni usate il 4 gennaio 2017, quando, dopo aver spiegato che «il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini», il papa di nuovo ha sentito il bisogno di un’integrazione a braccio. La seguente: «Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: “Mi dica, padre: perché soffrono i bambini?”, davvero io non so cosa rispondere. Soltanto dico: “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta”. Ma risposte di qua non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio, che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto».

Forse qualcuno ricorderà che a proposito del primo discorso, quello del 15 dicembre 2016, fece scalpore la frase sul «Dio ingiusto». Un’eresia, anzi una bestemmia, commentò qualcuno. In realtà, rileggendo l’integrazione pronunciata dal papa a braccio e nel suo italiano sempre un po’ immaginifico, ci si rende conto che Francesco ha sostenuto che Dio sarebbe «ingiusto» solo se seguiamo «questa logica», ovvero, sembra di capire, la logica terrena, esclusivamente umana. Se invece guardiamo al Crocifisso, non è così.

Ma il punto su cui vorrei puntare l’attenzione è un altro. Sia il 15 dicembre sia il 4 gennaio Francesco ribadisce con decisione che di fronte al dolore innocente «la risposta non c’è». Nel primo discorso lo dice chiaramente: «Non c’è risposta», «La risposta non c’è». E nel secondo aggiunge: «Davvero io non so cosa rispondere». In entrambi i discorsi il papa lascia intendere che uno può anche aver studiato teologia, può essere anche papa, ma una risposta non è possibile. L’unica cosa che si può fare è contemplare il Crocifisso.

Ora la domanda è: siamo sicuri che sia proprio così? È plausibile sostenere che per un credente la risposta non c’è? E il papa, in quanto papa, può dire «davvero io non so che cosa rispondere»?

In realtà, dottrina e tradizione ci dicono che, per un credente, la risposta c’è. Dio non ha creato il male e la sofferenza, che sono conseguenze del peccato. Ecco la risposta, sconvolgente per la mentalità secolarizzata, ma inequivocabile per la Chiesa: il peccato. Un peccato al quale Dio, però, non ci abbandona come a una condanna inevitabile. Il Padre, infatti, manda suo Figlio ad assumere su di sé tutti i peccati, per sconfiggere la morte. Un’altra risposta sconvolgente, anzi scandalosa, per la mentalità secolarizzata. Ma altrettanto inequivocabile.

I due misteri, quello del male e del dolore innescato dal peccato, e quello della redenzione permessa dal sacrificio del Figlio di Dio, sono strettamente connessi.  Come spiegò Giovanni Paolo II in un’udienza generale del 1986 (10 dicembre) «il mistero del male e del peccato, il “mysterium iniquitatis”, non può essere compreso senza riferimento al mistero della redenzione, al “mysterium paschale” di Gesù Cristo».  E nella «Salvifici doloris», la lettera apostolica dedicata proprio al senso cristiano della sofferenza, Giovanni Paolo II scrive: «La sofferenza deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio».

Dunque le risposte ci sono, e la Chiesa, anche di recente, le ha formulate con chiarezza. Certo, se non si fa riferimento al peccato, diventa impossibile cogliere il significato della sofferenza come richiamo alla conversione.

Il peccato, fin da quello di Adamo: ecco la risposta. Un peccato, il primigenio, che è stato di disobbedienza: l’uomo, la creatura, che pretende di fare la sua volontà e non quella del Creatore.

Si tratta di una verità che la Chiesa ha costantemente ribadito, come leggiamo nella «Gaudium et spes»: «Costituito da Dio   . . . l’uomo fin dagli inizi della storia abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio».

Ma l’uomo, Adamo, non ha fatto tutto da solo. È stato tentato da qualcuno. E da chi? Dal Maligno. Un’altra risposta inequivocabile. Perché, come si legge nel Libro della Sapienza (Sap 2, 24): «. . . la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono».

Le risposte ci sono, sono chiare. La Chiesa le possiede e le insegna da sempre.

Lungo i secoli, il problema del dolore innocente ha interpellato schiere di filosofi, teologi, scrittori, pensatori. La questione è quella alla quale gli atei fanno ricorso più volentieri per giustificare il loro non credere in Dio: se Dio c’è, ed è buono, come può permettere la sofferenza, sommamente ingiusta, dell’innocente?

Ecco, chi è senza risposte è appunto l’ateo. Ma il credente la risposta ce l’ha. Ed è una risposta che apre a infinite riflessioni. A partire da questa: il peccato fa irruzione nel mondo a opera di un solo uomo, Adamo, ma si riverbera sull’umanità intera. Allo stesso modo, il riscatto, la redenzione, è operata da un solo uomo, Gesù Cristo, ma va a beneficio di tutti. Non ce n’è abbastanza per interrogarci, in quanto credenti, sullo spessore della nostra responsabilità individuale nell’eterna battaglia tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male?

Sì, la Chiesa ha le risposte, e il suo insegnamento sorregge l’opera dei santi.

Il beato don Carlo Gnocchi, il prete che dedicò la vita ai bambini disabili, nel suo libro «Pedagogia del dolore innocente» dice che attraverso il dolore dei bimbi «si ha in mano la chiave per comprendere ogni dolore umano e consolare la pena di ogni uomo percosso ed umiliato dal dolore». Risposta alla luce della fede.

In questi casi penso sempre a quei genitori che hanno avuto figli gravemente disabili o hanno fatto l’esperienza della perdita di un figlio. Ne ho conosciuti alcuni che, dopo un primo momento di ribellione totale a Dio («perché mi hai fatto questo?»), hanno poi trovato la risposta proprio in Gesù. Ricordo in particolare una mamma che mi ha detto: «Per lungo tempo non ho capito, ma ora so che l’esperienza della malattia di mio figlio aveva ed ha un significato. Ho scoperto la solidarietà di altre persone, mi si sono aperti gli occhi su ciò che conta davvero, ho percepito la bontà disinteressata. Mio figlio non ha sofferto invano. La sua sofferenza ci ha toccato nel cuore e ci ha migliorati».

Certo, approdare alla risposta non è facile. Ma la risposta c’è. Ha un nome e un volto.

Sostenere che una risposta non c’è non è forse in aperta contraddizione con la fede di quanti, e sono tanti, l’hanno trovata proprio nel valore redentivo del dolore innocente unito alla passione di Cristo e nella partecipazione al mistero della Redenzione?

Mi scrive un amico prete: «Grazie alla Croce di Cristo, il dolore innocente non è un enigma senza risposte, ma un mistero in cui entrare con fede e speranza, alla luce della Pasqua. Il Signore non ha lasciato senza risposta lo scandalo di Pietro di fronte alla croce né la tristezza dei discepoli di Emmaus, ma spiegò loro  quello che in tutte le Scritture si riferiva a Lui e disse: ”Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26). Del resto Paolo, maestro di Luca, era convinto che la sofferenza, accolta nella fede, compie ciò che manca in noi dei patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)».

Dunque le risposte, alla luce della fede, ci sono. Difficili, difficilissime da accogliere per la ragione umana, ma ci sono. E, se ci sono, non andrebbero forse formulate dal pastore in modo che il gregge le possa meditare, accogliere e vivere? Il compito del pastore è quello di dire «non ho risposte» o è quello di confermare i fratelli nella fede?

Forse Francesco ha voluto dire: non ci sono risposte razionali, non ci sono risposte sul piano della sola ragione umana. Il problema è che lui ha detto: «Io non ho risposte» e «io non voglio vendere ricette che non servono» . Cioè: io prete, io padre gesuita, io vescovo e papa, non ho risposte.

Non solo. Ha anche detto che la Parola di Dio, in proposito, «può indicare qualche strada di consolazione». Ma, di nuovo, siamo sicuri che sia così? «Qualche strada di consolazione» non suona, per lo meno, riduttivo? La Parola di Dio non è forse Parola di Verità e di Vita? Gesù, con il suo sacrificio, non sconfigge forse la morte? E non siamo qui nel cuore stesso del mistero cristiano? La fede pasquale può essere ridotta a «qualche strada di consolazione»?

Ripeto: è probabile che Francesco abbia soltanto voluto mettersi dalla parte del senso comune, magari pensando di avvicinare, così, i lontani. Ma quanto è compatibile questo argomentare con il dovere di confermare i fratelli nella fede?

Il 29 maggio 1994, in un Angelus domenicale dai toni quasi mistici, san Giovanni Paolo II, reduce dal ricovero di un mese al Policlinico Gemelli per la frattura di un femore, parlò della sua sofferenza come di «un dono necessario», legato al mese mariano, e precisò: «Il Papa doveva trovarsi al Policlinico Gemelli, doveva essere assente da questa finestra per quattro settimane, quattro domeniche, doveva soffrire: come ha dovuto soffrire tredici anni fa, così anche quest’anno».

Il riferimento a tredici anni prima è ovviamente all’attentato del 13 maggio 1981. Poi papa Wojtyla spiega: «Ho meditato, ho ripensato di nuovo a tutto questo durante la mia degenza in ospedale. E ho trovato di nuovo accanto a me la grande figura del cardinale Wyszynski, primate della Polonia (del quale ricorreva ieri il tredicesimo anniversario della morte). Egli, all’inizio del mio pontificato, mi ha detto: “Se il Signore ti ha chiamato, tu devi introdurre la Chiesa nel terzo millennio”. Lui stesso ha introdotto la Chiesa in Polonia nel secondo millennio cristiano. Così mi disse il cardinale Wyszynski. E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo terzo millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. Perché adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c’è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie. Volevo aggiungere queste riflessioni nel mio primo incontro con voi, carissimi romani e pellegrini, alla fine di questo mese mariano, perché questo dono della sofferenza lo devo, e ne rendo grazie, alla Vergine Santissima. Capisco che era importante avere questo argomento davanti ai potenti del mondo. Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare. Con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza».

C’è da restare senza fiato davanti a questo papa che, meditando sul mistero del dolore, non solo trova la risposta nel «Vangelo superiore», ma addirittura ringrazia la Vergine per il dono della sofferenza e proclama che per lui diventerà argomento privilegiato nel confronto che dovrà sostenere con i potenti della terra (la cui logica, evidentemente, è ben diversa da quella evangelica) per difendere la famiglia.

Le risposte, dunque, alla luce della fede, ci sono. E che risposte!

Aldo Maria Valli





Quella lettera del Papa al cardinale Burke
di Riccardo Cascioli
02-02-2017

Il Papa con il card. Burke

Si tratta della lettera inviata dopo il colloquio personale che il cardinale Burke aveva avuto il 10 novembre con papa Francesco, a cui aveva spiegato la delicata situazione dell’Ordine riguardo alla posizione di Albrecht Boeselager, di cui raccontiamo nell’altro articolo. Questa lettera, resa nota anche a tutti i membri del Consiglio sovrano dell’Ordine, è stata fin qui usata come capo d’accusa (gravissimo) contro lo stesso cardinale Burke. 

Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, è infatti intervenuto dopo la destituzione di Boeselager per contestare al cardinale patrono di aver millantato il sostegno di papa Francesco al siluramento di Boeselager. Questa è stata anche la base per il successivo intervento di segreteria di Stato e Papa che hanno portato alla richiesta di dimissioni al Gran Maestro Matthew Festing e al commissariamento dell’Ordine. Burke in realtà ha sempre negato di essere stato l’ispiratore del siluramento o di avere usato in modo fraudolento le parole del Papa, ma la lettera in realtà ha toni ben meno concilianti di quelli pretesi dal cardinale Parolin.

Il Papa, dopo aver richiamato il cardinale Burke alla vigilanza «in esecuzione del suo compito di “promuovere gli interessi spirituali dell’Ordine e dei suoi membri ed i rapporti fra la Santa Sede e l’Ordine” (Carta Costituzionale, art. 4 par. 4)», afferma anzitutto che «si dovrà evitare che nell’Ordine si introducano manifestazioni di spirito mondano, come pure appartenenze ad associazioni, movimenti e organizzazioni contrari alla fede cattolica o di stampo relativista». Il riferimento è alla presunta infiltrazione della massoneria tra i Cavalieri di Malta che il Papa, in colloqui privati, ha evocato più volte. «Qualora ciò dovesse verificarsi – prosegue papa Francesco – si inviteranno i Cavalieri che eventualmente fossero membri di tali associazioni, movimenti ed organizzazioni a ritirare la loro adesione, essendo essa incompatibile con la fede cattolica e l’appartenenza all’Ordine».

Il secondo capitolo riguarda il problema della diffusione dei contraccettivi nei paesi poveri: «Andrà inoltre particolarmente curato – si legge nella lettera – che nelle iniziative e opere assistenziali dell’Ordine non vengano impiegati e diffusi metodi e mezzi contrari alla legge morale. Se in passato è sorto qualche problema in questo ambito, mi auguro che possa essere completamente risolto. Mi dispiacerebbe sinceramente, infatti, se alcuni alti Ufficiali – come Lei stesso mi ha riferito – pur sapendo di queste prassi, concernenti soprattutto la distribuzione di contraccettivi di qualsiasi tipo, non siano finora intervenuti per porvi fine».

Chiaro dunque l’obiettivo posto dal Papa. Ma come affrontare i responsabili dello scandalo? «Non dubito però – scrive papa Francesco – che, seguendo il principio paolino di “operare la verità nella carità” (Ef 4, 15), si riuscirà a entrare in dialogo con loro ed ottenere le necessarie rettifiche».

Un’indicazione chiara anche qui, ma soprattutto un auspicio. Cosa succede infatti se i responsabili non intendono risolvere il problema? Come abbiamo spiegato nell’articolo principale, infatti, non si tratta di un piccolo problema isolato ma di pratiche svolte almeno fino a tempi recentissimi e soprattutto condivise ideologicamente da responsabili come Boeselager che fino al 2014 è stato il diretto responsabile di questi progetti. Da tutte le ricostruzioni della vicenda appare chiaro che c’è stato il tentativo del Gran Maestro di richiamare Boeselager alle sue responsabilità, cosa che è stata rifiutata, spingendo allora il Gran Maestro alla destituzione di Boeselager e il Consiglio sovrano a eleggere il suo successore come Gran Cancelliere.

Come poi sono andate le cose è storia recente, ma leggendo le chiare indicazioni di papa Francesco, non ci si può non stupire che il risultato finale sia che il responsabile oggettivo dei progetti condannati dal Papa sia oggi stato riabilitato e risulti il vincitore mentre coloro che hanno cercato di seguire le indicazioni del Papa sono stati silurati, umiliati e sottoposti alla gogna mediatica.

La lettera conferma anche che tra il Papa e il suo segretario di Stato emergono posizioni diverse sul caso Ordine di Malta, con un cardinale Parolin decisissimo a sostenere Boeselager e il commissariamento vero e proprio dell’Ordine. Un fatto che desta qualche curiosità, aumentata da un altro dettaglio finora non comunicato. La Santa Sede ha infatti deciso l’annullamento e l’invalidità di tutti gli atti del Gran Maestro e del Consiglio Sovrano dal 6 dicembre scorso. In questo modo viene resa nulla la destituzione di Boeselager ma anche – e sta qui il dettaglio – la nomina di una commissione d’inchiesta interna voluta dal Gran Maestro per indagare sul misterioso lascito di 120 milioni, depositati in Svizzera, di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane e di cui il Gran Maestro era sostanzialmente all’oscuro. Informato (e interessato) pare invece lo fosse Boeselager. Ora questa commissione d’inchiesta non ci sarà più.

   


[Modificato da Caterina63 04/02/2017 21:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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19/01/2017 12:59
 
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  ECCO LA PROVA CHE I 4 CARDINALI HANNO RAGIONE E CHE PAPA FRANCESCO DEVE RISPONDERE PER CORREGGERE GLI ERRORI   Giovanni Paolo II e Benedetto XVI riportano, magistralmente I LIMITI DELL'AUTORITA' DEL PAPA 

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Non lo inventiamo noi, è tutto sancito, definito categoricamente dal magistero petrino nel solco della tradizione della Chiesa e di tutti i Pontefici, nel corso dei duemila anni di autentica pastorale per il bene degli uomini.

“Dio e il mondo” è il titolo del libro che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha scritto con il giornalista Peter Seewald. Del volume, frutto di un lungo colloquio tenuto nel febbraio 2000 nell’abbazia benedettina di Montecassino, portiamo questo imponente passaggio sul compito specifico del Pontefice:

PS – Molti considerano la Chiesa un apparato di potere.

JR – «Sì, ma si dovrebbe innanzitutto tenere conto che queste strutture devono esistere in funzione del servizio. Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

Provvidenziale e diremo anche profetico che l’allora cardinale Prefetto della difesa della vera Fede abbia usato, proprio come esempio, la difesa del vincolo del Matrimonio cristiano, il Sacramento del Matrimonio che – è evidente – era già minacciato da queste innovazioni che oggi, purtroppo, vengono invece imposte nella Chiesa sotto la falsa dottrina della prassi.

_07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-2Che cosa diceva Giovanni Paolo II in difesa della stessa Familiaris consortio, oggi volutamente abusata?

“Per questo sottolineavo il “dovere fondamentale” della Chiesa di “riaffermare con forza, ­ come hanno fatto i Padri del Sinodo, la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio”(n.20), anche al fine di dissipare l’ombra che, sul valore dell’indissolubilità del vincolo coniugale, sembrano gettare alcune opinioni scaturite nell’ambito della ricerca teologico – canonistica. Si tratta di tesi favorevoli al superamento dell’incompatibilità assoluta tra un matrimonio rato e consumato (cfr.CIC,can. 1061) e un nuovo matrimonio di uno dei coniugi, durante la vita dell’altro…”

E’ chiaro? E’ evidente allora che quanto espresso dai cardinali nei Dubia e soprattutto nell’ultima intervista del cardinale Caffarranon soltanto è loro lecito chiedere, ma dovere del Papa è dare una risposta chiara ed univoca.

Il Papa è infatti: “il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua..” Il servizio di cui tanto si parla e che a Papa Francesco piace tanto nella pratica simbolica della lavanda dei piedi, non è servire l’uomo per compiere la sua volontà, ma servire l’uomo per compiere la volontà di Dio che si esprime nei Suoi Decreti, Sacramenti e Comandamenti. E non ce lo inventiamo noi. Leggiamo quest’altro passaggio dal Discorso di Giovanni Paolo II sopra citato:

“Gli sposi cristiani, che hanno ricevuto “il dono del sacramento”, sono chiamati con la grazia di Dio a dare testimonianza “alla santa volontà del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”(Mt.19,6),ossia all’inestimabile valore dell’indissolubilità … matrimoniale” (FC,n.20). Per  questi  motivi – afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica – “la Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc.10,11-12…), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (n. 1650).”

Abbiamo letto bene? Giovanni Paolo II cita il Catechismo della Chiesa Cattolica – e non poteva essere diversamente – per frenare l’avanzata dei modernisti che pretendevano, e pretendono, di SANTIFICARE GLI ADULTERI, i matrimoni civili: “ la Chiesa… non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio”.

Ma da quella intervista con il cardinale Ratzinger, c’è un’altro passaggio interessante. Peter Seewald chiede al futuro Pontefice, Benedetto XVI, se nei Vangeli ci sono dei passi o episodi da cui ci si potrebbe congedare, in futuro, perché confutati da nuove teorie e nuove acquisizioni, perché magari reinterpretati dalle nuove teologie moderne… bella domanda! Ecco la risposta di Ratzinger:

 «NO! Forse emergeranno nuovi accenti nell’interpretazione dei testi. Ma ciò che dicono i Vangeli è stato fissato per iscritto a ridosso dello svolgimento dei fatti narrati e non può perciò essere rimesso in discussione da nuove acquisizioni contemporanee. La testimonianza che i Vangeli ci danno di Gesù Cristo (e di tutto il Suo insegnamento), rimane e conserva per sempre tutta la sua validità».

Ancora non basta? Leggiamo allora il monito di Giovanni Paolo II che descrive IL LIMITE DEL PONTEFICE. Con molta e vera umiltà il papa diceva “non possumus”, a riguardo proprio della superba presunzione di voler modificare la prassi dei Sacramenti:

L’odierno incontro con voi, membri del Tribunale della Rota Romana, è  un  contesto adeguato per parlare anche a tutta la Chiesa sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti del matrimonio rato e consumato, che “non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”. Questa formulazione del diritto canonico non è di natura  soltanto  disciplinare  o  prudenziale, ma corrisponde ad una verità dottrinale da sempre mantenuta nella Chiesa.

Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni, e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.”

“di fronte ai dubia”…. come direbbe ancora oggi Giovanni Paolo II, e come hanno chiesto i cardinali onesti, anche il suo Successore, Papa Francesco, ha L’OBBLIGO E IL DOVERE di rispondere che neppure lui ha il potere di trattare i Sacramenti con suo libero arbitrio! Giovanni Paolo II aveva già chiarito quali fossero le risposte da dare:

“Il  Romano  Pontefice, infatti, ha  la  “sacra potestas”  di insegnare  la  verità  del  Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente  la  Chiesa  in  nome  e  con  l’autorità  di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.

_07-papa-deve-rispondere-ai-dubia-3Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

Possiamo concludere che comprendiamo perfettamente come Papa Francesco sia stato messo “con le spalle al muro” dalla Lettera dei cardinali sui Dubia, ma come giustamente spiega Caffarra nell’intervista: “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne.. (..) Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

Il problema l’hanno creato coloro che hanno scritto il testo Amoris laetitia, e colui che l’ha firmato – il Papa – il quale firmando, ha approvato le loro aberrazioni. Un Papa come Francesco che continua a ripetere “anche io sono peccatore, tutti siamo peccatori… pregate per me, pregate per me…”, dovrebbe ora mettere in pratica ciò che dice a parole e fare un atto di grande umiltà riconoscendosi non peccatore astratto, ma di aver commesso uno sbaglio per essersi fidato di quelle persone alle quali ha dato mano libera per la composizione del testo post-sinodale.

O se proprio non arrivare a questo per proteggere la Sede Petrina da chi ne approfitterebbe per attaccarla, potrebbe semplicemente far proprie le parole di Giovanni Paolo II che dicono chiaramente: “è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche  se  essa  non  è  stata dichiarata  in  forma solenne mediante  un  atto  definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”

I termini SONO CATEGORICI a tal punto che la parola FINE la espresse Benedetto XVI nella Sacramentim Caritatis al n.29, mai citato da Papa Francesco, e dove dice:

Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr.Mc.10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.(…) È necessario, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale è l’amore per la verità..”

Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero…” (San Giovanni XXIII – Ad Petri Cathedram – 29.6.1959)

Laudetur Jesus Christus

QUI LA FONTE DELL'ARTICOLO



E IN GERMANIA SI PARLA DI SCISMA
 

Un editoriale del giornale dei vescovi "demolisce" le parole di Caffarra su dubia e AL e cita l'ormai celebre lettera del Papa. Che però è una missiva privata. La posta in gioco merita un atto di magistero più chiaro e preciso. Intanto in Germania Die Tagespost parla apertamente di scisma. 

di Lorenzo Bertocchi

L’intervista che il cardinale Carlo Caffarra ha concesso al quotidiano Il Foglio sui “dubia” presentati al Papa in merito ad Amoris laetitia, secondo il quotidiano dei vescovi italiani non è altro che un pretestuoso dibattere. La questione, infatti, scrive Luciano Moia su Avvenire, è già chiusa: tutto è chiaro nell’esortazione, e se proprio non lo fosse c’è sempre la lettera che il papa ha scritto ai vescovi argentini della regione di Buenos Aires. La comunione ai divorziati risposati more uxorio, in certi casi, non solo si può, ma si deve dare.

Inoltre, dice Moia, riprendendo un concetto già espresso in altre occasioni, l’esito di Amoris laetitia «non è un invenzione del Papa», ma il frutto di un lunghissimo cammino sinodale che ha coinvolto la Chiesa intera. Altri commentatori, come ad esempio il professor Andrea Grillo del Sant’Anselmo di Roma, attribuiscono all’arcivescovo emerito di Bologna una specie di senescente nostalgia per una chiesa che non è più. Caffarra, secondo Grillo, poggia le sue «deboli» argomentazioni «facendo ricorso in modo vistoso alle fragili teorie massimaliste che Veritatis Splendor (VS) ha introdotto avventatamente nel magistero ecclesiale». Quindi, per il teorico del “bene possibile” sembra che l’enciclica di san Giovanni Paolo II si possa tranquillamente discutere perché avventata, massimalista e vecchia, mentre l’esortazione Amoris laetitia, finalmente, rimette le cose a posto, aprendo praterie ad una teologia morale finalmente moderna e plurale. Si profila così un magistero à la carte, o in evoluzione darwiniana permanente continua.

Per tornare all’articolo di Avvenire, si prende atto che lo stesso Moia riconosce che l’interpretazione data ad Amoris laetitia non è la stessa in tutto l’orbe cattolico, sebbene giudichi come «prevalente» quella che ammette l’accesso ai sacramenti, in certi casi, per i divorziati risposati conviventi more uxorio. Non sappiamo se le cose stiano precisamente così, perché al netto di quelle dei vescovi argentini, e quelle recentissime dei vescovi di Malta, le indicazioni date nelle diocesi in giro per il mondo offrono un quadro abbastanza eterogeneo: in una diocesi l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati conviventi more uxorio viene ammesso, nell’altra no (se non impegnandosi a vivere in continenza), nell’altra ancora c’è un mix di “sì” e “no” per cui non vorremmo essere nei panni del sacerdote chiamato a discernere. Il commento di Caffarra, «solo un cieco può negare che nella Chiesa esiste una grande confusione», non sembra poi così pretestuoso come vorrebbe l’articolista di Avvenire.

L’altro argomento utilizzato da Moia per dire che il discorso è chiuso considera la lettera che il Papa ha inviato per approvare le linee guida dei vescovi di Buenos Aires. In quella lettera Francesco dice che il testo dei vescovi argentini è «molto buono, spiega completamente il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia. Non ci sono altre interpretazioni». Ma visto che la lettera inviata dal Papa ai vescovi argentini risulta essere una missiva privata, poi resa pubblica, ci si potrebbe chiedere se la posta in gioco possa meritare un atto di magistero più chiaro e preciso, per dipanare il proliferare di interpretazioni diverse che comunque restano. 

D’altra parte la citazione da parte di Moia del cardinale brasiliano Cláudio Hummes, a proposito del fatto che «quei cardinali sono in quattro, dall’altra parte c’è tutta la Chiesa», non è un gran servizio alla realtà della situazione. Limitandosi a un conteggio del vaticanista Sandro Magister, ci sono state una quindicina di prese di posizione pubbliche a favore dei “dubia” da parte di altri vescovi o cardinali (vedi QUI e QUI), senza contare che vi sono stati molti interventi da parte di laici cattolici e studiosi in varie parti del mondo. 

Tra l’altro anche l’andamento del doppio sinodo mostra che il cammino per arrivare all’approvazione dei paragrafi su questo tema dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati è stato accidentato, e il Papa ha dovuto decidere di tenere vivo l’argomento inserendo i testi dei paragrafi che non avevano ottenuto il necessario passaggio formale al termine del primo sinodo 2014. Se ciò non fosse stato fatto, contrariamente alla prassi usuale, questo argomento non sarebbe mai entrato nel documento di lavoro del sinodo dell’ottobre 2015 che ha portato alla Relatio finale, e quindi ad Amoris laetitia che ha ulteriormente implementato il testo con opportune note per aprire alla possibilità, in certi casi, dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati. 

Come dice Caffarra, «l’evoluzione della dottrina ha sempre accompagnato il pensiero cristiano.  [Ma] se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione». E sul punto in questione è innegabile che rispetto al magistero precedente (Familiaris consortio n°84, Sacramentum caritatis n°29, etc.) qualcosa da chiarire rimane. La domanda a cui sarebbe opportuno dare risposta è sempre la stessa: se è possibile far accedere all’eucaristia un divorziato risposato convivente more uxorio, allora si deve anche insegnare che l’adulterio non è in sé e per sé male?

Non si capisce perché secondo Avvenire questa sarebbe una domanda pretestuosa, visto che anche il quotidiano tedesco Die Tagespost in un recente editoriale (vedi QUI) ha parlato apertamente di una situazione talmente confusa che assomiglia sempre più ad un vero e proprio «scisma di fatto».





Monsignor Vincenzo Paglia
 

Era già tutto organizzato nei minimi dettagli, ma il seminario internazionale del 2 marzo per i trenta anni della Donum Vitae, è stato prima rinviato, e ora annullato.
È solo l’ultimo episodio che racconta dello smantellamento della Pontificia Accademia per la Vita come papa Giovanni Paolo II l'aveva voluta nel 1994 per rispondere all’attacco del mondo contro la vita e la dignità umana.
Sono bastati pochi mesi al nuovo presidente monsignor Vincenzo Paglia per imporre una svolta che snatura l’Accademia.


- COSA DICE LA DONUM VITAEdi T. Scandroglio

di Riccardo Cascioli

 

Emblematica questa ultima mossa. Il 22 febbraio prossimo ricorrono i trenta anni dalla promulgazione dell’Istruzione Donum Vitae, a cura della Congregazione per la Dottrina della Fede e approvata da papa Giovanni Paolo II (clicca qui per una breve spiegazione del documento). Sviluppo dell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae (1968) - aggiornata alle ultime scoperte scientifiche e alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia – e fondamento di successive encicliche, la Donum Vitae è una pietra miliare nella costruzione di quella “cultura della vita” a cui Giovanni Paolo II teneva moltissimo per contrastare quella che lui definiva “cultura della morte”, ormai maggioritaria in Occidente.

Quasi scontato che la Pontificia Accademia pro Vita volesse dedicare a questo documento un grande seminario. Era infatti in calendario per il 2 marzo, con il titolo “Technology and Human Generation”, con un programma già definito da tempo. Poi all’improvviso, prima di Natale, è stato rinviato prendendo a pretesto il «recente rinnovo dello Statuto dell’Accademia» e alcune non meglio specificate «questioni organizzative connesse» (l’avviso è ancora sul sito). 

Gli ottimisti pensavano che il rinvio seguisse quello dell’assemblea generale dell’Accademia, spostata a giugno per dare tempo di effettuare le nuove nomine. Era un’illusione, vero obiettivo era far saltare tutto, il tema e l’approccio pro-vita che caratterizzava il “workshop” non sono graditi alla nuova presidenza. 

Così, senza farlo sapere pubblicamente, il 13 gennaio scorso i moderatori delle varie sessioni del workshop si sono visti arrivare una lettera in cui il cancelliere dell’Accademia, monsignor Renzo Pegoraro, annuncia la definitiva cancellazione del seminario, con parole da cui si evince che il vero problema è che si preferisce evitare il tema. Dovendo giustificarsi, monsignor Pegoraro afferma infatti da una parte che la nomina dei nuovi membri dell’Accademia «richiederà un certo tempo»: «Saremo in grado di fissare il seminario solo dopo che il processo sarà portato a termine», dice. Ma poi ecco che arriva la vera spiegazione: «Analogamente, nel programmare un nuovo seminario dovremo considerare la nuova direzione e le nuove sfide dell’Accademia». 

In altre parole, scordatevi di concentrarvi ancora su fecondazione artificiale, maternità surrogata e cose di questo genere. La musica è cambiata e gli studi dell’Accademia sono destinati a mutare indirizzo. Monsignor Paglia infatti, ha più volte dimostrato di ritenere troppo stretti i vestiti del Magistero cattolico, ribadito sia nella Humanae Vitae sia nella Donum Vitae, a cui faranno riferimento anche l’enciclica Evangelium Vitae (1995) e l’Istruzione Dignitas Personae (2008). 

La conferma del rapporto essenziale e vincolante tra significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale è il fondamento che porta alla condanna della contraccezione da una parte e della fecondazione in vitro dall’altra. Pare che nel nuovo corso della Chiesa anche questi siano diventati muri da abbattere, tanto è vero che da presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Paglia ha chiamato a tenere lezioni e dettare le linee teologico-morali ai membri di quel Consiglio il teologo moralista milanese don Maurizio Chiodi, decisamente più liberal in materia. E si rischia di essere un po’ scontati nel prevedere che proprio don Chiodi sarà uno dei chiamati nella nuova Accademia per la Vita.

E infatti per poter cambiare musica più rapidamente, monsignor Paglia sta mettendo mano anche ai suonatori. Il nuovo Statuto dell’Accademia per la Vita, in vigore dal 1° gennaio scorso, prevede infatti un grande rimescolamento tra i membri ordinari: non più nomine a vita di esperti, basate su competenze scientifiche e accademiche oggettive coniugate alla sincera dedizione a favore della vita, bensì nomine di cinque anni eventualmente rinnovabili. La disposizione ha valore retroattivo, per cui si può già scommettere che nei prossimi mesi si assisterà al “pensionamento” di esperti totalmente in sintonia con la Donum Vitae (tanto per capirsi) e all’ingresso di nuovi membri decisi a superare la lezione di san Giovanni Paolo II. Non per niente il nuovo Statuto ha molto attenuato la necessità di una visione in sintonia con la dottrina della Chiesa per poter entrare nell’Accademia: per i membri ordinari è stata eliminata l’obbligatorietà della sottoscrizione della “Attestazione dei servitori della vita” e sparisce la Congregazione per la dottrina della fede come organismo vaticano di cooperazione con l’Accademia.

Per rendersi maggiormente conto della portata della svolta, bisogna ricordare che l’istruzione Donum Vitae, analogamente a quanto successo con la Humanae Vitae, ha provocato molte reazioni negative da parte di alcuni scienziati ed esperti cattolici già impegnati in ricerche sulle tecniche procreative, ritenute dalla dottrina della Chiesa moralmente illecite. Così ci sono stati anche diversi episodi di aperta ribellione, con Università e ospedali cattolici che hanno proseguito per la loro strada. La situazione era diventata tale che a quasi due anni dalla promulgazione della Donum Vitae, il 21 dicembre 1988 l’Osservatore Romano interviene con una nota (clicca qui)per ribadire che l’Istruzione in questione ha valore dottrinale perché «sulla dignità della persona, il valore della vita umana e la nobiltà dell’amore coniugale» propone un insegnamento che «appare assolutamente essenziale all’espletamento della missione salvifica della Chiesa».

Ora, con Paglia alla guida della Accademia è facile prevedere uno spostamento graduale verso le posizioni delle cliniche universitarie cattoliche ribelli. Uno spostamento che passa anche dalla relativizzazione del problema: è stato lo stesso monsignor Paglia a spiegare che la Pontificia Accademia per la Vita è chiamata ad allargare i propri orizzonti. Non si parlerà soprattutto dell’origine della vita, questione che stava a cuore a Giovanni Paolo II, ma di «tutto quel che concerne la persona umana, nelle diverse età della vita, nel rispetto tra generi e generazioni, nella difesa della persona umana, nella promozione della qualità della vita, che integri “il valore materiale e spirituale”». Si noti anche l’introduzione di una nuova terminologia, come quella di “generi”, decisamente più in linea con lo spirito del mondo.

Ad ogni modo è evidente che l’obiettivo è cancellare ogni traccia dell’insegnamento e dell’azione di san Giovanni Paolo II.

 

[Modificato da Caterina63 23/01/2017 14:01]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/02/2017 00:08
 
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  Abbiamo già segnalato prese diposizione di vescovi e presbiteri, molti dei quali stanno dando corso a una specie di gara a chi più si discosta dalla dottrina e pastorale cattolica.


Riportiamo oggi una lettera aperta di un giornalista non sempre attento al Magistero, Aldo Maria Valli, in quanto voce ex altera pars: cioè efficacissima testimonianza della crescente confusione e disorientamento provocato dalle aperture all'adulterio e al divorzio.
Le stesse perplessità sulla Amoris Laetitae sono state espresse, più profondamente, da Stanislaw Grygiel, amico di Karol Wojtila e già consigliere di San Giovanni Paolo II : http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/05/26/il-dramma-di-papa-francesco___1-v-142525-rubriche_c396.htm

 

Lettera agli amici
di Aldo Maria Valli, 29 maggio 2016

Un  giornalista non dovrebbe mai parlare di se stesso, se non altro per buon gusto. Faccio un’eccezione, e prometto che resterà tale, per rispondere ai tanti amici che hanno reagito ai miei ultimi articoli, nei quali non ho nascosto le perplessità circa Amoris laetitia e altre affermazioni di papa Francesco.

Amoris laetitia in un primo tempo mi è piaciuta. Ci ho visto lo sforzo sincero di calarsi nella realtà. Poi però, leggendo e rileggendo, ecco le perplessità e i dubbi. Riconducibili a una domanda che mi assilla: ma il paradigma della situazione, fatto proprio da Francesco quando suggerisce di procedere secondo la logica del caso per caso, non finisce per giustificare tutto? E, così facendo, non scivola nel relativismo? E non sarà forse per questo che Francesco è tanto applaudito da atei e laicisti, che scambiano la sua misericordia per un lasciapassare? Ecco perché ho scritto l’articolo nel quale esprimo tutte le mie perplessità su quella che ho definito la Chiesa del “ma anche”. Una Chiesa che, attraverso il paradigma della situazione contingente, alla fin fine risponde sì, ma anche no, no, ma anche sì, una Chiesa che cerca di tenere assieme ciò che assieme non può stare e che in questo modo non porta all’integrazione, ma alla confusione.

Scrivendo, avevo in mente tanti amici divorziati e risposati, così come tanti amici omosessuali, i quali, da credenti, mi hanno sempre detto di aspettare dal papa una parola sicura.

Da parte mia, nessuna “manovra”, nessun progetto di chissà quale natura, nessuna decisione di abbandonare un partito (ma quale?) per entrare in un altro (ma quale?). Solo la manifestazione sincera, e anche dolorosa, di un dubbio. Dolorosa perché voglio molto bene al papa. Ma è proprio perché gli voglio bene che lo prendo sul serio. Ed è proprio perché lo prendo sul serio che mi interrogo su quanto insegna. A partire dal concetto di misericordia, che Francesco ha messo al centro del suo magistero.

Vi dicevo di altre perplessità suscitate in me dalle parole del papa. Mi limito a due circostanze. La prima, quando, in un video dedicato al dialogo tra le religioni, Francesco ha sostenuto che “in questa moltitudine, in questa ampia gamma di religioni e assenza di religioni, vi è una sola certezza: siamo tutti figli di Dio”. La seconda, quando, nella chiesa luterana di Roma, con un lungo intervento a braccio, ha detto che la possibilità o meno di fare la comunione insieme (luterani e cattolici) “è un problema a cui ognuno deve rispondere”.

Come sarebbe a dire che la “sola certezza” è che siamo tutti figli di Dio? E il Vangelo di Gesù? Non è quella la nostra certezza? Mi chiedo: qui non siamo, di nuovo, di fronte a parole dal sapore relativista (e, in questo caso, anche sincretista)? E come sarebbe a dire che la comunione, cuore della vita cristiana, è un problema a cui ognuno deve rispondere? Non siamo qui, ancora, nel relativismo? Su una questione così importante non dovrebbe essere proprio il papa, il nostro pastore, a rispondere?

Alla luce di queste perplessità, ho riletto anche la famosa frase sul “chi sono io per giudicare?”, che all’inizio mi era apparsa molto evangelica, e pian piano è cresciuto dentro di me il dubbio: non c’è forse, anche lì, il germe del relativismo?

Lo ripeto: voglio bene al papa, molto bene. Per questo mi faccio tante domande che, fra l’altro, mi creano un sacco di problemi. Quanto sarebbe più comodo starsene tranquilli e ripetere, senza troppi pensieri, le parole che vanno per la maggiore, come misericordia, periferie, Chiesa in uscita, eccetera. Invece no: mi interrogo. Perché non mi sembra serio, oltre che ben poco cristiano, recepire tutto in modo fintamente neutro. Il buon Dio ci ha dotato di cuore e cervello, ed è contento se li usiamo.

Come molti di voi sanno, io sono un papà di sei figli. Un papà ormai un po’ attempato (e adesso anche nonno), ma che è ancora in servizio attivo (quattro le figlie che vivono con me e mia moglie Serena) e ancora, di conseguenza, si confronta ogni giorno con il problema delle risposte da dare ai figli su molteplici questioni: andare al mare in auto e fermarsi fino a tardi, dormire fuori con il fidanzato, stare a casa per evitare il compito in classe di latino, comprare o meno un vestito nuovo, cercare un appartamento per andare a vivere da sola…

Ora, mi chiedo e chiedo a voi: che padre sarei se alle mie figlie, di fronte alle mille domande che mi pongono, rispondessi: sì, ma anche no; no, ma anche sì, fate voi. Che padre sarei se rispondessi che dipende dalla situazione contingente? Se rispondessi così, non lascerei credere alle mie figlie che non esistono il bene e il male in quanto tali ma esiste solo l’esperienza individuale e quella è la misura di tutto? Che padre sarei se rispondessi che non è mio compito giudicare? Come potrei mantenere la mia credibilità se fossi un padre del “ma anche”? Che cosa significa, per un padre, essere misericordioso? Giudicare la realtà e dare risposte certe, attraverso rigorose argomentazioni, o affidarsi al paradigma della situazione?

Badate bene: io sono convinto che il relativismo sia nell’aria che respiriamo. Pertanto, tutti ci possiamo cadere, anche inavvertitamente. Ma proprio per questo motivo dobbiamo vigilare, prima di tutto nei confronti di noi stessi.

Cari amici miei, non so se sono riuscito a spiegarmi. Il discorso dovrebbe essere molto più lungo, ma credo di aver detto l’essenziale e non voglio annoiarvi.

Ringrazio tutti per l’attenzione che mi riservate: davvero non avrei mai immaginato di poter suscitare tante reazioni.

A chi poi paventa che, dietro le mie ultime uscite, ci sia una sorta di manovra per “lanciare” un nuovo libro, rispondo: magari potessi scrivere un nuovo libro su questi argomenti! Vorrebbe dire che avrei le idee chiare. E invece mi trovo a essere così pieno di dubbi, così turbato e perplesso.

Ma sursum corda!  E duc in altum!

Grazie a tutti. Aldo Maria Valli


La Chiesa e la logica del “ma anche”

Noi cristiani lo sappiamo, o dovremmo saperlo: la nostra fede è all’insegna dell’et et, non dell’aut aut. Non siamo esclusivisti. Dio è uno e trino. È Padre e Figlio e Spirito Santo. Gesù è Dio e uomo, vero Dio e vero uomo. Per il cristiano, l’uomo è carne e spirito, corpo e anima. Al cristiano piace integrare, includere, non ergere barriere. Con l’incarnazione Dio si è fatto uomo. La Chiesa stessa vive all’insegna dell’et et. È Chiesa di preghiera e di azione, di grandi asceti e grandi lavoratori, di contemplazione di missione. Ora et labora, non ora aut labora. La Chiesa ha i predicatori e i confessori, i monaci e le monache di clausura e i preti di strada. La Chiesa accoglie tutti: poveri e ricchi, colti e incolti, giovani vecchi.

Da qualche tempo però sembra di notare che alla logica dell’et et si stia sostituendo nella nostra Chiesa una logica diversa: quella del non solum, sed etiam, cioè del «non solo, ma anche». Potrebbe sembrare che, tutto sommato, non vi siano differenze, ma non è così.

Pensiamo ad Amoris laetitia, nella quale la logica del «ma anche» si trova un po’ ovunque. Dando vita spesso ad affermazioni singolari. Prendiamo per esempio il punto 308, dove si dice: «I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti». Dobbiamo dedurne che il modo più efficace per essere compassionevoli non è esattamente quello di proporre l’ideale pieno del Vangelo?Quanto poi alla vexata quaestio circa la comunione ai divorziati risposati, qual è la conclusione? Dopo aver letto e riletto il testo più e più volte, la risposta è: comunione sì, ma anche no. Oppure: comunione no, ma anche sì. Nel documento, in effetti, entrambe le conclusioni sono legittimate. A ciò conduce la logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione. Mi devo considerare un peccatore? Sì, ma anche no. No, ma anche sì. Dipende.

I sintomi della logica del «ma anche» emergono qua e là, in occasioni diverse, ma sono sempre più frequenti.

Vado in ordine sparso.

Primo esempio. Quando papa Francesco si è recato in visita alla chiesa luterana di Roma e gli è stato chiesto se un cattolico e un luterano possono partecipare alla comunione, Bergoglio, attraverso una lunga risposta a braccio, ha detto in sostanza: no, ma anche sì, bisogna vedere caso per caso, perché «è un problema a cui ognuno deve rispondere».

Secondo esempio. Quando, nella sala stampa vaticana, il cardinale Schönborn, commentando Amoris laetitia, ha detto che il divieto di fare la comunione, per i divorziati risposati, non è stato revocato, ma,  attraverso la via caritatis indicata da Francesco, «si può dare anche l’aiuto dei sacramenti in certi casi», in pratica ha detto:  no, ma anche sì; sì, ma anche no.

Terzo esempio. Quando Francesco, prendendo parte a un video sul dialogo interreligioso (nel quale appaiono un musulmano, un buddista, un ebreo e un prete cattolico) ha detto che le persone «trovano Dio in modi diversi» e «in questa moltitudine c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio», chi eventualmente volesse avere un’altra certezza di un certo spessore (qual è la vera fede?) potrebbe arrivare alla conclusione che è la nostra, ma anche quella degli altri.

Quarto esempio. Quando eminenti esponenti della curia romana ci dicono che la Chiesa, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, ha sì un  unico papa legittimo, però ha in effetti due successori di Pietro, entrambi viventi ed entrambi pienamente papi, si vede anche lì all’opera la logica del «ma anche»: abbiamo un papa, ma anche due. E se qualcuno, inopportunamente, sostenesse che non possono essere entrambi pienamente papi, la risposta sarebbe assicurata: perché no? Lo è l’uno, ma anche l’altro.

Mi fermo con gli esempi e vengo al dunque. Attenzione: i cattolici sono pluralisti e non amano l’uniformità. Fin dall’inizio le comunità cristiane nascono all’insegna dell’inculturazione della fede e dunque sono multiformi. Tanto è vero che ancora oggi abbiamo riti diversi. La Chiesa si incultura in Occidente e in Oriente, al Nord e al Sud, in ogni contesto. In quanto cattolica, è opportuno ripeterlo, si rivolge a tutti e tutti accoglie: non seleziona a priori su base di censo o di conoscenza. Altrimenti sarebbe settaria, non cattolica. E fin qui siamo in pieno nella logica dell’et et.

La logica del «ma anche» però è un’altra cosa. È la pretesa di tenere uniti gli opposti o comunque qualcosa che insieme non ci può stare, o ci può stare solo a prezzo di forzature. C’è una differenza profonda  tra la logica dell’et et e quella del «ma anche». Se l’et et unisce, il «ma anche» più che altro giustifica. Se l’et et rispetta la complessità e la riporta a unità, il «ma anche» cerca di superare la complessità attraverso qualche scorciatoia logica ed etica. Laddove l’et et unisce, il «ma anche» banalizza. Mentre l’et et punta alla verità, il «ma anche» si mette al servizio dell’utilità.

Qualcuno dirà: scusa tanto, ma che c’è poi di male nella Chiesa del «ma anche»? È così bello poter dire sì ma anche no, no ma anche sì. È umano. Noi siamo creature complesse, dunque perché andare alla ricerca di impossibili risposte nette e univoche? È tanto bello e buono non giudicare e prendere la realtà per quella che è, cioè complicata e contraddittoria. Perché dobbiamo sottoporre le persone a dure prove? Non è meglio smussare gli angoli e giustificare?

Ecco che cosa c’è di male: che la Chiesa del «ma anche» sposa esattamente la logica del mondo, non quella del Vangelo di Gesù. E infatti riceve gli applausi del mondo. Ma noi sappiamo che questo non è un buon segno. Il cristiano, quando è coerente, è perseguitato dal mondo, non applaudito.

D’altra parte, mentre suscita gli entusiasmi degli atei e dei laicisti, che vi trovano conferme e giustificazioni, la logica del «ma anche» lascia perplessi coloro che sono in cerca della fede. Chi cerca la Verità con la V maiuscola non vuole scorciatoie e parole ambivalenti. Ha desiderio di indicazioni di senso.

Lo scivolamento dalla logica dell’et et a quella del non solum, sed etiam avviene ogni giorno, in modo magari impercettibile, ma inesorabile. E coinvolge persone degnissime e buonissime, convinte in cuor loro di essere al servizio del Vangelo. Più che colpevoli, sono vittime. Perché la logica del «ma anche» è nell’aria che respiriamo.

Essere uomini e donne dell’et et significa non essere ambigui e non lasciare spazio alla confusione.  La logica dell’et et sfocia nell’inclusione, non nella confusione. Gesù, campione dell’et et e non dell’aut aut, ha raccomandato che il nostro parlare sia «sì sì, no no». La confusione e la doppiezza sono specialità del diavolo, che in questo modo persegue il suo obiettivo: separare.

Personalmente, proprio perché so che, come tutti, respiro ogni giorno aria impregnata dalla logica del «ma anche», per cercare di stare in guardia uso un semplice espediente: ogni volta che in un’argomentazione trovo sintomi di «ma anche», lascio che un campanello squilli nella testa e nel cuore. Lì, mi dico, c’è qualcosa che non va. Lì il soggettivismo è in agguato. E quando poi il soggettivismo, come il lupo della favola, si traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice con voce suadente «ma io, in coscienza…», il campanello suona ancora più forte. E mi viene in mente il cardinale Newman, per il quale la coscienza non era la scorciatoia verso l’etica della situazione, ma l’originario vicario di Cristo.

Sentiamo in proposito le cristalline parole di  Benedetto XVI (20 dicembre 2010): «Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che, in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza — religione e morale — una verità, “la” verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità, e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza, un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che, a passo a passo, si apriva a lui».

Il che spiega perché, nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, Newman scrisse che, nel caso avesse dovuto portare la religione in un brindisi, certamente avrebbe brindato per il papa, ma prima per la coscienza e poi per il papa. Ovvero: prima per la ricerca della verità, poi per l’autorità.

Ecco: coscienza è capacità di verità. Quando la coscienza del cristiano abbandona il sentiero stretto e impervio di questa ricerca e si incammina lungo i boulevard del «ma anche» (illuminati dai mass media e gratificanti, ma senza uscita), ho l’impressione che rischi fortemente di perdersi. E di finire dritta dritta nella tana del lupo.

Aldo Maria Valli


Un Papa violento?

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(di Roberto de Mattei

Contro l’evidenza c’è poco da argomentare. La mano tesa di papa Bergoglio nei confronti della Fraternità San Pio X è la stessa che si abbatte in questi giorni sull’Ordine di Malta e sui Francescani dell’Immacolata.

La vicenda dell’Ordine di Malta si è conclusa con la resa incondizionata del Gran Maestro e il ritorno del potere di Albrecht von Boeslager e del potente gruppo tedesco che egli rappresenta. 

La vicenda è stata riassunta in questi termini da Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola quotidiana: il responsabile della deriva morale dell’Ordine è stato riabilitato e chi ha cercato di fermarlo è stato mandato a casa .

Ciò è avvenuto in pieno dispregio per la sovranità dell’Ordine, come emerge dalla lettera del 25 gennaio, indirizzata ai membri del Sovrano Consiglio dal segretario di Stato Pietro Parolin a nome del Santo Padre, con cui la Santa Sede ha di fatto commissariato l’Ordine.

Sarebbe logico che gli oltre 100 Stati che mantengono rapporti diplomatici con l’Ordine di Malta ritirino i loro ambasciatori, dal momento che le relazioni possono essere direttamente intrattenute con il Vaticano, da cui ormai l’Ordine dipende in toto.

Il disprezzo che papa Francesco dimostra verso la legge si estende dal diritto internazionale al diritto civile italiano.

Un decreto emesso dalla Congregazione dei Religiosi con l’assenso del Papa, impone a padre Stefano Maria Manelli, superiore dei Francescani dell’Immacolata, di non comunicare con i mezzi di informazione, né apparire in pubblico; di non partecipare ad alcuna iniziativa o incontri di alcun genere; e soprattutto «di rimettere entro il limite di 15 giorni dalla consegna del presente decreto il patrimonio economico gestito dalle associazioni civili e ogni altra somma a sua disposizione nella piena disponibilità dei singoli istituti», cioè di devolvere alla Congregazione dei Religiosi beni patrimoniali di cui, come è stato confermato dal Tribunale del Riesame di Avellino, padre Manelli non dispone, perché essi appartengono ad associazioni legalmente riconosciute dallo Stato italiano.

«Nel 2017, nella Chiesa della Misericordia», commenta Marco Tosatti, «mancano i tratti di corda, e la maschera di ferro, e il catalogo è completo».

Come se non bastasse, mons. Ramon C. Arguelles, arcivescovo di Lipa nelle Filippine, è venuto a sapere delle sue dimissioni da un comunicato della Sala Stampa vaticana.

 Si ignorano le ragioni di tale provvedimento ma le si possono intuire: mons. Arguelles ha canonicamente riconosciuto un’associazione che raccoglie un gruppo di ex-seminaristi dei Francescani dell’Immacolata, che hanno abbandonato il loro ordine, per poter studiare e prepararsi al sacerdozio in piena libertà e indipendenza. Si tratta di una colpa, a quanto pare imperdonabile.

Sorge qui la domanda se papa Francesco non sia un Papa violento, intendendo bene il senso di questo termine. La violenza non è la forza esercitata in maniera cruenta, ma la forza applicata in maniera illegittima, in spregio al diritto, per raggiungere il proprio scopo.

Il desiderio di mons. Bernard Fellay di regolarizzare la posizione canonica della Fraternità San Pio X con un accordo che in nulla leda l’identità del suo istituto è certamente apprezzabile, ma viene da chiedersi: è opportuno mettersi sotto l’ombrello giuridico di Roma proprio nel momento in cui il diritto viene ignorato, o addirittura usato come mezzo per reprimere chi vuole restare fedele alla fede e alla morale cattolica?

 (di Roberto de Mattei)



[Modificato da Caterina63 03/02/2017 19:37]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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12/02/2017 08:51
 
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Valli: le mie domande al Papa di cronista e cristiano
di Tommaso Scandroglio12-02-2017
Aldo Maria Valli



Se Dio non è cattolico – parola di Papa Francesco riportata da Civiltà Cattolica – allora è perlomeno lecito dubitare che lo stesso papa non sia cattolico.

Con questo fulminante sillogismo prende l’abbrivio 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. (Edizioni Liberilibri), ultima fatica del vaticanista del Tg1 Aldo Maria Valli, agile libretto in cui il segno di interpunzione più ricorrente è il punto interrogativo. Una sterminata serie di punti interrogativi ad indicare – ci pare – più domande retoriche che dubbi sul pontificato di Francesco.

Due sono gli elementi di maggior interesse di questa inchiesta giornalistica. Innanzitutto l’esaustività dei temi trattati: la misericordia, la pastorale vs la dottrina, i principi non negoziabili, l’accesso alla comunione per i divorziati risposati, la nullità canonica del matrimonio, il Giubileo appena conclusosi, i due sinodi sulla famiglia, il “chi sono io per giudicare” (ormai vero e proprio topos teologico), l’omosessualità, il proselitismo, l’emigrazione, il rapporto con l’Islam, i protestanti e le chiese ortodosse, il Family Day, le conferenze stampa ad alta quota e il problema della comunicazione in Vaticano, la povertà evangelica e quella socialista, e molto molto altro ancora.

Il secondo aspetto pregevole di "266..." risiede nel fatto che Valli non si accontenta di fare l’inventario delle parole e gesti del Papa più problematici, ma  - confrontandoli con il Magistero di sempre – risale alle fonti teologiche e culturali che li hanno prodotti per arrivare a domandarsi se nello scafo della barca del successore di Pietro si siano aperte le falle del relativismo e del soggettivismo. Perché se fosse così tutti i cattolici ivi imbarcati starebbero peggio dei profughi di Lampedusa.

Un libro da consigliare soprattutto ai normalisti (copyright Mario Palmaro), cioè a tutti coloro i quali fanno spesso i carpiati doppi per tentare di ricondurre nell’alveo della sana dottrina alcune affermazioni del Santo Padre – ritenute da molti – disinvolte, sconnesse se non incongrue. La Nuova BQ l'ha intervistato

Perdoni la franchezza: a cosa serve un libro come il suo? E per analogia a cosa servono dubia e missive indirizzate al Papa per denunciare ambiguità o persino errori dottrinali del suo pontificato?

Un piccolo libro come il mio serve soprattutto a me stesso, e non sto scherzando. Serve a mettere in fila i fatti cercando il filo conduttore. Un cronista vive la quotidianità all’insegna della fretta. Ho quindi avvertito il bisogno di fare il punto della situazione individuando i motivi di una crescente inquietudine che ho avvertito in me stesso, come credente e come figlio della Chiesa, soprattutto dopo la lettura e la rilettura di Amoris laetitia. Il librino è stato accolto molto bene, siamo alla terza edizione, e ciò significa che evidentemente le mie perplessità sono condivise da molte persone. Anche su questo dato bisognerebbe interrogarsi. Quanto ai dubia, è preciso dovere, non solo diritto, dei cardinali, in quanto principali collaboratori del papa, esprimere con rispetto le proprie valutazioni quando in gioco ci sono la retta dottrina e il rischio che i fratelli non siano confermati nella fede, con grande pericolo per la salvezza delle anime. Il dibattito, in tutte le sue implicazioni, probabilmente sfugge a molti fedeli, ma certamente se i cardinali evitassero di porre certe questioni commetterebbero un peccato di omissione.

Esiste un fronte interno alla Chiesa fatto da laici preparati e alti prelati che la pensa come lei? È numeroso e soprattutto è capace di incidere efficacemente?

Sinceramente non lo so. Dai sacri palazzi non ho ricevuto reazioni o commenti. Sono numerosissimi invece i fedeli laici e i semplici preti che mi hanno scritto, dicendosi a loro volta perplessi e disorientati. Sono tutte persone innamorate di Gesù e della Chiesa. Persone che nella stragrande maggioranza dei casi non si pongono problemi di schieramento, ma desiderano soltanto che nella dottrina non ci siano zone d’ombra e che l’insegnamento della Chiesa non ceda, magari inconsapevolmente, alle linee di pensiero dominanti oggi nel mondo, ovvero un certo sincretismo, un diffuso relativismo, un sempre più marcato soggettivismo.

Il cattolico della domenica nutre le sue stesse riserve sull’operato di questo Papa?

Anche in questo caso non sarei onesto se rispondessi con un sì o un no. Non possiedo gli elementi per una valutazione accurata. Posso dire che quando vado in una parrocchia incontro sempre qualcuno che mi ringrazia per aver dato voce a dubbi e perplessità. In genere mi ringraziano anche per il tono che ho usato e per non essere diventato aggressivo. Ma incontro anche chi mi dice di non condividere le mie osservazioni critiche. Anche tra i lettori del mio blog rilevo le stesse reazioni, con una maggioranza di persone che mi ringrazia e una minoranza che invece esprime il suo disaccordo. Purtroppo c’è anche qualcuno che trascende, ma credo che sia inevitabile quando si usano i social media. In generale noto che nella comunità cattolica c’è un grande desiderio di Verità.    

Dalla lettura della sua inchiesta pare proprio che il fil rouge di questo pontificato sia una visione solo orizzontale della fede e della morale. Da qui i suoi rilievi in merito ad un certo pragmatismo, populismo, pauperismo e pastoralismo del Pontefice.

Nell’insegnamento di Francesco si trova di tutto, come si vede bene in Amoris laetitia, dove c’è la difesa del matrimonio cristiano, fondato sull’indissolubilità e sull’apertura alla vita, ma c’è pure l’idea che questo in fondo non sia che un ideale, forse un po’ troppo elevato e quindi, alla fine, non adatto alla realtà dei nostri tempi. Francesco può dunque essere citato da “destra” o da “sinistra” (uso queste categorie soltanto per semplicità) con la stessa efficacia. Il problema, a mio avviso, e che, sottesa all’intero magistero, c’è un’idea quanto meno semplificata della misericordia divina. Francesco tende a fare della misericordia un assoluto, sganciato dalla questione della giustizia. Dio è senz’altro un Padre misericordioso, ma non è possibile separare la misericordia dalla giustizia. Se lo facciamo, rischiamo di trasformare la misericordia in un dovere di Dio e l’ottenimento della misericordia in un diritto dell’uomo. Non è così. La misericordia è dono elargito a chi è disposto alla conversione, al pentimento, al riconoscimento del peccato. La misericordia, inoltre, non è il colpo di spugna di un padre che dimentica tutto. Se così fosse, sarebbe azzerato il principio della responsabilità personale e ci sarebbe uno svilimento della libertà. Dobbiamo sempre chiederci qual è il fine: un generico benessere psico-fisico o la salvezza dell’anima? Se non ci poniamo la questione della salvezza, rischiamo di mettere al centro l’uomo, non Dio.       

Vedo poi della superficialità soprattutto a proposito di tre argomenti: l’unità dei cristiani, l’accoglienza dei migranti, il dialogo con l’Islam. Circa l’unità dei cristiani, mi sembra che il papa rischi di fondare il confronto sul nulla quando chiede di tralasciare gli aspetti teologici per concentrarci sulle cose che i cristiani di diverse confessioni possono fare di comune accordo. La Chiesa non è un’agenzia assistenziale, o per lo meno non lo è in primo luogo. Se si riduce tutto all’azione sociale, senza precisare i fondamenti teologici, si rischia di annacquare la fede e di toglierle ogni fondamento. D’altra parte, senza un approfondimento teologico anche il dialogo resta un generico “volersi bene”. Non dobbiamo mai perdere di vista la questione fondamentale della Verità.

Circa l’accoglienza dei migranti, mi sembra che il papa sia troppo generico quando chiede di aprire le porte, senza tenere nel debito conto il problema della difesa dell’identità cristiana e, in particolare, europea. È vero che l’Europa è stata costruita con il contributo di diverse culture, ma è anche vero che non ci sarebbe Europa, come la conosciamo noi oggi, se non ci fosse stato il Cristianesimo e che l’Europa è quella che è oggi anche perché in alcuni frangenti ha saputo difendersi dall’Islam. Proprio per quanto riguarda il dialogo con l’Islam, credo che il papa sia superficiale quando afferma che gli estremismi ci sono in tutte le religioni. Questo è certamente vero, ma è altrettanto vero che l’Islam ha un particolare problema con la violenza, e le origini del problema stanno nel Corano. È un dato di fatto che non possiamo ignorare, e il modo migliore di aiutare i fratelli musulmani è di prenderne consapevolezza.   

Che fare con il caso Bergoglio, come lei l’ha definito? Denunciare e poi?

Non si tratta di denunciare. Si tratta di vivere da cristiani, a testa alta, utilizzando il grande dono della ragione aperta alla trascendenza e al sacro.

Leggiamo nella sfera di cristallo: il prossimo Papa quale scenario si troverà a gestire?

Non lo so. Temo che dopo l’era Francesco, a causa della necessità di rimettere ordine nella dottrina e nella pastorale, si possa arrivare a un pontificato di restaurazione. Ma non dobbiamo mai perdere la fiducia nello Spirito! 

Infine una curiosità. Il libro è stato edito oltre che dalla casa editrice Liberilibri dalla Libreria Editrice Vaticana. Qualcosa non ci torna. Ai piani alti sono così indulgenti verso di lei?

No, no, si tratta di un equivoco. Liberilibri ha chiesto il nullaosta alla Lev per la citazione dei brani del papa, come è tenuta a fare ogni casa editrice, ma non c’è alcuna compartecipazione della Lev nell’edizione del libro. 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  L’“effetto Francesco”




(di Fabio Cancelli)
Si era agli inizi del Pontificato del Papa latino-americano e sociologi, psicologi e operatori pastorali vari si affaccendavano a spiegare, statistiche alla mano, quello che si impose come «effetto Francesco». Cioè, si tentava di dimostrare che non solo il cambio di pontificato era completamente in continuità con quello di Benedetto XVI, ma che addirittura cresceva la domanda circa i sacramenti e la partecipazione alle Messe domenicali.

Si poteva star sereni perché la Chiesa andava a gonfie vele. Non sappiamo quanto gonfie fossero già allora quelle vele, ma sta di fatto che quel cosiddetto «effetto Francesco» finì presto col significare tutt’altro. Gli analisti della prima ora ci dicevano che Francesco era un gesuita conservatore e che nella sua Argentina peronista aveva alzato più volte la voce per domare sentimenti e aperture da teologia della liberazione. Fu certamente anche così, ma sicuramente non per dire che la teologia della liberazione fosse intrinsecamente sbagliata e fuorviante, ma per riportare quegli sconsiderati gesuiti ribelli a un pensiero più moderato, meno progressista.

Per Francesco, infatti, esistono due teologie della liberazione, una buona e una cattiva. Quella cattiva sarebbe l’applicazione del marxismo alla teologia, che finisce inesorabilmente nel conflitto armato e nella lotta di classe; quella buona, invece, una genuina “teologia del popolo”, che prende quanto di meglio vi è dalla teologia della liberazione, per esprimere il desiderio di stare dalla parte dei deboli e di lottare con loro, contro ogni forma di schiavitù e di predominio.

Nella sua ultima intervista a El País, proprio questo Francesco ha dichiarato a proposito della teologia della liberazione: «È stata una cosa positiva in America Latina. È stata condannata dal Vaticano la parte che ha optato per l’analisi marxista della realtà». Quanto a dire, le intenzioni erano buone ma poi le applicazioni, spesso o meglio sempre, sono scadute nell’ideologia comunista. È tipico del personaggio dare un giudizio separando le buone intenzioni dai risultati, così che la realtà appare non in bianco o nero, ma con tante sfumature di grigio.

Un altro esempio, è il giudizio che Francesco dà della Rivoluzione luterana. Lutero, a suo parere, non voleva dividere la Chiesa ma riformarne i costumi. Così anche in ambito ecumenico, saremmo già uniti idealmente a tutti i seguaci della Riforma, perché insieme ci sforziamo di camminare verso il traguardo dell’unità, anche se bisogna ancora risolvere qualche problemino riguardante la dottrina, che meglio si direbbe teoria cristiana. Così egli separa abilmente le buone intenzioni dei Riformatori, di allora e di oggi, dai risultati e dalle divisioni avutesi. Queste sono – quasi sempre – un disastro, ma quelle erano buone.

Questa teologia delle buone intenzioni permette a Francesco di stare in mezzo, per così dire, tra il bianco e il nero: si apprezza Lutero e si criticano le divisioni. Ma è questa la verità? Un Lutero tradito? Una teologia della liberazione tradita? No, il vero problema è che una realtà non si giudica dalle intenzioni, ma dai fatti. Non bastano le intenzioni, per quanto buone e belle, a darci la verità su un evento o per giudicare la moralità di una situazione.

Altrimenti si arriva ad un altro impiccio gravissimo: tra il bianco del sacramento del matrimonio e il nero del divorzio, c’è l’etica della situazione, che permette, in determinate circostanze e dopo un lungo discernimento, di scegliere il grigio, cioè di accostarsi alla Comunione. Così sembra di stare in mezzo, di non apparire né conservatori né progressisti riguardo alla teoria della fede. Di stare con il popolo, di essere dalla parte dei poveri. Con i reietti esclusi dalla gerarchia: i divorziati risposati. Purtroppo però le buone intenzioni non salvano nessuno. Anzi, di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno.

Presto l’«effetto Francesco» ha incalzato i credenti, che sempre più smarriti si chiedono cosa veramente sta succedendo nella Chiesa. Alla tentazione continuista di dire che tutto ciò che dice e fa Francesco proviene dallo Spirito Santo, si accompagna anche quella del sedevacantismo, una risposta che sembra la più convincente nello smarrimento presente. Se il ministero petrino è la roccia salda su cui Cristo ha stabilito la sua Chiesa, perché in questo Papa la roccia si è sgretolata? Due sembrano essere le soluzioni: o Pietro è la roccia e conferma nella verità i suoi fratelli, o, visto che tra una sfumatura e l’altra favorisce dottrine eretiche, questo Papa non è Pietro. O, in modo più soft, non è validamente eletto (anche se questo è tutto da provare, con testimonianze di dominio pubblico).

La conclusione è che o Benedetto XVI è ancora il Papa regnante ma a riposo, o la sede è del tutto vacante, in attesa che qualcuno si accomodi. In realtà il problema è più sottile, perché, secondo la teologia. è possibile che un Papa validamente eletto cada in errore e perfino in eresia. La tesi di scuola di un Papa eretico, oggi sembra non essere più un’ipotesi di lavoro. Ad ogni buon modo, il diventare eretico di un Papa non contraddice la sua infallibilità, perché ovviamente lo diventerebbe non ex cathedra – sarebbe una contraddizione in termini – ma solo quando, appunto, rifiutando il suo carisma petrino di confermare infallibilmente i suoi fratelli nella fede, si barcamena come privato maestro in sentieri pericolosi e modernisti.

Qui il Papa si toglierebbe l’anello del Pescatore e indosserebbe il suo sombrero. E se confermasse esplicitamente l’eresia, non sarebbe più papa, ipso facto. Sedevacantismo a parte, questo Papa ha sgretolato tante certezze. Quella certezza che Pietro fosse sempre la Pietra della Chiesa e che l’eresia fosse solo un caso di scuola, è oggi drammaticamente venuta meno.

Un «effetto Francesco» c’è, è indubitabile, ma cosa vorrà insegnare ai cattolici, ora smarriti proprio a causa del Papa? Francesco, se si vuole vedere la realtà nella sua crudezza, appare come un castigo per la Chiesa. Ma come si sa, Dio castiga non per perdere ma per correggere, per insegnarci qualcosa che avevamo dimenticato. E allora proprio in questa logica della divina Provvidenza, che guida sempre la Chiesa e ogni fedele alla salvezza eterna, dobbiamo imparare a leggere in modo sapiente questo cosiddetto effetto.

Proviamo a pensare a quel pane che si nasconde sotto la neve, a quel richiamo amoroso e paterno che accompagna le percosse giuste e misericordiose di Dio. Assistendo giornalmente allo sgretolarsi della roccia di Pietro, possiamo imparare in modo nuovo e più convinto di prima perché Gesù ha istituito il Papato. Non per ragioni di potere, non per fini politici e ideologicamente militanti, ma per un semplice motivo: confermare i suoi fratelli nella fede.

Dopo anni di contestazione liberale e radicale del Papato, dopo tentativi ecumenici di ridisegnare il ministero del successore di Pietro, ora, in realtà, capiamo che staccarsi dalle parole di Gesù non provoca un balzo in avanti, ma un affossamento. La Chiesa è semplicemente il corpo mistico del Signore, il suo unico corpo salvifico. Pietro è per la Chiesa e non la Chiesa per Pietro. Dovevamo finalmente capire che la Chiesa è più grande di Pietro, lo precede nella sua istituzione, al servizio della quale Gesù ha voluto uno che lo rappresentasse. Ma se Pietro venisse meno al suo compito, non viene meno la Chiesa: il suo Sposo vigila perché il suo talamo rimanga inviolato. Sì, diciamolo a tutti i denigratori del Papato, di ieri e di oggi: Pietro è il servo della Chiesa e non la Chiesa serva di Pietro, e attraverso di lui serva delle ideologie del momento, assoggettata a tutti i venti di dottrine e alle mode passeggere.

Dobbiamo anche imparare che il Papa non ha un potere illimitato e autocratico. Il suo “potere” è un munus, un servizio alla verità del Vangelo, mediante l’obbedienza alla verità. Il Papa è sì al di sopra della legge, ma mai contro la legge. È al di sopra in qualità di supremo legislatore, ma non in qualità di giudice arbitrario. Il Papa è al di sopra della legge emanata in quanto la può modificare, ma il suo stesso ministero petrino è legiferato dai canoni e viene non da sé stesso ma da Cristo. «Prima sede a nemine iudicatur» vuole semplicemente esprimere che la Sede di Pietro è vicaria sulla terra della primazia di Cristo.

Se per motivi altri, Pietro si distanzia dalla primazia di verità di Cristo, la sua Sede è più sedia che santa. Il potere di Pietro, che è servizio e non arbitrio, è istituito da Cristo nel “ministero petrino” e si consolida con la fedeltà di Pietro al suo mandato di Roccia della fede. Il potere di Pietro perciò non è di natura politica, da consolidare con i consensi popolari. Francesco, avendo messo da parte il suo munus specifico di Pontefice, sembra che voglia farsi “portare” non dal diritto ma dal popolo.

Probabilmente per quella teologia della liberazione o del popolo che dir si voglia. In modo molto interessante, padre Spadaro, commentando la recente Pasquinata di Roma, diceva che il tentativo nascosto era di staccare Francesco dalla gente. Che Francesco voglia imporsi come leader mondialista è indubitabile. Il popolo però, la plebs sancta, dimostra di essere refrattario a chi, usando il suo potere e la sua immagine di Papa, pretende di giudicare la Chiesa. La migliore risposta che questo popolo darà a Francesco è riscoprire la mano dolce di Dio che percuote la Chiesa. La Chiesa ha bisogno del Papa. Ma soprattutto il Papa ha bisogno della Chiesa.

(Fabio Cancelli)

CHIESA
Il cardinale Burke
 

L'invio (non si sa per quanto tempo) del cardinale Burke in Micronesia per gestire un caso di pedofilia; la rapida sostituzione di monsignor Negri alla guida dell'arcidiocesi di Ferrara con un monsignor Perego dipinto come il suo opposto. Le scelte di Roma sono un messaggio ben preciso.

di Riccardo Cascioli

Il cardinale Raymond Burke spedito nell’isola di Guam, monsignor Luigi Negri a casa per limiti di età ma sostituito da un monsignor Giancarlo Perego che viene da tutti descritto come il suo opposto.

Decisioni di routine, scelte annunciate, coincidenze: tutto quel che si vuole, ma con l’aria che tira a Roma e con quanto sta avvenendo nella Chiesa, non sorprende certo che sui giornali online e sui social sia stata accreditata una interpretazione “punitiva” delle ultime decisioni.

Prendiamo il cardinale Burke: dopo essere stato silurato due anni fa dalla carica di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, è stato appena esautorato dal suo ruolo di cardinale patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, per i ben noti eventi. Formalmente riveste ancora quel ruolo, ma nei fatti è stato sostituito da monsignor Angelo Becciu, numero 2 della segreteria di Stato, che il Papa ha nominato Delegato pontificio per riportare sotto controllo l’Ordine di Malta. Burke è l’unico “non pensionato” dei cardinali che hanno presentato i Dubia a papa Francesco sull’Amoris Laetitia, e – vista la durissima campagna stampa che è stata montata contro di lui - nei giorni scorsi ci si chiedeva quale sarebbe stata la sua sorte. Ieri una prima, parziale, risposta. 

Burke è già nella piccola isola della Micronesia, a oltre 12mila chilometri da Roma, famosa solo per ospitare un’importante base aeronavale statunitense. Qui deve raccogliere la deposizione di un ex chierichetto che ha denunciato per molestie l’ex arcivescovo di Guam, Anthony Apuron. Se poi debba istituire e seguire in loco il processo o tornare a Roma in tempi brevi non è dato sapere. Inoltre, formalmente la decisione dell’invio a Guam dipende dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ma a nessuno sfugge il forte potere simbolico di questa “missione”: un altro prelato sgradito a papa Francesco viene allontanato da Roma, monito per tanti altri.

Monsignor Luigi NegriMessaggio analogo a quello passato per la sostituzione alla guida dell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio. Monsignor Negri aveva compiuto i canonici 75 anni lo scorso 26 novembre. Non sono neanche passati tre mesi ed è già pronto il suo sostituto, monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, l'organismo della CEI che si occupa di immigrati. 

A nessuno è sfuggita la rapidità con cui il Papa ha “sistemato” l’arcidiocesi di Ferrara, rapidità che colpisce solo i vescovi non perfettamente allineati; una rapidità sorprendente soprattutto se messa a confronto con la calma con cui si provvede ad altre diocesi (ad Ancona il cardinale Menichelli è già nel terzo anno di proroga, ed è solo un esempio). E anche la persona che succederà a monsignor Negri il prossimo 4 giugno, sembra sia stata scelta apposta per contrapporgli un modello ben diverso di Chiesa: una Chiesa che non vuole conflitti con il mondo, che si occupa soprattutto del sociale, dei poveri e degli immigrati; una Chiesa il cui unico nemico sembra essere chi mostra perplessità sull’accoglienza senza se e senza ma agli immigrati.

Ieri, rivolgendosi alla città, monsignor Negri non ha ovviamente fatto alcun cenno polemico (ha anzi dato un caldo benvenuto al suo successore) ma ha ricordato il senso del cammino di questi quattro anni: amare e confermare la fede del «popolo che mi è stato affidato», nella granitica certezza che «la fede è l’unica vera grande risorsa che rende positiva la vita». Una fede che sa cogliere e accogliere l’umanità che incontra, come ci ricordano le toccanti parole pronunciate da monsignor Negri a commento del recente tragico delitto di Pontelangorino quando un adolescente, con l’aiuto del suo amichetto, ha ucciso i propri genitori. E ancora l’arcivescovo uscente ha ricordato come la Chiesa si edifica attorno alla presenza reale di Cristo nell’Eucarestia. E anche qui, le parole ci richiamano un’altra decisione recente di monsignor Negri, quando ha chiesto che si celebrassero messe di riparazione in tutta la diocesi dopo un furto sacrilego di ostie consacrate.

Non è comunque una Chiesa chiusa o arroccata quella di cui parla monsignor Negri, tutt’altro: è una Chiesa che deve incontrare ed evangelizzare, consapevole di essere immersa in «una società senza Dio e contro Dio», e che proprio per questo mostra il suo «volto diabolico». Parole queste che a Ferrara probabilmente non si risentiranno molto presto.  

   

“Macché punizione del Papa! Guam non è un confino”. Intervista al Card. Raymond Leo Burke

 
Stanze Vaticane - Tgcom24 intervista il card. Burke.

Il cardinale Raymond Leo Burke è il Patrono dell’Ordine di Malta. Da qualche giorno il porporato americano, 68 anni, considerato da molti un oppositore di Papa Francesco per via delle sue posizioni tradizionali, è stato inviato a 12.000 km da Roma, sull’Isola di Guam per indagare su un caso di pedofilia risalente agli anni 70.
Secondo alcuni si tratta di una punizione del Pontefice nei confronti del cardinale, ma a quanto risulta a Stanze Vaticane – Tgcom24, il Papa è stato informato dell’incarico affidato al card. Burke dalla Congregazione per la Dottrina della Fede soltanto a cose fatte, quando il porporato era già sull’isola del Pacifico.

Cardinale Burke come nasce questa missione sull’Isola di Guam?

La missione è nata per una richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede che io servo quale preside del suo Tribunale Apostolico. Dovrò trattare una delicata causa ecclesiastica penale.
 
 
Perché è stato scelto lei?
Il Papa ha affidato la causa alla Congregazione, e la Congregazione ha proceduto secondo la giusta procedura a formare i membri del Tribunale. In ogni caso, penso di esser stato scelto in base ai miei studi di diritto canonico e la mia lunga esperienza con i processi ecclesiastici.

Quindi non è stato il Papa a chiederle di andare?
Il Papa non ha mai parlato con me di questo compito. Ho comunicato esclusivamente con i superiori della Congregazione per la Dottrina della Fede che è la procedura usuale in questi casi.

Quanto durerà questo incarico sull’Isola di Guam?
La parte della mia missione che si deve svolgere a Guam sarà prossimamente completata. Quanto tempo ci vuole per completare tutta l’istruzione della causa non è chiaro, ma spero di poter finire il lavoro prima dell’estate.

In tanti hanno detto che si tratta di una “punizione” del Papa perché lei è un oppositore. È così?
No, non vedo questa missione come una punizione del Papa e certamente non la sto vivendo come una punizione! È normale per un Cardinale, secondo la sua preparazione e disponibilità, di ricevere speciali incarichi per il bene della Chiesa. Non sono stato sorpreso dalla richiesta della Congregazione per la Dottrina della Fede e ho accettato, conscio della grave responsabilità che comport‎ava, ma senza nessun pensiero di altre motivazioni da parte di Papa Francesco o dalla Congregazione.
Fabio Marchese Ragona





[Modificato da Caterina63 19/02/2017 14:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/02/2017 20:29
 
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Settimo Cielodi Sandro Magister

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Rivisitazioni. Dodici anni fa Bergoglio non aveva i dubbi di oggi

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*

Dei cinque "dubia" sottoposti a papa Francesco e resi pubblici da quattro cardinali riguardanti la retta interpretazione di "Amoris laetitia", tre fanno riferimento a un precedente documento papale, l'enciclica di Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" del 1993. E chiedono se continuano a valere tre verità di fede riaffermate con forza da quell'enciclica.

Nel dubbio numero due è questa la verità di cui i cardinali chiedono conferma:

- l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi (Veritatis splendor, 79).

Nel dubbio numero quattro è quest'altra la verità su cui chiedono lumi:

- l'impossibilità che "le circostanze o le intenzioni" trasformino "un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta" (Veritatis splendor, 81).

E infine, nel dubbio numero cinque è quest'altra ancora la verità su cui attendono un chiarimento:

- la certezza che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto (Veritatis splendor, 56).

A nessuno di questi "dubia" Jorge Mario Bergoglio ha finora dato risposta. Ma se tornasse indietro nel tempo, a quando era arcivescovo di Buenos Aires, le risposte le darebbe. Sicure e rassicuranti.

Nell'ottobre del 2004 si tenne a Buenos Aires, in occasione dell’inaugurazione della Cátedra Juan Pablo II presso la Pontificia Universidad Católica Argentina, un congresso teologico internazionale di approfondimento proprio della "Veritatis splendor".

Attenzione. La "Veritatis splendor" non è un'enciclica minore. Nel marzo del 2014, in uno dei suoi rari e meditatissimi scritti da papa emerito, Joseph Ratzinger, nell'indicare le encicliche a suo giudizio "più importanti per la Chiesa" delle quattordici pubblicate da Giovanni Paolo II, ne citò dapprima quattro, con poche righe ciascuna, ma poi ne aggiunse una quinta, che era proprio la "Veritatis splendor", alla quale dedicò un'intera pagina, definendola "di immutata attualità" e concludendo che "studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere".

Nella "Veritatis splendor" il papa emerito vedeva restituito alla morale cattolica il suo fondamento metafisico e cristologico, l'unico capace di vincere la deriva pragmatica della morale corrente, "nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell'efficacia, è meglio o peggio".

In altre parole, bersaglio della "Veritatis splendor" era l'etica "della situazione", la corrente lassista in auge tra i gesuiti nel secolo XVII e poi mai scomparsa, anzi, oggi ancor più diffusa nella Chiesa.

Ebbene, tra i relatori di quel congresso il primo era Bergoglio. E il suo intervento si può rileggere negli atti pubblicati nel 2005 dalle Ediciones Paulinas di Buenos Aires, in un volume dal titolo: "La verdad los hará libres".

Un intervento, quello di Bergoglio, di forte, indubitabile adesione alle verità riaffermate dalla "Veritatis splendor" e in particolare alle tre sopra richiamate, cioè proprio a quelle che oggi sembrano traballare, dopo la pubblicazione di "Amoris laetitia".

Ad esempio, a pagina 34 del libro, l'allora arcivescovo di Buenos Aires scrive che "solo una morale che riconosca norme valide sempre e per tutti, senza alcuna eccezione, può garantire il fondamento etico della convivenza sociale, tanto nazionale quanto internazionale", in difesa degli uguali diritti tanto dei potenti quanto degli ultimi della terra, mentre il relativismo di una democrazia senza valori porta al totalitarismo.

E sarebbe questa una risposta al secondo dubbio dei quattro cardinali.

A pagina 32 Bergoglio scrive che la comprensione dell'umana debolezza "mai può significare un compromesso e una falsificazione del criterio del bene e del male, così da volerla adattare alle circostanze esistenziali delle persone e dei gruppi umani".

E sarebbe una risposta al dubbio numero quattro.

A pagina 30 respinge infine come una "grave tentazione" quella di ritenere impossibile per l'uomo peccatore l'osservanza della legge santa di Dio, e quindi di voler "decidere lui su ciò che è bene e ciò che è male" invece di invocare la grazia, che sempre Dio concede.

E sarebbe una risposta al quinto dubbio.

Ma poi che cosa è successo, dopo quel congresso del 2004 a Buenos Aires?

È successo, tra l'altro, che in reazione al congresso un teologo argentino di nome Víctor Manuel Fernández scrisse nel 2005 e nel 2006 un paio di articoli in difesa dell'etica della situazione.

Fernández era il pupillo di Bergoglio, che lo voleva rettore della Universidad Católica Argentina e che in effetti riuscì nel 2009 a ottenerne la nomina, piegando le comprensibili resistenze della congregazione vaticana per l'educazione cattolica.

Non solo. Quando nel 2013 Bergoglio divenne papa, promosse immediatamente Fernández ad arcivescovo e lo volle vicino a sé nella stesura del documento programmatico del suo pontificato, l'esortazione "Evangelii gaudium", come pure di altri suoi discorsi e documenti di spicco.

Con l'effetto che si è visto in "Amoris laetitia", ampiamente permeata di morale lassista e perfino con alcuni paragrafi copiati da precedenti scritti di Fernández.

Copiati in particolare dai suoi due articoli del 2005 e del 2006 sopra citati:

> "Amoris laetitia" ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández

Come pure da altri suoi articoli del 1995 e del 2001:

> Ethicist says ghostwriter’s role in "Amoris" is troubling

E la "Veritatis splendor", così vigorosamente esaltata dal Bergoglio del 2004?

Dimenticata. Nelle duecento pagine di "Amoris laetitia" non vi è citata nemmeno una volta.




 

Quando la correzione pubblica è urgente e necessaria

(di Roberto de Mattei) Si può correggere pubblicamente un Papa per il suo comportamento riprovevole? Oppure l’atteggiamento di un fedele deve essere quello di un’obbedienza incondizionata, fino al punto di giustificare qualsiasi parola o gesto del Pontefice, anche se apertamente scandaloso? Secondo alcuni, come il vaticanista Andrea Tornielli, è possibile esprimere “a tu per tu”, il proprio dissenso al Papa, senza però manifestarlo pubblicamente.

Questa tesi contiene comunque un’importante ammissione. Il Papa non è infallibile, se non quando parla ex cathedra. Altrimenti non sarebbe lecito dissentire neanche in privato, ma la strada da seguire sarebbe solo quella del religioso silenzio. Invece, il Papa, che non è Cristo, ma solo un suo rappresentante sulla terra, può peccare e può errare.

Ma è vero che egli può essere corretto solo privatamente, e mai pubblicamente? Per rispondere è importante ricordare l’esempio storico per eccellenza, quello che ci offre la regola aurea del comportamento, il cosiddetto “incidente di Antiochia”.

San Paolo lo ricorda in questi termini nella Lettera ai Galati, scritta probabilmente tra il 54 e il 57: «(…) Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare. Ma quando Cefa (il nome aramaico con cui veniva chiamato Pietro) venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”» (Gal 2, 7-14).

Pietro per timore di urtare la suscettibilità dei Giudei, favoriva con il suo comportamento la posizione dei “giudaizzanti”, i quali credevano che a tutti i cristiani convertiti si dovesse applicare la circoncisione e altre disposizioni della legge mosaica.

San Paolo dice che san Pietro aveva chiaramente torto e perciò gli “resistette in faccia”, cioè pubblicamente, affinché Pietro non fosse di scandalo nella Chiesa, su cui esercitava la suprema autorità. Pietro accettò la correzione di Paolo, riconoscendo con umiltà il suo errore. San Tommaso d’Aquino tratta questo episodio in molte sue opere.

Innanzitutto egli osserva che «l’Apostolo contrastò Pietro nell’esercizio dell’autorità e non nell’autorità di governo» (Super Epistolam ad Galatas lectura, n. 77, tr. it. ESD, Bologna 2006). Paolo riconosceva in Pietro il Capo della Chiesa, ma giudicava legittimo resistergli, data la gravità del problema, che toccava la salvezza delle anime. «Il modo del rimprovero fu conveniente perché fu pubblico e manifesto» (Super Epistolam ad Galatas, n. 84).

L’episodio, osserva ancora il Dottore Angelico, contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro soggetti: «Ai prelati (fu dato esempio) di umiltà, perché non rifiutino di accettare richiami da parte dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti (fu dato) esempio di zelo e libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è stata pubblica ed è ridondata in pericolo per molti» (Super Epistulam ad Galatas, n. 77).

Ad Antiochia, san Pietro mostrò profonda umiltà, san Paolo ardente carità. L’Apostolo delle Genti si mostrò non solo giusto, ma misericordioso. Tra le opere di misericordia spirituale c’è l’ammonizione dei peccatori, chiamata dai moralisti “correzione fraterna”. Essa è privata, se privato è il peccato, pubblica se il peccato è pubblico. Gesù stesso ne fissa le modalità. «Se tuo fratello ha mancato contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolta hai guadagnato tuo fratello. Se poi non ti ascolta, prendi ancora con te una o due persone, affinché ogni cosa sia attestata per bocca di due o tre testimoni. Se non ascolterà neppure essi, fallo sapere alla Chiesa. Se poi non ascolterà la Chiesa tienilo come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto ciò che voi legherete sulla terra sarà legato nel cielo e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche nel cielo» (Mt 19, 15-18). Si può immaginare che dopo aver tentato di convincere privatamente san Pietro, Paolo non esitò ad ammonirlo pubblicamente, ma – dice san Tommaso – «poiché san Pietro aveva peccato di fronte a tutti, doveva essere redarguito di fronte a tutti» (In 4 SententiarumDist. 19, q. 2, a. 3, tr. it., ESD, Bologna 1999).

La correzione fraterna, come insegnano i teologi, è un precetto non opzionale, ma obbligatorio, soprattutto per chi ha incarichi di responsabilità nella Chiesa, perché discende dal diritto naturale e dal diritto positivo divino (Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. III, col. 1908). L’ammonimento può essere rivolto anche dagli inferiori verso i superiori, e anche dai laici nei confronti dei prelati. Alla domanda se si è tenuti a riprendere pubblicamente il superiore, san Tommaso nel Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, risponde affermativamente, facendo notare però che bisogna agire sempre con estremo rispetto. Perciò, «i prelati non vanno corretti dai sudditi di fronte a tutti, ma umilmente, in privato, a meno che non incomba un pericolo per la fede; allora infatti il prelato diventerebbe minore, qualora scivolasse nell’infedeltà, e il suddito diventerebbe maggiore» (In 4 Sententiarum, Dist. 19, q. 2, a. 2).

Negli stessi termini il Dottore Angelico si esprime nella Summa Theologiae: «(…) essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così san Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede. E, come dice il commento di sant’Agostino, “lo stesso san Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)» (Summa Theologiae, II-IIae, 33, 4, 2).

Cornelio a Lapide, riassumendo il pensiero dei Padri e dei Dottori della Chiesa, scrive: «(…) I superiori possono essere ripresi, con umiltà e carità, dagli inferiori, affinché la verità sia difesa, è quanto dichiarano, sulla base di questo passo (Gal. 2, 11), sant’Agostino (Epist. 19), san Cipriano, san Gregorio, san Tommaso e altri sopra citati. Essi insegnano chiaramente che san Pietro, pur essendo superiore, fu ripreso da san Paolo […]. A ragione, dunque, san Gregorio disse (Homil. 18 in Ezech.): “Pietro tacque affinché, essendo il primo nella gerarchia apostolica, fosse anche il primo nella umiltà”. E sant’Agostino affermò (Epis. 19 ad Hienonymum): “insegnando che i superiori non devono rifiutare di lasciarsi richiamare dagli inferiori, san Pietro ha dato alla posterità un esempio più eccezionale e più santo di quello di san Paolo insegnando che, nella difesa della verità, e con carità, ai minori è dato avere l’audacia di resistere senza timore ai maggiori» (Ad Gal. 2, II, in Commentaria in Scripturam Sacram, Vivès, Parigi 1876, tomo XVII).

La correzione fraterna è un atto di carità. Tra i più gravi peccati contro la carità, c’è lo scisma, che è la separazione dall’autorità della Chiesa o dalle sue leggi, usi e costumi. Anche un Papa può cadere nello scisma, se divide la Chiesa, come spiega il teologo Suarez (De schismate in Opera omnia, vol. 12, pp. 733-734 e 736-737) e conferma il cardinale Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Bruges 1962, vol. I, p. 596). Oggi nella Chiesa regna la confusione. Alcuni coraggiosi cardinali hanno annunciato una eventuale correzione pubblica nei confronti di papa Bergoglio, le cui iniziative diventano ogni giorno più inquietanti e divisive.

Il fatto che egli ometta di rispondere ai “dubia” dei cardinali sul capitolo 8 dell’Esortazione Amoris laetitia, accredita e incoraggia le interpretazioni eretiche o prossime all’eresia in tema di comunione ai divorziati risposati. La confusione, così favorita, produce tensioni e lotte interne, ovvero una situazione di contrapposizione religiosa che prelude allo scisma. L’atto di correzione pubblica si rende urgente e necessario.
(Roberto de Mattei)


[Modificato da Caterina63 25/02/2017 21:50]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/03/2017 14:10
 
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  Ratzinger eliminato dal buonismo ipocrita

Certo non sarà un complotto, però gli somiglia un sacco

 
L'ex vescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, si leva un macigno dalla scarpa e dice che «un giorno emergeranno gravi responsabilità dentro e fuori il Vaticano». Si dichiara certo del fatto che Benedetto XVI abbia subito «pressioni enormi». Da parte di chi? Obama? Negri ricorda che, «anche sulla base di ciò che è stato pubblicato da Wikileaks, alcuni gruppi di cattolici hanno chiesto al presidente Trump di aprire una commissione di inchiesta». Per quanto riguarda l'interessato, nel recente libro-intervista con Peter Seewald, smentisce: «Nessuno ha cercato di ricattarmi». Sarà. Ci si può chiedere però che credito dare alle ultime parole di Ratzinger, che di fatto contraddicono le prime. All'ora delle dimissioni disse che voleva rinchiudersi nel silenzio e nella preghiera.

Ma chi vuol rinchiudersi nel silenzio e nella preghiera rilascia interviste da best-seller? Boh. Permane il fatto che un motivo plausibile per le sue dimissioni non l'ha mai fornito. E non si tratta di questione da prendere sottogamba.
Un papa dimissionario è un fatto epocale per la Chiesa, specialmente se continua a vestirsi da papa e a farsi chiamare papa (emerito). Anzi, il fatto è inaudito. Un altro fatto è questo: via lui, ecco un pontificato nuovo che si preoccupa di fare tutto il contrario di quello precedente. Così come Trump sta demolendo l'obamismo. I punti oscuri sulle dimissioni di Benedetto XVI permangono.

E il fatto che a non vederci chiaro siano proprio i cattolici tradizionalisti non cambia di una virgola l'assunto. Sì, perché gli alberi si giudicano dai frutti, lo dice il Vangelo ma anche il buonsenso. Tanto Ratzinger era vituperato da coloro che contano, tanto Bergoglio è osannato. A Ratzinger fu impedito di parlare alla università di Roma, a Bergoglio l'università di Roma ha steso tappeti rossi. E là Francesco non ha certo pronunciato discorsi epocali come il suo predecessore a Ratisbona. No, ha parlato a braccio, anzi a mano, come si fa al bar tra amici.

Ed è stato un discorso veramente e politicamente corretto. Anche la sua insistenza, opportune et importune, sull'accoglienza indiscriminata dei migranti alimenta i sospetti dei sostenitori del complotto. La dottrina cattolica è giudicata troppo rigida per il «mondo nuovo» che gnomi come Soros vogliono creare, un mondo meticcio e liquido, omosessualizzato e individualizzato, un mondo di consumatori sradicati. Via dunque il papa-teologo e avanti col papa-pastore che annacqua la dottrina e piace tanto ai maestri del politicamente corretto. Verso una Chiesa alla Jovanotti che si amalgama perfettamente col Brave New World prossimo venturo. Non sarà un complotto, certo. Però, se lo fosse, i risultati sarebbero diversi?




NUOVO STILE VATICANO
 

Alla domanda: chi è il portavoce del Papa? Non è così semplice rispondere. C’è Greg Burke, ma è defilato. Per il Papa però parlano molti altri: Scalfari, Padre Spadaro, che denuncia l'odio dei detrattori, ma blocca dai suoi contatti Twitter le voci che non gli vanno a genio. E poi Forte, Pinto, Marx, Coccopalmerio. Quanti prestanome in Vaticano...

di Marco Tosatti

Nei giorni scorsi si è svolto il VII Corso alla Pontificia Università della Santa Croce dedicato ai giornalisti interessati all’informazione vaticana. Nel primo giorno una tavola rotonda ha dibattuto il problema delle fonti; hanno contribuito David Wiley, una firma storica della BBC, Luigi Accattoli, il prof. Giovanni Tridente, della PUSC, e chi scrive.

Una delle particolarità del momento storico ed ecclesiale che stiamo vivendo è emersa dal contesto. Ci ricordavamo, per esempio, dell’epoca di Giovanni Paolo II. In quei tempi era chiaro che il Papa, quando non parlava egli stesso – come per esempio faceva sull’aereo, inaugurando una consuetudine che i suoi successori hanno mantenuto, anche se non con la stessa libertà – aveva una persona delegata a farlo in suo nome. E questa persona era Joaquin Navarro Walls.

Che godeva di un rapporto di fiducia estremo con papa Wojtyla. Tanto che quando – dopo che aveva rivelato, nel corso del viaggio in Ungheria, che Giovanni Paolo II soffriva di sindrome extrapiramidale – una forma di Parkinson – la lettera di licenziamento preparata dalla Segreteria di Stato fu bloccata proprio dall’Appartamento. Anche il segretario particolare, l’adesso cardinale Stanislao Dziwisz, ogni tanto concedeva qualche frammento della mens pontificia, ma con parsimonia.

Benedetto XVI aveva padre Lombardi, e, in estemporanea e salesiana, il suo Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Con quali rismaniera ultati l’abbiamo visto. Non si può parlare di un rapporto felice con i media, nel suo caso. 

E adesso c’è Francesco, ma il problema si pone in maniera del tutto diversa. Alla domanda: chi è il portavoce del Papa? Non è così semplice rispondere. Certo, c’è Greg Burke (nessuna parentela con l’omonimo cardinale) che ha ereditato dal padre Federico Lombardi, SJ, il ruolo di direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Ma possiamo dire che finora ha preferito tenere un profilo piuttosto riservato, almeno come portaparola del Pontefice. E non è che gli manchino né capacità né esperienza. Ha fatto il giornalista per molti anni, e ha lavorato come consigliere per i media per vari anni in Segreteria di Stato. Però si sente poco, per ora; e certamente non cerca il palcoscenico.

Per il Papa però parlano molti altri (oltre al Pontefice stesso, che non è certo taciturno…). Abbiamo Scalfari, con le sue interviste non registrate e riportate “ad sensum”. Che presentano però agli esegeti lo stesso problema di alcune, anche famose, apparizioni e rivelazioni sovrannaturali: non sempre è chiaro se il Veggente esprime pensieri e parole sue, oppure del Protagonista dell’apparizione.

Poi c’è naturalmente padre Antonio Spadaro, SJ, Direttore de La Civiltà Cattolica, il vero uomo dei media – compresi i social media, con qualche piccola scivolata – del Pontefice. Che di recente, parlando al SIR, l’agenzia stampa dei vescovi, ha parlato addirittura di “odio” nei confronti del Pontefice. “Quanti criticano pregiudizialmente il Pontefice sono poche persone, che però si esprimono sui social network dove fanno grande chiasso. L’impressione è che siano tanti, ma in realtà il rumore è frutto dell’eco. E ledinamiche di odio(sottolineatura nostra) che si sviluppano non hanno nulla di cristiano”.  Così padre Antonio Spadaro.

Il direttore ha affermato che “Il rispetto della laicità dello Stato è fondamentale. Francesco mostra che per costruire una società non bisogna vincere sugli altri, ma mettere in dialogo tutte le forze vive”. D’altra parte, prosegue, “le persone hanno voglia di partecipare al dibattito culturale e politico, ma faticano a trovare fonti attendibili. Purtroppo prevale la dinamica da ‘camera dell’eco’: chi la pensa in un certo modo, ascolta solo chi la pensa come lui”. Sarà per questo motivo che Padre Spadaro “blocca” (e anche altri divulgatori del cerchio magico del Papa lo imitano) su Twitter le voci perplesse o critiche. Fanno come due delle tre scimmiette: non vedono e non sentono…

Alla Congregazione per i vescovi invece la parola del Pontefice, soprattutto in tema di nomine, la porta il suo segretario particolare, Fabián Edgardo Marcelo Pedacchio Leániz; ma non si possono considerare questi interventi come esternazioni pontificie. Qualcuno invece si trova nominato portaparola papale su designazione diretta. E’ accaduto a Sch?nborn quando è stato chiesto al Pontefice quale fosse l’interpretazione corretta dell’Amoris Laetitia. Ogni tanto – raramente – entra in campo come relatore della mens papale il Sostituto alla Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, mentre appare defilato in questo campo il Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin. Non mancano neanche sortite più occasionali.

Memorabile quella dell’arcivescovo Bruno Forte, che ha svelato un retroscena del Sinodo sulla Famiglia, relativo al Pontefice. In un incontro pubblico, il presule ha raccontato che Francesco gli avrebbe detto: “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.” Dopo aver riportato questa battuta lo stesso Forte ha scherzato dicendo: “Tipico di un gesuita”.

E’ sembrato che parlasse a nome del Pontefice, in maniera indiretta, anche il Decano della Sacra Rota, mons. Pio Vito Pinto, quando suggeriva lo “sberrettamento” dei quattro cardinali dei Dubia, anche se adesso, dopo il pasticcio con lo Stato italiano a proposito degli avvocati e della registrazione delle sentenze di nullità sembra essere scivolato di qualche gradino nella corte pontificia. Il cardinale Coccopalmerio è sembrato rispondere a nome del Papa ai Dubia, mentre in Germania chi parla senza timore dicendo che cosa il Pontefice pensa e vuole è il cardinale di monaco, Marx. Insomma,  non mancano certo i canali di diffusione del papa-pensiero; e si capisce perché in questa folla Greg Burke preferisca non sgomitare.






Le virtù di Bergoglio

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Nonostante ormai sia evidente che, se l’ “effetto Bergoglio” c’è, è il contrario di quello che proponeva, alcuni anni fa, il professor Massimo Introvigne (i fedeli a messa non aumentano ma diminuiscono), forse cercare di capire perchè la chiesa oggi sia così divisa può avere un significato. A costo di comparire nuovamente in una delle liste di proscrizione stilate dai nuovi papisti di RepubblicaCorriere della sera, StampaEspresso… tutti giornali arruolati nella difesa ad oltranza di Bergoglio, almeno quanto erano attivi nell’attacco sistematico a Benedetto, proverò ad analizzare alcune delle evidenti virtù di Bergoglio, all’origine del malessere di moltissimi cattolici.

La prima virtù è la prudenza, soprattutto quando si parla di questioni politiche. Alcuni giorni orsono Bergoglio ha dichiarato che lo Stato italiano gestisce nientemeno che “campi di concentramento” per migranti. Dove abbia potuto ricavare una simile notizia, piuttosto sconvolgente, non è dato saperlo. Ma non è certo la prima volta che Bergoglio fa dichiarazioni clamorose, magari aggiungendo frasi come “a quanto mi hanno detto“, “se è vero quello che mi hanno detto“…

La prudenza diventa esemplare nei viaggi sull’aereo: dopo ogni viaggio, Bergoglio parla di tutto, a braccio, generando equivoci su equivoci, creando ogni volta il panico. Se poi il tema è politico, la prudenza diventa attacco preventivo a candidati presidenziali (vedi il caso Trump), insieme a frasi del tipo “non mi voglio occupare di politica ma“. Se il politico di turno è invece notoriamente anti-cristiano, l’elogio è assicurato: per Bonino, Pannella, Napolitano, Castro, Morales… solo encomi.

Fanno parte del suo atteggiamento prudente anche le relazioni non istituzionali, ma amichevoli e ripetute, con uomini politici come Andrea Orlando, cresciuto nel Pci, lontanissimo da ogni valore cristiano, ma divenuto intimo del pontefice per la sua apertura ad un’amnistia per i carcerati. Sì, perchè se in Parlamento si discute di temi etici, Bergoglio si tiene fuori; se il tema è l’amnistia, o i migranti, l’intervento a gamba tesa è assicurato (tanto la stampa a lui devota non parlerà di ingerenza, come farebbe invece nel caso intervenisse su eutanasia…).

Un’altra virtù, connessa con la prima, è la riservatezza: Bergoglio rilascia interviste ad ogni piè sospinto, quasi fosse un uomo di spettacolo, o un politico. Questa iper-esposizione mediatica rende le su parole sempre meno incisive, generando un senso di sazietà incredibile. Visto poi che i temi che tratta sono sempre gli stessi, l’effetto saturazione è assicurato. Sentir parlare ogni giorno del dovere di accogliere gli emigranti, può generare rigugiti persino nei più accoglienti e nei più disponibili. L’assenza poi, di ogni problematicità, rende certi discorsi imbarazzanti per la loro superficialità.

Un’altra virtù è la varietà: Bergoglio parla di migranti, di “Chiesa in uscita”, attacca i farisei, sostiene che “Dio non è cattolico”… letti tre discorsi, si è letto tutto. Anche perchè non di rado cita se stesso, mentre ha ben poca dimestichezza con il magistero dei suoi predecessori. Se deve parlare di temi più tipicamente cristiani, la vena retorica si secca; se all’ordine del giorno ci sono eutanasia, matrimonio gay, utero in affito, o rimanda al catechismo, o glissa, o lancia qualche singola dichiarazione cui non corrisponde nessuna azione concreta.

Un’altra virtù è la sinodalità e la disponibilità all’ascolto: è vero che parla moltissimo e annuncia novità ad ogni piè sospinto; è vero che sono più le telefonate che fa, che quelle che riceve, ma sa ascoltare. Però alla fine decide tutto lui. I vescovi dell’Emilia Romagna propongono un candidato per Bologna? Cestinato senza problemi. Così quasi sempre. Gli unici ad essere ascoltati sono i soliti: Spadaro, Galantino, Marx, Kasper…

Ai cardinali che pongono dei dubbi, non un cenno di risposta, neppure un incontro personale. Ci sono prima le telefonate a Scalfari, gli incontri con Benigni, le interviste ai giornali…

Il sinodo, pur indirizzato con ogni mezzo nella direzione voluta, non va come vuole lui. Allora ricorda a tutti i padri sinodali che la Chiesa deve agire cum Petro e sub Petro e scrive il documento da solo, mettendo quello che aveva già deciso all’inizio, in nota. Per poi indirizzare gli episcopati amici (Germania, Malta…) ed utilizzarli come ennesimo ariete. L’ascolto diventa eclatante nei casi dei numerosi commissariamenti: destabilizza interi ordini religiosi (vedi Francescani dell’Immacolata), senza neppure ascoltare, una sola volta, i suoi fondatori; crea una situazione inaudita nell’Ordine di Malta, che decapita con una fretta e un durezza senza precedenti; ignora bellamente due Family day, promossi dal laicato cattolico, cui non rivolge neppure un saluto nonostante nella sua predicazione vi sia spesso il riferimento  di rito al ruolo dei laici…

L’umiltà: Bergoglio ha deciso di prendere un nome, quello di Francesco, che nessuno aveva mai osato assumere. Francesco infatti è sempre stato considerato il santo più simile a Gesù, il più inarrivabile. Inoltre è stato un grande riformatore: “va e ripara la mia casa“.

In verità Bergoglio, per ora, non ha toccato la curia; ha lasciato lo Ior come stava; ha piazzato uomini e  donne che poi lui stesso ha dovuto cacciare… ma nessun mea culpa, e nessuno gli toglie dalla testa di essere il salvatore di una chiesa che prima di lui era chiusa, ottusa, corrotta.

Questa umiltà viene ostentata: non vive in Vaticano, e lo fa sapere; come un populista qualsiasi si fa fotografare mentro va al bagno chimico (principale notizia sui social, durante la visita a Milano, diffusa guarda caso in tempo reale dal suo intimo sugeritore ed intervistatore, Antonio Spadaro); dialoga il più possibile con le personalità più alla moda, da Scalfari a Benigni; preferisce la ricchissima ed eretica chiesa tedesca, che continua a imporre una tassa e ad essere la più ricca, quanto a soldi e proprietà, del mondo, ma anche la più povera di vocazioni fedeli.

Un’ultima vitù è la competenza teologica: ma qui l’elenco delle frasi incomprensibili, ambigue, errate sarebbe così lungo che ci vorrebbe almeno un libro. Basti pensare che con poche frasette buttate lì, si gettano al macero 500 anni di interpretazioni magisteriali di Lutero, oltre che i libri di storia.

Ps se qualcuno avesse da obiettare contro questi appunti, in difesa di Bergoglio, tirando in ballo qualche falsa visione dell’infallibilità pontificia, ricordi bene che l’eroe bergogliano di questo 2017 è Martin Lutero, colui che definiva i papi “anticristi”, “demoni incarnati” e che non riconosceva loro alcuna autorità. Se per caso, poi, è cattolico, ricordi l’esempio non solo di Dante, ma dei santi che si sono opposti anche agli errori dei papi, da Paolo ad Atanasio, sino a Caterina da Siena…



[Modificato da Caterina63 10/05/2017 22:10]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/03/2017 11:54
 
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Sul tavolo del papa un "Promemoria" contro il generale dei gesuiti. Per quasi eresia

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*

Tra i sacerdoti nati nella diocesi di Carpi, che papa Francesco visiterà domenica 2 aprile, ce n'è uno che gli dà del filo da torcere.

Si chiama Roberto A. Maria Bertacchini. È cresciuto alla scuola di tre gesuiti di prima grandezza: i padri Heinrich Pfeiffer, storico dell'arte e docente alla Gregoriana, Francesco Tata, già provinciale della Compagnia di Gesù in Italia, e Piersandro Vanzan, scrittore di spicco de "La Civiltà Cattolica". Studioso di Agostino, è autore di libri e saggi su riviste di teologia. È stato ordinato sacerdote nel 2009 da Carlo Ghidelli, rinomato biblista e arcivescovo ora emerito di Lanciano-Ortona, la diocesi nella quale è incardinato.

La scorsa settimana don Bertacchini ha inviato a Francesco e al cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, un "Promemoria" di sei pagine molto critico delle tesi esposte in una recente intervista dal nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, il venezuelano Arturo Sosa Abascal, vicinissimo al papa.

Sono tesi, scrive don Bertacchini, "di una gravità tale che non si possono passare sotto silenzio senza farsene complici", perché rischiano di "sfociare in un cristianesimo senza Cristo".

Il testo integrale del "Promemoria" è in quest'altra pagina di Settimo Cielo:

> Promemoria…

Mentre qui di seguito ne è riportata una sintesi.

L'intervista del generale dei gesuiti criticata da don Bertacchini è quella rilasciata al vaticanista svizzero Giuseppe Rusconi e pubblicata sul blog Rossoporpora lo scorso 18 febbraio, dopo che era stata controllata parola per parola dallo stesso intervistato.

Settimo Cielo ne diede un ampio resoconto in più lingue.

*

PROMEMORIA
sull'intervista del generale dei gesuiti circa l'inattendibilità dei Vangeli

 

di Roberto A. Maria Bertacchini

Il generale dei gesuiti a febbraio ha rilasciato un’intervista dove insinua che le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio non siano un punto di stabilità teologica, bensì un punto di partenza della dottrina, che dovrà poi essere convenientemente sviluppato. Ciò che – al limite – potrebbe anche avvenire sostenendo l’esatto contrario, ossia la compatibilità del divorzio con la vita cristiana. Tale iniziativa ha a mio avviso innescato una situazione esplosiva.

Naturalmente Arturo Sosa Abascal S.I. è molto accorto a non cadere in eresia conclamata. E questo, in un certo senso, è anche più grave. Occorre dunque riassumere il filo del suo ragionamento.

La domanda che pone è se gli evangelisti siano attendibili e dice: bisogna discernere. Dunque non è detto che lo siano. Un’affermazione così grave andrebbe argomentata in lungo e in largo, perché si può anche ammettere l’errore in un dettaglio narrativo; ma revocare in dubbio la veridicità di insegnamenti dottrinali di Gesù è altra questione.

Sia come sia, il nostro gesuita non entra nel merito, ma – molto abilmente – si appella al papa. E siccome Francesco, trattando di coppie separate e quant’altro, fino al momento dell'intervista non aveva mai citato passi nei quali Gesù richiamava all’indissolubilità matrimoniale, il messaggio implicito del nostro gesuita era lampante: se il papa non cita quei passi, significa che ha fatto discernimento e li ritiene non gesuani. Dunque non sarebbero vincolanti. Ma tutti i papi hanno insegnato in modo opposto! Che importa? Si saranno sbagliati. Oppure avranno detto e insegnato cose giuste per il loro tempo, ma non per il nostro.

Sia chiaro: l’esimio gesuita non dice questo "apertis verbis", ma lo insinua, lo lascia intendere. E così dà una chiave interpretativa della pastorale familiare del papa, questa: che si discosta dall’insegnamento tradizionale. Infatti, oggi “sappiamo” che molto probabilmente, anzi, quasi certamente, Gesù non ha mai insegnato che il matrimonio è indissolubile. Sono gli evangelisti che hanno capito male.

Un cristianesimo senza Cristo?

La questione è di una gravità tale che non si può passare sotto silenzio, senza farsene complici. Il rischio è di sfociare in un cristianesimo riduttivo del messaggio gesuano, ossia in un cristianesimo senza Cristo.

Nel Vangelo della messa del 24 febbraio scorso v’era il brano di Mc 10, 2-12 sul ripudio. Ebbene è accettabile pensare che non si sa se Gesù abbia proferito quelle parole, e che esse non sarebbero vincolanti?

Il "sensus fidei" ci dice che gli evangelisti sono attendibili. Invece, il nostro generale dei gesuiti rifiuta questa attendibilità, per giunta disinteressandosi del fatto che anche san Paolo aveva ricevuto dalla Chiesa questa dottrina come gesuana, e come tale la trasmetteva alle sue comunità: "Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito e, qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito, e il marito non ripudi la moglie" (1 Cor 7, 10,11).

La coerenza di tale passo con i testi dei Vangeli sinottici sul ripudio e sull’adulterio è troppo chiara. E sarebbe assurdo immaginare che essi dipendano da Paolo e non da tradizioni pre-pasquali. Non solo. In Ef 5, 22-33 Paolo riprende il medesimo insegnamento di Gesù e lo rafforza pure. Lo riprende, perché cita il medesimo passo della Genesi citato da Gesù; lo rafforza, perché il Cristo ama la Chiesa in modo indissolubile, sino a dare la sua vita, e oltre la vita terrena. E di tale fedeltà Paolo fa il modello della fedeltà coniugale.

Perciò è del tutto chiaro che vi sia un’evidente continuità d’insegnamento tra la predicazione pre-pasquale e quella post-pasquale; ed è pure chiara la discontinuità col giudaismo, che invece conservava l’istituto del ripudio. Ma se san Paolo stesso fonda su Cristo tale discontinuità, ha senso mettere in dubbio i Vangeli? Da dove viene quel salto che ispirò la prassi della Chiesa antica, se non da Cristo?

Si noti che anche in ambiente greco-romano il divorzio era ammesso, e in più esisteva l’istituto del concubinato, che senza difficoltà poteva sfociare in un successivo legame coniugale, come attesta per esempio la vicenda di sant’Agostino. E in storiografia vale il principio che un’inerzia culturale non si cambia senza causa. Perciò, essendo il cambiamento storicamente attestato, quale la causa se non Gesù? Se poi essa fu il Cristo, perché dubitare dell’attendibilità dei Vangeli?

Infine, se Gesù non disse quelle parole, da dove nasce il commento drastico dei discepoli ("Ma allora non conviene sposarsi!") in Mt 19, 10? Tra quei discepoli vi era anche Matteo, e non fanno una bella figura: si dimostrano tardi a comprendere e attaccati alle tradizioni che Gesù contesta. Dunque, da un punto di vista storiografico, la pericope di Mt 19, 3-12 è del tutto attendibile: e tanto per motivi di critica interna che esterna.

L'orizzonte dogmatico

D’altra parte, affermare che non si sa se Gesù abbia effettivamente proferito quelle parole e che, in buona sostanza, esse non sarebbero vincolanti è, "de facto", un’eresia, perché si nega l’ispirazione della Scrittura. 2 Tm 3 è chiarissimo: "Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia".

"Tutta" include evidentemente anche Mt 19, 3-12. Altrimenti si attesta che vi sia una parola "altra", prevalente sulla Scrittura stessa e sulla sua ispirazione. Infatti, affermata l’inattendibilità di alcune parole di Gesù, è come aprire una fessura nella diga della "fides quae", fessura che porterà l'intera diga a disgregarsi. Esemplifico:

a) Se Gesù non ha detto quelle parole, gli evangelisti non sono attendibili. E, se non sono attendibili, non sono veraci; ma, se non sono veraci, neppure possono essere ispirati dallo Spirito Santo.

b) Se Gesù non ha detto quelle parole, avrà davvero detto tutte le altre che prendiamo per buone? Chi è inattendibile su una questione innovativa, potrebbe esserlo pure su altre parimenti tali, come la risurrezione. E se, per dare il sacerdozio alle donne, "La Civiltà Cattolica" non esita a porre in discussione un magistero solenne invocato come infallibile, non sarà il caos? A quale autorità biblica appellarsi, se gli esegeti stessi sono perennemente e sempre più divisi? Ecco in che senso la diga frana.

E non è finita, perché seguendo i dubbi del generale gesuita, non ci si mette sotto i piedi solo san Paolo, ma anche il Vaticano II. Infatti, ecco cosa si legge in "Sacrosasnctum Concilium" 7:

"Cristo è sempre presente nella sua Chiesa […]. È presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura".

Siccome i passi sull’indissolubilità matrimoniale sono letti nella messa, e precisamente: Mc 10, 2-12 nel venerdì della VII settimana del tempo ordinario e nella domenica XXVII dell'anno B, Mt 19, 3-12 nel venerdì della XIX settimana del tempo ordinario e Mt 5, 27-32 nel venerdì della X settimana, ne segue che il Vaticano II attribuisce in modo certo all’autorità di Gesù quelle parole.

Sicché chi segue i dubbi del generale gesuita non sconfessa solo il Vaticano II e per giunta in una costituzione dogmatica, ma dubita della Tradizione al punto da rendere astratta e irraggiungibile la stessa autorità di Gesù maestro. Perciò siamo di fronte a un vero e proprio bombardamento a tappeto, davanti al quale è assolutamente necessaria la più ferma delle reazioni.

Concludendo, la transizione da una religiosità della legge a una del discernimento è sacrosanta, ma è ricca di insidie. Essa esige una formazione cristiana d’eccellenza, oggi purtroppo rara. E anche che si abbia vero amore e deferenza verso la Parola divina.

In ogni caso, se si liscia il pelo al mondo, col solo fine di evitare conflitti e persecuzioni, non si è solo vili, si è totalmente fuori dal Vangelo, che esige franchezza e fortezza in difesa della Verità. Gesù non ha temuto la croce, né gli apostoli. San Paolo, poi, è chiaro:

"Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo" (Gal 6, 12).

Essere circoncisi voleva dire per un verso rientrare nella religiosità riconosciuta da Roma come legittima, e per un altro compiacere il pensiero corrente. San Paolo sa che la vera circoncisione è quella del cuore, e non cede.

Carpi, 19 marzo 2017

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Una postilla. Nel testo integrale del "Promemoria", don Bertacchini scrive che papa Francesco, il 24 febbraio, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'intervista di padre Sosa, "ha riprovato le posizioni del generale gesuita" dedicando l'intera sua omelia in Santa Marta – cosa che non aveva mai fatto in precedenza – al passo del Vangelo di Marco con le nettissime parole di Gesù su matrimonio e divorzio.

Nell'omelia, a giudizio di don Bertacchini, Francesco avrebbe contestato i dubbi di padre Sosa, evidenziando che "Gesù rispose ai farisei quanto al ripudio, e dunque l’evangelista è attendibile".

Propriamente, però, il commento di papa Francesco a quel passo del Vangelo di Marco è apparso piuttosto tortuoso, a giudicare dai resoconti autorizzati dell'omelia pubblicati dalla Radio Vaticana e da "L'Osservatore Romano".

A un certo punto, infatti, il papa è addirittura arrivato a dire che "Gesù non risponde se [il ripudio] sia lecito o non sia lecito".

E anche dove il papa polemizza – giustamente, scrive don Bertacchini – con quella che chiama la "casistica", affiora una contraddizione. Perché che cosa fa di diverso "Amoris laetitia", quando sollecita a discernere caso per caso chi ammettere alla comunione e chi no, tra i divorziati risposati che vivono "more uxorio"?





Angoscianti profezie sulla Chiesa

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Si possono avere, nello stesso tempo storico, preoccupazioni molto molto divergenti. E’ quello che accade oggi nel lacerato mondo cattolico. Da un lato il Vaticano, dall’altra un laicato notevolemente perplesso e smarrito.

Al primo stanno a cuore non più i “principi non negoziabili”, nè la dottrina rivelata

o il catechismo con le verità eterne, ma soprattutto l’ambiente, l’accoglienza agli immigrati, il dialogo con i radicali di Pannella e Bonino…

Di qui il plateale disinteresse per movimenti di popolo come il Family day, per i dibattiti sull’eutanasia in parlamento, per i dubbi di cardinali e sposi sulle nuove ed ardite interpretazioni del sacramento del matrimonio. Massima attenzione, invece, per ogni iniziativa radicale, che sia la marcetta pro amnistia o indulto, o la presentazione del libro celebrativo della vita di Marco Pannellla, “Una libertà felice”, che avrà come relatore il cardinale Vincenzo Paglia, neoeletto presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Mentre in Vaticano trovano accoglienza Scalfari e Bonino, no global e ambientalisti, sostenitori dell’aborto e della sterilizzazione forzata, molti laici cattolici, anch’essi membri della Chiesa, lottano invece per impedire che ai loro figli venga insegnata un’ antropologia del tutto antitetica a quella biblica, tramite le dottrine gender, oppure si impegnano per evitare che il parlamento italiano, dopo il divorzio breve e le unioni civili, imponga al paese il suicidio di stato.

A questa netta divisione ne corrisponde un’altra, quella tra i seguaci di Francesco, pronti a chiedere la galera per un po’ di satira irriverente, o intenti, come Alberto Melloni, ad invocare il ritiro della berretta per il cardinale Gerhard L. Müllere coloro che ritengono che il vero papa sia Benedetto XVI.

Due papi è una fatto davvero anomalo, che diventa ancora più spiazzante nel momento in cui risulta evidente a tutti che i cardinali prediletti da Benedetto (Raymond Burke, Carlo Caffarra, Gerhard L. Müller, Walter Brandmüller…), si trovano a contrastare con fermezza, seppur con molto garbo, il nuovo corso.

A tutto questo bailamme, aggiungete le profezie, e capirete perchè il mondo cattolico è nel caos più totale. Quali profezie? Quelle di Medjugorje, quelle di Anguerra e quelle della religiosa tedesca Caterina Emmerick.

Si sarà notato che Bergoglio critica più volte la “Madonna postina”, che lascia troppi messaggi ai suoi fedeli. Ma “in un momento terribile come questo”, mi confida una teologa che vuole rimanere anonima, “una mamma deve per forza intervenire con la massima solerzia!”.

Senza avere alcuna certezza, è inevitabile notare che la Madonna postina di Medjugorje parla un linguaggio che è diverso da quello di Bergoglio: invita alla preghiera e alla confessione, parla di peccato e di eucaristia, di inferno e di paradiso, e, addirittura, di 10 segreti un po’ apocalittici!

Nulla a che vedere con il magistero di Bergoglio, preoccupato, come si è detto, non tanto della morte dell’anima, quanto dell’ estinzione dei pinguini e del presunto global worming. Oltre ai due papi, a due modi di leggere il Vangelo sul matrimonio, anche due diverse Apocalissi!

Ma la Madonna postina di Medjiugorie non è la sola a spargere allarmismi. Dal Brasile si diffondono sempre più i messagi di Nostra Signora di Anguerra, che la rete diffonde ovunque. Vi si dice che esistono oggi una “vera Chiesa” e una “falsa Chiesa”; una vera dottrina e una falsa dottrina; si attacca con nome e cognome il cardinal Walter Kasper, grande suggeritore di Amoris laetitia; si mette in guardia da “grandi pericoli” imminenti, dal tradimento e dalla apostasia dei chierici e dalla “cecità spirituale” del mondo contemporaneo… Un messaggio più duro, per il Vaticano odierno, sarebbe difficile immaginarlo. Il fatto poi che provenga dall’America latina, complica le cose.

Finita qui? No, certamente, perchè a girare come una trottola sul web sono anche le prefezie di Caterina Emmerick, una monaca agostiniana tedesca vissuta tra il 1774 e il 1824, e beatificata nel 2004 da Giovanni Paolo II.

Costei disse di vedere, nel futuro, una Chiesa con due papi, protestantizzata e infedele: “Vidi anche il rapporto tra i due papi … Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni; eretici di ogni tipo venivano nella città (di Roma). Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità” (13 maggio 1820); “Vedo il Santo Padre in grande angoscia. Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini… Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente” (10 agosto 1820); “Poi vidi che tutto ciò che riguardava il protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti, ma false, di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre” (1820). E ancora: “Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la chiesa. Stavano costruendo una chiesa grande, strana, e stravagante … Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti e avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova chiesa … Ma Dio aveva altri progetti” (22 aprile 1823).

Una monaca tedesca che parla di due papi (uno dei quali, se le profezie fossero riferibili ai fatti attuali, tedesco), e di una progressiva protestantizzazione: nel cinquecentenario di Lutero, dopo gli incredibili ed inediti elogi verso il monaco eretico da parte di Bergoglio, mentre la chiesa sembra sempre più vincolata a teologi tedeschi come il gesuita filo-protestante Karl Rahner e nelle mani dei tedeschi Walter Kasper, Reinhard Marx, Albrecht Freiherr von Boeselager…

Come pensare che queste profezie, nel centanario di Fatima, non destino l’interesse e l’attenzione di milioni di cattolici?

 

La Verità, 21 febbraio 2017 (http://www.laverita.info/La-Verita-quotidiano-indipendente-diretto-da-Maurizio-Belpietro



L'elezione del Papa e l'assistenza dello Spirito Santo

Riporto un’interessante risposta che Joseph Ratzinger diede nel 1997 alla domanda sull’azione dello Spirito Santo in Conclave.

È lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione del Papa?, gli fu domandato.

Ratzinger, non rinunciando nel finale a una certa ironia, rispose così: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto».

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L’errore, sempre più diffuso è quello di voler giustificare qualsiasi decisione venga presa da un Papa, da un Concilio, da una Conferenza episcopale, in nome del principio per cui «lo Spirito Santo assiste sempre la Chiesa». La Chiesa è indefettibile certo, perché, grazie alla assistenza dello Spirito Santo, «Spirito di Verità» (Gv. 14, 17), ha dal suo Fondatore la garanzia di perseverare fino alla fine dei tempi, nella professione della stessa fede, degli stessi sacramenti, della stessa successione apostolica di governo. Indefettibilità tuttavia non significa infallibilità estesa a tutti gli atti di Magistero e di governo, né tantomeno impeccabilità delle supreme gerarchie ecclesiastiche.


Nella storia della Chiesa, spiega Pio XII, «si sono avvicendate vittoria e sconfitta, ascesa e discesa, eroica confessione con sacrificio dei beni e della vita, ma anche in alcuni suoi membri, caduta, tradimento e scissione. Una testimonianza della storia è univocamente chiara: portae inferi non praevalebunt (Mt. 16, 18); ma non manca anche l’altra testimonianza, anche le porte dell’inferno hanno avuto i loro parziali successi» (Discorso Di gran cuore del 14 settembre 1956). Malgrado i successi parziali e apparenti dell’inferno, la Chiesa non rimane scossa né dalle persecuzioni, né dalle eresie o dai peccati dei suoi membri, anzi attinge nuova forza e nuova vitalità dalle gravi crisi che la colpiscono.

Ma se gli errori, le cadute, le defezioni non ci devono scoraggiare, esse, quando accadono, non possono essere negate. Fu, ad esempio, lo Spirito Santo ad ispirare la scelta di Clemente V e dei suoi successori di trasferire la sede del Papato da Roma ad Avignone? Oggi gli storici cattolici concordano nel definirla una decisione gravemente sbagliata, che indebolì il Papato nel XIV secolo, aprendo la strada al Grande Scisma d’Occidente.

Fu lo Spirito Santo a suggerire l’elezione di Alessandro VI, un Papa che tenne una condotta profondamente immorale prima e dopo la sua elezione? Nessun teologo, ma anche nessun cattolico, potrebbe sostenere che i 23 cardinali che elessero Papa Borgia fossero illuminati dallo Spirito Santo. E se ciò non avvenne in quella elezione, si può immaginare che non avvenne in altre elezioni e conclavi, che videro la scelta di Papi deboli, indegni, inadeguati alla loro alta missione, senza che ciò pregiudichi in alcun modo la grandezza del Papato.

La Chiesa è grande proprio perché sopravvive alle piccolezze degli uomini. Può essere eletto dunque un Papa immorale o inadeguato. Può accadere che i Cardinali del conclave rifiutino l’influsso dello Spirito Santo e che lo Spirito Santo che assiste il Papa nel compimento di tutta la sua missione sia rifiutato. Questo non significa che lo Spirito Santo venga sconfitto dagli uomini o dal demonio. Dio, e solo Lui, è capace di trarre il bene dal male e perciò la Provvidenza guida ogni vicenda della storia. Nel caso del Conclave, spiega nel suo trattato sulla Chiesa il cardinale Journet, assistenza dello Spirito Santo significa che se anche l’elezione fosse il risultato di una cattiva scelta, si ha la certezza che lo Spirito Santo, che assiste la Chiesa volgendo al bene anche il male, permette che ciò avvenga per fini superiori e misteriosi. Ma il fatto che Dio tragga il bene dal male compiuto dagli uomini, come accadde per il primo peccato di Adamo, che fu causa dell’Incarnazione del Verbo, non significa che gli uomini possano commettere il male senza colpa. E ogni colpa va pagata, in cielo o in terra.

Ogni uomo, ogni nazione, ogni assemblea ecclesiastica, deve corrispondere alla Grazia, che per divenire efficace ha però bisogno della cooperazione umana. Di fronte al processo di autodemolizione della Chiesa, di cui già parlava Paolo VI, non si può dunque rimanere con le mani conserte, in uno stato di ottimismo pseudo-mistico. Bisogna pregare ed agire, ognuno secondo le proprie possibilità, perché questa crisi abbia fine e la Chiesa possa mostrare visibilmente quella santità e quella bellezza che non ha mai perso, e mai perderà fino alla fine dei tempi.

di Roberto de Mattei


[Modificato da Caterina63 19/04/2017 09:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/05/2017 15:04
 
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 Il clero ha devastato la Chiesa, i laici la salveranno. Il male del modernismo è penetrato troppo in profondità nella Chiesa ha inquinato tutto, i seminari, i libri di teologia, la pastorale, la liturgia, perfino l’arte sacra 

Il clero ha devastato la Chiesa, i laici la salveranno


 


di Francesco Lamendola


 



 


È molto, ma molto improbabile che la Chiesa possa essere salvata dal clero, da quello stesso clero, profondamente infiltrato dall’eresia modernista - con tutto ciò che ne consegue, a cominciare dalla smania malsana di voler piacere al mondo e andare d’accordo con il mondo, anche nelle sue manifestazioni più aberranti - che l’ha condotta a un passo dal disastro e che l’ha fatto scientemente, pervicacemente, testardamente e orgogliosamente.  

No: il male del modernismo è penetrato troppo in profondità, ha inquinato tutto, i seminari, i libri di teologia, la pastorale, la liturgia, perfino l’arte sacra: un’architettura che sa più di fabbrica o di palazzo dei congressi, che di chiesa; una pittura e una scultura che riflettono le angosce dell’immanenza radicale, non l’anelito verso Dio; una musica “sacra” che di sacro non ha più nulla, ma che è sempre più sguaiata, frivola, banale e mondana, e che, invece di elevare l’anima verso il cielo, la trascina nel ritmo quotidiano delle cose di quaggiù, e fa perno non su Dio, ma sull’ego dell’uomo. Lo si vede, fra l’altro, da come cantano i bambini, e spesso anche gli adulti, nei cori parrocchiali, durante la santa Messa: buttando fuori la voce con petulanza, con superficialità, con il narcisistico desiderio di attirare l’attenzione su di sé, e non suggeriscono a chi ascolta, e tanto meno a se stessi, il senso della trascendenza, della spiritualità, della mistica purezza che predispone all’incontro con Dio. E tutto questo è avvenuto con la connivenza, o - più spesso - con l’attiva ed entusiastica partecipazione, perfino con il forsennato incitamento, del clero. 

Un clero totalmente fuorviato dal senso ultimo della propria missione, totalmente secolarizzato, totalmente immerso nelle dinamiche sociali, nel senso deteriore della parola: l’emotività, la polemica, il rancore, il gusto della contraddizione e della contrapposizione, non di rado rivolti proprio contro la Chiesa, la propria madre, contro la Gerarchia e contro il Magistero, e anche contro il sommo pontefice: beninteso, quando si trattava di Benedetto XVI, non certo ora che, finalmente, il papa è uno dei loro.

Evidentemente, la malattia del modernismo è penetrata molto più in profondità di quel che si potesse immaginare, stando alle apparenze. Fino al pontificato di Pio XII, poteva quasi sembrare che la malattia fosse rientrata; ma subito dopo, a partire dal Concilio Vaticano II, essa è riemersa con veemenza raddoppiata e triplicata, mostrando chiaramente quanto fosse stata lucida e precisa la diagnosi di san Pio X, quanto necessaria e tempestiva la sua opera di repressione, che ancora oggi tutti gli storici cattolici politically correct continuano a rimproverargli, paragonandola al terrore giacobino e sostenendo, in maniera assurda e inverificabile, che essa abbia fatto alla Chiesa più male ancora di quanto gliene avesse fatto, o avrebbe potuto fargliene, il modernismo stesso. 

Al contrario! San Pio X aveva visto giusto: questo umile prete di campagna, salito al soglio di san Pietro passando per la gavetta, dal gradino più basso, con il suo sano buon senso contadino, aveva visto giusto, era stato un gigante; mentre tutti i don Milani, i padre Turoldo, per non parlare degli Enzo Bianchi (che non è nemmeno un prete), al confronto, appaiono sempre più, non come dei precursori di chi sa mai quali magnifiche sorti e progressive, quali ce li vuol dipingere la vulgata progressista, ma come dei nani, dei ritardatari, dei banali rimestatori di vecchi pregiudizi e di schemi mentali che poco o nulla hanno di cristiano e di cattolico, e che, semmai, sono interamente debitori del mondo, nel senso profano del termine, delle sue illusioni, delle sue cantonate, dei suoi abbagli (il primo e il più vistoso di tutti: il tragico e clamoroso fallimento dell’utopia marxista).

Oggi, quindi, si può vedere e misurare con mano quanto avesse visto giusto san Pio X e quanto la Chiesa del dopo Concilio sia stata abbagliata da falsi profeti, da cattivi maestri, e si sia lasciata traviare, peraltro del tutto consenziente, da illusioni ed utopie che la storia si è incaricata di sbugiardare pienamente, anche se quei signori non avranno mai l’onestà di ammetterlo, e ciò per l’ottima ragione che la neochiesta gnostico-massonica, nella quale essi ora militano, ha colmato i vuoti di tutti quelli che se ne sono andati, piazzando al loro posto gli orfanelli dell’altra chiesa mondana, quella comunista. In tal modo essi pensano e s’illudono di aver chiuso la partita in parità, mentre la verità è che stanno raschiando il fondo del barile e che, quando si sarà allontanata l’ultima generazione d’illusisi e d’ingannati, non resterà più nessuno, e la Chiesa cattolica avrà fatto la fine delle tante sette protestanti: quella di restare vuota e deserta, nella perfetta indifferenza di quel “mondo” che essa si è ostinata a corteggiare, e dal quale ha voluto essere applaudita ed approvata. Infatti: dove sono i giovani cattolici, oggi? Spariscono, semplicemente, subito dopo la Cresima.

No: il clero ha prodotto il disastro, e non sarà il clero a porvi rimedio. Sia ben chiaro: preti come si deve, vescovi come si deve, autentici pastori d’anime, ce ne sono ancora, grazie a Dio; ci sono ancora frati e suore come si deve, animati dalla vera fede, e guidati dai sani principi del Magistero: ma sono così pochi che, per vestirli, basta poco panno, come direbbe il padre Dante. Sono pochi e, per giunta, disorientati: non sono abituati all’idea che il pastore del gregge non è più tale, che non sta guidando la Chiesa nella direzione giusta, che non si cura di salvare le sue pecorelle, anzi, è lui che le spinge di qua e di là, e sembra trarre una maligna, diabolica soddisfazione nel fare di tutto per confonderle, scandalizzarle, demoralizzarle.

Diciamo la verità: non sono abituati a pensare da soli, a esercitare la facoltà critica, a uscire dal grigiore del conformismo e assumersi delle responsabilità autonome, in caso di assoluta ed urgente necessità. Perciò è rimasta loro addosso l’abitudine di credere e obbedire alla Gerarchia, ma, guarda caso, dopo decenni di tiro al bersaglio contro di essa. Sicché ora credono ciecamente e passivamente non al vero e santo Magistero, ma a un magistero taroccato, posticcio, a volte perfino blasfemo; un magistero che nasce dallo spirito del mondo e che non è ispirato, consigliato, confortato e sostenuto dallo Spirito di Dio. No, non è da questo clero, nel suo complesso, e neppure da una parte significativa di esso, che verrà la salvezza. La vicenda dei quattro cardinali lo ha abbondantemente mostrato. Come! Quattro eminenti cardinali, a nome di migliaia di sacerdoti e di milioni di fedeli, chiedono chiarimenti su di un importante documento papale, che sembra introdurre una disastrosa difformità nel Magistero della Chiesa, e nessuno si degna di risponder loro, a distanza di sette mesi!

A quel punto, se nel clero cattolico vi fossero ancora sufficienti energie sane, ci sarebbe stato un sommovimento, un qualche segnale di risveglio: altri cardinali  e altri vescovi, e sacerdoti e religiosi, si sarebbero risvegliati, avrebbero fatto sentire la loro voce, avrebbero preteso una risposta. Non si tratta di una questione privata, di un contenzioso fra specialisti di teologia! Si tratta di una questione assolutamente vitale per la Chiesa tutta, giacché da essa dipende la retta interpretazione di ben tre sacramenti – la Confessione, il Matrimonio e l’Eucarestia – e, ancor più, perché da essa dipende il principio della oggettività della legge morale. Se passa l’interpretazione più permissiva di Amoris laetitia, sarà la fine della legge morale: ciascuno sarà libero di farsi la sua legge morale personale e privata, e sarà in diritto di pretendere che nessuno altro venga a ficcarci il naso.

Il Concilio di Trento, decidendo l’istituzione dei seminari, era corso ai ripari per porre fine al disordine e all’ignoranza dilaganti nella formazione del clero, sia a livello intellettuale, sia a livello spirituale; oggi bisogna avere il coraggio di fare un mesto bilancio e riconoscer che i seminari, come luogo di formazione del clero, hanno fallito il loro compito, perché sono stati infettati dall’eresia modernista e da tutta una serie di altri vizi, sia intellettuali, sia spirituali, a causa dei quali i sacerdoti delle ultime generazioni, generalmente parlando, non hanno saputo essere all’altezza dei loro predecessori, non sono stati capaci nemmeno di assolvere alla funzione minima e indispensabile della loro vocazione alla vita consacrata: la fedele custodia e trasmissione della vera dottrina e l’esempio vivente, ai fedeli, di una spiritualità bene orientata.

Vorremmo dire di più: non hanno neanche saputo, in molti casi – lo si vede da come parlano, da come predicano, da come agiscono, da quello che non dicono e da quello che non fanno – tenere accesa in se stessi la fiammella della fede, probabilmente perché hanno smesso di pregare e di rivolgersi a Dio, tutti presi da cento altre cose, le quali, pur lodevoli in se stesse - magari non tutte, ma molte – li hanno distratti e allontanati dalla sola cosa che è veramente essenziale, per qualunque cristiano e a maggior ragione per un sacerdote: la preghiera, il rapporto continuo con Dio, l’ascolto della Sua voce, il conforto della Sua presenza, il lasciar fare a Lui,  smettendola di voler fare tutto da soli. Il prete si è dimenticato di non essere un superuomo, ma, semplicemente, e molto più incisivamente e impegnativamente, un uomo di Dio. L’uomo di Dio non conta sulle proprie forze, perché sa che le sue forze, per quanto possano essere grandi, sono sempre limitate e penosamente inadeguate al compito più importante di tutti: la giustificazione davanti a Dio. Le opere sono utili, perfino necessarie – altrimenti avrebbe ragione Lutero – ma non senza la fede, non senza la grazia, e mai nella disattenzione della voce di Dio.

Una gran parte del clero contemporaneo ha permesso che le voci del mondo superassero, per intensità e quantità, la sola voce che conta davvero, la sola di cui non si può fare a meno: quella di Dio. Di conseguenza, questo clero fuorviato brancola nel buio, scivola nell’errore, si perde e diventa causa di perdizione per le anime: responsabilità gravissima, di cui, comunque, sarà chiamato a rendere conto. Sarebbe stato meglio se certi preti, certi vescovi e cardinali, e il papa Francesco per primo, avessero rinunciato alla vita consacrata, se non si sentivano più capaci di alimentare in se stessi la fiammella della fede: sarebbe stato mille volte meglio di questo tradimento della fede sottile, quotidiano, e veramente diabolico, che dà continuamente scandalo alle anime e le sospinge verso lo smarrimento.

Da questo punto di vista, cioè dal punto di vista dello scandalo dato ai piccoli e ai semplici, la colpa dei preti modernisti è perfino più grave della colpa dei preti moralmente disordinati, come quel parroco di Padova, del quale abbiamo altra volta parlato, che, nella perfetta ignavia del suo vescovo, ha fuorviato decine di anime nella sua parrocchia, praticando forme sempre più disordinate di sessualità e approfittandosi, cosa particolarmente indegna, del suo abito di sacerdote consacrato, per far cadere nella rete delle sue voglie le donne inquiete e insoddisfatte, bisognose di una parola di conforto cristiano. Sì: la colpa del clero modernista è perfino più grave, perché il suo cattivo esempio sul piano liturgico, pastorale e dottrinale, va a colpire direttamente le anime, gettandole nella confusione e sospingendole verso l’errore, mentre la colpa dei preti moralmente indegni, pur essendo una cosa orribile, investe una dimensione più terrena dell’esistenza e non arriva, di per sé, a mettere in pericolo il destino dell’anima immortale, pur se può lasciare delle cicatrici dolorose nel corpo e nell’anima delle vittime.

Una Chiesa afflitta da sacerdoti moralmente indegni può sopravvivere, nonostante le terribili ferite che essi le infliggono; ma una Chiesa traviata sul piano della dottrina, corre verso l’autodistruzione. Per questo la colpa dei preti modernisti è la peggiore di cui possa macchiarsi un uomo di Dio: invece di accendere una luce di salvezza per le anime, le inganna e la porta verso la morte. La sua opera nefasta assomiglia a quella dei naufragatori: quelle persone che, al tempo della navigazione a vela, accendevano dei fuochi sulla riva del mare, di notte, per trarre in inganno i velieri in difficoltà, sospinti dal mare grosso, e provocarne il naufragio sugli scogli, allo scopo di poterli poi saccheggiare. I naufragatori provocavano a bella posta la rovina degli ignari naviganti; i preti modernisti provocano, in piena consapevolezza, la rovina delle anime immortali che Dio aveva affidato loro, mediante il sacramento dell’Ordine sacro.

E da chi, allora, potrebbe venire la salvezza della Sposa di Cristo, tradita dai suoi ministri, se non dai semplici fedeli, dai laici, costretti, letteralmente costretti dalla gravità e dall’imminenza del pericolo, a prendere il timone della barca di san Pietro, prima che essa vada a fracassarsi contro gli scogli del modernismo, del relativismo, del soggettivismo, di un ecumenismo malinteso e di un dialogo interreligioso che è l’anticamera del suicidio morale per i seguaci del Vangelo di Gesù Cristo? Certo, essi non sono qualificati: lo riconosciamo senz’altro.

Diremo di più: a partire dal Vaticano II, si è fatta anche troppa retorica pseudo democratica, anzi, demagogica, riguardo al ruolo dei laici nella vita della Chiesa, quasi che non esista una sostanziale differenza fra la vita consacrata a Dio e la vita profana. L’autorizzazione a prendere la Particola consacrata nelle mani e portarla in bocca, da pare dei laici, è solo l’ultimo segno di questa bassa demagogia e di questa irresponsabile negazione del ruolo del sacerdote come tramite indispensabile, come alter Christus, tra il fedele e Dio. Il passo successivo, e ci stiamo arrivando, sarà l’auto-confessione e l’auto-assoluzione, dopo di che non ci sarà più bisogno di preti e di confessionali,  tutti i laici potranno decidere da soli se e quando accostarsi alla santa Eucarestia. Ma, demagogia, a parte, il momento che stiamo vivendo è così grave che un pronto e deciso intervento dei laici non è solo utile, ma indispensabile. Quando un uomo sta morendo, non si chiede a chi lo soccorre se abbia la laurea in medicina. Senza contare che lo Spirito soffia dove vuole: e forse, in quest’ora, sta soffiando più sui laici che sui sacerdoti...

 

Francesco Lamendola

 

Francesco Lamendola è nato a Udine nel 1956. Laureato in Materie Letterarie e in Filosofia, è abilitato in Lettere, in Filosofia e Storia, Filosofia e Pedagogia, Storia dell’Arte, Psicologia Sociale. Insegna nell’Istituto Superiore “Marco Casagrande” di Pieve di Soligo e ha pubblicato una decina di volumi tra saggi storici, musicali, filosofici, di poesia e di narrativa, di cui ricordiamo “Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C.”, “Il genocidio dimenticato. La soluzione finale del problema herero nel sud-ovest africano”, “Metafisica del Terzo Mondo”, “L’unità dell’Essere”, “La bambina dei sogni e altri racconti”, “Voci di libertà dei popoli oppressi.” Fogli Sparsi (E-Book). Collabora con numerose riviste scientifiche (tra cui “Il Polo” dell’Istituto Geografico Polare e “L’Universo” dell’Ist. Geogr. Militare) e letterarie, su cui ha pubblicato diverse centinaia di articoli e a siti internet “Arianna Editrice”, “Edicola Web” ,”Libera Opinione” e “il Corriere delle Regioni” Quaderni culturali: Giornale Web animato aggiornato sui suoi ultimi scritti. Tiene conferenze per la Società “Dante Alighieri” di Treviso, per l’”Alliance Française”, per l’Associazione Italiana di Cultura Classica, per l’Associazione Eco-Filosofica, per l’Istituto per la Storia del Risorgimento, “Alfa e Omega”, “Il pensiero mazziniano” e per varie Amministrazioni Comunali, oltre alla presentazione di mostre di pittura e scultura.





 

Lo ammettono. E' l'enciclica di san Giovanni Paolo II il vero "nemico" e la grande imputata colpevole di aver bloccato la teologia morale. Lo sostiene un fuoco incrociato di teologi à la page con in testa Andrea Grillo. "Veritatis splendor "sbaglia sugli assoluti morali e il rifiuto di un'etica della situazione e perchè è un pronunciamento magisteriale sulla materia morale, che si vuole sganciata dalla Rivelazione. Amoris Laetitia interverrebbe per sanare la frattura". Ma le cose non stanno così perchè contraddirla significa intaccare l'unità della Chiesa. 

di Lorenzo Bertocchi

Dopo il convegno “A un anno da Amoris laetitia. Fare chiarezza”, organizzato a Roma da La Nuova Bussola Quotidiana e dal mensile di apologetica Il Timone, c'è un fatto nuovo e interessante che si inserisce nel dibattito posto dai dubia che quattro cardinali hanno rivolto al pontefice sulle parti ritenute ambigue dell'esortazione apostolica. Un fatto e una domanda. Che meritano di essere conosciuti.

L'ANTEFATTO

Nel settembre 2014 il vescovo di Anversa, Johan Bonny, scrisse una lunga lettera indirizzata ai padri che stavano per riunirsi a Roma in vista del primo round del doppio sinodo sulla famiglia, l'assemblea straordinaria, a cui seguirà poi quella ordinaria del 2015. Il nocciolo di quella lunga missiva era contenuto in poche righe. Queste: «Dopo l'Humanae Vitae e la Familiaris Consortio, la dottrina della Chiesa Cattolica si è trovata legata quasi esclusivamente ad una determinata scuola di teologia morale, costruita su una propria interpretazione della legge naturale».

Occorreva, secondo Bonny, riaprire la porta a quella teologia morale capace di riconoscere «ciò che è umanamente possibile quando ci si trova in circostanze fragili e complesse». Una porta che, sempre secondo Bonny, era stata “marginalizzata” non da un magistero, come ad esempio quello dell'enciclica Veritatis splendor, ma, sostiene il presule, da “uno sviluppo politico ecclesiale”.

IL FATTO

Ma qual è il fatto nuovo che sembra emergere sempre più chiaro nel dibattito sull'Amoris laetitia? Lo scrivono nero su bianco i due curatori di un autorevole volume, Amoris laetitia: un punto di svolta per la teologia morale? (edizioni San Paolo), che nella domanda del titolo contiene già un indizio di questo nuovo elemento.

Il fatto è che l'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor sarebbe la grande imputata per aver bloccato la teologia morale cattolica (e quindi tutta una serie di questioni legate alla sessualità, alla contraccezione, etc.), dietro a una visione ritenuta unilaterale. Il problema, secondo Stephan Goertz e Antonio Autiero, i curatori del libro presentato giovedì scorso alla Gregoriana, è dato dall'idea «complessiva che con Familiaris consortio e Veritatis splendor sia stata codificata una dottrina completamente inattaccabile dal punto di vista della teologia morale, una dottrina che si basa solidamente sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, una dottrina non più bisognosa di ulteriori sviluppi, ha portato a dei blocchi di pensiero e di azione nella chiesa cattolica. Con Amoris laetitia, papa Francesco si propone di offrire uno spunto a continuare nella ricerca, anche in questo campo».

Sulla stessa lunghezza d'onda il professore Andrea Grillo, insegnante al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, che ha parlato di “massimalismo morale” nel caso di Veritatis splendor. Anzi, secondo Grillo la rottura con la tradizione l'avrebbe operata proprio l'enciclica di Giovanni Paolo II e ora Amoris laetitia, semplicemente, avrebbe rimesso le cose al loro posto. «La discontinuità», ha scritto sul suo blog Come se non, «era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor – i quali avevano introdotto un “massimalismo morale” del tutto inedito fino ad allora, con una grande forzatura nella lettura delle fonti tradizionali, e rispetto a cui Amoris Laetitia opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”».

Che il problema fosse proprio Veritatis splendor, con i suoi chiari riferimenti agli assoluti morali, al rifiuto di una coscienza creativa e di un'etica della situazione, lo ha ribadito anche il redentorista Marcelo Vidal all'Università di Salamanca, durante un recente incontro introdotto dal cardinale di Madrid Carlos Osoro. «Amoris laetitia», avrebbe detto Vidal, come riporta Infocatolica, «è contro Veritatis splendor, vale a dire un testo che abbiamo voluto come risarcimento di quella [enciclica] che ha fermato il rinnovamento della Teologia morale del Vaticano II».

Parole che sanno tanto di rivincita in bocca a Vidal, visto che il redentorista fu “ripreso” dalla congregazione per la Dottrina della fede nel 2001 (vedi QUI), proprio in riferimento a tre suoi libri sull'insegnamento della teologia morale. La “Notificazione” firmata dal prefetto cardinale Ratzinger indicava, tra l'altro, che «consequenziale al modello morale assunto [nei libri di Vidal, nda] è l’attribuzione di un ruolo insufficiente alla Tradizione e al Magistero morale della Chiesa, che vengono filtrati attraverso le frequenti «opzioni» e «preferenze» dell’Autore. Dal commento all’Enciclica Veritatis splendor, in modo particolare, si evince la concezione manchevole della competenza morale del Magistero ecclesiastico». Sul finale poi si legge un passo significativo: «con questa Notificazione, [la congregazione della Dottrina della fede] desidera anche incoraggiare i teologi moralisti a proseguire il cammino di rinnovamento della teologia morale, in particolare nell’approfondimento della morale fondamentale e nell’uso rigoroso del metodo teologico-morale, secondo gli insegnamenti dell’Enciclica Veritatis splendor e con il vero senso di responsabilità ecclesiale».

LA DOMANDA

Se le cose stanno come sostengono il vescovo Bonny, i curatori di un importante libro, il professor Grillo e il redentorista Vidal, viene spontaneo chiedersi quale possa essere stato in quasi venticinque anni il dovuto “ossequio della volontà e dell'intelletto” al magistero autentico rappresentato da Veritatis splendor. Ma non è questa la domanda principale che si propone.

Leggendo le “Osservazioni” della congregazione per la Dottrina della fede a di un libro in lingua tedesca, “Teologia morale fuorigioco? Risposta alla enciclica Veritatis splendor”, è possibile comprendere la portata delle questioni che si sollevano. Tali “osservazioni” furono pubblicate sull'Osservatore romano del 2 febbraio 1996. 

Secondo gli autori di quel testo in lingua tedesca, «la Veritatis splendor sbaglia non solo perché critica delle teorie morali che, a loro avviso, rispondono alla verità, ma soprattutto perché intende essere un pronunciamento magisteriale su una materia - la morale normativa - che di per sé non rientrerebbe nelle competenze del magistero della chiesa, dato che su di essa non esisterebbe un concreto insegnamento specifico nella Rivelazione né sarebbe esistita, almeno fino a questo momento, una dottrina cattolica definita. (…) Conseguentemente alcuni autori sono convinti di poter rendere la "Veritatis splendor" oggetto di una "quaestio disputata", e si sentono autorizzati a favorire il dissenso pubblico da un pronunciamento del magistero ordinario del romano pontefice».

La questione comincia a emergere, e riguarda nello specifico il fatto che Veritatis splendor possa effettivamente essere derubricata a mero “sviluppo politico ecclesiale” rispetto al pluralismo della teologia morale, come ha scritto il vescovo Bonny, oppure a espressione unilaterale di un “massimalismo morale”, come dice, invece, il professore Andrea Grillo; o come un'enciclica che ha “portato a dei blocchi di pensiero” come hanno scritto gli autorevolissimi Stephan Goertz e Antonio Autiero nella post fazione al testo presentato il 4 maggio alla Gregoriana.

Ma quanto spazio ha avuto nella Chiesa questa interpretazione di Veritatis splendor? Quanti i pastori, i teologi e i sacerdoti, che sono andati per la loro strada indipendentemente dall’insegnamento di quell’enciclica? E' questo un esempio di “pluriformità” della Chiesa?

La risposta a queste domande deve tener conto della conclusione di quell’ “Osservazione” pubblicata sull'Osservatore romano nel 1996:

«Come ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II (…): “Nelle encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, così come nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, ho voluto riproporre la dottrina costante della fede della chiesa, con un atto di conferma di verità chiaramente attestate dalla Scrittura, dalla tradizione apostolica e dall'insegnamento unanime dei pastori. Tali dichiarazioni, in virtù dell'autorità trasmessa al successore di Pietro di "confermare i fratelli" (Lc 22,32), esprimono quindi la comune certezza presente nella vita e nell'insegnamento della chiesa” (Discorso alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, 24.11.1995, nn. 5-6). «A nessuno sfugge», chiosava la congregazione per la Dottrina della fede, «che contestare in linea di principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole, (...), non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì intacca profondamente l'unità e l'identità della Parola sulla quale è fondata la chiesa». 





[Modificato da Caterina63 09/05/2017 15:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/05/2017 21:39
 
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  Caro Papa, dimentichi che la Madonna è la “postina” di Dio da duemila anni, anzi dalle origini! 

Considerazioni escatologiche tra Fatima e Medjugorie

Sabato 13 maggio è stato celebrato, con la santificazione di Giacinta e Francisco, i due più piccoli dei tre pastorelli scelti dal Cielo, il centenario delle apparizioni della Santa Vergine a Fatima. Evento capitale nella storia del XX secolo ed in generale nella storia dell’umanità, anche se la storiografia, di solito, non si occupa di eventi di questo tipo precludendosi, così, una comprensione più alta delle vicende storiche.

Fatima, alla quale sono seguite altre “mariofanie” come a suo completamento, è una profezia ancora ampiamente aperta. Una profezia mal interpretata lungo il XX secolo perché piegata soltanto all’ammonimento del pericolo comunista con chiare implicazioni politiche in senso conservatore e filo-americano. A Fatima la Madonna ha sì, certamente, ammonito l’umanità sul pericolo del comunismo, alle porte nel momento nel quale Ella parlava ai tre pastorelli che non sapevano neanche cosa fosse la Russia e pensarono ad una donna particolarmente cattiva, ma per troppo tempo l’esegesi maggioritaria, sull’ammonimento mariano, in ambito cattolico è stata quella esclusivamente anti-comunista, dimenticando che Maria, in quel 1917, già vedeva oltre la fatidica data del 1989 e, soprattutto, che Lei stessa ha annunciato il trionfo finale del suo Cuore Immacolato.

Le vicende storiche del mondo hanno puntualmente realizzato quanto dalla Madre celeste profetizzato ma dopo Gorbaciov, e la sciagurata partentesi di Eltsin, è arrivato Vladimir Putin con il quale la Russia è tornata all’Ovile. Putin, in epoca sovietica, fu segretamente battezzato dalla madre, ed ha riscoperto la fede cristiana a seguito di un drammatico accadimento che rischiò di cancellare la sua famiglia. Un incendio distrusse la sua dacia dove stava trascorrendo le vacanze con la sua famiglia. L’allora responsabile del Fsb, l’organizzazione succedanea del Kgb, riuscì a sottrarre dalla morte i suoi figli ma – come lo stesso Putin ha pubblicamente ammesso – per un vero e proprio miracolo propiziato da una materna e misteriosa presenza.

Ora è innegabile che il merito principale di Putin è quello di aver ricondotto la Russia alla sua identità cristiana e nazionale, trasformandola sul piano politico nell’antemurale dell’Occidente nichilista ed ateo. Putin, è stato detto, ha messo in pratica la filosofia politica, cristiana e tradizionale, del più autorevole e meno filo-occidentale dei dissidenti russi ovvero Aleksandr Solženicyn, del quale del resto l’attuale Presidente della Russia è stato attento e partecipe lettore. Benché con i necessari adattamenti, richiesti dalla concreta situazione storica, il programma politico di Putin era già tutto contenuto nel noto pamphlet “Come ricostruire la nostra Russia – considerazioni possibili” che lo scrittore russo pubblicò nel 1990.

Gli adattamenti si sono resi necessari soprattutto in ordine alla centralizzazione dell’Autorità politica che lo scrittore avrebbe voluto invece superare, decentralizzando, al fine di oltrepassare l’esperienza sovietica. Putin, invece, ha dovuto mantenere e rafforzare il centralismo sia perché, altrimenti, la Confederazione russa sarebbe andata a scatafascio, sotto le spinte centrifughe alimentate ad arte da oligarchi e lobbies occidentali, sia perché nel mondo globale, succeduto al 1990, un mondo nel quale la finanza transnazionale e apolide è capace di dominare e manipolare l’intero pianeta, non è possibile sottrarsi a tale potere se non contrapponendogli un potere nazionale e/o imperiale fortemente radicato nell’identità popolare. Ma, per il resto, il programma di Putin è quello di Solženicyn: tornare al e difendere il Cristianesimo ortodosso quale fondamento dell’identità storica della Russia e quindi, anche con l’aiuto della Chiesa, rimodellare l’intera struttura politica, sociale ed economica della nazione intorno a questo fondamento, fino a quando è umanamente possibile.

Ebbene: solo i ciechi, anche tra i cattolici, non vedono in tutto questo la mano materna di Maria ed un primo momento del trionfo del suo Cuore Immacolato. Non è pertanto più giustificata – e coloro che continuano con questa esegesi sono solo schiocchi strumenti di strategie geopolitiche americane – la narrazione anti-russa della mariofania di Fatima.

Fatima – al di là del possibile “quarto segreto” ossia della possibile esistenza di un commento autentico di Maria alla visione, svelata da Giovanni Paolo II, del “vescovo vestito di bianco” – è una profezia ancora aperta soprattutto perché la promessa della finale vittoria del Cuore Immacolato di Maria non si è ancora compiutamente avverata: l’umanità è sempre più in caduta libera verso il nichilismo globale. Neanche, del resto, la promessa sulla conversione della Russia si è ancora definitivamente avverata perché se è vero che il comunismo è caduto e che la fede cristiano-ortodossa è fuoriuscita dalle catacombe, è altrettanto vero che la Russia di oggi, la quale come si diceva svolge senza dubbio il ruolo di baluardo al nichilismo dell’Occidente liquido postmoderno egemonizzato dalla finanza transnazionale ed apolide e dal neoliberismo fondato sul relativismo morale e sull’individualismo sociale, non si è ancora riavvicinata alla Chiesa cattolica pur dando segno di filiale rispetto per Roma, come ha dimostrato Putin nelle sue visite al Papa. E’, infatti, nostra convinzione che la profetizzata conversione finale della Russia sottende la conversione al Cattolicesimo.

La Madonna, profetizzando la conversione della Russia, non poteva non riferirsi ad una conversione al Cattolicesimo o comunque ad una riunione o riavvicinamento dell’Ortodossia a Roma, con tempi e modalità ancora ignote ma che una enciclica come la “Ut Unum Sint” di Giovanni Paolo II, nella quale si propone ai fratelli ortodossi, in nome della comune apostolicità, un ritorno nell’esercizio del primato alla prassi del primo millennio fondata sulla collegialità tra i cinque principali patriarcati (Roma, Gerusalemme, Antiochia, Costantinopoli, Alessandria) fermo rimanendo – Papa Woitjla in proposito è stato chiaro – il primato petrino al quale da parte cattolica non si può rinunciare, chiaramente preannuncia.

Ma anche il nome della località portoghese sembra alludere misteriosamente ad un disegno teologico e storico di natura superiore che si va svelando gradualmente. Il nome del paesino delle apparizioni mariane del 1917 ha un’origine davvero singolare che ci consente perfino di ipotizzare un senso escatologico per quanto riguarda i rapporti tra islam e Cristianesimo. In tale prospettiva, secondo alcuni il “trionfo del Cuore Immacolato di Maria” potrebbe alludere anche a qualcosa di più. Molti, tra cui gli islamologi cattolici Louis Massignon e padre Giulio Basetti Sani o.f.m. nonché lo scrittore cattolico Vittorio Messori (di quest’ultimo si vedano i capitoli XVI e XLIX del suo “Ipotesi su Maria”, nei quali tra l’altro si mettono a confronto la devozione per Máryam Sempre Vergine del Corano con l’ingiuria di prostituta indirizzata alla Vergine contenuta nel Talmud), hanno osservato che il nome della località portoghese nella quale apparve la Santissima Vergine Maria non è casuale. Fatima, infatti, è anche il nome della figlia preferita di Maometto, alla quale, secondo un hadith il Profeta avrebbe detto “tu sarai la padrona delle donne del Paradiso, dopo Máryam” (commenta Messori: “Una superiorità, dunque, nello stesso Cielo mussulmano, di quella che i cristiani chiamano Regina Coeli”).

La località portoghese delle apparizioni mariane che hanno illuminato il XX secolo deve il suo nome, Fatima, ad una giovane nobile fanciulla saracena, figlia del governatore del castello di Alcácer do Sal, così chiamata alla nascita dal padre in onore della figlia del Profeta. Questa nobile fanciulla rimase coinvolta nella secolare lotta che nella penisola iberica impegnava cristiani e mussulmani. Di lei infatti si innamorò un celebre paladino della Reconquista cristiana, don Golçavo Hermingués, che la sposò avendo ella accettato il battesimo. Una dolce storia d’amore interrotta però dalla precoce morte della giovane sposa. Don Golçavo, straziato dal dolore, abbandonò le armi e si fece monaco nell’abbazia cistercense di Alcobaça, dove ottenne di trasferire i resti mortali della giovane moglie. Qualche tempo dopo, l’abbazia fondò, a pochi chilometri, un piccolo monastero, superiore del quale fu nominato proprio don Golçavo, il quale fece deporre i resti mortali di Fatima nella nuova chiesa della località fino ad allora deserta e che, in tal modo, prese nome da colei che, nata mussulmana, morì esemplare sposa cristiana. Esiste tuttora una chiesa, dedicata alla Madonna, nella quale – si dice – siano state conservate a lungo le spoglie mortali della giovane Fatima.

Dunque, sin dal medioevo, Dio aveva un disegno molto preciso su Fatima. Sicché non è azzardato avanzare l’ipotesi che, apparendo alla Cova da Iria in quel di Fatima, località che deve il suo nome ad una fanciulla mussulmana, battezzata, che portava il nome della figlia prediletta di Maometto, la Madonna abbia voluto implicitamente indicare, come effetto del futuro ma sicuro trionfo del Suo Cuore Immacolato, anche la finale conversione dei mussulmani a Cristo, Dio-Uomo (divino-umanità, del resto, secondo Massignon e Basetti Sani, già adombrata dallo stesso Corano: una verità al momento non evidente per gli islamici e che sarà loro chiara al momento dovuto, che solo Dio conosce nella Sua Infinita Sapienza).

Lungi da noi qualsiasi accostamento a quei settori conservatori del mondo cattolico che criticano il pontificato bergogliano in particolare per la discontinuità del documento sinodale, fortemente voluto dall’attuale pontefice, “Amoris Laetitia” con la Tradizione. Pur non negando che in quel documento sono presenti problemi maggiori di quelli che con esso si vorrebbe superare – e male, malissimo, ha fatto Papa Bergoglio a non rispondere, come sarebbe stato suo dovere, ai quesiti postigli –, non ci piacciono questi ambienti conservatori perché generalmente sono una cloaca di ipocrisia e perché i loro esponenti abbracciano la Tradizione, difendendo la famiglia, solo ad evidente tutela dei loro interessi sociali ed economici, chiaramente visibili, essendo essi in preponderanza appartenenti a ceti abbienti. E’ infatti notoria la facilità con la quale esponenti di rilievo di questi settori conservatori, mentre pubblicamente militano nella “crociata” in difesa della Tradizione, del diritto naturale e, soprattutto, dell’“America cristiana”, non esitano poi, privatamente, ad abbandonare, in barba alla santità del sacramento, il focolare domestico per fuggire con la prima, avvenente e seducente, donna disponibile.

Lungi da noi anche qualsiasi accostamento allo pseudo-tradizionalismo cattolico che confonde la Tradizione con la musealizzazione e che – giusto per stare al tema di questo nostro intervento –  a causa di questa chiusura spirituale del cuore oppone una presunta Madonna preconciliare, che dice cose gradite alle orecchie tradizionaliste, ad una presunta Madonna post-conciliare non accettabile perché nelle sue manifestazioni non critica il Concilio Vaticano II. Come se fosse questa la missione della Santa Vergine anziché quella di richiamare i suoi figli ad una vita più santa e conforme al Figlio. Richiamo che è poi più di qualsiasi critica, tutte del resto contenendole, alle dottrine umane eventualmente penetrate nel Santuario di Dio.

Ma il lefreviano intransigente ed il sedevacantista perfetto, presi dalle loro ossessioni museali che li spinge a tagliare in due anche il capello del Messale antico alla ricerca di aggiunte post-tridentine da espellere, non sono neanche sfiorati dall’idea la Madonna oggi parla ad una Chiesa ormai già devastata. Sicché se in tempi passati la Madonna, come a La Salette, Ella ammoniva dei pericoli incombenti, ora che la frittata è fatta ha cambiato strategia e preferisca spargere, senza inutilmente piangere sul latte versato, i semi della futura rinascita della Chiesa attraverso l’invito ai sacrifici, al digiuno, alla preghiera ed ad una vita santa, in attesa che gli eventi che dovranno portare al trionfo del suo Cuore Immacolato si compiano.

Chi scrive non contesta Papa Francesco per quel che egli ha finora fatto sul piano della Dottrina Sociale, non a caso invisa ai conservatori e pseudo-tradizionalisti suoi critici – anzi in questo ambito egli ha grandi meriti, soprattutto dopo la sbornia neocons che colpì ampi settori della Chiesa ai tempi di Bush e delle sue guerre pro-Sion – né contesta affatto la sua pastorale della Misericordia, che è del tutto in profetica sintonia con le rivelazioni di Gesù a suor Faustina Kowalska a riguardo della Porta attualmente aperta della Misericordia Divina affinché l’umanità vi entri prima che giunga il tempo della Giustizia.

Lo scrivente, tuttavia, pur nell’obbedienza, non può non criticare il modo con il quale Papa Bergoglio approccia certi temi delicati, come quello della apparizioni mariane, facendone argomento da conferenza stampa, nonostante dovrebbe essere chiaro, innanzitutto ad un Papa,  quanto micidiale sia il gettare in pasto ai media certe questioni. Infatti i media sono il “mondo” nel senso con cui i mistici ed i santi usano questo termine per indicare non certo la creazione, opera originariamente buona di Dio, ma il dominio che Satana, al quale l’uomo ha fatto spazio nel suo cuore, ancora esercita sull’umanità che non guarda a Cristo.

Sappiamo quanto Papa Francesco ama, a nostro umile giudizio fin troppo, la scena mediatica – si pensi alle interviste tragicamente accondiscendenti a personaggi negativi come Eugenio Scalfari – e come questo possa costituire un problema quando non si è prudenti. Anche Giovanni Paolo II ha rilasciato interviste, addirittura un libro intervista, e lo stesso ha fatto Benedetto XVI. Ma sia Papa Wojtila sia Papa Ratzinger hanno scelto giornalisti aperti alla fede se non dichiaratamente cattolici come Vittorio Messori (il quale d’altronde, pur cattolico, non ha affatto risparmiato all’intervistato le “domande scomode”). E non si dica semplicisticamente che è il malato ad aver bisogno del Medico, perché Scalfari è di quel genere di malati che pretendono essi di suggerire la cura al Medico invece di accettare con umiltà di essere da Lui curati.

Quando si è Pontefice è necessario ricordarsi Chi si rappresenta, di Chi si è Vicario in terra e quindi è necessario, per quanto possibile, un certo grado di “spersonalizzazione”. Un Papa non può dire “secondo me …” come fosse un uomo qualsiasi, perché egli ha la grande responsabilità, roba da far tremare i polsi nella prospettiva della salvezza eterna, di guidare il gregge del Signore e di custodire il Depositum Fidei.

Ecco perché discutere con i giornalisti sull’aereo di cose soprannaturali – nella fattispecie di  apparizioni della Madonna ancora in corso – come se si stesse parlando di questioni politiche o simili, ossia di questioni nelle quali il giudizio del Papa non rasenta affatto l’area se non dell’infallibilità quanto meno dell’insegnamento autorevole e in qualche modo indirettamente obbligante, non è uno stile adatto al ruolo di Pontefice. La sciatteria, la faciloneria, su certi temi non paga ed è molto meglio lo stile più sobrio che avevano un Papa Wojtila ed un Papa Ratzinger, solo per citare gli ultimi predecessori di Papa Bergoglio.

Papa Francesco ha sbagliato a confidare ai giornalisti, quindi pubblicamente in mondovisione, il suo personale – e si sottolinei quel “personale” che dunque non implica alcuna autorità magisteriale – giudizio sui fatti di Medjugorie. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno espresso il loro personale giudizio su quei fatti, quello di Papa Wojtila assolutamente favorevole e quello di Papa Ratzinger prudente senza sbilanciamenti, ma lo hanno fatto riservatamente, non pubblicamente, anche se la cosa è comunque trapelata. Papa Francesco non sembra, invece, aver alcuna considerazione né per i milioni di fedeli che sono andati in pellegrinaggio, in questi decenni, nel paesino croato, né per le decine di miracoli, alcuni già dichiarati inspiegabili dalla scienza, avvenuti per intercessione di Maria in quella località, né per le numerose conversioni lì avvenute.

Ora se il vero criterio di discernimento – l’unico autentico perché autenticato direttamente da Nostro Signore Gesù Cristo – è quello dei frutti, buoni o malvagi, per riconoscere l’albero, è evidente che è troppo facile archiviare con i propri dubbi personali un evento come quello di Medjugorie. Né il Papa regnante ha tenuto in considerazione che a Civitavecchia una statuina della Madonna di Medjugorie ha lacrimato sangue umano – fatto scientificamente attestato e ecclesiasticamente riconosciuto sia dal vescovo locale che dalla Congregazione per la Dottrina della Fede – sicché i suoi personali dubbi dovrebbero perlomeno confrontarsi con questo riconoscimento ufficiale già avvenuto.

Ma è l’espressione usata dal Papa per esternare i suoi dubbi che è perlomeno irriguardosa. Infatti dopo essersi già espresso in tal modo nel 2010, Papa Francesco, nell’incontro colloquiale con i giornalisti sull’aereo di ritorno dal Portogallo, è tornato, con riferimento a Medjugorie, a dire che la Madonna non fa la postina. Papa Bergoglio, vista l’occasione, ha opposto la Madonna di Fatima – che certo non poteva disconoscere pur avendo egli spesso dichiarato la sua allergia alle manifestazioni del soprannaturale (non è tuttavia il primo Papa ad avere tali allergie né sarà l’ultimo) – alla mariofania di Medjugorie ormai in corso da decenni, evidenziandone l’eccessiva durata e la costanza quasi giornaliera delle apparizioni rispetto alla brevità di quelle di Fatima. Da qui quel suo dire “la Madonna non fa la postina”.

Il regnante Pontefice però sembra dimenticare che, invece, è da duemila anni – ad iniziare dalla “venida” durante i primi anni dell’evangelizzazione della Spagna romana tentata da san Giacomo apostolo – che la Santa Vergine fa esattamente e propriamente la “postina di Dio”. Perché questa è la missione escatologica che Suo Figlio le ha assegnato: accompagnare la Chiesa, di cui Maria è Icona, lungo i secoli, in particolare in quelli più recenti e duri, fino alla Parusia finale.

Maria, Icona della Chiesa, è la Donna del Genesi – la Donna il cui piede o, a seconda delle esegesi che però non si escludono ma anzi si includono a vicenda, la cui Stirpe, ossia Cristo, schiaccia la testa ofidica – ed è al tempo stesso, dato che inizio e fine, e ciascuna parte, della Rivelazione biblica si implicano e si richiamano a vicenda, la Donna dell’Apocalisse, Vestita di sole, con la luna sotto i piedi e la corona di dodici stelle sul capo. Maria è Colei che combatte il Drago, ovvero l’antico Serpente edenico, e contro la Quale quest’ultimo, perseguitando la sua discendenza (“Donna ecco tuo figlio, Giovanni ecco tua madre”, Gv. 19,26-27, così Nostro Signore sulla Croce rivolto a Maria), si scaglia nel tentativo di divorare il Figlio della Donna destinato a governare tutte le nazioni e nel tentativo di travolgerla vomitando un fiume d’acqua dalla sua bocca mentre Dio, con ali d’aquila, La protegge portandola nel deserto e nutrendola – chiaro riferimento all’Eucarestia – per un tempo, due tempi e la metà di un tempo (Cfr. Genesi 3, 14-15; Apocalisse capitolo 12).

Per quanto poi riguarda la eccessiva lunghezza delle apparizioni nella località croata non è la prima volta che manifestazioni mariane durino per decenni. Nel XVII secolo si registrano, e furono accreditate dalle competenti autorità ecclesiastiche, le apparizioni di Maria ad un suora che durarono oltre sessant’anni. C’è inoltre da tenere in considerazione un aspetto del tutto in sintonia con il clima escatologico al quale sempre richiamano le apparizioni della Madre di Dio. Stando alle sue stesse parole, agli inizi delle apparizioni in Medjugorie, queste sarebbero le sue ultime manifestazioni. Perché l’umanità sarebbe vicina ad eventi tali da provocare una vera e propria svolta nel mondo con un generale ritorno alla fede e la conversione dell’umanità intera a Cristo. Esattamente il “trionfo del suo Cuore Immacolato” profetizzato a Fatima. Quasi a dire che la sua missione di Madre sarebbe in procinto di compiersi e che per questo la sua presenza va costantemente aumentando di secolo in secolo. Ora questo collima perfettamente con le rivelazioni di un grande apostolo di Maria, san Luigi Maria Grignon de Montfort.

Se si legge la storia in prospettiva teologica è innegabile che stiamo da secoli assistendo ad un intensificarsi della presenza di Maria nelle vicende umane, in coincidenza con i passaggi più cruciali. Attualmente le apparizioni di Maria nel mondo si contano a centinaia e il caso della Bosnia Erzegovina è solo il più famoso tra i tanti.

San Luigi Maria Grignon de Montfort, nel “Trattato della Vera Devozione alla Vergine Maria”, ha annunciato, per divina rivelazione, che la presenza di Maria si sarebbe sempre più intensificata mano a mano che i secoli, dagli anni nei quali egli scriveva, procedevano verso la fine della storia. Il santo credeva quel giorno, la Parusia, non lontano ed indicava nell’illuminismo l’avanguardia delle forze maligne in procinto di scatenarsi. Giovanni Paolo II era favorevole a Medjugorie proprio perché si era spiritualmente formato sull’opera del grande santo settecentesco al quale, oltretutto, va storicamente ascritto il merito della rievangelizzazione, pochi decenni prima della Rivoluzione Francese, delle regioni del nord ovest della Francia. Opera di apostolato che pose le premesse spirituali dell’insorgenza anti-rivoluzionaria della Vandea tra il 1790 ed il 1794.

Dal XVIII secolo di acqua ne è passata sotto i ponti e le cose sono andate in effetti come annunciato dal santo. Senza arrivare ad affermare, come lui, che la fine della storia sia dietro l’angolo (personalmente credo che così non sia e che se la svolta, ripetutamente annunciata dal Cielo, consisterà nel ritorno del mondo alla fede, e non nel Giorno del Giudizio finale), è innegabile che da Guadalupe in poi, la presenza di Maria si è sempre più universalizzata, dando evidente adempimento storico alla rivelazione apocalittica della “Donna vestita di sole”. Prima, nel medioevo, le sue apparizioni erano legate esclusivamente a questioni locali, come una peste, un cattivo raccolto, una faida et similia. Ma dal XVI secolo in poi Maria si mostra sempre più come baluardo – Turris Eburnea come dicono le litanie del santo rosario – a difesa dei suoi figli e della Chiesa di Suo Figlio.

Così, innegabilmente, fino a Fatima ossia un secolo fa, all’inizio del periodo più buio per la Chiesa che dura tuttora. E poi? Assurdamente secondo Papa Bergoglio e molti pseudo-tradizionalisti, suoi detrattori ma in questo convergenti con i suoi personali giudizi, dovremmo ammettere il silenzio mariano più assoluto proprio mentre l’inferno si scatena sulla terra? Allo scrivente sembra una contraddizione ed una tesi insostenibile alla luce della lettura teologica della storia e dell’ultimo libro della Bibbia.

Il silenzio della Madonna dopo Fatima, ossia proprio nel momento forse più apocalittico della storia umana, quando il male è scatenato e non trova più alcun katéchon, sarebbe del tutto assurdo. Domandiamoci: sarebbe conforme questo silenzio al Libro della Rivelazione che annuncia proprio nella “Donna vestita di sole” colei che viene a soccorrere i figli nei momenti di maggior pericolo? Allo scrivente non pare.

San Luigi Maria Grignon de Montfort, tra le altre cose, ha annunciato non solo l’intensificarsi della presenza di Maria mano a mano che, dopo il secolo dei lumi, l’umanità avrebbe avanzato nel suo cammino storico ma che, vicina alla svolta, essa avrebbe assistito – come in effetti sembra stia accadendo proprio in questi decenni nei quali manifestazioni mariane, innumerevoli, sono segnalate a tutte le latitudini – al proliferare contestuale e contemporaneo, per ogni dove, di quella materna presenza.

La Madonna a Medjugorie appare, secondo i veggenti, per la prima volta il 24 giugno 1981 annunciando una guerra locale imminente. In quell’anno il muro di Berlino era ancora saldamente in piedi e nulla faceva presagire il repentino crollo del comunismo di lì a soli otto anni. La Jugoslavia, benché fosse già morto Josepz Tito, era una realtà che appariva, nonostante i problemi economici tipici del socialismo reale, monolitica. Nessuno avrebbe pensato ad un disfacimento della Federazione titina nel risorgere di atavici e feroci odi etnici. Eppure, esattamente dieci anni dopo la prima apparizione di Maria a Medjugorie, ossia il 24 giugno 1991 iniziava il tragico conflitto balcanico, con le sue orrende pulizie etniche, che avrebbe distrutto l’ex Jugoslavia trascinandosi fino alla guerra del Kossovo. Un caso questa coincidenza di date, considerando che ai veggenti dieci anni prima furono anticipate in visione le scene cruenti della guerra imminente, nello scetticismo generale dato il clima politico, apparentemente immodificabile, interno ed internazionale dell’epoca.

Sempre nel 1981, in Ruanda, a Kibeho, la Madonna è apparsa – in questo caso possiamo dirlo con certezza perché il riconoscimento ecclesiale è ufficialmente avvenuto – presentandosi come “Madre del Verbo” ad alcune ragazze africane di una scuola cattolica, mostrando loro in visione i massacri ed il bagno di sangue che esattamente dieci anni dopo lacerarono quel paese nella lotta, di ataviche radici, tra le etnie tutsi ed hutu. Ma in quel 1981 nessuno segno faceva presagire quanto poi sarebbe accaduto e le ragazze veggenti non furono prese in seria considerazione da nessuno.

Dalle parole di Papa Francesco, nella conferenza stampa aerea, è emerso qualcosa dei risultati raggiunti dalla Commissione istituita dal suo predecessore, su Medjugorie, e presieduta dal cardinale Ruini. La relazione di Ruini, come si evince dalle sue stesse dichiarazioni, è problematica e prudenziale, non riconosce né disconosce. Anzi, per la precisine, afferma l’autenticità delle apparizioni nel primo periodo, quello iniziale, mentre sospende, dubbiosamente, il giudizio per il periodo successivo. Come, però si possa tracciare la linea di demarcazione tra primo e secondo periodo è cosa che non ci è dato di sapere, sempre che la Commissione Ruini abbia provato a dare un criterio in proposito. Gli esti ai quali sembra, dunque, sia pervenuta detta Commissione si devono, molto probabilmente, anche a quanto di eccessivo e plateale ha circondato gli eventi di Medjugorie, con gli stessi veggenti che oggi partecipano a raduni di massa così simili a quelli neo-protestanti nello stile dei predicatori cristianisti americani. Se è vero che non è l’abito a fare il monaco, è pur vero che un diverso stile aiuterebbe le competenti autorità ecclesiali a distinguere.

C’è anche chi rimprovera ai veggenti croati la scelta matrimoniale anziché claustrale, come è stato ad esempio per una Bernadette di Lourdes o per una Lucia di Fatima. Ma, questo, è argomento che non regge, sia perché quello matrimoniale e laicale è uno stato di vita legittimo e santificante per la Chiesa, sia perché, proprio oggi che la famiglia è sotto terribile attacco, la scelta dei veggenti sembra del tutto in sintonia con la testimonianza cristiana a favore della santità del matrimonio e della procreazione. Non stava, del resto, scritto da nessuna parte che santa Bernadette o Lucia di Fatima dovessero necessariamente abbracciare la vita claustrale.

Se la Commissione Ruini è stata, a differenza di Papa Francesco, prudente, è bene anche ricordare le innumerevoli volte nelle quali l’iniziale giudizio delle autorità ecclesiali, in apparenza sul momento irrefutabile ed immodificabile, è stato poi cambiato. I casi della vicenda di un san Pio da Pietrelcina e di una suor Faustina Kowalska, inizialmente sospetti al Sant’Ufficio (ossia alla Santa Inquisizione, e si trattava di quella dura preconciliare!), sono lì a ricordarcelo. E non si tratta solo di casi recenti. Problemi con l’Inquisizione li ebbero, giusto per citare solo alcuni casi più lontani nel tempo, anche Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, per non parlare di Santa Giovanna d’Arco. Ma, alla fine, quando è Dio che opera mediante uomini ed eventi, tutto finisce per chiarirsi e la stessa Chiesa, non per niente guidata dallo Spirito Santo, cambia i suoi iniziale giudizi, senza che questo o quel Papa, questo o quel sant’inquisitore, regga o possa opporsi.

Accennavamo a quanto ha finito per circondare gli eventi di Medjugorie danneggiandone l’immagine. Ma non bisogna colpevolizzare i veggenti, che del resto sono uomini e donne di questo tempo e quindi quanto mai esposti alle lusinghe mediatiche che al tempo di Bernadette o dei pastorelli di Fatima non sussistevano, almeno con l’intensità e la forza attuale.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, anche su questo sito, una grande responsabilità per l’alterazione dell’immagine di Medjugorie deve essere attribuita a padre Livio Fanzaga ed alla sua emittente radiofonica. Per essere più precisi, alla deriva che padre Livio ha consentito in senso politicamente strumentale della propaganda mariana dell’emittente di Erba. Emittente, d’altro canto, meritoria per tanti altri aspetti. Ma l’apertura dei microfoni di Radio Maria a personaggi più che dubbi, militanti nell’area catto-conservatrice e spesso neanche cristiani, ha finito, nei recenti anni del pontificato di Papa Wojtila e di Papa Ratzinger, oltretutto a dispetto dell’opera di questi stessi pontefici, per presentare la Madonna di Medjugorie come l’alfiere, soprattutto dopo l’11 settembre letto come apocalittica aggressione all’“Occidente cristiano” (???!!!), delle politiche bushiste, occidentaliste ed americaniste, in nome dello scontro di civiltà con l’islam. In tal modo all’esegesi esclusivamente anti-comunista di Fatima, che si è visto alla lunga non ha retto, padre Livio ed i suoi collaboratori catto-cons hanno finito per sostituire, quasi a nostalgico rimpiazzo, l’esegesi anti-islamica e filo-occidentale di Medjugorie.

Ci chiediamo – e chiediamo a padre Livio Fanzaga – che cosa mai abbia a che fare il messaggio della Regina della Pace, come significativamente si è presentata la Madonna a Medjugorie, con le esternazioni filo-bushiste e guerrafondaie che abbiamo, anni fa, personalmente ascoltato da Radio Maria per bocca di un noto teorico dello scontro di civiltà come il prof. Sorbi?

Su questo sito, il direttore Maurizio Blondet, che non ha propensioni verso i fatti mariani croati, nel 2010, in occasione della prima esternazione di Papa Bergoglio contro Medjugorie, scriveva: «Papa Francesco, come al suo solito per allusioni, ha attaccato le apparizioni di Medjugorje. “Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio e vivono di questo?”, si è domandato derisorio. “Questa – ha affermato – non è identità cristiana”.
Ora, siccome i credenti (fanatici?)   delle apparizioni sono milioni, e il principale è il celebre Padre Livio Fanzaga, inventore, fondatore di Radio Maria per diffondere i messaggi jugoslavi, massimo cultore dei “veggenti”, posso immaginare e compatire il suo sgomento. Aggiungo che ho stima di padre Livio quando fa’ il catechista; quando pretende di fare il giornalista, è un assoluto succube alla “narrativa” ebraico-neocon e americanista, filo-israeliano forsennato .
In più, fino ad oggi, è stato un esaltatore del Papa Bergoglio, fino a fare epurazioni, a Radio Maria, dei suoi critici (Palmaro e Gnocchi anzitutto
, ma non solo). In una Chiesa rimasta quasi senza fedeli, dove i fervorosi e i semplici sono quasi tutti medjugorjani (ed effettivamente dopo aver “visto Medjugorje” pregano e digiunano), si ammetterà che è interessante seguire quel che viene “dopo” il bombardamento papale dei veggenti, allusivamente accusati di lucrarci (“…E vivono di questo”), sfruttando la credulità dei tanti ingenui: un’accusa di simonìa bella e buona, un peccato mortale. Non c’è male, per un Papa che dichiarò, su altri, “chi sono io per giudicare?”».

Ed ora, come si sentirà padre Livio Fanzaga dopo la nuova, poco pontificale, esternazione di Papa Bergoglio su Medjugorie? Forse è il caso che faccia una profonda riflessione sulle proprie responsabilità per aver contribuito, con la sua emittente manipolata da lobby catto-conservatrici milanesi, a portare le cose a questo punto con il fare della Santa Vergine la “crociata” e la “protettrice” dell’“America cristiana”.

Padre Livio e la sua emittente sono stati la rovina della spiritualità mariana con il loro uso filoccidentale della Madonna. Uso eguale a quello che i fatimiti, ad iniziare dalla Tfp, hanno sempre fatto, in senso esclusivamente anticomunista di Fatima (ora, però, che in Russia non c’è più Stalin ma Putin, il quale venera e bacia le icone, le difficoltà esegetiche dei fatimiti e dei tradizionalisti “americani” sono evidentissime).

Resta, ora, al di là delle responsabilità di chi ha gestito i contorni della mariofania di Medjugorie in modo inappropriato, il fatto che l’attuale Papa, benché con giudizio personale, ha “scomunicato” l’evento. La gente, infatti, non distingue tra dichiarazione ufficiale ed una mera considerazione privata del Papa. La pubblicità che Papa Bergoglio ha dato alle sua personale dichiarazione farà in modo che – salvo diverso e sicuro intervento del Cielo – Medjugorie rimarrà bloccata chissà per quanto tempo, proprio mentre maggiormente la Chiesa ha bisogno di Maria. La Quale, d’altro canto, continuerà ad operare nei cuori inviando da buona “Postina di Dio” i suoi messaggi quotidiani, checché ne pensi, quale giudizio personale e dunque non obbligante, il Papa.

Papa Bergoglio non ha improvviso quella irrisoria definizione. Nel suo libro intervista, col rabbino suo amico Abraham Skorka, ha dichiarato: «Provo un’immediata diffidenza davanti ai casi di guarigione, persino quando si tratta di rivelazioni o visioni; sono tutte cose che mi mettono sulla difensiva» E a proposito di veggenti e segreti: «Dio non è una specie di Correo Andreani [noto corriere espresso argentino, nda] che manda messaggi in continuazione …».

Eppure, Dio parla all’uomo da sempre, in continuazione, sin dal Giardino dell’Eden. E piuttosto l’uomo che non Lo ascolta. Ed lascia l’amaro in bocca sentire un Papa esprimersi in tal modo. Perché una cosa è la prudenza che la Chiesa ha sempre praticato per discernere il vero dal falso soprannaturale – fino, come si è detto, a sottoporre a processo inquisitorio anche futuri esempi e modelli universali di santità, poi riconosciuti come tali – ed altra cosa è il disprezzo, la chiusura preventiva, che da certe esternazioni potrebbe – si badi: è un condizionale! – dedursi.

Non possiamo, d’altro canto, dimenticare che anche un grande pontefice come Pio XI aveva i suoi dubbi su Fatima, che però poi in sintonia con lo Spirito ha finito per avvallare con la sua autorità di Pontefice, e che soleva lamentarsi che se la Madonna aveva qualcosa da dire all’umanità avrebbe dovuto dirlo direttamente a lui, il Vicario di Cristo. Orgoglio clericale o papale? Oppure incapacità “razionalista” (esiste un razionalismo anche teologico) di ammettere una presenza costante ed operativa del Cielo nelle vicende umane?

Quando Bergoglio dice che la parola definitiva di Dio è Gesù dice sicuramente una cosa sacrosanta ma bisogna fare attenzione perché tale affermazione potrebbe essere intesa anche in modo protestante. Infatti per i protestanti la venerazione per la Santa Vergine è idolatria e la mariologia è il cancro del cattolicesimo. In nome del dialogo ecumenico con i “fratelli separati”, al quale, come il ricorrente cinquecentenario luterano ha dimostrato, Papa Bergoglio tiene molto ed in modo succube, si è accettato per decenni di passare sotto silenzio Maria ed il suo ruolo “apocalittico”, ossia rivelatorio nel senso di guida materna del popolo di Dio nell’adempimento della Rivelazione dal Golgota alla Parusia.

La Chiesa, comunque, come non obbliga a credere quando riconosce, come per Lourdes e Fatima, neanche obbliga a negare risolutamente quando non riconosce o quando sospende il giudizio. E’ la grande libertà che Santa Madre Chiesa, fermo il dogma, concede ai suoi figli.

Bergoglio – in questo in controtendenza con i suoi due ultimi predecessori – sembra invece per niente problematico e poco prudente. Secondo il suo atteggiamento sovente frettoloso che tante gaffe gli ha fatto inanellare. Alla fine, riconoscimento o meno, il culto mariano in Bosnia continuerà. Lì, come già accennato, ci sono stati già fatti su cui la scienza non sa dare spiegazioni e molti vi hanno ritrovato la fede. Milioni di persone vi hanno cercato quella Pace e quel senso di Mistero che il razionalismo ecclesiale modernista non sa più dare loro. Fosse solo per queste cose, Bergoglio dovrebbe essere molto più prudente e non uscirsene con ridicolezze come “la Madonna non fa la postina” solo perché qualche donna del popolo gli ha raccontato, con il trasporto esagerato dell’entusiasmo popolare, che la Vergine consegna ogni giorno alle quattro del pomeriggio una lettera. Non stanno così le cose e lui lo sa benissimo. Se non gli piacciono le manifestazioni del soprannaturale – infatti ha praticamente nascosto un miracolo eucaristico, passato positivamente al rigoroso vaglio della scienza, avvenuto in Argentina nella sua diocesi – è un problema suo. Ma non ha nessun diritto di confondere i fedeli approfittando del suo ruolo pontificale.

Fare il Papa è una grandissima responsabilità di cui bisogna rendere conto di fronte a Dio in un modo tutto particolare e più alto dei semplici fedeli. Ecco perché Bergoglio farebbe bene ad essere più prudente. In questa occasione come in altre.

Luigi Copertino

     



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/06/2017 08:29
 
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LE BATTUTE DEL PAPA

 




Con Papa Francesco le cose nella comunicazione sono cambiate. Egli si riserva la libertà di parlare a ruota libera, di entrare in dibattiti e spesso anche di aprirli. E' il metodo della Tertulia, la conversazione in cui si lanciano delle idee anche non verificate. Ma porta a molte incomprensioni e strumentalizzazioni che necessiterebbero di un "guardiaspalle".



di Robi Ronza






Roma locuta, causa soluta” (Roma ha parlato, la questione è risolta): da secoli si era abituati e fermi nell’idea – sintetizzata in tale motto latino - che il Papa parlasse in pubblico solo in modo ufficiale; e che mai aprisse dibattiti,  ma nei dibattiti entrasse soltanto per concluderli.  Con Papa Francesco le cose sono cambiate. Egli si riserva anche la libertà di parlare a ruota libera, di entrare in dibattiti e spesso anche di aprirli. Teniamone conto.

Questo modo di fare può apparirci talvolta imbarazzante. Rispetto però alla Chiesa, e al valore originario ed essenziale della sua unità attorno a Pietro, tutti questi nostri disagi e imbarazzi sono  bruscolini. Più importante allora è comprendere i criteri alla base del modo di comunicare di questo Papa. Con Francesco è giunta alla ribalta del mondo, e prima ancora della Chiesa universale, la tradizione tipicamente ispanica della “tertulia”, della conversazione in cui si lanciano delle idee anche non verificate, attendendosi che poi escano chiarite dal confronto tra i vari interlocutori.

Beninteso, Francesco non fa di certo solo della “tertulia”. La maggior parte dei suoi discorsi pubblici sono papali nel senso più consolidato della parola. Certe sue conferenze stampa sugli aerei, che lo riportano a Roma dalle sue visite apostoliche nel mondo, sono invece chiaramente ispirate allo stile della “tertulia”. E lo stesso si può dire di alcuni passaggi delle sue Esortazioni, che per l’appunto non sono delle Encicliche. 

Facciamo un caso, che deliberatamente scegliamo tra quelli che non hanno rilevanza per la fede e la dottrina della Chiesa. Nel gennaio scorso fece il giro del mondo il passaggio di un’intervista al Papa al quotidiano spagnolo El País in cui egli diceva tra l’altro che quella di Hitler “fu una elezione democratica, non una imposizione. Il popolo lo votò e lui lo portò alla distruzione. Questo è il pericolo che si può correre ancora oggi".

Ebbene, non fu affatto così: Hitler diventò cancelliere del Reich e poi dittatore non per volontà popolare, ma scavalcando il Parlamento democraticamente eletto, dove i nazisti mai ottennero la maggioranza dei seggi. Se mai si fosse dovuto citare questo dato in un documento o discorso ufficiale, di certo Papa Francesco o i suoi collaboratori avrebbero controllato la notizia evitando così di accreditare un’informazione sbagliata, peraltro oggi molto diffusa.

Nel suo stile però in questo caso ciò non era evidentemente necessario. Gli interessa la sostanza delle questioni, e di raggiungere il cuore di quanta più gente possibile; ogni altro dettaglio gli interessa molto meno. Teniamo dunque conto di questo suo stile.

La frase, aggiungiamo, è tratta da un’intervista in cui veniva chiesto al Papa un giudizio sul nuovo presidente americano, Donald Trump, che si era allora appena insediato. Francesco risponde “Si vedrà. Vedremo ciò che fa e allora valuteremo”. Poi però continua osservando "Nei momenti di crisi si perde la lucidità di ragionamento (…). Cerchiamo un salvatore che ci ridia una identità e la difendiamo con ogni mezzo (…). E questo è grave". Fa quindi l’esempio della Germania degli anni ’30 del secolo scorso "Una Germania distrutta che vuole rialzarsi, che cerca una identità, un leader, qualcuno che le restituisca l'identità e si affida a un giovanotto che assicura poterlo fare, Hitler". Prosegue poi dando per buona l’informazione sbagliata di cui si diceva, ossia che Hitler sarebbe stato eletto cancelliere e poi dittatore dal popolo. 

 

In effetti tutto ciò che ha fatto seguito alla prima frase (“Si vedrà. Vedremo ciò che fa e allora valuteremo”) era “tertulia”, ma è stato una manna per El País, vassallo spagnolo del New York Times, il capofila dei giornali Usa schierati a testa bassa contro Trump. A questo punto El País ha potuto cercare di far passare l’idea che per Francesco Trump fosse una specie di reincarnazione di Hitler. Non sorprende - osserviamo concludendo - che qualcuno cerchi per interessi suoi di tirare Francesco dalla sua parte. E non sorprende nemmeno che il Papa scelga di non perdere tempo a correggere le interpretazioni in mala fede che vengono date delle sue parole. Sorprende però che non abbia qualcuno che - come Joaquín Navarro Valls ai tempi di Giovanni Paolo II – gli copra le spalle. Ne avrebbe urgentemente bisogno. 




Fraternamente CaterinaLD

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  • MOTU PROPRIO


Famiglia, attacco all'eredità di Giovanni Paolo II



Un nuovo Motu Proprio - Summa Familiae Cura - dà l'assalto all'Istituto per il Matrimonio e la famiglia creato da san Giovanni Paolo II, che cambia denominazione e status. Un forte segnale di discontinuità che sottolinea la totale diversità di giudizio, rispetto a Giovanni Paolo II, sulla realtà attuale della famiglia e della società e sul compito della Chiesa.

di Riccardo Cascioli

«Con il presente Motu proprio istituisco il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che, legato alla Pontificia Università Lateranense, succede, sostituendolo, al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia (…) il quale pertanto, viene a cessare». L’articolo 1 del Motu Proprio Summa Familiae Cura, pubblicato ieri, sancisce così un altro atto di rottura con il Magistero di san Giovanni Paolo II che l’Istituto aveva creato nel 1982 con la Costituzione apostolica Magnum Matrimonii Sacramentum. Significativamente il documento porta la data dell’8 settembre, due giorni dopo la morte del cardinale Carlo Caffarra che, su incarico di Giovanni Paolo II, l’Istituto per gli Studi su matrimonio e Famiglia aveva fondato.

Sebbene nel Motu Proprio papa Francesco si ricolleghi alla «lungimirante intuizione di san Giovanni Paolo II», è evidente il segnale di forte discontinuità con il passato, anche se poi – va precisato – quello sancito ieri è ancora un passaggio, visto che la vera battaglia si giocherà ora sugli statuti dell’Istituto Teologico, che decideranno eventuali cambiamenti nella struttura dei corsi, nelle materie insegnate e nei docenti. Fino ad allora la vita dell’istituto dovrebbe continuare con gli stessi docenti e gli stessi corsi svolti finora, secondo quanto afferma il Motu Proprio e secondo quanto assicurato da monsignor Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere dell’Istituto, nell’assemblea in cui ha presentato in anteprima il documento al corpo docente. Nessuno però si fa troppe illusioni, la determinazione a cambiare indirizzo politico costituirà una forma di pressione sugli attuali docenti, in massima parte “figli” di Giovanni Paolo II e del cardinale Caffarra, a cui si cercherà di affiancare qualche altro nuovo docente almeno fino alla battaglia decisiva.

Quanto ai contenuti è evidente che l'esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia è diventata il paradigma di ogni intervento, con la sua accentuazione pastorale e il costante riferimento ai segni dei tempi con non meglio precisate «richieste e appelli dello Spirito» che «risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia». E mentre la Amoris Laetitia è fondamento del nuovo corso, sparisce dall’atto costitutivo del nuovo istituto qualsiasi riferimento all’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, che era stata invece indicata come risposta adeguata ai tempi attuali da san Giovanni Paolo II.

Del resto la retorica sui tempi che sono cambiati e le sfide nuove che necessitano di «un approccio analitico e diversificato» per cui non è più possibile proporre «pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato», non reggono alla prova della realtà.  Rileggendo la Magnum Matrimonii Sacramentum che aveva creato l’Istituto per Matrimonio e Famiglia – e più in generale ripercorrendo il magistero di Giovanni Paolo II - è evidente che le situazioni di disagio e il disfacimento della famiglia erano ben presenti e dibattute anche 30 anni fa.

Ciò che davvero fa la differenza è il giudizio sul mondo e sul compito della Chiesa. San Giovanni Paolo II aveva una chiara coscienza di un attacco in corso alla famiglia che assume i contorni dello scontro apocalittico. «La grandezza e la sapienza di Dio – diceva nel 1997 – si manifestano nelle Sue opere. Tuttavia, oggi sembra che i nemici di Dio, più che attaccare frontalmente l’Autore del creato, preferiscano colpirLo nelle sue opere. L’uomo è il culmine, il vertice delle Sue opere visibili. (…) Tra le verità oscurate nel cuore dell’uomo (…) sono particolarmente colpite tutte quelle che riguardano la famiglia. Attorno alla famiglia e alla vita si svolge oggi la lotta fondamentale della dignità dell’uomo». In tutto il magistero di Giovanni Paolo II è evidente il riconoscere la centralità della famiglia per il bene dell’uomo, famiglia sottoposta a violenti attacchi dalle «forze delle tenebre» che ne offuscano la verità causando quella devastazione sociale che ben conosciamo.

Di questa centralità della battaglia intorno alla famiglia e all’uomo si perde invece qualsiasi riferimento nella pastorale oggi proposta. Rimane la consapevolezza che «il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa», ma è una affermazione estranea a qualsiasi clima di conflittualità. Non c’è più un “mondo” ostile che vuole la distruzione della famiglia, ma tanti feriti, anche se non si sa bene da chi e perché.

Ben diversa si presenta dunque anche la missione della Chiesa. Per Giovanni Paolo II la creazione dell’Istituto per studi su Matrimonio e famiglia faceva parte di quel dovere fondamentale della Chiesa «di dichiarare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia, di cui è tenuta ad assicurare il pieno vigore e la promozione umana e cristiana». Davanti all’attacco del mondo Giovanni Paolo II voleva formare un piccolo corpo speciale che approfondisse in modo scientifico «la verità su matrimonio e famiglia» così che «laici, religiosi e sacerdoti possano ricevere in materia una formazione scientifica sia filosofica-teologica, sia nelle scienze umane, in maniera che il loro ministero pastorale ed ecclesiale venga svolto in modo più adatto ed efficace per il bene del Popolo di Dio».

Oggi tutto diventa più sfumato, si parla di complessità e di «luci e ombre», l’affermazione della verità su matrimonio e famiglia viene considerata “divisiva”, creatrice di muri, per cui si preferisce allargare il discorso. Lo ha detto monsignor Paglia a Vatican Insider: «il Papa allarga la prospettiva» perché «ha ben compreso il compito storico della famiglia, sia nella Chiesa che nella società. E la famiglia non è un ideale astratto, ma una realtà maggioritaria della società, che deve riscoprire la sua vocazione nella storia». Dietro alla cortina fumogena di frasi a effetto, è chiara la questione: la verità su matrimonio e famiglia è un ideale astratto, bisogna mettersi in cammino con tanti altri alla riscoperta di ciò che può andare bene a tutti. È questo pensiero che spiega, ad esempio, come mai le nuove nomine nella Pontificia Accademia per la Vita includano personaggi favorevoli all’aborto o che fanno ricerca sugli embrioni, e spiega anche quale indirizzo si voglia dare al nuovo Istituto teologico per le Scienze su Matrimonio e Famiglia.

Sì, Giovanni Paolo II è stato fatto santo, ma si cerca di distruggere tutte le sue opere.




- IL DOCUMENTO IN SINTESIa cura di Lorenzo Bertocchi

Con la lettera apostolica in forma di Motu proprio Summa familiae cura, papa Francesco rifonda l’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. L’istituto voluto dal santo papa polacco fu definito nel 1982 e affidato, come primo preside, alle cure del cardinale Carlo Caffarra, oggi apparentemente cambia solo il nome, in realtà muta anche l’orizzonte di riferimento.

LA LINEA DI AMORIS LAETITIA

Le parole del Motu proprio chiariscono subito che come Giovanni Paolo II diede seguito al Sinodo sulla famiglia del 1980 con la costituzione dell’Istituto, così ora, dopo il doppio sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015, papa Francesco ritiene di rifondarlo e rinominarlo. Non sarà più  Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ma è Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, legato alla Pontificia Università Lateranense.

Il doppio sinodo sfociato nell’esortazione Amoris laetitia, si legge nel testo, «ha portato la Chiesa a una rinnovata consapevolezza del vangelo della famiglia e delle nuove sfide pastorali a cui la comunità cristiana è chiamata a rispondere». Secondo i cardini della «conversione pastorale» e della «trasformazione missionaria della Chiesa», indicati in Evangelii gaudium, il documento programmatico del papato di Bergoglio, «anche a livello di formazione accademica, nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia  non vengano mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità».

E’ l’approccio presente in Amoris laetitia, quello di una maggiore attenzione alle sfide per una “Chiesa in uscita”, piuttosto che alla dottrina. Questo, in estrema sintesi, è il nuovo orizzonte che il Papa ha voluto indicare all’Istituto rifondato. «Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato».

AMPLIAMENTI

«Sono venuto alla deliberazione di istituire un Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, ampliandone il campo di interesse», scrive papa Francesco, «sia in ordine alle nuove dimensioni del compito pastorale e della missione ecclesiale, sia in riferimento agli sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica in un campo così fondamentale per la cultura della vita».

Sarà molto importante capire come i nuovi statuti che dovranno essere approvati specificheranno meglio quali siano queste «nuove dimensioni del compito pastorale» e a quali «sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica» si farà riferimento. Per ora queste parole sono sufficientemente vaghe per potervi intendere molte realtà e significati, tutti da scoprire nei futuri programmi e insegnamenti.

Secondo quanto dichiarato da monsignor Vincenzo Paglia, il Gran Cancelliere dell’Istituto, quello di papa Francesco è un rilancio  che amplia la prospettiva, passando da una focalizzata solo sulla teologia morale e sacramentale, ad un'altra che includa anche quella «biblica, dogmatica e storica, che tiene conto delle sfide contemporanee».

Se leggiamo oggi le parole che papa Francesco scrisse nell’estate 2016 nel chirografo riservato a monsignor Paglia per la doppia nomina a Gran Cancelliere dell'Istituto Giovanni Paolo II e a presidente della Pontificia Accademia per la Vita, possiamo capire come il progetto di rifondazione dell’Istituto abbia una genesi tracciata da tempo. «Dal Concilio Ecumenico Vaticano II ad oggi», scriveva Francesco a Paglia, «il Magistero della Chiesa su tali temi si è sviluppato in maniera ampia ed approfondita. E il recente Sinodo sulla Famiglia, con l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, ne ha ulteriormente allargato e approfondito i contenuti. È mia intenzione che gli Istituti posti sotto la tua guida si impegnino in maniera rinnovata nell’approfondimento e nella diffusione del Magistero, confrontandosi con le sfide della cultura contemporanea».

ALCUNE CARATTERISTICHE

All’art. 3 si sottolinea «lo speciale rapporto del nuovo Istituto Teologico con il ministero e il magistero della Santa Sede» che sarà « avvalorato dalla privilegiata relazione che esso stabilirà, nelle forme che saranno reciprocamente concordate, con la Congregazione per l’Educazione Cattolica, con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e con la Pontificia Accademia per la Vita».

Il “nuovo” istituto teologico «ha la facoltà di conferire iure proprio ai suoi studenti i seguenti gradi accademici: il Dottorato in Scienze su Matrimonio e Famiglia; la Licenza in Scienze su Matrimonio e Famiglia; il Diploma in Scienze su Matrimonio e Famiglia».

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A colpi di motu propri papa Francesco legittima la “sua Chiesa”

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Arriva Summa Familiae cura per distruggere definitivamente la Familiaris consortio. Del resto, Giovanni Giolitti († 1928) cinicamente ma realisticamente sentenziava: «Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano».

Estate infuocata, come abbiamo raccontato qui, analizzando le notizie di cronaca papale. E se durante la siccità l’unico fluido è stato un magistero estivo caldo e soffocante, ora con l’arrivo delle bombe d’acqua, nubifragi e l’allerta arancioni, ci ritroviamo con uno tsunami di Motu Propri atti a mettere la parola fine alla vera dottrina della Chiesa Cattolica.

Non ci soffermeremo sulla questione liturgica recentemente discussa da un altro MP di Bergoglio e abilmente trattato dal domenicano padre Riccardo Barile, vedi qui e pure qui, piuttosto vogliamo soffermarci sul MP uscito proprio stamani e che riguarda la Famiglia – clicca qui – Summa Familiae cura, un vero suffragio (si fa per dire, sic!) alla memoria di San Giovanni Paolo II e del cardinale Caffarra…. ed è forse meglio dire che è questo una lapide tombale alla Familiaris Consortio.

L’ultimo incontro fra il card. Caffarra e papa Bergoglio. Un abbraccio di circostanza davanti alle telecamere.

Perché parliamo di lapide tombale? Perché mentre la Familiaris Consortio è una esortazione apostolica, documento magisteriale papale a seguito di un sinodo e dunque di carattere pastorale, il Motu Proprio ha valore esecutivo e legale, è, in un certo senso, più canonico, più importante ai fini della sua applicazione e perché obbliga i cattolici alla sua applicazione.

E’ interessante che tranne per un passaggio, il resto del MP cita se stesso… cioè, Papa Francesco, pur ribadendo di restare nel solco della Familiaris Consortio, in realtà cita se stesso per affondarla, ecco un passaggio inquietante ed aberrante: “Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato. Dobbiamo essere interpreti consapevoli e appassionati della sapienza della fede in un contesto nel quale gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali, nella loro vita affettiva e familiare. Nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre…”.

Abbiamo inteso bene? Forme e modelli del passato? Perché quanti ce n’erano?? aiutateci a capire!! L’unica forma e modello del passato – e biblico – è uno solo: uomo+donna=famiglia, figli…. (e per i battezzati, naturalmente, un solo Sacramento del Matrimonio). Esiste forse una “pratica della pastorale e della missione” del passato che riflettono altri modelli? Dunque, afferma el Papa Francisco, che dobbiamo – dovremmo… – farci interpreti e consapevoli DI NUOVE FORME E MODELLI… e come al solito, senza specificare mai di cosa si tratta.

Ci domandiamo, leggendo il Documento: se dobbiamo rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dove sta scritto, nei Vangeli, che esistono altri modelli ed altre forme di FAMIGLIA? La Divina Famiglia non è forse il modello e la forma che Dio stesso scelse per darcene testimonianza? Luci ed ombre ci sono sempre state nella vita degli uomini single, come nella famiglia, negli sposati, nelle storie dei fidanzati, nelle storie dei consacrati, ma forma e modello è sempre stato uno solo.

Non si può rimanere “nel limpido proposito” di piacere a Dio se, sotto, sotto, si impone ai fedeli, si impone alle future generazioni, si impone alle nuove catechesi e ai preti che esistono altre forme ed altri modelli di famiglia, perché questo è FALSO! E ben profetizzava il Patriarca di Venezia nel 1883, mentre difendeva già allora l’Istituto della Famiglia espresso dall’allora Pontefice Leone XIII, e affermava: “Solo rimedio a tutto questo noi lo vediamo nei santi principi, onde la famiglia fu rialzata e ristorata da Gesù Cristo; nel Sacramento che dà la grazia necessaria agli sposi per mantenersi reciprocamente quell’ affetto che diventa un dovere…” clicca qui per il testo.

E se qualcosa vi fosse ancora sfuggito, ecco la marchetta che definiamo essere la lapide tombale sia sulla Familiaris Consortio sia sul cardinale Caffarra dal momento che, tutto il suo accurato magistero in materia, è ora legalmente sepolto, ecco le parole del MP: “Con il presente Motu proprio istituisco il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che, legato alla Pontificia Università Lateranense, succede, sostituendolo, al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, stabilito dalla Costituzione apostolica Magnum Matrimonii sacramentum, il quale pertanto, viene a cessare. Sarà, comunque, doveroso che l’originaria ispirazione che diede vita al cessato Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia continui a fecondare il più vasto campo di impegno del nuovo Istituto Teologico, contribuendo efficacemente a renderlo pienamente corrispondente alle odierne esigenze della missione pastorale della Chiesa…”.

Capito bene?  Il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, voluto da San Giovanni Paolo II che mise a capo il cardinale Caffarra, il quale si oppose alle derive dottrinali dei due recenti sinodi sulla Famiglia, è oggi sostituito da Papa Francesco con nuove norme e nuove dottrine. E si legge anche la presa per i fondelli, laddove si dice che “l’ispirazione che diede vita all’Istituto” deve continuare a fecondare… ma fecondare che cosa? Il cambiamento antropologico-culturale della Famiglia… è ovvio! Ed è altrettanto ovvio che non era questo lo spirito con il quale venne fondato l’originario Istituto, non è questa la dottrina della Chiesa sulla Famiglia.

Oggi è Memoria delle Apparizioni de La Salette, a Maria Santissima, Regina della Famiglia, quella voluta e fondata da Dio, quella che è sempre è stata e sempre sarà fino alla fine del mondo, illumini il Clero e i Vescovi, e aiuti noi piccolo gregge nella resistenza e nella buona battaglia contro l’eresia.

IPXE DIXIT

«Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo» (Nostra Signora di La Salette, 19 settembre 1846).

«Verranno mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso… I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne» (Santa Giacinta Marto di Fatima, “Le memorie di Suor Lucia Dos Santo”).

«Lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio»(Suor Lucia Dos Santos in una lettera al card. Carlo Caffarra).

«La Chiesa di Roma corre il rischio di spaccarsi in due… False teorie sull’Eucaristia, sui sacramenti, sulla dottrina, sul sacerdozio, sul matrimonio e sulla procreazione dei figli. Essi vengono traviati e tentati dallo spirito della falsità, da satana e dal modernismo. La dottrina divina e le leggi valgono per tutte le epoche e sono come nuove per ogni tempo. (…) La Chiesa di Roma deve rimanere la Chiesa di Roma» (Nostra Signora di Amsterdam, 31 maggio 1965).

«Quello che ho sognato non si avveri mai, è troppo doloroso e spero che il Signore non permetta che il Papa neghi ogni verità di fede e si metta al posto di Dio. Quanto dolore ho provato nella notte, mi si paralizzavano le gambe e non potevo più muovermi, per quel dolore provato nel vedere la Chiesa ridotta a un ammasso di rovine» (Bruno Cornacchiola, 21 settembre 1988.  “Il veggente. Il segreto delle Tre Fontane”, di Saverio Gaeta, Salani editore).

«Le tenebre di Satana stanno oscurando ormai tutto il mondo e stanno oscurando anche la Chiesa di Dio. Preparatevi a vivere quanto io avevo svelato alle mie piccole figlie di Fatima»(Nostra Signora di Civitavecchia, 19 settembre 1995).



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Nessun monumento a nessuno quando si citano sante persone che ci aiutano a comprendere dove alberga il vero nessun "mi piace".... ma tutto deve svolgersi PER LA GLORIA DI DIO CHE E' VIA VERITA' E VITA.... se non leggiamo certi interventi in questo modo, evitiamo allora anche di parlarne per evitare di entrare a far parte di certe TIFOSERIE che non fanno bene neppure alla causa di Dio, ma soltanto soddisfazione al nostro ego smisurato e alle nostre opinioni personali..... In questo articolo mons. Livi spiega la situazione e spiega il VERO CONTENUTO della Lettera al Papa.... io lo condivido perché amo la Verità!  http://www.lanuovabq.it/it/correzione-al-papa-la-verita-che-i-lettori-meritano 


Focus


Caro direttore,

immagino che i lettori (ma anche alcuni tuoi collaboratori), vedendo la mia firma in calce alla Correctio filialis” , si siano domandati se questa mia iniziativa sia in linea con quanto vado scrivendo da anni nei miei libri, negli articoli di riviste scientifiche e anche in tanti articoli che tu mi hai chiesto e hai pubblicato nella NBQ. So peraltro che molte interpretazioni giornalistiche dell’evento lo caricano di connotazioni negative: si parla di un «affronto al Papa», di un «gesto di ribellione» eccetera. Soprattutto, da parte di chi non ha alcun reale interesse per ciò che concerne la fede cattolica, si trascura il contenuto propriamente dottrinale del documento, limitandosi a inquadrarlo nella lotta intra-ecclesiale tra conservatori e progressisti. Io avrei partecipato dunque a un atto eversivo, gravemente lesivo dell’unità della Chiesa sotto la guida del supremo Pastore. Le cose non stanno affatto così, e i lettori della NBQ meritano un’informazione più veritiera, sia riguardo al documento in sé che riguardo al fatto che io lo abbia firmato. Cerco di chiarire tutto per ordine.

1) Io personalmente ho firmato quel documento per un motivo esclusivamente teologico-pastorale, ossia per quell’impegno apostolico che san Giovanni Paolo II chiedeva a tutti i cattolici nel motu proprio Ad tuendam fidem  (18 maggio 1998). Altri lo avranno fatto per altri motivi e in rappresentanza di ambienti e schieramenti ecclesiali che si autodefiniscono “tradizionalisti”. Io invece parlo e scrivo a nome della Chiesa, se si tratta di comunicare la fede nella catechesi e nell’insegnamento della teologia; se poi si tratta di esporre, non il dogma ma delle ipotesi di interpretazione del dogma (ossia, delle opinioni), parlo a nome mio personale, senza mescolare la certezza assoluta della fede con le certezze relative delle ideologie.

Per questo, io non sono mai stato e continuo a non essere un conservatore e nemmeno un tradizionalista. Rispetto chi ama etichettarsi ed essere etichettato così ma a me basta e avanza la qualifica di cattolico. Sono semplicemente un cattolico che studia da tutta una vita la verità della fede cristiana, la trasmette attraverso il suo ministero sacerdotale, ne mostra il mirabile progresso storico (giustamente denominato «evoluzione omogenea del dogma»), allo stesso tempo che ne combatte le adulterazioni secolaristiche e anche i riduzionismi ideologico-politici , non importa se di stampo conservatore o di stampo progressista (lo sanno bene i molti lettori del mio trattato su Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca filosofia religiosa, ormai giunto alla terza edizione).

2) Quel documento io l’ho attentamente letto in bozza prima di apporre la mia firma, e l'ho anche corretto in alcune espressioni che ritenevo improprie. Alla fine mi è sembrato opportuno, nel momento presente, rivolgere questo accorato appello al Papa affinché metta un freno, per quanto è in suo potere, alla deriva antidogmatica di certa teologia tendenzialmente eterodossa (da Karl Rahner e Teilhard de Chardin a Hans Küng e Walter Kasper), che è diventata egemone nei centri di formazione ecclesiastica, nell’episcopato cattolico, e persino nei dicasteri pontifici, arrivando a inquinare il linguaggio e i riferimenti teologici di taluni documenti del magistero pontificio, come è avvenuto con l’esortazione apostolica Amoris laetitia.

3) E’ lecito un appello del genere, sia pure nei termini rispettosi con cui è stato redatto e consegnato al Papa? Certamente è moralmente lecito e canonicamente legittimo. Esso, infatti, contrariamente a come è stato presentato da commentatori poco attenti o inclini al sensazionalismo, non intende accusare il Papa di eresia ma lo richiama rispettosamente a non favorire ulteriormente la deriva chiaramente ereticale che inquina la vita della Chiesa. Il che significa, in pratica, chiedergli rispettosamente la rettifica di alcuni suoi indirizzi pastorali che sono risultati ambigui o fuorvianti, soprattutto perché contrari a una tradizione dogmatica e morale ormai consolidata, fatta propria dal magistero solenne e ordinario dei suoi immediati predecessori.

Insomma, la “Correctio filialis” non afferma che il Papa sia incorso in eresia con atti interpretabili come vero e proprio magistero pontificio (quello che viene denominato «magistero ordinario e universale»); non afferma cioè che nelle sue encicliche e nell’esortazione apostolica post-sinodale sia rilevabile qualche eresia propriamente detta, ossia un insegnamento dogmatico materialmente incompatibile con la fede già definita dalla Chiesa. Se la “Correctio filialis” contenesse siffatta accusa, io non l’avrei certamente sottoscritta. Io l’ipotesi di un Papa eretico l’ho energicamente respinta in un libro pubblicato di recente (Teologia e Magistero, oggi, Leonardo da Vinci, Roma 2017), adducendo argomenti che ritengo teologicamente inoppugnabili, anche in polemica con alcuni studiosi che pure sono firmatari della “Correctio filialis” (ad esempio, Roberto de Mattei).  

La “Correctio filialis” afferma invece che la prassi pastorale del Papa sta contribuendo alla diffusione delle eresie, sia per gli argomenti che adopera nei suoi discorsi e documenti (argomenti chiaramente desunti da consiglieri ben noti per la loro cattiva dottrina), sia per le sue decisioni di governo (nomine di alcuni e dimissioni o allontanamento di altri) che finiscono per conferire potere e prestigio nella Chiesa ai teologi che tali eresie da tempo insegnano, mentre allontana da sé e dai dicasteri della Santa Sede i teologi di retto criterio.

4) Chi dà a me e tutti gli altri firmatari il diritto di rivolgere questo appello al Papa? Non sarà eretico proprio il fatto di contraddire l’insegnamento di un Papa o negare la sua autorità dottrinale? No, non è un atto eretico, perché c’è eresia solo dove si contraddice formalmente un dogma, e con quelle osservazioni critiche della “Correctio filialis” non si contraddice alcun dogma formulato da papa Francesco né alcuna dottrina morale da lui proposta come verità che obblighi tutti i cattolici a ritenerla irreformabile. La “Correctio filialis” denuncia proprio il contrario, cioè il fatto che alcune indicazioni pastorali di papa Francesco rimettono in discussione la dottrina che i suoi predecessori avevano proposto come verità ormai definita.

5) Ora, richiamare l’attenzione del Papa sull’effetto nocivo che questa prassi – anche se probabilmente dettata da buone intenzioni pastorali – sta producendo nell’opinione pubblica cattolica non è offensivo nei riguardi del Papa e non nasce da presunzione o spirito di polemica o di divisione. Si tenga presente che la prassi dell’autorità ecclesiastica è fatta di decisioni prudenziali, che possono essere giudicate (da Dio) più o meno sagge e opportune, ma si possono sempre rettificare alla vista dei loro effetti. Ho detto che solo Dio è giudice di queste azioni dei suoi ministri. Ma anche ai fedeli può essere concesso di avere un’opinione (non la certezza assoluta, che in questa materia gli uomini non possono avere) sull’opportunità o l’utilità di tali scelte prudenziali dell’autorità ecclesiastica.

Io sono arrivato alla certezza (solo relativa, s’intende) che questa prassi di un magistero non dogmatico, “liquido”, riformista, anzi addirittura rivoluzionario non sia utile al vero bene delle anime, ossia al progresso della vita cristiana di tutti fedeli della Chiesa cattolica. La mia è un’opinione che mi sono formato innanzitutto sulla scorta della mia personale esperienza di amministrazione dei sacramenti, e poi raccogliendo anche le esperienze di quei miei confratelli sacerdoti che sono in crisi di coscienza su come intendere e come applicare le nuove direttive pastorali dellaAmoris laetitia.

6) L’iniziativa della “Correctio” è contraria al sensus ecclesiae? La correzione fraterna tra i discepoli di Cristo è comandata da Cristo stesso nel Vangelo. Io, come ogni cristiano, intendo il sensus ecclesiae come responsabilità nei confronti del Vangelo, che deve essere vissuto personalmente e professato comunitariamente. Inoltre, come sacerdote, sono e mi sento partecipe della missione apostolica del collegio episcopale (la «sollicitudo omnium ecclesiarum»), che vivo mantenendomi sempre in comunione di fede e di disciplina ecclesiastica con il mio ordinario diocesano, che è il Papa stesso, Vescovo di Roma (io appartengo infatti al clero romano). L’applicazione pratica di questa partecipazione, affettiva ed effettiva, alla missione apostolica del collegio episcopale è la preoccupazione per come gli insegnamenti e le direttive pastorali della Chiesa sono recepiti e vissuti, contribuendo positivamente all’edificazione del Popolo di Dio nella fede e nella carità.

Tale preoccupazione è oggi acuita dal gravissimo disorientamento pastorale provocato dall’interpretazione ideologica dei documenti del Vaticano II e anche del magistero post-conciliare secondo quella «ermeneutica della rottura» che fu denunciata a suo tempo da papa Benedetto e che consiste nella diffusa percezione che non c’è più una «dottrina della fede» ma solo programmi di riforma della Chiesa cattolica per omologarla alle altre religioni sulla base di una «etica  mondiale» patrocinata anche dalle ideologie politiche dominanti nel mondo (vedi la mia Introduzione teologica al libro di Danilo Quinto, Disorientamento pastorale, Leonardo da Vinci, Roma 2016). In tali circostanze ecclesiali, ho scritto recentemente sulla NBQ, ciascuno dei fedeli cattolici deve fare ciò che è alla sua portata, e quindi io faccio ciò che posso, per quello che mi sembra utile.

   

Il Papa: commenti a Amoris laetitia rispettabili ma sbagliati

September 28, 2017

Città del Vaticano, 28 set. (askanews) -

"Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità...". Papa Francesco ha affrontato le critiche alla sua esortazione apostolica sulla famiglia, Amoris laetitia, nel corso di un colloquio riservato avvenuto nel corso del suo recente viaggio in Colombia e pubblicato oggi dalla Civiltà cattolica. Francesco, come in ogni viaggio internazionale, ha incontrato i gesuiti locali ("Mi piace incontrare la 'setta'", ha scherzato all'inizio provocando una risata generale dei suoi "confratelli").

E, a conclusione di una risposta ad una domanda di un gesuita su che cosa egli si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale, Papa Bergoglio - si legge nel testo del colloquio pubblicato integralmente sull'ultimo numero del quindicinale dei gesuiti - ha parlato della Amoris laetitita, un documento che ha tra l'altro sollevato i dubbi (dubia, in latino) di quattro cardinali, divenuti due nel frattempo per la morte degli altri due, in particolare sul tema della comunione ai divorziati risposati.

"Sento molti commenti - rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati - sull'Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l'Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via e riflettere.
E leggere che cosa si è detto nel Sinodo. Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l'Amoris laetitia non c'è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell' Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio...".

OK! volendo dare ragione al Papa in questa "confidenza alla setta gesuitica", egli ribadisce senza alcun dubbio - così e interpellando san Tommaso d'Aquino - la morale e la dottrina cattolica.... orbene, perché allora non corregge egli stesso coloro che interpretano AL, dicendo che è sbagliato quanto dicono i 4 cardinali nei Dubia ma... non dice mai che sbagliano coloro che lo interpretano a rovescio, contro san Tommaso e contro il n. 1650 del Catechismo? Se AL va interpretata come san Tommaso d'Aquino insegna, non si vorrà mica dire che il santo Dottore della Chiesa sarebbe stato d'accordo nel dare la Comunione ai divorziati risposati.... eh! è il Catechismo che risponde con queste parole chiarissime:

1650 Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.


[Modificato da Caterina63 28/09/2017 22:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/09/2017 23:57
 
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"La verità della fede in pericolo". E firma la correzione a Bergoglio





La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Il professor Strumia, firmatario della "correzione filiale" e teologo di fama internazionale, spiega il perché







La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Don Alberto Strumia è stato docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari ed è attualmente docente invitato alla facoltà teologica dell'Emilia Romagna.



 

Ma è anche uno dei sacerdoti che ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia, l'esortazione apostolica del Papa che tanto sta facendo discutere il mondo cattolico e non. La firma di don Strumia ha suscitato scalpore, essendogli pacificamente riconosciuta una competenza di carattere internazionale tanto in materia teologica quanto in ambito scientifico.

Professor Strumia, perché ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia?


Perché ho ritenuto doveroso farlo, pur non avendo mai immaginato prima di ora che si sarebbe dovuti arrivare ad una decisione così estrema e dolorosa. Osare di indirizzare una correzione dottrinale al Papa lo si può e lo si deve fare solo quando è in pericolo la verità della fede e quindi la salvezza degli appartenenti al popolo di Dio. Il realismo dinanzi agli accadimenti non mi fa illudere che la correzione verrà presa seriamente in considerazione, dal momento che neppure i dubia sollevati da quattro Cardinali hanno ricevuto finora risposta, ma se siamo in tanti a sollecitare il chiarimento c'è una maggiore possibilità anche a causa della visibilità pubblica favorita dalla mediaticità dei nostri giorni. Sono in molti, nella Chiesa, a sentirsi soffocati da un clima negativo nel quale l'abuso del potere viene non di rado a sostituire l'autorevolezza.


In chiave dottrinale, può un sacerdote contraddire il Papa?


La "dottrina della Chiesa" non è inventata dai teologi e neppure dai Papi, ma è fondata sulla Scrittura e radicata nella tradizione della Chiesa. Il Papa è al servizio, come custode e garante di questa continuità e non può spezzarla neppure velatamente, lasciando intendere, con formulazioni ambigue, che oggi si possa credere e fare il contrario di ciò che è stato insegnato finora, dal Magistero, su questioni essenziali come la dottrina dei sacramenti o la morale familiare, con la motivazione che i tempi sono cambiati e il mondo esige un adeguamento. Per questo è un dovere di carità, che ha come scopo la "salvezza delle anime", come si diceva un tempo, e la difesa della stessa dignità del soglio di Pietro e di colui che lo occupa, mettere con il massimo rispetto in risalto queste ambiguità.


Questo dibattito teologico è strumentalizzato? C'è uno scambio meramente dottrinale o sta emergendo nella dialettica una divisione già esistente nella Chiesa?


E' evidente che oggi emerge, nella Chiesa, a livello di vertice, ciò che da cinquant'anni si è innescato dalla base fino a più in alto. La liturgia è divenuta sempre meno sacra e sempre più incentrata sull'inventiva più o meno istrionica dei celebranti e sul protagonismo di animatori sempre più preoccupati di esibire se stessi che di esaltare la centralità del Sacrificio di Cristo, che forse non comprendono nemmeno più. Le omelie sono diventate melense e sentimentali, o comizi politici, e il canto sempre meno liturgico. Chi avrebbe dovuto correggere, si è messo talvolta ad imitare queste stesse tendenze.


Una delle critiche che i tradizionalisti muovono al Pontefice è relativa ad una presunta svolta modernista. E' così?


Intanto bisognerebbe smettere di vedere tutto ciò che sta accadendo nella Chiesa come una contrapposizione tra correnti: "i tradizionalisti" e i "progressisti". La Chiesa non è un partito e le questioni fondamentali della dottrina e della morale non sono riducibili ad "opinioni" di una parte o di un'altra. Qui si tratta di essere cattolici o non di esserlo, cattolici o protestanti, cattolici o gnostici, cattolici o sostenitori di "tutte le religioni sono equivalenti", tanto la "misericordia" (!), autorizza a fare quello che si vuole e non c'è bisogno di nessuna conversione, se non quella che aderisce al "pensiero unico" che crede nel "nuovo ordine mondiale". Come dicevo prima si tratta di una tendenza di matrice modernista e protestantizzante che è in atto da una cinquantina d'anni e che ora è venuta allo scoperto del tutto in questi ultimi anni. Era un fuoco sotto la cenere che ora è stato rinvigorito.


Ma esiste davvero una contrapposizione tra "conservatori" e "progressisti"? Insomma, la parola di Dio non è una sola? Da laici è difficile comprendere queste differenze di visione...


La divisione interna alla Chiesa è un dato di fatto che non si può e non si deve negare: se non ci fosse nessuna divisione, oggi anche sulle questioni fondamentali, sulla dottrina e sul modo di applicarla nella pratica pastorale, non saremmo qui a parlarne. Ma come ho detto è scorretto parlare di una contrapposizione tra "progressisti" e "conservatori". Se il problema fosse solo quello di due linee di tendenza "opinabili" saremmo di fronte ad un pluralismo di scuola che potrebbe essere anche utile alla ricerca teologica, e uno stimolo a gareggiare nell'intraprendere opere culturali e caritative. Ma oggi non è così: quando le divergenze vanno ad intaccare i fondamenti della dottrina, allora non siamo più di fronte a due correnti di pensiero, a due opinioni ammissibili, ma a due dottrine contrapposte, a due chiese separate, di fatto, anche se non giuridicamente. Come due "separati in casa".


Qual è il rapporto della linea dottrinale di questo Pontificato con Martin Lutero e la dottrina protestante?


Si direbbe che Lutero è guardato come un profeta e come un santo, che ha capito con largo anticipo ciò che la Chiesa cattolica non ha compreso finora, condannandosi ad un ritardo storico che sarebbe giunta l'ora di risanare. Eppure, la biografia di Lutero è tutt'altro che presentabile come un capitolo di "agiografia!” La Chiesa si è lentamente, ma inesorabilmente protestantizzata... E il "cavallo di Troia" per far avanzare questo processo è divenuto quello dell' "ambiguità", nelle parole e nei gesti, insieme ad una concezione di "misericordia senza pentimento nè conversione" che ricorda tanto il pecca fortiter et crede fortius ( pecca fortemente e credi ancor più fortemente) di luterana memoria. E di fronte a tutto questo come non si poteva non muovere una "correzione filiale" che mettesse allo scoperto la gravità della situazione?


 

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Bux e Valli. Che cosa sta accadendo, oggi, nella Chiesa?

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di Riccardo Zenobi

Venerdì 29 settembre sono riprese le conferenze promosse dall’Associazione Culturale Oriente Occidente, delle quali si è parlato quiqui e qui. Gli incontri si tengono, come avvenuto precedentemente, nella sala conferenze della chiesa san Carlo Borromeo, in via Vincenzo Gentiloni 4 ad Ancona.

La prima conferenza di questo secondo ciclo di appuntamenti è stata una conversazione ‘a due voci’ con gli interventi di Aldo Maria Valli (giornalista, vaticanista del TG1, laureato in scienze politiche all’università cattolica di Milano) e di mons. Nicola Bux (sacerdote dell’arcidiocesi di Bari, esperto di liturgia orientale e di sacramentaria, consultore della congregazione della dottrina della Fede e della congregazione per le cause dei santi, collabora con la rivista Communio). Lo spunto di riflessione da cui ha preso avvio l’incontro è la parola “confusione”, termine che viene usato sempre più spesso dai fedeli, che vivono in un crescente disorientamento; la causa di tutto ciò in cosa è rintracciabile? Nella penetrazione di pensieri spuri nella Chiesa? Stiamo vivendo ciò che il beato Paolo VI dichiarò a Jean Guitton, ossia che siamo di fronte alla presenza dentro la Chiesa cattolica di un pensiero non cattolico il quale, seppur divenisse maggioritario, non sarà mai il pensiero ufficiale della Chiesa?

La conversazione si è aperta con l’intervento di Aldo Maria Valli, per il quale la confusione è l’elemento distintivo dell’epoca moderna, non solo nella Chiesa; ma lo stato interno di quest’ultima sconcerta molti, tanto che sempre più persone si chiedono: dove stiamo andando? Cosa ne sarà della Fede? Queste domande coinvolgono persone che prima non si ponevano problemi a riguardo, e nell’ultimo anno è aumentato enormemente il numero di tali persone. Nel giugno 2016, appena uscì, il libro “266” (nel quale si pongono tali interrogativi) era una sorta di avanguardia, ma nel giro di poco più di un anno lo sconcerto si è allargato moltissimo – e sono stati avanzati dei Dubia da parte di cardinali. I primi che si posero tale domanda erano essi stessi incerti del loro proprio sconcerto, cosa del resto comprensibile: chi si espone per primo è sempre titubante, poiché potrebbe essere una semplice impressione personale a muoverlo e non un reale problema. Ora però lo sconcerto c’è: Pietro parla in modo strano, anche i contenuti sono strani; c’è ambiguità, superficialità, e non si è in linea con la tradizione dottrinale. Si contano sempre più le dichiarazioni rilasciate in occasioni colloquiali, nelle quali non si approfondisce, e si cede al “gioco al massacro” di portare l’intervistato dove vuole il giornalista. Ci si può guardare da tali pericoli, serve prudenza e una adesione a quello che è il ruolo del Sommo Pontefice, confermare nella Fede. Oltre a tali questioni di modo, ci sono anche perplessità sui contenuti dei messaggi, che sono esplose con Amoris Laetitia, la quale ha interpellato Valli in quanto fedele, il quale in una digressione ha parlato di alcuni aspetti della sua vita di fede: nato e cresciuto a Milano, si è assunto l’avventura di costruire una famiglia numerosa grazie al ruolo fondamentale delle catechesi di Giovanni Paolo II sul matrimonio cristiano. Si era tra gli anni ’70 e gli ’80, quando molti (più o meno come oggi) consigliavano di andare a convivere; Valli prese invece il rischio di andare controcorrente, sfidando anche i medici i quali, di fronte alla patologia della moglie, dissero di non fare figli.
Tale digressione fa capire quale sia l’importanza di avere dei maestri e cui fare riferimento nella verità, e tante gioie nella vita di Valli non sarebbero arrivate se Giovanni Paolo II non avesse parlato chiaro: non si può giocare con le parole, quando si hanno dei problemi. Amoris Laetitia ad una prima lettura non crea molti problemi, ma approfondendo si trovano delle perplessità nel capitolo VIII, nel quale si rintraccia la modalità espressiva “sì, ma anche”: va bene così, ma in fondo è il soggetto che decide di fronte a Dio qualità morale dell’atto. Questo soggettivismo porta l’uomo ad essere come Dio, a decidere al Suo posto, di autogiustificarsi. Il buon Josef Seifert segnala che si arriverebbe addirittura, nel discorso sulla retta coscienza, ad affermare che Dio può chiedere di fare un comportamento non in linea con la legge divina, in determinate circostanze: sotto questa ambiguità passa l’eresia.
Se un semplice fedele si accorge di ciò, cosa fare? Uscire allo scoperto, con massima umiltà e senza pose, schierandosi dalla parte della Verità della Fede, la quale va testimoniata senza cadere in contrapposizioni, ma alzando il livello dello scontro, il quale troppo spesso liquida tale posizione con un’etichetta o uno slogan.

Mons. Bux ha rintracciato i contenuti della confusione, che affonda le sue radici su equivoci e deformazioni riguardo 3 aspetti della Fede:
1- Chi è Gesù Cristo? È il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci dal peccato, sollevandoci da una situazione di male, incarnandosi ha portato la salvezza dentro l’umano. Cominciare a credere in Gesù converte la vita, è perciò fondamentale da parte dei vescovi e dei sacerdoti parlare di Gesù e della salvezza che ci viene offerta nella Verità, invece di trattare temi politici e di attualità, i quali non competono loro. Molti esponenti delle gerarchie non hanno negato apertamente ed esplicitamente tutto ciò (al limite hanno pubblicato libri per un pubblico ristretto di intellettuali), ma c’è una letteratura su Gesù Cristo che ridimensiona portata epocale dell’evento cristiano, equiparandolo ad altri “personaggi religiosi”. Negli ultimi decenni il catechismo è stato distrutto: non c’è più un prontuario di domande e risposte chiare su ciò che c’è da sapere su Dio e la redenzione, su chi è Gesù (per molti bimbi è solo “un amico”).
2- Cosa è e a cosa serve la Chiesa? Per qual motivo Gesù Cristo ha fondato la Chiesa? Per far conoscere sé stesso e il messaggio salvifico a tutta l’umanità, rendendo discepole tutte le nazioni, perché nessun altro salva. Il paganesimo dell’epoca negava l’esclusività salvifica di Cristo: a ben guardare, c’erano moltissime “vie” e “salvatori”, ma solo Gesù è la via e il salvatore. Vorremmo sentir dire che senza Gesù non c’è salvezza, e annunciare ai 4 venti che non c’è altro nome nel quale si possa essere salvati. Solo in Cristo c’è riscatto dal peccato e trovano significato la morte e la sofferenza, attraverso la quale l’uomo salva sé stesso e il mondo. La Chiesa non è un’agenzia ONG che fa da concorrente all’ONU, all’UNESCO o quant’altro. Possibile che Gesù volesse ciò per la sua Chiesa? Questo non fa altro che confermare i lontani nella loro lontananza, perché passa il messaggio che vivono bene, e quindi sono confermati nella loro vita.
3- Qual è la natura della liturgia e del culto divino? I sacramenti si sono ridotti a cerimonie più o meno attraenti, ma così si è snaturato il loro senso. I sacramenti sono essenziali, sono “farmaco salvavita”, mezzi di salvezza: non solo Gesù ha predicato la salvezza, ma ha dato anche i mezzi. Sono amministrati come un patrimonio, che non va sperperato e, come i farmaci, hanno delle controindicazioni (si può commettere sacrilegio fruendone male) e dei modi d’utilizzo. Non sono utilizzabili da chiunque, in qualunque momento e in ogni circostanza. Non si è padroni dei sacramenti: essi appartengono a Dio, e nella liturgia non si può improvvisare. Cambiare la formula del sacramento implica renderlo invalido.

Un ultimo intervento ha riguardato il punto di vista dei relatori sulla Correzione Filiale. Per Valli, essa mette il dito nella piaga, è una iniziativa importante che dà voce e struttura filosofica e teologica alla confusione che vediamo. Sulla stessa linea si muove Bux, affermando che se ci riteniamo cattolici dobbiamo sapere cosa vuol dire essere tali, e dunque è necessario, in questi tempi di confusione, mettersi al lavoro per conoscere i contenuti della propria Fede.

Il prossimo incontro si terrà sabato 7 ottobre alle 17:15, sempre nella chiesa san Carlo Borromeo, e avrà come ospite Massimo Viglione.


«VERRANNO IL PAPA SANTO E IL GRANDE MONARCA E RESTAURERANNO OGNI COSA»: Ven. Holzhauser



Le testimonianze profetiche circa l’avvento del « regno di Maria » (= trionfo del Cuore Immacolato di Maria) e le sue caratteristiche sono state numerose nel corso dei secoli. Grazie ad esse si può rinsaldare la fede in questa divina promessa mostrando che esiste un plurisecolare carisma profetico suscitato da Dio che garantisce che queste speranze ed attese non sono di certo vaneggiamenti della mente né ragioni teologiche di semplice opportunità o convenienza ma vera rivelazione di Dio, infallibile perché reiterata in modo costante dai veri profeti e dalle vere anime mistiche. La rassegna è corposa. In questo post vorrei offrirne una delle più significative e precise, quella della eccezionale figura del venerabile Bartolomeo Holzhauser (†1658).

Nel XVII secolo si leva, imperiosa, l’importante figura del VENERABILE BARTOLOMEO HOLZHAUSER, sacerdote tedesco, mistico e fondatore della Congregazione de "I confratelli uniti". È famoso per le sue visioni profetiche, alcune delle quali si sono già realizzate. È noto anche per il suo importante commento all’Apocalisse. In esso si legge, riguardo all’epoca di cui stiamo parlando:

« Prima che cali la tenebrosa notte del regno dell’Anticristo, Dio consolerà ancora una volta la sua Chiesa […]. Nella sesta età della Chiesa, gli eretici verranno vinti e convertiti, la Chiesa gioirà della più grande consolazione, il dominio turco [islamico] verrà profondamente umiliato, la fede cattolica brillerà per terra e per mare, la disciplina ecclesiastica verrà restaurata e perfezionata […]. Subito prima degli ultimi tempi, la Chiesa sarà immensa, essa verrà come ricostruita e riconsacrata al suo Sposo Gesù Cristo […]. Gli uomini vivranno in pace, e questa verrà concessa perché le genti avranno fatto pace con Dio » (4);

« Il sesto periodo inizierà con il potente Monarca e il Pontefice Santo […], durerà fino alla rivelazione dell’Anticristo. In questo periodo, Dio consolerà la sua Santa Chiesa per le afflizioni e le grandi tribolazioni che ha patito durante il quinto periodo. Tutte le nazioni diverranno cattoliche. Le vocazioni saranno abbondanti come non mai, e tutti gli uomini cercheranno solo il Regno di Dio e la sua giustizia. Gli uomini vivranno in pace e questa verrà concessa perché la gente farà pace con Dio […].

Per mano di Dio onnipotente, durante il sesto periodo avverrà un così meraviglioso cambiamento che nessuno può umanamente immaginarlo […]. Dio Onnipotente opererà un meraviglioso cambiamento, qualcosa di apparentemente impossibile, secondo la ragione umana […]. Le persecuzioni cesseranno e la giustizia regnerà […]. Tutte le nazioni verranno ad adorare Dio nella vera fede cattolica e romana. Ci saranno molti santi e dottori [della Chiesa] sulla terra. La pace regnerà su tutta la terra perché Dio legherà Satana per un certo numero di anni prima dei giorni del figlio della perdizione [l’Anticristo].

Nessuno potrà distorcere la Parola di Dio; durante il sesto periodo ci sarà un Concilio ecumenico che sarà il più grande di tutti i concili. Con la grazia di Dio, con la potenza del Grande Monarca, con l’autorità del Santo Pontefice e con l’unione di tutti i principi più devoti, l’ateismo e ogni eresia saranno banditi dalla terra » (1)

Note

1) Venerabile Bartolomeo Holzhauser, Interprétation de l’Apocalypse, Groupe Saint Rémi, Cadillac 2000, vol. 2, pp. 150, 3, 18, 136. Per approfondire le profezie del Venerabile rimando a questa pagina web: biscobreak.altervista.org/…/venerabile-bart…

 



[Modificato da Caterina63 14/10/2017 16:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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«Io ho le chiavi»

- Padre Giovanni Scalese

In un articolo pubblicato ieri su OnePeterFive, Maike Hickson (foto) si chiede: “Potrebbe l’aneddoto raccontato sulla rivista dei Cappuccini essere la chiave per svelare i piani del Papa sull’ordinazione delle donne?”.

Di che si tratta? Si tratta di un aneddoto narrato tre anni fa (2014) nell’editoriale del numero di aprile della rivista dei Cappuccini svizzeri Ite dal Direttore Fra Adrian Müller. L’originale è in tedesco; non conoscendo il tedesco, vi traduco in italiano la versione inglese della Hickson:Papa Francesco non risiede nell’appartamento pontificio, ma piuttosto nell’albergo del Vaticano [l’Ospizio Santa Marta]. Lí le Guardie [Svizzere] hanno il compito di proteggere il Papa o, talvolta, quando mette la testa fuori dalla porta, andare a prendergli un caffè.

Al nuovo Vescovo di Roma non piace fare colazione da solo. Perciò, di solito, si siede ogni volta accanto a qualcuno e incomincia a parlare con lui. In una di tali occasioni, pare che sia avvenuto il seguente incontro:Si dice che Papa Francesco si sia seduto una mattina di fronte a un Arcivescovo e abbia portato il discorso sulla questione del sacerdozio femminile. Poi avrebbe chiesto al suo compagno di tavola che cosa ne pensasse. Quello taceva, non sapendo come rispondere a questa domanda. Dopo un momento di silenzio, si dice che Francesco abbia replicato: “Sí, sí, entrambi i miei predecessori ci hanno chiuso la porta”.
Quindi, ridendo, avrebbe detto: “Per fortuna, io ho le chiavi”.

L’autore dell’editoriale si chiede “quali chiavi il Successore di Pietro effettivamente ha?”. Beh, direi che la risposta sia abbastanza semplice: il Papa ha le “chiavi del regno”, che Cristo ha consegnato a Pietro e ai suoi successori: «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16:19). Penso che quella del Papa sia stata nulla piú che una battuta sulle proprie prerogative. Anche se, personalmente, non la trovo di buon gusto (sono stato educato all’adagio “scherza coi fanti e lascia stare i santi”). Ma sappiamo che a Papa Bergoglio piace scherzare, e quindi siamo pronti a perdonargli anche una battuta forse un po’ sopra le righe.

Quel che invece desta qualche preoccupazione è il contesto in cui è stata fatta la battuta: una conversazione, per quanto inter pocula, sul sacerdozio alle donne. Perché scegliere proprio un argomento cosí delicato per fare una battuta che potrebbe essere facilmente fraintesa? In altre occasioni, lo stesso Pontefice ha confermato che su tale questione non c’è spazio per ripensamenti:Sull’ordinazione di donne nella Chiesa Cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da San Giovanni Paolo II, e questa rimane. Questo rimane(Conferenza stampa durante il volo di ritorno dalla Svezia, 1° novembre 2016).Allora, perché scherzarci sopra?

In ogni caso — senza con questo voler fare i musoni che non riescono neppure a capire una battuta, ma solo per mettere i puntini sulle “i” — forse val la pena di chiarire (non certo al Papa, che lo sa bene, ma ai miei lettori) che il “potere delle chiavi” dato da Gesú a Pietro (e solo a lui, a differenza del “potere di legare e sciogliere”, dato anche agli altri apostoli) non è un potere assoluto: è un potere supremo (nel senso che è superiore a qualsiasi altro potere umano), ma non è assoluto (nel senso che non è sciolto da qualsiasi altro potere, avendo sopra di sé l’autorità di Cristo, Capo della Chiesa).

Ci siamo occupati del “potere delle chiavi” in un recente post, a cui rimandiamo. Qui ci limiteremo a ricordare quanto afferma in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica:Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesú, il “Buon Pastore” (Gv 10:11), ha confermato tale incarico dopo la risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21:15-17). 

Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesú ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli [cf Mt 18:18] e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno (n. 553).Dunque, il “potere delle chiavi” consiste nell’autorità per governare la Chiesa. Piú avanti il Catechismo aggiunge:Del solo Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi [cf Mt 16:18-19]; l’ha costituito pastore di tutto il gregge [cf Gv 21:15-17] (n. 881).
Il Papa, Vescovo di Roma e successore di San Pietro, “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” [LG 23]. “Infatti il Romano Pontefice, in virtú del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente” [LG 22; cf CD 2 e 9] (n. 882).Dunque, il potere del Papa è “pieno, supremo e universale”, ma non assoluto.

Il Concilio Vaticano I, che ha definito il dogma del primato del Romano Pontefice (di solito si insiste di piú sull’infallibilità, senza rendersi conto che si tratta solo di un necessario corollario del primato), ha solennemente dichiarato:Se uno dice che il Romano Pontefice ha solo un ufficio di ispezione o direzione, ma non la piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma anche in quelle che riguardano la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o [se uno dice] che egli avrebbe solo la parte piú importante, ma non tutta la pienezza di questa suprema potestà; o [se uno dice] che la sua potestà non è ordinaria e immediata su tutte e singole le chiese [particolari] e su tutti e singoli i pastori e fedeli: anathema sit (Denzinger-Schönmetzer, n. 3064).

Siccome però ci furono, soprattutto in Germania, delle interpretazioni errate della suddetta definizione, l’Episcopato tedesco emanò una dichiarazione (gennaio-febbraio 1875), successivamente ratificata dal Papa Pio IX, in cui si precisava la vera natura del primato pontificio:I decreti del Concilio Vaticano non forniscono neppure un’ombra di fondamento all’asserzione, secondo cui il Papa con essi sarebbe diventato un principe assoluto, e anzi, in forza dell’infallibilità, assolutissimo, “piú di qualsiasi altro monarca assoluto nel mondo”. Innanzi tutto, il dominio della potestà ecclesiastica del Pontefice è essenzialmente diverso dal principato civile del monarca; né in alcun modo i cattolici negano la piena e somma potestà del signore di un territorio per quanto riguarda le questioni civili.

Ma inoltre neppure rispetto alle questioni ecclesiastiche il Papa può chiamarsi un monarca assoluto, essendo lui subordinato al diritto divino e obbligato a ciò che Cristo ha disposto per la sua Chiesa. Egli non può mutare la costituzione data alla Chiesa dal divin fondatore, analogamente a quanto fa il legislatore civile che può mutare la costituzione dello Stato. La costituzione della Chiesa in tutti gli aspetti essenziali si fonda sull’ordinamento divino e perciò è immune da ogni arbitraria disposizione umana (Denzinger-Schönmetzer, n. 3114).

Piú chiaro di cosí! Tornando alla nostra questione (il sacerdozio femminile), essa è appunto uno degli “aspetti essenziali” della costituzione della Chiesa, che nessuno — neppure il Papa — può modificare. Nella malaugurata ipotesi che un giorno un Papa decidesse di cambiare l’attuale disciplina, la sua decisione sarebbe semplicemente nulla; e i Vescovi che imponessero le mani a una donna, non le farebbero altro che una carezza sulla chioma e incorrerebbero nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica (Normae de gravioribus delictis, 21 maggio 2010, art. 5). Per cui, direi di starsene tranquilli, nessuno potrà mai attentare alla costituzione divina della Chiesa.



Dal federalismo dottrinale alla devolution liturgica. Papa Francesco rompe con i suoi 265 predecessori

Aiutiamoci a capire cosa sta accadendo. La Liturgia cattolica cambierà, verso una “torre di Babele” (decentramento), contro l’insegnamento della Tradizione nella Chiesa che si espresse inequivocabilmente in tutti questi secoli.

NON E’ UNA BUFALA! Non è un falso e, tutto sommato potremo dire “finalmente”, Papa Francesco esce allo scoperto e per la prima volta, in modo altrettanto “ufficiale” lo fa a modo suo non ex-cattedra (dalla cattedra), ma ufficialmente attraverso La Nuova Bussola Quotidiana alla quale ha affidato la Lettera per una “Correctio paternalis“, vedi qui, una sorta di caricatura alla Correctio filialis alla quale si guarda bene, però, di dare una risposta.

Di cosa si tratta lo avrete già letto tutti e di fatto non ci sarebbe nulla da aggiungere se non che di fermarsi a Pregare, sollecitare i Fedeli ad andare al Rito STRAORDINARIO della Messa antica, alimentare e far crescere questi gruppi legittimi e leciti attraverso il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, vedi qui e la Lettera Apostolica di accompagnamento, vedi qui.

Anche il titolo che abbiamo usato non è un falso: “devolution” liturgica è la traduzione più semplice di questo intricato argomento per sottolineare l’intenzione di Papa Francesco di DECENTRARE la Liturgia Cattolica. L’ha usato Cascioli nell’articolo, e noi lo riteniamo perfetto per comprendere i fatti.

Confessiamo che da mesi si rincorrevano molte voci contro la Liturgia tradizionale della Chiesa e noi, prudentemente, abbiamo cercato di non dare alcuna eco, di attendere pazientemente atti ufficiali per poterne parlare serenamente e più lealmente, parlando solo di alcune questioni specifiche all’utilizzo dei Motu Propri, cliccare quiVorremo così aiutare i nostri lettori – specialmente quelli più digiuni a questo argomento – a capire seppur brevemente, cosa è questa “devolution”, cosa sta accadendo e cosa succederà.

DECENTRAMENTO sembra essere così la parola d’ordine di Papa Francesco apparentemente a favore di una più “collegialità” con i Vescovi diocesani. Detto in soldoni, ogni Conferenza Episcopale potrà tradurre il Messale della Messa a seconda degli usi e della comprensione linguistica del posto, senza più alcun controllo da parte della Santa Sede. Il Papa sottolinea, ovviamente, che salvaguardando le parti centrali della Messa (Consacrazione e Comunione) tutto il resto potrà essere tradotto secondo le sensibilità delle varie diocesi.

È chiaro quindi, al momento, che le parole della Consacrazione non dovrebbero subire alcuna modifica! Tuttavia chi pensa che questa è così una garanzia che offre poi il diritto al Pontefice di fare quanto sta facendo, sta sbagliando di grosso. Il “diritto” di un Pontefice non è creare delle “torri di Babele”, ma abbatterle nel “confermare” le singole Chiese, comunità, diocesi, a quell’unica Voce per la quale ci chiamiamo “cattolici” ossia universali. Per questo diciamo “al momento non cambieranno le parole della Consacrazione” perché, venendo meno la “confermazione di Pietro” per le prossime traduzioni, mancherà ogni controllo, e ciò che verrà deciso sarà a descrizione del vescovo locale.

È questa la “Torre di Babele” a cui alludiamo: facciamo un esempio pratico. Se uno di noi, italiano, andasse ad una messa in Australia o in altra parte del mondo che vorreste voi, troverebbe sì una Messa nella lingua locale, ma attualmente, se conoscete tutte le parole della messa, capireste immediatamente cosa sta dicendo il sacerdote, anche se non capite la lingua. Da oggi cambierà tutto e voi, trovandovi in qualche luogo di cui non conoscete la lingua, assisterete ad una Liturgia di cui non sapreste più che cosa sta dicendo il sacerdote.

Facciamo un altro esempio reale: alcuni Vescovi stanno sbarellando letteralmente, favorevoli a nuove liturgie e riti per coppie omosessuali, altri per fare riti con i Musulmani, altri per aggirare il divieto chiaro di Giovanni Paolo II sulla inter-comunione (Ecclesia de Eucharistiavedi qui) chiedono modifiche liturgiche per fare insieme ai protestanti messe condivisibili, con un “pane” non eucaristico, ma unitivo (sic!), ed altre richieste davvero infernali, non le inventiamo noi, basta documentarsi un poco che troverete i nomi di questi vescovi. Ora cosa accadrà? Semplice: il vescovo del luogo, senza più IL CONTROLLO DELLA SANTA SEDE, potrà creare MESSALI SU MISURA…. e soddisfare tutte queste richieste!

È legittimo quanto il Papa sta facendo? Sì e No! Purtroppo non è molto semplice dare una sola risposta, i meccanismi sono molto complessi che però, il Concilio di Trento con san Pio V (1566-1572) con la Costituzione Apostolica Quo Primum (14 luglio 1570), promulgò il Messale Romano offrendo a tutti i cristiani – di quel presente e futuro – uno strumento di unità liturgica e insigne monumento del culto genuino e religioso nella Chiesa Cattolica. San Pio V non modificò la “Messa”, stiamo attenti, egli non fece altro che estendere a tutto l’Occidente la Messa “latina” tradizionale quale barriera contro il protestantesimo.  Non modificò nulla, ma tutti gli altri riti che non datavano da 200 anni li abolì perché inquinati di protestantesimo o almeno sospetti di infiltrazioni protestantiche, estendendo a tutto l’Occidente il Messale romano perché “sicuramente cattolico”.

A farci comprendere cosa accadde leggiamo questo passaggio da parte di Ratzinger: “… rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Pio V e non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano rielaborato questo messale, in un processo continuativo di crescita storica e di purificazione, in cui, però, la continuità non veniva mai distrutta. Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C’è stata la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica. Dopo il concilio di Trento, per contrastare l’irruzione della riforma protestante che aveva avuto luogo soprattutto nella modalità di “riforme” liturgiche, tanto che i confini tra cosa era ancora cattolico e cosa non lo era più, spesso erano difficili da definire. In questa situazione di confusione, resa possibile dalla mancanza di una normativa unitaria e dall’imperante pluralismo liturgico eredito dal tardo medioevo, il Papa decise che il Missale Romanum, il testo liturgico della città di Roma, in quanto sicuramente cattolico, doveva essere introdotto dovunque non ci si potesse richiamare a una liturgia che risalisse ad almeno duecento anni prima. Dove questo si verificava, si poteva mantenere la liturgia precedente, dato che il suo carattere cattolico poteva essere considerato sicuro” (J. Ratzinger, La mia vita, pp. 111-112).

La battaglia di Benedetto XVI, poi, la conosciamo tutti, è per questo “divieto” che Paolo VI non avrebbe dovuto inoltrare (quindi non poteva farlo) contro la Messa detta antica o di San Pio V, che arrivò a riabilitarla con il famoso Summorum Pontificum il 7 luglio 2007.

Così abbiamo risposto ad una prima osservazione: non è affatto vero che un Pontefice possa arrivare a far modificare il contenuto del Messale cattolico lasciandolo al libero arbitrio dei Vescovi. Paolo VI si guardò bene dal lasciare libertà di traduzione del Messale! Sapeva perfettamente che ciò non era affatto in suo potere e neppure dei Vescovi. E veniamo così alla spinosa questione del PRO MULTIS, che tradotto in italiano è diventato un illegittimo “per tutti”.

Nella famosa Lettera all’episcopato tedesco, clicca qui , Benedetto XVI ordina che l’espressione “per tutti” attualmente presente nel Messale tra le parole della Consacrazione Eucaristica, venga mutata in  “per molti”, perché, dice il Pontefice, questa è la traduzione esatta del testo greco originale del Vangelo. NESSUNO OBBEDI’ AL PONTEFICE!

Nella Lettera Benedetto XVI insegna un’importante regola ermeneutica, valida sempre e in ogni caso nell’interpretazione della Bibbia, come del resto di qualunque testo letterario: un conto, dice il Pontefice, è tradurre e un conto è interpretare. La traduzione va fatta con fedeltà e precisione, anche se il testo che vien fuori è difficile o indigesto o antipatico. E qui ci fermiamo!

Senza dubbio che la rivoluzione in campo liturgico fu portata a termine imprudentemente da Paolo VI, poiché essa era iniziata, ma con modi confacenti e molto prudenti, già da san Pio X… Paolo VI non si limitò ad una riforma del Rito come i suoi Predecessori, le sue scelte infatti andarono a modificare l’essenza della Messa che da “sacrificio” divenne una più goliardica e protestantica “cena”, e tutto questo per venire incontro ai “fratelli protestanti”, con il risultato che i fedeli cattolici, clero e vescovi, si sono protestantizzati e, i protestanti, sono rimasti fieramente protestanti. Benedetto XVI attraverso il Summorum Pontificum ha cercato di riparare i danni, ed è questo che un Papa può e deve fare, rispondendo così a ciò che un Papa può o non può fare.

Tornando così alla vicenda odierna Papa Francesco sta abusando del potere conferitogli dal Cristo! “Tutto mi è lecito, ma non tutto giova” (1Cor.6,12) insegna san Paolo, e il tutto era programmato nell’Evangelii gaudium (EG) laddove Papa Francesco attaccò, senza mezze misure e naturalmente indirettamente, un Documento firmato da Giovanni Paolo II, poco conosciuto ma importante per la Liturgia “Liturgiam authenticam”. Nella EG la nuova parola d’ordine è “decentrare” il potere curialeper affidare alle “regioni episcopali continentali” anche competenze di carattere dottrinale. Di grande impatto è stato, in EG, la previsione di un tale “decentramento” in alcuni settori della stessa “dottrina”, nella liturgia del popolo e nell’esercizio del magistero.

Ma tutto questo programma di decentramento contrasta in modo strutturale con ciò che in campo liturgico accade dal 2001, ossia da quando la V Istruzione sulla Riforma Liturgica – Liturgiam authenticam – ha di fatto bloccato a livello universale ogni libera traduzione ed interpretazione dei testi della liturgia. Papa Francesco nella EG sposa la battaglia della chiesa tedesca, della corrente rahneriana e modernista di un  disegno di rimodellare universalmente la liturgia sul prototipo protestante — progetto inevitabilmente, per Francesco, “chiuso” e senza “vie di uscita” a causa della “lingua latina” — dando privilegio ad una traduzione “dettata dal cuore, materna” pretendendo che le “lingue parlate” assumano la struttura stessa della lingua latina.. Mai era stata tanto disprezzata la lingua della Chiesa… per salvare la quale nulla è valso l’appello accorato di Benedetto XVI fondando addirittura la Pontificia Academia Latinitatisclicca qui testo ufficiale, che si rispecchia nella Costituzione Apostolica Veterum sapientia di Giovanni XXIII.

Rottura su tutti i fronti, decentramento, populismo, vittoria del pueblo… chi più ne ha più ne metta! Può fare tutto ciò un Pontefice? Certo che può, abusando del potere delle chiavi (clicca qui l’articolo illuminante di Padre Giovanni Scalese) che, non a caso, sono stato oggetto di recente di una battuta dello stesso Francesco, come a dire che intende servirsi di questo potere per fare tutto ciò che lui riterrà opportuno per la “sua immagine di chiesa”.

Tuttavia si può sollecitare questa domanda: ma se il Papa vuole decentrare tutto e non vuole più controllare che i Vescovi ciò che i vescovi fanno, lui a Roma che ci sta a fare? Semplice lui sta lì a controllare che i Vescovi però, nell’esercizio della loro libertà, stiano attenti a sposare ciò che il Papa vuole fare. Se prima si diceva OBBEDIENZA ALLA CHIESA E DUNQUE AL PAPA, OGGI E’ STATO TUTTO RIBALTATO: OBBEDIENZA AL PAPA PER OBBEDIRE ALLA SUA CHIESA.

Certo che se prima non capivamo cosa stesse accadendo, ora il minestrone sta uscendo allo scoperto, vedi qui. E possiamo dire con certezza che non saremo noi ad “uscire” dalla Chiesa, noi continueremo a stare con la Chiesa DI SEMPRE e laddove le messe saranno nuovamente stravolte e modificate nel linguaggio, state attenti alle parole della Consacrazione perché se verranno modificate la Messa è invalida e non avviene alcuna Transustanziazione.

Qui non è più in gioco “papa sì, papa no”, perché noi non abbandoneremo mai il Pontefice, ma si tratta anche di salvare le nostre anime, e con messe invalidate e lasciate a libere traduzioni ed interpretazioni linguistiche, o a riti fantasiosi e sincretisti, l’anima non si salva, mentre il papato è bellamente protetto da Nostro Signore Gesù Cristo.










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/11/2017 09:23
 
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  COME INTERPRETARE VERAMENTE IL DOGMA DELLA INFALLIBILITA' PAPALE?

COSTITUZIONE DOGMATICA
PASTOR AETERNUS*
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX

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Il Vescovo Pio, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del Sacro Concilio. A perpetua memoria.

Il Pastore eterno e Vescovo delle nostre anime, per rendere perenne la salutare opera della Redenzione, decise di istituire la santa Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si ritrovassero uniti nel vincolo di una sola fede e della carità. Per questo, prima di essere glorificato, pregò il Padre non solo per gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui attraverso la loro parola, affinché fossero tutti una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. Così dunque inviò gli Apostoli, che aveva scelto dal mondo, nello stesso modo in cui Egli stesso era stato inviato dal Padre: volle quindi che nella sua Chiesa i Pastori e i Dottori fossero presenti fino alla fine dei secoli.

Perché poi lo stesso Episcopato fosse uno ed indiviso e l’intera moltitudine dei credenti, per mezzo dei sacerdoti strettamente uniti fra di loro, si conservasse nell’unità della fede e della comunione, anteponendo agli altri Apostoli il Beato Pietro, in lui volle fondato l’intramontabile principio e il visibile fondamento della duplice unità: sulla sua forza doveva essere innalzato il tempio eterno, e la grandezza della Chiesa, nell’immutabilità della fede, avrebbe potuto ergersi fino al cielo [S. Leo M., Serm. IV al. III, cap. 2 in diem Natalis sui]. E poiché le porte dell’inferno si accaniscono sempre più contro il suo fondamento, voluto da Dio, quasi volessero, se fosse possibile, distruggere la Chiesa, Noi riteniamo necessario, per la custodia, l’incolumità e la crescita del gregge cattolico, con l’approvazione del Sacro Concilio, proporre la dottrina relativa all’istituzione, alla perennità e alla natura del sacro Primato Apostolico, sul quale si fondano la forza e la solidità di tutta la Chiesa, come verità di fede da abbracciare e da difendere da parte di tutti i fedeli, secondo l’antica e costante credenza della Chiesa universale, e respingere e condannare gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore.

Capitolo I - Istituzione del Primato Apostolico nel Beato Pietro

Proclamiamo dunque ed affermiamo, sulla scorta delle testimonianze del Vangelo, che il primato di giurisdizione sull’intera Chiesa di Dio è stato promesso e conferito al beato Apostolo Pietro da Cristo Signore in modo immediato e diretto. Solamente a Simone, infatti, al quale già si era rivolto: “Tu sarai chiamato Cefa” (Gv 1,42), dopo che ebbe pronunciata quella sua confessione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo”, il Signore indirizzò queste solenni parole: “Beato sei tu, Simone Bariona; perché non la carne e il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli: e io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli” (Mt 16,16-19). E al solo Simon Pietro, dopo la sua risurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e di guida su tutto il suo ovile con le parole: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore” (Gv 21,15-17). A questa chiara dottrina delle sacre Scritture, come è sempre stata interpretata dalla Chiesa cattolica, si oppongono senza mezzi termini le malvagie opinioni di coloro che, stravolgendo la forma di governo decisa da Cristo Signore nella sua Chiesa, negano che Cristo abbia investito il solo Pietro del vero e proprio primato di giurisdizione che lo antepone agli altri Apostoli, sia presi individualmente, sia nel loro insieme, o di coloro che sostengono un primato non affidato in modo diretto e immediato al beato Pietro, ma alla Chiesa e, tramite questa, all’Apostolo come ministro della stessa Chiesa.

Se qualcuno dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non è stato costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante, o che non abbia ricevuto dallo stesso Signore Nostro Gesù Cristo un vero e proprio primato di giurisdizione, ma soltanto di onore: sia anatema.

Capitolo II - Perpetuità del Primato del Beato Pietro nei Romani Pontefici

Ciò che dunque il Principe dei pastori, e grande pastore di tutte le pecore, il Signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato Apostolo Pietro per rendere continua la salvezza e perenne il bene della Chiesa, è necessario, per volere di chi l’ha istituita, che duri per sempre nella Chiesa la quale, fondata sulla pietra, si manterrà salda fino alla fine dei secoli. Nessuno può nutrire dubbi, anzi è cosa risaputa in tutte le epoche, che il santo e beatissimo Pietro, Principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno da Nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano: Egli, fino al presente e sempre, vive, presiede e giudica nei suoi successori, i vescovi della santa Sede Romana, da lui fondata e consacrata con il suo sangue [Cf. Ephesini Concilii, Act. III]. Ne consegue che chiunque succede a Pietro in questa Cattedra, in forza dell’istituzione dello stesso Cristo, ottiene il Primato di Pietro su tutta la Chiesa. Non tramonta dunque ciò che la verità ha disposto, e il beato Pietro, perseverando nella forza che ha ricevuto, di pietra inoppugnabile, non ha mai distolto la sua mano dal timone della Chiesa [S. Leo M., Serm. III al. II, cap. 3]. È questo dunque il motivo per cui le altre Chiese, cioè tutti i fedeli di ogni parte del mondo, dovevano far capo alla Chiesa di Roma, per la sua posizione di autorevole preminenza, affinché in tale Sede, dalla quale si riversano su tutti i diritti della divina comunione, si articolassero, come membra raccordate alla testa, in un unico corpo [S. Iren., Adv. haer., I, III, c. 3 et Conc. Aquilei. a. 381 inter epp. S. Ambros., ep. XI].

Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema.

Capitolo III - Della Forza e della Natura del Primato del Romano Pontefice

Sostenuti dunque dalle inequivocabili testimonianze delle sacre lettere e in piena sintonia con i decreti, chiari ed esaurienti, sia dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, sia dei Concili generali, ribadiamo la definizione del Concilio Ecumenico Fiorentino che impone a tutti i credenti in Cristo, come verità di fede, che la Santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice detengono il Primato su tutta la terra, e che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, il vero Vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i cristiani; a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il pieno potere di guidare, reggere e governare la Chiesa universale. Tutto questo è contenuto anche negli atti dei Concili ecumenici e nei sacri canoni.

Proclamiamo quindi e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, detiene il primato del potere ordinario su tutte le altre, e che questo potere di giurisdizione del Romano Pontefice, vero potere episcopale, è immediato: tutti, pastori e fedeli, di qualsivoglia rito e dignità, sono vincolati, nei suoi confronti, dall’obbligo della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa, in tutto il mondo. In questo modo, avendo salvaguardato l’unità della comunione e della professione della stessa fede con il Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sarà un solo gregge sotto un solo sommo pastore. Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza perdita della fede e pericolo della salvezza.

Questo potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i Vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli Apostoli, come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale, come afferma solennemente San Gregorio Magno: “Il mio onore è quello della Chiesa universale. Il mio onore è la solida forza dei miei fratelli. Io mi sento veramente onorato, quando a ciascuno di loro non viene negato il dovuto onore” [Ep. ad Eulog. Alexandrin., I, VIII, ep. XXX].

Dal supremo potere del Romano Pontefice di governare tutta la Chiesa, deriva allo stesso anche il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio di questo suo ufficio, con i pastori e con i greggi della Chiesa intera, per poterli ammaestrare e indirizzare nella via della salvezza. Condanniamo quindi e respingiamo le affermazioni di coloro che ritengono lecito impedire questo rapporto di comunicazione del capo supremo con i pastori e con i greggi, o lo vogliono asservire al potere civile, poiché sostengono che le decisioni prese dalla Sede Apostolica, o per suo volere, per il governo della Chiesa, non possono avere forza e valore se non vengono confermate dal potere civile.

E poiché per il diritto divino del Primato Apostolico il Romano Pontefice è posto a capo di tutta la Chiesa, proclamiamo anche ed affermiamo che egli è il supremo giudice dei fedeli [Pii VI, Breve Super soliditate, d. 28 Nov. 1786] e che in ogni controversia spettante all’esame della Chiesa, si può ricorrere al suo giudizio [Conc. Oecum. Lugdun. II]. È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia [Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem]. Si discosta quindi dal retto sentiero della verità chi afferma che è possibile fare ricorso al Concilio Ecumenico, come se fosse investito di un potere superiore, contro le sentenze dei Romani Pontefici.

Dunque se qualcuno affermerà che il Romano Pontefice ha semplicemente un compito ispettivo o direttivo, e non il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o che è investito soltanto del ruolo principale e non di tutta la pienezza di questo supremo potere; o che questo suo potere non è ordinario e diretto sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e su ciascun fedele e pastore: sia anatema.

Capitolo IV - Del Magistero Infallibile del Romano Pontefice

Questa Santa Sede ha sempre ritenuto che nello stesso Primato Apostolico, posseduto dal Romano Pontefice come successore del beato Pietro Principe degli Apostoli, è contenuto anche il supremo potere di magistero. Lo conferma la costante tradizione della Chiesa; lo dichiararono gli stessi Concili Ecumenici e, in modo particolare, quelli nei quali l’Oriente si accordava con l’Occidente nel vincolo della fede e della carità. Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: “La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mantenere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religione cristiana” [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est]. Nel momento in cui si approvava il secondo Concilio di Lione, i Greci dichiararono: “La Santa Chiesa Romana è insignita del pieno e sommo Primato e Principato sull’intera Chiesa Cattolica e, con tutta sincerità ed umiltà, si riconosce che lo ha ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, Principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché spetta a lei, prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede, qualora sorgessero questioni in materia di fede, tocca a lei definirle con una sua sentenza”. Da ultimo il Concilio Fiorentino emanò questa definizione: “Il Pontefice Romano, vero Vicario di Cristo, è il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i Cristiani: a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il supremo potere di reggere e di governare tutta la Chiesa”.

Allo scopo di adempiere questo compito pastorale, i Nostri Predecessori rivolsero sempre ogni loro preoccupazione a diffondere la salutare dottrina di Cristo fra tutti i popoli della terra, e con pari dedizione vigilarono perché si mantenesse genuina e pura come era stata loro affidata. È per questo che i Vescovi di tutto il mondo, ora singolarmente ora riuniti in Sinodo, tenendo fede alla lunga consuetudine delle Chiese e salvaguardando l’iter dell’antica regola, specie quando si affacciavano pericoli in ordine alla fede, ricorrevano a questa Sede Apostolica, dove la fede non può venir meno, perché procedesse in prima persona a riparare i danni [Cf. S. Bern. Epist. CXC]. Gli stessi Romani Pontefici, come richiedeva la situazione del momento, ora con la convocazione di Concili Ecumenici o con un sondaggio per accertarsi del pensiero della Chiesa sparsa nel mondo, ora con Sinodi particolari o con altri mezzi messi a disposizione dalla divina Provvidenza, definirono che doveva essere mantenuto ciò che, con l’aiuto di Dio, avevano riconosciuto conforme alle sacre Scritture e alle tradizioni Apostoliche. Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapendo che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore in forza della divina promessa fatta dal Signore, nostro Salvatore, al Principe dei suoi discepoli: “Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”.

Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno.

Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di legare al supremo ufficio pastorale.

Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.

Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.

Dato a Roma, nella pubblica sessione celebrata solennemente nella Basilica Vaticana, nell’anno 1870 dell’Incarnazione del Signore, il 18 luglio, venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.

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*U. Bellocchi (a cura di), Tutte le Encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, vol. IV: Pio IX (1846-1878), pp. 334-340, 1995, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.



La filiale resistenza di san Bruno di Segni a Papa Pasquale II

(dsan BrunoRoberto de Mattei)

Tra i più illustri protagonisti della riforma della Chiesa dell’XI e del XII secolo, spicca la figura di san Bruno, vescovo di Segni e abate di Montecassino. Bruno nacque attorno al 1045 a Solero, presso Asti, in Piemonte. Dopo aver studiato a Bologna, fu ordinato prete nel clero romano e aderì entusiasticamente alla riforma gregoriana. Papa Gregorio VII (1073-1085) lo nominò vescovo di Segni e lo ebbe tra i suoi più fedeli collaboratori. Anche i suoi successori, Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089), si valsero dell’aiuto del vescovo di Segni, che univa l’opera di studioso ad un intrepido apostolato in difesa del Primato romano.

 

Bruno partecipò ai concili di Piacenza e di Clermont, nei quali Urbano II bandì la prima crociata e negli anni successivi fu legato della Santa Sede in Francia e in Sicilia. Nel 1107, sotto il nuovo Pontefice Pasquale II (1099-1118), divenne abate di Montecassino, una carica che lo rendeva una delle personalità ecclesiastiche più autorevoli del suo tempo. Grande teologo, ed esegeta, risplendente per dottrina, come scrive nei suoi Annali il card. Baronio (tomo XI, anno 1079), è considerato come uno dei migliori commentatori della Sacra Scrittura del Medioevo (Réginald Grégoire, Bruno de Segni, exégète médiéval et théologien monastique, Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1965).

Siamo in un’epoca di scontri politici e di profonda crisi spirituale e morale. Nella sua opera De Simoniacis, Bruno ci offre un’immagine drammatica della Chiesa deturpata del suo tempo. Già dall’epoca di Papa san Leone IX (1049-1054) «Mundus totus in maligno positus eratnon v’era più santità; la giustizia era venuta meno e la verità sepolta. Regnava l’iniquità, dominava l’avarizia; Simon Mago possedeva la Chiesa, i Vescovi e i sacerdoti erano dediti alla voluttà e alla fornicazione. I sacerdoti non si vergognavano di prender moglie, di celebrare apertamente le nozze e di contrarre matrimoni nefandi. (…) Tale era la Chiesa, tali erano i vescovi e i sacerdoti, tali furono alcuni tra i Romani Pontefici» (S. Leonis papae Vita in Patrologia Latina (= PL), vol. 165, col. 110).

Al centro della crisi, oltre al problema della simonia e del concubinato dei preti, c’era la questione delle investiture dei vescovi. Il Dictatus Papae con cui, nel 1075, san Gregorio VII aveva riaffermato i diritti della Chiesa contro le pretese imperiali, costituì la magna charta a cui si richiamarono Vittore III e Urbano II, ma Pasquale II abbandonò la posizione intransigente dei suoi predecessori e cercò in tutti i modi un accordo con il futuro imperatore Enrico V. Agli inizi di febbraio del 1111, a Sutri, chiese al sovrano tedesco di rinunciare al diritto all’investitura, offrendogli in cambio la rinuncia della Chiesa ad ogni diritto e bene temporale.

Le trattative andarono in fumo e, cedendo alle intimidazioni del re, Pasquale II accettò un umiliante compromesso, firmato a Ponte Mammolo il 12 aprile del 1111. Il Papa concedeva ad Enrico V il privilegio dell’investitura dei vescovi, prima della consacrazione pontificia, con l’anello e con il pastorale che simboleggiavano sia il potere sia temporale che spirituale, promettendo al sovrano di non scomunicarlo mai. Pasquale incoronò quindi Enrico V imperatore in San Pietro.

Questa concessione suscitò una moltitudine di proteste nella cristianità perché ribaltava la posizione di Gregorio VII. L’abate di Montecassino, secondo il Chronicon Cassinense (PL, vol. 173, col. 868 C-D), protestò con forza contro quello che definì non un privilegium, ma un pravilegium, e promosse un movimento di resistenza al cedimento papale. In una lettera indirizzata a Pietro, vescovo di Porto, definisce il trattato di Ponte Mammolo un’ «eresia», richiamando le determinazioni di molti concili: «Chi difende l’eresia ‒ scrive ‒ è eretico. Nessuno può dire che questa non sia un’eresia» (Lettera Audivimus quod , in PL, vol. 165, col.1139 B).

Rivolgendosi poi direttamente al Papa, Bruno afferma: «I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te, ma mentono. Io infatti ti amo, come devo amare un Padre e un signore. Te vivente, non voglio avere altro pontefice, come assieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto però il Salvatore nostro che mi dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. “(…) Devo dunque amare te, ma più ancora devo amare Colui che ha fatto te e me» (Mt. 10-37). Con lo stesso tono di filiale franchezza, Bruno invitava il Papa a condannare l’eresia, perché «chiunque difende l’eresia è eretico» (Lettera Inimici mei, in PL, vol. 163, col. 463 A-D).

Pasquale II non tollerò questa voce di dissenso e lo destituì da abate di Montecassino. L’esempio di san Bruno spinse però molti altri prelati a chiedere con insistenza al Papa di revocare il pravilegium. Qualche anno dopo, in un Concilio che si riunì in Laterano nel marzo del 1116, Pasquale II ritrattò l’accordo di Ponte Mammolo. Lo stesso Sinodo lateranense condannò la concezione pauperistica della Chiesa dell’accordo di Sutri. Il concordato di Worms del 1122, stipulato tra Enrico V e papa Callisto II (1119-1124), concluse – almeno momentaneamente – la lotta per le investiture. Bruno morì il 18 luglio 1123. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Segni e, per sua intercessione, si ebbero subito molti miracoli. Nel 1181, o, più probabilmente, nel 1183, papa Lucio III lo accolse fra i santi.

Qualcuno obietterà che Pasquale II (come più tardi, Giovanni XXII sul tema della visione beatifica) non cadde mai in eresia formale. Non è questo però il cuore del problema. Nel Medioevo il termine eresia era usato in senso ampio, mentre soprattutto dopo il Concilio di Trento, il linguaggio teologico si è affinato, e si sono introdotte precise distinzioni teologiche tra proposizioni eretiche, prossime all’eresia, erronee, scandalose, etc. Non ci interessa definire la natura delle censure teologiche da applicare agli errori di Pasquale II e Giovanni XXII, ma di stabilire se a questi errori fosse lecito resistere.

Tali errori certamente non furono pronunciati ex cathedra, ma la teologia e la storia ci insegnano che se una dichiarazione del Sommo Pontefice contiene elementi censurabili sul piano dottrinale, è lecito e può essere doveroso criticarla, anche se non si tratta di un’eresia formale, solennemente espressa. È quanto fecero san Bruno di Segni contro Pasquale II e i domenicani del XIV secolo contro Giovanni XXII. Non furono essi a sbagliare, ma i Papi di quel tempo, che infatti ritrattarono le loro posizioni prima di morire.

Va inoltre sottolineato il fatto che coloro che con più fermezza resistettero al Papa che deviava dalla fede furono proprio i più ardenti difensori della supremazia del Papato. I prelati opportunisti e servili dell’epoca, si adeguarono al fluttuare degli uomini e degli eventi, anteponendo la persona del Papa al Magistero della Chiesa. Bruno di Segni, invece, come altri campioni dell’ortodossia cattolica, antepose la fede di Pietro alla persona di Pietro e redarguì Pasquale II con la stessa rispettosa fermezza con cui Paolo si era rivolto a Pietro (Galati 2, 11-14). Nel suo commento esegetico a Matteo 16, 18, Bruno spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro.

Cristo infatti afferma che edificherà la sua Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla fede che Pietro ha manifestato dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». A questa professione di fede Gesù risponde: «è sopra questa pietra e sopra questa fede che edificherò la mia Chiesa» (Comment. in Matth., Pars III, cap. XVI, in PL, vol. 165, col. 213). La Chiesa elevando Bruno di Segni agli onori degli altari suggellò la sua dottrina e il suo comportamento.

(Roberto de Mattei)


Risultati immagini per santa IldegardaSanta Ildegarda (Dottore della Chiesa) ebbe il coraggio di opporsi, denunciandolo apertamente, ad un maschilismo che era entrato prepotentemente nella Chiesa e a tutti i livelli della gerarchia, arrivando a dire che le sue affermazioni trovavano "conferma" nelle rivelazioni che riceveva perchè gli uomini che gestivano la "Sposa di Cristo" avevano tradito sotto molti aspetti la vera missione della Chiesa. Ma Ildegarda non era una rivoluzionaria come la si potrebbe pensare oggi, nè una femminista ideologica o con pretese clericali, non viveva chiusa dentro le visioni che riceveva ma aveva la testa sulle spalle e i piedi ben piantati per terra sì da riuscire a vedere davvero ben oltre il mondo terreno. Ildegarda è, se vogliamo, il riscatto di una ingiusta iconografia della donna del suo tempo portata avanti da certi storici del '700 e dell'800 contro la Chiesa, e al tempo stesso è proprio questa la più autentica profezia da lei fatta alla Chiesa nella sua femminilità e maternità. 

Ed è severa con gli uomini, fosse anche il Papa.

Infatti ci va giù pesante quando scrive al papa Anastasio IV, che minaccia apertamente:

«O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?...
Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore…
O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!... Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».





[Modificato da Caterina63 06/11/2017 15:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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10/11/2017 17:33
 
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GRAN BRETAGNA. UN LIBRO RIVELA L’AZIONE DI LOBBYING PER ELEGGERE BERGOGLIO AL SOGLIO DI PIETRO.

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MARCO TOSATTI

Un libro che sta per uscire in Gran Bretagna offre nuovi elementi per capire come, e portati da chi, Jorge Mario Bergoglio è diventato papa. Il libro è scritto da Catherine Pepinster, che è stata direttrice del giornale cattolico inglese The Tablet, e si intitola: “The Keys and the Kingdom” (Le chiavi e il regno). In esso si afferma che il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, ex arcivescovo di Westminster, scomparso nei giorni scorsi, organizzò a Roma, nei locali dell’Ambasciata britannica, almeno un incontro per convincere i cardinali votanti del Commonwealth a votare l’arcivescovo di Buenos Aires. Escluse però volontariamente dall’invito sia il card. Marc Ouellet, canadese, prefetto della Congregazione per i vescovi, sia il card. George Pell, australiano. Probabilmente temeva che avrebbero sconsigliato la sua azione di lobbying.

Murphy O’Connor non era più, per questioni di età, ammesso a votare in Conclave; ma era a Roma per partecipare alle Congregazioni, le riunioni di cardinali che precedono il Conclave e che sono aperte anche agli ultraottantenni.

Secondo Catholic Culture, che riporta la notizia data dal Telegraph, si tratterebbe di una chiara violazione delle norme che proibiscono ogni forma di lobbying prima di un Conclave.

È la seconda volta che questo sospetto, o accusa, viene alla luce. La prima volta è stata qualche anno fa, quando Austin Ivereigh, già portavoce di Murphy O’Connor, grande fan del Pontefice regnante, nel suo libro “The Great Reformer” (Tempo di misericordia, in italiano) scrisse che i cardinali che nel 2005 avevano spinto Bergoglio a correre, per essere sconfitto da Ratzinger, “Avevano imparato la lezione del 2005 e stavolta erano ben organizzati. Prima di tutto si assicurarono il consenso di Bergoglio. Quando gli domandarono se fosse disponibile rispose che riteneva che in un simile momento di crisi per la Chiesa nessun cardinale, ove glielo si fosse chiesto, potesse rifiutare. Murphy O’Connor lo avvertì a bella posta di ‘stare attento’ che stavolta era il suo turno, e l’altro rispose in italiano: ‘Capisco’”.

Quello che ha scritto pone un problema; va contro le regole del Conclave, stabilite dalla Universi Dominici Gregis, al N. 81: “I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d’ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione”.

Per vedere come questo pasticcio fu risolto, sia pure in maniera non estremamente limpida, potete leggere qui e qui e anche qui .

Austen Ivereigh sembrava implicitamente confermare che il “Team Bergoglio” è esistito e ha lavorato.

Lasciando da parte per il momento il problema della violazione; comunque la rivelazione della Pepinster arricchisce quello che è il quadro. E spiega un episodio accaduto nei primi mesi del Pontificato. Quando Gerhard Müller, allora prefetto della Congregazione per la Fede, fu chiamato urgentemente al telefono una mattina dal Pontefice. Murphy O’Connor aveva avuto problemi con almeno un caso di abusi sessuali commessi da uno sacerdote quando era vescovo, prima di giungere a Londra. Una donna, parente di una delle vittime, aveva chiesto che la Congregazione per la Dottrina della Fede indagasse su come aveva esercitato la responsabilità di sorveglianza e prevenzione dovute come vescovo. La Congregazione aveva aperto una pratica. Il Pontefice ingiunse a Müller di chiuderla rapidamente. Müller raccontò l’episodio; ne era rimasto molto colpito, anche perché la telefonata era arrivata mentre stava celebrando una messa per un gruppo di ospiti tedeschi, e il Pontefice aveva insistito per parlargli, a dispetto della situazione.

Il quadro dell’elezione di Bergoglio assume quindi sempre di più la forma di un qualche cosa preparato da molto tempo.

Vi ricordate il gruppo di Sankt Gallen, quello che Danneels chiamava la “mafia di Sankt Gallen”? Ne facevano parte Martini, Danneels, Murphy O’Connor, Silvestrini e altri ancora. Quando – prima del 2005 – ne faceva parte Martini, e durante una riunione si fece il nome di Bergoglio, il cardinale di Milano disse: non parliamo di nomi, parliamo di programma. Nel 2005 fu eletto Ratzinger. Ma il gruppo, anche se non si riunì più nella cittadina svizzera, continuò a operare, tanto che dopo l’elezione di Bergoglio il cardinale Silvestrini poteva confidare ai suoi fedeli che il programma del pontificato era stato un prodotto di quel “think tank”. (E come vediamo si cerca di attuarlo: eucarestia ai divorziati risposati, contraccezione sotto studio, a dicembre i “viri probati”, diaconato femminile…).

Al gruppo di lobbying e pressione anglo-belga-tedesco si è unita poi l’America Latina, e soprattutto il card. Hummes. Lì nacque l’idea di “inventare” la possibile candidatura del card. Scherer, come schermo per il cavallo reale, Bergoglio. Che trovò poi il sorprendente appoggio del card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato (ahimé) di Benedetto XVI. Gli amici di Bertone cercavano di rastrellare voti per l’arcivescovo di Buenos Aires, sostenendo che poi sarebbe stato facile da controllare. E, in effetti, gli uomini dell’ex segretario di Stato sono stati mantenuti o promossi.



Credibile quindi questa nuova rivelazione sul pre-Conclave. Che conferma la lunga marcia dell’arcivescovo di Buenos Aires verso il soglio di Pietro. Frutto, a quanto pare, più di una strategia di lungo corso che di una ventata improvvisa dello Spirito.

 

In spagnolo: clicca qui

 





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LA LETTERA E IL GRIDO DI UN CATTOLICO AL PAPA: LA TUA CHIESA HA ABBANDONATO I DEBOLI E GLI INNOCENTI.

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MARCO TOSATTI

Ho ricevuto questa lettera da un collega e amico. Qualcuno che ha lavorato da cattolico nella cultura, nel giornalismo, e nell’insegnamento, e che adesso si definisce “ex”; ex per quanto riguarda gli impegni attivi – anche se nonostante tutto ancora si dà da fare, eccome – ma certamente non da cattolico. Più che una lettera è un grido di dolore, rivolto al Pontefice; e io spero che il Pontefice la legga, e cercherò, con i miei limitatissimi mezzi, di fare in modo che chi si occupa della sua comunicazione la riceva, e, forse, se non scatta qualche meccanismo cortigiano, gliela sottoponga. Io credo che renderebbe al Pontefice un grande servizio; perché è una lettera sincera, nata da un amore e una sofferenza reali, e profondi.

La Chiesa di Bergoglio ha abbandonato deboli e innocenti

Per secoli la Chiesa ha lottato per la difesa dei più deboli e degli innocenti. Per questo il mondo e il potere si sono spesso schierati contro di essa. Schiavi, orfani, bambini esposti, vedove, malati… sin dai primi secoli sono stati i destinatari della grande carità che vedeva in loro l’innocenza e la debolezza di Cristo, puer et infirmus.

I primi polemisti pagani, come Celso, nel suo Discorso della verità contro i cristiani del 178, Porfirio e Frontone, nelle loro orazioni, accusavano i cristiani di frequentare donnette, schiavi e bambini, invece che senatori e uomini di potere e di intelletto.

Alla fine dell’Ottocento Friedrich Wilhelm Nietzsche ne La genealogia della morale rivolgerà agli ebrei e ai cristiani la medesima accusa: «Sono stati gli ebrei (conquistando Roma col cristianesimo, N.d.R.) ad aver osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono=nobile=potente=bello=felice=caro agli dèi), ovverossia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti».

Pochi anni dopo queste parole, i deformi saranno condannati a morte dai nazisti, con l’aborto selettivo e l’eutanasia, e, nonostante l’esistenza di tiepidi e di ignavi, molti uomini di Chiesa, come il cardinale August Von Galen, saranno i principali oppositori di queste pratiche disumane, a rischio della propria vita.

Balzando ai tempi nostri, sino a ieri i cattolici, con inevitabili divisioni e defezioni, sono stati protagonisti in tutte le battaglie politiche e culturali a difesa degli innocenti: sono stati i primi a lottare contro il divorzio, che priva i bambini della stabilità e della sicurezza familiare; contro l’uccisione degli innocenti, con l’aborto; ad impedire l’affermarsi dell’idea secondo cui, per i malati, la soluzione è l’eutanasia; ad opporsi all’indottrinamento del gender; a contrastare, si pensi alla legge 40 del 2004 e al referendum del 2005, la inutile e criminale sperimentazione sugli embrioni umani, che uccide, e l’utero in affitto, cioè una pratica che schiavizza le donne e trasforma i bambini in oggetto di compravendita…

In tutte queste battaglie i cattolici si sono schierati dalla parte del più debole, dell’innocente, contro il capriccio degli adulti, lo strapotere della tecnica, la mercificazione del corpo umano e dei gameti umani… Confortati dalle parole di santa madre Teresa di Calcutta: “il bimbo nel grembo materno è il più povero tra i poveri”.

Con l’elezione di Bergoglio tutto è cambiato.

In nome di una maggior comprensione dei tempi presenti e della cultura contemporanea, si sono di fatto abbandonati coloro a cui il tempo presente e la cultura contemporanea non riconoscono alcun diritto.

Si veda a tal proposito l’appoggio dato in Italia al governo Renzi e Gentiloni, che pure hanno portato avanti il divorzio breve, la legge Cirinnà, ed hanno cercato di legalizzare droghe leggere ed eutanasia; si pensi al silenzio con cui sono stati accolti il matrimonio gay in Germania, Irlanda ed Australia, oppure l’assoluta afasia davanti alle sentenze che hanno sdoganato l’utero in affitto anche nel nostro paese.

Di più: con il favore dei media, il famoso “V potere”, sino a ieri acerrimo avversario del pontefice Bendetto XVI, che ricordava spesso ai più forti l’esistenza di “principi non negoziabili”, si è demonizzato ed ostracizzato il movimento cattolico di base che si opponeva all’ imposizione sui bambini dell’ideologia gender nelle scuole.

Monsignor Nunzio Galantino, segretario Cei per decisione di Bergoglio, ha ostacolato in tutti i modi ben due Family day, che Bergoglio, da parte sua, ha del tutto ignorato, rifiutandosi di degnare di un saluto le più grandi manifestazioni cattoliche di piazza della nostra storia repubblicana.

Nel contempo si è affidata la Pontificia Accademia per la Vita e il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia ad un monsignore di potere, Vincenzo Paglia, indagato dalla magistratura italiana, che ha più volte ribadito la sua stima per Marco Pannella, cioè l’uomo che ha dedicato la sua vita alla lotta contro i più deboli, promuovendo cultura della droga, aborto ed eutanasia.

Oggi, nella Chiesa, è diventato quasi impossibile parlare di “principi non negoziabili”, lottare per la difesa della vita e della libertà di educazione, ricordare il dovere dei genitori di amarsi l’un l’altro per sempre, in nome della promessa da loro fatta, e in nome dei loro figli. Sono tutti temi che vengono definiti divisivi, scomodi, inattuali.

Sì, la difesa dei deboli e degli innocenti è sempre scomoda ed inattuale, perché si scontra con il potere cinico e violento: a meno che non sia travestita nell’attuale celebrazione di un sistema che sradica i popoli, rendendo tutti migranti, creando nuove povertà materiali e spirituali, facendo il gioco del grande capitale apolide.

Non è un caso che i finanzieri miliardari alla George Soros, le grandi Ong, e politici potenti come Emma Bonino, la pasionaria di Pannella, si trovino oggi in perfetto accordo con le parole e le azioni Bergoglio quanto alla narrazione retorica sulle migrazioni. Eppure, anche in questo caso, non dovrebbe essere difficile capire che stiamo assistendo ad una debacle dei più deboli: i ceti più poveri italiani, che verranno schiacciati dalle migrazioni massicce che stiamo vivendo, e i migranti stessi, giovani africani che si trovano a vivere senza famiglia e con lavori precari, in un Occidente che non è in grado di accogliergli in modo degno.

Due parole, conclusive anche su un documento, Amoris laetitia, estorto ad un sinodo evidentemente indirizzato e manipolato. Amoris laetitia sta dividendo la Chiesa, perché contraddice l’insegnamento dei pontefici precedenti.

Anche questo documento, in verità, va contro la difesa dei deboli e degli innocenti, nonostante si presenti come un testo impostato sulla misericordia: sino a ieri la chiesa si “schierava” con le spose o i mariti ingiustamente abbandonati e con i bambini privati di uno dei genitori.

Lo faceva semplicemente ricordando a tutti che chi si sposa con un matrimonio religioso, non può rompere la comunione con coniuge e figli, credendo poi di poterla mantenere con Gesù Cristo, che ci ha insegnato ad osservare i suoi comandamenti (“Chi mi ama, osserva i miei comandamenti”) e ad amare il nostro prossimo.

Oggi invece questo non vale più: si insegna che la comunione eucaristica è per tutti, anche per chi magari abbia infranto il vincolo coniugale e viva una nuova relazione adulterina.

Chi ci rimette? I deboli e gli innocenti! Non è affatto misericordia, questa, verso il coniuge innocente, che ha investito tutto nel suo matrimonio e nella sua famiglia, e che si trova abbandonato e tradito, mentre la Chiesa giustifica abbandono e tradimento.

Facciamo un esempio concreto: un uomo che lasci sola la moglie, magari con due o tre figli, per andare con un’altra donna. Legittimare questa scelta non è forse abbandonare i più deboli e gli innocenti, e cioè la moglie e i figli abbandonati?

Un altro esempio: una moglie che decide di abbandonare il marito, portarsi a casa l’amante e gettare il coniuge nella disperazione, lasciandolo privo di casa e lontano dai figli.

In entrambi i casi non dovrebbe la Chiesa ricordare a tutti il dovere che hanno verso la persona che hanno sposato e verso i figli che hanno messo al mondo?

Così ha sempre fatto, con tutti i limiti umani, per secoli, arrivando spesso a condannare principi e sovrani che ripudiavano le mogli, e abbandonavano i loro figli; lottando, nei paesi di missione in cui vige la poligamia, per rivendicare il diritto della donna e dei figli ad avere un marito ed un padre.

Oggi non è più così, perché chi guida la Chiesa ha scelto l’applauso del potere che, come Erode, non vuole più sentirsi dire da Giovanni Battista: “Non ti è lecito!”.










[Modificato da Caterina63 19/11/2017 23:41]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Fonte libertaepersona.org 26/09/2017

Autore Francesco Agnoli

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In un suo fedele articolo in ricordo del cardinal Carlo Caffarra, Antonio Socci riportava le frasi dette dal proporato ad un sacerdote, ed in particolare questo passaggio: “Immagina la sofferenza di sant’Atanasio che rimase da solo a difendere la verità per amore di Cristo, degli uomini, della Chiesa”. Nel commento Socci rammenta giustamente l’incredibile isolamento di sant’Atanasio, aggiungendo il fatto che fu “scomunicato dal papa”.

La scomunica ad Atanasio

Queste considerazioni hanno destato molto interesse, perchè da una parte sottolineano come nella Chiesa sia accaduto che un pensiero eretico, quello ariano, sia divenuto per un certo tempo maggioritario (lo dirà anche Paolo VI, riguardo ai suoi tempi, alludendo “la fumo di Satana nel tempio di Dio”), dall’altra sollevano, oggi come in passato, discussioni sulla cosiddetta “infallibilità” del papa.

Alcuni commentatori hanno preferito dribblare ogni problema sollevato dalla scomunica di Liberio ad Atanasio, in questo modo: facendo appello a quegli storici che negano che Liberio abbia mai scomunicato Atanasio, oppure affermando che, sì, la scomunica vi è stata, ma dietro costrizione dell’imperatore.

Come stanno allora le cose?

 

La prima notazione da fare è che molti storici della Chiesa e molti teologi hanno sempre dato credito alla versione della cosiddetta “caduta di Liberio”. Cito soltanto il Bousset e il Fleury, o, per fare un nome più noto, sempre in Francia, Blaise Pascal, il quale giustificava la sua opposizione non al papato, ma a certe scelte di un pontefice coevo, proprio rifacendosi ai cedimenti di Liberio, dati nella cultura del tempo come acclarati. E ricordava che i pontefici stessi hanno un dovere di comunione con il Vangelo e la Tradizione che li precede.

Nel suo Una storia della Chiesa, Angela Pellicciari scrive che sia san Girolamo che sant’Atanasio sostennero la “caduta” di Liberio.

Benedetto XVI, in un ritratto pubblico di sant’Atanasio del 20 giugno 2007, si limita a ricordare i cinque esili da lui subiti per rimanere fedele, ma non va oltre.

Andrebbe qui ricordato che il cardinal Joseph Ratzinger era al fianco di Giovanni Paolo II nel 2000, quando la Chiesa chiese perdono per le colpe del suo passato, suscitando anche una certa preoccupazione in molti, cardinal Giacomo Biffi in primis, non per l’esistenza di colpe in sé, ma per la genericità e l’inopportunità delle accuse.

Sebbene in quell’occasione il cardinal Ratzinger abbia cercato di limitare e contestualizzare la richiesta di scuse, per evitare di rinfocolare tante polemiche fasulle e pretestuose, tante letture storiche evidentemente ideologiche, egli non si dissociò dall’ammettere che gli uomini di Chiesa, papi compresi, possano sbagliare, e anche gravemente. Allora ci si riferì, storicamente parlando, al papa Andriano VI, che all’epoca della riforma protestante aveva rimproverato uomini di chiesa perchè le loro colpe avevano favorito il diffondersi della perniciosa eresia luterana. Adriano non risparmiò critiche neppure ad un altro papa, Leone X.

Ma torniamo a Liberio. Se hanno ragione gli storici che negano la sua defezione, nulla questio, in questo singolo caso.

Ma se hanno ragione coloro che la affermano, si possono fare almeno due considerazioni. La prima: il fatto che Liberio abbia scomunicato Atanasio dietro minacce o lusinghe dell’imperatore, toglie legittimità giuridica alla scomunica stessa, ma non cancella affatto la responsabilità morale di Liberio, che rimane intatta (per quanto diminuita).

La scomunica non è atto infallibile

La seconda considerazione è la seguente: non solo Liberio sbagliò a scomunicare sant’Atanasio, ma è certo che la scomunica papale non rientra tra i provvedimenti dotati di infallibilità. Per stare ai tempi nostri, la scomunica ai cosidetti lefebvriani inflitta da Giovanni Paolo II non solo suscitò moltissime perplessità già all’epoca (abbondarono le tesi di laurea nelle facoltà pointificie in cui il provvedimento veniva criticato, e vari cardinali non furono per nulla concordi), ma è stata tolta da Benedetto XVI, senza che i successori di Lefebvre abbiano cambiato alcunchè, a dimostrazione che due papi, anche amici, possono avere idee diverse riguardo ad una medesima vicenda (si può aggiungere che nella storia della Chiesa abbiamo persino un antipapa Ippolito di Roma, santo come il suo avversario, papa Callisto, da lui accusato, tra le altre cose, di ammettere alla comunione anche persone da non ammettervi a causa di gravi peccati!).

Del resto, come la scomunica non è infallibile, a maggior ragione non lo sono provvedimenti disciplinari meno pesanti, ma purtuttavia molto gravi, come quelli con cui i papi hanno sovente punito, o per tuziorismo o del tutto ingiustamente, persino dei santi (l’ultimo dei quali è san Pio da Pietralcina).

A quanto si è detto sino a qui, si potrebbe aggiungere molto altro: per esempio il caso di papa Onorio I, che fu formalmente anatematizzato da Papa Leone II (682-683) per il suo parziale cedimento all’eresia monotelita; oppure il caso di papa Giovanni XXII, che il 3 dicembre 1334, sul letto di morte, ritrattò un’ eresia da lui sostenuta, come teologo privato, in numerosi sermoni, riguardo alla visione beatifica (aveva affermato che le anime dei santi in cielo non vedono Dio faccia a faccia prima del giudizio universale).

bendetto

Il beato cardinale Newman, Benedetto XVI e l’infallibilità

Ma, vista la complessità del tema, vorrei ricorrere a due autorità indiscusse: il cardinal J. Henry Newman, beatificato nel 2010, e Benedetto XVI.

Impegnato nella ricezione e nella non facile comprensione del dogma dell’infallibilità pontificia, Newman scriveva nella sua Lettera al duca di Norfolk: “Con tutto ciò sono lontano dall’affermare che i Papi non abbiano mai torto; che non si debba mai opporre a loro, oppure che le scomuniche abbiano sempre effetto. Non sono tenuto a difendere la politica e gli atti dei singoli papi...”.

E ancora: “Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte”; “Cosa hanno a che fare la scomunica e l’interdetto con l’infallibilità?… Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorchè separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio? E per venire all’epoca moderna, lo fu Gregorio XIII quando fece coniare una medaglia per ricordare la notte di san Bartolomeo?… Nessun cattolico ha mai preteso che tali papi fossero infallibili agendo in quella maniera”.

Argomentando in questo modo, Newman ricordava di non dire nulla di nuovo, e citava illustri teologi come il cardinal Juan de Torquemada o san Roberto Bellarmino.

Quanto al primo: “se il papa ordinasse qualcosa contro la Sacra Scrittura, gli articoli di fede, la verità dei sacramenti, i comandamenti della legge naturale o divina, egli non deve essere obbedito e non bisogna curarsi dei suoi ordini“;

Quanto al secondo, san Roberto Bellarmino: “per resistere e per difendere se stessi non è richiesta alcuna autorità… quindi come è lecito resistere al papa se assale una persona, è altrettanto lecito resistergli se assale le anime… e tanto più se tenta di distruggere la Chiesa. E’ lecito resistergli, affermo, col non fare quello che comanda e impedendo l’esecuzione dei suoi progetti” (cit. in J. H. Newman, Lettera al duca di Norfolk).

Si badi bene, che qui un santo teologo, super ortodosso, ipotizza perisno che un papa possa arrivare a voler distruggere la Chiesa! E si ricordi che Dante Alighieri che mette dei papi all’inferno (spesso sbagliando, ma qui non importa), esprime un concetto accettato da tutto il mondo cattolico: il papa non è affatto impeccabile, può addirittura dannarsi!

Newman, spiegando che questa sua visione della coscienza non ha nulla a che vedere, nonostante le apparenze, con il protestantesimo, aggiungeva: “Sembra dunque che vi siano casi estremi nei quali la cosceinza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita“; e concludeva con parole sue: ” se il Papa o la Regina esigessero da me una ‘obbedienza assoluta’, lui o lei trasgredirebbero le leggi della società umana: a nessuno di loro io devo una obbedienza assoluta!“. Sì, perchè come un sovrano è sottomesso alle leggi di Dio, o in uno stato moderno, alla Costituzione, anche il papa è sottomesso al Vangelo, e deriva la sua autorità non da sè, ma da Dio.

Va ricordato che il beato Newman non era certo contrario al dogma dell’infallibilità, ma riteneva che una definizione chiara fosse assai ardua e che molti cattolici non la avrebbero compresa, allargandone a dismisura i confini. Nelle sue lettere troviamo scritto che “l’infallibilità non è un modo di essere del papa, né uno stato mentale”; che “di certo il papa non è infallibile oltre il deposito della fede data in origine”; che “un papa non è ispirato; non ha un insito dono di divina conoscenza, ma quando parla ex cathedra, che dica poco o molto, è semplicemente protetto da dire il falso” (Roderick Strange, John Henry Newman. Una biografia spirituale, Lindau, Torino, 2010).

Quanto a Benedetto XVI noterei due cose. Il catechismo Youcat che egli fece distribuire ai giovani per la Giornata mondiale della Gioventù di Madrid, affronta così l’infallibilità pontificia: “L’infallibilità del papa non ha nulla a che vedere con la sua integrità morale o con la sua intelligenza. Infallibile nel senso proprio è la Chiesa, dal momento che Gesù le ha promesso lo Spirito Santo… Quando una verità di fede viene negata o fraintesa la Chiesa deve avere una voce definitiva che affermi in maniera normativa che cosa è vero e cosa è falso: questa è la voce del papa. Come successore di Pietro e primo tra i vescovi, egli ha il potere di formulare in accordo alla Tradizione la verità di fede della chiesa messa in discussione… Per questo si dice: “il papa proclama un dogma”Tale dogma non può contenere niente di “nuovo”; la proclamazione di un dogma è un fatto molto raro, e l’ultima risale al 1950”.

Si noti come l’infallibilità viene definita e limitata, agganciandola alla Tradizione e alla proclamazione solenne di un dogma, di cui si dice che è evento molto molto raro*.

Ma il papa non è eletto dallo Spirito Santo?

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La seconda affermazione di Benedetto è la risposta ad una domanda (“È lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione del Papa?”) riportata dal vaticanista Luigi Acattoli e pubblicata da Avvenire proprio il 13 marzo 2013, cioè proprio nel giorno dell’elezione di Francesco: “Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto“.

A tal riguardo ci vengono in aiuto sia la storia sia la tradizione. La storia ci dice che vi sono stati non solo molti cardinali, ma anche papi imposti dalle famiglie nobiliari romane o da gruppi di potere ben poco inclini all’ascolto dello Spirito santo, e che è esistito il diritto di veto da parte dell’Impero asburgico riguardo all’elezione papale. Ciò significa che purtroppo spesso gli uomini hanno eletto papi con poco rispetto dello Spirito Santo: di cui si potrà allora dire che assiste senz’altro la Chiesa, ma senza che questo significhi che assicura la santità di ogni particolare elezione. Tanto più che la teologia in generale ci assicura di questo: lo Spirito Santo è sempre e solo “suggeritore” (con maggiore o minor forza), perchè Dio rispetta sempre la libertà umana, compresa quella dei cardinali.

Quanto alla Tradizione, si è spesso citata, e mai contraddetta, una frase di san Vincenzo da Lerino: “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”.

La possibilità dell’apostasia

Si capisce, alla luce di quanto si è detto, che la questione dell’infallibilità non è propriamente semplicissima né semplicistica, perchè deve conciliare la promessa di Cristo alla sua Chiesa, con la libertà e l’umanità di ogni pontefice, e perchè è evidente che l’autorità papale è al servizio del Vangelo e della Tradizione, non essendo il pontefice padrone della Verità, ma chiamato a “tramandarla” e a “confermare i fratelli nella fede”.

Del resto sono le stesse Scritture a mostrarci un Pietro che viene certamente scelto come capo degli apostoli, ma anche che ne sbaglia parecchie (taglia l’orecchio di Malco; viene apostrofato con un terribile “Vade retro Satana”; rinnega Gesù tre volte; viene corretto da Paolo…), ed è la storia ad averci insegnato che possono esistere papi per nulla buoni e retti; è infine sempre la Scrittura, precisamente san Paolo, nella II lettera ai Tessalonicesi, a profetizzare l’apostasia, con frasi di difficile comprensione, che però contengono l’idea secondo cui “l’apostata” arriverà a “sedere nel tempio di Dio”.

Queste frasi hanno fatto parlare i Padri della Chiesa della possibilità che ci sia, un giorno, un tradimento nella Chiesa di immani proporzioni: come conciliare allora, ancora una volta, la promessa di Gesù sulle porte degli inferi che non prevarranno, con la profezia di un tradimento di molti Giuda, o, come scriveva sant’Agostino, di “malvagi e falsi cristiani” che “sono usciti da noi, ma non erano dei nostri”?

E ancora: come conciliare l’infallibilità del papa con l’ipotesi del “papa eretico”, ipotesi non certo peregrina se essa trova spazio sia nel Medioevo, sia in testi cinquecenteschi come Iulius exclusus e coelis di Erasmo da Rotterdam, sia nel vecchio e nel nuovo codice di diritto canonico, allorchè si spiega che il pontefice romano cessa il suo ufficio “o per morte naturale accertata, o per rinuncia, o per eresia notoria” (vedi vecchio Codice di diritto canonico, canone 188; nuovo codice, canone 194; Enciclopedia del diritto, voce Pontefice, n.13; Ius canonicum, del generale dei Gesuiti Francisco Wernz, Roma 1928, al capitolo De suprema potestate)?

index

I Dubia

Tornando, in conclusione, al defunto cardinal Carlo Caffarra, i Dubia da lui firmati insieme a vari confratelli (e condivisi da migliaia di sacerdoti e fedeli) chiedono appunto a Bergoglio di pronunciarsi in modo chiaro, non in una nota (per usare l’espressione di mons. Georg Gaenswein), ma con una dichiarazione pubblica, solenne, formale, che impegni il suo ruolo di pontefice.

Finchè questo non avviene, la questione rimane, appunto, dubbia, aperta.

Recita così il celebre Manuale di teologia dogmatica, pre conciliare, di Ludovico Ott: “Quando il papa parla come teologo privato o come vescovo della sua diocesi non è infallibile”, perchè per l’infallibilità occorre che “abbia intenzione di decidere definitivamente una dottrina di fede o di morale in modo che questa sia ricevuta da tutti i fedeli. Senza questa intenzione, che deve chiaramente risultare dalla formulazione o dalle circostanze, non vi è definizione ex cathedra. Gli insegnamenti delle encicliche per la massima parte non sono definizioni ex cathedra”.

Poichè tutto fa pensare che Bergoglio non risponderà ai Dubia; poiché egli stesso ha dichiarato, di aver avuto dei dubbi (e di aver interrogato a tal proposito il cardinal Christoph Schönborn, il quale a sua volta ha cambiato idea rispetto al passato, e potrebbe cambiarla nel futuro); poiché le conferenze episcopali danno interpretazioni diverse dello stesso documento, senza che Francesco “abbia intenzione di decidere definitivamente una dottrina di fede o di morale in modo che questa sia ricevuta da tutti i fedeli”; poiché la Congregazione della Fede ha espresso molte perplessità su vari punti del documento… si può immaginare che sarà un futuro pontefice a decidere di sciogliere l’enigma.

Se desse una certa lettura, contraria ai Dubia, si troverebbe a dover smentire la Tradizione, rendendo ancora più difficile comprendere cosa sia questa infallibilità che porta dei pontefici ad insegnare qualcosa per secoli, ed altri a smentire questo insegnamento. Se invece dovesse rispondere come Caffarra pensava, cioè proclamando che le note ambigue di Amoris laetitia vanno risolte alla luce dei documenti precedenti, i teologi e gli storici ricorderanno che la Chiesa è stata nel dubbio, ma che non si è mai smentita in senso proprio, poichè Bergoglio non ha mai impegnato la sua infallibilità, non ha mai definito chiaramente, esplicitamente e solennemente una nuova dottrina e una nuova disciplina sul matrimonio, universalmente valida, come sarebbe richiesto se volesse impegnare l’infallibilità pontificia.

*Un brano ulteriore di Bendetto XVI: “Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale. 
Dove non esiste né l’unanimità della Chiesa universale né una chiara testimonianza delle fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe perciò sollevare il problema circa la sua legittimità». (Joseph Ratzinger, Fede, ragione, verità e amore, Lindau, 2009, p. 400)

 

** Pleonastico notare che le dichiarazioni di un pontefice in campo politico, ad esempio gli elogi di Pannella, Bonino ecc. o le dichiarazioni su immigrazione e politiche varie, non godono di alcuna infallibilità e non esigono nessun assenso da parte del fedele.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Risposta ai “dubia” o eresia conclamata? Il problema della pubblicazione sugli “Acta Apostolicae Sedis” della lettera ai vescovi di Buenos Aires

Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione sul sito del Vaticano della lettera di compiacimento del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires per i Criterios básicos para la aplicación del capitulo VIII de Amoris laetitia – lettera del Vescovo di Roma, a quanto ci risulta, probabilmente richiesta da persone vicine all’attuale establishment vaticano, prima che giungesse un parere avanzato dai vescovi predetti ad un gruppo di teologi moralisti, e che “blindava” i criteri elaborati in quel momento - un insigne canonista, il prof. Edward Peters, docente di diritto canonico a Detroit, affermava che quella lettera e quei Criteri non potessero assumere valore legislativo in ambito canonico né vincolante, in quanto la pubblicazione online non costituiva una modalità prevista dal can. 8 § 1 C.I.C. (cfr. E. Peters, On the appearance of the pope’s ‘Buenos Aires’ letter on the Vatican website, in In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s BlogAug. 24, 2017)
Concludeva, quindi, mostrando una certa rassicurante tranquillità:«There are, to be sure, many important publications coming out of the Holy See and/or the Vatican City State (L’Osservatore RomanoCommunicationesEnchiridion Vaticanum, the Insegnamenti of recent popes, and so on) some of which carry canonically and magisterially significant documents in a complex (and sometimes confusing) variety of formats. Sorting out these fontes essendi and fontes cognoscendi is stuff for professionals; our focus today is on key points of codified canon law, on some very important disciplinary provisions presented in that law, and specifically on where such laws and norms for pastoral activity are set out authoritatively.And that, folks, is not the Vatican website».Aveva ragione. Per quell’insigne canonista serviva la pubblicazione sugli Acta Apostolicae Sedis.


La qual cosa è avvenuta puntualmente. In effetti, pochi giorni fa, il testo della Lettera del Vescovo di Roma, unitamente ai Criterios básicos elaborati dai vescovi argentini sono apparsi sul fasc. 10 dell’anno 2016 degli Acta Apostolicae Sedis, pp. 1071-1074. Ora, va detto che gli Acta sono pubblicati con circa un anno di ritardo rispetto a quello di riferimento. Per cui, la pubblicazione risale davvero a pochi giorni fa. Senonché questi due documenti – ed è qui la novità di rilievo – sono stati pubblicati con un rescritto ex audientia SS.mi, a firma del card. Segretario di Stato, Pietro Parolin, datato 5 giugno 2017.Quest’atto, dal nome altisonante (ex audientia SS.mi), che non compare nel sito del Vaticano, in verità, oltre a disporre la pubblicazione dei due predetti atti negli Acta, qualificava gli stessi come espressione del Magistero Autentico:
Summus Pontifex decernit ut duo Documenta quae praecedunt edantur per publicationem in situ electronico Vaticano et in Actis Apostolicae Sedis, velut Magisterium authenticum.Ex Aedibus Vaticanis, die V mensis Iunii anno MMXVIIPetrus Card. ParolinSecretarius Status

Non solo. Ma negli Acta, la Lettera del Vescovo di Roma appare così titolata: EPISTULA APOSTOLICA Ad Excellentissimum Dominum Sergium Alfredum Fenoy, delegatum Regionis Pastoralis Bonaërensis, necnon adiunctum documentum (de praecipuis rationibus usui capitis VIII Adhortationis post-synodalis “Amoris Laetitia).Tutta questa terminologia – unitamente all’elevazione dei due documenti a “Magistero autentico”, che evoca direttamente, quanto a sua vincolatività, il can. 752 c.i.c. – spazza via ogni perplessità circa la natura della missiva del Vescovo di Roma.In effetti, nel settembre 2016, non pochi autori non vi avevano ravvisato alcun allarmismo, stante – affermavano – la natura assuntamente “privata” e non vincolante dell’atto in questione. Tra questi segnaliamo il domenicano P. Giovanni Cavalcoli (Circa la infelice lettera del santo padre ai vescovi argentini: una nota sulla questione della comunione ai divorziati risposati, in Isola di Patmos, 14.9.2016) ed il giornalista Riccardo Cascioli (cfr. Amoris Laetitia, il dibattito non è finito, in LNBQ, 13.9.2016). Cosa diranno oggi questi nostri autori??? Ribadiranno quanto da loro detto più di un anno fa e cioè che trattasi non di documento magisteriale, bensì di missiva avente carattere privato??? Vorranno affermare ciò nonostante il rescritto, minimizzandolo???Per la verità, già l’anno scorso quest’affermazione lasciava molto a desiderare dal punto di vista canonistico e logico.

In effetti, un documento che era pubblicato – come nel caso della Lettera in questione e dei Criterios básicos sul quotidiano de L’Osservatore romano e diffuso dalla Radio Vaticana, ben difficilmente poteva ritenersi meramente privato, se non compiendo una notevole forzatura del dato oggettivo della pubblicazione ufficiale nel quotidiano della Santa Sede.D’altro canto, l’affermazione circa l’irrilevanza magisteriale di missive pontificie pretesamente private era facilmente smentita da una semplice lettura dell’Enchiridion Symbolorum del Denzinger. Basta sfogliarlo per rendersi conto che la maggior parte dei documenti ivi registrati e che costituirebbero il magistero papale sono costituiti da missive “private” papali a vescovi, singoli o gruppi di una regione ecclesiastica, a imperatori , re e capi di governo. Documenti, dunque, per loro natura, nati come “privati” sono entrati a pieno titolo nel Magistero. Da sempre, per di più, come notato da un nostro Amico, anche gli atti privati di un Pontefice fanno testo, quando esplicitano la mens di un provvedimento.

Per esempio, il “De Synodo Dioecesana libri tredecim” fu senz’altro un’opera scritta da Benedetto XIV – Prospero Lambertini come dottore privato; ma la Curia Romana, interrogata sul senso della “Vix pervenit”, non esitava a rimandare i richiedenti al passo delDe Synodo in cui papa Lambertini scriveva di aver voluto condannare la tesi secondo cui l’usura moderata doveva considerarsi illecita solo se esercitata nei confronti dei poveri. Altro esempio che ci viene in mente è la nota lettera al vescovo di Gubbio, Decenzio, del papa Innocenzo I del 416 d.C.: una lettera indiscutibilmente privata, ma che ha assunto il carattere di magistero in ambito liturgico, tanto da essere stata ripresa più volte e pubblicata nel Corpus iuris canonici.Dunque, l’affermazione secondo cui la lettera del Vescovo di Roma rivestisse carattere privato era un’indubbia forzatura ed una minimizzazione del suo significato.Oggi, a seguito della pubblicazione negli Acta e del rescritto del 5 giugno scorso, che, allontanando ogni dubbio, eleva i due documenti al rango di “Magistero autentico”, ogni questione sembra essere superata.

Così come difficilmente sostenibile è la convinzione secondo la quale i due atti costituirebbero nel loro insieme documenti aventi portata limitata, geograficamente circoscritta e limitata alla regione ecclesiastica di Buenos Aires. Pure tale opinione non ci sembra convincente. Invero, sebbene sia indiscusso che negli Acta sovente siano state pubblicate missive dirette a singoli vescovi o che interessassero i vescovi di una nazione o di una regione ecclesiastica, nondimeno, nel presente caso, la qualificazione di “magistero autentico” data dal rescritto, sembra escludere una portata limitata solo a quella regione. In effetti, il magistero autentico, per sua natura, non può certo essere circoscritto ad un ambito territoriale, ma riguarda necessariamente l’intero Orbe cattolico, sebbene lo stesso sia stato occasionato da vicende regionali. Un esempio ci è offerto dall’Epistola apostolica di Leone XIII Testem benevolentiae nostrae al card. Gibbons di Baltimora del 22.1.1899, con la quale quel pontefice condannava l’eresia – antesignana del modernismo – nota comeamericanismo.

Nel nostro caso, il Vescovo di Roma qualificava la lettura fornita dai vescovi argentini nei loro Criterios básicos, prevedenti una gradualità di passaggi per l’accesso dei c.d. divorziati risposati alla Comunione (ovvero alla c.d. piena comunione, come si legge nel punto n. 6 deiCriterios), come l’unica possibile della sua esortazione Amoris laetitia e segnatamente del famigerato cap. VIII di questa su cui, come noto, i famosi quattro porporati avevano avanzato i loro Dubia.Per cui, non vi sono ragioni ostative a considerare questo documento come magistero autentico del Vescovo di Roma. Altro è dire se questo magistero sia davvero autentico, e quindi conforme alla Tradizione ed al Magistero bimillenario della Chiesa. Ma di questo, supponiamo, i fedeli e chi di dovere dovrà prendere atto, traendone le debite conseguenze.Nonostante ciò, ci sono autori, pur molto illustri, che hanno cercato di minimizzare la portata della pubblicazione sugli Acta dei due documenti e della loro qualificazione di “magistero autentico”, forse ben consci delle conseguenze che una siffatta denominazione – più della pubblicazione in se stessa – possa rappresentare.

A parte quanto riferito dall’ottimo Marco Tosatti su Stilum Curiae (ripreso da Chiesa e postconcilio) circa il rescritto – il quale autorizzerebbe soltanto la pubblicazione, ma di cui si omette di riferire la qualificazione data ai due documenti da quest’atto a firma del card. Parolin – v’è da notare come un insigne canonista giunga a tal punto a minimizzare la portata dei due documenti da renderli praticamente irrilevanti sul piano teologico e canonico (cfr. E. Peters, On the appearance of the pope’s letter to the Argentine bishops in the Acta Apostolicae Sedis, in in In the Light of the Law – A Canon Lawyer’s BlogDec. 4, 2017).Per l’Autore, se bene abbiamo inteso il suo contributo:
1) il can. 915 c.i.c. sarebbe tuttora vigente, in quanto il Vescovo di Roma, nella sua lettera, così come i vescovi argentini nei loro Criterios básicos non avrebbero in alcun modo messo in discussione né abrogato né emendato quel canone, su cui continuerebbe a poggiarsi il divieto per i divorziati risposati di potersi accostare all’Eucaristia. Su questo punto insiste anche in altri contributi (cfr. Id., Three ways to not deal with Canon 915, in The Catholic World Report, Jan. 24, 2017);

2) il legislatore canonico, allorché voglia introdurre una nuova legge, è solito adoperare forme particolarmente solenni ed in special modo una lettera apostolica in forma di motu proprio (cioè “di propria iniziativa” e non in risposta ad altri); non si adopererebbero, quindi, semplici lettere apostoliche – come nel presente caso – che, al contrario, «are written to smaller groups within the Church and deal with more limited questions—not world-wide questions such as admitting divorced-and-remarried Catholics to holy Communion» (ivi). Per questo, si afferma: « The pope’s letter to the Argentines appears simply as an “apostolic letter”, not as an “apostolic letter motu proprio”, and it references no canons» (ivi);

3) questo punto prende di mira direttamente il rescritto, di talché i due documenti non possano qualificarsi come “magistero autentico” della Chiesa. A dire dell’Autore, «the content of any Church document, in order to bear most properly the label “magisterial”, must deal with assertions about faith and morals, not provisions for disciplinary issues related to faith and morals. Church documents can have both “magisterial” and “disciplinary” passages, of course, but generally only those teaching parts of such a document are canonically considered “magisterial” while normative parts of such a document are canonically considered “disciplinary”» (ivi). I due documenti, in sostanza, non conterrebbero asserzioni circa la fede e la morale, ma solo disposizioni di carattere disciplinare, comunque ambigue ed incapaci «of leaving the door open to unacceptable practices, suffices to revoke, modify, or otherwise obviate Canon 915 which, as noted above, prevents the administration of holy Communion to divorced-and-remarried Catholics» (ivi).A nostro sommesso avviso le obiezioni, pur proposte da un insigne Autore, non ci sembrano insuperabili.

1a) Sebbene la Santa Sede abbia individuato il fondamento giuridico del divieto per i divorziati risposati di accostarsi alla Comunione nel can. 915 c.i.c. (cfr. Pont. Cons. per i Testi legislativi, Dichiarazione, 24.6.2000), nondimeno va notato che la lettera di questa disposizione normativa risulta avere una portata più ampia e generale. Ci spieghiamo: il canone, per come è costruito, concerne una pletora di soggetti, che sarebbe riduttivo limitare e riferire solo ed esclusivamente ai divorziati risposati l’inciso finale «coloro che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto».
Certo, questi vi rientrano. Ma non sono i soli. Lo notava lo stesso futuro card. Burke, all’epoca arcivescovo di Saint Louis, in un suo scritto pubblicato ad hoc e concernente giusto il canone in questione (Canon 915: The Discipline Regarding the Denial of Holy Communion to Those Obstinately Persevering in Manifest Grave Sin, in Periodica de re canonica, 2007, pp. 3-58).

Ricorda il futuro porporato, vi rientrerebbero, ad es., anche i politici che sostengono pubblicamente una legislazione contraria alla legge naturale o sostengono normative sull’aborto o l’eutanasia.A voler essere rigorosi, il rapporto tra il canone in oggetto ed il divieto di cui si discute è digenus a species. Per cui, sarebbe stato eccessivo, incongruo ed illogico immaginare che il legislatore canonico, per espungere una categoria specifica di persone dal novero di coloro ai quali è fatto divieto accostarsi alla Comunione in quanto ostinatamente perseveranti in peccato grave manifesto, agisse sulla norma generale e non piuttosto, invece, come sarebbe stato ragionevole, su quella specifica e singola. Ed è proprio quello che ci sembra abbia fatto il legislatore canonico, il quale non ha voluto agire, mediante abrogazione o emendamento, sulla disposizione generale, bensì sul divieto particolare e specifico, lasciando intatta la disposizione generale, che, abbiamo detto, non si riferiva solo e soltanto ai divorziati risposati, ma ad una pletora di peccatori ostinati e manifesti.

Pertanto, la mancata abrogazione o modifica della norma generale non può dirsi di per sé indice che la disciplina, per la categoria dei divorziati risposati e solo per questa, non sia stata mutata dal legislatore.A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione. Pur volendosi aderire alla prospettazione dell’Autore qui in discussione, di per sé il legislatore canonico – va ricordato – non è tenuto ad abrogare una norma in maniera espressa. Il can. 20 c.i.c., in effetti, consente al legislatore canonico di abrogare una disciplina previgente pure in maniera tacita o implicita, allorché la legge posteriore sia incompatibile con la precedente (come parrebbe verosimile nel presente caso) oppure quando sia riordinata ex novo la materia, oggetto della legge precedente. Nel nostro caso, almeno per quanto concerne la vexata quaestio dei divorziati risposati, sembra indubbio che il divieto ad hoc – assoluto e senza deroghe – sancito nella Familiaris Consortio e dal diritto divino sia stato fatto cadere già a seguito dell’esortazione Amoris laetitia.

Oggi, sicuramente lo è atteso che il Vescovo di Roma, facendo propri i Criterios básicos ed elogiandoli come unica ermeneutica possibile della sua esortazione, abbia inteso ammettere la categoria dei divorziati risposati – o come si dice degli adulteri – alla Comunione, prevedendo per essi una gradualità nell’ammissione al Sacramento. Pertanto il divieto – un tempo assoluto – non sarebbe più da considerarsi così stringente. Certo, come afferma il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi nellaDichiarazione del 2000, che abbiamo richiamato, si tratta di un divieto di diritto divino. Non si discute. E tuttavia allora si pone un indubbio contrasto tra il diritto umano e quello divino di cui deve prendersi atto, senza cercare di eluderlo affermando l’irrilevanza dei due documenti e senza volerne trarre le logiche conseguenze teologiche e canoniche. Per concludere, la mancata menzione del can. 915 non è ex se dirimente ed un ostacolo a considerare come “magistero autentico” del vescovo di Roma quegli atti. Con tutte le implicazioni, teologiche e canoniche, che ciò comporta.

2a) Anche la seconda obiezione sollevata dall’insigne autore non può essere da noi condivisa. Invero, nessuna disposizione canonica prescrive che una legge ecclesiastica assuma la forma del motu proprio ovvero debba contenere forme espressive sacramentali proprie e solenni. L’unica prescrizione che è dato riscontrare nella codificazione canonica concerne la promulgazione e pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis. La circostanza che il legislatore canonico abbia voluto disattendere la prassi – non codificata – sino ad oggi seguita, non implica che questa vincoli in qualche maniera l’attuale legislatore a far assumere ad una legge canonica una certa forma anziché un’altra. D’altronde, nella storia della Chiesa abbiamo avuto indiscutibilmente forme assai diverse e variegate di leggi: addirittura orali. Un esempio è dato dall’approvazione in forma orale, vivae vocis oraculo, da parte di papa Innocenzo III, dell’Ordine e della Regola di S. Francesco d’Assisi (il c.d.Propositum o Prima Regola). Nessuno dubita che papa Lotario dei conti di Segni avesse approvato l’Ordine, sebbene in forma orale.

Secondo quanto riporta la Legenda Maior, «quando il Papa approvò la Regola e diede mandato di predicare la penitenza, e ai frati, che avevano accompagnato il Santo, fece fare corone, perché predicassero il verbo di Dio. Analogamente vale per la Seconda Regola, detta anche non bollata, anch’essa approvata oralmente dal papa Onorio III nel 1221. L’approvazione per iscritto avvenne solo con la Terza Regola, detta bollata, con la bolla del 29.11.1223, Solet annuere. In essa indiscutibilmente si legge che la Regola fu approvata da Innocenzo III (con una legge data … oralmente): «Eapropter, dilecti in Domino filii, vestris piis precibus inclinati, ordinis vestri regulam, a bonae memoriae Innocentio papa, praedecessore nostro, approbatam, annotatam praesentibus, auctoritate vobis apostolica confirmamus et praesentis scripti patrocinio communimus».

Dunque, nessuno dubitava che la legge di approvazione dell’Ordine e della Regola fosse valida sebbene data in una forma inusitata, cioè oralmente.Un altro esempio, vicino ai nostri giorni, è il discorso del Vescovo di Roma ai Partecipanti al Corso promosso dal Tribunale della Rota lo scorso 25.11.2017. In esso il predetto Episcopo dettava delle precise disposizioni canoniche – in forma orale – riguardo alla legge matrimoniale concernenti il Processo breviore. Le espressioni verbali adoperate erano inequivocabili: «… stabilisco di seguito quanto ritengo determinante ed esclusivo nell’esercizio personale del Vescovo diocesano giudice …». Dunque, il legislatore canonico, anche qui, ha adoperato una forma inusuale: nessun atto scritto, nessun motu proprio, nessuna costituzione apostolica, ecc., ma addirittura orale!Un’ultima puntualizzazione riguardo all’obiezione sollevata.
In realtà, la missiva del Vescovo di Roma ai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires è, a rigore, motu proprio, in quanto nessuno (formalmente) gliel’aveva richiesta né i vescovi argentini avevano preteso l’approvazione dei loro Criterios. Anzi, erano in attesa – da quel che è dato sapere – che un gruppo di teologi moralisti si esprimesse sugli stessi. Per cui, la lettera del Vescovo di Roma era giunta a sorpresa, senza essere avanzata (formalmente) da alcuno. In questo senso era indiscutibilmente motu proprio. I Criterios sono stati solo l’occasio legisper l’emanazione dell’approvazione formale di questi.

3a) Pure la terza obiezione dell’autore non ci sembra consistente. Un atto normativo, avente carattere disciplinare, è senz’altro un atto di magistero. Anche attraverso la legge canonica si esprime il magistero. Ad es., i canoni contenenti una censura ecclesiastica, senza dubbio, pur avendo carattere disciplinare, assumono valore magisteriale. Per cui, non si ravvisa alcuno serio ostacolo, dal punto di vista formale, a che i due documenti, aventi carattere applicativo dell’esortazione Amoris laetitia, possano essere considerati magistero autentico del Vescovo di Roma Bergoglio, non potendosi sostenere che siano suoi … pensieri in libertà o mere riflessioni private … .Un’ultima obiezione, collegata a questa, è se i due documenti – perché la qualità di “magistero autentico” è stata attribuita dal rescritto ai due documenti nel loro insieme e non solo alla lettera di approvazione del Vescovo di Roma! - contengano un insegnamento in materia di fede o di morale, dettando solo delle regole di carattere disciplinare.

Indubbiamente, a nostro avviso, contengono, nel loro insieme, un insegnamento in materia di morale, poiché mirano a derogare ad un precetto morale assoluto, di diritto divino, ammettendo – con gradualità – i divorziati risposati alla Comunione. Sarebbe un’evidente forzatura negare tale realtà, di cui va preso atto. Non si tratta di disposizioni … neutrali …, ma che esprimono chiaramente un “magistero” del Vescovo di Roma, che, peraltro, plaudendo ai Criteri elaborati dagli argentini, interpreta anche l’esortazione Amoris laetitia, indicando quella come unica interpretazione possibile del documento («No hay otras interpretaciones», scrive il Vescovo di Roma), facendo scorgere, come afferma ancheLNBQ, «una volontà chiara di far evolvere la dottrina, più che sostenerne un suo sviluppo omogeneo». 

Automaticamente, dunque, ciò esclude altre possibili ermeneutiche, pur proposte in varie sedi: di ciò è consapevole il teologo John Joy, che, intervistato da One Peter Five, afferma: «adding the letter to the AAS could, in fact, damage the credibility ofAmoris Laetitia by potentially removing the possibility that it could be interpreted in an orthodox way through establishing, via its publication in the official acts of the Apostolic See, that the unorthodox interpretation is the official one».Non è, in verità, l’Amoris Laetitia ad uscire danneggiata – da tale pubblicazione – nella sua credibilità, ma è, a rigore, l’ortodossia cattolica.Di là di tali obiezioni, in effetti, la questione non è formale, bensì sostanziale: se cioè il Vescovo di Roma sia incorso in una violazione del diritto divino positivo, consentendo – sia pur con una gradualità – ad una categoria di persone ben determinata (i c.d. adulteri o divorziati risposati) la possibilità di accostarsi alla Comunione, sebbene la Chiesa da tempo immemore ne avesse vietato l’accesso (cfr. D. Hitchens, Analysis: The Pope’s dramatic – and confusing – move on Communion, in Catholic Herald, Dec. 4, 2017, il quale ricorda «That brings us to the third reason why the latest move will not simply make Catholics accept a new doctrine. The Church down the ages has taught that the divorced and remarried, if in a sexual relationship, cannot receive Communion. You’ll find it in the Church Fathers; in the teaching of Popes St Innocent I (405) and St Zachary (747); in the recent documents of Popes St John Paul II, Benedict XVI and the Congregation for the Doctrine of the Faith. All the teaching of the Church about sin, marriage and the Eucharist would have been understood by those promulgating it to have excluded the sexually-active divorced and remarried from Communion. This has also become part of the Catholic mind: the prohibition is casually referred to by the likes of GK Chesterton and Ronald Knox as Catholic doctrine, and there can’t be much doubt that if you picked a random saint from the history of the Church and asked them what the Church taught, they would tell you the same thing»).

Come osserva Lifesitenews, «The problem with Amoris Laetitia, it is clear, is not merely with “liberal bishops” who interpret it, but with the pope whose manifest interpretation of his own document is impossible to square with the perennial doctrine and discipline of the Catholic faith» (A. Guernsey, Pope Francis Promulgates Buenos Aires Guidelines Allowing Communion for Some Adulterers in AAS as his “Authentic Magisterium”, in Rorate caeli, Dec. 2, 2017; Id., Here’s how Pope Francis elevated communion for adulterers to ‘authentic magisterium’, in Lifesitenews, Dec. 4, 2017. Cfr. D. Cummings McLean, Confusion explodes as Pope Francis throws magisterial weight behind communion for adulterersivi; C. Wooden, Pope’s letter to Argentine bishops on ‘Amoris Laetitia’ part of official record, in NCR, Dec. 5, 2017; . 

Persino il solitamente prudente Andrea Tornielli, si spinge a registrare apertis verbis il cambiamento dottrinale (ammesso che sia possibile …, ovviamente): «Trentacinque anni dopo Familiaris consortio la situazione è notevolmente cambiata. La secolarizzazione è avanzata, i matrimoni sfasciati si sono moltiplicati, e si sono moltiplicati i casi di persone sposate in chiesa senza aver fede e piena coscienza dell’atto sacramentale. Amoris laetitia fa un passo ulteriore, chiedendo maggiore accompagnamento per queste persone e spiegando che in alcuni casi, dopo un percorso di discernimento, e dunque senza automatismi né regole prefissate nei manuali, si può arrivare anche ad assolvere in confessionale e a permettere la comunione eucaristica» (così A. Tornielli, Amoris laetitia, il Papa rende ufficiale la lettera ai vescovi argentini, inVatican Insider, 6.12.2017).

Ma questo è un altro e diverso discorso, che non potrà non avere delle conseguenze sul piano teologico e su quello canonico. Sul piano teologico, in quanto tale violazione ed antinomia nei confronti del diritto divino si tradurrebbe in una sorta di ridefinizione deldepositum fidei e, quindi, in una vera e propria eresia, con la conseguenza che non può considerarsi, in alcun modo, magistero della Chiesa, tantomeno autentico e, dunque, vincolante in coscienza, detto insegnamento contrastante col diritto divino, neppure per ragioni pratiche di approccio pastorale (cfr. Francis leverages AAS for heresy!, in AKA CatholicDec. 4, 2017Pope Declares Troubling Interpretation of AL 'Authentic Magisterium', in Church Militant, Dec. 2, 2017).Si osserva, in effetti, che «Doctrinal development, to the extent that it is possible, cannot coherently be understood to permit a pope to use his teaching authority to contradict his predecessors, and impose that contradiction on Catholics as something they are obliged to believe» e che l’autorità papale «“exists only to preserve and safeguard” the revelation given to the Apostles», cosicché i due documenti qualificati come “magistero autentico” «scarcely “oblige Catholics to believe anything inconsistent with what the Church has so far taught and which they were already under an obligation to believe”» (D. Hitchens, op. ult. cit.).Sul piano canonico in quanto tale eresia si tradurrebbe nell’incapacità dell’attuale Vescovo di Roma di (continuare a) rivestire tale sua carica. 

Non a caso, quasi un anno fa, il card. Burke dichiarava, in un’intervista a Catholic World Report (CWR), che se un papa dovesse «formally profess heresy he would cease, by that act, to be the Pope» (cfr. D. Martin,Communion to Adulterers Promulgated as “Authentic Magisterium”, in Canada Free Press, Dec. 5, 2017).Conseguenze queste davvero inedite e dirompenti sul piano ecclesiale (cfr. Alcune notazioni sulla pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell’AL dei vescovi argentini e della lettera papale, in Chiesa e postconcilio, 6.12.2017). Ed, in effetti, ci pare non senza ragione, il blog Veri Catholici – famoso per aver lanciato una Lettera Aperta su Il Giornale lo scorso 9 novembre (ne parlava anche Marco Tosatti, qui) – affermava che, a seguito di tale pubblicazione sugli Acta, sia giunto il tempo di convocare un Sinodo imperfetto «to issue a formal canonical correction of the Pope» (The Time has come to convene an “imperfect” Synod!, in Veri Catholici, Dec. 3, 2017). Si giungerà a ciò? Nessuno può, al momento, dirlo né prevederlo. Quel che è certo è che, come afferma The Remnant, è che ci troviamo di fronte ad un atto «counter-magisterial» e che l’interpretazione della famosa nota 351 dell’Amoris laetitia è stata confermata come titola il sito Katholisch (Auslegung von Fußnote 351 lehramtlich bestätigt).

Due note finali.

La prima: non c’è dubbio che, come ricordato da alcuni, il Vescovo di Roma, con tale suo atto, tutt’altro che privato, abbia de facto dato una risposta chiara ed eloquente ai famosi Dubia dei Quattro (ora Due) cardinali, indicando, senza giri di parole, come la sua esortazione debba essere interpretata, rigettando altre chiavi di lettura e codificando l’errore (cfr. L’interprétation ultra-libérale d’Amoris laetitia par les évêques d’Argentine : magistère authentique selon le pape François, in Medias-Presse.info, 4 déc. 2017; J. Erbacher, Papst hat keine Dubia, in Papstgeflüster – Das Vatikan-Blog6. Dez. 2017; J. M. Vidal, Ésta es la respuesta del Papa a los cardenales de las 'dubia', in Periodista digital, 6 Dicie. 2017).

La seconda è che per coloro che sostengono una lettura “nella continuità del Magistero”, certamente ora diventa più arduo dare all’esortazione del Vescovo di Roma (ed ai due documenti in questione) un’ermeneutica che non contravvenga alla verità (cfr. C. Bunderson, Analysis: Argentine letter on Amoris is in the Acta. Does that change things?, in CNA, Dec. 5, 2017); una lettura che – ad onor del vero – ci pare poco onesta, fittizia e falsa, in quanto distorcente il pensiero altrui – del Vescovo di Roma nella specie – e poco rispettoso nei riguardi del ruolo e della dignità che, a parole, gli si riconosce.

La verità non ha bisogno di voli pindarici, fingendo che il re non sia nudo!Tanto più che è proprio questa chiave di lettura, pur mossa da buone intenzioni, che alimenta la confusione in atto nella Chiesa. Tale confusione e l’asserita ambiguità derivano proprio dal fatto che si pretende di manipolare e distorcere il pensiero altrui, cercando di attribuirgli un significato che esso non ha. Per cui, come spesso capita in tali casi, la toppa non è adeguata, per eccesso o per difetto, allo strappo che si è prodotto, con la conseguenza di far apparire confuso ciò che sarebbe evidente.

Un pregio i due documenti pubblicati sugli Acta l’avranno: almeno il merito di chiarire definitivamente la mens del loro autore. Prendiamone atto. Piaccia o no. La questione è ora sul tavolo e la mossa è passata al campo cattolico.

Augustinus Hipponensis



[Modificato da Caterina63 08/12/2017 09:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/01/2018 21:22
 
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IL FALSO CRISTO DELLA NEOCHIESA




    La neochiesa massonica sta creando un falso Cristo destinato a fare da specchietto per le allodole. Complimenti nel giro di neppure 5 anni Bergoglio è riuscito a far risalire dalle fogne tutto il fango possibile e immaginabile di Francesco Lamendola  

La neochiesa massonica sta creando un falso Cristo


 


di Francesco Lamendola


 



 


Nel precedente articolo Maria ci aveva avvertiti abbiamo ricordato la figura di don Stefano Gobbi (1930-2011), fondatore del Movimento Sacerdotale Mariano, da lui concepito soprattutto come “risposta” difensiva e riparatrice alla penetrazione della massoneria all’interno della gerarchia cattolica, della quale era ben conscio, anche grazie a una serie di messaggi mariani da lui ricevuti e diffusi per mettere in guardia contro il grave pericolo. Commentando il Libro dell’Apocalisse, Maria Immacolata gli aveva spiegato il significato riposto della bestia simile a una pantera, di colore nero e che sale dal mare (Ap 13, 2), come il simbolo della massoneria che attacca la società e minaccia dall’esterno la fede cattolica; e di ciò avevamo parlato in quella sede. Adesso vogliamo proseguire il discorso, riportando la spiegazione data da Maria alla figura della bestia con due corna, simile a un agnello, che viene dalla terra e che si unisce alla bestia nera, per sferrare l’attacco finale contro i seguaci di Gesù Cristo (Ap 13, 11). Stando al messaggio da lei trasmesso a don Gobbi, questa seconda bestia rappresenta, in maniera specifica, quella parte della massoneria che è riuscita nel suo intento d’infiltrarsi all’interno del corpo vivo della Chiesa, infettandolo, ossia quella che lei stessa chiama la massoneria ecclesiastica, per indicare che ormai è qualcosa di più di una quinta colonna introdottasi nella cittadella, ma che è una vera struttura di potere, la quale agisce in maniera autonoma e perfettamente coordinata, e che si sta rapidamente impadronendo dell’intero organismo. Fra l’altro, la Madonna ricorda ai suoi fedeli – la data della comunicazione è quella del 13 giugno 1989: circa ventotto anni fa -  che ella aveva già parlato loro di queste cose attraverso i tre pastorelli di Fatima, e particolarmente per mezzo di suor Lucia dos Santos, alla quale aveva affidato un segreto sconvolgente, intorno al quale si è fatto un gran parlare, con la Chiesa che dichiara non esservi alcun ulteriore mistero da svelare, o messaggio da trasmettere, e alcuni altri, come Antonio Socci, i quali affermano il contrario, cioè che la Chiesa tiene celato un ultimo e più drammatico segreto (cfr. A. Socci, Il quarto segreto di Fatima, Milano, Rizzoli, 2006).

In particolare, la Madonna ricorda di aver detto, a Fatima, che satana si sarebbe introdotto fino al vertice della Chiesa: e “fino al vertice”, se le parole hanno un senso, significa fino al papato, o, quanto meno, fino alla Curia romana: una rivelazione sconvolgente, che forse non è stata presa sufficientemente sul serio, e che oggi, alla luce di quel che sta avvenendo sotto il pontificato di Bergoglio, acquista una luce ancor più inquietante, e non c’è bisogno di dire perché. Con il che non ci permettiamo di affermare che José Mario Bergoglio sia massone; ma che si può ritenere più che probabile, quasi certa, la sua elezione come una manovra voluta e studiata a tavolino dalla massoneria ecclesiastica, nel caso specifico dalla cosiddetta “mafia di San Gallo”, ispirata dal cardinale Carlo Maria Martini e decisa a stroncare l’influenza del (non ancora eletto al papato)  cardinale Ratzinger, contrapponendogli un candidato alla successione di Giovanni Paolo II che fosse di suo pieno gradimento. Di tale cerchia facevano parte – è giusto e doveroso che se ne facciano i nomi, visto che essi stessi non hanno fatto mistero delle loro attività - il cardinale belga Godfried Danneels, l’olandese Adrian Van Luyn, i tedeschi Walter Kasper e Karl Lehman (quello che si fa fotografare in chiesa, davanti all’altare, vestito da cardinale-pagliaccio, sorridente e circondato da danzatrici adolescenti seminude, tanto per mostrarsi brillante e sempre al passo coi tempi e far capire che la santa Messa non è quella cosa noiosa e un po’ tetra della passata tradizione, eredità dei tempi bui preconciliari), l’italiano Achille Silvestrini e l’inglese Basil Hume.  

Ecco una sintesi della rivelazione mariana su questo punto (in: S. Gobbi, Ai sacerdoti figli prediletti di Maria, Mov. Sac. Mariano, Milano, 1989, pp. 737-741):

 

Come mamma, vi ho voluti avvertire del grande pericolo che minaccia oggi la Chiesa, a causa dei molti e diabolici attacchi che si compiono contro di lei per distruggerla. Per raggiungere questo scopo, alla bestia era che sale dal mare, viene in aiuto dalla terra, una bestia che ha due corna, simili a quelle di un agnello. (…) La bestia nera, simile a una pantera, indica la Massoneria; la bestia con due corna, simile ad un agnello, indica la Massoneria infiltrata all’interno della Chiesa, cioè la Massoneria Ecclesiastica, che si è diffusa soprattutto tra i Membri della Gerarchia.

Questa infiltrazione massonica, all’interno della Chiesa, vi è già stata da Me predetta in Fatima, quando vi ho annunciato che Satana si sarebbe introdotto fino al vertice della Chiesa.

Se compito della massoneria è condurre le anime alla perdizione, portandole al culto di false divinità, lo scopo della massoneria ecclesiastica è invece quello di distruggere Cristo e la sua Chiesa, costruendo un nuovo idolo, cioè un falso Cristo e una falsa Chiesa. (…)

Gesù è Verità, perché è lui - Parola vivente – fonte e sigillo di tutta la divina Rivelazione.

Allora la massoneria ecclesiastica agisce per oscurare la Sua divina Parola, per mezzo di interpretazioni naturali e razionali, e, nel tentativo di renderla più comprensibile ed accolta [accogliente?], la svuota di ogni suo soprannaturale contenuto. Così si diffondono gli errori, in ogni parte della stessa Chiesa cattolica. A causa della diffusione di questi errori, oggi molti si allontanano dalla vera fede, dando attuazione alla profezia che vi è stata fatta da Me a Fatima: “Verranno tempi in cui molti perderanno la vera fede”. La perdita della Fede è apostasia. La massoneria ecclesiastica agisce, in maniera subdola e diabolica, per condurre tutti alla apostasia.

 Gesù è Vita perché dona la Grazia. Scopo della massoneria ecclesiastica è quello di giustificare il peccato, di presentarlo non più come un male, ma come un valore ed un bene. Così si consiglia di compierlo, come un modo di soddisfare le esigenze della propria natura, distruggendo la radice da cui può nascere il pentimento, e si dice  che non è più necessario confessarlo. Frutto pernicioso di questo maledetto cancro, che si è diffuso in tutta la Chiesa, è la sparizione della confessione individuale in ogni parte.  Le anime vengono portate e a vivere nel peccato, rifiutando il dono della Vita, che Gesù ci ha offerto.

Gesù è la Via, che conduce al Padre per mezzo del Vangelo. La massoneria ecclesiastica favorisce le esegesi, che danno di esso interpretazioni razionalistiche e naturali, per mezzo dell’applicazione dei vari generi letterari, così che esso viene dilaniato in ogni sua parte. Alla fine giunge a negare la realtà storica dei miracoli e della sua resurrezione e si mette in dubbio la divinità stessa di Gesù e la sua missione salvifica. Dopo aver distrutto il Cristo storico, la bestia con due corna simile a un agnello cerca di distruggere il Cristo mistico che è la Chiesa. La Chiesa istituita da Cristo  è una sola: quella santa, cattolica, apostolica, una, fondata su Pietro.. (…) La massoneria ecclesiastica cerca di distruggere questa realtà con il falso ecumenismo, che porta all’accettazione di tutte le Chiese Cristiane affermando  che ciascuna di esse possiede una parte di verità.

Essa coltiva il disegno di fondare una Chiesa ecumenica universale, formata dalla fusione di tutte le confessioni cristiane, fra cui la Chiesa cattolica.

La Chiesa è vita perché dona la Grazia ed essa sola possiede i mezzi efficaci di Grazia, che sono i sette Sacramenti. Specialmente è vita perché ad essa sola è stato dato il potere di generare l’Eucaristia, per mezzo del sacerdozio ministeriale e gerarchico. Nella Eucaristia Gesù è realmente presente col suo Corpo glorioso e la sua divinità. Allora la massoneria ecclesiastica, in tante subdole maniere, cerca di attaccare la pietà ecclesiale verso il Sacramento dell’Eucaristia. Di essa valorizza solo l’aspetto della Cena, tende a minimizzare il suo valore sacrificale, cerca di negare la reale e personale presenza di Gesù nelle Ostie consacrate…

 

Dobbiamo forse dedurre che sono giunti i tempi, predetti da san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2, 6-7), nei quali, approssimandosi la battaglia finale fra il Bene e il Male, Dio ha deciso di togliere il Chatékon, la forza misteriosa (o il misterioso personaggio) che ha finora trattenuto la furia di satana, consentendole di erompere sulla terra in tutta la sua bestiale violenza, per mettere al vaglio la sua Chiesa e creare le condizioni affinché abbia luogo il Giudizio finale dell’umanità? Quando Maria dice, nel suo messaggio a don Stefano Gobbi, che lo scopo della massoneria ecclesiastica è invece quello di distruggere Cristo e la sua Chiesa, costruendo un nuovo idolo, cioè un falso Cristo e una falsa Chiesa, il suo avvertimento, purtroppo, fa venire in mente certe cose che stanno accadendo ai nostri giorni, ad esempio l’uscita del libro del padre gesuita José-Ramon Busto Saiz, rettore della Pontificia Università di Madrid, intitolato Cristologia, per iniziare (Cristologia, para empezar), contenente le conferenze agli educatori della Compagnia di Gesù, il cui motivo centrale è il seguente: bisogna offrire alla gente un Gesù più credibile. Sulla base di che cosa? Naturalmente, sulla base del Vaticano II e dei teologi Karl Rahner e Walter Kasper, dei quali viene fatto l’elogio, senza dimenticare (come suggerisce, ironicamente, Ettore Gotti Tedeschi) filosofi atei come Martin Heidegger, ma tacendo completamente un certo san Tommaso d’Aquino, illustre sconosciuto. E qual è il merito principale del Concilio, sollecitando la consapevolezza che bisogna pervenire a questo Gesù più credibile?

Il fatto che esso ci ha reso tutti un po’ più maturi. Dunque, riassumendo: prima del Vaticano II e prima di Walter Kasper, eravamo tutti dei cattolici immaturi, nonché seguaci di un Gesù poco credibile. Ora abbiamo cominciato a vedere la luce e ad andare nella giusta direzione, riscoprendo un altro Gesù, un Gesù diverso e, appunto, più credibile. Questo significa, se le parole hanno un senso, che il Gesù in cui avevamo sempre creduto, il Gesù insegnato dalla Chiesa per millenovecento anni, era un Gesù poco credibile, o, comunque, un Gesù meno credibile. Ma credibile per chi, per che cosa, alla luce di che? E qui si torna al punto iniziale e si rileva la circolarità viziosa del ragionamento: alla luce del Vaticano II e di teologi come Karl Rahner e Walter Kasper. Sono loro ad avere l’intuizione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel Gesù finora ad allora predicato e adorato dalla Chiesa cattolica; ed è a loro che siamo debitori di questa preziosa scoperta, quella cioè di un Gesù finalmente credibile. Insomma: per poter piacere agli uomini, bisogna che Dio si sottoponga a un test di credibilità, ossia di popolarità: e in base ai risultati del test, la neochiesa ha deciso di presentare ai “fedeli” una nuova immagine di colui che, sino a ieri, era adorato come il Figlio di Dio, ma che, per essere più credibile, e, diciamolo pure, più simpatico, adesso rinuncia ad una pretesa così ambiziosa, e si accontenta di essere un maestro (con la minuscola) di vita, come un Sai Baba qualsiasi.

La idee sostenute da padre Busto Saiz sono, puramente e semplicemente, non cattoliche, e neppure cristiane.

Con la scusa di presentare un Gesù più credibile, si sostituisce il vero Gesù Cristo con una sua mediocre controfigura, tutta umana: un falso Cristo destinato a fare da specchietto per le allodole di questa neochiesa massonica e anticristiana. Ciò a cui mirano i falsi pastori come Busto Saiz è sostituire alla fede nel Figlio di Dio, incarnato, perseguitato, morto e risorto per noi, una fede puramente umana in un personaggio meramente umano, un certo Gesù di Nazareth, che non si sa neppure se sia davvero risorto, perché questa è una questione di fede, non di storia, come del resto ha detto, chiaro e tondo un altro gesuita “illustre”: il falso papa Bergoglio. E la sola cosa importante che questo Gesù della storia ha fatto, è stata predicare l’amore. L’amore, nel senso più generico possibile, e soprattutto nel senso più terreno: quindi, anche l’amore sregolato, disordinato, immorale. E allora vanno bene pure i sacerdoti che in chiesa, invece di offrire ai fedeli il Sacrificio redentore di Cristo, offrono la loro “confessione” di essere omosessuali, e di sentirsi benissimo nel ruolo di sacerdoti omosessuali.

Ecco a cosa mira la falsa e blasfema dottrina del Gesù più credibile: a costruire un falso figlio di dio (lettera minuscola, a questo punto) che scusa le nostre debolezze, giustifica i nostri peccati e non redime un bel nulla, primo perché non è realmente Dio, secondo perché non c’è nulla da redimere, tutto quel che viene dalla natura è buono e gli uomini sono a posto così come sono, aborto, eutanasia, sodomia e incesto compresi. E tornano alla mente le parole dell’Immacolata a don Stefano Gobbi: Scopo della massoneria ecclesiastica è quello di giustificare il peccato, di presentarlo non più come un male, ma come un valore ed un bene. Così si consiglia di compierlo, come un modo di soddisfare le esigenze della propria natura.

Signor Bergoglio, complimenti: lei ha fatto un’opera, nel suo genere, davvero eccellente. Nel giro di neppure cinque anni, è riuscito a far risalire dalle fogne tutto il fango possibile e immaginabile; ma forse ne abbiamo ancora parecchio da vedere e digerire. Coloro i quali l’hanno messa sul soglio di san Pietro non hanno fatto male i loro calcoli: non potevano desiderare un esecutore più solerte e più energico dei loro piani. Grazie a lei e a tutti i falsi teologi, falsi cardinali, falsi vescovi e falsi sacerdoti, che lei ogni giorno incoraggia e porta ad esempio per tutti i fedeli, la distruzione della vera Chiesa ha fatto giganteschi passi avanti. Ma badi: alla fine, è con Cristo che dovrà vedersela…

 

Del 02 Gennaio 2018

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Ancona, 29 settembre 2017 -

CHE COSA STA ACCADENDO OGGI NELLA CHIESA? - Conferenza di ALDO MARIA VALLI e Mons. NICOLA BUX organizzata dall'Associazione ORIENTE OCCIDENTE di ANCONA.

www.youtube.com/watch?v=-_IogXf_86Q&t=3188s





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Cum ex apostolatus officio



Dopo un certo silenzio, proponiamo la lettura di una Bolla Pontificia di Papa Paolo IV, la Cum ex apostolatus officioBolla che gode, fuor di ogni plausibile dubbio, dell'infallibilità papale e che lo stesso Papa stabilisce valida in perpetuo. Il fatto che sia verità infallibile risulta evidente dagli stessi requisiti richiesti dal Concilio Vaticano I con Bolla Dogmatica Pastor Æternus, che stabilisce appunto il dogma dell'infallibilità pontificia, mostrandone al contempo anche i precisi limiti.

Tali requisiti sono:
1) Il soggetto dell'infallibilità: è la persona del Romano Pontefice. Il che vuol dire che il Papa deve fare esplicitamente e personalmente propri anche i documenti di un Concilio Ecumenico perché possano questi essere "infallibili".
2) La materia dell'infallibilità: che è la dottrina sulla Fede e sulla morale valevole per la Chiesa universale.
3) Il modo di insegnamento da parte del Papa: che è quello di dare valore di definizione alla dottrina proposta.Ora questi tre requisiti si realizzano perfettamente nel documento pontificio che proponiamo alla lettura di tutti i cristiani di buona volontà. Ci siamo permessi di evidenziare alcuni passi che, a nostro avviso, risultano particolarmente significativi.Posto quindi che quando espresso in tale Bolla è verità cattolica, ciascuno tragga le sue conclusioni.

___________________________________________________________________

Cum ex apostolatus officio Paolo, Vescovo, Servo dei servi di Dio, Ad perpetuam rei memoriam.

Impedire il Magistero dell’errore

Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non condicevoli, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore, e siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità.

1 - Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo.
Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito, e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si deve provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.

2 - Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici. 
Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato, grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale, arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità quale l’onore del cardinalato o l’incarico della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale.

3 - Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede.

Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche.

Considerando non di meno che coloro i quali non si astengono dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi;
Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo, in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà, sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo, che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche, per il fatto stesso e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, interamente e totalmente privati in perpetuo dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché‚ saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi;

inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci a tali funzioni come dei relapsi e dei sovversivi in tutto e per tutto, per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione.Essi saranno considerati come tali da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate ed escluse da ogni umana consolazione.

4 - Estinzione della vacanza delle cariche ecclesiastiche 
Coloro i quali pretendono di avere un diritto di patronato (e di nomina delle persone idonee a reggere le chiese cattedrali, comprese le metropolitane, patriarcali, primaziali o anche monasteri ed altri benefici ecclesiastici resisi vacanti a seguito di tali privazioni, affinchè‚ non siano esposti agli inconvenienti di una diuturna vacanza, ma dopo averli strappati alla servitù degli eretici, siano affidati a persone idonee a dirigere fedelmente i popoli nella via della giustizia, dovranno presentare a Noi o al Romano Pontefice allora regnante, queste persone idonee alle necessità di queste chiese, monasteri ed altri benefici, nei limiti di tempo fissati dal diritto o stabiliti da particolari accordi con la Sede, altrimenti, trascorso il termine come sopra prescritto, la libera disposizione, delle chiese e monasteri, o anche dei benefici predetti, sia devoluto di pieno diritto a Noi od al Romano Pontefice suddetto.

5 - Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie.

Inoltre, incorreranno nella sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente si assumeranno la responsabilità d’accogliere e difendere, o favorire coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità o insegnino i loro dogmi; e siano tenuti come infami; né siano ammessi, né possano esserlo con voce, sia di persona, sia per iscritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, o sinodi o concilio generale o provinciale, né conclave di cardinali, né alcuna congregazione di fedeli od elezione di qualcuno, né potranno testimoniare; non saranno intestabili, né chiamati a successione ereditaria, e nessuno sarà tenuto a rispondere ad essi in alcun affare; se poi abbiano la funzione di giudici, le loro sentenze non avranno alcun valore e nessuna causa andrà portata alle loro udienze; se avvocati il loro patrocinio sia totalmente rifiutato; se notai, i rogiti da loro redatti siano senza forza o validità.

Oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro chiese, anche cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche in qualsivoglia modo, come sopra riferito, dalle qualifiche ottenute anche regolarmente, da loro come dai laici, anche se rivestiti, come si è detto, regolarmente delle suddette dignità, siano privati «ipso facto», anche se in possesso regolare, di ogni regno, ducato, dominio, feudo e di ogni bene temporale posseduto; i loro regni, ducati, domini, feudi e gli altri beni di questo tipo, diverranno per diritto, di pubblica proprietà o anche proprietà di quei primi occupanti che siano nella sincerità della fede e nell’unità con la Santa Romana Chiesa sotto la nostra obbedienza o quella dei nostri successori, i Romani Pontefici canonicamente eletti.

6 - Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere.

7 - La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dall’obbedienza e devozione alle autorità deviate dalla fede.

E sia lecito a tutte ed a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi od elevati, ove non abbiano precedentemente deviato dalla fede, né siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici come pure ai cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato e così pure  ai castellani, ai prefetti, ai capitani e funzionari, compresi quelli della nostra alma Urbe e di tutto lo Stato Ecclesiastico, anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalla obbedienza e devozione verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti [ai deviati].

Ed a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.

8 - Permanenza dei documenti precedenti e deroga dei contrari
Non ostano all’applicabilità di queste disposizioni, le costituzioni ed ordinamenti apostolici, né i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche dirette ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati e cardinali, né qualsiasi altro disposto di qualunque tenore e forma e con qualsivoglia clausola e neppure i decreti anche se emanati «motu proprio» e con scienza certa nella pienezza della potestà Apostolica, o promulgati concistorialmente od in qualsiasi altro modo e reiteratamente approvati e rinnovati od inseriti nel «corpus iuris», né qualsivoglia capitolo di conclave, anche se corroborati da giuramento o dalla conferma apostolica o rinforzate in qualsiasi altro modo, compreso il giuramento da parte del medesimo.Tenute presenti tutte le risoluzioni sopra precisate, esse debbono aversi come inserite, parola per parola, in quelle che dovranno restare in vigore, mentre per la presente deroghiamo tutte le altre disposizioni ad esse contrarie, soltanto in modo speciale ed espresso.

9 - Mandato di pubblicazione solenne
Affinché‚ pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe all’angolo del Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri; e che copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, e che l’ordine di pubblicazione, di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

10 - Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine
Pertanto, a nessun uomo sia lecito infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia.Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Data a Roma, in San Pietro, nell’anno 1559 dall’Incarnazione del Signore, il giorno 15 marzo, IV anno del Nostro Pontificato.
† Io PaoloVescovo della Chiesa Cattolica

† Io Giovanni Bellaio, Vescovo d’Ostia† Io R. Card. di Carpo, Vescovo di Porto e Santa Ruffina† Io F. Card. Pisano, Vescovo di Tuscolo† Io Fed. Card. Cesio, Vescovo di Palestrina† Io P. Card. Vescovo di Albano† Io R. Card. di Sant’Angelo Penitenziere Maggiore† Io T. Card. Crispo† Io Fulvio Card. di Perugia† Io Michele Card. Saraceno† Io Giovanni Card. di San Vitale† Io Giovanni Card. Pozzo† Io Gerolamo, Card. di Imola† Io B. Card. di Trani† Io Diomede, Card. d’Ariano† Io Scipione, Card. di Pisa† Io  Card. Reumano† Io Antonio, Card. di San Pancrazio† Io Taddeo, Card. Gaddo† Io Virgilio Card. di Spoleto† Io F. Michele Card. Alessandrino† Io Clemente Moniliano, Card. di Santa Maria in Ara Coeli† Io G. Asc., Diacono Card. Camerario (Camerlengo)† Io N., Card. di Sermoneta† Io Giacomo Card. Sabello† Io Gerolamo, Card. di San Giorgio† Io Innocenzo, Card. del Monte† Io Luigi, Card. Cornelio† Io Carlo, Card. Carafa† Io Alfonso, Card. di Napoli† Io Vitellio, Card. Vitelli
† Io Giovanni Battista, Card. consigliere.

Tutti i successori di Pietro sono stati sempre garanti dell’ortodossia della fede cattolica?

Il pontefice romano è il supremo garante dell’ortodossia della fede cattolica, la quale egli è chiamato a custodire, insegnare e trasmettere, vigilando su ogni possibile corruzione di essa. Questo mandato viene conferito al vicario di Cristo in forza del suo essere innestato nella successione apostolica petrina. Pertanto, Pietro non può venir mai meno alla fede, mentre i singoli vescovi, al contrario, a causa dei loro limiti umani, possono potenzialmente incorrere in questo rischio, venendo, così, meno alla pienezza, potremmo dire al pieno compimento, della loro funzione di pastori del gregge loro affidato da Dio.

San Girolamo (347-419/420) – cfr. Ep. 41, 2 –, ha ben precisato che il Signore ha fondato la sua Chiesa su Pietro, conferendole, così, il culmen auctoritatis, come sottolineato da Sant’Agostino (354-430) nel De utilitate credendi 17, 35. Sant’Ambrogio (339/340-397), dal canto suo, aveva contribuito parimenti ad illustrare il legame costitutivo, possiamo dire ontologico, tra la Chiesa e la sede romana, quasi l’“essenza petrina” della Chiesa, con la sua ben nota definizione «ubi Petrus, ibi Ecclesia».

Ma i tratti “petrini” della Chiesa divinamente istituita dal Signore erano già patrimonio teologico condiviso dei credenti, ed avevano trovato nell’Epistula 43 di San Cipriano (210 ca.-258) una delle migliori e più chiare espressioni: «una Ecclesia et cathedra una super Petrum Domini voce fondata» («[Come Dio è uno e uno è Cristo,] così c’è una sola Chiesa e una sola cattedra fondata su Pietro dal Signore»). Per San Cipriano, nella Chiesa di Roma, quindi nel papa, non può allignare l’errore, così come avevano fermamente creduto e bene espresso, ancora un secolo prima, sia Sant’Ignazio di Antiochia che Sant’Ireneo di Lione, il quale asseriva, a proposito della Chiesa di Roma: «Con questa Chiesa, a causa della più alta preminenza, deve accordarsi ogni altra Chiesa, poiché in essa si è conservata la fede apostolica».

Alla luce di questo affidamento toto corde della Chiesa alla sede petrina, e al suo legittimo vescovo, quale “luogo”, istituzionale e ideale contempo, della custodia e della trasmissione della retta fede, va inquadrata la possibilità, tutta umana, di errare dottrinalmente, meglio di non portare a maturo compimento o di non enunciare con sufficiente aderenza alla Sacra Scrittura e alla Tradizione dei Padri alcune specifiche questioni teologiche o morali, da parte del pontefice romano pro tempore.

La Chiesa, illuminata e guidata dallo Spirito Santo, è, d’altronde, un organismo vivente che, nel suo cammino nella Storia, avanza nella sempre maggiore comprensione, potremmo dire nel “disvelamento”, del mistero del progetto salvifico di Dio, sempre memore, tuttavia, del monito, dell’avvertenza paolina di una visione destinata a rimanere «per speculum, in aenigmate».

Non è possibile riassumere in poche battute la complessa e bimillenaria vicenda dello svilupparsi del pensiero teologico, cui furono commisti elementi, a tratti debordanti, politici, sociali e culturali. I pontefici romani, quindi, immersi nella storia così come la loro Chiesa, non vanno enucleati dal loro contesto, quasi guardati come figure titanicamente isolate su di uno sfondo metafisicamente evanescente. Tutt’altro. Le dispute teologiche e le questioni ecclesiologiche furono, per secoli, anche il coacervo di tensioni sociali e istituzionali che caratterizzarono fortemente alcuni risultati, seppur temporanei, dell’elaborazione teologica di singoli pontefici.

Non abbiamo, dunque, a indignarci – soltanto per citare un caso molto noto – se papa Vigilio († 555), e dopo di lui il suo diacono e successore Pelagio I (556-561), cedette alle prolungate minacce e lusinghe dell’imperatore Giustiniano, fino ad un’adesione agli Atti del V Concilio Ecumenico (II di Costantinopoli, 553), e, in seguito, alla condanna postuma dei tre vescovi – i cosiddetti «Tre capitoli» – in causa. Reputando come beni maggiori la pacificazione della Chiesa e della regione italica, devastata da eserciti sanguinari, il pontefice accondiscese a quella specifica concessione, pur facendo salva la dottrina di Calcedonia.

Risulta ben chiaro, quindi, che ci si deve approcciare a queste tematiche come ad un prisma, dal quale si irradiano mille e più linee di ricerca e di approfondimento, pena l’approdare a conclusioni affrettate e non rispondenti alla complessità storica che sta alla base delle questioni teologiche.

È storicamente molto riduttivo, pertanto, definire come «papi eretici» tout court, seguendo una per certi versi consolidata vulgata storiografica, papa Zeffirino († 217), per la sua vicinanza ai Montanisti, o papa Liberio († 366) per la sua presunta consonanza all’arianesimo. Zeffirino, rappresentante del gruppo etnico latino-africano affermatosi nella comunità romana durante il suo predecessore Vittore I († 199), si trovò ad operare in una Chiesa romana dilaniata da un susseguirsi di lotte che la sconvolsero profondamente e prepararono il terreno al grande scisma di Ippolito.

Certo è che papa Zeffirino tollerò il diffondersi all’interno delle comunità delle dottrine adozionistiche, contrapponendo loro, solo parzialmente, dottrine tuttavia monarchiane, sorta di continuazione di un monoteismo giudaico, per cui il Figlio e lo Spirito Santo sono soltanto delle potenze del Dio unico, che sarebbe stata l’unica persona divina a manifestarsi in Cristo. Anche in questo caso, la vicenda teologica va analizzata nella sua davvero intricata articolazione storica, e richiede un metodo interdisciplinare, fondato su un ricco bagaglio di erudizione.

Anche il caso di papa Liberio e dei suoi controversi rapporti con l’arianesimo richiede un approccio culturale altamente qualificato. A parere, infatti, di alcuni filologi, gli scritti di S. Atanasio che “incriminano” il papa sarebbero di due anni precedenti l’elezione di papa Liberio e quindi l’accusa contro di lui andrebbe considerata come posteriore e elaborata “ad arte”, e anche sulle stesse lettere sottoscritte dal pontefice vengono alzati alcuni dubbi. Questa ancora non del tutto chiarita vicenda storica vede, inoltre, come ben noto, coinvolto in prima persona l’imperatore ariano Costanzo II, figlio di Costantino, il quale decisamente pesò sul convulso affastellarsi di vicende politiche e teologiche ad un tempo, di fronte alle quali gli storici del Cristianesimo ancora conservano un motivato atteggiamento di critica, e non del tutto compiuta, rilettura.

Per risalire, soltanto metaforicamente, più avanti nei secoli, altrettanto conosciuta è la questione sollevata da Giovanni XXII (1249-1334), il francese Jacques Duèze o d’Euse, circa la visio beatifica. Nel sermone della festa di Ognissanti pronunciato in Notre Dame a Parigi nel 1331, il papa si chiese in cosa consistesse la gloria dei santi intesa come ricompensa – merces –: per i padri dell’Antico Testamento si tratta del seno di Abramo, mentre dopo l’avvento di Cristo ci si deve riferire all’Apocalisse dove si dice che essa consiste nel tenersi «sotto l’altare» (Apc 6, 9).

Seguendo l’interpretazione che già era stata di Agostino e soprattutto di San Bernardo di Chiaravalle, Giovanni XXII lesse l’altare sotto cui si trovano i martiri come l’umanità di Cristo. Le anime beate, dunque, dovranno accontentarsi della contemplazione dell’umanità di Cristo fino al momento del Giudizio in cui contempleranno, corpo e anima, la divinità. Questa tesi del pontefice turbò particolarmente la Curia perché parve probabilmente troppo prossima a quell’error Graecorum condannato nel 1241, secondo cui le anime elette non sono in paradiso fino al giorno del Giudizio.

Di qui, si sarebbe accesa una contesa che avrebbe visto nella tenzone gli spiriti migliori del tempo, e avrebbe coinvolto dei milieux filosofici e letterari di altissimo livello quale la cerchia agostiniana di Francesco Petrarca e di Roberto di Barduccio Bardi, cancelliere dell’Università di Parigi e fine collettore dei manoscritti recanti le opere dell’Ipponense. Il tutto, inoltre, andò ad innestarsi sulle ormai fratricide lotte tra ordini mendicanti e maestri secolari per il predominio accademico sulle Università e sul timore, espresso in una lettera al Bardi, del re di Francia circa il pericolo di una condanna del pontefice che avrebbe inesorabilmente riaperto la strada del ritorno della Sede apostolica dalla Francia a Roma.

Da questi brevi cenni, si può ben comprendere la densità delle tematiche che si vanno ad affrontare quando si voglia trattare il tema della erranza dottrinale dei pontefici, più che verosimilmente uno dei temi più difficili da analizzare nella bimillenaria vicenda della Chiesa cattolica.

Il 18 luglio 1870, con la Costituzione dogmatica Pastor Aeternus, il Concilio Vaticano I non compiva, pertanto, un atto di prevaricazione dei cuori e delle menti dei Pastori e dei Christifideles, ma, alla luce della tradizione e dell’esperienza plurisecolari della custodia e della trasmissione del deposito della fede, e tenendo ben presente la caducità umana del singolo Pastore, ben affermava e segnatamente specificava: «Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi […]».





[Modificato da Caterina63 10/02/2018 16:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/04/2018 01:09
 
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Francesco "spin doctor" di se stesso. Le ultime sue imprese

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Repubblica

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*

In teoria tutti i media vaticani dovrebbero operare concordi nel trasmettere al mondo la fedele immagine del papa.

Ma in pratica non avviene così. La sala stampa vaticana si è tenuta accuratamente al di fuori della recente fallita strumentalizzazione di una lettera privata di Benedetto XVI. Ha lasciato nelle peste il solo monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della segreteria per la comunicazione, salvato dal naufragio solo grazie al soccorso del papa, che proprio non vuole privarsi di questo suo disastroso "spin doctor".

Il papa, appunto. Perché anche Francesco spesso fa tutto da solo nel comunicare col mondo, senza concordare alcunché con nessuno. E lo fa in almeno tre modalità:

- dicendo lui in pubblico ciò che vuole, senza passare da nessun controllo o verifica preliminare;
- facendo sì che altri dicano in pubblico ciò che lui dice loro in colloqui privati;
- raccomandando l'ascolto di persone che dicono ciò che lui stesso non dice né in pubblico né in privato, ma gli piace che sia detto.

Nei giorni scorsi Francesco ha messo in atto tutte e tre queste sue personali modalità di comunicazione. Con effetti variamente dirompenti.

*

La prima modalità l'ha utilizzata nell'omelia della messa della domenica di Pasqua. Non ha letto nessun testo scritto, ha parlato a braccio, in italiano. E nell'esaltare le grandi "sorprese" che Dio fa, in particolare con l'annuncio della risurrezione, si è espresso così: "Per dirlo un po’ con il linguaggio dei giovani: la sorpresa [di Dio] è un colpo basso" (in corsivo nella trascrizione ufficiale dell'omelia).

Senonché l'espressione "colpo basso" non appartiene al linguaggio giovanile, ma a quello pugilistico. Designa un pugno sferrato sotto la cintura: proibito, riprovevole e da squalifica. Un colpo vile e a tradimento. Davvero una pessima immagine per illustrare l'annuncio della risurrezione di Gesù, nell'omelia di Pasqua in piazza San Pietro.

Sta di fatto che il "colpo basso" detto da Francesco ha fatto colpo tra i media. In Italia è entrato persino nel titolo d'apertura di un importante telegiornale della sera di Pasqua.

*

La seconda modalità è stata adottata da Francesco invitando a colloquio lo scorso martedì santo l'amico Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano "la Repubblica", figura di spicco dell'intellettualità laica italiana.

In questo come in altri suoi precedenti colloqui col papa, Scalfari non registra né prende appunti. Ma poi ne riferisce sempre i contenuti su "la Repubblica", qua e là con omissioni ed aggiunte alle parole del papa "perché il lettore capisca", come ha spiegato lui stesso in una conferenza stampa dopo la pubblicazione del suo primo resoconto. E questa volta ha attribuito a Francesco, tra l'altro, la seguente affermazione:

"Le anime cattive non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici".

Notizia bomba. La mattina stessa il "Times" di Londra ha titolato: "Papa Francesco abolisce l'inferno". E altrettanto hanno fatto numerose testate di tutto il mondo. Al punto che nel pomeriggio la sala stampa vaticana ha dovuto emettere un comunicato per avvertire che quanto riferito da Scalfari "non deve essere considerato come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre".

Molto blanda, come smentita. Tant'è vero che "la Repubblica" non l'ha pubblicata e Scalfari non l'ha commentata. Si è limitato a confermare al "New York Times" che non si è trattato di un'intervista ma di un incontro, che "posso fare errori" ma che comunque, a quanto ricorda, il papa gli ha davvero detto che l'inferno non esiste.

Ed effettivamente già altre tre volte Scalfari aveva riferito che Francesco gli aveva detto che l'inferno non c'è e che le anime cattive non sono punite ma annientate: il 21 settembre 2014, il 15 marzo 2015 e il 9 ottobre 2017. Quest'ultima volta il papa gli avrebbe detto anche qualcosa in più, sempre stando a quanto da lui riferito: che cioè non solo non esisterebbe l'inferno, ma nemmeno il purgatorio e il paradiso.

Sia dopo il primo che dopo il secondo dei cinque colloqui tra Scalfari e il papa, padre Federico Lombardi, all'epoca direttore della sala stampa vaticana, aveva avvertito di prendere con precauzione le parole attribuite dal celebre giornalista al papa. Successivamente, però, la sala stampa si era come arresa, rinunciando ad emettere comunicati di sorta. Se ora è intervenuta di nuovo, è perché l'affermazione dell'inesistenza dell'inferno è stata messa per la prima volta tra virgolette sulla bocca del papa.

Stando così i fatti, è comunque altamente credibile che Francesco simili cose le abbia dette a Scalfari per davvero, visto che questi le ha riferite non una ma quattro volte di fila senza che il papa sentisse il bisogno di correggere nulla, in ogni suo successivo incontro con l'amico.

Dagli Stati Uniti, il gesuita Thomas Reese, già direttore di "America" e columnist di spicco del "National Catholic Reporter" e di "Religion News Service", ha creduto di smentire Scalfari ripescando una risposta affermativa di Francesco a una ragazza scout di una parrocchia romana, che l'8 marzo 2015 gli aveva appunto chiesto se l'inferno esiste e perché.

Ma Francesco è fatto così. Una volta dice che l'inferno c'è, un'altra volta lascia riferire d'aver detto il contrario. È un dire e contraddire che utilizza molto spesso sui temi più controversi. Resta memorabile la sua risposta alla donna luterana che gli chiedeva se lei e il marito, cattolico, potessero fare entrambi la comunione, a messa. Il papa rispose dicendole di tutto: sì, no, non so, fate voi.

Inoltre, non va trascurato che l'idea che l'inferno non esista abita da tempo nella Chiesa, anche ai suoi gradi più alti. Il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, grande antesignano del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, affermò nel libro che ha fatto da suo testamento:

"Io nutro la speranza che presto o tardi tutti siano redenti… D'altra parte, non riesco a immaginare come Hitler o un assassino che ha abusato di bambini possano essere vicini a Dio. Mi riesce più facile pensare che gente simile venga semplicemente annientata".

*

Si può assegnare alla seconda modalità comunicativa anche l'intervista radiofonica data il 3 aprile a Crónica Anunciada/Radio Cut dalla suora argentina Martha Pelloni, molto impegnata tra le donne contadine e candidata al premio Nobel per la pace nel 2005.

Parlando di come pianificare le nascite evitando il ricorso all'aborto, la suora ha detto:

"Papa Francesco a questo proposito mi ha detto tre parole: 'preservativo, transitorio y reversible'", intendendo – ha subito spiegato – con la seconda parola il "diaframma" e con la terza il "legamento delle tube", quello che "noi consigliamo alle donne dei campi".

La suora non ha detto come e quando Francesco, che la conosce e la apprezza da tempo, le abbia parlato così.

In pubblico, il papa non si è mai espresso come la suora ha riferito. Ma da qualche tempo si fa sempre più palese la sua volontà di superare la condanna dei contraccettivi formulata da Paolo VI nell'enciclica "Humanae vitae".

Un velato via libera al ricorso ai contraccettivi, in casi di necessità, Francesco l'aveva dato già nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico, il 17 febbraio 2016, chiamando impropriamente a proprio sostegno lo stesso Paolo VI.

*

Infine, la terza modalità di comunicazione cara a Francesco ha avuto come "partner", nei giorni scorsi, un monaco e psicologo benedettino tra i più noti e letti al mondo, il tedesco Anselm Grün.

Lo scorso 15 febbraio, nel conversare a porte chiuse con i preti di Roma, come fa ogni anno all'inizio della Quaresima, papa Francesco ha raccomandato loro di leggere un libro di Grün – di cui anche lui è affezionato lettore – descrivendolo come "moderno" e "vicino a noi".

Ebbene, Grün è colui che in un'intervista alla "Augsburger Allgemeine" del 30 marzo, venerdì santo, ha detto che "non c'è nessuna ragione teologica che si opponga all'abolizione del celibato del clero o alla donne prete, alle donne vescovo o a una donna papa". È un "processo storico" che "ha bisogno di tempo" – ha aggiunto – e "il primo passo dev'essere ora l'ordinazione di donne come diaconesse".

Un'ordinazione, quest'ultima, che risulta già tra gli obiettivi a breve termine di Francesco, al pari dell'ordinazione al sacerdozio di uomini sposati.

Mentre sui successivi passi del "processo storico" delineato da Grün, quello delle donne prete, vescovo e papa, Francesco non si è fin qui pronunciato, né in pubblico né in privato (*).

Ma intanto ha raccomandato di dare ascolto a chi li enuncia come traguardi da raggiungere, non importa se in contrasto plateale con il "non possumus" di tutti i precedenti papi.

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(*) ERRATA CORRIGE – A rettifica di quanto scritto sopra, papa Francesco si è pronunciato almeno due volte sull'ordinazione di donne al sacerdozio.

Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Brasile, il 28 luglio 2013:

"Con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: 'No'. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella è chiusa, quella porta".

E nella conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Svezia, il 1 novembre 2016:

"Sull’ordinazione di donne nella Chiesa cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da San Giovanni Paolo II, e questa rimane".

Ma da ciò non risulta che Francesco escluda un'evoluzione della Chiesa in questa direzione. Tant'è vero che lascia che se ne parli anche ai livelli più alti. Ad esempio da parte del cardinale Christoph Schönborn – ripetutamente da lui elogiato come "grande teologo" e come il più autorevole interprete dei maggiori documenti di questo pontificato –, che il 1 aprile, in un'intervista a "Salzburger Nachrichten" ha dichiarato che l'ordinazione delle donne al sacerdozio "è una questione troppo grande per essere decisa dalla scrivania di un papa", ma potrà essere comunque discussa e decisa "da un concilio".

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A titolo di documentazione, questi sono i link ai resoconti che Eugenio Scalfari ha pubblicato su "la Repubblica" dei suoi colloqui con papa Francesco.

I colloqui sono cinque, ma Scalfari ne ha riferito anche più di una volta. Inoltre, il primo colloquio è preceduto da uno scambio di messaggi scritti tra Scalfari e il papa.

7 agosto 2013
> Le domande di un non credente al papa gesuita chiamato Francesco

11 settembre 2013
> Papa Francesco scrive a Repubblica: "Dialogo aperto con i non credenti"

1 ottobre 2013
> Papa Francesco a Scalfari: Così cambierò la Chiesa

13 luglio 2014
> Il papa: "Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili"

21 settembre 2014
> San Pietro era sposato ma seguì Gesù e lasciò a casa la moglie

15 marzo 2015
> Quel che Francesco può dire all'Europa dei non credenti

11 novembre 2016
> Il Papa a Repubblica: "Trump? Non giudico. Mi interessa soltanto se fa soffrire i poveri"

9 ottobre 2017
> Scalfari intervista Francesco: "Il mio grido al G20 sui migranti"

29 marzo 2018
> Il papa: “È un onore essere chiamato rivoluzionario”





 

[Modificato da Caterina63 10/04/2018 01:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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