Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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LETTURE PER L'ANIMA (3)

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2019 13:00
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  Ringraziando per averci seguito nella prima fase: LETTURE PER L'ANIMA (2),  
- Letture per l'anima (1) - veniamo alla nuova serie....



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«SULLO SCORCIO»
Allocuzione del Santo Padre Leone XIII
ai Parroci di Roma e ai Laici romani
della Pia Associazione della Sacra Famiglia

Domenica, 28 gennaio 1894

Sullo scorcio di quest’anno, che grazie alla bontà divina non Ci fu scarso di conforti, la presenza vostra e i degni sentimenti espressi recano oggi una consolazione di più all’animo Nostro, o benemeriti sacerdoti, preposti in quest’alma città alla cura immediata delle anime. Il geloso uffizio, e lo zelo che ponete a ben compierlo, vi raccomandano in modo particolare alla benevolenza del vostro Vescovo. San Paolo, inteso a evangelizzare le genti, compiacevasi di coloro che con lui combattevano per la fede del Vangelo. E Noi similmente di voi Ci gloriamo, perché nella sollecitudine della Diocesi di Roma i cooperatori Nostri siete voi. Ministero di alto rilievo quello d’indirizzare e santificare le coscienze, che domanda però un corredo di qualità elette: zelo illuminato, fervorosa pietà, spirito d’abnegazione, longanimità, assiduità quotidiana. Alle quali virtù se non v’ha quaggiù rimunerazione che basti, mercede copiosa e sovrabbondante è loro riservata altrove: i nomi degli aiutatori dell’Apostolo erano scritti nel libro della vita: Quorum nomina sunt in libro vitae.

Al vedervi qui congiunti di luogo e di spirito a sì larga rappresentanza di parrocchiani, Ci sorride nella mente l’ideale della organica unità della Chiesa, compendiato molto bene dagli antichi nella conosciuta forma, plebs pastori suo coadunata; perché infatti la docilità ai pastori minori è il primo anello della necessaria soggezione ai maggiori, e al massimo. E per questo rispetto hanno agli occhi Nostri doppio carattere gli omaggi che tutti insieme, in consonanza di pensieri e di affetti, Ci rendete; palesano lo spirito di unità, ed offrono una testimonianza novella della filiale devozione che Ci porta il popolo di Roma; questo buon popolo, figlio primogenito del Nostro affetto, e che vorremmo fiorisse ognora dei più desiderabili beni.

Fate quindi ragione, quale amarezza inondi il Nostro cuore, ogni volta che poniamo mente alle malagevoli condizioni di Roma, aggravate per indiretto dalle condizioni generali della penisola. Auguriamo riparabili le angustie presenti, e sollecito il restauro dell’ordine, dove l’ordine fu turbato: ma intanto Roma soffre. È fuori del Nostro intendimento il riandare qui i tempi anteriori, quando la paterna provvidenza dei Papi dava alla Città non anni, ma secoli di prosperità onorata e tranquilla. Non era la felicità, perché né gli uomini, né gli umani istituti possono darla: era bensì una ragionevole agiatezza, sicura del domani, era un vivere riposato e composto, dove non mancava cosa a quello che si chiama benessere. Oggi, è evidente l’opposto. Si cogliesse almeno dalla dura esperienza questo costrutto, che s’arrivasse finalmente a vedere dove siano le origini prime del male, e dove il più possente rimedio. Poiché, è inutile dissimularlo, le rovine religiose, volute e operate a disegno, sono quelle che hanno aperto la via alla rovina morale e materiale, onde, non giustizia soltanto, ma senno politico sarebbe rifare il cammino a ritroso: riporre debitamente in onore la santa religione dei nostri padri e nostra; accostarsi con fiducia e senza sospetti a Colui che della religione tiene da Dio il magistrato supremo; giacché le parole di vita eterna, che egli possiede, hanno virtù di far prospera eziandio la vita mortale.

E appunto nell’intento di ravvivare e alimentare nelle moltitudini il sentimento religioso, Ci avvisammo, tra le altre cose, di dar vita alla Pia Associazione della sacra Famiglia, intesa, come sapete, a ritemprare cristianamente la società domestica, modellandola, quanto è possibile, al divino esemplare di quella di Nazareth. Si ha in mira così di promovere la virtù nel civile consorzio, mediante la santificazione della famiglia. Santa e proficua istituzione: la quale, se passerà incompresa presso gli uni che hanno smarrito o ripudiato il senso cristiano, renderà bene, se Dio vuole, i suoi frutti in tutti gli altri, che sanno comprendere e pregiare, com’è giusto, le armonie della fede.
E voi, che qui Ci rappresentate le romane primizie della pia Associazione, studiatevi di penetrarne lo spirito, di osservarne le pratiche e, se avete a cuore di cooperare al bene religioso e sociale, fatevene promotori ed apostoli.
Imploriamo intanto sopra tutti voi le più elette grazie del cielo: e ve ne siano pegno la Benedizione Apostolica, che a voi, alle vostre famiglie, con effusione di cuore impartiamo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Benedetto XVI, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI sec


Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo. Un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2005, € 18 

Il libro, risalente al 1996, è stato ripubblicato, come molti altri testi di Joseph Ratzinger, dopo l’elezione dell’autore al soglio pontificio. Si tratta di un libro intervista col giornalista Peter Seewald, che potrebbe far coppia col più celebre Rapporto sulla fede, anch’esso libro intervista scritto con Vittorio Messori, per accostarsi in maniera scorrevole - ma non per questo banale - al pensiero del regnante pontefice. Benché non sia, ovviamente, un atto pontificio, esso può costituire un invito alla lettura – e un aiuto per la comprensione - del magistero di papa Benedetto XVI. 

Seewald esordisce nella premessa (pp. 5-7) descrivendo « un uomo di aspetto modesto, dai capelli bianchissimi, che dava una certa impressione di fragilità; camminava a piccoli passi, vestito del suo nero abito talare, con una piccolissima e semplice valigia. […] L’atmosfera dell’incontro è stata intensa e seria, ma talvolta questo “principe della Chiesa” sedeva tanto leggero sulla sua sedia che si aveva l’impressione di avere a che fare con uno studente. Una volta egli interruppe la nostra conversazione per ritirarsi in meditazione o, forse, anche per chiedere allo Spirito Santo le parole giuste. Non lo so. Il cardinale Joseph Ratzinger è considerato, soprattutto in patria, un controverso – e discusso – uomo di Chiesa. Tuttavia, molte delle analisi e dei giudizi da lui formulati in determinati momenti si sono nel frattempo avverati, spesso persino nei dettagli. E sono pochi ad avere una tanto dolorosa consapevolezza delle perdite e del dramma della Chiesa del nostro tempo, come questo signore intelligente, che ha le sue radici nella Baviera contadina». 


Segue una parte intitolata «La fede cattolica – Segni e parole» (pp. 9-44) - che si differenzia dai successivi capitoli “a tema” - in cui la chiacchierata tra il giornalista e il cardinale prende le mosse da una battuta: «Eminenza, si dice che il papa talvolta abbia paura di Lei e che gli sia capitato di chiedersi: “Per carità, che cosa ne dirà il cardinal Ratzinger?” – (divertito) Può essere stata una battuta. Ma di sicuro non ha paura di me!». Gli argomenti toccati sono qui molto vari, dai colloqui con Giovanni Paolo II alla vita di fede del cardinale - che afferma «per me avere a che fare con Dio è già di per sé una necessità» - fino alla situazione attuale della barca di Pietro («Vale ancora la pena di salirvi?» chiede Seewald): «Si può anche vedere che il crollo della Chiesa e del cristianesimo cui abbiamo assistito negli ultimi trenta, quarant’anni, è in parte responsabile delle gravi situazioni di sfacelo spirituale, delle difficoltà di orientamento, dell’abbandono e della trascuratezza che noi osserviamo. Per questo io dico: se non ci fosse questa barca, la si dovrebbe inventare».

Infatti la barca, benché la secolarizzazione ne abbia notevolmente diminuito i passeggeri, e la crisi di vocazioni l’equipaggio, continua a restare a galla e non ci si sta neanche male… basterebbe avere la pazienza di esplorarla prima di dire che è meglio rituffarsi in mare: «l’idea dominante è quella che il cristianesimo già lo si conosce e quindi si deve cercare qualcosa di diverso. Deve venir fuori, per così dire, una nuova curiosità per il cristianesimo, il desiderio di conoscere davvero ciò che esso è». Lo spazio non ci consente di avvertire il clero che la «nuova curiosità per il cristianesimo» non si suscita certo con il piano-bar domenicale, ma per tale aspetto rinviamo agli splendidi scritti di Ratzinger sulla liturgia… 

Tra i numerosi altri argomenti toccati, meritevoli di segnalazione, ci limiteremo solo alla domanda: «Qual è la cosa che più la affascina nell’essere cattolico? - Affascinante è questa grande, viva storia, in cui noi siamo entrati, e questo, anche solo dal punto di vista umano, è già qualcosa di speciale. Affascinante è che una istituzione, con tante debolezze umane e malgrado tanti fallimenti, si mantenga intatta nella sua continuità e che io, vivendo in questa grande comunità, possa sentirmi in comunione con tutti i viventi e i defunti […]».

Perché «cattolico» non indica solo un’universalità spaziale, ma anche temporale, una comunione con tutti coloro che nei secoli hanno fatto parte della «famiglia degli amici di Dio» (espressione cara al papa). Come non ripensare alle scene di un anno fa, quando il nuovo pontefice, partendo dalla tomba di Pietro, si apprestava a continuarne la difficile missione accompagnato dal canto delle Laudes Regiae, le invocazioni alla schiera dei santi, a ciascuno dei quali si chiedeva “tu illum adiuva”, “aiutalo”…? 

Nel primo capitolo, «La persona» (pp. 45-136), la conversazione si concentra sulle diverse tappe della vita di Joseph Ratzinger, ultimo di tre fratelli, nato il Sabato Santo del 1927 a Marktl am Inn, in Baviera. Questo capitolo anticipa in gran parte il contenuto del libro «La mia vita», pubblicato da Ratzinger nel 1997 e contenente i suoi ricordi fino alla nomina a cardinale, pertanto più che i passi strettamente biografici segnaleremo qui quelli con ricadute attuali per la vita della Chiesa, cioè l’annoso problema della ricezione e dell’interpretazione del Concilio Vaticano II - problema che sarebbe in realtà risolto da un pezzo, se solo si fosse fatto riferimento ai testi conciliari e all’«interpretatio authentica» che ne hanno dato i successori di Pietro (il cui mestiere è appunto di confermare nella fede i fratelli: cfr. Lc 22,32), invece di rincorrere continuamente i segni dei tempi… per adeguarvisi! 

Seewald, ripercorrendo quegli anni, in cui il giovane teologo Ratzinger era parte attiva del rinnovamento conciliare, gli chiede: «Ci si aspettava un salto in avanti, si è raccolto un “processo di decadimento”. Che cosa è andato storto? – […] tra quel che i padri conciliari volevano e quel che è stato mediato all’opinione pubblica e che, poi, ha finito per impregnare la coscienza comune, c’era una sensibile differenza. I Padri volevano aggiornare la fede, ma, appunto, proprio presentandola in tutta la sua forza. Invece è andata via via formandosi l’idea che la riforma consistesse semplicemente nel gettare la zavorra, così che, alla fine, la riforma è sembrata consistere non in una radicalizzazione della fede, ma in un suo annacquamento. In ogni caso, oggi si vede sempre più chiaramente come non si raggiunge la forma giusta di concentrazione, di semplificazione e di approfondimento limitandosi semplicemente alle facilitazioni, agli adattamenti e alle concessioni. Ciò significa che, fondamentalmente, esistono due concetti di riforma. Il primo consiste più nel rinunciare alla potenza esteriore, a dei fattori esterni, ma per vivere ancora più della fede, l’altro consiste, per dirla in termini caricaturali, nel mettersi comodi nella storia; e poi, ovviamente, le cose vanno male».

E prosegue concludendo che «la vera eredità del concilio si trova nei suoi testi. Se essi vengono interpretati in modo serio e approfondito, allora si è al riparo da estremismi in entrambe le direzioni; e allora si apre davvero una strada che ha ancora molto futuro davanti a sé». Sono gli stessi concetti che ha espresso, da papa, il 22 dicembre 2005 in un denso discorso sull’argomento, al quale, ovviamente, rimandiamo. 

Prima di passare alla parte successiva, riportiamo solo una frase detta a proposito dei teologi (tra i quali, non dimentichiamolo, c’è anche lui): «noi siamo al servizio della Chiesa, e non coloro che decidono che cosa essa sia». 

Il secondo capitolo (pp. 137-244) si intitola «Problemi della Chiesa cattolica», problemi che si possono riassumere nella drastica riduzione dell’influenza della Chiesa nelle società, e persino sui suoi stessi fedeli – che magari conoscono benissimo la passione di papa Wojtyła per la montagna, o di papa Ratzinger per Mozart, ma ignorano del tutto i loro insegnamenti. Seewald affronta la questione senza falsi pudori, paragonando (l’unico eufemismo è un «quasi») la Chiesa ad un buco nero, ad una stella prossima a spegnersi. L’autorevole interlocutore, altrettanto privo di peli sulla lingua, non si scompone: «In effetti da un punto di vista empirico, le cose possono sembrare davvero così. […] Sarebbe indubbiamente una falsa aspettativa pensare che possa aver luogo un radicale mutamento del trend storico, che la fede diventi nuovamente un grande fenomeno di massa, un fenomeno che domina la storia».
La differenza con la stella, però, è che il cristianesimo non è destinato a spegnersi, ma ad essere sempre una «forza vitale della storia», a prescindere dalle dimensioni – proprio come l’evangelico granello di senape. 

La diagnosi è confermata. Ma quali sono le cause? Innanzitutto la nostra epoca – detta anche post-moderna – non è più quella della secolarizzazione, dell’eccesso di razionalismo, ma al contrario di una ricerca del sacro un po’ selvaggia, al di fuori delle Chiese tradizionali, nelle quali si crede di non poter trovare «la vivacità, la semplicità della fede». La diffidenza verso le istituzioni è una delle caratteristiche della nostra epoca, e Seewald osserva come «non vi sia provocazione maggiore del fatto puro e semplice che esista ancora una Chiesa istituzionale». «Tutto questo, però, - risponde Ratzinger – depone per molti aspetti a favore della Chiesa cattolica, è l’ammissione che essa ha ancora una capacità di provocare, che è ancora un pungolo e un segno di contraddizione o, come dice san Paolo, è “scandalo”, pietra d’inciampo». Del resto, «è davvero divertente osservare quanto rapidamente cambino le mode culturali». 

Il problema è dunque cambiato rispetto a qualche tempo fa: se prima il rischio era la secolarizzazione, adesso è la soggettivizzazione della religione, sia nel senso che essa è divenuta una sorta di bricolage, in cui ciascuno toglie o aggiunge secondo i propri comodi, sia nel senso che la religione in quanto tale è relegata nel privato, e lì deve restare: «la religione non è affatto scomparsa, ma si è spostata nell’ambito del soggettivo. La fede è allora tollerata come una delle forme soggettive di religiosità, oppure mantiene un certo spazio come fattore culturale». Date queste premesse non stupisce la lucidità con cui il card. Ratzinger dice che «una dittatura anticristiana del futuro sarà presumibilmente molto più sottile di quelle che abbiamo conosciuto finora. Essa si mostrerà apparentemente aperta alle religioni, ma a condizione che non si vada a toccare il suo modello di condotta e di pensiero».

Basterebbe aguzzare un po’ la vista per osservare questo sottile anticristianesimo già al lavoro, e scoprire sotto i rassicuranti proclami buonisti della mentalità odierna (e persino di certo volontariato) le aggressioni alla libertà religiosa, alla vita umana nascente, alla famiglia naturale, o alla semplice possibilità che la ragione umana (anche di un ateo) possa cogliere qualcosa della Verità, qualcosa di più di una semplice opinione da tenere per sé. 

Tornando alla perdita d’influenza della Chiesa cattolica, il cuore del discorso di Ratzinger è che i problemi non si risolvono annacquando la fede, ma, al contrario, vivendola più intensamente. Presunte terapie, come il sacerdozio alle donne, o una maggiore elasticità circa la morale sessuale, non avrebbero alcuna utilità, né per la Chiesa – basti l’esempio delle numerose comunità protestanti, cui tutte queste concessioni non hanno provocato altro che uno svuotamento delle panche – che inoltre è vincolata dalla parola di Dio e dalla legge naturale; né per gli uomini, poiché in tal modo la Chiesa non servirebbe più loro, ma i loro capricci. Ratzinger ne parla qui per diverse interessantissime pagine ma conclude andando, ancora una volta, all’essenziale: «Sono convinto che nel momento in cui si verificherà una svolta spirituale, questi problemi perderanno di importanza in modo altrettanto improvviso, come sono emersi. Perché, in ultima analisi, non sono i veri problemi dell’uomo». 

Infine arriviamo al terzo capitolo, «Alle soglie di una nuova epoca» (pp. 245-320), che inizia con un bilancio di fronte alle tante critiche (di cui sarebbe buona norma accertare la veridicità e il pulpito di provenienza…) rivolte ai cristiani del passato: «è davvero necessario che la Chiesa reciti il suo “mea culpa”, perché possa porsi con sincerità davanti a Dio e agli uomini. È altrettanto importante, però, non ignorare che, nonostante tutti gli errori e le debolezze, la parola di Dio è sempre stata annunciata e i sacramenti impartiti, e che, di conseguenza, erano comunque percettibili le forze della salvezza, forze che hanno posto argini al male». 

Argomento centrale del capitolo sono, tuttavia, le ipotesi, sollecitate da Seewald, circa l’avvenire della Chiesa e del suo ruolo nel mondo. Ratzinger, nonostante abbia alle spalle numerose diagnosi confermate col passare del tempo, è un po’ restio ad avventurarsi in «prospettive future, rispetto alle quali sono molto cauto», ma questo non gli impedisce di presentare all’interlocutore (e ai lettori) qualche riflessione sul domani. Concetto chiave è il fatto che «la Chiesa di domani […] sarà più chiaramente di oggi la Chiesa di una minoranza»: il mondo va in direzione opposta e l’ambiente sociale che circonda il singolo non trasmette più la fede, come avveniva in passato, dunque, poiché «non si può essere cristiani da soli […] è la Chiesa stessa che deve costruirsi delle cellule vitali», che deve sopperire alla disgregazione degli “ambienti”. Eppure, «proprio un’epoca di cristianesimo quantitativamente ridotto può suscitare una nuova vitalità di un cristianesimo più consapevole. Di fronte a noi c’è un nuovo tipo di epoca cristiana». 
Ma qual è la funzione di questa Chiesa di minoranza, che in condizioni difficili ritrova la sua vitalità, all’interno di un mondo in gran parte ostile? La risposta ci ricollega al titolo del libro: «Con le immagini bibliche del sale della terra e della luce del mondo si spiega la funzione di rappresentanza della Chiesa. “Sale della terra” presuppone che non tutta la terra sia sale». E il sale -come osservava a tale proposito Gilbert Keith Chesterton - notoriamente condisce in quanto ha un sapore radicalmente diverso da quello del cibo, talvolta persino in contraddizione… proprio come accade tra la Chiesa e il mondo! 

Stefano Chiappalone



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Card. Joseph Ratzginer  

Tratto dal libro  
Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio.  
Un colloquio con Peter Seewald, 
Cinisello Balsamo: Ed. S.Paolo, pp. 199-202.

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Peter Seewald  
Mi chiedo perché la Chiesa non trasmetta meglio la fede a noi ignari e cristiani analfabeti, perché non ricordi più spesso la grandezza del Cattolicesimo, la libertà di pensiero, il perdono e la misericordia. Mi mancano anche i suoi riti tradizionali, le sue usanze e le feste che potrebbe celebrare con orgoglio e con la capacità derivatale da duemila anni di esperienza. In un libro di Isaac Singer ho trovato la descrizione della tradizionale festa ebraica delle capanne: il rabbino salmodiò la preghiera di benedizione del pasto e tenne una predica; i Chassidim si entusiasmarono perché una tale interpretazione della Torà non era mai stata data. Il rabbino aveva svelato dei santi segreti. Alla sera la tavola fu apparecchiata con la tovaglia dei giorni festivi. Poi fu deposto un pezzo di pane e vicino fu collocata una caraffa piena di vino e un calice per il qiddush. I partecipanti ebbero l'impressione che la capanna, allestita in una delle loro case, si trasformasse nella dimora di Dio. Da noi avviene piuttosto che le feste cristiane si trasformino in feste popolari con pâté di fegato e birra. 
 

Card. Joseph Ratzinger  
Qui si riaffaccia il tema della fusione di Cristianesimo e società e della penetrazione del Cristianesimo nelle usanze e nelle feste sociali, di cui abbiamo già parlato. In questo contesto però vorrei introdurre un altro tema. Il rabbino non ha detto certo niente di nuovo, ma il rito, svoltosi in modo devoto e festoso, ha proposto il contenuto in modo davvero nuovo e rendendolo nuovamente presente. 
Nella nostra riforma liturgica c'è la tendenza, a parer mio sbagliata, ad adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine, essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più "piatta". In questo modo, però, l'essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall'eternità. 
Allorché l'Ebraismo perse il Tempio, rimase legato alle feste e ai riti sinagogali, e fu tenuto unito proprio grazie a questi grandi riti, in quanto celebrazioni della casa rimasta fedele al culto di Dio. Nei riti c'è una forma comune di vita, che non dipende solo da ciò che si comprende a livello superficiale, ma che ha a che fare con la grande continuità della storia della fede, che in essa si manifesta, e che rappresenta un'autorità, che non viene dal singolo. Il prete non è un presentatore che si inventa qualcosa e lo comunica abilmente. Può essere al contrario completamente sprovveduto come presentatore, perché comunque rappresenta qualcosa d'altro che non dipende affatto da lui. 
Naturalmente anche la comprensibilità fa parte della liturgia e per questo la parola di Dio deve essere presentata bene e, poi, altrettanto bene spiegata e interpretata. Ma alla comprensibilità della parola contribuiscono altre modalità di comprensione. Prima di tutto essa non è qualcosa che viene continuamente inventato da nuove commissioni. Altrimenti diverrebbe qualcosa di fatto in casa, a propria misura, tanto se le commissioni si riuniscono a Roma, a Treviri o a Parigi. Invece essa deve avere la sua continuità, una sua non arbitrarietà ultima, in cui io possa incontrare i millenni e, attraverso essi, l'eternità, e in cui possa entrare in rapporto con una comunità in festa, che è qualcosa di ben diverso da ciò che un comitato o l'organizzazione di una festa potrebbero mai inventarsi. 
Credo che proprio su questo punto sia nato un nuovo tipo di clericalismo, a partire dal quale si Può comprendere meglio la richiesta del sacerdozio femminile. Viene attribuita importanza al sacerdote in persona, nella sua persona; egli deve essere abile e saper rappresentare tutto molto bene. È lui il vero centro della celebrazione. Di conseguenza, ci si chiede perché solo certe persone possono farlo. Se egli, al contrario, si fa indietro in quanto persona ed è davvero solo un rappresentante, e si limita a compiere con fede quel che gli è richiesto, allora quel che avviene non gira più intorno a lui, non ha la sua persona come centro, ma egli si fa da parte ed emerge finalmente qualcosa di più grande. In questo si deve vedere ancora di più la forza dirompente della tradizione non manipolabile. La sua bellezza e la sua grandezza toccano anche chi non sa elaborare e capire razionalmente tutti i dettagli. Al centro sta allora la parola, che viene annunciata e spiegata.


Peter Seewald  
Per reagire a questo appiattimento e a questa perdita di fascino e di sacralità, non sarebbe opportuno pensare a un recupero dell'antico rito? 
 

Card. Joseph Ratzinger  
Da sola, questa non è una soluzione. Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive? Ma un semplice ritorno all'antico non è una soluzione. La nostra cultura si è così trasformata negli ultimi trent'anni che una liturgia celebrata esclusivamente in latino comporterebbe un'esperienza di estraniamento, insuperabile per molte persone. Quello di cui abbiamo bisogno è una nuova educazione liturgica, soprattutto dei sacerdoti. Deve diventare nuovamente chiaro che la scienza liturgica non esiste per produrre continuamente nuovi modelli, come può valere per l'industria automobilistica.
Esiste per introdurre l'uomo nelle feste e nella celebrazione, per disporre gli uomini ad accogliere il Mistero. Ce lo insegnano le chiese orientali, ma anche le religioni di tutto il mondo, che sanno come la liturgia sia qualcosa di diverso dall'invenzione di testi e riti e che essa vive proprio di ciò che non è manipolabile.
I giovani ne hanno una profonda percezione. I luoghi dove la liturgia viene celebrata senza fronzoli e in modo riverente esercitano notevole forza di attrazione, anche se non si capisce ogni suo singolo elemento. Abbiamo bisogno di luoghi come questi, capaci di offrire dei modelli. Purtroppo da noi c'è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n'è per l'antica liturgia. Cosi siamo sicuramente su una strada sbagliata.


[Modificato da Caterina63 10/01/2017 23:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/01/2017 12:23
 
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 ROMA ETERNA. UN MANUALE DI ALBERTO TORRESANI PER CONOSCERE UNA STORIA A CUI NON FINIREMO MAI DI APPARTENERE
Può sembrare che l'argomento sia estraneo per una "lettura per l'anima", ma noi siamo "nel" mondo e la storia che viviamo incide anche sulla formazione delle nostre anime....



Roma eterna. Un manuale di Alberto Torresani per conoscere una storia a cui non finiremo mai di appartenere


Si intitola semplicemente Storia di Roma il manuale scritto dal prof. Alberto Torresani che, per sua gentile concessione, mettiamo a disposizione dei lettori del Timone.


Frutto di un'esperienza pluridecennale di insegnamento nei licei e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Pontificia Università della Santa Croce, il libro è una sintesi quanto mai preziosa, pensata per studenti, docenti o chiunque voglia avere uno sguardo d'insieme sulla civiltà fiorita sulle sponde del Tevere e a cui la Provvidenza assegnò un destino unico. Una storia imprescindibile per capire chi siamo, anche e soprattutto come cattolici romani.


Il libro è scaricabile QUI




LE STORIE DI CHI E' USCITO DAL COMA

 

Non ci sono malati che vogliono morire, ma solo persone che chiedono di non essere lasciate sole nella sofferenza. È questo il messaggio che emerge dai racconti di chi è uscito dal coma, da uno stato vegetativo o da una lunga lotta contro una malattia gravissima. L'iniziativa è a supporto della petizione di ProVita Onlus che chiede il ritiro del disegno di legge sul testamento biologico.

di Marco Guerra

Non ci sono malati che vogliono morire ma solo gente che chiede di non essere lasciata sola nella sofferenza. È questo il messaggio che emerge dai racconti dalle persone uscite dal coma, da uno stato vegetativo o da una lunga lotta contro una malattia gravissima, che ieri hanno animato la conferenza stampa alla Camera dei deputati, organizzata da ProVita Onlus per lanciare la petizione, sottoscrivibile sul sito notizieprovita.it, che chiede il ritiro del disegno di legge sul testamento biologico in discussione alla Commissione Affari sociali di Montecitorio. 

Non si tratta di eroi e nemmeno di persone di persone che si definisco coraggiose. Max Tresoldi, risvegliatosi dal coma dopo 10 anni; Sylvie Menard, ricercatrice oncologica, collaboratrice di Veronesi, affetta da tumore al midollo osseo; 

Sara Virgilio, caduta - dopo un terribile incidente - in un coma dal quale vi erano remote probabilità di uscire e Roberto Panella, risvegliatosi dallo stato vegetativo dopo due mesi, sono solo individui che si sono aggrappati alla vita con tutte le forze, esempi di dignità che mostrano che non esiste una esistenza che non sia degna di essere vissuta. 

“Tutti da giovani, in piena forza e coscienza, pensiamo di non poter accettare uno stato di disabilità, ma quando si diventa fragili e malati la vita ha il sopravvento su tutto, si è in grado di sopportare enormemente di più di quello che si pensava da sano”, ha detto Sylvie Menard, ricercatrice oncologica ed ex allieva del prof. Veronesi, che era favorevole all'eutanasia e aveva persino redatto un testamento biologico. Poi la Menard ha scoperto di avere un cancro inguaribile al midollo osseo e la sua prospettiva sulla vita e la morte è cambiata radicalmente divenendo una ferma oppositrice dell'eutanasia: “Scrivere da sano “io, così, no”, non ha senso: bisogna viverle, certe situazioni, io ho vissuto anche condizioni molto pesanti, avvilenti ma non mi sono mai sentita indegna”.

Roberto Panella, entrato in coma dopo un incidente alla giovane età di diciotto anni, ha raccontato la sua lotta per la sopravvivenza e dieci anni di lungo calvario per la riabilitazione. La madre ha rivelato alcuni episodi spiacevoli riferiti al personale medico, che davano ormai per spacciato suo figlio in sua presenza. Roberto ha quindi affermato che fa più male l’indifferenza delle gente delle istituzioni: “Non ci serve un siringa per morire ma uno stato che sappia prendersi cura dei malati e reinserirli nella società”. 

Poi è stata la volta di Sara Virgilio. Anche per lei la vita è cambiata a circa 20 anni, dopo un terribile incidente causato da un pirata della strada, lo stato di coma si è sommato a molte altre problematiche fisiche. Questo stato ha indotto i medici ha ritenere che al 99,9% Sara non ce l'avrebbe fatta, oppure, anche se fosse uscita dal coma, non ci sarebbero state possibilità di recuperare una vita "normale". Molte persone, davanti ad una prospettiva del genere, disporrebbero nelle proprie Dat di essere lasciati morire per disidratazione. Eppure ieri Sara, bellissima donna di 43 anni, ha raccontato della sua laurea in biologia, della specializzazione e dalle sua attività di ricercatrice. “La mia paura – ha spiegato Sara parlando del coma - era che avrebbero potuto staccarmi le macchine, perché io ero alimentata meccanicamente, avevo il sondino naso-gastrico, ed ero idratata. Ma per me, la mia condizione non era un problema; l’unico problema era riuscire a dire agli altri: non ammazzatemi perché io sono viva”.

E' infine intervenuto Max Tresoldi: la mamma ha raccontato come, dopo un gravissimo incidente, Max sia entrato in coma e poi in stato vegetativo. Max è l’esempio vivente di quanto può essere potente la volontà e l’amore dei genitori. La madre ha raccontato quando dopo dieci anni di stato vegetativo, presa da lo sconforto, una sera non ce l’ha fatta a fare il segno della croce a Max: “Fattelo tu, se vuoi” gli disse sfidandolo. E lui lo fece, compiendo il primo gesto volontario della sua nuova vita e sfatando tutte le previsioni dei medici che lo consideravano un vegetale. 

Alla conferenza erano presenti anche alcuni parlamentari che si stanno battendo per una modifica radicale del ddl. Eugenia Roccella, Gian Luigi Gigli, Alessandro Pagano e Paola Binetti. Il Pd, forte del sostegno annunciato da Cinque Stelle e Sel, finora ha bocciato tutti gli emendamenti – anche quelli presentati dell’alleato centrista ‘Area popolare’ – che chiedono di circoscrive e limitare in quali casi è prevista la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione e di non mortificare il medico come mero esecutore delle volontà eutanasiche del paziente espresse nelle Dat, le disposizioni di trattamento anticipato. L’obiettivo è portare il testo al voto dell’aula il 27 febbraio e per riuscirci la Commissione ha tenuto anche sessioni notturne andando avanti a tappe forzate. “Finora i catto-dem non hanno dato segni di vita – ha riferito alla Nuova Bq la Roccella – qualcuno dice che forse Fioroni farà un po’ di ostruzionismo in aula. Sicuramente una legge del genere merita una discussione approfondita e non un voto a colpi di maggioranza”.




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[Modificato da Caterina63 22/02/2017 13:12]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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EDITORIALE Tutti gli editoriali

 




Adorazione eucaristica


 



In questi giorni che precedono l’inizio della Quaresima, in molte parrocchie si fanno le Quarantore. Tempo di adorazione e di riparazione davanti al Santissimo Sacramento. È bene che nell’ostensorio sia mostrata proprio l’ostia consacrata, e non solo la pisside.



di Enrico Cattaneo




Considerando i testi di san Tommaso per la festa del Corpus Domini, si capisce che essi suppongono proprio la visione dell’ostia. 

Ma che cosa vedono gli occhi? Un pezzo di pane bianco. Che cosa vedono gli occhi della fede? Vedono Gesù, presente con il suo “corpo, sangue, anima e divinità”. È un peccato che si sia diffusa l’abitudine di recitare l’atto di adorazione saltando proprio quelle parole. Meditandole una per una, gli occhi della fede entrano nella profondità del mistero, fino ad arrivare alla divinità. 

Il corpo di Gesù è lì davanti a me; posso mettere la mia anima a contatto con la sua anima; posso chiedere al suo sangue di purificarmi dai miei peccati; adoro la sua divinità. Se la divinità di Gesù è presente, allora anche il Padre e lo Spirito Santo sono presenti. Se la Trinità è presente, il paradiso è presente. Se il paradiso è presente, anche la B.V. Maria, gli angeli e i santi sono presenti.

“Adoro te devote, latens deitas” (ti adoro devotamente o Dio nascosto)
quae sub his figuris vere latitas” (che sotto questi segni ti nascondi veramente); 
“tibi se cor meum totum subicit” (il mio cuore si sottomette tutto a te), 
“quia te contemplans totum deficit”
 (perché contemplandoti totalmente viene meno).
 “In cruce latebat sola deitas” (sulla croce solo la divinità era nascosta),
 “at hic latet simul et umanitas” (ma qui è nascosta anche la tua umanità);
 “ambo tamen credent atque confitens” (ma io credendo e professando entrambe), 
“peto quod petivit latro penitens” (chiedo quello che ti domandò il ladrone pentito).
 “Pie pellicane, Iesu Domine” (Gesù Signore, pio pellicano [secondo la leggenda, questo uccello nutriva i suoi piccoli con il suo sangue]), 
“me immundum munda tuo sanguine” (purifica me immondo con il tuo sangue),
 “cuius una stilla salvun facere” (solo una sua goccia può salvare),
 “totum mundum quit ab omni scelere” (tutto il mondo da tutti i suoi peccati). 
“Iesu quem velatum nunc aspicio” (Gesù, che io ora io vedo sotto il velo [delle specie eucaristiche]),
 “oro fiat illus quod tam sitio” (prego che avvenga ciò che tanto bramo), 
“ut te revelata cernens facie” (che vedendo il tuo volto senza più veli),
 “visu sim beatus tuae gloriae” (abbia la felicità di contemplare la tua gloria).
Amen. 


     


L'IO E LA CRISI DELLA MODERNITA'/22
 

L’uomo ha bisogno di porsi la domanda sul destino con la speranza che qualcuno possa dare risposta alla propria inquietudine. Eppure, la cultura in cui viviamo tende ad obnubilare questa tensione dell’uomo a capirsi e a trovare una risposta. Quale umanesimo è, dunque, oggi ancora possibile?

di Don Giovanni Fighera

San Tommaso
 Per la prima volta dopo duemila anni, come scrive già C. Peguy (1873-1914) nell’Ottocento, si nasce oggi in un ambiente che non è più cristiano. Si è voluto realizzare l’uomo nuovo senza Dio, si è proposto un umanesimo che ponesse l’uomo sul piedistallo al posto di Dio. Non che quest’ultimo sia stato apertamente negato, ma è stato confinato nell’ambito del privato.

Il grande filosofo russo contemporaneo N. A. Berdjaev (1874-1948) si è espresso al riguardo: «L’affermazione dell’individualità umana presuppone l’universalismo; lo dimostrano tutti i risultati della cultura e della storia moderna nella scienza, nella filosofia, nell’arte, nella morale, nello Stato, nella vita economica, nella tecnica, lo dimostrano e lo provano con l’esperienza.
È provato e dimostrato che l’ateismo umanistico porta all’autonegazione dell’umanesimo, alla degenerazione dell’umanesimo in antiumanesimo, al passaggio della libertà in costrizione. Così finisce la storia moderna e incomincia una storia diversa che io per analogia ho chiamato nuovo Medioevo. In essa l’uomo deve di nuovo legarsi per raccogliersi, deve sottomettersi al supremo per non perdersi definitivamente».

Nella prima parte del percorso sulla crisi epocale cui oggi assistiamo abbiamo cercato di sorprendere le caratteristiche del mondo contemporaneo e di una cultura che sembra sempre più congiurare a nascondere o a censurare la natura più propriamente umana. Nella seconda parte abbiamo evidenziato il cammino dell’uomo nella storia e l’evoluzione della sua consapevolezza di essere creatura a immagine e somiglianza di Dio, il mutamento del rapporto di appartenenza dell’uomo al proprio popolo, alla propria tradizione. Nell’epoca moderna la crisi dell’appartenenza e l’intensificarsi dell’individualismo hanno portato da un lato ad una percezione sempre più diffusa della solitudine, dall’altro alla dimenticanza della tradizione e della cultura. Da dove può nascere la speranza? Nella terza parte l’attenzione si è spostata sull’uomo e sulla sua natura, sullo stupore e sul desiderio che desta la realtà, se guardata con occhio limpido e scevro da pregiudizi.

Allora l’uomo si sorprende bambino, bisognoso di un abbraccio e di qualcuno che lo possa perdonare e salvare. Solo i malati hanno bisogno del medico, ovvero solo l’uomo che chiede di essere sanato e salvato può davvero incontrare la salvezza. L’uomo ha bisogno di porsi la domanda sul destino con la speranza che qualcuno possa dare risposta alla propria inquietudine. Non si può censurare la natura «di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda, ma oltre natura misera e dolorosa. È ben comprensibile che il suo mistero formi l'alfa e l'omega di tutti i nostri discorsi e di tutte le nostre domande, dia fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema». Così lo scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) descrive il mistero dell’uomo. Eppure, la cultura in cui viviamo tende ad obnubilare questa tensione dell’uomo a capirsi e a trovare una risposta.

Quale umanesimo è, dunque, oggi ancora possibile? Un umanesimo che si riappropri della legge morale universale nel coraggio di guardare di nuovo alla ragione umana. La legge naturale è «partecipazione alla legge eterna», secondo san Tommaso. «L’agire umano ha come regola sua propria la ragione umana. Ma essa deriva la sua capacità regolativa dalla stessa natura – sapienza - ragione divina» (C. Caffarra).

Per questo «agire contro la ragione è contrario alla natura di Dio, di cui la legge della ragione è la partecipazione propria dell’uomo. Agire contro la ragione è agire contro Dio. Non nel senso che Dio ci dona la sua legge alla maniera di un legislatore esterno. Egli promulga a noi la sua legge semplicemente perché ci ha donato la ragione» (C. Caffarra). E ancora «nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale» (C. Caffarra). La conferenza di Ratisbona di Papa Benedetto XVI «è stata un grido profetico, un grande avvertimento […], perché l’uomo cammini senza zoppicare appoggiandosi sulla fede e la ragione. Diversamente dovremmo accontentarci di una ragione che non domanda, e di una fede che non risponde» (C. Caffarra).

In effetti, Papa Benedetto XVI ha proposto «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza». 

Già san Paolo con il suo richiamo «Vagliate tutto, trattenete quello che è buono!» ci propone una ragione aperta a tutto, che dialoga con tutti, che non misura, ma si spalanca al vero e al bene. La ragione spalancata e non ridotta arriva a cogliere che l’uomo non può capire tutto il Mistero della realtà. Si protende così a percepire l’inadeguatezza della condizione umana di fronte all’infinito, a capire il limite nella conoscenza e la necessità che sia il Mistero a rivelarsi. Ragione e fede sono comunicanti e in continuo dialogo. La storia stessa della cultura e dell’evoluzione tecnico-scientifica è fondata sul metodo della fede, sulla fiducia tributata a testimoni credibili. Senza la fede ogni uomo dovrebbe ripercorrere ogni passaggio compiuto nella storia dell’umanità sia nel campo culturale che tecnologico - scientifico. Non esisterebbero, quindi, progressi e cambiamenti. 

La fede nell’ambito religioso è, poi, della stessa natura di quella propria dell’ambito umano e culturale: è una fiducia conferita a testimoni del fatto cristiano in ogni tempo. L’avventura della fede cristiana è iniziata duemila anni fa e continua ancora oggi. Già quattro secoli prima di Cristo Platone aveva espresso la necessità che il Mistero si rivelasse nel celebre racconto della zattera nel Fedone. La ragione dell’uomo coglie al suo vertice che nella vita dell’uomo, per dirla con Montale, «un imprevisto è la sola speranza». L’augurio per ogni uomo è che si imbatta, camminando «fra cotanto dolore/ Quanto all’umana età propose il fato», in qualcosa di nuovo, così bello da ridestare il nostro cuore, così presente da permettere di mantenere desta la nostra esigenza umana, così amichevole da farci compagnia. La ragione si spalanca, quindi, alla categoria della possibilità e dell’imprevisto. Qui sta la differenza tra la ragione nel pieno della sua potenzialità e il razionalismo contemporaneo, che preclude, non ammette, non domanda, ma riconosce solo le risposte che riesce a formulare.

Questa differenza tra uso corretto della ragione e abuso della stessa che sfocia nel razionalismo connota tutto lo sviluppo del pensiero. Oggi, come all’epoca di Gesù, si può rimanere aperti alla possibilità del miracolo e della rivelazione o negarla aprioristicamente. Il medico ateo Alexis Carrell, di fronte ad un miracolo cui assistette a Lourdes, si convertì. Lo scrittore Emile Zolà, che ebbe la grazia di vedere la guarigione di due malati, conservò il suo atteggiamento derisorio di fronte al fatto cristiano e alle apparizioni nella cittadina francese. 



[Modificato da Caterina63 26/02/2017 12:31]
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  MEMENTO HOMO... NON E' IL TEMPO DELLA TRISTEZZA

_017-memento-homo-1

Cari Amici, ci viene offerto un’altro Tempo di grazia, Tempo propizio quello della Quaresima, quello del “Memento Homo….”. Il Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris è una nota locuzione latina, che tradotta letteralmente significa: “Ricordati uomo, che sei polvere e polvere ritornerai“, che viene spesso presentata come “tetra”, come tristezza, come angoscia. Ma è davvero così?

Senza dubbio vale il detto che “la verità fa male”, ma fa male quando, mettendoci davanti alla realtà dei fatti che rifiutiamo di “vedere”, la percepiamo come angoscia, come un ostacolo alla nostra GIOIA, alla serenità che pretendiamo di dover possedere senza che alcuno ci venga a “disturbare” con LA VERITA’ sul nostro stato.

E quale è il nostro stato? Quello di persone fatte di carne ed ossa in deterioramento, perché contaminati e afflitti dal Peccato. Poi abbiamo in questo corpo l’Anima che non deteriora, ma sarà destina o all’Inferno o in Paradiso. E sia ben chiaro che quando qualcuno viene a dirci: “ma io non ci credo”, non è che la verità cambia.

Forse pensiamo poco alla più grande umiliazione alla quale si sottopose Gesù Cristo per noi: la spoliazione divina per “indossare, incarnare” la nostra umanità che contaminata dal peccato era destinata alla morte. Chiunque nasce a questo mondo, deve passare per la morte (altra cosa accadde alla Vergine Maria, ma di questo ci occuperemo in altro ambito, ad ogni modo per Lei si parla di “Dormizione”, per i meriti di Gesù), non si scappa.

_017-memento-homo-3Credenti o non credenti, è questo il nostro destino, ed è meglio apprendere questa Verità, a questo serve il Tempo della Quaresima. L’Amore di Dio per noi, il quale avrebbe potuto salvarci in tanti altri modi, nella Sua sconfinata Sapienza sapeva che questo era l’unico e vero modo per dirsi pienamente “Uomo, come noi”, fino alla morte, e per riscattarci da questa atroce ignominia generata NON da Dio quando fece la Creazione, ma “a causa dell’invidia del Demonio, la morte entrò con il Peccato Originale“.

Ignominia, certamente, perché non era questo che Dio aveva preparato per l’Uomo. Le parole “quia pulvis es et in pulverem reverteris” compaiono nella versione latina della Bibbia (Genesi 3,19) allorché Dio, dopo il peccato originale, scaccia Adamo dal giardino dell’Eden condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte: “Con il sudore della fronte mangerai il pane finché non tornerai alla terraperché da essa sei stato tratto: polvere sei e polvere ritornerai!”.

Scrive Sant’Alfonso M. de Liguori nel suo Apparecchio alla morte, per “ben morire”: “E quel gentiluomo conosciuto come persona divertente e anima della compagnia, ora dov’è? Se entrate nella sua stanza, ora non c’è più; se cercate il suo letto, è stato occupato da un altro, le sue vesti, le sue armi, altri se le sono già prese e divise; se volete vederlo affacciatevi a quella fossa, dove si è trasformato in sozzura, in ossa prive di carne e così sarà anche per te, e in quella stanza nella quale tu avrai esalato l’ultimo respiro e sarai stato giudicato da Gesù Cristo, si ballerà, si mangerà, si giocherà e si riderà come prima, e l’anima tua allora, dove sarà?

Senza dubbio, chi vorrebbe sentirsi fare questi discorsi? Ricordate Pietro quando Gesù gli annuncia della sua passione e morte, come risponde? «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»… (Mt.16,21-23) Pietro non stava negando la realtà dei fatti, al contrario, proprio perché aveva ben compreso il dramma annunciato, RIFIUTA che ciò possa accadere a Colui che ha imparato ad amare. Come anche a dirgli: “Signore, non è possibile che TU DEBBA MORIRE, E’ IMPOSSIBILE…”, ma Gesù lo ammonisce: “questi pensieri non vengono da Dio, ma dal Demonio che gode nel vedere gli uomini immersi e afflitti NELLA MENZOGNA.” Un vero Cristiano ragiona con la logica di Dio, la logica del Regno di Dio che non è di questo mondo, per comprenderlo dobbiamo fare lo sforzo di cambiare la prospettiva della vita: non più orizzontale, ma in verticale, verso il Cielo. Non è per nulla che oggi, nel Rito della imposizione delle Ceneri, il sacerdote ci ricorda anche un’altra formula, quella con le parole di Gesù, le prime pronunciate nella sua predicazione: “CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO” (Mc.1,15)

_017-memento-homo-4Ricordiamo bene infatti che Gesù non ha detto di sé “io vi dico la verità” ma ha detto: IO SONO LA VERITA’, la via e la vita…” una bella differenza che cambia tutto e che trasforma ciò che è tristezza (dolore, sofferenza, morte) in un PASSAGGIO verso il quale andare, allora, CON SERENITA’. Non vi diciamo, ora e subito, con “gioia” perchè questa gioia la possiamo comprendere solo quando, nella Comunione dei Santi, con loro e come loro, avremo compreso perché San Francesco d’Assisi chiama la Morte “SORELLA”…. Sora nostra Morte corporale…”, attenzione “corporale”, mentre la morte dell’anima è la dannazione eterna, e questa non è “sorella”, ma il dramma di una destinazione eterna lontani dalla vera Gioia. Per questo Gesù non impone MA INVITA alla conversione, dicendoci che cosa è la Verità.

E’ dunque la morte dell’Anima a doverci preoccupare e farci attivare per la conversione, non la morte corporaleEcco perché la Chiesa ha sempre fatto uso di immagini apparentemente tetre come teschi, scheletri, per ricordarci il Memento mori, il momento della morte, che Gesù ha sconfitto rendendola un “passaggio”. Diciamo “apparentemente” perché queste immagini sono la verità oggettiva della nostra sorte terrena, e il ricordarcelo, memento-ricordati, non può che essere salutare per noi, per staccare un poco dalle abitudini quotidiane, dalle vicende terrene e pensare davvero a NOI stessi e alla nostra vera destinazione, il Regno di Dio che non è di questo mondo.

San Lorenzo Giustiniani afferma che ognuno, giunto all’arrivo, sarebbe disposto a sacrificare le ricchezze, gli onori, i piaceri in cambio di una sola misera ora, ma questa ora non gli sarà data. Il sacerdote assistendo al letto già sta dicendo “parti anima di cristiano da questo mondo” – profisiscere anima Christiana de hoc mundo – , mentre l’anima nostra sta per uscire dal corpo, come un uccello bianco lotta per liberarsi dal gabbio del corpo; ma noi non saremo in grado di indirizzarla dove vogliamo, volerà dove avrà meritato: in Paradiso, al Purgatorio (finché esisterà il mondo) o all’Inferno. E poi l’ingiusto si accorgerà che gli è preclusa la possibilità di compiere alcun bene: per questa ragione esclamerà, tra le lacrime: “come sono stato stolto! tempo perso! vita stessa persa! anni persi nei quali avrei potuto farmi santo, ma non l’ho fatto, ed ora non c’è più tempo di farlo“.

“Ma a che serviranno questi lamenti e questi sospiri? – chiede sant’Alfonso – all’ora che sta per chiudersi la scena, la lampada è sul punto di spegnersi, e il morente si avvicina al momento decisivo dal quale dipende l’eternità. Conviene allora pensare e dire con amore: Gesù mio, Voi avete speso tutta la Vostra vita per salvare l’anima mia…. ora, aiutatemi!” Basti ricordare il Buon Ladrone del quale diceva Santa Teresina del Bambin Gesù, sorridendo: “è stato molto astuto scippando dal Cuore di Dio che stava per essere trafitto, l’indulgenza totale per la sua salvezza, a tal punto da guadagnarsi direttamente il Paradiso”. Ma questa astuzia, questa furbizia, vale solo fin quando saremo in vita, dopo la morte, ogni opportunità sarà conclusa, impossibile.

Come dice il Siracide: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà...” (Sir.15,16-20), in tal senso la “morte” sta per “dannazione eterna” dal momento che – la morte naturale – non la scegliamo noi, ma possiamo scegliere se vivere l’eternità in Dio o se morire nell’eternità lontani da Dio, perché al di fuori di Dio c’è solo pianto, tristezza, dolore, morte, l’inferno eterno. Tanto per rendere l’idea vi offriamo di leggere, o scaricare, cliccare qui, la famosa Lettera dall’Inferno, con tanto di approvazione ecclesiastica.

Ritorniamo così all’inizio: ma questo Tempo, non è troppo cupo, tetro, triste e… lugubre? Senza dubbio molto dipende da che cosa abbiamo capito fino a qui! Lugubre non è forse un’Anima che si danna per l’eternità all’inferno? Se avessimo la costanza di occuparci delle vite dei Santi, comprenderemo quanto, questo Tempo, sia invece di profonda ed autentica gioia! L’unico vero Dio si è incarnato, si è fatto come noi “per farci come Lui”, per salvarci, per renderci liberi ed eternamente felici: può esserci tristezza in tutto ciò?

Certo è che se per “gioia” intendiamo la felicità “di questo mondo”, allora non abbiamo capito nulla di che cosa sia la vera felicità, la vera gioia… Certo è che da quando nella Chiesa è stato fatto entrare un Gesù Cristo “compagnone e piacione”, festaiolo, dialogante, da discoteca o da “figlio dei fiori”…. beh! è naturale che ostica sarà la comprensione autentica di questo Tempo e della vera gioia che infonde. Gesù non ci ha solo detto cosa fare, ma ci ha insegnato, sulla sua pelle, come fare. In questo Tempo, che fu prima della Passione e Morte, Gesù andò per quaranta giorni in ritiro, da qui nasce il Tempo della “Quaresima”, quaranta giorni prima della vittoria finale, ma prima della vittoria, prima della Risurrezione, c’è la Croce. E la gioia ci è data dal fatto che la Risurrezione sarà eterna, la Croce durerà solo per questo “Tempo” che viviamo sulla terra, come insegna Sant’Agostino.

_017-memento-homo-2Cosa è allora questa gioia? LA SALVEZZA!

Siamo stati SALVATI, guadagnati alla gioia eterna e Qualcuno ha pagato per noi un prezzo altissimo: Gesù Cristo, il Signore, sulla Croce, con la Sua vita per la nostra. Siamo nel Centenario di Fatima, la Vergine del Santo Rosario si presentò con il volto “triste”, racconta Suor Lucia, e con tristezza disse ai tre pastorelli: “Tante anime VANNO ALL’INFERNO perché non c’è chi si sacrifichi per loro”, ed ecco la richiesta di una Madre che viene a chiedere aiuto a noi, per salvare altre anime: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?“…

C’è di che meditare per tutta la Quaresima ed oltre. La Vergine Santa si presenta “triste” nel denunciare la morte dei peccatori, ma poi ecco fiorire la speranza di trovare Anime pronte ad ascoltarla e ad accogliere il progetto di Amore di Dio, per salvare quante più Anime sarà possibile salvare, che tanto siamo costati a Gesù. Maria ha trovato queste tre Anime e tante, tante ancora, noi da che parte vogliamo stare? La vogliamo aiutare? Vogliamo amare davvero Gesù?

Avviandoci su questo percorso senza dubbio accidentato, stretto, sassoso, doloroso (il nostro Calvario) sappiamo però di non essere soli a portare la croce…. al contrario, siamo nella Comunione dei Santi a cominciare da Maria Santissima, la nostra Regina! Se intraprendiamo il sentiero quaresimale con la Verità, allora scopriremo la gioia vera, scopriremo la vera letizia, comprenderemo la gioia e la felicità che i Santi ci hanno raccontato attraverso le loro storie, non condividendoci semplicemente dei racconti, ma per rendercene partecipi e per aiutarci a seguirli, a fare come loro, ognuno nel proprio stato e nel proprio ruolo che ricopre nel mondo e nella società.

E’ certo che bisognerebbe approfondire che cosa è IL TEMPO… non è solo un aspetto scientifico e terreno, di certo non è vero che “ci appartiene”. Non ne abbiamo ora qui lo spazio, ma, in questa società in cui vantiamo solo “diritti”, faremo bene a pensarci. Il tempo non è roba nostra, ma ci è donato come tante altre cose e, di questo tempo, dovremo rendere conto di come lo avremo speso…

Nel Tempo della Quaresima, vissuto fin dal primo secolo della Chiesa, San Giovanni Crisostomo esortava i Cristiani con queste parole: “Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà con la pratica della Preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose, colloca la Fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così Lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della Sua presenza“. (Omelia VI sulla Preghiera, PG64,466)

Ricordiamoci allora che la Quaresima non è un Tempo “lugubre o triste”, al contrario, è l’inizio di un Tempo PROPIZIO, PROPIZIO per acquisire l’autentica felicità che solo una vera conversione a Cristo ci può dare.

C’è un esercizio che possiamo cominciare a fare: prendete un vero Crocifisso, ma non di quelli stilizzati moderni che non dicono nulla, piuttosto uno VERO, sul quale è riprodotto l’Uomo DEI DOLORI di Isaia 53… e prendiamoci del tempo per meditarLo, adorarLo, teniamoGli compagnia, stacchiamo ogni contatto con il mondo materiale per dedicarci a quel mondo spirituale che è e sarà la nostra Patria eterna, del quale il Cristo è Re, Signore e Padrone. Qualcuno giustamente consiglia: spegniamo la TV e accendiamo il cervello….


Da questo Crocefisso, San Padre Pio ricevette le stimmate

Da questo Crocefisso, San Padre Pio ricevette le stimmate

PREGHIERE

Cominciamo allora a Pregare Gesù usando le parole di Sant’Alfonso:

“Tutto quanto mi ricordo di aver fatto in peccato, mi dà rimorso di coscienza. Il male è stato molto, il bene compiuto troppo poco e troppo pieno di imperfezioni e di tiepidezze, di amor proprio e di distrazioni. Non permettete che io perda più questo tempo che Voi mi date per Vostra misericordia.

Ricordatemi sempre, amato mio Salvatore, l’Amore che mi avete portato, e le pene che avete patito per me, fate che io mi scordi di tutto affinchè, in questa parte di vita che mi resta, io non pensi ad altro che amarVi e compiacerVi, datemi la santa perseveranza, affido tutto ai meriti del Vostro Sangue e confido nella Vostra intercessione o Maria, cara Madre mia! Amen”.

O se preferite l’altra stupenda Preghiera a Gesù Crocefisso:

Eccomi o mio amato e buon Gesù: alla Santissima tua presenza, prostrato, Ti prego col fervore più vivo a stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offenderti mentre io con tutto l’amore e con tutta la compassione vado considerando le tue cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di te, o buon Gesù, il santo profeta Davide: “Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa!”.

lo ti adoro, o Croce Santa, che con le venerabili membra di Nostro Signor Gesù Cristo, fosti adorna ed aspersa del Suo preziosissimo Sangue. Adoro te, mio Dio, posto in essa e te, o Croce Santa per amor Suo. Amen.

Meditiamo sulle cinque piaghe che Gesù patì per noi:

In unione con il Cuore immacolato di Maria saluto ed adoro la S. Piaga della tua mano destra, o Gesù, e metto in questa Piaga tutti i sacerdoti della tua S. Chiesa. Da’ loro, ogni volta che celebrano il S. Sacrificio, il Fuoco del tuo Amore divino, affinché possano comunicarlo alle anime che sono loro affidate. Amen. Gloria al Padre …

lo saluto ed adoro la S. Piaga della tua mano sinistra, ed in essa metto tutti coloro che sono nell’errore e tutti i miscredenti, queste povere anime che non ti conoscono. Per amor di queste anime manda Gesù, molti operai nella tua vigna, affinché esse trovino il cammino verso il tuo SS. Cuore. Amen. Gloria al Padre …

lo saluto ed adoro le S. Piaghe dei tuoi piedi sacri, e vi metto tutti i peccatori incalliti che preferiscono vivere per il mondo; ti raccomando soprattutto coloro che moriranno oggi. Non permettere, Gesù, che il tuo Preziosissimo Sangue vada perduto per loro. Amen. Gloria al Padre …

lo saluto ed adoro le S. Piaghe della tua sacra testa, e metto in queste tue SS. Piaghe i nemici della S. Chiesa, tutti coloro che oggi ancora ti battono a sangue e ti perseguitano nel Tuo Corpo mistico. Ti prego, Gesù, convertili, chiamali come hai chiamato Saulo per farne un San Paolo, affinché ci sia presto un solo ovile ed un solo Pastore. Amen. Gloria al Padre …

lo saluto ed adoro la S. Piaga del tuo SS. Cuore, ed in essa metto, Gesù, la mia anima e tutti coloro per cui tu vuoi che io preghi, soprattutto coloro che soffrono e sono afflitti, tutti coloro che sono perseguitati ed abbandonati. Da’ loro, o SS. Cuore di Gesù, la tua luce e la tua grazia. Riempili tutti del tuo Amore e della tua vera Pace. Amen. Gloria al Padre …

Padre celeste, io Ti offro, per mezzo del Cuore immacolato di Maria, nell’unione con lo Spirito Santo, il Tuo Figlio dilettissimo, e me con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, con tutte le intenzioni del Suo Sacratissimo Cuore trafitto e in nome di tutte le creature sofferenti. Amen.

Laudetur Jesus Christus e Santa Quaresima a tutti

altri link utili:

– Stazioni della Quaresima, cosa sono e come farle;

– La Velatio delle immagini in Quaresima;

– La Via Crucis con Benedetto XVI;

– La Messa glorifica Dio….

– Ho peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni;

– Mio Dio, che non si bestemmi il Tuo Nome per causa mia;

– Anima devota, per la Settimana Santa;

– Galateo in Chiesa, per Amore alla Divina Presenza;

– Il Santo Rosario, in latino e in italiano

– Allontanatevi da me voi tutti, operatori di iniquità…

         


[Modificato da Caterina63 16/05/2018 21:24]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La storia di Suor Cecilia María, carmelitana, che ha chiuso gli occhi e con un sorriso radioso ha raggiunto lo Sposo...

 
 
 
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? 
(1Cor. 15,55)
 
 
 
 
BUENOS AIRES, 24 giugno 2016 
Suor Cecilia María è andata in cielo dopo una dura lotta contro il cancro. 

Migliaia hanno condiviso nelle reti social le immagini della sua agonia, un tempo nel quale non ha perso mai la pace né l'allegria, sostenuta anche dalla sua numerosa famiglia e negli ultimi mesi da due suore (una sua sorella) che con lei e come lei, nonostante il dolore, erano sempre sorridenti...




 




Si laureò in infermieria, a 26 anni di età fece i suoi primi voti come carmelitana scalza, nell'anno 2003 fece la sua professione perpetua. 
Sei mesi fa le diagnosticarono un cancro alla lingua e la malattia fece metastasi polmonare. Muore all’alba di mercoledì 22. Aveva 43 anni. 
 
Ha vissuto nel Monastero di Santa Teresa e San Jose, Santa Fe, Argentina, dedita alla preghiera e alla vita contemplativa, suonava il violino ed era conosciuta per la sua dolcezza e il sorriso permanente.

Nelle ultime settimane la sua malattia si è aggravata ed ha dovuto essere ospedalizzata. 



Dal suo letto non ha smesso di pregare ed offrire le sue sofferenze con la certezza che il suo incontro con Dio era vicino.


Su un foglietto di carta ha scritto il suo ultimo desiderio: 

Stavo pensando come volevo che fosse la mia funzione funebre. 
Prima un po’ di “forte di preghiera” e poi una grande festa per tutti. 
Non dimenticare di pregare, ma anche per festeggiare! 


La sua testimonianza e le foto dei suoi ultimi giorni sono eloquenti e sono ormai tante le persone che testimoniano sui social network come l'agonia di Suor Cecilia ha toccato i loro cuori.


Il Carmelo di Santa Fe ha comunicato la morte di suor Cecilia con un testo breve ma profondo inviato ai membri dell’Ordine e a tutti i suoi amici:
 
Cari fratelli, sorelle e amici:
 
Gesù! Solo poche righe per avvisarvi che la nostra amatissima sorella si è addormentata dolcemente nel Signore dopo una malattia dolorosissima sopportata sempre con gioia e dedizione al suo Sposo Divino. Vi inviamo tutto il nostro affetto per il sostegno e la preghiera con cui ci avete accompagnate durante questo periodo così doloroso ma allo stesso tempo tanto meraviglioso. 
Crediamo che sia volata direttamente in Cielo, ma vi chiediamo ugualmente di non smettere di ricordarla nelle vostre preghiere, e lei dal cielo vi ricompenserà. 
Un grande abbraccio dalle sue sorelle di Santa Fe.

qui la foto che la ritrae appena deceduta, in una prima composizione del corpo, staccata dal respiratore, evidentissimo il sorriso...

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sotto: poche ore prima della morte

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  LA VEGGENTE PER CUI LA POLONIA HA INCORONATO CRISTO COME RE


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Risultati immagini per Rozalia CelakòwnaAl fine di segnare la conclusione dell’Anno della Misericordia il 20 novembre, 2016, in occasione della solennità di Cristo Re, un evento piuttosto notevole ha avuto luogo in Polonia il 19 novembre, quando il governo polacco, insieme con la gerarchia della Chiesa ha riconosciuto ufficialmente Cristo come il re di Polonia.

L’atto della ricezione di Cristo come Re e Signore è stato poi ripetuto il giorno successivo in tutte le parrocchie in Polonia il 20 novembre. Questa iniziativa, che è stata effettuata dalla Conferenza episcopale polacca, sembra essere stato inteso come un gesto in gran parte profetico legato alla devozione della Divina Misericordia, e l’impeto iniziale per questa azione simbolica può essere saldamente attribuito a certe rivelazioni private date alla Serva di Dio [quindi si tratta di una veggente riconosciuta dalla Chiesa] Rozalia Celakòwna  nel 20esimo secolo, poco prima della seconda guerra mondiale.

 

Rozalia Celakòwna (1901-1944)  aveva avuto una visione in cui Cristo chiedeva di essere proclamato re dalla nazione polacca per risparmiare il paese dalla guerra imminente: ‘Se la Polonia vuole salvare se stessa, deve annunciare Gesù come suo Re attraverso l’atto di intronizzazione. Deve essere effettuata da tutta la nazione, e in particolare da parte delle autorità statali e la chiesa, che dovrebbero condurre la cerimonia, a nome della nazione. ‘ Nel marzo del 1938 Rosalia ha avuto questa locuzione interiore che ha ripetuto la richiesta: ‘Un sacrificio deve essere fatto per la Polonia, per il mondo di peccato (…), per i peccati orrendi commessi dalla nazione polacca. Dio intende punirli ed è solo nel mio Cuore che la Polonia può trovare la salvezza ‘. 

Nonostante i numerosi sforzi, l’intronizzazione non fu celebrata in Polonia. Pochi mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Rozalia ebbe un’altra visione rivelando la tragedia che la Polonia avrebbe subìto e allo stesso tempo una promessa che, se il governo della Polonia avesse celebrato l’intronizzazione, la guerra sarebbe stata impedita.  ‘Entro la fine di febbraio 1939, ha scritto Rozalia, Nostro Signore mi ha rivelato un’immagine mentre stavo offrendo a Lui il nostro Paese e tutte le nazioni del mondo. Ho visto nella mia anima il confine polacco-tedesco tutto in fiamme, dalla Slesia a Pomerania. La visione era davvero terribile e mi sembrava il fuoco bruciasse giù il mondo. Dopo un certo tempo, la diffusione del fuoco in Germania non avrebbe lasciato nulla del presente Reich. Poi ho sentito una voce nella mia anima e mi sentivo certa che quello che sentivo sarebbe veramente accaduto: “Figlia mia, la guerra deve essere orribile e deve comportare distruzione (…). I peccati e i crimini della Polonia sono numerosi. Dio vuole punire questa nazione per i peccati di lussuria, omicidio e odio. Tuttavia, la Polonia può essere salvata se sarò proclamato come suo re e Signore mediante l’intronizzazione, non solo in alcune regioni, ma in tutto il paese e, soprattutto, da parte del governo. l’annuncio deve comportare la volontà di rifiutare il peccato e ritornare a Dio (…). La Polonia può essere salvata solo da me. ”

Nel mese di luglio 1938, Rozalia ebbe un’altra visione: “Fui portata su un alto monte su cui ho visto una sfera dove ho riconosciuto le parti del mondo e i singoli paesi. Tutto d’un tratto, una figura di uomo apparve di fronte a me. Non so chi fosse. La persona si avvicinò a me dicendo: “Questo è il mondo”, e mi chiese di chiamare e definire i confini delle diverse parti del mondo e i singoli paesi. Quando risposi alle sue domande, la persona disse in modo solenne: “Figlia mio! Dio invia una terribile punizione per i peccati e reati commessi da persone in tutto il mondo. La giustizia di Dio non può sopportare quei misfatti. Se si vuole salvare il mondo, l’intronizzazione dovrà essere celebrata (…) in tutti i paesi e le nazioni di tutto il mondo. E’ l’unico modo in cui si può essere in salvo. i paesi e le nazioni che non riconoscono questa necessità di appartenere al regno del dolce amore di Gesù scompariranno dalla la faccia della terra per sempre. Ricordati, bambina, una questione di tale importanza non deve essere trascurata o dimenticata. (…) l’intronizzazione deve essere effettuata in Polonia. ”

 

Le visioni sul futuro

Rozalia offrì se stessa a Gesù per poter soffrire in primo luogo per il bene della Polonia, e poi per la Germania, la Russia, la Spagna e il mondo intero. In quel momento la persona le prese la mano e la condusse dall’altra parte del globo. Indicò gli Stati Uniti d’America e l’Australia dicendo il dolore: ‘Cristo non ha forse sofferto anche per quelle anime? Non sono stati salvati anche loro dal Suo Sacratissimo Sangue? Nella tua offerta devi includere anche questi paesi, figlia mia, in particolare l’America. ‘ Poi il personaggio continuò: ‘Ogni sforzo deve essere fatto in modo da effettuare l’intronizzazione, che rappresenta l’amore di Gesù per gli uomini fino alla fine dei giorni!’ [e qui sembra iniziare una visione che riguarda i nostri tempi]Con timore gli chiesi se la Polonia sarebbe stata risparmiata. La persona rispose: “La Polonia perirà se non riconoscerà Cristo come Re in ogni senso della parola, cioè se non accetterà la Legge di Dio, la legge del suo amore”Infine, mi disse: “Io vi dico ancora una volta, che saranno risparmiate solo le nazioni che saranno presentate al Cuore di Gesù attraverso l’intronizzazione e che lo riconosceranno come il loro Re e Signore. E poi aggiunse: Un orribile. disastro avverrà in questo mondo, come si vedrà presto. “  ‘Improvvisamente con un terribile botto il globo si incrinò. Scoppiò un enorme incendio e fuoriuscì della lava disgustosa come da un vulcano, distruggendo completamente tutti i paesi che non avevano riconosciuto Cristo. Ho visto distrutta la Germania e altri paesi dell’Europa occidentale. Mi voltai con terrore alla persona per un aiuto e lui disse: “Non temere, figlia,” e mise le mani sulle mie spalle. Gli chiesi: “E ‘questa la fine del mondo? E il fuoco e la lava, sono l’ inferno?”

Egli rispose: “Questa non è la fine del mondo o l’inferno, ma una guerra orribile che deve completare la distruzione.” Nella visione i confini polacchi erano stati risparmiati e la Polonia era stata preservata. La persona sconosciuta aggiunse: “I Paesi sotto il regno di Cristo e sottoposti al potere del suo Sacro Cuore diventeranno estremamente potenti e fra loro ci sarà un solo gregge e un solo pastore”.  ‘Su queste parole tutto scomparve. Il giorno seguente, dopo la Santa Comunione, ho chiesto a Gesù sul significato di quella visione. Lui rispose: “Bambina, questo è ciò che accadrà se la gente non ritornerà a Dio. L’intronizzazione non deve essere ritardata in Polonia.”

[Finalmente c’è stata la risposta di tutta la nazione polacca a questa richiesta di Gesù. Ed è un altro importante tassello nel “puzzle” degli eventi che ci attendono. Infatti la Polonia sembra avere un ruolo importante, al pari della Russia, nella grande tribolazione che deve venire .Già fu rivelato da Gesù a Faustina Kovalska (la veggente amata da papa GPII e che ispirò la “festa della Misericordia”) che “dalla Polonia sarebbe uscita la scintilla che avrebbe preparato il mondo alla Mia seconda venuta”.Ho sempre pensato che questa frase si riferisse proprio a papa GPII, che favorì in senso materiale, ma ancora di più in senso spirituale, la caduta dell’Unione Sovietica. Ma a questo punto è possibile che il lavoro di questa “scintilla” non sia ancora terminato. Infatti, nel seguito dell’articolo possiamo avere una visione più ampia del ruolo della Polonia e dell’importanza di questa “intronizzazione”, specialmente in relazione alla lotta fra Cristianesimo e Islam.] Questo atto di intronizzazione trova il suo antecedente storico nella intronizzazione della Beata Vergine Maria come Regina della Polonia il 1 ° aprile, 1656.  Questa iniziativa fu un ringraziamento per la vittoria avvenuta l’anno precedente durante l’assedio degli Svedesi al monastero di Jasna Gora, che ospitava la Madonna Nera di Czestochowa.  La vittoria di Jasna Góra, dove i Polacchi respinsero un attacco svedese sul monastero nel 1655, fu direttamente attribuita alla intercessione della Madonna attraverso l’icona miracolosa della Madonna Nera di Czestochowa, e segnò un punto di svolta fondamentale nella guerra contro la Svezia. Dopo l’intronizzazione della Vergine come Regina della Polonia nel 1656, questa nazione avrebbe continuato a svolgere un ruolo centrale nella difesa dell’Europa cristiana contro la minaccia dell’Islam durante la Battaglia di Vienna del 12 settembre 1683 .  I turchi ottomani stavano assediando la città del Sacro Romano impero da due mesi. Vienna era al limite del collasso, quando il re polacco Giovanni III Sobieski venne in suo soccorso l’11 settembre e alle 04:00 del 12 settembre, diede inizio alla battaglia di Vienna.  Tempo prima, quando Giovanni Sobieski decise di salvare Vienna guidando la Lega Santa, si fermò a pregare nel santuario della Madonna Nera di Czestochowa a Jasna Góra, e durante una Messa tenutasi alla vigilia della battaglia, messa presieduta dal Beato Marco d’Aviano [vedi oltre], ancora una volta si affidò al patronato della Beata Vergine, la cui immagine portò con sé in battaglia in una gorgiera.

La clamorosa vittoria di Giovanni Sobieski a Vienna fu uno dei più grandi punti di svolta nella storia europea, e non mise solo definitivamente fine all’espansione islamica in Europa, ma permise al Sacro Romano Imperatore di recuperare l’Ungheria.

Nel corso dei secoli successivi, la minaccia della Turchia ottomana poco a poco cominciò a calare fino al collasso dell’Impero nel 1918.

L’importanza della vittoria nella battaglia di Vienna è pari a quella di Lepanto, che vide la fine della minaccia navale della Turchia ottomana il 7 ottobre, 1571. E come la sua controparte navale, che viene commemorata con la festa della Madonna del Rosario il 7 ottobre, la battaglia di Vienna viene ricordata con la festa del Santissimo Nome di Maria Santissima, che si celebra il 12 settembre.

 LA FAMOSA IMMAGINE - DI CRISTO RE - VISTA DALLA VEGGENTE:

Risultati immagini per Rozalia Celakòwna

Questa festa fu inserita nel calendario della Chiesa universale da Papa Innocenzo XI nel 1684, per commemorare la battaglia di Vienna, e ha continuato ad essere praticata fino alle riforme liturgiche realizzate sulla scia del Concilio Vaticano II.  La festa del Santissimo Nome di Maria Santissima fu infatti eliminata dal Calendario Romano dal controverso riformatore Annibale Bugnini nel 1969. [Annibale Bugnini fu poi destituito da Polo VI dopo la pubblicazione di prove riguardanti la sua affiliazione alla massoneria:VEDI QUI] La festa però venne ripristinata da papa Giovanni Paolo II nel 2002, sulla scia degli attacchi al World Trade center, e beatificò Marco d’Aviano, poco dopo, nel 2003 – il frate cappuccino che è stato determinante nell’organizzazione della Lega Santa contro i turchi ottomani durante la Battaglia di Vienna.  Ci sono anche alcune prove che suggeriscono che Suor Lucia aveva fatto un collegamento tra questi eventi nel periodo immediatamente successivo all’attacco terroristico del 2001 terroristico e sembra averlo comunicato direttamente a San Giovanni Paolo II e il cardinale Bertone.

CH. A.





[Modificato da Caterina63 26/03/2017 17:05]
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26/03/2017 22:00
 
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[SM=g1740758] CATECHESI DI DON MINUTELLA IN DIRETTA DA AREZZO PRESSO L'ASSOCIAZIONE "DIFESA DEI VALORI". 13 MARZO 2017

SUL MATRIMONIO

www.youtube.com/watch?v=fq8p2bCBXos





[SM=g1740738]

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/04/2017 16:56
 
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LETTERA ENCICLICA
MORTALIUM ANIMOS
DI SUA SANTITÀ 
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, 
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI 
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI 
CHE HANNO PACE E COMUNIONE 
CON LA SEDE APOSTOLICA

SULLA DIFESA DELLA VERITÀ
RIVELATA DA GESÙ 

Risultati immagini per Pio XI

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. Infatti, quantunque le nazioni non godano ancora pienamente i doni della pace, ed anzi in talune località vecchi e nuovi rancori esplodano in sedizioni e lotte civili, né d’altra parte è possibile dirimere le numerosissime controversie che riguardano la tranquillità e la prosperità dei popoli, ove non intervengano l’azione e l’opera concorde di coloro che governano gli Stati e ne reggono e promuovono gli interessi, facilmente si comprende — tanto più che convengono ormai tutti intorno all’unità del genere umano — come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale.

Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio.

Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola »? [1]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [2]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo.

Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica.

Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani.

Dio, Fattore dell’Universo, Ci creò perché lo conoscessimo e lo servissimo; ne segue che Egli ha pieno diritto di essere da noi servito. Egli avrebbe bensì potuto, per il governo dell’uomo, prescrivere soltanto la pura legge naturale, da lui scolpitagli nel cuore nella stessa creazione, e con ordinaria sua provvidenza regolare i progressi di questa medesima legge. Invece preferì imporre dei precetti ai quali ubbidissimo e nel corso dei secoli, ossia dalle origini del genere umano alla venuta e alla predicazione di Gesù Cristo, Egli stesso volle insegnare all'uomo i doveri che legano gli esseri ragionevoli al loro Creatore: « Iddio, che molte volte e in diversi modi aveva parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del figlio » [3]. Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta poi nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo. Orbene, se Dio ha parlato, e che abbia veramente parlato è storicamente certo, tutti comprendono che è dovere dell’uomo credere assolutamente alla rivelazione di Dio e ubbidire in tutto ai suoi comandi: e appunto perché rettamente l’una cosa e l’altra noi adempissimo, per la gloria divina e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio fondò sulla terra la sua Chiesa. Quanti perciò si professano cristiani non possono non credere alla istituzione di una Chiesa, e di una Chiesa sola, per opera di Cristo; ma se s’indaga quale essa debba essere secondo la volontà del suo Fondatore, allora non tutti sono consenzienti. Fra essi, infatti, un buon numero nega, per esempio, che la Chiesa di Cristo debba essere visibile, almeno nel senso che debba apparire come un solo corpo di fedeli, concordi in una sola e identica dottrina, sotto un unico magistero e governo, intendendo per Chiesa visibile nient’altro che una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte. Invece Cristo nostro Signore fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo [4], con l’insegnamento a viva voce [5], con l'amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste [6]; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno [7], a una casa [8], ad un ovile [9], ad un gregge [10]. Tale Chiesa così meravigliosamente costituita, morti il suo Fondatore e gli Apostoli, che primi la propagarono, non poteva assolutamente cessare ed estinguersi, poiché ad essa era stato affidato il compito di condurre alla salvezza eterna tutti gli uomini, senza distinzione di tempo e di luogo: « Andate adunque e insegnate a tutte le genti » [11]. Ora, nel continuo adempimento di questo ufficio, potranno forse venir meno alla Chiesa il valore e l’efficacia, se è continuamente assistita dallo stesso Cristo, secondo la solenne promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo »? [12].

Necessariamente, quindi, non solo la Chiesa di Cristo deve sussistere oggi e in ogni tempo, ma anzi deve sussistere quale fu al tempo apostolico, se non vogliamo dire — il che è assurdo — che Cristo Signore o sia venuto meno al suo intento, o abbia errato quando affermò che le porte dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro la Chiesa [13].

E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane.

I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: « Che tutti siano una cosa sola … Si farà un solo ovile e un solo pastore » [14], nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità.

Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo.

A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [15]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate « dai testimoni preordinati da Dio » [16], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [17].

Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita.

Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [18]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede.

Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [19], Gesù Cristo? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo » [20]. Pertanto lo stesso santo Martire a buon diritto grandemente si meravigliava come qualcuno potesse credere « che questa unità la quale procede dalla divina stabilità ed è saldata per mezzo di sacramenti celesti, possa scindersi nella Chiesa e separarsi per dissenso di volontà discordanti » [21]. Essendo il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa [22] uno, ben connesso [23]; e solidamente collegato, come il suo corpo fisico, sarebbe grande stoltezza dire che il corpo mistico possa essere il risultato di componenti disgiunti e separati. Chiunque perciò non è con esso unito, non è suo membro né comunica con il capo che è Cristo [24].

Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, « madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo » [25]?

Ascoltino le affermazioni di Lattanzio: a « Soltanto … la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno » [26].

Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » [27], ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » [28] faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei.

Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità » [29], ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » [30].

Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione.

 Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato.

 

PIUS PP. XI 


[1Ioann., XVII, 21.

[2Ioann., XIII, 35.

[3Hebr., I, 1 seq.

[4] Matth., XVI, 18 seq.: Luc., XXII, 32; Ioann., XXI, 15-17.

[5Marc., XVI, 15.

[6Ioann., III, 5; VI,48-59; XX, 22 seq.; cf. Matth., XVIII, 18; etc.

[7Matth., XIII

[8] Cf. Matth., XVI, 18.

[9Ioann., X, 16.

[10Ioann., XXI, 15-17.

[11Matth., XXVIII, 19.

[12Matth., XXVIII, 20.

[13Matth., XVI, 18.

[14Ioann., XVII, 21; X, 16.

[15] Ioann., XVI, 13. 1

[16Act., X, 41.

[17Marc., XVI, 16.

[18II Ioann., 10.

[19] Cf. I Tim., II, 5.

[20De cath. Ecclesiae unitate, 6.

[21Ibidem.

[22I Cor., XII, 12.

[23Eph., IV, 15.

[24] Cf. Eph., V, 30; I, 22.

[25] Conc. Lateran. IV, c. 5.

[26Divin instit., IV, 30, 11-12.

[27] S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3.

[28I Tim., 111, 15.

[29I Tim., II, 4.

[30] Eph., IV, 3.


[Modificato da Caterina63 05/04/2017 16:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Una conversione è all’origine della chiesa di Santa Maria Bressanoro, a Castelleone, in provincia di Cremona. L’ebreo sefardita Amadeo Mendes de Silva, rinunciando ad una promettente carriera politica, si convertì al cattolicesimo presso il convento agostiniano di Santa Maria di Guadalupe in Estremadura.



di Margherita del Castillo

Una conversione è all’origine della chiesa di Santa Maria Bressanoro, a Castelleone, in provincia di Cremona. Intorno alla metà del XV secolo l’ebreo sefardita Amadeo Mendes de Silva, rinunciando ad una promettente carriera politica, si convertì al cattolicesimo presso il convento agostiniano di Santa Maria di Guadalupe in Estremadura. Dopo una visione della Vergine che gli mostrava San Francesco, entrò nell’ordine francescano nell’ambito del quale fondò la congregazione degli amadeiti. Il suo cammino verso la beatitudine e la sua opera di riforma, promossa attraverso una più stretta osservanza della regola, ebbero inizio presso Castelleone, dove si stabilì su richiesta della duchessa Bianca Maria Sforza.

Nel 1460 si avviarono i lavori per la costruzione di un nuovo complesso nello stesso punto in cui i documenti ricordano una chiesa plebana, intitolata a San Lorenzo, già dall’842. Il convento e la piccola chiesa, dedicata alla Madonna di Guadalupe per onorare il luogo della conversione del religioso portoghese, furono affidati a un architetto di cui si ignora il nome ma che senz’altro va ricercato tra le maestranze al servizio della committenza sforzesca. A causa delle soppressioni napoleoniche, però, il convento venne poi in gran parte demolito: scomparvero, così, i chiostri, l’oratorio e  le celle eremitiche.

L’imponente edificio chiesastico, in mattoni a vista, presenta elementi tipici della tradizione architettonica lombarda quali la facciata a capanna e il tiburio ottagonale. La novità architettonica di questa bellissima chiesa è la planimetria a croce greca libera, dove il corpo di base è un ampio quadrato, sormontato da cupola rivestita dal massiccio tiburio, sui cui lati si sviluppano le braccia, sempre quadrate, ma di dimensioni minori. Il portico a tre fornici, il campanile e il coro poligonale furono aggiunti nel corso del XVI secolo.

La robusta mole esterna è alleggerita solo dalla ricca decorazione fittile che sottolinea le linee di ogni elemento architettonico: in particolare, il portale centrale è incorniciato da cinque fasce di terracotta dove formosi putti si arrampicano su tralci di vite. L’austerità del paramento esterno del tempio contrasta con la luce e il colore dello spazio interno: sulle pareti del vano centrale si sviluppa un ciclo pittorico, realizzato alla fine del Quattrocento da un autore rimasto ancora ignoto, il cui fine principale è l’imitazione di Cristo.  E’ composto di ventinove affreschi che raccontano episodi della vita di Gesù, soprattutto la Sua Passione.

Nella scena dell’ingresso a Gerusalemme il Figlio di Dio è rappresentato al centro della scena, benedicente, a cavallo di un asino che qui intende sottolineare la regalità del Cristo, mentre sulla destra tre giovani rappresentano la folla che accolse il Salvatore. Di questi, il primo stende sotto gli zoccoli dell’animale la sua veste rossa e gli altri agitano rami di ulivo in segno di pace.

La cupola, suddivisa in otto spicchi, è una volta celeste rivestita da una moltitudine di stelle che si irradiano dal sole centrale. Alla base corre una teoria di tondi con santi e beati cari alla tradizione francescana. Alla Vergine è intitolata la cappella di destra dove un cinquecentesco ciclo di affreschi racconta i principali episodi della vita di Maria; la cappella simmetrica è, invece, dedicata allo Spirito Santo.

 


MONITO PER I TEMPI CHE VERRANNO
Di Don Alessandro Maria Minutella

Aprile 2017

(da stampare nel cuore)

"Accecamento, apostasia, scisma e purificazione" da "I TEMPI DI MARIA"
di don Alessandro Minutella

Che cosa, dunque, accadrà? Che cosa dobbiamo attenderci a riguardo dellatto finale dei «tempi di Maria»? Quale sarà lesito dello scontro tra la Donna e il serpente?

La presenza di due pontefici, uno dei quali «emerito», rivela una situazione mai accaduta in precedenza. Non è comparabile con altre stagioni storiche, perché Benedetto XVI non ha dichiarato Francesco come antipapa, si è subito reso disponibile allobbedienza. Neppure la morte di Ratzinger provvederà a sanare una simile anomalia.

Questo quadro storico ecclesiale era stato profetizzato dalla beata Caterina Emmerich, nella visione del 13 maggio 1820, e di recente la Madonna di Anguera lo aveva anticipato di qualche anno. Una situazione insolita e pericolosa. Questa condizione attuale così confusa e dove le posizioni si radicalizzano sempre di più è la conseguenza dellaccecamento, che ha colpito la gerarchia cattolica a causa della chiusura di fronte agli appelli della Madonna. Questo accecamento conduce la Chiesa verso un tipo di scelte dottrinali e pastorali non più conformi al vangelo di Cristo, e ciò con maggiore o minore consapevolezza da parte dei singoli vescovi.
Questo cambiamento epocale (in realtà un tradimento senza precedenti), sarà non solo lo sviluppo finale del modernismo, ma perciò stesso a causa dellaccecamento condurrà a soluzioni ritenute utili, pastoralmente valide, eppure non secondo lo Spirito di Dio. E nonostante non mancheranno le voci profetiche che, con laudacia della fede e il sostegno celeste, proveranno a rimarcare che questa via imboccata in modo così entusiastico è piuttosto la strada verso la distruzione della fede cattolica, tali profeti verranno non eliminati fisicamente, ma con lausilio dei mass media, saranno ridicolizzati ed emarginati. Si imporrà sempre più in modo aggressivo qualcosa come una Antichiesa, dove il vangelo sarà quello del mondo.
Attraverso questo processo di accecamento, sarà intronizzato il vangelo del mondo, lo spirito cattolico sarà alterato in ragione di un falso ecumenismo, leucaristia sarà trasformata in simbolo e la messa in cena conviviale.
Sparirà il culto mariano, e dove resisterà sarà perseguitato con violenza. La verità verrà meno, mentre i cuori si raffredderanno sempre di più. La crisi dei sacerdoti diventerà acuta, fino ad un radicale ripensamento, con la dismissione di ogni riferimento ontologico: una mera funzione! Il ministero sacerdotale si ridurrà a qualcosa come una funzione pastorale, incarnata da uomini assai più fruitori dei piaceri del mondo che non i mondani stessi.

Nel frattempo il cattolicesimo scomparirà del tutto in diverse nazioni, e sopravvivrà in qualcosa come una Chiesa liberale e mondana. Le chiese e i conventi, i monasteri e i chiostri, vacanti di vocazioni, saranno trasformati in luoghi di divertimento mondano, e persino in moschee. Un processo inarrestabile, che già sotto gli occhi di tutti, condurrà sempre più verso decisioni stravaganti. Il pensiero cattolico subirà un processo di rivisitazione che non sarà altro che un suo deterioramento.  Già nella Sacra Scrittura laccecamento è lesito dellindurimento del cuore di fronte al Dio che si rivela. Mancando lobbedienza della fede, luomo rimane ostinato e perde quel lumen fidei, quella luce della fede, che come bussola orienta verso Dio e la Sua volontà.

Suor Lucia di Fatima occorre ricordarlo ancora una volta aveva già profetizzato che la mancata obbedienza a Dio, attraverso Maria, avrebbe condotto la Chiesa ad uno smarrimento interno, ad una crisi senza precedenti. La situazione di confusione dottrinale della Chiesa è conseguenza di questa ostinazione. Dio lascia che la gerarchia segua i propri orientamenti, perché non ha voluto ascoltare gli appelli ripetuti del cielo. Proprio come alla maniera dei profeti dellAntico Testamento che indicavano la via voluta da Dio, mentre i re ne seguivano unaltra, che conduceva puntualmente alla distruzione. Certo, né Rue du Bac, né Fatima, né Medjugorje, né Civitavecchia, e così via, sono Rivelazione pubblica. Si può decidere di non crederci. Ma un conto è lo statuto delle rivelazioni private della Vergine, un altro il tema dei «tempi di Maria» che, soprattutto con Fatima, sono qualcosa di più che una semplice apparizione. Hanno una portata salvifica per la Chiesa.

Un appello da ascoltare. Pena laccecamento. 
Non sarà questa condizione di smarrimento un segno inequivocabile di quella «prova finale», con lavvento dellimpostura anticristica, di cui parla il Catechismo della Chiesa cattolica ai numeri 675-677? In una Chiesa, governata da pastori accecati, Dio permetterà lapostasia della verità. E questo è il secondo drammatico sviluppo. Laccecamento condurrà allapostasia. Perché un magistero non più conforme alla sana dottrina verrà accolto dalla stragrande maggioranza dei fedeli, con un entusiasmo senza precedenti. LAntichiesa configurerà se stessa come la vera comunità credente, quella che finalmente torna al passo con lo spirito mondano, dopo un arretramento ritenuto cronico, un passo stanco di una Chiesa che era indietro di duecento anni.

Verrà stravolto il dizionario cattolico. Tutto sarà accolto come novità proficua, ma ciò che ancora rimarrà di cattolico romano dovrà essere alterato e casomai eliminato. Lapostasia sarà lattacco che il drago rosso di Apocalisse sferrerà con tutto il suo livore. Veicolato con unabilità comunicativa, con unagenda piena di priorità, con un manifesto in favore del mondo, con una mano tesa verso tutti, senza chiedere più conversione e senza più accentuare il tema del peccato, lalfabeto modernista alla fine invaderà san Pietro. Sarà issato il vessillo della menzogna e della contraffazione.

I metodi saranno altrettanto spietati. Perché mentre i tanti guardiani della fede da leoni si trasformeranno (come dice la mistica Teresa Neumann) in asini, la regia occulta di tale trasformazione del cattolicesimo in grande impostura punterà su coloro che, in pochi e sempre più isolati, continueranno strenuamente a difendere lo spirito cattolico. Dio permette tutto questo perché si compia la Scrittura, nei testi che riguardano i tempi ultimi. Come Gesù, di fronte allo smarrimento degli apostoli e delle folle, più volte dichiarava che la passione e la croce dovevano accadere perché si compisse il disegno del Padre, e come Egli sulla croce, prima di spirare, dice: «è compiuto», proprio per indicare un piano divino che doveva passare dal dolore e dalla morte per la redenzione del mondo, così sarà per la Chiesa. Essa continuerà a sopravvivere in un piccolo resto, ma conoscerà la condanna, il dolore, la croce e il martirio. Il trauma più forte che si dovrà sostenere sarà allora quello dello scisma interno.
Mentre da un lato lAntichiesa, capeggiata dal falso profeta, mostrerà la sua forza, con lalleanza dei poteri forti e occulti del mondo, la vera Chiesa, catacombale e cenacolare, dovrà resistere in una posizione di grande prova.

Sarà linsieme di quelle anime elette da Dio, quella generazione tanto invidiata dai grandi santi (se si pensa che santa Teresina provava persino gelosia verso i cristiani dellultimo tempo, e san Pio da Pietrelcina commosso li esaltava come eroi della fede). Essi dovranno sostenere il discredito pubblico di fronte al mondo e lodio intestino nella Chiesa, perché il falso profeta esibirà come accolito dellAnticristo tutta la sua astuzia nel farli passare come uomini disobbedienti. Dovranno interrogarsi: come rimanere ancora dentro una falsa Chiesa? E imploreranno Dio di intervenire. Ma dovranno fare alla fine una scelta, che Dio stesso prevedeva. Non saranno accompagnati da grandi prodigi e segni eclatanti (come i santi di ogni epoca), perché la loro santità consisterà tutta in questo, di resistere a oltranza, anche a costo della vita, nellavanzare della falsa Chiesa. E saranno additati come folli e insensati dal mondo e come pazzi psicopatici dallAntichiesa. Il mondo e lAntichiesa si daranno convegno per uno storico, quanto occulto piano per sovvertire lo spirito cattolico.
E insieme, come Erode e Pilato, condanneranno alla gogna mediatica, alla macchina del fango, il partito di coloro che non si lasceranno marchiare la mano e la fronte dal sigillo infame della bestia. Il piccolo resto cattolico sarà protetto diretta-mente da Maria, e avanzerà nel modus evangelico della piccolezza, nonostante il violento discredito dellestablishment dellAntichiesa, capeggiata dal falso profeta. Piccoli, umili, nascosti, unicamente appoggiati su Dio e il vangelo, sostenuti dallEucaristia (che soltanto essi continueranno ad adorare in ginocchio come Presenza reale, mentre lAntichiesa rimarrà ostinatamente in piedi, in attesa di renderla semplicemente un Simbolo), sembrerà di vederli come la prima generazione cristiana, quella assediata da Nerone e dallimpero romano.

E tra di essi dovrà sorgere il diretto anta-gonista del falso profeta. Un minore, il più piccolo tra gli apostoli di Maria, che come Davide contro Golia fronteggerà lira del falso profeta. Vincendo con le armi di Dio contro le armi del mondo in possesso del falso profeta. E con il diretto sostegno di Maria e dellarcangelo Michele. Questo «minore», il profeta di Maria, avanzerà sin da bambino in mezzo a incredibili ostacoli. Il demonio, fiutandone il rischio, cercherà di farlo più volte fuori, e lo assedierà di continuo, procurandogli dolori e tormenti incessanti. Dio lo permette, perché forgiato nel dolore, sappia esser pronto allantagonismo finale. Anzi, Dio, per prendersi gioco del falso profeta, provvederà a farlo pervenire dalla periferia della Chiesa, dal ceto povero e umile, ma con una sapienza spirituale e teologica che saprà smascherare le trame del falso profeta.
Il carisma del «minore» di Maria sarà prorompente sin da piccolo, eppure come impedito a manifestarsi pienamente, finché non giungerà lora dello scontro. Il minore e il falso profeta si scontreranno, ma non frontalmente. Perché Dio ha in vista qualcosa di impensabile. Lascerà che la trilogia demoniaca, quella del falso profeta, della bestia nera e dellanticristo, si conflagri da se stessa. In particolare, per la resistenza eroica e imprevista dei veri cattolici, incoraggiati dal «minore», la bestia nera sentenzierà, indispettita, il fallimento del falso profeta, perché sebbene allapparenza sembrasse accelerare la distruzione dello spirito cattolico in realtà non avrà saputo attuare la tanto sospirata riforma dello spirito cattolico. Dio permetterà anche questo, che gli esordi del falso profeta siano clamorosi, almeno quanto il suo declino. Sarà la stessa bestia nera, che lo aveva prescelto, a divorare il falso profeta.

Lo scontro che precederà la caduta del falso profeta, sarà di tipo teologico, non fisico, diciamo pure spirituale, a distanza. I due antagonisti, a parte incontri di tipo convenzionale (solo agli inizi, peraltro), per il resto non si incroceranno. Eppure il «minore» di Maria, rappresentato dalla resistenza eroica dello spirito cattolico, turberà di continuo i sogni del falso profeta. Allimponente macchina di propaganda, di cui disporrà il falso profeta, il «minore» di Maria risponderà con strumenti piccoli e umanamente inefficaci. E se il mondo intero non farà che incensare il falso profeta, del «minore» di Maria, Dio permetterà che il suo carisma sia rivelato solo quando lo scontro sarà pervenuto alla fase decisi-va. E ancora Dio lascerà che il popolo di Maria quello della resistenza cattolica possa individua-re il prescelto, il «minore», mediante un segno, fra tutti apparentemente il più irrilevante, e che invece sarà quello decisivo: la corona del rosario sempre tra le mani. Solo demarcando questo abisso tra la vera Chiesa e lAntichiesa, il profeta di Maria si inoltrerà apparentemente inoffensivo nella battaglia, discreditato dalla periferia da cui proviene, e ritenuto fuori di testa. Solo allora, con la forza della predicazione, quella che nella prima Pentecoste, spinse Pietro e gli apostoli, ad uscire dal Cenacolo, infuocati di Spirito, il «minore» annuncerà la seconda Pentecoste. E la sua parola, la sua voce, il suo volto, il suo sorriso, saranno il sostegno della vera Chiesa.  Ed allora arriverà la purificazione.

Attraverso la condanna da parte dellAntichiesa, i santi degli ultimi tempi, con la loro obbedienza al vangelo della croce, saranno esposti al pubblico ludibrio. La Chiesa, vivente in essi, vivrà il suo Venerdì Santo. Sarà cancellata ogni traccia di cattolicesimo, in vi-sta di una Antichiesa che può anche essere chiamata Superchiesa. Solo si udrà, nel mondo intero, la voce metallica, sebbene suadente per i più, del falso profeta che, di fronte allo stupore dei propri sostenitori, terrà una marcia talmente rapida, da anticipare di molto le tappe previste dallagenda anticattolica. Una marcia tuttavia, come si è detto, verso lautoconsunzione


 

[Modificato da Caterina63 13/04/2017 12:10]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Hai sentito parlare dell’“effetto farfalla” dell’adorazione eucaristica?




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Quando una persona adora Gesù nell’Eucaristia, quella persona e ciò che la circonda cambiano. Quando si apre una cappella di adorazione perpetua si trasforma lentamente il quartiere. È quello che Isabel Puig definisce l’“effetto farfalla”.

Isabel Puig è madre di una famiglia numerosa e collabora al coordinamento dei turni di una cappella di adorazione perpetua a Badalona (vicino a Barcellona, in Spagna), e ora sta partecipando all’apertura di un’altra cappella di adorazione perpetua a Barcellona, nel Real Monasterio de Santa Isabel, donde il movimento Regnum Christi gestisce un centro scolastico.

“Il Signore agisce nel quartiere, nelle anime, in tutto l’ambiente”, ha riferito Isabel a Religión en Libertad, ricordando che a Badalona si è constatato che “le persone trovano pace. Gli adoratori trovano più serenità per affrontare la vita, e le ferite del cuore si curano andando a vedere Gesù”.

“Se gli adoratori stanno meglio, lo nota tutto l’ambiente circostante”, ha osservato. “Si nota nelle case, nelle famiglie. La gente ha chiare le proprie priorità, e questo ha un effetto immediato anche sugli amici, e si può aiutare di più chi ci circonda”.


LEGGI ANCHE: 10 cose sorprendenti che succedono quando fai Adorazione più spesso


Il cambiamento si verifica lentamente ma è costante, perché la presenza del Signore compie meraviglie. “Abbiamo visto cambiamenti di vita molto radicali basati su quell’ora di adorazione”, ha confessato Isabel.

“Persone con dipendenze, con problemi familiari gravi che sopportano appoggiandosi al Signore in quell’ora… anche coppie in difficoltà – vengono un coniuge o entrambi –, e gente che si cura soprattutto dalle malattie dell’anima. Si vede come evolvono, come guadagnano in accettazione. C’è molta gioia tra gli adoratori, una gioia profonda”.

Isabel afferma che anche molte persone non praticanti si recano alla cappella di Badalona, perché vi trovano pace, silenzio e uno spazio accogliente, e finiscono per diventare assidue nella preghiera.

Alcuni adoratori confessano di non andare a Messa regolarmente ma si mettono davanti al Signore. “Qualcosa dirà loro per farli tornare ogni settimana. È uno spazio di libertà totale”.

Un esempio di questo “effetto farfalla” si può riscontrare a Ciudad Juárez, dove l’adorazione ha fatto diminuire l’indice degli omicidi dai 3.766 del 2010 ai 265 del 2015 secondo Patricio Hileman, sacerdote che si dedica a creare cappelle di adorazione in tutta l’America Latina e che assicura che “quando una parrocchia adora Dio giorno e notte la città viene trasformata”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]


LEGGI ANCHE: L’adorazione al Santissimo trasforma il nostro cuore. 3 situazioni che lo dimostrano

     

 

[Modificato da Caterina63 28/05/2017 15:14]
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1883 Patriarca di Venezia profetizza l’apostasia e la fine della Famiglia





La Lettera che segue è stata da noi scansionata da un opuscolo originale del 1883 (vedi foto nostra), a firma dell’allora Patriarca di Venezia il cardinale Domenico Agostini (1825-1891).

La proposta di caldeggiare paternamente le Famiglie Cristiane per una Consacrazione alla Sacra Famiglia, viene espressa dal Movimento Cattolico nel gennaio 1881 e sollecitata dallo stesso cardinale a seguito della grave situazione morale del tempo, tutta già dedita ad un’attacco frontale contro la Famiglia. Tale premura si rinforzò grazie anche all’enciclica di Leone XIII in difesa della Famiglia, Arcanum Divinae, dopo le dure denunce contro coloro che minavano le sue fondamenta.

Prima della pubblicazione della Lettera pastorale del Patriarca, attraverso il Movimento Cattolico, viene diffusa una “Importante Proposta” indirizzata a tutta la comunità cristiana che riproponiamo qui integralmente, col medesimo linguaggio e testo originale:

I – Che in ogni parochia d’Italia venga istituita la pia Associazione delle famiglie cattoliche consacrata alla Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, e sia diffuso Il Divoto di S. Giuseppe — periodico mensuale che stampasi in Modena per annue L. 3. — Il direttore dell’ Associazione è il M. R. Paroco Pietro Bonilli — Trevi-Umbria.

Una grande Imagine, che s’intitola — Patto di unione eterna tra la famiglia cattolica e la Sacra Famiglia, — è il simbolo della Pia Opera nelle domestiche abitazioni. — La preghiera della sera, fatta in comune davanti quest’Imagine è terminata coll’ invocazione stabilita: “Gesù, Maria e Giuseppe illuminateci, soccorreteci, salvateci”, — ne è la pratica essenziale.

II – Che tutte le Associazioni cattoliche d’Italia eleggano a loro principale Patrono lo Sposo purissimo di Maria Vergine Immacolata, S. Giuseppe, e si associno al sopra indicato periodico.

III – Che tutte le scuole private cattoliche esistenti e quelle che verranno istituite, sieno poste sotto la protezione di S. Giuseppe, e che in ogni scuola oltre al Crocefisso, vi sia il quadro della Sacra Famiglia.

Visto, FRANCESCO Can.o MION V. G. (pubblicato il 15 gennaio 1881)

__________________________

Ora, cari Amici vi proponiamo il testo inedito, integrale, in formato pdf che potrete scaricare qui: 1883 Patriarca Venezia e Famiglia  – a seguire vi lasciamo  meditare sull’ultima parte del testo, quello che riteniamo essere stata una vera profezia purtroppo avverata e che stiamo vivendo in questo nostro tempo travagliato. Il Patriarca Agostini inizia la Lettera con una catechesi magisteriale, imponente, sulla formazione della Famiglia come Dio l’ha creata e voluta, come questa sacra istituzione abbia dato vita alla società ed alle comunità, come la Famiglia sia stata il vero progresso dell’umano consorzio, infine il decadimento e questa profezia all’attacco cruento contro la Famiglia, la sua devastazione e distruzione a causa delle false dottrine e di un diabolico progetto, a causa della nostra triste apostasia dalla vera dottrina.

A tale proposito ricordiamo tutti di tenere a mente quanto ebbe a dire santa Giacinta Marto, di Fatima, poco prima di morire e riportato da Suor Lucia: “Verranno certe mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso. I peccati del mondo sono molto grandi. I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne.”

e ancora:

“Se gli uomini sapessero ciò che è l’Eternità, farebbero di tutto per cambiar vita. Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno penitenza. Molti matrimoni non sono buoni, non piacciono a Gesù, non sono di Dio…” (rivelazione fine ottobre 1918, di cosa vide nel futuro del mondo poco prima di morire)

Ma ricordiamo anche cosa disse Suor Lucia al cardinale Caffarra: «Lo scontro finale tra Dio e Satana è su famiglia e vita» in un’intervista concessa a La Voce di Padre Pio (marzo 2008). Il cardinale ebbe da Giovanni Paolo II l’incarico di ideare e fondare il Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia, di cui oggi è professore emerito. «All’inizio di questo lavoro – spiega Caffarra – ho scritto a suor Lucia di Fatima, attraverso il vescovo perché direttamente non si poteva fare. Inspiegabilmente, benché non mi attendessi una risposta, perché chiedevo solo preghiere, mi arrivò dopo pochi giorni una lunghissima lettera autografa – ora negli archivi dell’Istituto». In quella lettera di Suor Lucia è scritto che lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio. «Non abbia paura, aggiungeva, perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo».

La suora di Fatima sosteneva che la Madonna ha già «schiacciato» la testa a Satana. «Si avvertiva – prosegue il cardinale Caffarra – anche parlando con Giovanni Paolo II, che questo era il nodo, perché si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo».

L’unico rimedio a questi mali è ritornare al vero Vangelo sulla Famiglia, alla sana dottrina cattolica, alla morale dettata da Gesù Cristo e trasmessa a noi dalla Sacra Famiglia, si leggaanche qui.

Ecco, infatti, le parole profetiche e drammatiche del cardinale Agostini del 1883, Patriarca di Venezia:

(..) Se non che chi poteva mai aspettarsi che progredendo coi secoli la civiltà, questa base degli Stati, questo principio vitale della società, che è la famiglia, corresse nuovi e gravi pericoli?

Eppure fu pur troppo così! La colluvie degli errori serpeggianti di mezzo alla società, e la corruzione del cuore fremente per isfrenate passioni, sedotto e tentato con ogni mezzo più turpe, scalzarono le basi di questa istituzione primitiva e santissima, e, illanguidita la fede, guasta la educazione, attuato più tardi fino all’ultime sue conseguenze il principio di ribellione proclamato dalla sedicente Riforma, la famiglia ricadde in molta parte nella degradazione del paganesimo.

Non è mia intenzione seguire passo a passo il processo onde si giunse a quei lacrimevoli effetti che ci stanno sensibilmente sotto gli occhi: i danni sociali che lamentiamo col peggio che si aspetta dalle nuove generazioni, che crescono senza idea di Dio e del dovere, senza fede e senza pietà; la scostumatezza stomachevole impunemente ostentata per le vie, sui teatri, negli osceni romanzi; le leggi obbrobriose sul matrimonio e sul divorzio, vigenti pur troppo in vari Stati di Europa e ostinatamente proposte anche là dove finora la indissolubilità della famiglia fu sotto la salvaguardia delle leggi civili; le statistiche dei divorzi fatti in alcuni Stati di Europa, che spaventano gli stessi eterodossi; sono per la massima parte conseguenze della degradazione universale della famiglia, da cui dobbiamo aspettarci pur troppo che peggiori ognor più e che ruini fino a pieno sfasciamento la società civile, termine quanto sciagurato altrettanto inevitabile, allorquando sieno corrotti e disgregati gli elementi, cioè le famiglie, donde nasce e vigoreggia la grande famiglia della società universale.

Se tutta questa dolorosa sequela di mali non è avvenuta ancora fino alle ultime conseguenze fra noi, lo dobbiamo alla fede profondamente radicata nei cuori, alle tradizioni cattoliche secolari, della maggior parte delle famiglie, alla ferma adesione a quei principi cattolici, che sottrassero la nostra patria alla invasione pestilenziale dell’ eresia protestante; ma sentiamo pur troppo di dover deplorare ancor noi tante sciagure morali, e l’indifferentismo dominante, e la smania continua di piacere e di novità, e la licenza sfrenata onde si vuole far licito ogni libitosono funesti preludj che annunciano come presto o tardi saremo ancor noi condotti ad un paganesimo nuovo.

Solo rimedio a tutto questo noi lo vediamo nei santi principi, onde la famiglia fu rialzata e ristorata da Gesù Cristo; nel Sacramento che dà la grazia necessaria agli sposi per mantenersi reciprocamente quell’ affetto che diventa un dovere e che addolcisce e rende grato l’adempimento di un ministero sacro davanti ai figli, la sofferenza di fatiche, la rassegnazione néi sacrifizi inevitabili, forse più che in altre, nella vita matrimoniale, e che fa raggiungere efficacemente il proprio scopo di educare onesti cittadini, utili allo Stato ed a sé stessi, figli ossequenti alla Chiesa ed a Dio. L’attuazione poi esemplare di questo rimedio la troviamo nel tipo della famiglia, secondo il vero concetto cristiano, che è la Famiglia dell’ Uomo-Dio sulla terra. Se la virtù e la imitazione di quel Tipo valsero a ristorare la famiglia quando essa era affatto degradata alla venuta di Gesù Cristo, forse non giungeranno a ristorarla ora che la vediamo novamente ridotta sulla via di un obbrobrioso abbandono, minacciata della distruzione tanto più deplorevole quanto maggiori sono i lumi specialmente della fede che a quella si oppongono ?

È perciò che Noi rivolgiamo la nostra paterna parola, o dilettissimi, in questo giorno sacro al Patrocinio di Colui, che fu Capo della Sacra Famiglia, quasi Padre di Gesù Cristo e Principe nella Sua casa, affinchè persuasi della necessità di provvedere a tanti bisogni e a tanti pericoli della società, mettendo il rimedio alla radice di essi, assecondiate le sapienti ed amorose sollecitudini del Pastore Supremo, il quale nella sua Enciclica «Arcanum» sul Matrimonio (di Leone XIII 10.2.1880) additò una delle piaghe più cancrenose del nostro tempo. E sarà per certo, che intesa bene ed attuata la sua dottrina, si adempirà da coloro che Iddio chiama allo stato coniugale un dovere davanti a Lui di figli fedeli ed obbedienti, davanti alla patria di cittadini utili e solleciti del suo bene, davanti alle generazioni crescenti di padri provvidi e saggi, che assicurano l’ultima salvaguardia della moralità, della religione, della civiltà vera, cioè il santuario domestico.

(..) Noi desideriamo che … si consacrino le famiglie cristiane, procurando di adempiere fedelmente quelle lievi obbligazioni, che sono proposte, specialmente la preghiera della sera fatta in comune sull’ esempio e sotto la direzione del padre, ed a premio delle quali possono ripromettersi le famiglie larghi favori dal Cielo. Giudichino a loro posta come cose inutili ed inefficaci queste pratiche coloro che non hanno il senso cristiano; ma i sinceri credenti devono riconoscere che oltre a quello che possiamo riprometterci per la potenza e per l’amore dei santissimi Personaggi invocati a protettori, il solo ricordo di quei Tipi di ogni virtù, di quegli Esemplari di ogni relazione domestica, che sono i membri della Sacra Famiglia, l’effetto salutare della preghiera comune fra quelli che si amano, perchè legati non solo coi dolci vincoli di natura, ma sì ancora con quelli della grazia, saranno sul cuore e sui costumi della madre, del padre e dei figli un mezzo potentissimo di miglioramento morale e di educazione.

(..) Dilettissimi, dobbiamo adoperarci quanto è possibile per iscongiurare dalla società nuove sciagure; quindi è necessario richiamare la originaria dignità e ricondurre l’ordine nella famiglia. Ah! se i genitori consci del ministero altissimo da Dio e dalla Chiesa a loro affidato educhino i figli alla pietà ed a quel santo timore che forma i giusti; se, amandosi a vicenda d’un amore fedele e casto, come esige il sacro vincolo coniugale che rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa, si facciano esempio ai figli di cristiane e civili virtù; se i figli trovino nell’ obbedienza a coloro dai quali ebbero la vita, un sostegno alla loro debolezza, una guida alla loro inesperienza, noi vedremo ben presto rifiorire la società cristiana di ottimi cittadini cari a Dio, utili a sè stessi, benemeriti della Chiesa e della Patria; ossequenti per convinzione alle Leggi ed ai Principi, perchè prima obbedienti a Dio, ed a quelli che tengono sulla terra, sopra qualsiasi altra autorità, il luogo di Dio.

Questo ottenuto, la società sarà salva, e noi, non solo avremo bene meritato di essa e della religione e della patria, ma riceveremo da Dio, corrispondente alla nobiltà ed alla energia dell’ opera nostra, il guiderdone. Degnisi il pietosissimo Iddio fecondare colla sua grazia la debole nostra, ma sincera e paterna parola; e voi intanto, quanti siete, dilettissimi Figli, abbiatevi a pegno del nostro affetto la Pastorale Benedizione, che vi impartiamo nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Venezia dalla Residenza patriarcale

il dì 15 Aprile 1883, festa del Patrocinio di s. Giuseppe.

DOMENICO CARD. AGOSTINI PATRIARCA

– ALESSANDRO TORRI – Vice-cancelliere Patriarcale

– scarica qui il pdf originale del testo integrale: 1883 Patriarca Venezia e Famiglia 

P.S. Ricordiamo che tutto il materiale che pubblichiamo può essere riportato altrove, tuttavia chiediamo fraternamente che lo si faccia citando questa fonte… grazie.

   


DIVAGAZIONI
 

Nel carteggio con una suora carmelitana pubblicato di recente, il compianto cardinale Giacomo Biffi riserva anche commenti spietati sulla "torineseria" storica, civile, ecclesiastico-progressista. Ma c'è un'altra Torino capace di ribaltare il giudizio e che sfuggì a Biffi....

di padre Riccardo Barile O.P.
Il cardinale Giacomo Biffi

Il recente libro del cardinale Giacomo Biffi Lettere a una carmelitana scalza - 1960-2013 (a cura di E. Ghini, Itaca, Castel Bolognese 2017) è un libro fresco di umorismo e di saggezza.

Ma è un libro che può ingannare perché la verità del personaggio è più complessa: Biffi sapeva anche rimanere ostinatamente serio e rifiutare l’umorismo che non partiva da lui; probabilmente per lui l’umorismo era un’interfaccia per evitare di mettere in mostra le reazioni emozionali e interiori, un po’ come la musica di Rossini; infine l’umorismo presente nel libro è solo un generoso assaggio ma non riporta delle battute che invece meriterebbero di essere immortalate, come l’avversione ai “piani pastorali” che, spiegava, erano quanto nella Chiesa Cattolica era rimasto dei piani quinquennali dell’ex Unione Sovietica!

Insegnamenti spirituali e teologici a parte, alcune valutazioni su persone o gruppi sono autentiche carezze contropelo: si veda la valutazione su padre Davide Maria Turoldo (6 luglio 1975, p. 113) o quella più benevola su don Luigi (Bettazzi), buono e candido da non accorgersi delle devastazioni che si vanno compiendo, per cui «chi si sente di assumersi il triste compito di disincantarlo?» (1 ottobre 1974, p. 111). E non si tratta solo di confidenze private, perché Biffi di fronte a molti sacerdoti - ero presente e lo ricordo bene - disse con studiata noncuranza che lo “spirito ambrosiano” era finito con il card. Colombo: già, e il (torinese) card. Martini...?

Nei toni lievi è disimpegnati del divertimento estivo - dunque chi legge non prenda troppo sul serio - vorrei portare l’attenzione sul giudizio spietato di Biffi su Torino, o meglio sul suo scontro con la “torineseria” storica, civile, ecclesiastico/progressista.

Bisogna premettere che nel 1974 a Milano Biffi fu nominato vicario episcopale per la cultura, dopo aver obiettato al card. Colombo: «Io non so cos’è la cultura» ed essersi sentito rispondere: «Non ti preoccupare: neppure gli altri lo sanno» (p. 8). Così si trovò «molto desolato» perché «la cultura non mi hai mai interessato» (1 ottobre 1974, p. 111) e decise che «in fondo si trattava di perder tempo con eleganza» (15 aprile 1977, p. 141). Estese l’ironia anticulturale anche ai colleghi dell’ufficio catechistico diocesano, ai quali era inutile domandare spiegazioni dal momento che «son convinti di proporre “lo stile educativo di Dio”» (24 gennaio 1973, p. 95). Nel 1975 l’Università Cattolica organizzò a Loreto una settimana sulla cultura cristiana. La prospettiva di parteciparvi fu per Biffi una «angoscia» (12 settembre 1975, p. 125), però ci andò e scrisse di aver udito cose splendide, cose discutibili e «cose decisamente sciocche».

Ma - ecco lo scontro con la torineseria - «Le cose più sciocche, più arrese ai miti del tempo, più mondane, le ho sentite dai rappresentanti ufficiali della Chiesa torinese. Mi sono confermato nell’idea che da Torino provengono da sempre i principali guai d’Italia: il Risorgimento, la monarchia sabauda, il comunismo, le automobili, le congregazioni religiose ecc.» (7 novembre 1975, p. 126). È il giudizio più viscerale, più duro e più globale di tutto il libro.

Da dove nasceva tale giudizio? Dalla seccatura di presenziare alla settimana? Dallo spirito milanese in competizione con Torino? Da riflessioni teologiche? Può darsi, ma Biffi senza saperlo era in buona compagnia. Nel 1975 - si noti: lo stesso anno! - un prete “impegnato” di Torino fu invitato a parlare a Genova da un certo don T. senza che il card. Siri ne fosse al corrente. Saputo dell’iniziativa, il cardinale incaricò il vicario generale di bloccarla - non so con quale esito - con un biglietto che iniziava così: «È torinese, il che contiene una indicazione forte», cioè di perplessità negativa (cf Nicla Buonasorte, Siri Tradizione e Novecento, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 411-412).

Sono nato a Torino e la mia torineseria non è nella linea di quella allora percepita da Biffi, per cui, appena letto quanto sopra, ho provato un senso di complicità tipo: finalmente qualcuno ha il coraggio di dire queste cose! Poi però ho pensato: no, la Torino ecclesiastica non merita un giudizio così sommario e ingiusto. Per cui bisogna rispondere a Biffi con un po’ di documentazione e un po’ di ironia. E lui riderà dal cielo.

Occorre sapere che a Torino c’è una torineseria, la quale, tra le altre, comporta due forti caratteristiche: a) la convinzione di anticipare il futuro (tutti o quasi, dalla curia al comune, hanno questa convinzione e talvolta fu vero come per il cioccolato, le automobili, la moda, l’industria cinematografica ecc.); b) una «risentita vocazione pedagogica» verso la Penisola «che poco l’ama e che essa poco capisce» (V. Messori, Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno. Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p. 10). Insomma: Torino “signora maestra aggiornata”. Se decliniamo tutto questo in una stagione torinese di progressismo ecclesiastico, possiamo immaginare contenuti e modi di quanto Biffi udì nel 1975 (sulla torineseria clicca qui).

Alcune valutazioni di Biffi su Torino sono laiche e storiche. Sul risorgimento il commendator Migliavacca, l’alter ego letterario di Biffi, ormai invecchiato «ha abbastanza buon senso da capire che se l’unità d’Italia, così come concretamente si è fatta, è stata un bel guaio, disfarla sarebbe adesso un guaio molto più grave» (Il quinto evangelo, ESD, Bologna 2008, p. 11); dunque le frasi del 1975 erano “bollenti spiriti” e “giovanile ardore”. Sulle automobili, Biffi ne aveva una «veneranda e inefficiente come un cardinale» (9 agosto 1974, p. 109), che lo lasciò a piedi (7 agosto 1978): forse era una FIAT e allora tutto si spiega. Sul comunismo è vero che Antonio Gramsci († 1937) fu attivo a Torino e ivi si incontrava con Palmiro Togliatti († 1964).

Altre valutazioni sono ecclesiastiche. Sulle congregazioni religiose è meglio tacere, altrimenti bisognerebbe ammettere che per Biffi i salesiani furono un guaio per la Chiesa e per l’Italia e questo - siamo seri! - non lo si può nemmeno pensare.

Quanto alle cose sciocche, mondane, arrese ai miti del tempo e proclamate dai rappresentanti ufficiali della Chiesa torinese, siccome Biffi non specifica, non possiamo valutare: possiamo solo ritenere che per lui erano tali. A Torino si era verso la fine dell’episcopato del card. Michele Pellegrino (1965-1977), uomo di studio, di preghiera e di serietà, ma con scelte di governo in parte obbligate come l’intervento sul sociale in nome della Chiesa esperta in umanità, e in parte opzionali come la liberazione di tendenze progressiste, nella convinzione di avvicinarsi alla Chiesa del Nuovo Testamento, dei Padri, del Vaticano II e di colloquiare con il mondo moderno. 

Il risultato - normale perché è impossibile reagire mantenendosi in equilibrio - fu una eccessiva secolarizzazione, a cominciare dall’abito ecclesiastico. Giravano poi frasi ricondotte a Sua Eminenza, come l’opportunità di ordinare uomini sposati perché l’Eucaristia è più importante del celibato e «una volta definì l’Humanae Vitae “un incidente di percorso del Vaticano”. Un suo ex collaboratore mi implorò a lungo di non divulgare quella frase» (F. Bolgiani, Intervista di E. Boffano, Tutto chiesa e società, La Repubblica, Torino 2 settembre 1989, p. XII). Relativamente a ciò che circola oggi, sono frasi da educanda in pia ricreazione, ma allora...

C’era e c’è però un’altra Torino, capace di ribaltare il giudizio e che sfuggì a Biffi: la Torino che nel secolo XVIII inventò la Novena di Natale; la Torino dei tanti santi “moderni”, socialmente attivi ma fermi nella dottrina, rispettosi del governo ma critici su di un certo risorgimento, santi evocati da Giovanni Paolo II in una visita a Torino: «la Chiesa in tutto il mondo si domanda (...): perché questa effusione dello Spirito Santo, perché tanti santi moderni, della nostra epoca, del secolo scorso, perché tanti santi appunto qui in Torino?» (Allocuzione del 4 settembre 1988). E oltre ai santi vanno ricordate eminenti figure sacerdotali: lo storico Tuninetti ne ha raccolte ben 60 in Preti torinesi tra i 1700 e il 2000: figure significative.

Questa Torino era più a destra di Biffi ed esigeva dal chierico che, prima di indossarli, baciasse la talare e il collare (inimmaginabile un Biffi che inizia così la giornata!) (L. Boccardo, Regolamento di vita clericale e sacerdotale); questa Torino non avrebbe mai sopportato l’ammissione scherzosa: «io, che sono sempre stato tendenzialmente poligamo» (20 dicembre 1974, p. 115), pretendendo invece che per la strada non si guardassero le donne; infine non avrebbe mai sopportato la compiaciuta pigrizia biffiana dal momento che, secondo la testimonianza di don Bosco, il modo di riposarsi del Cafasso era di cambiare lavoro ecc.

Oggi però Biffi non scriverebbe più quello che scrisse: sembra infatti che Torino, diventata “come tutti gli altri” non indichi più il futuro e non dia più lezioni alla Penisola. Anche a Torino, come altrove e a dispetto delle passate punte di aggiornamento, ci sono messe in latino e giovani preti che si rimettono in talare con i desolati sospiri dei responsabili. I Vescovi siciliani hanno rubato a Torino il primato di dire che si possono ammettere gli irregolari all’Eucaristia. La sindaco Appendino programmando alcuni giorni di dieta vegana nelle mense scolastiche arriva buona terza o quarta, senza più la possibilità di anticipare il futuro e dare lezioni alla Penisola. Per tacere poi che sulla metropolitana Torino avrebbe molto da imparare da Roma, da Milano e... da Brescia. Insomma, se a san Gregorio Magno bastavano le precipitazioni eccessive d’estate per vedervi lo scompaginamento delle stagioni e un segno della fine dei tempi (Omelie II, XXXV,1 ), molto di più oggi, con Torino che non indica più il futuro e che non è più la “signora maestra” d’Italia, l’ordine delle cose è talmente scompaginato che siamo proprio alla fine del mondo.








[Modificato da Caterina63 04/08/2017 08:18]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un sacerdote risponde

Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
le volevo chiedere un parere utile a tante persone che cercano di seguire gli insegnamenti della Chiesa anche in materia matrimoniale.
Mi sono imbattuto in un sito cattolico su un commento ad Amoris Laetitia francamente per me molto triste, perché questi messaggi rendono il tema “paternità responsabile” / “non liceità della contraccezione” molto ambiguo e rafforzano la diffusissima convinzione che si possa fare quello che si vuole nei rapporti matrimoniali per essere “buoni cristiani”.
Quello che mi dispiace è che chi vuole seguire il pensiero della Chiesa è confuso da AL, perché il giornalista ha gioco facile a ribadire che non “proibendo esplicitamente” di fatto si lascia all’individuo fare come meglio pensa, pur “consigliando” i metodi naturali e citando l’enciclica HV.
E’ evidente che un sito cattolico non è il Papa e nemmeno un vescovo però quello che oggettivamente emerge è che se in 400 e passa pagine di Lettera Pastorale se ne parla così…magari il fatto che sia un tema “non fondamentale” passa come messaggio….
Le evidenzio sotto le parti per me più imbarazzanti.
"Se il Santo Padre avesse voluto condannare formalmente o semplicemente mettere in guardia contro l’uso della contraccezione l’avrebbe fatto, ma non è stato così. Dall’altro lato, non ha detto formalmente che l’uso della contraccezione non è più proibito, ma è facile comprendere perché su questo argomento Francesco rifiuti di essere intrappolato nella logica del “permesso” e del “proibito”. I tomisti diranno giustamente che il papa vuole sostituire la “legge morale” con la “virtù morale”, la crescita della grazia.
In tutta l’onestà intellettuale basata sulla fede, sembra quindi legittimo concludere questa breve revisione critica dicendo che l’esortazione apostolica Amoris Laetitia segna non l’abrogazione ma l’eliminazione, implicita ma reale, del divieto assoluto della contraccezione per le coppie cattoliche.
Prego per lei e la famiglia Domenicana che tanto mi ha aiutato e mi aiuta a seguire Nostro Signore. 
Alberto


Risposta del sacerdote

Caro Alberto,
1. l’affermazione che tu hai riportato dà l’impressione che il papa non abbia voluto condannare la contraccezione e neanche abbia detto il contrario.
Il che farebbe concludere che ognuno infine potrebbe fare quello che vuole, sebbene l’articolista neghi anche quest’affermazione.

2. Ebbene, non è vero che il Papa in Amoris Laetitia non proibisca la contraccezione.
Al n. 80 vi si legge: “Fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in sé stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza. Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato,[86] benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” (AL 80).
Nessun atto genitale: pertanto la contraccezione coniugale rimane esclusa sempre, dal momento che i precetti morali negativi obbligano semper et pro semper (sempre e in ogni caso).

3. La nota n. 86 fa riferimento all’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, ed espressamente ai numeri 11 e 12.
Ora nel n. 11 è contenuta l’affermazione centrale dell’enciclica: “Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita”.

4. E nel n. 12 si legge: “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna.
Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità”.

5. Quando Amoris laetitia aggiunge: “benché per diverse ragioni non sempre possa di fatto generare una nuova vita” fa riferimento a quanto scritto nel medesimo n. 11 dell’HV: “Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, "onesti e degni", e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione”.

6. Sempre Amoris laetitia dice: “In seguito, «il beato Paolo VI, sulla scia del Concilio Vaticano II, ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, con l’Enciclica Humanae vitae, ha messo in luce il legame intrinseco tra amore coniugale e generazione della vita: “L’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa. […] L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori» (n. 10)” (AL 68).
Riconoscere i propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società non è un optional. È la legge morale, la quale non è consigliata, ma comandata.

7. Sempre nel medesimo punto Amoris laetitia parla della dottrina del Vaticano II approfondita da Paolo VI.
In seguito, per quanto concerne i divorziati risposati, dice ancora: “Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina” (AL 79).
Su questi punti, pertanto, non vi è alcun dubbio: Amoris laetitia fa riferimento alla dottrina.

8. Ora la dottrina si approfondisce, si sviluppa, si applica a diverse situazioni ma sempre secondo un criterio di omogeneità, per cui essa rimane la stessa nel medesimo modo in cui noi, pur passando attraverso vari sviluppi, siamo rimasti gli stessi e abbiamo conservato la nostra identità.
Per questo Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio aveva detto: “Il 21 concilio ecumenico - che si avvarrà dell’efficace e importante somma di esperienze giuridiche, liturgiche, apostoliche e amministrative - vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti, che lungo venti secoli, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Patrimonio non da tutti bene accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini di buona volontà. 
Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige, proseguendo così il cammino, che la chiesa compie da quasi venti secoli. 
Lo scopo principale di questo concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei padri e dei teologi antichi e moderni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. 
Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari del Tridentino e del Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettatasia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”.

9. Giovanni Paolo II dal canto suo ha detto: “Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile tra i teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi” (5.5.1987).
Nel medesimo discorso ha detto anche che “emerge a tale proposito una grave responsabilità: coloro che si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dal magistero della Chiesa, guidano gli sposi su una strada sbagliata.
Benedetto XVI, nel 40° della pubblicazione dell’Humanae vitae ha affermato: “Il Magistero della Chiesa non può esonerarsi da riflettere in maniera sempre nuova e approfondita sui principi fondamentali che riguardano il matrimonio e la procreazione. Quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi. La verità espressa nell’Humanae Vitae non muta”.
E la stessa cosa ha detto anche Papa Francesco in Amoris laetitia al n. 80 sopra citato.
Pertanto se l’articolista che hai citato ha detto quanto hai riferito è nell’errore. Per usare il linguaggio di Giovanni Paolo II è su una strada sbagliata e induce nell’errore la coscienza morale degli sposi”.

11. Il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997) scrive: “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile. La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4).

12. Amoris laetitia cita un testo del Concilio che nel quale l’articolista inciampa in maniera abbastanza clamorosa e conclude malamente. 
Perché il Concilio in tale testo parla del numero dei figli da procreare. Mentre l’articolista applica il testo alle vie da seguire (contraccezione o metodi naturali).
Ecco il testo del Concilio: “Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel Concilio Vaticano II: «I coniugi [...], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi» (Gaudium et spes 50).
Mentre a proposito delle vie da seguire il Concilio dice: “Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.
Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana” (GS 50).
E ancora: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
Mi pare che questo equivoco sia grave.
Ne va della competenza o della buona fede di chi ha scritto quel pezzo.

13. Va detto anche che non era obiettivo del Sinodo pronunciarsi sulla dottrina della Chiesa in tema di contraccezione. Non è stato convocato per questo. In parole povere, il suo obiettivo non era quello di riformare la dottrina dell’Humanae vitae.
Anzi su questo ha richiamato più volte l’enciclica di Paolo VI e ne ha ribadito la dottrina.
Né ha lasciato ai coniugi la libertà di scegliere le vie che vogliono. Qui si tratta di legge divina, che è una legge di vita.
Scegliere il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte.
Valgono anche per il nostro argomento le parole che si leggono in Dt 30,19-20: “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri”.
La legge di Dio non è un optional, una via facoltativa, il cui percorso vale quanto il contrario.
L’osservanza della legge di Dio è la stessa cosa che la scelta della vita: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Fare il contrario è la stessa cosa che scegliere la morte: dell’amore umano anzitutto, poi del matrimonio e della famiglia e poi anche di qualcosa d’altro.
Vale anche per questa materia quanto si legge nella Sacra Scrittura “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30,19).

14. Infine,  viene detto che il papa “vuole sostituire la legge morale con la virtù morale, la crescita della grazia” come dicono i tomisti.
Ma, proprio come dicono proprio i tomisti, la crescita nella grazia non avviene sostituendo la natura, ma presupponendola, confermandola e sanandola.
San Tommaso è esplicito su questo fin dall’inizio della Somma teologica: “La grazia infatti non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona” (Somma teologica, I, 1, 8, ad 2).
Pertanto non va creata opposizione tra legge morale e virtù morale, perché è virtuoso proprio chi si lascia guidare da Dio e dai suoi comandamenti.
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21). E San Tommaso commenta: “Qui si noti che il vero amore si esprime e si mostra nelle opere, perché l’amore così si manifesta. Infatti amare qualcuno altro non è che volere a lui del bene e desiderare quello che lui vuole; perciò non ama veramente colui che non fa la volontà dell’amato e non eseguisce quello che conosce come voluto da lui. Perciò chi non fa la volontà di Dio mostra di non amarlo veramente. Ecco perché Gesù afferma: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama, ossia ha un amore vero verso di me” (Commento al Vangelo di Giovanni 14,21).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di portare un po’ di chiarezza su punti molto importanti per la vita dei singoli nei loro rapporti con Dio e sui quali alcuni intendono mettere confusione.
Mi auguro anche di aver tolto la tristezza che causata dalla lettura di quell’articolo.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo






[Modificato da Caterina63 27/08/2017 12:31]
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18/09/2017 20:26
 
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Sussidi cattolici. Preghiera di Liberazione suggerita da Padre Amorth

Preghiera scritta e recitata da Padre Gabriele Amorth che consiglia di recitarla anche per noi stessi. Nel video che segue sentirete molte indicazioni utili per meglio comprendere l’argomento dei disturbi spirituali. Una preghiera che si può dire su di sé, su singole persone o anche su gruppi interi. La conoscevo senza alcune aggiunte, inserite da Padre Amorth, ascoltate in questo video e l'ho trascritta di seguito, riprendendole.

chiesaepostconcilio.blogspot.it/2017/09/sussidi-cattolici-preghiera...

www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=dXh_lHEToJg

Preghiera di liberazione

Spirito del Signore, Spirito di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Santissima Trinità, Vergine Immacolata, angeli, arcangeli e santi del paradiso, scendete su di me.
Fondimi, Signore, plasmami, riempimi di te, usami.
Caccia via da me tutte le forze del male, annientale, distruggile, perché io possa stare bene e operare il bene.
Caccia via da me i malefici, le stregonerie, la magia nera, le messe nere, le fatture, le legature, le maledizioni, il malocchio, la macumba, il voodoo, i riti satanici, i culti satanici. Spezza tutti i legami con satana e tutte le persone legate a satana vive o defunte; l'infestazione diabolica, la possessione diabolica, l'ossessione diabolica; tutto ciò che è male, peccato, invidia, gelosia, perfidia; la malattia fisica, psichica, spirituale, diabolica.
Brucia tutti questi mali nell'inferno, perché non abbiano mai più a toccare me e nessun'altra creatura al mondo.
Ordino e comando con la forza di Dio onnipotente, nel nome di Gesù Cristo salvatore, per intercessione della Vergine immacolata, a tutti gli spiriti immondi, a tutte le presenze che mi molestano, di lasciarmi immediatamente, di lasciarmi definitivamente, e di andare nell'inferno eterno, incatenati da s. Michele arcangelo, da s. Gabriele, da s. Raffaele, dai nostri angeli custodi, schiacciati sotto il calcagno della Vergine santissima immacolata. Amen.


youtu.be/dXh_lHEToJg



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01/10/2017 10:28
 
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 questa è Sacra Dottrina!! Grazie David e prega per noi!


  • OLTRE LA MORTE

David, il cancro e il Paradiso: "L'anno più bello della mia vita"

David e i suoi amici

Nel giro di un anno l'osteosarcoma lo ha consumato tra indicibili patimenti. David è nato al Cielo a 17 anni con il sorriso sulle labbra ed impressa sul volto  la sua frase: "Ma se sono felice io, come non puoi esserlo tu?". Prima di tornare alla Casa del Padre, ha raccontato il suo Paradiso in terra. Il parroco: "Ha donato il suo corpo per la salvezza eterna e la conversione dei giovani".

Gli occhi pieni di speranza, la voce che vibra di entusiasmo, il cuore che ristora nella pace: David è luminoso, di una bellezza rara. David ha 17 anni e ci racconta con placida urgenza la sua buona novella: “Ho vissuto l’anno più bello della mia vita, ho incontrato la vera felicità. Ora non temo più nulla, nemmeno la morte, perché ho sempre il Signore al mio fianco”. Poco tempo dopo aver lasciato la video testimonianza che oggi ci raggiunge, per l’esattezza il 17 giugno del 2017, David è nato al Cielo dopo incessanti patimenti per via di un tumore che l’ha consumato nel giro di un anno, quell’anno. Il suo funerale è parso ai più come una festa celeste. Ed il sacerdote, nell’omelia, lo ha salutato così: “David si è donato per la salvezza eterna e la conversione dei giovani. Il suo corpo, che si stava disfacendo, lo ha donato fino alla fine, come in un martirio liberamente accettato”. Ma chi è davvero David?

LA TESTIMONIANZA: I PURI DI CUORE VEDRANNO DIO

“Sono David, un ragazzo di Roma di 17 anni”, si presenta così quel ragazzo che per dire di sé, non usa fronzoli né mediazioni, ma giunge all’essenziale come colui che sa di essere nato testimone. Per questo David ci racconta subito di quel “Signore che mi è venuto a salvare”. Un incontro bambino, nell’età ma soprattutto nel cuore, di una semplicità disarmate: “Da piccolo - racconta lui – non capisci il perché ti viene chiesto di fare determinate scelte e quindi la fede che puoi avere è una fede acerba: così è stato per me. All’inizio dell’adolescenza vedevo che i miei amici potevano fare molte cose che io non potevo fare in quanto cristiano e per questo mi sentivo limitato, mi sentivo come in gabbia. Ma il Signore mi è venuto a salvare in un’estate in cui avevo 12 anni. Quell’anno partecipai ad un campo estivo con la parrocchia, dopo quel campo mi ero iscritto ad un altro campo dove volevo assolutamente andare per molti motivi. Primo fra tutti perché, appunto, mi sentivo costretto dalla mia cristianità e perciò in quell’occasione avrei voluto fare tutto quello che mi pareva, avevo deciso che tutto ciò che potevo fare l’avrei fatto”. David è risoluto, ma si trova a confidare quella scelta ad un sacerdote della parrocchia che, scevro dal timore di non essere abbastanza moderno per quel ragazzino, d’impeto gli dice la verità: “Non partire! Fidati, guarda che ancora non sei pronto per gestire una situazione del genere”. David non è affatto convinto, il prete è consapevole e rilancia: “Guarda che il Signore non ti chiede mai di fare un sacrificio senza restituirti cento volte tanto, vedrai ti ricompenserà tantissimo per ogni sacrificio che fai”. Ma David ha già deciso, partirà per il campo. Nemmeno il Padre però molla il colpo, così lo lascia con un compito: “Domani prendi la Bibbia fai una preghiera e vedi cosa ti dice il Signore su questo fatto particolare nella tua vita”. David, che sebbene giovanissimo è uno che fa sul serio, l’indomani apre il testo sacro e dall’ultimo capitolo di Giuditta legge: “Dopo quei giorni, ognuno tornò nella propria dimora; Giuditta tornò a Betulia e dimorò nella sua proprietà e divenne famosa in tutta la terra durante la sua vita”. Solo negli occhi di David mentre racconta questi ricordi, si può vedere ciò che veramente accadde nella sua anima in quell’istante: “Io sono rimasto sconvolto! Erano le stesse identiche parole che mi aveva detto il sacerdote il giorno prima! Come Giuditta io dovevo rimanere nella mia casa e, come Giuditta, io per questo motivo sarei stato ricompensato per tutta la vita. Fu un’esperienza fortissima e lì capii: il Signore esisteva veramente e agiva veramente nella mia vita e parlava veramente alla mia vita singola, a me personalmente, ora!”.

LA PROVA: COME QUELLA NOTTE NEL GETSEMANI

“Circa un anno fa” continua David la sua testimonianza “ho avuto una brutta notizia: mi sono ammalato di cancro. Per me scoprire all’età di 16 anni di avere un cancro è stato abbastanza duro, ma il Signore non mi ha mai abbandonato”. Un giorno il ragazzo inizia ad avvertire un indolenzimento ad una gamba, subito pensa alla troppa attività sportiva dell’ultimo periodo. I dolori però aumentano sempre di più, la notte fatica a dormire e gli antidolorifici provocano un effetto quasi nullo. “Mi chiamano a casa dall’ospedale per dirmi che avrei dovuto fare un'altra risonanza magnetica: i medici avevano visto una sorta di massa, ipotizzavano un ematoma, ma bisognava controllare meglio”. David insieme alla famiglia, ai tanti amici e a tutti i parrocchiani inizia a pregare incessantemente che si tratti, appunto, di un ematoma. Non è così: il ragazzo ha un tumore. “E allora ok – dice David - incassi il colpo e vai avanti. E continui a pregare, a pregare sempre, perché sai che il Signore c’è. E allora chiedi che il tumore sia benigno e non maligno”. Partono catene di preghiere, in molti offrono messe e penitenze. Il responso medico che arriva è tra i peggiori: osteosarcoma aggressivo con una soglia di dolore massima. Ma il ragazzo non molla: “Inizio a pregare che non ci fossero metastasi e però, nel momento in cui vado a vedere i risultati dell’esame successivo, scopro di avere una grossa metastasi al polmone”. A quel punto il male inizia a cavalcare velocemente: lo consumerà in un solo anno tra indicibili dolori e veri partimenti. Insieme all’infausta condanna, giunge anche la notte oscura: “Arrivo quasi ad arrabbiarmi con Dio – spiega il ragazzo - gli chiedo: Ma perché io prego per una cosa e tu ne fai accadere un'altra? Perché non mi vuoi aiutare? Perché proprio a me tutto questo? Che senso ha pregare se poi succede l’esatto opposto di quello che io vorrei che succedesse?” Nonostante le grandi difficoltà, Davide continua a cercare conforto nella Chiesa e non smette di chiedere aiuto a svariati sacerdoti. Un bel giorno uno di loro lo sfida fino in fondo: “Davide, affida tutta la tua malattia a Dio”. Il ragazzo ha un rifiuto categorico, in cuor suo capisce immediatamente che ciò significa accettare la possibilità di morire.  Ma insieme capisce anche che è una sfida d’amore: “Non avere paura – mi dice il prete - perché anche Gesù ha avuto paura nel Gesemani: “Signore se possibile passi da me questo calice ma sia fatta la tua non la mia volontà”.

L’INTERCESSIONE DELLA MAMMA CELESTE

“Una sera mi ritrovo ricoverato in ospedale a fare chemioterapia e non riesco a dormire. Inizio ad essere turbato nel cuore e mi viene voglia di pregare. Allora prendo in mano il Rosario che avevo accanto ed inizio subito a sentire un’emozione bellissima che mi irradia nel cuore, un’emozione molto, molto potente. Era un’emozione concreta come può essere la felicità, la tristezza, la paura, la rabbia, ma era un’emozione completamente nuova, mai provata prima e bellissima: come sentirsi innamorati, al settimo cielo, ma di più. Scoppio a piangere e piango per una mezz’ora circa senza riuscire a fermarmi mentre mi tornano in testa quelle parole: “Affida la tua malattia a Dio”. E subito dopo mi vengono in mente altre parole: se tu non riesci ad affidare la malattia prova a pregare affinché tu ci possa riuscire. Inizio a pregare il Rosario e qui il Signore viene di nuovo a sconvolgermi perché, finito il Rosario, io mi trovo a cambiare completamente idea: passo dall’essere sicuro di non affidare la mia malattia a Dio, all’essere estremamente convinto che fosse l’unica cosa che io volessi fare. Capii in un istante che tutti i miei progetti, tutta la mia voglia di controllare la mia vita, erano soltanto un remare contro: il Signore mi stava mostrando come la mia vita non rispondeva alla mia volontà, ma alla Sua. E sin dall’inizio della malattia me l’aveva mostrato: io volevo l’ematoma ed era un tumore, io volevo fosse benigno ed era maligno e così via. La mia vita non era nelle mie mani, la mia vita è nelle Sue mani. Da quel momento, io ho vissuto letteralmente l’anno più bello della mia vita. Io sono veramente felice e ho smesso di avere paura della morte, perché ho capito veramente di avere un Dio che vuole soltanto la mia felicità. Qualsiasi cosa, anche se può sembrare orribile, la più brutta, se è la Sua volontà è la cosa più bella che può succederci”.

LA CROCE E’ GLORIOSA

“Il giorno della Via Crucis – racconta Davide - stavamo a casa con la famiglia a guardare in diretta Tv dal Colosseo la Via Crucis con il Papa. Ogni volta che, durante la funzione, si recitava un passo in cui Gesù cadeva sotto il peso della Croce, io sentivo delle forti fitte di dolore fino a che, nel momento in cui Gesù raggiunge la Croce e sta morendo sulla Croce, io inizio a patire un dolore molto, molto forte e davvero intenso, ma nel momento stesso in cui Gesù muore il dolore svanisce”. Gli ultimi periodi, soprattutto le ultime settimane, sono tremende: il tumore ormai ha avvolto quasi tutti gli organi vitali. Il ragazzo soffre molto, fatica a respirare, ma non si lamenta mai. Dona tutto di sè, riversa il suo dolore nella Croce e in ogni istante offre il suo sacrificio a Dio Padre. Tra i patimenti, poco prima di entrare in coma, il parroco racconta di alcuni dialoghi con lui: «Attento Davide che il demonio rimetterà dubbi sull’esistenza di Dio». Ma Davide replicava sicuro: «Veramente non accadrà!». «Attento Davide  il demonio è sentimentalista… quando andrai in coma la tua anima è vigile… devi rimetterti in piedi». La risposta del ragazzo, mentre boccheggia, si manifesta allora in un incredibile sorriso. Davide nasce al Cielo il 17 giugno del 2017 e sul suo volto sembra stampata quella frase che andava ripentendo a chiunque incontrasse: “Ma se sono felice io, come non puoi esserlo tu?”

     


Focus

Tra le difficoltà incontrate dall’apostolo Paolo a Corinto, ci fu la presenza di falsi apostoli, descritti come un «primo venuto», che se predica «un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi» o un altro spirito o un altro vangelo, «voi siete ben disposti ad accettarlo» (2Cor 11,4-5). E fin qui tutto normale, almeno per san Paolo. Quanto segue invece è una bomba: «Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere» (2Cor 11,14-15). Dunque Satana si maschera come pensiero e suggestione positiva, e con lui altri si mascherano come ministri di giustizia, anche’essi rivestiti di luce a tutta prima rassicurante.

Viene subito da domandarsi: può avvenire ancora oggi? E se sì, come avviene? Un po’ di pazienza: prima di passare all’oggi, bisogna mettere qualcosa a fuoco.

IERI

Che Satana si presenti come angelo di luce è quanto appare nel primo peccato: il serpente era «il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto» e la sua “luminosa catechesi” induce Eva a guardare l’albero e il frutto in modo nuovo e positivo: «buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza» (Gen 3,1.6). Anche il rapporto tra l’angelo di luce e i falsi ministri traspare già dal primo peccato, quando Adamo mangia il frutto semplicemente perché gli viene offerto da Eva (Gen 3,6). Bisogna aggiungere che in Paolo i falsi apostoli non sono né strani né indemoniati, ma persone che si presentano ecclesialmente come normali, oggi diremmo “complementari”.

L’immagine di Satana angelo di luce circolava nella cultura religiosa dell’epoca e ne fa fede il coevo apocrifo Vita di Adamo ed Eva, il quale narra che, dopo la cacciata dal paradiso, Adamo convinse Eva a far penitenza, ma «Satana, il loro avversario, ne restò turbato e, trasformatosi in uno splendido angelo, si recò al fiume Tigri dove si trovava Eva e, vistala piangere in preda a un grande dolore, si mise a piangere anch’egli» e la dissuase dalla penitenza (n. 9) (per la curiosità di chi legge: fu poi Adamo ad accorgersi dell’inganno).

L’immagine e le precauzioni rimasero nella prassi ecclesiale. Ad esempio sant’Agostino afferma che è importante «saper riconoscere in modo oculato quando Satana si maschera da angelo di luce, per non lasciarci ingannare ed attrarre in qualche pericolo fatale» (Enchiridion 16,60) e da qui passa ai suoi ministri: «Oggi Satana cerca di cacciare (i fedeli) fuori dalla Chiesa per mezzo del veleno degli eretici, così come un tempo ci cacciò fuori dal paradiso col veleno del serpente» (Sermone 348/A,5).

Nell’iconografica medievale e rinascimentale talvolta il serpente del peccato originale ha la testa femminile: ha la stessa testa di Eva nell’affresco di Masolino da Panicale († 1440) a Santa Maria del Carmine in Firenze, ha testa femminile nell’anta sinistra interna del trittico Il carro del fieno di Hyeronimus Bosch († 1516), assume il corpo di donna nel monumentale serpente di Michelangelo († 1564) nella Cappella Sistina. Immagine negativa della donna come tentatrice? In parte sì, però oggi è possibile un lettura molto più intrigante: Satana “angelo di luce” è talmente convincente da far identificare la sua falsa luce con il nostro stesso procedimento del pensiero verso il male, quasi non avvertendo più la sua presenza.

OGGI

Torniamo alla domanda: può capitare ancora oggi? Sì. Il Rito degli Esorcismi nel Proemio ricorda che in ogni tempo il demonio è detto menzognero e padre della menzogna (Gv 8,44), tra l’altro anche per il suo mascherarsi in angelo di luce (2Cor 11,14). In questi casi non si tratta di vessazioni o possessioni: si tratta «della realtà quotidiana delle tentazioni e del peccato, in cui Satana (...) è sicuramente all’opera» (Rito degli Esorcismi, Presentazione CEI, n. 7). Anzi, percepiamo la falsa luce anche attraverso dei mascherati “ministri di giustizia”. Questo significa che il demonio tenta di inserire nei discorsi degli uomini di Chiesa - per lo più in buona fede - una percentuale di tenebre e lo fa “parlando a Eva con la faccia di Eva” in modo tale che gli interessati non ne avvertano la presenza e percepiscano il tutto come una personale elaborazione del pensiero, anzi come una più profonda interpretazione della fede.

Però queste “false luci” sono smascherabili con una ordinaria vigilanza o discernimento, anche perché ricalcano delle costanti nei contenuti e nel metodo. Ecco qualche esempio.

- La falsa luce di un altro vangelo. Sia in 2Cor 11,14 sia in Gal 1,6.8-9 ricorrono le espressioni “altro vangelo, vangelo diverso, Gesù diverso, spirito diverso”: storicamente sono il privilegiare la sapienza ellenica o l’antica economia giudaica alla novità di Cristo. Per noi sono attrattive superate, ma ogni tempo ha le sue attrattive che sembrano vangelo e non lo sono. Ad esempio il giovane prete Giacomo Biffi, poi vescovo e cardinale, confrontandosi negli anni ’70 con idee che lievitavano nel popolo di Dio, scriveva: «Mi parevano tutte belle e affascinanti, ma non ne vedevo il fondamento evangelico», che poi fu trovato nella finzione letteraria di un manoscritto e che diede origine a un libro di alta ironia teologica - Il quinto vangelo -, dove un vangelo diverso giustificava novità non evangeliche ma ritenute un ritorno «ai genuini insegnamenti di Gesù» (p. 18). Qui siamo in una indicazione generale di comportamento al di là di questo o quel contenuto: in ogni tempo e dunque anche oggi le novità affascinanti vanno confrontate con il Vangelo, con l’annuncio cristiano anche come è stato esplicitato dalla tradizione della Chiesa e dai suoi pronunciamenti costanti: tutto quello che vi è conforme provoca la gioia di sentirsi in pace e al sicuro, tutto quello che non vi è conforme genera una inquietudine al di sotto della quale è possibile vedere Satana come angelo di luce.

- La falsa luce delle Scritture contro Cristo e contro la crescita della Chiesa. Per mascherarsi in angelo di luce che cosa di meglio che citare le Scritture? Lo ha fatto il demonio nelle tentazioni di Cristo, sconfitto però da Cristo che ha citato altre Scritture a partire dalla coscienza della sua missione (Mt 4,1-11). Una falsa luce simile è anche il primitivismo biblico e storico: citare le Scritture e la tradizione per bloccare ciò che ha portato e porta frutto, non ascoltando oggi «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22). Gli esempi sono tantissimi: Lutero cancella i sacramenti dei quali non parla il NT; altri vorrebbero tornare a una situazione ecclesiologica del primo millennio come se ciò che è venuto dopo fosse una deviazione; Adorazione eucaristica e Rosario sono sottovalutati perché si sono affermati in una certa epoca; se certi giovani (seminaristi) sono seri, sono “tridentini” e ciò non va bene ecc. Insomma, è un citare la Bibbia e la storia senza la vivente presenza di Cristo e senza la coscienza che lo Spirito fa crescere la Chiesa. E anche qui è possibile intravedere Satana come angelo di luce.

- La falsa luce dell’allontanamento dalla croce. Quando Pietro scongiura Gesù di evitare la passione e morte, Gesù lo rimprovera perché pensa come Satana (Mt 16,23; Mc 8,33). Ma anche ai demoni che dicono cose giustissime - Tu sei il Santo, il Figlio di Dio - Gesù proibisce di parlare (Mc 1,34; 3,11; Lc 4,34; 4,41) perché questa gloria dovrà derivare anche da un cammino doloroso che non è ancora stato attuato e senza del quale rischia di risultare equivoca. Tutte le estreme facilitazioni della vita cristiana, la liquidazione dell’ascetica come neopelagianesimo, gli accordi totali con il mondo, un certo intento di semplificare la vita affettiva e il matrimonio, di ammettere facilmente alla mensa eucaristica, non rimuovono di fatto la croce? E anche qui è possibile intravedere Satana come angelo di luce.

- La falsa luce della condiscendenza unilaterale. L’adattamento della parola rivelata alle varie culture e all’uomo di oggi «deve rimanere legge di ogni evangelizzazione» (GS 44). Quando però resta il prevalente o unico principio pastorale disconoscendo il male del mondo e la concupiscenza, è fatale adattare la parola rivelata più alla concupiscenza che all’uomo nuovo creato in Cristo.

- La falsa luce dei quadri rassicuranti, che sono sostanzialmente tre: la carità, la liturgia, la dottrina. Un uomo di Chiesa è molto attivo nella carità e nell’accoglienza: poi però, coperto da questo contesto positivo, rilascia dichiarazioni scorrette o devianti. Un altro celebra con inchini ineccepibili e camici falso monastici dal cappuccio a punta e dalle maniche ampie: poi però, coperto da questo contesto positivo, strizza l’occhio alla cultura gay. Un terzo mette in piedi un discorso teologico correttamente strutturato: poi però, coperto da questo contesto positivo, qua e là si lascia andare a dichiarazioni avventate o eterodosse. È una tecnica di Satana che si trasforma in angelo di luce: piazzare piccole porzioni di tenebre in un quadro che di per sé è luminoso nella previsione che il ricettore vedrà tutto come luminoso. Senza demonizzare il resto positivo, siamo chiamati a vedere e separare queste porzioni di tenebra.

Si potrebbe continuare - ad esempio con l’uso di sistemi filosofici e antropologici sbagliati e già condannati dalla Chiesa -, ma concludiamo.

Ovviamente è obbligatorio citare Gc 1,14: «Ciascuno (...) è tentato dalle proprie passioni (alla lettera e meglio: “desideri/concupiscenza”), che lo attraggono e lo seducono». Dunque non tutti gli errori sono causati da Satana che si trasforma in angelo di luce e il confine tra la vanità di dire qualcosa fuori dal coro (è la concupiscenza dell’intellettuale) e la tentazione demoniaca è conosciuto solo da Dio. Dunque quanto sopra non è stato scritto per dare a qualcuno dell’indemoniato o ritenerlo vinto da una tentazione satanica. È stato scritto per aprire gli occhi di tutti a vigilare perché certe luci possono essere un artificio del diavolo e di mascherati ministri di giustizia. Capitava ai tempi di san Paolo e perché non dovrebbe capitare oggi?

Allo stesso livello c’è però una contraerea: il ministero degli angeli! La Chiesa il 29 settembre, festa dei tre arcangeli, prega perché la nostra vita in terra sia difesa da coloro che, servendo Dio in cielo, stanno sempre alla sua presenza.
E questa prghiera è costante. La Chiesa, «sempre cosciente che “i giorni sono cattivi” (Ef 5,16), ha pregato e prega perché gli uomini siano liberati dalle insidie del Maligno» (Rito degli Esorcismi, Proemio). Se anche noi preghiamo con la Chiesa, possiamo stare al sicuro.


[Modificato da Caterina63 05/10/2017 11:45]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un sacerdote risponde


Ecco una delle prediche con cui don Bosco infiammava i giovani sulla purezza


Quesito


Caro Padre,
durante una sua lezione ha detto che San Giovanni Bosco infiammava il cuore dei giovani con la predicazione sulla purezza.
Io ho studiato dai Salesiani, ma, solo da Lei ho sentito questa cosa.
Le vorrei chiedere se può indicarmi dove posso trovare qualche trascrizione di queste omelie. Mi piacerebbe approfondire sia per il mio cammino spirituale che, per essere un testimone  gioioso di nostro Signore.
Una preghiera e a presto.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. ti trascrivo una predica che don Bosco fece ai suoi ragazzi l’ultima domenica di ottobre del 1858.
L’ho trovata nel VI volume della monumentale biografia scritta da Giovanni Battista Lemoyne e intitolata Memorie biografiche del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco.
Questo volume è stato pubblicato nel 1907. La predica la puoi trovare nelle pagine 61-66.
Sono contento di metterla a conoscenza dei nostri visitatori.
Sono certo che la leggeranno volentieri e che avranno la sensazione di non aver mai sentito sulla purezza una predica così bella.

2. Si tratta di una predica di sapore biblico dall’inizio alla fine e mi pare che giovi più di tanti altri discorsi pur giusti e interessanti.
Viene introdotta dalle seguenti osservazioni del Lemoyne: 
“E sempre da notarsi come Don Bosco in mezzo alle continue cure eziandio materiali nulla perdesse della sua unione con Dio, come lo dimostrava la sua attitudine attuale ad ogni ufficio del Sacro Ministero. Don Bonetti Giovanni ci conservò traccia ordinata di una predica fatta da Don Bosco in quest'anno sulla virtù della purità. Chi la medita sente l'efficacia che sta latente sotto quei periodi, quantunque manchi l'espressione della sua voce, del suo sguardo e la vivacità delle sue descrizioni. Don Bosco adunque così aveva parlato a' suoi giovani”.

3. Ed ecco le testuali parole di San Giovanni Bosco:
“Il mese di ottobre viene dalla S. Chiesa consacrato in gran parte a Maria SS. La prima
Domenica è dedicata alla Madonna del Rosario in memoria delle innumerevoli grazie ottenute, e dei stupendi prodigi operati per la sua intercessione: grazie e favori che Maria SS. Invocata con questo titolo impartì ai suoi divoti. Nella seconda Domenica si celebra la Maternità di Maria SS., per ricordare ai Cristiani, che Maria è nostra madre e noi tutti siamo i suoi cari
figli. La terza Domenica, che è quest'oggi, si celebra la sua purità, quella virtù che la rese tanto grande presso Dio e che formò di essa la più bella delle creature. Essendo già due
Domeniche che voi mi udite narrare le glorie di Maria SS., questa sera, invece di parlarvi della Vergine benedetta, vi parlerò di questa bella virtù col dimostrarvi quanta stima ne abbia Iddio stesso. Oh quanto io mi stimerei felice se questa sera io potessi insinuare nei vostri teneri cuori l'amore a questa angelica virtù! Statemi attenti!

Che cosa è la virtù della purità? Dicono i Teologi che per purità si intende un odio, un abborrimento a tutto ciò che è contro il sesto precetto, sicché qualunque persona, ciascuna nel suo stato, può conservare la virtù della purità. Questa purità è tanto grata a Dio, che in ogni tempo premiò coi più stupendi prodigi coloro che la conservarono e punì coi più severi castighi coloro che si diedero al vizio opposto. Fin dai primi tempi del mondo, sebbene gli uomini non si fossero moltiplicati grandemente, essendosi essi posti sulla via del disordine,
Enoc aveva conservato a Dio puro il suo cuore. Iddio perciò non volle che rimanesse tra gente viziosa e gli angioli mandati da Lui, tolsero Enoc dal consorzio degli uomini, trasportandolo in un luogo misterioso, da dove poi, dopo la sua morte, sarà introdotto in Cielo da Gesù Cristo.

Andiamo più avanti. Gli uomini sulla terra si erano moltiplicati in gran numero; scordandosi del loro Creatore si erano immersi ne' vizi più vituperevoli: Omnis caro corruperat viam
suam
. Sdegnato Iddio di tanta iniquità, stabilì di schiantar dal mondo le umane generazioni con un diluvio universale. Salva però Noè colla sua moglie e i tre suoi figliuoli colle loro

consorti. Ma perchè usa simile preferenza con costoro? Perchè conservarono la bella ed
inestimabile virtù della purità.

Veniamo più avanti. Dopo il diluvio gli abitanti di Sodoma e di Gomorra si erano dati ad ogni sorta di disordini. Iddio stabilì di sterminarli, non più con un diluvio di acqua, ma con un diluvio di fuoco. Tuttavia prima che cosa fece? Girò gli occhi su quelle infelici città e vide che Lot colla sua famiglia erasi conservato virtuoso. Manda subito un angelo ad avvertire Lot acciocché si allontani con tutti i suoi da quei paesi. Lot obbedisce, ma appena è fuori ecco un mare di fuoco con fragori orribili e lampi e tuoni piomba su quelle misere città e le sprofonda con tutti gli abitanti. Lot e la famiglia erano salvi, ma la moglie per un tratto di curiosità incorse nello sdegno di Dio. L'angelo aveva proibito ai fuggitivi di voltarsi indietro, quando avessero udito lo scroscio del castigo di Dio. Ora la moglie di Lot all'udire tanti fragori, da parer che l'inferno tutto si riversasse in quella valle, non potè trattenersi dal rivolgersi indietro: ma sull'istante medesimo fu mutata in statua di pietra o sale metallico. Così se Iddio l'aveva salvata per la sua purità dal comune eccidio, nondimeno la castigò per l'immodestia dei suoi occhi. Con ciò Iddio voleva dimostrare a noi che dobbiamo tenere gli occhi modesti, non appagare ogni nostra curiosità, perchè altrimenti ne resteremo vittima, non solo del corpo, come fu della donna di Lot, ma nell'anima. Gli occhi sono due porte per cui entra quasi sempre il demonio.

Andiamo innanzi! Portatevi col pensiero in Egitto. Là vedrete un giovanetto il quale per non aver voluto acconsentire ad una azione cattiva soffre mille persecuzioni, la calunnia e la prigionia. Ma permette forse Iddio che perisca Giuseppe? No! Aspettate un po' di tempo e voi lo vedrete sul trono d'Egitto, e coi suoi consigli salvar dalla morte non solo gli Egiziani, ma la Palestina, la Siria, la Mesopotamia e molte altre nazioni. E donde gli venne tanta gloria? Da Dio il quale volle premiare il suo amore eroico per la virtù della purità.

Io non la finirei più se volessi contarvi le glorie delle anime pure. Di una Giuditta che salvò Betulia dagli eserciti stranieri, di una Susanna, esaltata per la sua incrollabile virtù fino al Cielo, di un'Ester salvatrice della sua nazione, dei tre fanciulli illesi tra le fiamme di una fornace, di Daniele salvo nella fossa dei leoni. Perchè Dio operò tanti prodigi in favore di costoro? Per la loro purità, per la loro purità. Si! la virtù della purità è tanto bella, tanto grata al cospetto di Dio, che in tutti i tempi, in tutte le circostanze non lasciò mai senza protezione, coloro che la possedevano.

Andiamo pure avanti che questo non basta. Già era giunto il tempo tanto desiderato nel quale nascere doveva il Salvatore del mondo. Ma chi sarà mai colei, che avrà la gloria d'essergli madre? Dio gira gli occhi su tutte le figlie di Sion e una sola ne vede degna di tanta dignità. Maria Vergine! Da lei nacque Gesù Cristo, per opera dello Spirito Santo. Ma perchè tanto prodigio e privilegio? In premio della purità di Maria, che fra tutte le creature fu la più pura, la più casta. Qual credete voi che fosse il motivo pel quale Gesù Cristo amava tanto di stare, di conversare coi fanciulli, di accarezzarli, se non perchè questi non avevano ancor perduta la bella virtù della purità? Gli Apostoli volevano cacciarli, avendo le orecchie intronate dai loro schiamazzi, ma il Divin Salvatore riprendendoli comandò che li lasciassero venire a lui. Sinite parvulos venire ad me; talium est enim regnum coelorum e soggiungendo che essi Apostoli non sarebbero entrati nel regno de' cieli, se non fossero divenuti semplici, puri, e casti come quei fanciulletti. Il Divin Salvatore risuscitò un fanciullo ed una fanciulla; ma perché? Perchè, interpretano i Santi Padri, non avevano perduta la purità. Perché Gesù Cristo dimostrò tanta predilezione per S. Giovanni? Ascende al monte Tabor per trasfigurarsi? Conduce per testimonio S. Giovanni. Vuole andare a pescare cogli Apostoli? Preferisce di montare sulla barca di Giovanni. Nell'ultima cena lascia che Giovanni declini il suo capo sovra il suo petto, lo vuole compagno nell'Orto di Getsemani, lo vuole suo testimonio sul monte Calvario. Confitto in croce si rivolge a Giovanni e dice: - Figlio, ecco qui tua madre: Donna ecco qui tuo figlio. - A Giovanni viene affidata da Gesù sua Madre, la più grande creatura che sia mai uscita dalle mani di Dio e simile alla quale nessuna giammai uscirà! Ma perché tanta preferenza? Perché? Perché, o cari giovani, S. Giovanni aveva un titolo speciale all'affetto di Gesù per la sua verginale purità. E questo amore di predilezione di Gesù verso di lui era tale da destare gelosia negli altri Apostoli, sicché già credevano che Giovanni non avesse a morire, avendo Gesù detto a Pietro: - E se volessi che costui vivesse finché io venga, a te che importa? - S. Giovanni infatti fu colui che sopravvisse di molti anni a tutti gli altri Apostoli, e a lui Gesù Cristo fece vedere la gloria che godono in Cielo coloro, i quali hanno in questo mondo conservata la bella virtù della purità. Egli stesso scrisse nella sua Apocalisse che essendo entrato nell'ultimo cielo, vide una gran schiera di anime vestite di bianco con un cingolo d'oro e portanti una palma in mano. Queste anime stavano continuamente coll'Agnello Divino e lo seguivano ovunque egli andasse. Esse cantavano un inno così bello, così soave, che Giovanni non potendo più reggere a tanta dolcezza d'armonia, rivolto all'angelo che lo accompagnava gli disse: Chi sono costoro che circondano l'Agnello e che cantano un inno sì bello, che tutti gli altri santi non possono cantare? L'angelo rispose: Sono quelle anime che hanno conservato la bella virtù della purità: virgines enim sunt.

O anime fortunate che non avete ancora perduta la bella virtù della purità, deh! raddoppiate i vostri sforzi per conservarla. Custodite i sensi, invocate spesse volte Gesù e Maria, visitatelo Gesù nel SS. Sacramento, andate sovente alla Comunione, obbedite, pregate. Voi possedete un tesoro così bello, così grande, che fino gli angeli ve lo invidiano. Voi siete, come dice il nostro stesso Redentore Gesù Cristo, voi siete simili agli angioli. Erunt sicut Angeli Dei in coelo.

E voi che per vostra disgrazia l'avete già perduta non iscoraggiatevi. Le giaculatorie, le frequenti e buone confessioni, la fuga delle occasioni, le visite a Gesù vi aiuteranno a ricuperarla. Fate ogni vostro sforzo; non temete; la vittoria sarà vostra, perchè la grazia di Dio non mancherà mai. È vero che non avrete più la bella sorte di appartenere a quello stuolo di santi, che in paradiso hanno un posto separato dagli altri, non potrete più andare a cantar quell'inno, che solo i vergini possono cantare, ma ciò non importa per la vostra futura perfetta felicità. Un posto vi è ancora per voi nel cielo, così bello, così maestoso, al cui confronto sono come fango e spariscono i troni dei più ricchi principi e più potenti imperatori, che siano stati e che potranno mai essere sovra questa terra. Sarete circondati eziandio di tanta gloria, che lingua né umana, né angelica potrà mai spiegare. Potrete ancora godere della cara, bella compagnia di Gesù e di Maria, di quella nostra buona Madre che colà ansiosa ci aspetta: la compagnia di tutti i santi, di tutti gli angioli, che ora e sempre sono pronti ad aiutarci, purché ci stia a cuore di conservare la bella virtù della purità”.

4. Sono convinto che in questa predica don Bosco abbia raccontato se stesso e che abbia voluto far vedere ai ragazzi quale fosse il motivo per cui il Signore l’aveva benedetto tanto largamente.
Mi pare di sentirlo ripetere queste parole della Scrittura che gli piacevano molto: “Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile” (venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa et innumerabilis honestas per manus illius; Sap 7,11).

Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di presentare ai nostri visitatori questo gioiello.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 11/10/2017 14:13]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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14/10/2017 13:42
 
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  L'influenza diabolica sui corpi, causa molto frequente delle nostre malattie




Dalla culla del Cristianesimo, la Chiesa ispirata dallo Spirito Santo, ha sempre insegnato che il demonio era ed è il nemico dell’uomo, principalmente del cristiano, e che cercava di nuocergli in ogni modo; che egli era inoltre l’autore del male morale e spesso, pure, del male fisico. Il male morale è il peccato, che fa così gran danno nelle anime. Il male fisico è la malattia del corpo, e tutti i flagelli che sono scatenati sulla terra dall’azione e dalla malizia degli angeli cattivi. – Il demonio è dappertutto: tutte le creature sono l’oggetto del suo odio.

L’Apostolo san Pietro ce lo rappresenta come un leone ruggente, che gira intorno a noi cercando le brecce della nostra anima, alfine di sorprenderci e nuocerci, sia nella nostra persona, sia nei nostri beni; egli vuole divorarci, “circuit quærens quem devoret” [I Piet. V, 8], è il nostro avversario, egli dice, “adversarius”, cioè il nemico ed il perturbatore. Egli si trova nell’aria; San Paolo ce lo dice molto positivamente nella sua epistola agli Efesini, cap. V, 12, quando ci dichiara che noi dobbiamo combattere contro le malizie spirituali “spiritualia nequitiæ”, sparse nell’aria; invisibili, di conseguenza, come ci insegna il simbolo della Fede Cattolica, quando ci dice che Dio ha creato gli esseri visibili ed invisibili, “visibilium et invisibilium, perché, come insegna pure la scienza moderna, che ci sono nell’aria, ed in tutta la natura fisica, degli esseri animati che noi non vediamo anche con l’aiuto di un microscopio, e che si vengono chiamati con nomi diversi: microbi, bacilli, virus, batteri od altro, e che provocano delle malattie epidemiche e contagiose che affliggono l’umanità; così ugualmente nel mondo soprannaturale esistono degli esseri incorporei, puri spiriti, buoni e cattivi, che si attaccano a noi per farci del bene, o per farci del male.

– Come conseguenza di questo insegnamento, S. Giovanni Crisostomo ci dichiara che Nostro Signore Gesù-Cristo è stato sospeso alla croce, affinché purificasse la natura dell’aria: “ut aeris naturam purgaret”, cioè al fine di distruggere queste tenebrose potenze di cui parla l’Apostolo. Penetrato da questa medesima credenza, il Papa Pio IX, di gloriosa e santa memoria, diceva nella domenica di Passione, il 3 aprile 1870, benedicendo gli Agnus-Dei: “Io li benedico affinché essi abbiano la virtù di “scacciare i demoni, perché essi non sono tutti nell’inferno; ce ne sono molti in “questo momento sulla terra e non dei meno malvagi e dei meno terribili” (Rosier de Marie). – Ed il Papa Leone XIII, suo degno successore, giunge a prescrivere a tutti i Sacerdoti Cattolici, di dire al termine della santa Messa una preghiera per difenderci contro la malizia e i tranelli del demonio e degli altri spiriti cattivi che si diffondono in tutto il mondo per la perdita delle anime … “satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo …”

– Questa credenza nel demonio e nella sua perniciosa influenza, è dunque nuovamente affermata da questi due grandi ed illustri Sovrani Pontefici. Il demonio è nell’aria, nell’acqua, in seno alla terra, e nel fuoco. Un gran numero di filosofi dei primi secoli insegnavano che « esseri incorporei » si trovano in questi quattro elementi. I nostri missionari trovano questa stessa credenza nei selvaggi delle quattro parti del mondo. Ed i Padri della Chiesa confermano tutti unanimemente questo insegnamento. Il grave Tertulliano, tra gli altri, ci dice che, in generale, le acque devono essere sospette, perché gli spiriti immondi vi risiedono, principalmente, egli dice, nelle fontane nascoste, nei laghi e ruscelli sotterranei. È la il soggiorno di questi spiriti di perdizione. Ecco perché la Chiesa esorcizza la acque di cui si serve nelle sue cerimonie. Benché queste parole appaiano strane, esse devono tuttavia ispirarci il più grande rispetto perché sono riportate pure dall’immortale Vescovo di Meaux [Bossuet], nel suo sermone sui demoni (I di quaresima). Noi leggiamo nell’Apocalisse che c’è l’Angelo delle acque e del fuoco, che facevano dire ad Origene che gli Angeli presiedono alla terra, all’acqua, al fuoco.

E Sant’Agostino aggiunge che, in questo mondo, ad ogni cosa e ad ogni elemento è preposta una virtù angelica. In effetti, la Santa Chiesa, depositaria infallibile della verità, ci insegna formalmente che il demonio si trova nell’acqua, poiché nelle magnifiche preghiere liturgiche che essa recita per benedirla, sia nella veglia di Pasqua che di Pentecoste, o meglio ancora la Domenica mattina con l’aspersione che precede la Messa parrocchiale, Essa scongiura e forza il demonio, con preghiere e segni di croce multipli, ad uscire dall’acqua che sta per santificare per l’uso proprio e dei fedeli. Il Sabato-Santo soprattutto Essa si esprime così: « Comandate o Signore che ogni spirito impuro si ritiri da qui; ed eliminate da questo elemento tutta la malizia e gli artifici del demonio; ché alcuna potenza nemica possa mischiarsi a quest’acqua, né girare intorno ad essa e scivolarvi in segreto per infettarla e corromperla. » la Chiesa insegna ancora che, sovente, gli animali che servono all’uso dell’uomo e che vivono nelle stalle, nelle scuderie, nelle pastorizie, gabbie e pollai, sono malati per azione del demonio, e la prova ne è nelle preghiere che Essa recita per guarirli; Essa chiede a Dio che « la potenza di satana si allontani da essi “recedat ab eis omnis potestas diabolica”. »

Lo stesso è per i beni della terra: la Chiesa ha delle suppliche indirizzate al cielo, affinché sia purgata e preservata dagli insetti che divorano le semenze, le radici, i frutti ed i raccolti che speriamo da esse. Sarebbe dunque illogico credere che, se il demonio fa nascere delle malattie nel seno della terra, o nei corpi di esseri privi di ragione, non possa farne nascere nel corpo dell’uomo, e soprattutto in quello dei Cristiani, che costituiscono l’oggetto particolare del suo odio. Non abbiamo noi forse come esempio il sant’uomo Giobbe, questo re di dolore sì crudelmente afflitto dal demonio, nei suoi affetti, nei suoi beni e nel suo corpo? E noi pertanto dobbiamo credere che da questa epoca in poi satana si ne stia tranquillo, e cessi di affliggere l’umanità intera? Stolti, ma niente affatto! E la prova ne è ciò che leggiamo nella vita dei Santi di tutti i secoli che essi guarivano i malati, e tutti coloro che erano tormentati dal demonio: « lnfirmi et a dæmonibus vexati sanarentur. » Dunque il demonio in tutti i tempi ha sempre tormentato il corpo dell’uomo, del quale si serve «come di un giocattolo turbandone i sensi », secondo l’espressione di Sant’Agostino nel suo libro della “Città di Dio” (Cap. 22).

Noi lo ripeteremo ancora più avanti. La sua attività diabolica è sì grande che si manifesta ogni giorno in una molteplicità di flagelli e calamità, sia pubbliche che private e personali, che noi solitamente attribuiamo al caso o ad una cattiva fortuna; ma che in realtà, non provengono che dalla malizia dello spirito malvagio, di cui il padre Ravignan diceva: « il suo capolavoro è quello di essersi fatto negare nell’epoca nostra. » E non poteva dire nulla di più vero: “satana, ecco il nemico!” È denunciato a tutti i cristiani; perché negare la sua esistenza, non lo distrugge, anzi! – Abbiamo talvolta riflettuto su questa misteriosa parola che Nostro Signore Gesù-Cristo diceva a San Pietro: « satana mi ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano » (S. Luc. XXII, 31). Il demonio è qui che domanda e supplica Dio di lasciarlo agire contro gli uomini, e di vagliare le anime ed i corpi mediante le pene, le malattie e le angosce della vita!!! C’è qualcosa che fa paura, soprattutto quando Dio lo permette. Sembra di ascoltare Nostro Signore dire ad un’anima: “Io voglio provarti e riempire i tuoi giorni di amarezza, voglio associarti ai dolori della mia Passione e della mia Croce, e staccarti dalle cose di quaggiù affinché tu faccia penitenza. È per questo che ho permesso a satana, come un tempo per Giobbe, di tenersi al tuo fianco “Diabolus stet à dextris ejus” (Ps. CVIII), per compiere la missione che gli ho affidato. Ma sii paziente, sottomesso e rassegnato, ed Io « ti ricompenserò. » – Ma dicevamo bene sopra che per l’uso che si fa del libero arbitrio, l’uomo più spesso, si dispone a ricevere delle influenze di virtù dagli angeli o di vizi e malattie dal demonio, secondo che la sua vita sarà cristiana o empia; e noi affermiamo che un gran numero di malattie sono il frutto di queste influenze che l’uomo si attira dall’inferno a causa delle sue passioni sregolate, e l’abbandono dei suoi doveri cristiani. Infatti i santi Libri ce lo dicono con queste parole: « Dio invia sui peccatori la sua collera, la sua indignazione e delle amare tribolazioni per mezzo delle influenze dei cattivi angeli “Misit in eos iram indignationis suæ: indignatiónem, et iram, et tribulatiónem: immissiónes per ángelos malos.” (Ps. LXXVII, v. 49.).
ecco perché, nelle antiche preghiere del Battesimo, il Prete diceva al demonio: “esci da questo spirito, da questo cuore, da quest’anima, da questa testa, da questi capelli, da questi polmoni, da queste membra; esci, fuggi, scivola via come l’acqua”, tanto è vero che il demonio può attaccare e rendere malate tutte le parti e tutti gli organi del corpo umano. Lo spirito che influenza la carne è lo spirito di malattia che esiste come lo spirito d’orgoglio, lo spirito di menzogna, lo spirito di odio, e lo spirito di discordia che semina la divisione nelle famiglie e sconvolge le esistenze; lo spirito di avarizia e di cupidigia, lo spirito di maldicenza e di calunnia, lo spirito che altera le facoltà mentali. E così per le altre passioni. – Si usano ancora ogni giorno, nel linguaggio familiare, queste parole così profondamente cristiane, e che ricordano l’antica fede dei nostri padri: «Che una persona è animata da un cattivo spirito », per significare gli istinti cattivi, le inclinazioni sregolate e perverse che lo animano e che i demoni gli ispirano.

I demoni dunque fanno il male al corpo ed all’anima, facendo germogliare le malattie nell’uno, e le peggiori passioni nell’altra. Non preghiamo nostro Signore nelle litanie che Gli sono consacrate, di liberarci dalle insidie del demonio e dello spirito contrario alla santa ed angelica purezza? Ed il santo Vangelo non ci parla anche dello spirito impuro che si era impossessato di un uomo e che, scacciato da Gesù-Cristo, va a cercare altri sette spiriti più malvagi di lui per rientrarvi? (S. Luca c. II, 23). Pertanto dunque si potrà mai avere una fede sincera nella divinità di Gesù-Cristo, senza credere nel contempo al demonio? Se satana non è che un mito, cioè un essere immaginario, Nostro Signore lo avrebbe cacciato dal corpo dei malati? Non sarebbe dunque Egli allora che un allucinato, per non dire peggio? La recita dei Santi Vangeli non sarebbe dunque che una favola? E tuttavia noi leggiamo in San Matteo, cap. VIII, v. 29, ed in San Marco cap. I v. 24, che gli stessi demoni si rivolgono a Gesù-Cristo dicendoGli: « noi sappiamo chi Tu sei: Tu sei il Santo di Dio “Sanctus Dei” », ed ancora : « Tu sei il Figlio di Dio, “Filius Dei”. Perché vieni per torturarci e perderci, “torquere nos?” » Gli Evangelisti che ci ricordano queste parole, possono ingannarsi ed ingannarci?
Evidentemente no!

E allora, il demonio esiste! È “de fide” che sotto mille forme, in mille maniere, egli cerca di nuocerci, di esercitare la sua azione malefica sull’uomo, e si è eretici se ci si rifiuta di credere questa verità. Fare il male, questa è la sua unica occupazione: nelle anime, quando vi entra, genera il peccato; nei corpi è spesso la causa e la permanenza delle nostre malattie, così come si esprime a questo riguardo, con molti altri, il celebre Dom Guéranger stesso nel suo libro sulla medaglia di San Benedetto. – mons, De Segur insegna la stessa dottrina, nelle sue “Istruzioni familiari sulla religione”. – Prima di essi, il grande Bossuet, dicendoci che l’esistenza del demonio è attestata dal consenso unanime di tutti i popoli, aggiunge, « in questi spiriti incorporei, tutto è attivo, tutto vi è nervoso; e se Dio non trattenesse il loro furore, essi agiterebbero il mondo intero con grande facilità. » Questa credenza nelle influenze diaboliche è dunque tanto antica quanto il mondo.

I Giudei attribuivano loro tutte le malattie (Vita di G. C. del dott. Sepp.) – Lutero, questo grande eresiarca del XVI secolo, parla nei suoi scritti, delle difficoltà che aveva con satana che – egli diceva – « veniva a spegnere le sue candele » quando lavorava; o ancora, “veniva a svegliarlo per discutere con lui sul soggetto della Messa”… egli confessa così che trae la sua dottrina da satana. – Se ai giorni nostri questa credenza è alterata, negata da un sì gran numero di Cristiani, accusata anche di superstizione, non ne cercheremo forse la causa nella negligenza che si pone nell’istruirsi alle verità di Religione? E poi si combatte questa credenza perché si riduce l’effetto che potrebbe produrre su una società scettica e beffarda come la nostra, la riapparizione di una potenza dimenticata o fuori moda, e che si vuole rinviare all’antica credulità dei nostri padri. È dunque a giusta ragione che il Dizionario delle scienze mediche ci dice (articolo: uomo): « Occorre ben confessarlo, la dottrina degli “angeli e demoni” è troppo rifiutata ai nostri giorni. » che confessione! – In effetti, se esiste un ricordo dei demoni, non è manifestato il più spesso che da parole oltraggiose rimaste nel linguaggio popolare, e pronunciate in un momento di vivacità e di cattivo umore: “vattene al diavolo”… “che il diavolo ti porti” … “è il diavolo che ci mette la coda” … “egli ha il diavolo in corpo” … ed altre amenità del genere. Si noti in un gran numero di diocesi, che i rituali riediti, rivisti, corretti, dopo l’epoca della restaurazione, non fanno quasi menzione a preghiere o benedizioni impiegate contro il demonio in altra epoca.

Ma quelle che non hanno subito correzioni riportano preghiere contro gli spiriti. Un antichissimo rituale di Parigi, tra gli altri, ne riporta contro gli spiriti battenti, chiamati anche “spiriti martelli” ; « spiritus percutientes, spiritus maliens, » e si può leggere nella vita del curato d’Ars, il racconto dei rumori infernali che i demoni venivano a produrre nella sua casa. Tutti gli abitanti del villaggio possono attestarlo, poiché tutti hanno ascoltato gli “spiriti battenti”. Del resto non è raro apprendere, ai nostri giorni, che questi stessi spiriti battenti manifestano la loro presenza in abitazioni particolari. Le prove più autentiche sovrabbondano su questo soggetto. In altre diocesi, gli antichi rituali hanno preghiere contro i temporali, le tempeste, le nubi cariche di grandine. Si scongiura in queste preghiere, lo spirito dell’uragano e della tormenta «spiritus procellarum», e si prega per allontanarlo e paralizzarne gli effetti sempre disastrosi. – Nella preghiera della sera, noi supplichiamo il Signore di visitare la nostra dimora alfine di allontanare le insidie del demonio.

Noi Gli domandiamo di conservarci in pace. Ciò che vuol dire: che il demonio essendo dappertutto, ed in particolare in certe case, in certe famiglie, ove apporta turbe, la disunione ed il malore, noi preghiamo Dio di liberarcene. Si dirà forse che queste pie credenze non siano altro che superstizioni; ma se la fede fosse più viva e più chiara, si crederebbe all’incessante attività ed alla potenza del demonio, combattendolo con la preghiera, il digiuno, la penitenza, come facevano i nostri padri, che ne erano ben lungi. Ai giorni nostri, se non se ne nega interamente la sua esistenza, si ride delle sue manovre e delle trappole con le quali semina i nostri passi; egli ci trova quindi disarmati. Noi siamo allora come in una città senza difesa ed aperta agli attacchi del nemico. È per questa ragione che ci ossessiona e ci divora così facilmente. – Sant’Agostino, questa grande autorità della Chiesa, ci parla nel suo trattato “de Divinitate” lib. 3 cap. 11, della potenza degli angeli cattivi, della scienza meravigliosa che essi possiedono e che non hanno perso nella loro caduta, essi « abusano – ci dice il gran Dottore – della nostra carne, ingannando i nostri sensi, turbando i nostri pensieri, oltraggiando i nostri corpi, “mischiandosi al nostro sangue, generando malattie ». Non si potrebbe parlare più chiaramente. Vi fu un’epoca in cui i medici più celebri credevano all’intervento ed all’azione del demonio in tante malattie. Noi potremmo citare a questo proposito l’opinione di un gran numero di essi.

Uno tra essi, Thomas Willis, medico inglese, sapiente di primo ordine del XVII secolo, ed i cui scritti di materia medica saranno sempre apprezzati, dice: che ci sono molte malattie guaribili solo con le preghiere, « perché il demonio può, entro certi limiti, introdurre dei veleni sottili nell’organismo e produrvi delle lesioni molto gravi. » Molto prima di lui Ippocrate, il padre della Medicina, aveva insegnato che bisognava distinguere due grandi categorie di malattie: le malattie tutte “naturali”, e quelle che avevano un carattere esclusivamente “divino”. L’importanza di queste parole, la confessione e l’insegnamento che esse racchiudono, si impongono all’attenzione del lettore. Non si può dunque mettere in dubbio l’azione dello spirito cattivo sul corpo degli uomini, più che della sua anima; e la scienza medica, sempre troppo materialista, ammette che vi sia qualcosa di inesplicabile oltre a quello che essa sa, di ciò che insegna, di ciò che pratica. Se essa è così inefficace in un sì gran numero di casi, è perché essa non vede molto spesso che una causa naturale che provoca la malattia, e considera il corpo dell’uomo malato come una materia disorganizzata che occorre restaurare con rimedi materiali, mentre che la fede vede sovente l’azione del demonio, cioè una causa soprannaturale diabolica.

Non bisogna stupirsene, poiché la santa Scrittura, i Padri della Chiesa, e tutti gli Scrittori ecclesiastici sono unanimi nel dirci che i demoni, prima della venuta di Gesù-Cristo, erano i maestri del mondo, e che tutti i mali erano opera loro, perché il loro impero si estendeva a tutta la terra. Pure il Re-Propfeta lo annunciava, dicendo che tutti gli dei del paganesimo erano demoni (Ps. XCV). Molto spesso ancora ai giorni nostri gli Annali della propagazione della fede o quelli della Santa-Infanzia, ci parlano dell’azione del demonio sulle persone e sulle cose, in quelle regioni dove non essendo Gesù-Cristo ancora conosciuto, lo spirito delle tenebre si fa adorare al suo posto. I missionari, uomini istruiti, seri e prudenti, raccontano dei fatti sorprendenti, al di sopra dell’ordine naturale e che mostrano, fino all’estrema evidenza, l’intervento del demonio. Noi leggiamo negli Annali dell’Arciconfraternita di N.-D. delle Vittorie del mese di febbraio 1888, il fatto seguente, raccontato dall’alto del pulpito dal padre Buotelant, missionario al Maduré [parte sud-est dell’India –ndt.-]. « Da oltre sei mesi, una giovane donna apprese da un mago del paese a mettersi in comunicazione con il demonio. Ella vedeva perfettamente ciò che succedeva a grande distanza e, quando veniva commesso un furto, ella indicava il luogo dove si trovavano gli oggetti rubati, e non si sbagliava mai. A forza di mettersi in contatto con il demonio, divenne una posseduta; e questa possessione si manifestava con segni esteriori dei quali erano testimoni novemila persone, i Padri, io stesso. Questa donna non aveva mai imparato a leggere, e si metteva a parlare diverse lingue. Ma a lato di questi aspetti trionfali, subiva numerose umiliazioni; talvolta era obbligata a restare in silenzio per cinque o sei giorni, veniva gettata a terra, riceveva affronti dei quali conservava il segno; o si ascoltavano dei rumori senza che si vedesse nessuno.

Cosa sorprendente: questa donna faceva cuocere il suo riso in un vaso; esso era perfettamente bianco, puro. Anche quando ne faceva cuocere per il marito esso era perfettamente bianco e puro. Ma ecco che nel suo piatto, o piuttosto nella foglia di palma ove si serviva, numerosi vermi rapidamente vi brulicavano intorno; se suo marito cambiava piatto con lei per affetto, i vermi andavano verso di lei. « Stanca di essere preda di satana ella si rivolse ad un Catechista Cattolico che, dandole uno Scapolare ed un Rosario, le consigliò di recitare tutti i giorni questa preghiera: “io rinuncio a satana per legarmi a Gesù-Cristo”. Venne poi istruita nella Dottrina Cattolica ed un mese dopo riceveva il Battesimo. Tutti gli astanti notarono che al momento in cui iniziava la cerimonia, la sua figura era contratta ed una schiuma bianca le usciva dalla bocca, ma quando le cerimonie terminarono, la sua figura si illuminò, divenne radiosa; ella ringraziava Dio e la sua Santa Madre dicendo: “Grazie, Madre mia, Voi mi avete liberato. Io vi consacro il resto della mia vita”. satana era vinto.

– Monsignor Pineau, vicario Apostolico del Tong-King meridionale, scrive anche negli Annali della Propaganda della fede nel mese di agosto del 1889, che un miserabile pagano aveva fatto massacrare, bruciare, annegare mille e cento neofiti durante la persecuzione del 1885, egli si dichiarava nemico della Francia e del nome Cristiano. Egli aveva trovato il mezzo di avvelenare la sorgente che alimentava un avamposto di soldati francesi e ben quattro ne morirono. L’ora del castigo arrivò. Cadde malato ed il demonio gli fece vedere che lo considerava come appartenergli. Per un mese fece un baccano infernale attorno alla sua casa; una grandinata di pietre e zolle di terra cadeva quasi in continuazione sia sul tetto che negli appartamenti. Questo mostro morì tra orribili sofferenze. Tutti gli abitanti erano terrificati e molti tra essi si convertirono. Sottolineiamo che questi fatti, come tanti altri che potremmo citare, sono riportati da questi eroici missionari che non si ingannano. Ma tutte queste divinità infernali devono sparire davanti a Nostro Signore Gesù-Cristo. Il Profeta Habacuc (Cap. III) aveva annunciato che il regno di satana avrebbe avuto fine, perché era atteso il Messia promesso ed atteso che lo avrebbe atterrato e fatto fuggire davanti ai suoi passi: « Egredietur Diabolus ante pedes ejus », egli dice: è questa una prova che il demonio regnava su tutta la terra prima di Gesù-Cristo. Ecco perché Nostro Signore stesso chiama satana “il principe di questo mondo”, «Princeps hujus mundi » (S. Luc. XI, 21). E sul suo esempio San Paolo lo nomina “il dio di questo secolo” – «Deus hujus sæculi» (Ef. VI, 13). E con San Paolo, san Giovanni ci dice che “il mondo intero è sotto l’impero di satana” « Mundus totus in maligno positus est. » [Efes. V, 19]. Egli è il “forte armato”, « Fortis armatus» (San Luca, XI- 21).

E queste sono parole di una gravità eccezionale, poiché sono uscite dalle labbra di Gesù-Cristo stesso e da quelle dei suoi Apostoli ispirati. E con tutte queste sante e divine autorità, il grave Tertulliano ci dichiara che satana e le sue bande sono “i magistrati del mondo” « Dæmones sunt magistratus sæculi » (de IdoL, n° 18, page 106). Io non voglio tuttavia dire che satana si trova nello spirito e nel cuore di tutti i magistrati. Noi ne abbiamo prova contraria tutti i giorni. Ecco dunque il regno di satana ben affermato. In effetti è lui che ispira tutte le infamie dei governi atei, scismatici, eretici, persecutori della vera Religione. È lui che ispira questa pretesa giustizia degli uomini che lascia tanto a desiderare, è ancora lui che ispira questa letteratura malsana, nemica di ogni credenza, di ogni morale, di ogni pudore. In verità, si è portati a chiedersi se è Dio che regni quaggiù nelle società, nelle famiglie, come nello spirito e nel cuore di ogni persona. Quanti regni Cattolici vi sono nel mondo? Non formano l’eresia, lo scisma, il maomettanesimo, il buddismo, il feticismo la maggioranza delle religioni? Abbiamo pertanto questa convinzione che il regno di satana sia passato, malgrado la lentezza con la quale procede l’opera di Gesù-Cristo, e malgrado ancora la persecuzione che dura ancora dopo 1900 anni – Questa è una delle numerose prove della divinità della Religione Cattolica. Tutte le altre religioni sono opera di satana: ecco perché esse si stagliano al sole, onorate, rispettate, sostenute e sovvenzionate. Ma esse cadranno nella rete che San Pietro ha gettato sul mondo per avvolgerlo e convertirlo.

Gesù-Cristo ha vinto il mondo! E la sua Chiesa, sostenuta ed assistita da Lui, persegue satana dappertutto, fin nei suoi estremi nascondigli, alfine di imbrigliare e paralizzare i suoi sforzi. Sia che si impadronisca degli uomini e delle cose; che vizi l’aria per desolare la terra con la peste o altre malattie contagiose; che avveleni le acque affinché trasportino nei loro percorsi dei germi morbiferi; sia che attacchi le radici delle vigne o quelle di altre piante con insetti che la scienza umana non sa e non può distruggere; sia che faccia altre devastazioni, la Chiesa è là, armata con la sue preghiere e soprattutto con il Santo Sacrificio della Messa; e se si fa appello alla sua potenza essa abbatte questo nemico infernale e lo mette in fuga col solo nome di Gesù-Cristo. – Pochi sanno che la Phyllossera, questo insetto che divora le nostre vigne, non è un castigo nuovo – perché è un castigo – ma che è chiaramente indicato nella Bibbia (Deuteronomio, cap. XXVI, v. 39). Dio vi fa dire al popolo di Israele, così spesso prevaricatore: « voi pianterete una vigna, la lavorerete; ma non berrete del vino non ne raccoglierete perché essa sarà divorata dai vermi ».

Quali sono questi vermi? È da credersi che sia la Phyllossera. Dei veri fedeli si chiedono perché i preti non percorrono le vigne per benedirle e scacciarne la phyllossera o altre malattie, con le potenti ed efficaci preghiere della Chiesa. È da credersi che i nostri vignaioli ne troverebbero beneficio. Ne abbiamo una prova recente (1886) nel pellegrinaggio che hanno fatto a Nostra Signora di Lourdes cinquecento vignaioli di M… (Aveyron). Le loro vigne erano distrutte dalla phyllossera. Essi avevano impiegato senza successo tutti i mezzi indicati dalla scienza. Essi allora hanno pregato Dio ed invocato la Santissima Vergine, e questo insetto distruttore è sparito istantaneamente. Essi sono venuti a Lourdes per ringraziare di un sì grande beneficio. Perché non si segue questo santo esempio?



[Modificato da Caterina63 14/10/2017 13:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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14/11/2017 09:05
 
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  • MORTE DEL MISSIONARIO

Torna in cielo don Gaetano Nicosia, angelo del lebbrosi

Don Gaetano Nicosia, morto all'età di 102 anni verrà certamente ricordato come un protagonista assoluto del mondo missionario del secolo passato e di un pezzetto di questo. Ricordato come l'angelo dei lebbrosi, portò loro la fede in modo tale che tutti si convertirono al cattolicesimo. Un ricordo personale.

Gaetano Nicosia

Durante i miei anni in Asia, a Macao e Hong Kong, avevo spesso sentito parlare di un anzianissimo missionario italiano, padre Gaetano Nicosia, già ai miei tempi infermo e bisognoso di cure, una grande figura della famiglia salesiana e della Chiesa Cattolica cinese. Questo missionario, morto il 6 novembre scorso alla bella età di 102 anni in Hong Kong, verrà certamente ricordato come un protagonista assoluto del mondo missionario del secolo passato e di un pezzetto di questo.

Nato in Sicilia, a San Giovanni La Punta nel 1915 (terra di un altro grande missionario che incrocerà la sua strada ancora proprio in Asia, il padre - ora Beato - Gabriele Maria Allegra), a 16 anni decide di farsi salesiano ed entra nel collegio di Gaeta. Nel 1935 arriva in Hong Kong e nel 1939 eccolo a Macao. Nel bell’articolo di Gianni Criveller su Mondo e Missione chiamato L’angelo dei lebbrosi (da cui attingiamo alcune informazioni biografiche) ci viene rivelato il legame che c’era fra quei salesiani e don Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI: “Tra di loro c’era anche don Luigi Montini, l’unico ad avere il coraggio di visitare il villaggio dei lebbrosi abbandonato da tutti. Era cugino di Giovanni Battista Montini (il futuro beato Paolo VI), allora uno dei principali funzionari della Santa Sede. Don Montini ottenne aiuti sostanziosi per edificare una scuola agricola nella remota isola di Coloane, per orfani e rifugiati dalla Cina. Sempre grazie all’aiuto del Papa venne aperto il Collegio don Bosco. Ai salesiani fu affidato anche il Yuet Wah College, fondato nel 1925 a Canton e trasferito a Macao con 300 studenti. Nicosia insegnava catechismo e viveva con i ragazzi. Nello stesso tempo studiò teologia e, il 25 marzo 1946, fu ordinato prete presso la bella chiesa di San Giuseppe, nel seminario diocesano di Macao”.

Già, la bella chiesa dedicata a San Giuseppe nel Seminario di Macao, che ha visto centinaia e centinaia di missionari prendere il largo per evangelizzare i popoli asiatici nel nome di Cristo. Volle andare come missionario in Cina, ma ci rimase solo un anno, espulso dai nuovi padroni comunisti. Tornato a Hong Kong si dedica al lavoro assegnatogli dalla sua comunità, ma sentiva un'ansia, voleva fare e dare qualcosa di più. Ma affidiamoci ancora alle parole del padre Criveller: “Per 11 anni fu assegnato alla scuola di San Luigi di Hong Kong. Ma sentiva una certa insoddisfazione. Sognava una missione con i più poveri e soprattutto con i lebbrosi. Il nuovo superiore era disposto a lasciarlo partire per un lebbrosario della lontana Colombia. Ma prima della partenza arrivò un’inaspettata richiesta: il vescovo di Macao Paulo José Tavares chiese ai salesiani di prendersi cura del lebbrosario di Ka Ho, nell’isola di Coloane. C’erano un centinaio di lebbrosi, in stato di abbandono. Nessuno, neppure i medici assegnati dal governo, osava recarsi nell’isolato villaggio, raggiungibile solo con una barca. Vi andò, entusiasta, Gaetano Nicosia, vivendovi per ben 48 ininterrotti anni, dal 1963 fino al 2011. Già nel 1970 i risultati erano ottimi: tra le 112 persone del villaggio, 40 vennero dimesse. Nicosia si dava da fare per trovare un lavoro e sostenere finanziariamente coloro che lasciavano il villaggio, spesso vittime di stigma sociale. La gente evitava persino i familiari degli ex lebbrosi, che di conseguenza venivano rifiutati anche dalle loro stesse famiglie. Alcuni preferirono perciò tornare al villaggio di Nicosia”.

Non solo, ma portò la fede in modo tale che tutti si convertirono al cattolicesimo. Questo perché il missionario non è colui che va in un’altra terra per "apprezzare la cultura locale", ma per portare Cristo, alla cui luce ogni cultura viene vivificata e rinnovata. A che serve un missionario se tutto va già bene così com’è? Ma oggi la parola “proselitismo” da fastidio, pur se l’invito di Gesù nel Vangelo è chiaro: andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Padre Nicosia questo ha fatto, per decenni e decenni.

Alcuni anni fa in Macao, con la scuola di Nostra Signora di Fatima in cui lavoravo, abbiamo realizzato un Musical sulla vicenda delle apparizioni di Fatima. Io ho composto la musica. Abbiamo pensato di fare un film di questo Musical e come location fu scelta proprio quella di questo ex villaggio per i lebbrosi, poi abbandonato. Ka Ho, questo il nome cinese del villaggio, mi faceva un poco tristezza. Ricordo di essere entrato in quelle casupole in cui c’erano ancora oggetti religiosi e resti dalla quotidianità. C’era ancora la bella Chiesa fatta edificare da un architetto italiano, Oseo Acconci, e con il grande crocifisso che svetta sulla facciata, dono dello scultore Francesco Messina. Ricordo che mi immaginavo in quegli spazi il beato Allegra, padre Nicosia, i tanti lebbrosi che con questi buoni religiosi avevano ritrovato una dignità che sembrava perduta.

Ho tentato di incontrare padre Nicosia in passato, ma non ci sono mai riuscito visto che era molto anziano e non riuscivo mai ad andare negli orari giusti. Ricordo la mia ultima visita al Cardinale Joseph Zen, che è suo confratello e molto legato al padre Nicosia; gli chiedevo a volte di poter visitare il missionario italiano oramai a riposo, ma accadeva che per un motivo o per l'altro questo non era mai possibile. Ma poi, perché volevo incontrarlo? Sinceramente, volevo incontrare un santo. Qualcuno l’ho incontrato in passato, persone che la Chiesa ha anche ufficialmente riconosciuto come modelli per la cristianità. Ma ci tenevo ad incontrare questo italiano che ci fa sentire orgogliosi della nostra patria e della nostra fede, un cattolico che non è arretrato di fronte ai drammi umani, ma li ha abbracciati mostrandoci come Dio, dall’oscurità più nera, sa far strabordare il chiarore più luminoso.




Via dall’inferno

“Zio, sono preoccupato”.
Berlicche, l’arcidemone, abbassò gli occhi verso l’abisso.
“Dimmi, Malacoda, perché questa preoccupazione? Ti devo ricordare che dovresti esser tu a far preoccupare, non viceversa.”
“Ho sentito che vogliono sfrattarci”, ansimò il diavolo.
L’anziano tentatore si grattò il corno. “E dove avresti sentito questa novità?”
“Pare che gli umani non credano più all’inferno”.
Berlicche rise. “Ma è sempre stato così! Una gran parte delle anime che giungono sulle nostre tavole è composta da gente che non credeva all’inferno, e quindi che non ci fosse nessun bisogno di pentirsi o convertirsi. Osservare la loro faccia quando si accorgono di essersi sbagliati è uno dei miei più grandi divertimenti.”
“Ma stavolta è diverso! Pare non siano solo più i nostri dannati che lo affermano, ma addirittura pezzi grossi della Chiesa stessa!”
L’arcidemone sbuffò. “Che sciocchezza. Il Figlio del Nemico ne ha parlato chiaramente più volte. Non penso proprio che…”
“Ti dico che è così! Negano che ci si possa dannare, e asseriscono che tutti saranno salvati, compresi quelli che non si sono mai minimamente pentiti! Oh, che facciamo, che facciamo? Se lo dicono loro, da un momento all’altro qui viene giù tutto! Resteremo senza cibo e senza divertimento!”
Berlicche diede un calcio al suo sottoposto con lo zoccolo puntuto. “Ma sei idiota? Lavoriamo a cancellare la consapevolezza del male da millenni, ed ora che finalmente abbiamo raggiunto quell’obbiettivo tu hai paura? Guarda fuori: ti pare che sia calato il flusso di immigrati nelle nostre bolge? Neanche per sogno! Abbiamo dovuto dare in appalto il trasbordo delle anime perché la barca di Caronte non basta, e lavorano a triplo turno”. Berlicche stette un attimo a contemplare i fuochi dove le anime si consumavano. “Tutto questo è eterno. Non dimenticare che ognuno di quelli che arriva ha scelto di essere qui. Ha liberamente rifiutato il Nemico, e il Nemico, per quella che chiama giustizia, gli ha permesso di andare dove voleva.”
Afferrò Malacoda per l’orecchio scaglioso e lo condusse fuori. “Se anche questo luogo dovesse svuotarsi, e non vedo come sia possibile, dove pensi che andremmo noi? Eh?”
“No-non…”
“E dove se no? Sulla Terra, è ovvio! Se ogni sacrificio è inutile, se non serve credere nel Nemico, se fare quello che suggerisce la sua Chiesa è opzionale, a che pro i mortali dovrebbero impegnarsi a seguire il bene? Quella diventerebbe la nostra nuova casa, perché non esisterebbero più né giustizia né verità”. Allargò le braccia, sorridendo, e il suo sorriso era pieno di denti. “E dove Giustizia non è possibile, quella è casa nostra!”

 



 


Come trasformare le nostre azioni in preghiera

 
Dagli scritti di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932).
 
 
Essendo la preghiera così efficace mezzo di perfezione, dobbiamo pregare spesso e con insistenza [...]. Ma come mai si può continuamente pregare e attendere nello stesso tempo ai doveri del proprio stato? Non è cosa impossibile? Vedremo che non c'è difficoltà quando si sappia ben ordinare la vita. Per riuscirvi bisogna: 1° praticare un certo numero di esercizi spirituali secondo i doveri del proprio stato; 2° trasformare in preghiera le azioni comuni.
 
1° Gli esercizi di pietà. Ad alimentare la vita di preghiera bisogna innanzitutto fare alcuni esercizi spirituali il cui numero e la cui lunghezza variano secondo i doveri del proprio stato. Qui parleremo degli esercizi che convengono ai sacerdoti e ai religiosi, lasciando ai direttori la cura d'adattare questo programma ai semplici fedeli.
 
Tre categorie d'esercizi formano l'anima sacerdotale alla preghiera: la meditazione del mattino, con la santa messa, ci propone l'ideale a cui mirare e ci aiuta a conseguirlo; l'ufficio divino, le pie letture e le divozioni essenziali conservano l'anima nell'abitudine della preghiera; gli esami della sera ci faranno rilevare e riparare i nostri difetti.
 
A) Gli esercizi del mattino sono qualchecosa di sacro di cui non si può far senza quando si è sacerdoti o religiosi, senza rinunziare al pensiero della propria perfezione. a) Prima di tutto la meditazione, affettuosa conversazione con Dio per richiamare l'ideale che dobbiamo tenere continuamente dinanzi agli occhi e a cui dobbiamo vigorosamente tendere. [...] Dobbiamo quindi metterci alla presenza di Dio, fonte e modello di ogni perfezione, e per venire più al pratico, alla presenza di N. S. Gesù Cristo, che attuò sulla terra questa ideale perfezione e ci meritò la grazia d'imitare le sue virtù. Presentatigli i nostri ossequi, lo attiriamo in noi, entrando nei suoi pensieri con profonde convinzioni sulla virtù speciale che vogliamo praticare e con ardenti preghiere che ci ottengono la grazia di praticar cotesta virtù; e umilmente ma vigorosamente cooperiamo a questa grazia prendendo una generosa risoluzione sulla detta virtù che ci studieremo di mettere in pratica nel corso della giornata. b) La santa messa ci conferma in questa disposizione mettendoci avanti agli occhi, nelle mani, a nostra disposizione, la vittima santa che dobbiamo imitare; e la comunione ce ne fa passar nell'anima i pensieri, i sentimenti, le interne disposizioni, le grazie, il divino spirito che resterà in noi per tutto il giorno. Siamo così pronti per l'azione, quell'azione che, avviata dal suo influsso, non sarà che una continua preghiera.
 
B) Ma perchè ciò avvenga, occorrono ogni tanto esercizi che rinnovino e stimolino l'unione con Dio. a) Sarà prima di tutto la recita del divino ufficio, che S. Benedetto ottimamente chiama opus divinum, in cui, in unione col grande Religioso del Padre, glorificheremo Dio e gli chiederemo grazie per noi e per tutta la Chiesa; quindi la s. messa, il più importante atto di tutta la giornata. b) Verranno poi le pie letture, letture della S. Scrittura, letture di opere e di vite di Santi, che ci porranno di nuovo in intima relazione con Dio e coi suoi Santi. c) E finalmente le divozioni essenziali che devono alimentar la nostra pietà, vale a dire la visita al SS. Sacramento, che non è in sostanza che un secreto colloquio con Gesù; e la recita del rosario, che ci fa conversare con Maria e riandarne in cuore i misteri e le virtù.
 
C) Giunta la sera, l'esame generale e particolare, che sarà come una specie di umile e sincera confessione al Sommo Sacerdote, ci mostrerà in che modo abbiamo nella giornata messo in pratica l'ideale concepito al mattino. Vi sarà sempre, purtroppo, una certa diversità tra le nostre risoluzioni e la loro attuazione; ma senza disanimarci, ci rimetteremo coraggiosamente all'opera; e poi in santa confidenza ed abbandono prenderemo un poco di riposo per lavorar meglio il domani.
 
La confessione settimanale o al più tardi quindicinale, e il ritiro mensile, facendoci dare uno sguardo complessivo a più ampia parte della vita, perfezioneranno questo esame di noi stessi e ci porgeranno occasione di spirituale rinnovamento.
 
2° Tal è il complesso di esercizi spirituali che non ci lasceranno perdere di vista per notevole tempo la presenza di Dio. Ma che si dovrà fare per colmare il vuoto tra questi vari esercizi e trasformare in preghiera tutte le nostre azioni? S. Agostino e S. Tommaso ci insegnano come scioglere la questione. Il primo ci dice di far della vita, delle azioni, dei negozi, dei pasti, dello stesso sonno, un inno di lode alla gloria di Dio [...] Il secondo poi compendia così il pensiero del primo: "Tamdiu homo orat, quamdiu totam vitam suam in Deum ordinat".
 
La carità è quella che dirige tutta la nostra vita a Dio. Il mezzo pratico per far così tutte le azioni è di offrirle, prima di cominciarle, alla SS. Trinità, in unione con Gesù che vive in noi e secondo le sue intenzioni.
 
Quanto importi il far le nostre azioni in unione con Gesù è assai bene spiegato dall'Olier, che prima mostra in che modo Gesù è in noi per santificarci: "Non solo abita in noi come Verbo con la sua immensità... ma abita pure in noi come Cristo, con la sua grazia, per renderci partecipi della sua unzione e della divina sua vita... Gesù Cristo è in noi per santificarci, santificar noi e le opere nostre, per riempire di sè tutte le nostre facoltà: vuol essere la luce della nostra mente, l'amore e il fervore del nostro cuore, la forza e la virtù di tutte le nostre facoltà, affinchè in lui possiamo conoscere, amare e adempire i voleri di Dio suo Padre, sia per lavorare a suo onore, sia per soffrire e tollerare ogni cosa a sua gloria". Spiega quindi come le azioni che facciamo da noi e per noi siano difettose: "Le nostre intenzioni e i nostri pensieri tendono al peccato per la corruzione della nostra natura; e se noi ci lasciamo andare ad operar da noi stessi e a seguir le nostre inclinazioni, opereremo in peccato". Onde la conclusione è che bisogna rinunziare alle proprie intenzioni per unirsi a quelle di Gesù: "Vedete quindi quanta cura si deve avere, al principio delle azioni, di rinunziare a tutti i sentimenti, a tutti i desideri, a tutti i pensieri propri, a tutte le proprie volontà, per entrare, secondo S. Paolo, nei sentimenti e nelle intenzioni di Gesù Cristo [...].
 
Quando le azioni sono lunghe, è utile rinnovar questa offerta con un affettuoso sguardo al crocifisso, e, meglio ancora, a Gesù che vive in noi; e lasciare che l'anima si sfoghi in frequenti giaculatorie che ci inalzeranno il cuore a Dio.
 
Così anche le più comuni nostre azioni saranno preghiera e ascensione dell'anima a Dio, e noi attueremo il desiderio di Gesù: "oportet semper orare et non deficere".
 
Ecco dunque i quattro mezzi interni di perfezione, che tendono tutti a glorificar Dio e insieme a perfezionarci l'anima. Il desiderio della perfezione è infatti un primo slancio verso Dio, un primo passo verso la santità; la conoscenza di Dio, è Dio che viene attirato in noi e che ci aiuta a darci a lui per via di amore; la conoscenza di noi stessi ci mostra meglio il bisogno che abbiamo di Dio e stimola il desiderio di riceverlo per colmare il vuoto che è in noi; la conformità alla divina volontà ci trasforma in lui; la preghiera ci innalza a lui e trae nello stesso tempo in noi le sue perfezioni, facendovici partecipare per renderci più simili a lui; tutto quindi ci porta a Dio perchè tutto viene da lui.
 
 
 
[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. - Desclée & Co., 1928]



     







[Modificato da Caterina63 15/11/2017 10:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Domenica, 17 gennaio 2016

L'omelia dell'arcivescovo Georg Gänswein - sabato 16 gennaio 2016 a Manoppello

il Volto Santo della misericordia è il segno distintivo dei cristiani

 
foto di Daniel Ibanez / CNA

La processione di sabato e la ostensione del Santo Volto di Manoppello è un piccolo miracolo, che non avveniva da secoli. Alla processione hanno partecipato il sindaco di Manoppello Gennaro Matarazzo, il rettore della basilica del Santo Volto il cappuccino Padre Carmine e alcuni studiosi della immagine tra cui Paul Badde uno degli organizzatori dell’evento.

Nel suo saluto iniziale il rettore della Chiesa di Santo Spirito in Sassia padre Bart, ha ricordato la visita di Benedetto XVI al Santo Volto nella cittadina abruzzese il primo settembre del 2006. “ Anche oggi avvertiamo la sua presenza spirituale- ha detto- e affidiamo il cammino della Chiesa alla sua preghiera silenziosa”.



Carissime sorelle e fratelli! 


La domenica di oggi è chiamata "Omnis Terra" nelle parole del Salmo 65 che abbiamo ascoltato all'inizio della Messa: " Omnis terra adoret te, Deus, et psallat tibi ! " ("Lascia che tutta la terra ti adori, o Dio e canta salmi a voi "). Questa domenica è stata anche chiamata questo ottocento anni fa; e anche allora, come ora, in tutte le chiese cattoliche è stato proclamato il Vangelo delle nozze di Cana. Da allora gli imperi sono caduti, spazzati via come foglie d'autunno; la Chiesa ha visto la successione di novanta papi; le rivoluzioni violente e le guerre hanno scosso l'Europa; divisioni fatali hanno strappato il cristianesimo. Quindi sembra quasi un miracolo la tranquillità con cui, nella liturgia di questa domenica, cantiamo oggi come allora: Lodate il Signore, tutte voi nazioni!

“Oggi facciamo memoria del fatto che qui 808 anni fa, per la prima volta, Papa Innocenzo III fece portare in processione il Santo Sudario di Cristo da S. Pietro a S. Spirito. Si trattava di quel velo santo che ci mostra “il volto umano di Dio”, del quale papa Benedetto XVI non si mai è stancato di parlare; ovvero “il volto vivo della misericordia del Padre”



Con questo elogio, tuttavia, oggi ricordiamo anche il fatto che qui 808 anni fa, per la prima volta, Papa Innocenzo III portò in processione il Santo Sudario di Cristo da San Pietro a Santo Spirito. Era il santo velo che mostra "il volto umano di Dio", di cui Papa Benedetto XVI non si stancherà mai di parlare; e "il volto vivo della misericordia del Padre" a cui Papa Francesco ha dedicato questo Anno Giubilare. E anche allora, nel gennaio del 1208, il volto divino di Dio qui in questa chiesa, era collegato alla concreta misericordia degli uomini; questa chiesa che molto più tardi, nel 1994, San Giovanni Paolo II dedicò alla "Divina Misericordia", in onore di Santa Faustina Kowalska, di cui qui veneriamo le reliquie. Anche il papa polacco è stato un visionario e ancora una volta lo sperimentiamo qui oggi.

Infatti, 808 anni fa, in quella primissima processione, papa Innocenzo III decretò che l'immagine sacra non era stata portata ai nobili di Roma, ma ai malati pellegrini e ai poveri della città, la cui residenza più importante era allora ospedale di Santo Spirito. Ordinò anche che il cappellano pontificio, attingendo da Peter's Pence, distribuisse tre monete a ciascuno dei trecento malati e ai mille poveri che erano stati invitati a partecipare alla cerimonia e che provenivano da tutta la città: uno per il pane, uno per vino e il terzo per carne. Ha anche collegato sostanziali indulgenze alla visita della "vera immagine" e alla partecipazione alla sua processione. 

Di fatto era un'anticipazione dell'Anno Santo, che solo successivamente, nel 1300, fu introdotto a Roma da Bonifacio VIII. Tutto è iniziato proprio qui!

Da quel momento fino ad oggi le processioni e le esposizioni moderne del Santo velo non sono mai finite. Ben presto ci furono innumerevoli pellegrini a Roma che volevano contemplare il volto di Dio. Più tardi, fu in una di queste processioni che Dante imparò a conoscere il volto di Dio. È il volto davanti al quale si conclude la "escursione cosmica" della sua Divina Commedia, come disse Papa Benedetto XVI dieci anni fa, quando presentò la sua enciclica Deus Caritas Est . È il volto dell'amore che "muove il sole e le altre stelle", come scrisse Dante nel brano più noto della letteratura italiana.

È l'amore di Dio che si rallegra in noi come "lo sposo della sposa", come abbiamo appena ascoltato nelle parole del profeta Isaia; e la forza dello Spirito Santo dei cui vari doni San Paolo ci ha nuovamente resi consapevoli in questa chiesa di Santo Spirito. Eppure, da nessun'altra parte questo Spirito parla in modo più chiaro e con più prove come nel silenzioso volto di Cristo, davanti al quale oggi siamo riuniti qui. 

Perché "questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: portare e dare Gesù agli altri", come ha detto Papa Francesco il 3 gennaio. E questo è esattamente quello che ci viene dato oggi: diventare testimoni, nel momento in cui i buoni frati Cappuccini di Manoppello qui "portano e donano Gesù", nel cui volto Dio stesso mostra il suo volto.

In conclusione, aggiungerei una sola cosa sul Vangelo delle nozze di Cana, su cui sono state dette tante cose istruttive: chi, in effetti, potrebbe ancora chiedersi che Gesù abbia operato il suo primo miracolo pubblico proprio in favore del matrimonio e della famiglia che oggi sono così in pericolo che papa Francesco ha dedicato sinodi a ciascuno di questi! Infatti, in questo periodo di Natale in cui siamo fermi, possiamo comprendere perfettamente quel primo miracolo come una necessaria estensione del mistero dell'incarnazione di Dio. Perché è solo all'interno di una famiglia che diventiamo umani! Con una madre e un padre e - se siamo fortunati - con fratelli e sorelle. Per questo motivo gli artisti cristiani hanno sempre ritratto il volto di Gesù riferendosi a quello di sua madre, e viceversa. Perché se Dio è il padre di Gesù, la sua faccia dovrebbe e può solo apparire come la sua.

È una copia di quell'antico originale che papa Innocenzo III mostrò ai pellegrini e che per quattrocento anni è stato tenuto in Abruzzo, sull'Adriatico, in una zona periferica dell'Italia, che oggi per la prima volta è stato riportato a è iniziata la sua adorazione pubblica. Da qui, innumerevoli copie hanno portato in tutto il mondo il vero volto di Dio che i cristiani conoscevano. Proprio in questo sta il significato più profondo di questo momento. Prima di venire a Roma, il Sacro Velo fu tenuto a Costantinopoli, prima a Edessa e anche prima a Gerusalemme. Non è possibile, infatti, che questa faccia possa essere la proprietà, potrebbe essere il tesoro di chiunque, nemmeno del Papa. È la firma dei cristiani. Solo noi sappiamo che Dio ha una faccia - come e chi è. Per questo motivo, il volto di Cristo è il primo, il tesoro più nobile e più prezioso di tutta la cristianità, ancora di più: di tutta la terra. Omnis Terra! Davanti a questa faccia dobbiamo aprirci ancora e ancora. Sempre come pellegrini; sempre nelle zone periferiche; e avendo sempre davanti ai nostri occhi un unico obiettivo: quel momento in cui saremo davanti a lui faccia a faccia.




Così l’arcivescovo Georg Gänswein, Prefetto della casa Pontificia, sabato pomeriggio ha ricordato la grande tradizione della venerazione e della processione del Santo Volto che si celebrava nella ottava dopo la Epifania. E l’immagine che accompagnava i pellegrini da San Pietro a Santo Spirito in Sassia era quella della Veronica. Oggi l'immagine da 400 anni è custodita e venerata a Manoppello e dall’ Abruzzo per due giorni ha fatto ritorno in Vaticano.

L’arcivescovo ha celebrato la Santa Messa al termine della processione che si è snodata dalla basilica vaticana fino alla chiesa a pochi passi dal colonnato, chiesa che da secoli è dedicata alla pratica della misericordia e che dal 1994 San Giovanni Paolo II ha voluto fosse il luogo dove si prega la “ Divina Misericordia” dove si custodiscono le reliquie di Santa Faustina Kowalska.

La prima processione avvenne nel 1208, per volere di Innocenzo III, e “in quella primissima processione- ha ricordato monsignor Gänswein- Papa Innocenzo III stabilì che l’immagine santa non venisse portata ai nobili di Roma, ma ai pellegrini malati e ai poveri della città, la cui dimora più importante già allora era quest’ospedale di Santo Spirito. E dispose anche che l’elemosiniere pontificio, attingendo all’Obolo di San Pietro, elargisse tre denari a ognuno dei trecento malati e ai mille poveri invitati ad assistere alla cerimonia e accorsi da tutta la città: un denaro per il pane, uno per il vino e il terzo per la carne. Egli inoltre legò consistenti indulgenze alla visita della “vera immagine” e alla partecipazione alla relativa processione”.

Una venerazione, quella del Santo Volto, che mosse migliaia di pellegrini per secoli, Dante compreso che forse proprio in una di queste processioni, ha detto l’arcivescovo, “imparò a conoscere il volto di Dio. È il volto davanti al quale finisce “l'escursione cosmica” della sua Divina Commedia, come disse Papa Benedetto XVI dieci anni fa, quando presentò la sua enciclica Deus caritas est. È il volto dell’amore, “che move il sole e l’altre stelle”, come Dante ha scritto nel passo più noto della letteratura italiana”.

Commentando le letture della liturgia domenicale Gänswein ha spiegato che si tratta della domenica Omnis terra, secondo le parole del Salmo 65: “Questa domenica era detta così anche ottocento anni fa; e anche allora, come oggi, in tutte le chiese cattoliche veniva proclamato il Vangelo delle nozze di Cana.Da allora sono tramontati imperi, spazzati via come foglie d’autunno; la Chiesa ha visto susseguirsi novantadue papi; violente rivoluzioni e guerre hanno scosso l’Europa; divisioni fatali hanno lacerato la cristianità. Per cui sembra quasi un miracolo la tranquillità con la quale, nella liturgia di questa domenica, cantiamo oggi come allora: Lodate il Signore, popoli tutti!”

Ma l’icona del Santo Volto che prima di arrivare a Roma è stata custodita a Gerusalemme, Edessa e Costantinopoli, è stata portata ai popoli del mondo grazie a migliaia di copie: “Non è possibile, infatti, che quel volto sia proprietà, sia tesoro di un singolo, nemmeno del Papa. Esso è il segno distintivo dei cristiani. Solo noi sappiamo che volto ha Dio – come e chi egli sia. Per questo, il volto di Cristo è il primo, il più nobile e più prezioso tesoro dell’intera cristianità, di più: di tutta la terra. Omnis terra! A questo volto dovremo sempre di nuovo aprirci. Sempre come pellegrini; sempre verso la periferia; e sempre avendo davanti agli occhi un solo obbiettivo: quel momento in cui saremo faccia a faccia di fronte a lui”.

Riferendosi al Vangelo delle nozze di Cana l’arcivescovo ha detto: “chi, infatti, può ancora meravigliarsi che Gesù abbia fatto il suo primo miracolo pubblico proprio a favore del matrimonio e della famiglia che oggi sono così in pericolo da avere Papa Francesco dedicato all’uno e all’altra due specifici sinodi! Anzi, nel tempo di Natale nel quale ancora siamo, possiamo intendere al meglio quel primo miracolo come un necessario ampliamento del mistero dell’incarnazione di Dio. Che, cioè, è solo all’interno di una famiglia che diveniamo uomini! Con una madre e un padre e – se siamo fortunati – con dei fratelli e delle sorelle. Per questo gli artisti cristiani hanno sempre ritratto il volto di Gesù rifacendosi a quello di sua madre, e viceversa”.

La processione di sabato e la ostensione del Santo Volto di Manoppello è un piccolo miracolo, che non avveniva da secoli. Alla processione hanno partecipato il sindaco di Manoppello Gennaro Matarazzo, il rettore della basilica del Santo Volto il cappuccino Padre Carmine e alcuni studiosi della immagine tra cui Paul Badde uno degli organizzatori dell’evento.

Nel suo saluto iniziale il rettore della Chiesa di Santo Spirito in Sassia padre Bart, ha ricordato la visita di Benedetto XVI al Santo Volto nella cittadina abruzzese il primo settembre del 2006. “ Anche oggi avvertiamo la sua presenza spirituale- ha detto- e affidiamo il cammino della Chiesa alla sua preghiera silenziosa”.

 

MAI VERGOGNARSI DELLA PROPRIA FEDE I danni del "compromesso" nel campo vocazionale - La testimonianza di una Badessa trappista a Praga

Ho incontrato il Signore attraverso le apparizioni della Madonna a Fatima ed ebbi la grazia in quel momento di capire: la vita ci è data come dono per la salvezza di tutti. Poi, per colpa mia, ho perduto questa grazia. Fu durante il passaggio alle scuole medie, dove mi scontrai con la mentalità del mondo. (Nella nostra società ora questo passaggio, questo scontro con il mondo è anticipato e quindi oggi per i bambini è sempre più difficile distinguere il bene dal male, perché se non ricevi prima una proposta buona non sai distinguere). Rispetto agli altri mi sentivo diversa, mi sentivo sola con la mia fede, mi vergognavo della fede e ho tradito.

Ho seguito la tentazione tipica dei cristiani di oggi, quella del compromesso. La tentazione del non voler apparire diversi o almeno non troppo diversi. E' questa la grande tentazione di sempre. Anzi credo che dovremmo dircelo di più. I cattolici da noi in Cechia e in genere nel centro-est Europa sono più consapevoli che in Italia perché hanno subìto la dittatura. E guardate che la persecuzione non inizia subito con il carcere e i carri armati, ma è un processo più lungo e lento che comincia con la nostra vergogna. Io, appunto, decisi di vivere come tutti, pur andando in chiesa vivevo come tutti. Ma così la vita si appiattisce e si perde la gioia e la fede.

Infatti prima pensi che non sia necessario testimoniare pubblicamente la fede, ti illudi che puoi viverla nel privato, poi senza che neanche ti accorgi questa fede cessa di informare la vita e a un certo punto perdi la fede, senza neanche sapere come sei arrivato a questo. Furono anni tristi. Per fortuna in me rimaneva il dolore, un grido. Facendo come tutti, non avevo un rapporto vero con Cristo e quindi non mi sentivo amata. E vivevo un grande dolore. Oggi il grido è più anestetizzato nei giovani.

Il dolore, e la mancanza di fede, e quindi il bisogno insoddisfatto di essere amati da Cristo, oggi sono messi a tacere. A 16 anni ricevetti il dono più grande della mia vita:[...].Incontrai Cristo in modo fulminante nell'Eucaristia. Se rifiutate la persecuzione non avrete il centuplo. Le consorelle della Repubblica Ceca, sentendo parlare gli italiani che vengono in foresteria, non riescono a capire, sentono come assurde le parole di chi ripete che in Italia <tutto sommato si sta bene>. Le suore, che leggono i giornali italiani, non capiscono. Come non capiscono i compromessi che facciamo. Nel mondo secolarizzato la persecuzione ce l'abbiamo davanti ma non ci accorgiamo.


Prima di andare a Praga ero entrata nel monastero trappista di Vitorchiano. Durante i primi anni tante sorelle partivano per aprire case nel mondo e quindi toccò anche a me. Lo percepii come un passo normale. Nel cristianesimo la scomodità è normale ed è bella. E poi imparai che contemplazione e missione sono inscindibili. Cominciai quindi a fare la spola fra l'Italia e Praga per costruire un monastero in un prato fuori città dove non c'era nulla. Vivevamo a Praga e poi andavamo lì. A Praga eravamo stupite, perché vedevamo pochissimi religiosi andare in giro con l'abito.

Poi abbiamo scoperto che c'erano, ma forse avevano continuato con l'abitudine di non portare l'abito come durante la clandestinità. Per strada tutti si giravano a guardare questo gruppo di monache vestite da monache dalla testa ai piedi e noi abbiamo deciso di non vergognarci, anzi di essere fiere del nostro abito. Quando giravamo c'era chi rideva o toccava ferro e qualche mia sorella si vergognava. Io no, non più. Allora dissi: <Mostriamo loro quanto è bello il nostro abito>.

Senza che ce lo immaginassimo questo ha generato vocazioni, perché i giovani hanno bisogno di segni visibili. Abbiamo incontrato giovani che ci chiedevano chi eravamo e poi qualcuna ha chiesto di venire alla Messa con noi.


Se crediamo nella nostra identità, allora anche gli altri possono incontrarla. In breve, siamo partite dall'Italia in 9 e dopo 10 anni siamo 25, non per merito nostro, ma perché se la proposta di Cristo è chiare, è senza paura, è affascinante, produce frutto.

(Suor Lucia, badessa monastero trappiste a Praga, "Il Timone", n.167).



     

L'ANTITESTIMONIANZA E LO SCANDALO

Nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente (n. 33), la Chiesa è inviata «a farsi carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell'arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo».

Già nel 1975, l'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, raccogliendo i frutti della III Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, consacrata alla evangelizzazione, aveva sottolineato l'importanza centrale della testimonianza. Queste parole hanno trovato una vasta risonanza, sono state riprese dall'attuale Magistero. Conservano tutta la loro pertinenza in vista della nuova evangelizzazione: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri ... o se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni ...

È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» (n. 41). Si rileverà che il soggetto della testimonianza, al di là dei cristiani presi singolarmente, è la Chiesa.

In vista del Grande Giubileo, il tema della testimonianza deve in modo del tutto particolare fare l'oggetto di un nostro esame di coscienza e di meditazione. Le poche considerazioni che seguono su quello che ne è il rovescio: l'antitestimonianza e lo scandalo.

Lo scandalo della Croce

Nel linguaggio della Scrittura lo scandalo significa un tranello, tutto quello che fa soccombere e, quindi, che mette alla prova la fede. Ma facciamo notare che, a seconda della provenienza, e a seconda delle capacità e delle disposizioni di chi è scandalizzato, il significato dello scandalo differisce completamente. Per il credente lo scandalo della Croce è adorabile. Questo scandalo non è un'antitestimonianza. È al contrario fonte della più grande testimonianza.

Dopo che Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, ebbe annunciato il mistero dell'Eucaristia, una crisi profonda si produsse tra i discepoli. « Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? ». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro. Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi? Si conosce la risposta di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Queste sono le parole della fede.

Di fronte allo smarrimento provocato dalle sue parole, Gesù non fece niente per attenuarle: «Questo vi scandalizza?». Egli precisa che in seguito capiranno e che questa comprensione è un dono dello Spirito, ch'essa s'identifica con il dono della fede: «Ma vi sono alcuni tra voi che non credono» (cf. Gv 6, 60-69).

La profondità e la sublimità del messaggio di Gesù, quindi, scandalizza, nel senso che è occasione di caduta per chi non crede o prova superata per colui che crede. Il tema dello scandalo, nel Nuovo Testamento, è dunque legato alla fede, come libera accoglienza del mistero di Cristo. Dinanzi al Vangelo non si può restare indifferente, tiepido, o sottrarsi: il Signore ci interpella personalmente e ci chiede di dichiararsi per lui (cf. Mt 10, 32-33).

Agli invitati di Giovanni che era in carcere, sconcertato per quello che sente dire dello svolgimento del ministero di Gesù, questo risponde evocando i segni messianici che l'accompagnano. E aggiunge: « beato colui che non si scandalizza di me» o: che non cadrà per causa mia (cf. Mt 11, 6).

La prima lettera di Pietro, 1, 7-8, riferendosi ad un brano d'Isaia (8, 14), afferma dal canto suo: «Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d'inciampo e pietra di scandalo». E vi è data la ragione: «loro v'inciampano perché non credono alla parola».

A questo scandalo, a questa prova della fede, Gesù preparerà i suoi discepoli, annunciando loro l'odio del mondo, le persecuzioni ma anche le consolazioni dello Spirito (cf. Gv 6, 14-16): «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi (o affinché non soccombiate alla prova») (cf. Gv 16, 1).

È lo stesso paradosso di cui ci parla san Paolo nella prima lettera ai Corinzi, 1, 18-31. Il mondo peccatore non ha saputo riconoscere la Sapienza di Dio, che salverà i credenti per la stoltezza della predicazione del Messia crocifisso, stoltezza e scandalo. Il piano divino della salvezza rivela le profondità del mistero dell'agapè divina e ci invita a prendere coscienza dei nostri limiti, poiché il rifiuto ad aprirsi al mistero ha per motivo l'autosufficienza colpevole: «Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».

Capire questo, alla luce della fede, è accogliere ciò che possiamo chiamare lo scandalobenedetto delle vie di Dio, è accogliere il mistero della Croce, fonte di salvezza. L'esigenza posta così è l'esigenza della purezza della fede, di un'adesione alla infinita trascendenza della sapienza salvifica di Dio.

L'accoglienza del mistero della salvezza con la fede suppone da parte nostra la purezza di cuore, e di conseguenza un impegno sul cammino della conversione. Ci si ricorderà della bellissima pagina del Vangelo: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto, queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Si, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare"» (cf. Lc. 10, 21-22).

Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo

C'è una profonda corrispondenza tra le anawime di cui parlano le righe precedenti e l'accoglienza del mistero, che risulta uno scandalo per colui che resta chiuso nella sua sufficienza. I discepoli fanno così notare a Gesù dopo il suo insegnamento sul puro e l'impuro: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?» (cf. Mt. 15, 12). Qui l'accento si sposta: lo scandalo non è più, se si può dire, sulle profondità del disegno di Dio, è nella cecità del cuore.

Esistono degli scandali che provengono da noi o dei quali siamo più o meno direttamente responsabili ed che è nostro dovere togliere dalla nostra strada.

La parola di Gesù è categorica: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te...» (Mt. 5, 29-30, cf. anche 18, 8-9).

Il vigilare e il coraggio delle rinunce fa anche esso parte del cammino della conversione. Qui lo scandalo è l'ostacolo che occorre scartare totalmente. Per questo sappiamo di poter contare sull'aiuto di Dio, al quale lo chiediamo tutti i giorni: «non ci indurre in tentazione».

Lo scandalo dei piccoli

È dopo aver invitato i discepoli a farsi piccoli e ad accogliere i bambini, che Gesù parla, con grande severità dello scandalo arrecato ad altri: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (cf. Mt. 18, 6-7).

Necessità non vuol dire evidentemente fatalità. Significa che lo scandalo è inevitabile essendo il mondo segnato dal peccato. Ma questo non deve portare alla passività e alla rassegnazione. L'animazione evangelica della vita sociale è un dovere dei cristiani. Quindi devono alzare la voce ed impegnarsi in favore dei «piccoli» senza difesa e prendere delle iniziative per correggere i costumi il cui degrado offende la dignità dell'essere umano creato ad immagine di Dio.

La legge della carità

L'infanzia evoca dipendenza e debolezza. Su quest'ultimo punto, san Paolo enuncia il principio che ci deve sempre guidare: «Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me» (cf. Rm. 15, 1-3).

Quel che non è scandalo per l'uno può esserlo per l'altro. San Paolo detta a questo proposito ai cristiani di Roma la condotta che devono assumere. Alcuni di loro si credono in coscienza ancora sostenuti dall'osservanza delle prescrizioni legali del giudaismo, altri hanno capito di essersene liberati, ed erano portati a disprezzare i primi: «Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello.... Tutto è mondo, d'accordo; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo» (cf. Mt. 14, 13. 20).

La regola è la ricerca della pace e della reciproca edificazione. L'apostolo aveva incontrato un'analoga situazione a Corinto, ma si trattava probabilmente di cristiani provenienti dal paganesimo, la cui coscienza era turbata quando consumavano della carne precedentemente sacrificata agli idoli. A quelli che hanno capito che l'idolo est nulla, Paolo scrive: «Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli ... Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello» (cf. 1 Co, 8, 9. 1113). La debolezza può essere quella di una coscienza poco illuminata, come nei casi esaminati direttamente da Paolo. Può essere ancora la presenza di tenaci pregiudizi, di malintesi o la difficoltà a capire alcuni segni.

Così lo scandalo investe un campo vasto di situazioni diverse e contrastate. La testimonianza più alta, quella del martirio, è perfetta comunione allo scandalo della Croce. Al contrario, lo scandalo del peccato, incitazione o cattivo esempio, porta con sè la caduta del prossimo. È una tentazione colpevole. Ci sono, in fine, dei comportamenti che, senza essere riprovevoli in se stessi, offendono la carità perché il prossimo non è atto a capirli. Allora, l'amore fraterno che è la regola suprema, richiede dei sacrifici e delle rinunce. Per un esame di coscienza che abbraccia il passato, il presente, e i progetti futuri, è giusto ricordarsi di questo triplice parametro.




[Modificato da Caterina63 30/11/2017 18:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/11/2017 18:11
 
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  Gesù è venuto non per piacere agli uomini

12-4-2003

ma per essere la verità del Padre

Don Mauro Agreste

Indice

1) Gesù è venuto per servire, accettando di essere respinto
2) La Chiesa è Gesù e sono tutti i battezzati, ci siamo anche noi

3) Questo suona scandalo e follia
4) Il padre nostro
5) Destinati a vivere per sempre
6) Siamo un'unica realtà il Gesù Cristo, ma tutti con le nostre caratterisitiche
7) Tu sei nel Cristo e Cristo è in te, quindi tu devi manifestarlo
8) Servi inutili
9) Servire? Capire il proprio posto nella Chiesa, capire la nostra vocazione
10) Chiamata generale e chiamate particolari quotidiane
11) Il nostro primo servizio è di tipo mistico: piacere a Dio
12) L'empietà. Lettera ai romani Rm 1,7ss.
13) Dio ci concede il benessere perché possiamo provvedere ai poveri
14) Siamo chiamati ad avere una meta fissa e a fare un cammino d'emarginazione

1) Gesù è venuto per servire, accettando di essere respinto

Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire.

Non come uno che possiede ricchezze, ma accettando di essere respinto dalla maggioranza del popolo.

Avete capito? Se avete capito sarebbe già sufficiente, potrei già terminare la riflessione.

Gesù è venuto. Gesù è il Verbo di Dio, come Verbo di Dio è venuto per manifestare qualche cosa di Dio.

E guardate che c'è un meraviglioso circolo che unisce questo cielo alla terra, proprio per il fatto che il Verbo si è fatto carne ed è venuto anche con queste caratteristiche.

Perché se noi ricordiamo bene, quando Dio ha voluto creare l'uomo ha detto faremo l'uomo a nostra immagine e somiglianza.

Dunque l'uomo ha in sé alcune prerogative che sono di Dio, non le ha in modo assoluto ed essenziale, come è per Dio, ma possiede queste prerogative.

Il nostro Dio che nella sua infinita misericordia e in un progetto che è grandioso quanto è grande Dio ha voluto che l'opera della redenzione coinvolgesse attivamente tutti gli uomini.

La redenzione operata da Gesù Cristo, ma non senza l'essere umano.

È famosa la frase di sant'Agostino che dice: Colui che ha fatto i cieli e cieli dei cieli senza di te, non salverà te senza di te.

Quindi vedete anche i padri della chiesa ci richiamano questa meravigliosa realtà.

Quando qui si dice Gesù è venuto noi possiamo fare una piccola riflessione su questa parola "Gesù", su questa persona "Gesù".

Dopo tanti incontri voi pensate che noi possiamo intendere semplicemente con il Gesù storico, questo Gesù di cui parla il Santo Padre?

Certamente sì, certamente si intende proprio il Gesù figlio di Dio Verbo eterno del Padre, che è nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo.

2) La Chiesa è Gesù e sono tutti i battezzati, ci siamo anche noi

Questo è chiaro, ma non pensate che si possa anche ampliare questo discorso, soprattutto alla luce della rivelazione biblica neo testamentaria e in cui noi abbiamo capito, forse capito fino in fondo no, ma intuito sì il mistero della Chiesa?

Quando noi ricordiamo che la Chiesa è Gesù Cristo e che la Chiesa non è semplicemente la gerarchia, ma che la gerarchia fa parte della Chiesa, ma la Chiesa è Gesù Cristo e la Chiesa sono tutti i battezzati.

In più, dice il Concilio Vaticano II, i confini visibili della Chiesa sono più piccoli dei confini reali della Chiesa, quindi diciamo tutti coloro che cercano il Signore con cuore sincero, ma questo è un problema della grazia sapere chi sono; perché, lo sappiamo molto bene, ci sono tanti battezzati che in realtà cercano autenticamente di seguire il Cristo? No, non tanti.

Certe volte sono di così cattivo esempio che sono per il corpo di Cristo ciò che per noi può essere un cancro! È vero?

Allora quando si dice Gesù noi intendiamo sicuramente il Gesù storico, la persona fisica di Gesù che è vissuta in Palestina in quegli anni ecc.; però possiamo intendere anche in un livello spirituale anche tutto il corpo di Cristo, cioè tutta la Chiesa e in tutta questa Chiesa ci siamo anche noi.

3) Questo suona scandalo e follia

Dunque questa parola suona scandalo e follia.

I figli della Chiesa scandalizzano e sono considerati i folli.

Mi ricordo la nona beatitudine del vangelo di Matteo: beati voi quando vi perseguiteranno vi insulteranno e mentendo diranno di voi ogni sorta di malignità, ed ecco il nucleo di tutto, "a causa mia".

Se manca questo serve a niente, ti possono prendere in giro due mesi di seguito ma se manca questo, "a causa mia", dice Gesù, allora non ha riferimento questa beatitudine con il tuo vissuto.

Allora il figlio di Dio è stato umiliato, disprezzato, emarginato, ucciso e ci indica che la sua parola continua ad essere scandalizzante e produce senso di follia.

Cosa vuol dire scandalo? Non vuol dire esattamente quello che noi intendiamo nel parlare comune: di sgomento, di ribrezzo, di avversione, non è questo, scandalo.

Perché in latino vuol dire inciampo, quindi quando si dice scandalo si dice che questa parola ti fa inciampare, ossia tu vuoi un cammino liscio, senza tanti problemi, senza farti tante domande, quindi la vita più viene come viene e più puoi fare a meno di qualsiasi regola e più sei contento.

Invece la parola del Padre che è Gesù Cristo, è lo scandalo, è quell'inciampo che viene di fronte a te e ti dice: alt, un momento, non è come dici tu, si può vivere come dice il Padre, si può vivere, non è impossibile, è possibile e produce tutto ciò che Gesù in Cristo ha annunciato.

Dunque vivere secondo la parola del Vangelo produce scandalo e follia.

In questo mondo tutto ciò che è insegnato nel Vangelo viene considerato follia, viene considerato qualche cosa che è facilmente superabile proprio perché viene considerato fuori moda.

Sono cose che andavano bene nel 1800, ma non più ai nostri tempi, che sono evoluti, sono emancipati, la tecnologia e la scienza hanno dimostrato tante cose.

Quindi è logico pensare che anche tutto il resto va dimostrato secondo le regole umane.

 

E vi ricordo che nel cap. 4 della lettera a Timoteo, san Paolo, ( 2 Tm 4 ) che scrive al suo amico divenuto vescovo, gli dice proprio questo: guarda che a un certo momento arriveranno a cercarsi dei maestri, che dicano loro tutto quello che vogliono farsi dire, quindi teniamo presente questo.

Se Gesù è scandalo, inciampo, è follia, perché Gesù dice: guardate che Dio non è altissimo, lontanissimo, disinteressatissimo, Dio è il Padre, Dio è mio Padre, a Dio dico Abbà.

4) Il padre nostro

Maestro insegnaci a pregare e Gesù risponde: Padre nostro … che è sicuramente una preghiera, ma è uno stile di vita.

Attraverso il Padre nostro Gesù ci insegna non delle parole belle con cui ci rivolgiamo al Padre, ma una relazione nuova con Dio.

Il Padre nostro è il condensato scritto di quella che deve essere la nostra relazione interiore, cioè proprio questo legame tipico, affettuoso tra un figlio e un Padre, anche se questo Padre è quello eterno e infinito.

Allora io non voglio dire che il Padre nostro non sia una preghiera, dico che è sicuramente una preghiera, ma è molto di più di una preghiera, perché in questo che viene espresso da Gesù c'è tutto il condensato di quello che dovrebbe essere la relazione tra la creatura e il creatore.

E spiegare la relazione, come una persona che dice: ecco insegnami a essere una buona mamma.

Non ci sono libri che insegnano alle mamme giovani come devono fare per accudire i figli?

E non vanno da Suora Germana, al Punto Famiglia, per imparare a gestire i rapporti familiari?

È vero? allora qui il Padre nostro è una specie di scuola di vita, ma di vita eterna; una vita eterna che inizia qui sulla terra che dice: dacci oggi il nostro pane quotidiano, nell'aldilà il pane non ci servirà, quindi significa considerare le realtà terrene nella prospettiva della realtà eterna.

Quindi tutto è una relazione, ti insegna a vivere da figlio di Dio.

Allora è chiaro che questo insegnamento è sconvolgente, perché è molto più comodo pensare che Dio sia l'essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra, che se ne sta là; ma Dio è anche provvidenza e provvidenza vuol dire che provvede, che è uno che ti guarda, che è sempre vicino a te e ti accompagna.

Quindi è chiaro che Dio, "el sciaddai", il generoso, è l'Emmanuele quello che sta sempre con noi.

Questa parola è sconvolgente perché se Dio è sempre con noi questo significa che noi abbiamo senso nella misura in cui viviamo la nostra vita con Lui, ecco perché suona scandalo!

Suona scandalo perché significa trascendere la natura umana, significa capire che la nostra peculiarità, la nostra caratteristica principale è che siamo degli esseri trascendentali, che nasciamo nel tempo e nello spazio, ma che abbiamo una profondità molto diversa.

5) Destinati a vivere per sempre

La nostra essenza, il significato del nostro esistere non si conclude qui sulla terra, qui è solo l'antipasto; ciò che ci caratterizza realmente è il fatto che noi siamo destinati a vivere per sempre è questa è una caratteristica divina.

Non siamo eterni, perché eterno è solo Dio nel senso che è sempre esistito e sempre esisterà, però grazie alla misericordia di Dio che ci ha fatti esistere, noi esistiamo per sempre.

Quindi la nostra esistenza è una esistenza che non avrà più termine.

Ha avuto inizio e non avrà mai fine e questo è un mistero grandioso, che ci pervade, ci dà qualche cosa di sconvolgente sapere che noi, proprio noi siamo destinati a vivere per sempre, in modi diversi, ma per sempre.

Capisci bene che la tua individualità, il tuo DNA sarà santificato, ma sarai sempre tu nella risurrezione dei corpi.

Avrai il tuo corpo, che sarà nella perfezione del progetto di Dio.

Non porterai gli occhiali forse, non ti serviranno più, non avrai gli acciacchi, starai benissimo, però sarai sempre tu perché Dio ha voluto nella creazione che tu avessi quelle caratteristiche, che saranno glorificate, santificate, spiritualizzate, tutto quello che vuoi; poi però sarai sempre tu.

La tua individualità non viene misconosciuta, non viene distrutto l'unicità della tua creaturalità, quello che tu sei nessuno te lo stravolgerà, neppure Dio specialmente Dio non te lo stravolgerà.

Perché è Lui che ha voluto farti esistere con quelle caratteristiche specifiche, e quelle caratteristiche specifiche non sono affatto un limite, sono un pregio.

Sei unico e irripetibile e, proprio nella tua unicità e irripetibilità, si caratterizza l'assomiglianza con Dio che è unico; anche tu sei unico non ce ne è uno uguale a te in tutti i miliardi di persone che sono esistite, da quando esiste l'universo a fin quando finirà l'universo.

Non ce n'è uno che sarà come te, tu sei unico e irripetibile, come Dio è unico è totalmente unico è l'Unico.

Allora in questo unico si caratterizza la specificità e il nostro essere irripetibile e tutte le caratteristiche che ci individuano costituiscono non un limite ma un pregio dello splendore della gloria di Dio.

L'esempio che ci aiuta a capire è l'esempio del brillante; se il diamante non viene tagliato nel modo giusto con tutte le sue sfaccettature non brilla, se mancano delle sfaccettature al diamante quel diamante non brilla come brillerebbe il brillante e quindi non sarà chiamato brillante!

Allora cosa vuol dire? Che noi siamo un'unica realtà in Gesù Cristo, ma tutti noi siamo chiamati ad avere la nostra caratteristica speciale, perché la gloria di Dio si manifesti, sia splendente; allora è chiaro che tutto questo suona come follia e scandalo.

6) Siamo un'unica realtà il Gesù Cristo, ma tutti con le nostre caratterisitiche

Non è l'appiattimento dell'individuo invece è la valorizzazione di ogni individuo, ma nella misura in cui si costituisce una unità perfetta e l'unità perfetta non è una fusione, ma è comunione.

Una fusione vuol dire che io perdo le mie caratteristiche in favore degli altri, la comunione è che io metto le mie caratteristiche al servizio di quelle degli altri: questo è il corpo di Cristo!

Tutto quello che Dio ha dato a me confluisce in questo corpo di Cristo dove sussiste la pienezza della gloria.

È chiaro che un mistero di questo genere ha inizio qui sulla terra e compimento ce l'ha solo nell'eternità.

Per questo il questo progetto di Dio suscita per tutti coloro che hanno una visione puramente orizzontale, è scandalo e follia, perché il punto di vista di ragionamento di chi ha una visione orizzontale non è nei cieli, è sulla terra.

C'è quindi una prospettiva puramente umana, razionalmente realizzabile, solo con dei mezzi umani.

Allora, da questo punto di vista, hanno ragione i materialisti; ma chi accoglie la Rivelazione capisce che l'essere umano non è semplicemente un composto di psiche e di corpo.

L'essere umano è anche spirito, cioè creato direttamente da Dio in quella caratteristica che non finirà mai di esistere, per tutta l'eternità.

Ci siamo fino a qui? Allora dice alcune cose importanti il Santo Padre: Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire, non come uno che possiede ricchezze, ma accettando di essere respinto dalla maggioranza del popolo.

7) Tu sei nel Cristo e Cristo è in te, quindi tu devi manifestarlo

Gesù, il Cristo: che cos'è adesso Gesù il Cristo?

La Chiesa, quindi vuol dire che tu sei il Cristo, per quanto ti possa sembrare troppo grande, troppo bello troppo santo, che questa cosa possa coinvolgere anche te.

La realtà è questa, che tu sei nel Cristo e Cristo è in te, quindi tutto ciò che è in Cristo deve manifestarsi in te.

Tu fai parte del suo corpo.

Se la testa è da una parte il suo corpo non può essere dall'altra, dove è il capo sono anche le membra.

Il capo è nella gloria, le membra sono destinate alla gloria.

Prima di passare dalla gloria il capo è venuto con questa caratteristica: non per essere servito, ma per servire.

Allora il battezzato non è che possa dire: io posso scegliere una strada o un'altra, no!

Quella è la tua essenza, uno che nasce uomo o che nasce donna non può dire: ma io faccio un'altra cosa.

Quando questo succede sono dei casi particolari, patologici, di strutturazione mentale, di vizio insomma; ci sono tante concause, che ora non esaminiamo, perché sono dei problemi di morale speciale.

Ma tenete presente questo: se uno è bianco non è rosso, giusto?

Allora se tu sei il corpo di Cristo, in teoria non dovresti essere il corpo di satana.

8) Servi inutili

Allora se tu sei il corpo di Cristo anche tu sei chiamato a fare il tuo dovere, niente di più.

Quando avrete fatto tutto quello che vi compete non dite siamo importanti, dite: siamo servi inutili.

Dove "inutili" non vuol dire superflui, vuol dire che non ti devi montare la testa, non devi credere di essere migliore degli altri, che quando hai fatto tutto ciò che ti compete, come essere umano redento e salvato da Gesù Cristo, non è che tu abbia fatto di più degli altri, hai fatto la cosa normale e tutti dovrebbero fare così.

Se gli altri non lo fanno, questo non ti da il diritto di dirti migliore, perché tu hai fatto solo il tuo dovere.

E quanto è utile, fratelli miei, questa espressione di Gesù, perché è capace di tenerci molto nell'umiltà.

San Paolo si lamentava che aveva pregato tre volte, perché il Signore gli togliesse una spina dalla carne, vi ricordate?

Cioè io subisco questa spina nella carne come un inviato di satana che mi schiaffeggia, perché?

Dice san Paolo. Il Signore mi ha risposto: ti basti la mia grazia, e in modo tale che io non crescessi nell'orgoglio.

Tenete presente che questa frase del Signore "avete fatto solo il vostro dovere" è molto utile perché noi non ci ammaliamo di buonismo, che è una grande malattia; siamo buoni, uh!

Quanto siamo bravi, noi andiamo a leggere in chiesa ecc.

9) Servire? Capire il proprio posto nella Chiesa, capire la nostra vocazione

Attenzione, non per essere servito, ma per servire.

Che cosa significa servire? Significa trovare il proprio posto nella Chiesa, più semplice ancora capire la vocazione: qual è la tua chiamata?

Che cosa si aspetta da te Dio? Qual è la vita per la quale tu sei nato?

Allora ci sono quelli che sono nati per la vocazione matrimoniale, ci sono quelli che sono nati per la vocazione di speciale consacrazione laicale, per esempio come l'istituto secolare dell'Unione Catechisti che ci ospita e ha organizzato questo corso, come pure altri Istituti.

C'è la vita di speciale consacrazione che è quella religiosa; oppure il sacramento dell'ordine diaconale che è il servizio della parola di Dio e dei sacramenti.

Non tutti sono chiamati a compiere lo stesso servizio, c'è collaborazione c'è integrazione, ma ognuno deve portare il proprio apporto, una cosa non è l'altra.

Servire significa mettersi a disposizione: Signore che vuoi che io faccia per te?

Intanto siete venuti per approfondire il discorso cristiano in vista di una preparazione ad un servizio nella Chiesa, che è il servizio della catechesi e dell'evangelizzazione, quindi voi avete risposto a questa chiamata, almeno a questa, non è l'unica chiamata.

Essere disposti a servire non significa avere un'unica chiamata e basta.

C'è la chiamata generale, nella quale sono inserite tutte le altre chiamate quotidiane.

Sei chiamato a servire il Cristo e tu dici sì, io servirò il Cristo, quindi prepara il bollito!

Sembra che non abbia un nesso, vero? Eppure Marta e Maria servivano il Cristo, e pure le pie donne servivano il Signore: la Giovanna, la Susanna, la moglie di Cusa l'amministratore di Erode, le donne li servivano con i loro beni le loro capacità.

Cosa facevano i discepoli? Facevano anche loro altri servizi, non solo ascoltavano: come le donne, mica solo ascoltavano, mica le mettevano da parte quando Gesù stava parlando.

Erano lì tutti insieme, i discepoli avevano con sé le loro famiglie, c'erano anche le discepole, che non venivano chiamate discepole; che in quella cultura non era possibile ipotizzare che una donna potesse essere discepola di un maestro!

Di fatto però, ascoltando Gesù, seguivano Gesù in tutto quello che Lui faceva.

Si mettevano al servizio i discepoli. E gli apostoli, facevano servizio d'ordine?

Non ci avete mai pensato? Lo stringevano da ogni parte, Lui non poteva neanche più muoversi e una donna lo toccò: ma, Maestro, non vedi che tutti ti toccano, non puoi dire: chi mi ha toccato?

10) Chiamata generale e chiamate particolari quotidiane

Quindi vedete ci sono varietà di servizi, ma sono dei servizi di una risposta particolare.

La risposta generale è stata alla domanda: vieni e seguimi.

Chiamata generale, che poi si concretizza in tante chiamate particolari ogni giorno e così è per ciascuno di noi.

La chiamata generale è lo stato di vita che hai abbracciato.

In quello stato di vita si inserisce il servizio a Dio nella Chiesa; è un servizio a Dio che tu espleti nella famiglia, tra i tuoi conoscenti, ma anche ufficialmente nella comunità cristiana, quando sei chiamato a compiere un servizio a favore di tutta la comunità.

Quando sei chiamato a essere catechista è un servizio che tu compi in risposta a una chiamata che hai ricevuto, all'interno della comunità cristiana, che è la Chiesa.

E quindi tu sei lì per servire, non per farti bello, non per vantarti: quanti servizi meravigliosi sono stati rovinati dalla vanagloria, dall'orgoglio di sentirsi qualcuno, di sentirsi importanti, di sentirsi migliori degli altri.

11) Il nostro primo servizio è di tipo mistico: piacere a Dio

Il vero servizio è un servizio di tipo mistico, cosa significa quando dico quest'espressione?

Significa che il tuo primo servizio è quello di piacere a Dio, quello di seguire Lui, quello di aver con Lui un rapporto di simpatia, di preferenza, di comunione, di gioia, di affetto con Lui e da questo rapporto affettuoso di fede, di dipendenza, di sottomissione al Signore scaturisce il modo di servire i tuoi fratelli.

Se manca il primo aspetto, cioè il coltivare questa dipendenza, questo amore con il Signore, per il Signore, nel Signore, allora anche il resto del servizio risulterà arido e cioè tutti capiranno, ma anche tu dopo un poco lo capirai, che non lo stai facendo per il Signore, ma lo stai facendo per te stesso.

Sai come si chiama questo atteggiamento di non fare le cose per Dio, ma per noi stessi?

Volete che vi dica la brutta parola? Empietà.

Non vivere per Dio, ma vivere per noi stessi, significa non agire per il Signore, ma per la nostra gloria.

 

12) L'empietà. Lettera ai romani, ( Rm 4,7ss ).

Potete leggere nel cap. 1 della lettera ai Romani, versetto 17 in poi, ( Rm 1,17s )tutto quello che San Paolo dice a riguardo dell'empietà: è terrificante.

Però, se voi guardate bene è proprio una fotografia del tempo che stiamo vivendo.

Non ve lo dico, perché voglio che siate curiosi voi e andarvi a leggere che cosa dice riguardo dell'empietà, di quando gli uomini che invece di dare gloria a Dio hanno dato la gloria alle creature e ne hanno fatto degli idoli, hanno dato gloria a se stessi e provate a vedere quante conseguenze scaturiscono da questo fatto e ditemi se quello che leggerete lì, non corrisponde a quanto vediamo intorno a noi quotidianamente.

Quindi se uno viene per servire è una persona che non possiede le ricchezze, allora noi non possiamo servire il Signore perché siamo ricchi, è vero?

Possedere le ricchezze significa avere l'autorità assoluta su queste ricchezze, significa qualcosa di parallelo all'empietà, usufruire delle ricchezze solo per noi stessi.

Dio non vuole la nostra inedia, non vuole che noi moriamo di fame che andiamo a dormire sotto un ponte; nella scrittura troveremo esattamente il contrario, le benedizioni di Dio sono sempre per la nostra prosperità, ci siamo fino a qui?

Ma la prosperità fine a se stessa sono una prigione; vi ricordate: bene, ho fatto dei grandi raccolti, cosa farò demolirò i miei magazzini per costruirne altri più grandi e poi dopo mi godrò la vita e Gesù dice, stolto questa notte stessa ti sarà chiesta l'anima!

Oppure il ricco Epulone che vive solo per se stesso e non vede Lazzaro che sta morendo di fame.

13) Dio ci concede il benessere perché possiamo provvedere ai poveri

Il Signore non vuole che siamo nell'inedia, il Signore vuole che siamo nella grande abbondanza, perché in questo modo possiamo essere somiglianti a Lui nell'essere provvidenti; se siamo chiamati a essere immagine e somiglianza in tutto, Dio è provvidenza, provvede ai passeri del cielo, Dio ci concede benessere perché noi possiamo provvedere ai poveri.

Perché nel mondo debbono esserci due classi di persone: i poveri, che sempre devono ricevere, e i ricchi privilegiati che sempre devono dare.

Dio vuole che tutti siano nell'abbondanza, ma perché tutti siano nell'abbondanza è necessario che tu non possieda le tue ricchezze, ma che tu faccia parte delle tue ricchezze agli altri, proprio come avveniva nelle prime comunità.

Il Signore non ti dice che ti devi spogliare di tutto, ma devi condividere, che significa non possedere; se tu possiedi non condividi, dici tutto mio; se tu condividi dici tutto nostro, capite dov'è la differenza? È sostanziale.

Tutto questo si oppone all'ottica tipica dello sfruttamento della ricchezza che invece stiamo vivendo.

Questi concetti mettere Dio al primo posto e non il denaro non la vanagloria ecc. si oppone alla mentalità di questo secolo come di tutti i secoli, perché l'uomo è sempre l'uomo e allora questo produrrà sicuramente un atteggiamento di ripulsione nei nostri confronti.

14) Siamo chiamati ad avere una meta fissa e a fare un cammino d'emarginazione

Gesù sapeva tutto questo ed è venuto sulla terra non per piacere agli uomini ma per essere la verità del Padre cioè come Dio aveva sognato che fossero gli uomini e quindi questo atteggiamento produce sicuramente emarginazione.

Se tu non sei emarginato non hai mai subito persecuzioni per il nome di Gesù vuol dire che tu vivi secondo il mondo, se tu sei capace di vivere secondo il nome di Gesù, allora andrai anche contro corrente.

Se segui sempre la corrente non è detto che tu stia seguendo la strada di Dio, perché la strada di Dio va in salita, la corrente va in discesa, non ho mai visto un fiume che va in salita!

Allora questo vuol dire che tu sei chiamato ad avere una meta fissa di fronte a te e a fare di tutto che tutto in te sia collegato a quel fine da raggiungere, questo è il cammino che produce emarginazione e perché è faticoso fa sudare e le persone non hanno mica voglia di sudare.

Vogliono apparire, non gli interessa che cambi qualcosa sostanzialmente dentro.

Dunque teniamo presente che Gesù è venuto per questi motivi e noi in Gesù se siamo con Lui una cosa sola non possiamo essere qui per altri motivi e se no siamo empi, non viviamo per Lui ma per noi stessi.



  • CHARLES DE FOCAULD

Tra i musulmani "armato" di Gesù Eucarestia

«Lasceremo il Creatore per andare alle creature? Gesù basta: là dove Egli è, niente manca». Animato da questo amore il beato Charles de Focauld, di cui ieri la Chiesa ha fatto memoria, ha speso la sua vita in solitudine e povertà per portare beduini e Tuareg a Cristo.

Nato a Strasburgo il 15 settembre 1858 in una famiglia aristocratica, orfano molto giovane, allevato dai nonni materni, eredita ingente fortuna che gli permette una vita spensierata, da libertino amante di gesti stravaganti. 
Dopo alcuni anni di vita militare abbandona l’esercito e prepara un viaggio esplorativo nel sud del Marocco, zona assolutamente vietata agli occidentali. Stabilitosi ad Algeri per imparare l’arabo, trova come guida un anziano mercante e rabbino ebreo, si traveste anche lui da rabbino e riesce ad attraversare una zona mai visitata da europei, facendo importanti rilievi antropologici, linguistici ma soprattutto geografici. 

Convertitosi nell’ottobre 1886, vive intensamente un pellegrinaggio in Terra Santa dove sente la vocazione ad una vita religiosa, solitaria e povera. Soggiorna prima presso i benedettini di Solesmes, poi nelle trappe di Soligny e Nostra Signora di Ardèche e infine presso i gesuiti di Clamart. A 32 anni entra nella trappa di Notre-Dame-des-Neiges con il nome di fratel Alberico Maria e pochi mesi dopo parte per la trappa di Cheikhlé in Armenia dove rimane per sei anni.
Sente sempre più forte il bisogno della preghiera, della povertà più assoluta, del silenzio e del nascondimento sull’esempio di Gesù a Nazareth e così nel 1897 chiede e ottiene di uscire dall’Ordine. Torna in Terra Santa e si stabilisce presso le clarisse a Nazareth, dove fa di tutto: falegname, fattorino, giardiniere, segretario vivendo il più nascosto possibile in cambio del puro mantenimento.

Nel 1899 decide di prendere il nome di fratel Carlo di Gesù che manterrà fino alla morte e finisce di scrivere la Regola di un ipotetico ordine religioso in cui si ispira a sant’Agostino. Ordinato sacerdote a 43 anni, parte per l’Algeria, stabilendosi a Beni Abbès, nel Sahara, con la speranza di penetrare in Marocco per portare a quella gente la presenza di Gesù sacramentato. 

Le sue esperienze giovanili, la frequentazione di arabi e berberi lo hanno convinto che non è pensabile un’opera di conversione attraverso forme di proselitismo: troppo lontani i due mondi! Solo con la dolce presenza di Gesù e con la lenta acquisizione della loro lingua, dei loro usi e costumi, della loro struttura sociale, solo entrando in confidenza con loro, solo conquistando la loro fiducia sarà possibile far loro conoscere il cristianesimo. E allora che cosa possiamo fare? È lui che scrive «in che modo possiamo unire a noi questa gente? Civilizzandola [il termine tipico dell’epoca nasconde però un significato diverso], facendo per questa gente ciò che vorremmo si facesse a noi; trattandoli con giustizia e bontà… lavorando per farli progredire al massimo, per elevarli moralmente e intellettualmente quanto più si può, e questo è un dovere di carità. Amare il prossimo come noi  stessi».

Che cosa fa fratel Carlo di Gesù in Algeria? Vive in un’umile capanna, traendo il sostentamento da un piccolo orto che lui stesso coltiva, ma soprattutto, quando può, celebra la S. Messa, conserva il SS. Sacramento, accoglie la gente di passaggio, offre cibo e acqua ai poveri, si scaglia contro l’obbrobrio della schiavitù, talvolta presta cure anche mediche oltre che spirituali, ma soprattutto studia il dialetto dei berberi e la lingua dei Tuareg.

Prima di tutto è convinto che la lingua sia l’unico strumento per penetrare tra queste popolazioni e quindi per anni studia, cerca di catalogare detti e proverbi, scrive un dizionario tuareg-francese e francese-tuareg, raccoglie leggende ed epopee delle varie tribù.
Così facendo ottiene l’amicizia e la stima dell’amenokal Moussa Ag Amastan, gran capo dell’Hoggar, da cui viene spesso consultato anche su delicate questioni politiche nei confronti dei Francesi.

Si rende conto di non poter restare da solo e pensa a dar vita concreta ad una congregazione religiosa il cui progetto era già stato approvato dal suo vescovo: i Piccoli Fratelli di Gesù. Non si ferma e pensa anche ad un ramo femminile, le Piccole Sorelle di Gesù.
Nel 1907 cercherà di dare struttura ad un terz’ordine chiamato Unione dei Fratelli e delle Sorelle del Sacro Cuore di Gesù, laici missionari disposti a vivere in mezzo ai musulmani e testimoniare la fede cristiana.

Il suo grande amore resterà sempre il Cuore di Gesù e la Sua presenza nell’Ostia consacrata, di fronte a cui passa notti intere in preghiera. Scrive «Più si dà al Signore e più Egli rende. Ho creduto di dar tutto lasciando il mondo… ho ricevuto più che non avessi donato». «Gesù si offre per essere compagno per tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il Creatore per andare alle creature? Sì, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca».   
Allo scoppio della Prima guerra mondiale fratel Carlo costruisce una specie di fortino a Tamanrasset per dare rifugio alla popolazione locale in caso di necessità.

Il 1 dicembre 1916, primo venerdì del mese, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, verso le sette di sera, il fortino subisce l’aggressione da parte di 40-45 fellaga(banditi, predoni), aderenti alla confraternita sufi Senussiyya. Contro un pensare comune, non sempre il mondo sufi è pacifico e solo spirituale, talora da un gruppo nato per approfondire il Corano sono nate forme violente che hanno portato i propri membri all’uso delle armi e all’aggressione spesso indiscriminata dell’avversario religioso.
Armati di fucili italiani, attratti dalle riserve conservate nel fortino, costringono fratel Carlo ad uscire, lo legano con le mani e piedi, lo addossano al muro esterno, lo affidano alla custodia del più giovane della banda mentre gli altri si danno al saccheggio. Due soldati di rientro dal loro turno di controllo presso il vicino villaggio si stanno dirigendo verso il fortino, fratel Carlo compie un gesto spontaneo, forse per avvisarli del pericolo. La giovane guardia perde la testa, punta il fucile e spara. Fratel Carlo muore in pochi istanti, da solo come è sempre vissuto, in mezzo (e per loro mano) ai suoi Tuareg, che in ogni modo ha amato e aiutato, lasciando alla Chiesa il suo esempio di abnegazione, di missionarietà innovativa, di lucida analisi della situazione sociale, culturale, storica in cui è vissuto, di santità di vita e di insaziabile amore al Signore Gesù. Ma da quel seme è nata una grande pianta, tale che la famiglia spirituale di Charles de Focauld conta oggi 12 congreegazioni religiose e 8 associazioni di vita spirituale.
Padre Charles de Foucauld è stato beatificato da papa Benedetto XVI il 13 novembre 2005. 



[Modificato da Caterina63 02/12/2017 09:37]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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24/02/2018 09:33
 
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 STATO VEGETATIVO

Mamma muore e papà scrive un libro: "Ti dico la verità"

 


Nel libro si narra la storia di Luca e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia aveva poco più di sei mesi e morta dopo quattro anni. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio.


“Ti dico la verità”, è una lettera ad un figlio, un lascito a sé, una memoria del tempo, il grido di dolore e di salvezza che un uomo ferito è riuscito a pronunciare. Nel libro edito da Lindau e scritto da Paola Turroni, si narra la storia di Luca Nisoli e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia, il loro figlio, aveva poco più di sei mesi, e morta dopo quattro anni.

Luca nel giro di pochissime ore, si è ritrovato a vivere il dramma inesorabile di una moglie costretta in un letto, senza appigli a cui aggrapparsi, con un bambino da gestire, crescere, amare. Con fatica, questo giovane uomo si è rialzato ed è riuscito a sconfiggere i demoni che ogni notte lo visitavano, perché è riuscito a guardare oltre la propria dimensione personale. Aveva Mattia da crescere, da proteggere, da guardare negli occhi senza negargli mai nulla, senza edulcorare una realtà che non poteva essere celata. Luca ha imparato a diventare padre grazie a Mattia raccontandogli la verità, crescendo con lui, senza aver mai la pretesa di sostituirsi alla madre. 

È una storia quella contenuta in “Ti dico la verità” che richiama tutti noi, a quella semplicità del vivere tipica di quella civiltà novecentesca che il mondo moderno sembra aver cancellato. A muoverlo forse un moto inconscio, neppure razionalizzato a dovere. Istintivo, come molte delle azioni che spesso si è trovato a dover compiere nel frangente di un secondo. Come un saggio naturale, senza costruzioni intellettuali, schemi prestabiliti, metodi indotti. Luca si è mosso con il semplice istinto del buon senso. Proprio come gli uomini di una volta, quando in tempo di guerra o di carestia, senza dotte pretese di salvezza, salvavano. Senza precetti religiosi da osservare, manifestavano il sacro dentro i loro gesti. Questo libro non è nato con la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, per indicare una via od un metodo. Non vi è neppure la tentazione di offrire una scorciatoia, o di edulcorare una verità dura, come solo quella che appartiene alla realtà ci può offrire.

C’è anche una bellezza senza confini nelle pieghe di queste pagine: la forza e la determinazione dell’amore. Quando è iniziata l’avventura che ha portato alla scrittura di questo volume, Luca ha palesato immediatamente una volontà: pubblicare questo libro per fare memoria di sé a stesso, a Mattia, per offrire la possibilità ad altri di confrontarsi con quel dolore di cui l’umanità è piena, per dare la possibilità ad altri padri, madri e figli di sentirsi meno soli dentro il dramma della malattia, della morte, della disperazione.

Ecco allora che le parole possono diventare salvifiche quando sanno incarnare la precarietà che ognuno di noi porta in dote come un bagaglio, una valigia, un macigno da sopportare. “Gli altri” questa è la chiave di lettura. Chi come Luca ha vissuto un’esperienza come quella narrata in queste pagine, ha solo due possibilità: o diventare cinico cercando legittima giustificazione nel dolore che lo ha pervaso, oppure guardare agli altri con lo sguardo di colui che è caduto e si è rialzato ed ora ha la possibilità di capire cosa vuole dire precipitare e salvarsi. 

Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, in un suo libro, “La morte del prossimo” scrive: “L’esperienza del prossimo è evaporata perché è diventato irreale lo spazio in cui la sentivamo”. Ecco, in un piccolo paese della bassa bergamasca, anche questa “sentenza” è stata confutata. Il prossimo accanto a Luca ha prevalso, lo spazio di vita è rimasto reale, concreto, anche duro nella sua cruda verità. Così, accanto alla suggestione di mettere nero su bianco i propri passi, il protagonista del libro ha da subito espresso la volontà di fare in modo che quella prossimità non fosse solamente un’attitudine del cuore, ma si potesse trasformare in qualcosa di concreto, in grado di guardare agli altri, di aiutare chi a differenza sua non ha avuto e non può avvalersi di una famiglia di origine in grado di sostenere la sfida, di reggere le fatiche e la sofferenza.

“Ti dico la verità” dunque si pone due obbiettivi, il primo intrinseco nelle ragioni stesse che caratterizzano qualsiasi pubblicazione, ossia fare cultura, promuovere una narrazione di senso che sappia entrare empaticamente in contatto con il lettore. Il secondo, di carattere sociale, ossia promuovere solidarietà, attraverso un progetto concreto di sostegno a famiglie con bambini e ragazzi che stanno vivendo un periodo di difficoltà dovuto ad avvenimenti simili o comunque affini a quanto è accaduto a Luca e alla sua famiglia. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio, restituendo a noi che la incontriamo una saggezza profonda, a tratti inesorabile, che ci accompagna lungo il loro cammino.





http://www.lanuovabq.it/it/sandra-la-fidanzata-santa-che-vedremo-sugli-altari 

Sandra, la fidanzata santa che vedremo sugli altari
ECCLESIA 26-03-2018

Racchiude tante delle virtù oggi dimenticate e a volte derise dal mondo, Sandra Sabattini, la ragazza per la quale il 6 marzo scorso papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che la dichiara Venerabile. Ecco la sua storia iniziata a 12 anni dopo aver conosciuto don Oreste Benzi. 

 

Racchiude tante delle virtù oggi dimenticate e a volte derise dal mondo, Sandra Sabattini, la ragazza per la quale il 6 marzo scorso papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che la dichiara Venerabile, tappa che precede la possibile beatificazione, la quale diverrà concreta nel caso le venisse attribuito un miracolo. Ma quali sono state le virtù eroiche di questa giovanissima testimone del XX secolo, che molti già chiamano la “fidanzata santa”?

Sandra nasce a Riccione il 19 agosto 1961 da una famiglia profondamente cristiana, che fino ai suoi quattro anni vive a Misano Adriatico: papà Giuseppe, mamma Agnese e il fratellino Raffaele. Con loro si trasferisce poi a Rimini presso la canonica della parrocchia retta dallo zio, don Giuseppe Bonini, respirando ancora di più la fede nei beni celesti, come dimostra il suo diario, scritto dall’età di dieci anni e mezzo, nel quale annota: “La vita vissuta senza Dio è un passatempo, noioso o divertente, con cui giocare in attesa della morte”. Cresce dedicandosi alle attività comuni a molte coetanee: fa sport, suona il pianoforte, canta in un coro, sprizza vita da tutti i pori. Ma dentro di sé va germogliando un carisma fuori dall’ordinario e a 12 anni conosce don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che con il suo esempio di fede incarnata aiuterà Sandra a incamminarsi sulla via della perfezione cristiana.

Nell’estate del 1974 partecipa a un soggiorno estivo sulle Dolomiti, insieme a ragazzi con gravi disabilità. È un’esperienza che la segna, tanto che tornando a casa dirà alla madre: “Ci siamo spezzate le ossa, ma quella è gente che io non abbandonerò mai”. Allo stesso tempo matura una sempre più intensa relazione con Dio. Sandra prende sul serio i Sacramenti, prega, fa compagnia a Gesù nascosto nel tabernacolo, legge i Salmi, medita sulle Sacre Scritture e comprende di dover offrire a Dio la propria miseria. “Signore, sento che Tu mi stai dando una mano per avvicinarmi a Te; mi dai la forza per fare un passo in avanti. Accettarti io vorrei, prima però devo sconfiggere me stessa, il mio orgoglio, le mie falsità. Non ho umiltà e non voglio riconoscerlo, mi lascio condizionare terribilmente dagli altri, ho paura di ciò che possono pensare di me. […] Dio, mi sai accettare così come sono, piena di limiti, paure, speranze?”.

Con questi umanissimi sentimenti, Sandra dedica il suo tempo libero ad aiutare i disabili e i tossicodipendenti assistiti dalla comunità di don Benzi e va a cercare i bisognosi di casa in casa. Nel 1979 arriva il fidanzamento con Guido, conosciuto l’anno prima a una festa di Carnevale: “La prima immagine che ho di lei è mentre sta ballando a quella festa”, ha ricordato lui, che prima di conoscerla viveva la propria fede cristiana quasi come un “tappabuchi filosofico”. Al contrario di Sandra per cui la fede era tutto e perciò andava vissuta in tutto, come nel rapporto casto con il fidanzato, noncurante della cultura sessantottina che aveva pervaso la società. “Fidanzamento: qualcosa di integrante con la vocazione. Ciò che vivo di disponibilità e d’amore nei confronti degli altri, è ciò che vivo anche per Guido”. Nessuno spazio per il libertinaggio di moda, ma solo per una libertà autentica: “Liberi… liberi dalla carne, dalle cose materiali, dalle emozioni, dalle passioni: cioè vivere queste cose senza restarne imbrigliati, per aprirsi a Dio, al suo Amore, che è spazio infinito”.

È la stessa vocazione che spinge Sandra a scegliere di iscriversi alla facoltà di Medicina, una scelta non dettata dal desiderio di carriera bensì maturata dalla ricerca del progetto che Dio ha su di lei, per donarsi totalmente come Lui desidera. Sogna di fare il medico missionario in Africa, nel suo slancio giovanile vorrebbe partire anche subito dopo la maturità scientifica, ma ascolta il padre, che la induce saggiamente a fare un passo alla volta. Del resto, il saper attendere era un suo pregio peculiare: “La verità è che dobbiamo imparare nella fede l’attesa di Dio, e questo non è un piccolo sforzo come atteggiamento dell’anima. Questo attendere, questo non preparare i piani, questo scrutare il cielo, questo fare silenzio è la cosa più interessante che compete a noi. Poi verrà anche l’ora della chiamata, ma ciechi se in tale ora penseremo di essere gli attori di tali meraviglie: la meraviglia semmai è Dio che si serve di noi così miserabili e poveri”.

La mattina del 29 aprile 1984, appena scesa dalla macchina per andare a partecipare a un’assemblea della “Papa Giovanni” con il fidanzato e un amico, viene investita da un’altra auto. La morte arrivò tre giorni dopo, quando non aveva ancora compiuto ventitré anni. Consapevole delle sue virtù, don Benzi si attivò subito, assieme a coloro che avevano avuto la grazia di conoscerla, per chiedere alla Chiesa di aprire un’indagine sulla sua vita esemplare - modello sicuro per ogni giovane - e nel 1985 curò la prima edizione del Diario di Sandra. Durante l’inchiesta diocesana, aperta nel 2006 e conclusa due anni più tardi, sono state ascoltate una sessantina di testimonianze su questa ragazza, che ha vissuto nel mondo con lo sguardo fisso all’eternità. Una ragazza che ringraziava Dio perché “sei con me, è una gioia paragonabile a nessun’altra quella che sento in me” e diceva sicura: “Oggi c’è un’inflazione di buoni cristiani, mentre il mondo ha bisogno di santi”.



[Modificato da Caterina63 28/03/2018 12:07]
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[SM=g1740720] 1 Aprile - Cristo si è fatto simile a noi
Antonio abate, Lettera 6,3


2 Aprile - Perché adoriamo un Cristo crocifisso?
Agostino d’Ippona, Sermone 218/C,3-4


3 Aprile - Cristo è morto per noi
Da un’antica Omelia sul Sabato santo


4 Aprile - Cristo è disceso negli inferi
Da un’antica Omelia sul Sabato santo


5 Aprile - La notte di Pasqua
Asterio di Amasea, 19^ Omelia sul salmo 5: Inno


6 Aprile - Pasqua, luce del nuovo splendore
Ps. Ippolito, Omelia VI sulla Pasqua: Inno


7 Aprile - Inno di Pasqua (I)
Ambrogio di Milano, Inno 9,1-4


8 Aprile - Inno di Pasqua (Il)
Ambrogio di Milano, Inno 9,5-8


9 Aprile - Ecco la gioia dell’Alleluia
Agostino d’Ippona, Sermone 229/B,2


10 Aprile - Cantare la lode di Dio
Cromazio di Aquileia, Sermone 33,1-2


11 Aprile - Pasqua, festa del perdono
Massimo di Torino, Sermoni 53,4


12 Aprile - Egli ci ha preceduto
Agostino d’Ippona, Commento ai Salmi 70,2,10


13 Aprile - Cristo, datore di vita
Giovanni Damasceno, Ochtoéchos,II


14 Aprile - Pasqua tra verità e solennità
Agostino d’Ippona, Sermone 220,1


15 Aprile La nuova infanzia
Massimo di Torino, Sermone 54,1


16 Aprile - Il mondo esulta nella gioia della risurrezione
Giovanni Damasceno, Ochtoéchos, I


17 Aprile - La triplice confessione di Pietro
Cromazio di Aquileia, Sermone 42


18 Aprile - Il corpo della resurrezione
Cirillo di Gerusalemme, catechesi prebattesimali 18, 19-20


19 Aprile - Saremo nuove creature
Agostino d’Ippona, Sermone 212,1


20 Aprile - Cristo ci fa conoscere il Padre
Ireneo di Lione, Contro le eresie 4,6,3


21 Aprile - Il nuovo fermento è Gesù Cristo
Ignazio di Antiochia, Lettera ai Magnesii 10,1-2


22 Aprile - La vita umana è tutta una prova
Agostino d’Ippona, Le Confessioni 10,28


23 Aprile - Cristo è l’unigenito Figlio di Dio
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali 11,4


24 Aprile - Imitate quello che Cristo ha operato
Leone Magno, Sermone 72,4


25 Aprile - La fede della Chiesa
Ireneo di Lione, Contro le eresie 1,10,1


26 Aprile - La lettura del Vangelo, fondamento della 
salvezza Cromazio di Aquileia, Sermone 19,1


27 Aprile - Ricordati di me
Gregorio di Nissa, La vita di Macrina 24


28 Aprile - La menzogna
Doroteo di Gaza, Insegnamenti vari 9,96


29 Aprile - La nostra lotta è contro gli spiriti del male
Agostino d’Ippona, Commento dai Salmi70,1,7


30 Aprile - La fede carismatica
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali 5,10.11





[Modificato da Caterina63 31/03/2018 18:25]
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Il cattolico non praticante


 



Dagli scritti di Don Dolindo Ruotolo.

 

 

Tu dici che sei cattolico, ci tieni a dirlo, massime se parli con persone buone, e mostri subito l'immagine sacra che hai nel portafoglio e la medaglia o l'abitino che porti al collo, dicendo - Io sono più cattolico degli altri. - Ma sai che cosa significa cattolico? Significa Un'anima illuminata dalla Fede, sottomessa al Papa, Vicario di Gesù Cristo, ai Vescovi, ai Sacerdoti, fedele alla Legge di Dio e a quella della Chiesa; un'anima che prega, si unisce a Gesù Cristo nei Sacramenti, ascolta la Messa, loda Dio, esercita la carità, compatisce, perdona, è gelosa della purità, fugge dagli spettacoli immorali e custodisce il suo cuore e la sua lingua dal male.

 

Tu invece? Tu meni una vita disordinata, hai pratiche e relazioni cattive, se ti adiri bestemmi, se hai un torto ti vendichi, se puoi fare un guadagno illecito non te ne fai scrupolo; non vai a Messa, non ascolti mai una predica, non ti confessi, non ti comunichi, lavori di festa, frequenti il cinema, il teatro, il circolo equivoco, la bettola, cadi spesso nell'impurità, sei sboccato nel parlare, ti piacciono le labbra dipinte, le unghie color sangue di porco, le nudità obbrobriose, le avventure indegne... ma che razza di cattolico sei tu?

 

Tu dici: - Io pratico la Fede a modo mio.

 

Dio sta da per tutto, e perciò non è necessario andare in Chiesa. - Guarda un poco che stoltezza dici! Puoi mai esercitare un'arte o una professione a tuo capriccio? E se il Re ha stabilito un luogo speciale per darti udienza, puoi rimanere in casa o oziare sulla strada? Dio è da per tutto, ma in Chiesa ci sta per ascoltarti, per benedirti e per consolarti.

 

La Chiesa è così bella, è un luogo di pace e di raccoglimento, e tu che meni una vita cosi agitata nel mondo, non senti il bisogno di un poco di pace innanzi a Dio? Non sai che nel Santo Tabernacolo Eucaristico ci sta Gesù Cristo, vivo e vero? 

 

(...) Tu dici che pratichi la fede a modo tuo, e che adori Dio e preghi, ma quando? Esamina la tua vita: Ti alzi di letto, e non solo non preghi, ma tante volte gridi, inveisci, bestemmi. Poi vai all'ufficio o al lavoro, o te la passi a leggere il giornale, il romanzo, ecc.

 

Fuori casa non ti ricordi di Dio, dentro ci stai come un cane arrabbiato; mangi, giochi, ti diverti, ti corichi senza neppure una preghiera.

 

Dimmi quand'è che onori Dio?

 

Tu dici: - Io non ho il tempo di andare in Chiesa e di pregare. - Ma il tempo di ciarlare, di leggere, di divertirti, lo trovi. Se devi guadagnare qualche cosa o fare una gita, sai levarti anche di notte, e non sai levarti di letto mezz' ora prima per cominciare la giornata con la S. Messa, ch'è benedizione del tuo lavoro, e con la Comunione, vita ed augurio dell'anima tua? Quanta pace godresti nella tua giornata, cominciandola con la preghiera e terminandola con la visita al Sacramento o col S. Rosario, recitato con la tua famiglia!

 

Tu dici: - Chi è religioso è meno prosperato di chi non lo è. - Non è vero, è un'illusione di satana. Chi veramente ama e serve Dio, è benedetto anche temporalmente, è contento anche del poco e gode la pace ch'è superiore ad ogni prosperità. La casa dei cattivi, pur se è colma di ricchezze, è un inferno. Vale più un tozzo di pane nella pace, che un pranzo abbondante nella discordia. Il poco si moltiplica nelle mani dei buoni, ed il molto si dissipa e si disperde nelle mani dei cattivi. La vita terrena è una prova, ma chi ama e serve Dio, sa di soffrire per godere eternamente, mentre i cattivi soffrono disperandosi nel tempo e nell'eternità.

 

Sii dunque veramente cattolico, fedele e praticante, e la tua vita sarà ricca di pace e di prosperità.

 

La bontà di Dio è ammirabile con quelli che lo amano, ma tu non andare a Lui per un fine interessato; amalo perchè ti è Padre, adoralo perchè è tuo Creatore, cerca il suo regno e la sua giustizia, ed Egli non ti farà mancare mai il necessario. Se a volte permette che tu sia tribolato, lo permette per farti scontare i peccati, per allontanarti dai pericoli dell'anima, per farti ricordare di Lui ed aspirare alla vita eterna. Anche la mamma castiga il suo figliuolo per correggerlo e gli dà la medicina amara per risanarlo.

 

 

(Brano tratto da "Per il tuo interesse e per la tua vita", di Don Dolindo Ruotolo, Apostolato Stampa).



[Modificato da Caterina63 16/05/2018 21:20]
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I SOGNI DI DON BOSCO


GENNAIO


«Ecco il tuo campo...» 
Alla tenera età di 9 anni don Bosco ha il suo primo sogno. In esso Gesù e la Vergine gli preannunziano, sebbene in forma velata, la sua futura missione. Vede una folla di ragazzi che si trasforma in animali feroci. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare» gli dice la Madonna. «Renditi umile, forte e robusto, e ciò che ora vedrai succedere di questi animali tu dovrai farlo per i miei figli». In quell'istante gli animali feroci si trasformano in agnelli mansueti. «A suo tempo, tutto comprenderai» conclude la Vergine.

La strenna 
La spiritualità cristiana ha come centro la carità, ossia la vita stessa di Dio, che nella sua realtà più profonda è Agape, Carità, Amore. La spiritualità salesiana non è diversa dalla spiritualità cristiana; anch'essa è centrata nella carità in questo caso si tratta della "carità pastorale", ossia quella carità che ci spinge a cercare "la gloria di Dio e la salvezza delle anime". 


 

FEBBRAIO


Il sogno delle due colonne 
Don Bosco si trova nel bel mezzo di una forsennata battaglia navale: una flotta di navi da guerra assedia una nave molto più grande e alta di tutte. Quando sembra che stia per soccombere la grande nave si rifugia in mezzo a due robuste colonne, altissime, che sorgono in mezzo al mare. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, sull'altra, che è molto più alta e grossa, sta un'ostia. Il comandante supremo della grande nave, che è il Papa, la incatena alle due colonne.

La strenna 
La carità ha bisogno di alimentarsi con la preghiera e fondarsi su di essa, guardando al Cuore di Cristo, imitando il Buon Pastore, meditando la Sacra Scrittura, vivendo l'Eucaristia, dando spazio alla preghiera personale, assumendo la mentalità del servizio ai giovani. 



 

MARZO


Un pergolato di rose 
Don Bosco in sogno si trovò in un magnifico pergolato coperto di rose, che però celavano spine che lo straziavano. Alla fine del pergolato, si trovò con i suoi pochi seguaci, tutti dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Apparve la Madonna che disse: «La via tra le rose e le spine significa la cura della gioventù. Le rose sono simbolo della carità ardente che deve distinguere te e tutti i tuoi. Le spine significano gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e la mortificazione tutto supererete».

La strenna 
L'elemento tipico della carità pastorale è l'annuncio del Vangelo, l'educazione alla fede, la formazione della comunità cristiana, la lievitazione evangelica dell'ambiente. 



 

APRILE


Visione di san Domenico Savio 
Gli apparve in sogno il suo allievo prediletto, san Domenico Savio, a capo di una schiera di giovani e gli mostrò un magnifico mazzo di fiori: «La rosa simboleggia la carità, la viola l'umiltà, il girasole l'ubbidienza, la genziana la penitenza, il giglio la purezza, le spighe la Comunione frequente, la sempreviva la perseveranza». «Dimmi che cosa ti consolò di più in punto di morte?» chiese don Bosco. «L'assistenza della potente e amabile Madre di Dio. Dillo ai tuoi figli, che non dimentichino di pregarla finché sono in vita».

La strenna 
Nel tempo si è sviluppata pure una spiritualità giovanile salesiana. Pensiamo, oltre alle tre biografie dei giovani Michele Magone, Domenico Savio e Francesco Besucco, scritte da don Bosco, alle pagine che gli indirizza attraverso il "Giovane provveduto" ai giovani stessi, alle Compagnie, al Movimento Giovanile Salesiano. 


 

MAGGIO


Una stupenda e alta chiesa 
In questo sogno una Pastorella mostrò a don Bosco una grande chiesa. Nell'interno di quella chiesa c'era una fascia bianca su cui a caratteri cubitali stava scritto: Hic domus mea, inde gloria mea (Qui la mia casa, di qui la mia gloria) e indicando un terreno coltivato, aggiunse: «In questo luogo, io voglio che Dio sia onorato in modo specialissimo». «Vidi poi una grandissima chiesa (l'attuale Maria Ausiliatrice), precisamente nel luogo dove aveva posato il piede la Madonna, con molti edifici tutto all'intorno e con un bel monumento in mezzo» spiegò don Bosco.

La strenna 
Il punto di partenza dell'esperienza spirituale di don Bosco è "la gloria di Dio e la salvezza delle anime" ciò è stato da lui formulato nel suo programma di vita "da mihi animas, cetera tolle". 



 

GIUGNO


Il Papa al Colle don Bosco 
Ecco il sogno che don Bosco fece nell'aprile del 1876: «Mi parve di trovarmi al mio paese, e colà vidi giungere il Papa. Comparve una carrozza, ma senza cavalli. Tirata da tre bestie: un cane, una capra e una pecora. Io non potevo persuadermi che fosse lui; perciò gli chiesi: «Come? non avete la carrozza, Padre Santo?» 
«La mia carrozza è la fedeltà, la fortezza e la dolcezza». (Nell'agosto del 1988, per la prima volta un papa, Giovanni Paolo II, salì al Colle don Bosco.)

La strenna 
La spiritualità salesiana ha bisogno di essere vissuta secondo la vocazione che ognuno ha ricevuto da Dio. Riconosciamo i tratti spirituali comuni dei vari gruppi della Famiglia salesiana, indicati nella "Carta di identità" facciamo conoscere i testimoni della santità salesiana; invochiamo l'intercessione dei nostri Beati, Venerabili e Servi di Dio e chiediamo la grazia della loro canonizzazione. 


 

LUGLIO


La fede: nostro scudo e nostra vittoria 
Gli apparve in sogno un gigantesco leone seguito da altre bestie feroci, che assalirono don Bosco e i suoi giovani. Udirono la voce della Madonna che cantava le parole di san Paolo: «Imbracciate lo scudo invincibile della fede». Apparvero dei giovani alati che fornirono a tutti degli scudi risplendenti. Una voce potente gridò: «Combattete!». Lunga fu la battaglia. Finalmente si udì la voce della Madonna: «Questa è la vittoria che vince il mondo: la vostra fede». A questa voce quella moltitudine di belve, spaventata, si diede a precipitosa fuga e scomparve.

La strenna 
La radice profonda della Spiritualità salesiana è l'unione con Dio, come espressione della vita teologale che si sviluppa con la fede, la speranza e la carità, e dello spirito di autentica pietà. Questa esperienza si traduce in azioni visibili; senza le opere la fede è morta e senza la fede le opere sono vuote. Infine essa ha come punto di arrivo la santità: la santità è possibile a tutti, dipende dalla nostra cooperazione con la grazia. 


 

AGOSTO


L'inondazione e la zattera salvatrice 
Don Bosco sognò di trovarsi con i suoi giovani in una spaventosa inondazione, si rifugiarono su una grande zattera. «Quando tutti furono sulla barca - racconta don Bosco - presi il comando di capitano e dissi ai giovani: «Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida». Dopo una navigazione piena di pericoli, la zattera approdò ad una spiaggia su cui si ergeva una magnifica statua di Maria Ausiliatrice, che aprì le braccia in segno di protezione e disse: «Se voi sarete per me figliuoli devoti, io sarò per voi Madre amorosa».

La strenna 
Come tutti i grandi santi fondatori, Don Bosco ha vissuto la vita cristiana con una ardente carità e ha contemplato il Signore Gesù da una prospettiva particolare, quella del carisma che Dio gli ha affidato, ossia la missione giovanile. 



 

SETTEMBRE


«Abbine cura: sono mie figlie» 
Don Bosco sognò di trovarsi con la Marchesa Barolo che gli disse: «Lei si occupi dei giovani, e lasci a me le ragazze». Rispose: «Nostro Signore ha redento tutti, ragazzi e ragazze». Allora vide un gran numero di ragazze che parevano abbandonate a se stesse. E lo supplicavano di prendersi cura di loro. Apparve una nobile Signora che lo incoraggiava ad appagare il loro desiderio. E mentre pareva che scomparisse di mezzo a loro, gli diceva: «Abbine cura: sono mie figlie!».

La strenna 
Alla base di tutto, quale sorgente della fecondità della sua azione e della sua attualità, c'è qualche cosa che spesso sfugge anche a noi, suoi figli e figlie: la profonda vita interiore, quella che si potrebbe chiamare la sua "familiarità" con Dio. Chissà che non sia proprio questo il meglio che di lui abbiamo per poterlo invocare, imitare, seguire per incontrare il Cristo e farlo incontrare ai giovani. 


 

OTTOBRE


I sogni missionari 
Sognò un immenso gregge guidato da una Pastorella che con un sorriso fece venire attorno a don Bosco i ragazzi, e gli disse: «Guarda, che cosa vedi?». «Scorgo montagne, poi mare e altri monti e mari» rispose don Bosco. «Bene» approvò la nobile e stupenda Pastorella, che sembrava la Mamma di tutti quei giovani. Poi aggiunse: «Ora, tira una sola linea da un'estremità all'altra, da Pechino a Santiago; fa' centro nel mezzo dell'Africa, e avrai un'idea esatta di quanto dovranno fare i tuoi salesiani».

La strenna 
Il teologo P. Dominique Chenu, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva di indicargli alcuni santi portatori di un messaggio di attualità per i nuovi tempi, rispondeva: "Mi piace ricordare, anzitutto, colui che ha precorso il Concilio di un secolo, don Bosco. Egli è già, profeticamente, un modello di santità per la sua opera che è rottura con un modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei". 


 

NOVEMBRE


Don Bosco sogna sua madre 
Sognò Mamma Margherita. Il suo aspetto era bellissimo: splendente, ornata di una veste preziosissima. Poi si mise a cantare. Il suo canto d'amore a Dio, di una inesprimibile dolcezza, andava diritto al cuore. Don Bosco, a quella soavissima melodia, rimase come fuor di sé e non seppe più che cosa dire e domandare a sua madre. Margherita, quando ebbe finito il canto, si rivolse a lui dicendo: «Ti aspetto, perché noi due dobbiamo stare sempre insieme».

La strenna 
I gruppi della Famiglia salesiana coinvolgono numerosi laici nella loro missione. Siamo consapevoli che non vi può essere un coinvolgimento pieno, se non c'è anche una condivisione dello stesso spirito. Comunicare la spiritualità salesiana ai laici corresponsabili con noi dell'azione educativa pastorale diventa un impegno fondamentale. 



DICEMBRE


Il trionfo della Congregazione 
Don Bosco si trovò su un alto macigno circondato da una folla immensa di giovani. Una guida gli disse: «Vedi quanto è immensa la messe? I Salesiani non solo in questo secolo, ma anche nei secoli futuri lavoreranno nel proprio campo. Ma sai a quali condizioni? Bisogna che tu faccia stampare queste parole che saranno come la vostra parola d'ordine, il vostro distintivo: Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la congregazione. Queste parole sono l'eredità che tu lasci alla Congregazione, e nello stesso tempo ne saranno anche la gloria».

La strenna 
«Il santo è l'uomo nel quale il naturale sconfina nel soprannaturale e il soprannaturale è presente in don Bosco in misura notevole. Per noi non ci sono dubbi: il vero santo dell'Italia moderna è don Bosco» (Walter Nigg, pastore luterano e professore di Storia della Chiesa all'Università di Zurigo).


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[Modificato da Caterina63 08/01/2019 13:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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