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Magistero integrale di Benedetto XVI per la Settima di Preghiera unità Cristiani

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2017 11:48
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13/01/2017 11:18
 
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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 gennaio 2009

 

Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle!

Domenica scorsa è iniziata la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che si concluderà domenica prossima, festa della Conversione di san Paolo apostolo. Si tratta di una iniziativa spirituale quanto mai preziosa, che va estendendosi sempre più tra i cristiani, in sintonia e, potremmo dire, in risposta all’accorata invocazione che Gesù rivolse al Padre nel Cenacolo, prima della sua Passione: “Che siano una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21). Ben quattro volte, in questa preghiera sacerdotale, il Signore chiede che i suoi discepoli siano “una cosa sola”, secondo l’immagine dell’unità tra il Padre e il Figlio. Si tratta di una unità che può crescere soltanto sull’esempio del donarsi del Figlio al Padre, cioè uscendo da sé e unendosi a Cristo. Due volte, inoltre, in questa preghiera, Gesù aggiunge come scopo di questa unità: perché il mondo creda. La piena unità è quindi connessa alla vita e alla missione stessa della Chiesa nel mondo. Essa deve vivere una unità che può derivare solo dalla sua unità con Cristo, con la sua trascendenza, quale segno che Cristo è la verità. E’ questa la nostra responsabilità: che sia visibile nel mondo il dono di una unità in virtù della quale si renda credibile la nostra fede. Per questo è importante che ogni comunità cristiana prenda consapevolezza dell’urgenza di operare in tutti i modi possibili per giungere a questo obiettivo grande. Ma, sapendo che l’unità è innanzitutto “dono” del Signore, occorre al tempo stesso implorarla con instancabile e fiduciosa preghiera. Solo uscendo da noi e andando verso Cristo, solo nella relazione con Lui possiamo diventare realmente uniti tra di noi. E’ questo l’invito che, con la presente “Settimana”, viene rivolto ai credenti in Cristo di ogni Chiesa e Comunità ecclesiale; ad esso, cari fratelli e sorelle, rispondiamo con pronta generosità.

Quest’anno, la “Settimana di preghiera per l’unità” propone alla nostra meditazione e preghiera queste parole tratte dal libro del profeta Ezechiele: “Che formino una cosa sola nella tua mano” (37,17). Il tema è stato scelto da un gruppo ecumenico della Corea, e riveduto poi per la divulgazione internazionale dal Comitato Misto per la Preghiera formato da rappresentanti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra. Il processo stesso di preparazione è stato un fecondo e stimolante esercizio di vero ecumenismo.

Nel brano del libro del profeta Ezechiele, da cui è tratto il tema, il Signore ordina al profeta di prendere due legni, uno come simbolo di Giuda e delle sue tribù e l’altro come simbolo di Giuseppe e di tutta la casa d’Israele unita a lui, e gli chiede di “accostarli”, in modo da formare un solo legno, “una cosa sola” nella sua mano. Trasparente è la parabola dell’unità. Ai “figli del popolo”, che domanderanno spiegazione, Ezechiele, illuminato dall’Alto, dirà che il Signore stesso prende i due legni e li accosta, in modo che i due regni con le rispettive tribù, tra loro divise, diventino “una cosa sola nella sua mano”. La mano del profeta, che accosta i due legni, viene considerata come la mano stessa di Dio che raccoglie e unifica il suo popolo e finalmente l’intera umanità. Possiamo applicare le parole del profeta ai cristiani, nel senso di un’esortazione a pregare, a lavorare facendo tutto il possibile perché si compia l’unità di tutti i discepoli di Cristo, a lavorare affinché la nostra mano sia strumento della mano unificante di Dio. Questa esortazione diventa particolarmente commovente ed accorata nelle parole di Gesù dopo l’Ultima Cena. Il Signore desidera che l’intero suo popolo cammini – e vede in questo la Chiesa del futuro, dei secoli futuri – con pazienza e perseveranza verso il traguardo della piena unità. Impegno questo, che comporta adesione umile e docile obbedienza al comando del Signore, il quale lo benedice e lo rende fecondo. Il profeta Ezechiele ci assicura che sarà proprio Lui, il nostro unico Signore, l’unico Dio, a raccoglierci nella “sua mano”.

Nella seconda parte della lettura biblica si approfondiscono il significato e le condizioni dell’unità delle varie tribù in un solo regno. Nella dispersione tra le genti, gli Israeliti avevano conosciuto culti erronei, avevano maturato concezioni di vita sbagliate, avevano assunto costumi alieni dalla legge divina. Ora il Signore dichiara che non si contamineranno più con gli idoli dei popoli pagani, con i loro abomini, con tutte le loro iniquità (cfr Ez 37, 23). Richiama la necessità di liberarli dal peccato, di purificare il loro cuore. “Li libererò da tutte le ribellioni – afferma –, li purificherò”. E così “saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio” (Ibid.). In questa condizione di rinnovamento interiore, essi “seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi, e le metteranno in pratica”. Ed il testo profetico si conclude con la promessa definitiva e pienamente salvifica: “Farò con loro un’alleanza di pace … Porrò il mio santuario, cioè la mia presenza, in mezzo a loro” (Ez 37,26).

La visione di Ezechiele diviene particolarmente eloquente per l’intero movimento ecumenico, perché pone in luce l’esigenza imprescindibile di un autentico rinnovamento interiore in tutti i componenti del Popolo di Dio che il Signore solo può operare. A questo rinnovamento dobbiamo essere aperti anche noi, perché anche noi, dispersi tra i popoli del mondo, abbiamo imparato usanze molto lontane dalla Parola di Dio. “Siccome ogni rinnovamento della Chiesa – si legge nel Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II - consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione, questa è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità” (UR, 6), cioè la maggiore fedeltà alla vocazione di Dio. Il decreto sottolinea poi la dimensione interiore della conversione del cuore. “Ecumenismo vero – aggiunge - non c’è senza interiore conversione, perché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (UR, 7). La “Settimana di preghiera per l’unità” diviene, in tal modo, per tutti noi stimolo a una conversione sincera e a un ascolto sempre più docile della Parola di Dio, a una fede sempre più profonda.

La “Settimana” è anche occasione propizia per ringraziare il Signore per quanto ha concesso di fare sinora “per accostare”, gli uni agli altri, i cristiani divisi, e le stesse Chiese e Comunità ecclesiali. Questo spirito ha animato la Chiesa cattolica, la quale, nell’anno appena trascorso, ha proseguito, con salda convinzione e radicata speranza, a intrattenere relazioni fraterne e rispettose con tutte le Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente e di Occidente. Nella varietà delle situazioni, talvolta più positive e talora con maggiori difficoltà, si è sforzata di non venire mai meno all’impegno di compiere ogni sforzo tendente alla ricomposizione della piena unità. Le relazioni fra le Chiese e i dialoghi teologici hanno continuato a dare segni di convergenze spirituali incoraggianti. Io stesso ho avuto la gioia di incontrare, qui in Vaticano e nel corso dei miei viaggi apostolici, cristiani provenienti da ogni orizzonte. Ho accolto con viva gioia per tre volte il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I ed, evento straordinario, lo abbiamo sentito prendere la parola, con fraterno calore ecclesiale e con convinta fiducia verso l’avvenire, durante la recente assemblea del Sinodo dei Vescovi. Ho avuto il piacere di ricevere i due Catholicoi della Chiesa Apostolica Armena: Sua Santità Karekin II di Etchmiazin e Sua Santità Aram I di Antelias. E infine ho condiviso il dolore del Patriarcato di Mosca per la dipartita dell’amato fratello in Cristo, il Patriarca Sua Santità Alessio II, e continuo a restare in comunione di preghiera con quei nostri fratelli che si preparano ad eleggere il nuovo Patriarca della loro veneranda e grande Chiesa ortodossa. Ugualmente mi è stato dato di incontrare rappresentanti delle varie Comunioni cristiane di Occidente, con i quali prosegue il confronto sull’importante testimonianza che i cristiani devono dare oggi in modo concorde, in un mondo sempre più diviso e posto di fronte a tante sfide di carattere culturale, sociale, economico ed etico. Di questo e di tanti altri incontri, dialoghi, e gesti di fraternità che il Signore ci ha concesso di poter realizzare, rendiamo insieme a Lui grazie con gioia.

Cari fratelli e sorelle, cogliamo l’opportunità che la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ci offre per chiedere al Signore che proseguano e, se possibile, si intensifichino l’impegno e il dialogo ecumenico. Nel contesto dell’Anno Paolino, che commemora il bimillenario della nascita di san Paolo, non possiamo non rifarci anche a quanto l’Apostolo Paolo ci ha lasciato scritto a proposito dell’unità della Chiesa. Ogni mercoledì vado dedicando la mia riflessione alle sue lettere e al suo prezioso insegnamento. Riprendo qui semplicemente quanto egli scrive rivolgendosi alla comunità di Efeso: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,4-5). Facciamo nostro l’anelito di san Paolo, che ha speso la sua vita interamente per l’unico Signore e per l’unità del suo mistico Corpo, la Chiesa, rendendo, con il martirio, una suprema testimonianza di fedeltà e di amore a Cristo.

Seguendo il suo esempio e contando sulla sua intercessione, ogni comunità cresca nell’impegno dell’unità, grazie alle varie iniziative spirituali e pastorali e alle assemblee di preghiera comune, che di solito si fanno più numerose e intense in questa “Settimana”, facendoci già pregustare, in un certo modo, il giorno dell’unità piena. Preghiamo perchè tra le Chiese e le Comunità ecclesiali continui il dialogo della verità, indispensabile per dirimere le divergenze, e quello della carità che condiziona lo stesso dialogo teologico e aiuta a vivere insieme per una testimonianza comune. Il desiderio che ci abita in cuore è che si affretti il giorno della piena comunione, quando tutti i discepoli dell’unico nostro Signore potranno finalmente celebrare insieme l’Eucaristia, il sacrificio divino per la vita e la salvezza del mondo. Invochiamo la materna intercessione di Maria, perché aiuti tutti i cristiani a coltivare un più attento ascolto della Parola di Dio e una più intensa preghiera per l’unità.

 

Un pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Celebriamo oggi la memoria liturgica di sant’Agnese, vergine e martire, che nonostante la giovanissima età ha affrontato coraggiosamente la morte per amore del Signore e avendo in lei “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”, l’Agnello immolato e vincitore. Cari giovani, cari malati e cari sposi novelli, per intercessione di sant’Agnese possiate anche voi vivere la vostra vocazione e le concrete condizioni in cui vi trovate come autentiche vie di santità.


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 gennaio 2010
  

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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle!

Siamo al centro della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, un’iniziativa ecumenica, che si è andata strutturando ormai da oltre un secolo, e che attira ogni anno l’attenzione su un tema, quello dell’unità visibile tra i cristiani, che coinvolge la coscienza e stimola l’impegno di quanti credono in Cristo. E lo fa innanzitutto con l’invito alla preghiera, ad imitazione di Gesù stesso, che chiede al Padre per i suoi discepoli “Siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono di Dio. Infatti, come afferma il Concilio Vaticano Secondo: “il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera tutte le forze umane” (Unitatis Redintegratio, 24). Pertanto, oltre al nostro sforzo di sviluppare relazioni fraterne e promuovere il dialogo per chiarire e risolvere le divergenze che separano le Chiese e le Comunità ecclesiali, è necessaria la fiduciosa e concorde invocazione al Signore.

Il tema di quest’anno è preso dal Vangelo di san Luca, dalle ultime parole del Risorto ai suoi discepoli “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24,48). La proposta del tema è stata chiesta dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in accordo con la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ad un gruppo ecumenico della Scozia. Un secolo fa la Conferenza Mondiale per la considerazione dei problemi in riferimento al mondo non cristiano ebbe luogo proprio ad Edimburgo, in Scozia, dal 13 al 24 giugno 1910. Tra i problemi allora discussi vi fu quello della difficoltà oggettiva di proporre con credibilità l’annuncio evangelico al mondo non cristiano da parte dei cristiani divisi tra loro. Se ad un mondo che non conosce Cristo, che si è allontanato da Lui o che si mostra indifferente al Vangelo, i cristiani si presentano non uniti, anzi spesso contrapposti, sarà credibile l’annuncio di Cristo come unico Salvatore del mondo e nostra pace? Il rapporto fra unità e missione da quel momento ha rappresentato una dimensione essenziale dell’intera azione ecumenica e il suo punto di partenza. Ed è per questo specifico apporto che quella Conferenza di Edimburgo rimane come uno dei punti fermi dell’ecumenismo moderno. La Chiesa Cattolica, nel Concilio Vaticano II, riprese e ribadì con vigore questa prospettiva, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù “non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Unitatis Redintegratio, 1).

In tale contesto teologico e spirituale si situa il tema proposto in questa Settimana per la meditazione e la preghiera: l’esigenza di una testimonianza comune a Cristo. Il breve testo proposto come tema “Di questo voi siete testimoni” è da leggere nel contesto dell’intero capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Ricordiamo brevemente il contenuto di questo capitolo. Prima le donne si recano al sepolcro, vedono i segni della Risurrezione di Gesù e annunciano quanto hanno visto agli Apostoli e agli altri discepoli (v. 8); poi lo stesso Risorto appare ai discepoli di Emmaus lungo il cammino, appare a Simon Pietro e successivamente, agli “Undici e agli altri che erano con loro” (v. 33). Egli apre la mente alla comprensione delle Scritture circa la sua Morte redentrice e la sua Risurrezione, affermando che “nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47). Ai discepoli che si trovano “riuniti” insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo (cfr v. 49), affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli. Da tale imperativo – “Di tutto ciò”, di questo voi siete testimoni (cfr Lc 24,48) -, che è il tema di questa Settimana per l’unità dei cristiani, nascono per noi due domande. La prima: cosa è “tutto ciò”? La seconda: come possiamo noi essere testimoni di “tutto ciò”?

Se vediamo il contesto del capitolo, “tutto ciò” vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione: i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. “Tutto ciò” quindi è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna.

Ma conoscendo Cristo – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio. In tutti i tempi, gli uomini percepiscono l’esistenza di Dio, un Dio unico, ma che è lontano e non si mostra. In Cristo questo Dio si mostra, il Dio lontano diventa vicino. “Tutto ciò” è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un’altra dimensione: Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l’umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l’umanità, conosciamo il futuro dell’umanità: la vita eterna. Tutto ciò, quindi, è molto semplice, in ultima istanza: conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna.

Veniamo ora alla seconda domanda. Come possiamo noi essere testimoni di “tutto ciò”? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio. Ma conoscere Cristo implica certamente una dimensione intellettuale - imparare quanto conosciamo da Cristo - ma è sempre molto più che un processo intellettuale: è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo, e così è anche un processo di apertura a tutti gli altri che devono essere corpo di Cristo. In questo modo, è evidente che conoscere Cristo, come processo intellettuale e soprattutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dà un'indicazione anche per il contenuto di questo “tutto ciò”. La Chiesa ha riunito e riassunto l'essenziale di quanto il Signore ci ha donato nella Rivelazione, nel “Simbolo detto niceno-costantinopolitano, il quale trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381)” (CCC, n. 195). Il Catechismo precisa che questo Simbolo ”è tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente” (Ibid.). In questo Simbolo quindi si trovano le verità di fede che i cristiani possono professare e testimoniare insieme, affinché il mondo creda, manifestando, con il desiderio e l’impegno di superare le divergenze esistenti, la volontà di camminare verso la piena comunione, l’unità del Corpo di Cristo.

La celebrazione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ci porta a considerare altri aspetti importanti per l’ecumenismo. Innanzitutto, il grande progresso realizzato nelle relazioni tra Chiese e Comunità ecclesiali dopo la Conferenza di Edimburgo di un secolo fa. Il movimento ecumenico moderno si è sviluppato in modo così significativo da diventare, nell’ultimo secolo, un elemento importante nella vita della Chiesa, ricordando il problema dell’unità tra tutti i cristiani e sostenendo anche la crescita della comunione tra loro. Esso non solo favorisce i rapporti fraterni tra le Chiese e le Comunità ecclesiali in risposta al comandamento dell’amore, ma stimola anche la ricerca teologica. Inoltre, esso coinvolge la vita concreta delle Chiese e delle Comunità ecclesiali con tematiche che toccano la pastorale e la vita sacramentale, come, ad esempio, il mutuo riconoscimento del Battesimo, le questioni relative ai matrimoni misti, i casi parziali di comunicatio in sacris in situazioni particolari ben definite. Nel solco di tale spirito ecumenico, i contatti sono andati allargandosi anche a movimenti pentecostali, evangelici e carismatici, per una maggiore conoscenza reciproca, benchè non manchino problemi gravi in questo settore.

La Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II in poi, è entrata in relazioni fraterne con tutte le Chiese d’Oriente e le Comunità ecclesiali d’Occidente, organizzando, in particolare, con la maggior parte di esse, dialoghi teologici bilaterali, che hanno portato a trovare convergenze o anche consensi in vari punti, approfondendo così i vincoli di comunione. Nell’anno appena trascorso i vari dialoghi hanno registrato positivi passi. Con le Chiese Ortodosse la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico ha iniziato, nell’XI Sessione plenaria svoltasi a Paphos di Cipro nell’ottobre 2009, lo studio di un tema cruciale nel dialogo fra cattolici e ortodossi: Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, cioè nel tempo in cui i cristiani di Oriente e di Occidente vivevano nella piena comunione. Questo studio si estenderà in seguito al secondo millennio. Ho già più volte chiesto la preghiera dei cattolici per questo dialogo delicato ed essenziale per l’intero movimento ecumenico. Anche con le Antiche Chiese ortodosse d’Oriente (copta, etiopica, sira, armena) l’analoga Commissione Mista si è incontrata dal 26 al 30 gennaio dello scorso anno. Tali importanti iniziative attestano come sia in atto un dialogo profondo e ricco di speranze con tutte le Chiese d’Oriente non in piena comunione con Roma, nella loro propria specificità.

Nel corso dell’anno passato, con le Comunità ecclesiali di Occidente si sono esaminati i risultati raggiunti nei vari dialoghi in questi quarant’anni, soffermandosi, in particolare, su quelli con la Comunione Anglicana, con la Federazione Luterana Mondiale, con l’Alleanza Riformata Mondiale e con il Consiglio Mondiale Metodista. Al riguardo, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha realizzato uno studio per enucleare i punti di convergenza a cui si è giunti nei relativi dialoghi bilaterali, e segnalare, allo stesso tempo, i problemi aperti su cui occorrerà iniziare una nuova fase di confronto.

Tra gli eventi recenti, vorrei menzionare la commemorazione del decimo anniversario della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, celebrato insieme da cattolici e luterani il 31 ottobre 2009, per stimolare il proseguimento del dialogo, come pure la visita a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, il Dottor Rowan Williams, il quale ha avuto anche colloqui sulla particolare situazione in cui si trova la Comunione Anglicana. Il comune impegno di continuare le relazioni e il dialogo sono un segno positivo, che manifesta quanto sia intenso il desiderio dell’unità, nonostante tutti i problemi che si oppongono. Così vediamo che c’è una dimensione della nostra responsabilità nel fare tutto ciò che è possibile per arrivare realmente all’unità, ma c’è l’altra dimensione, quella dell’azione divina, perché solo Dio può dare l’unità alla Chiesa. Una unità “autofatta” sarebbe umana, ma noi desideriamo la Chiesa di Dio, fatta da Dio, il quale quando vorrà e quando noi saremo pronti, creerà l’unità. Dobbiamo tenere presente anche quanti progressi reali si sono raggiunti nella collaborazione e nella fraternità in tutti questi anni, in questi ultimi cinquant’anni. Allo stesso tempo, dobbiamo sapere che il lavoro ecumenico non è un processo lineare. Infatti, problemi vecchi, nati nel contesto di un’altra epoca, perdono il loro peso, mentre nel contesto odierno nascono nuovi problemi e nuove difficoltà. Pertanto dobbiamo essere sempre disponibili per un processo di purificazione, nel quale il Signore ci renda capaci di essere uniti.

Cari fratelli e sorelle, per la complessa realtà ecumenica, per la promozione del dialogo, come pure affinché i cristiani nel nostro tempo possano dare una nuova testimonianza comune di fedeltà a Cristo davanti a questo nostro mondo, chiedo la preghiera di tutti. Il Signore ascolti l’invocazione nostra e di tutti i cristiani, che in questa settimana si eleva a Lui con particolare intensità.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, che oggi vorrei esortare a tradurre in atteggiamenti concreti la preghiera per l’unità dei cristiani. Questi giorni di riflessione costituiscano per voi, cari giovani, un invito ad essere ovunque operatori di pace e di riconciliazione; per voi, cari ammalati, un momento propizio ad offrire le vostre sofferenze per una comunione dei cristiani sempre più piena; e per voi, cari sposi novelli, l’occasione per vivere ancor più la vostra vocazione speciale con un cuore solo ed un’anima sola.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 19 gennaio 201
1

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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle,

stiamo celebrando la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, nella quale tutti i credenti in Cristo sono invitati ad unirsi in preghiera per testimoniare il profondo legame che esiste tra loro e per invocare il dono della piena comunione. È provvidenziale il fatto che, nel cammino per costruire l’unità, venga posta al centro la preghiera: questo ci ricorda, ancora una volta, che l’unità non può essere semplice prodotto dell’operare umano; essa è anzitutto un dono di Dio, che comporta una crescita nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Concilio Vaticano II dice: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: «Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio [dice il Signore], ci sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).” (Decr. Unitatis Redintegratio, 8). Il cammino verso l’unità visibile tra tutti i cristiani abita nella preghiera, perché fondamentalmente l’unità non la “costruiamo” noi, ma la “costruisce” Dio, viene da Lui, dal Mistero trinitario, dall’unità del Padre con il Figlio nel dialogo d’amore che è lo Spirito Santo e il nostro impegno ecumenico deve aprirsi all’azione divina, deve farsi invocazione quotidiana dell’aiuto di Dio. La Chiesa è sua e non nostra.

Il tema scelto quest’anno per la Settimana di Preghiera fa riferimento all’esperienza della prima comunità cristiana di Gerusalemme, così come è descritta dagli Atti degli Apostoli; abbiamo sentito il testo: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Dobbiamo considerare che già al momento della Pentecoste lo Spirito Santo discende su persone di diversa lingua e cultura: ciò sta a significare che la Chiesa abbraccia sin dagli inizi gente di diversa provenienza e, tuttavia, proprio a partire da tali differenze, lo Spirito crea un unico corpo. La Pentecoste come inizio della Chiesa segna l’allargamento dell’Alleanza di Dio a tutte le creature, a tutti i popoli e a tutti i tempi, perché l’intera creazione cammini verso il suo vero obiettivo: essere luogo di unità e di amore.

Nel brano citato degli Atti degli Apostoli, quattro caratteristiche definiscono la prima comunità cristiana di Gerusalemme come luogo di unità e di amore e san Luca non vuol solo descrivere una cosa del passato. Ci offre questo come modello, come norma della Chiesa presente, perché queste quattro caratteristiche devono sempre costituire la vita della Chiesa. Prima caratteristica, essere unita e ferma nell’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, poi nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Come ho detto, questi quattro elementi sono ancora oggi i pilastri della vita di ogni comunità cristiana e costituiscono anche l’unico solido fondamento sul quale progredire nella ricerca dell’unità visibile della Chiesa.

Anzitutto abbiamo l’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, ovvero l’ascolto della testimonianza che essi rendono alla missione, alla vita, alla morte e risurrezione del Signore. È ciò che Paolo chiama semplicemente il “Vangelo”. I primi cristiani ricevevano il Vangelo dalla bocca degli Apostoli, erano uniti dal suo ascolto e dalla sua proclamazione, poiché il vangelo, come afferma S. Paolo, “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16). Ancora oggi, la comunità dei credenti riconosce nel riferimento all’insegnamento degli Apostoli la norma della propria fede: ogni sforzo per la costruzione dell’unità tra tutti i cristiani passa pertanto attraverso l’approfondimento della fedeltà al depositum fidei trasmessoci dagli Apostoli. Fermezza nella fede è il fondamento della nostra comunione, è il fondamento dell’unità cristiana.

Il secondo elemento è la comunione fraterna. Al tempo della prima comunità cristiana, come pure ai nostri giorni, questa è l’espressione più tangibile, soprattutto per il mondo esterno, dell’unità tra i discepoli del Signore. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani tenevano ogni cosa in comune e chi aveva proprietà e sostanze le vendeva per farne parte ai bisognosi (cfr At 2,44-45). Questa condivisione delle proprie sostanze ha trovato, nella storia della Chiesa, modalità sempre nuove di espressione. Una di queste, peculiare, è quella dei rapporti di fraternità e di amicizia costruiti tra cristiani di diverse confessioni. La storia del movimento ecumenico è segnata da difficoltà e incertezze, ma è anche una storia di fraternità, di cooperazione e di condivisione umana e spirituale, che ha mutato in misura significativa le relazioni tra i credenti nel Signore Gesù: tutti siamo impegnati a continuare su questa strada. Secondo elemento, quindi, la comunione, che innanzitutto è comunione con Dio tramite la fede; ma la comunione con Dio crea la comunione tra di noi e si esprime necessariamente in quella comunione concreta della quale parlano gli Atti degli Apostoli, cioè la condivisione. Nessuno nella comunità cristiana deve avere fame, deve essere povero: questo è un obbligo fondamentale. La comunione con Dio, realizzata come comunione fraterna, si esprime, in concreto, nell’impegno sociale, nella carità cristiana, nella giustizia.

Terzo elemento: nella vita della prima comunità di Gerusalemme essenziale era il momento della frazione del pane, in cui il Signore stesso si rende presente con l’unico sacrificio della Croce nel suo donarsi completamente per la vita dei suoi amici: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi … questo è il calice del mio Sangue … versato per voi”. “La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Enc. Ecclesia de Eucharistia, 1). La comunione al sacrificio di Cristo è il culmine della nostra unione con Dio e rappresenta pertanto anche la pienezza dell’unità dei discepoli di Cristo, la piena comunione. Durante questa settimana di preghiera per l’unità è particolarmente vivo il rammarico per l’impossibilità di condividere la stessa mensa eucaristica, segno che siamo ancora lontani dalla realizzazione di quell’unità per cui Cristo ha pregato. Tale dolorosa esperienza, che conferisce anche una dimensione penitenziale alla nostra preghiera, deve diventare motivo di un impegno ancora più generoso da parte di tutti affinché, rimossi gli ostacoli alla piena comunione, giunga quel giorno in cui sarà possibile riunirsi intorno alla mensa del Signore, spezzare insieme il pane eucaristico e bere allo stesso calice.

Infine, la preghiera - o come dice san Luca le preghiere - è la quarta caratteristica della Chiesa primitiva di Gerusalemme descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. La preghiera è da sempre l’atteggiamento costante dei discepoli di Cristo, ciò che accompagna la loro vita quotidiana in obbedienza alla volontà di Dio, come ci attestano anche le parole dell’apostolo Paolo, che scrive ai Tessalonicesi nella sua prima lettera: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Ts 5, 16-18; cfr. Ef 6,18). La preghiera cristiana, partecipazione alla preghiera di Gesù, è per eccellenza esperienza filiale, come ci attestano le parole del Padre Nostro, preghiera della famiglia - il “noi” dei figli di Dio, dei fratelli e sorelle - che parla al Padre comune. Porsi in atteggiamento di preghiera significa pertanto anche aprirsi alla fraternità. Solo nel “noi” possiamo dire Padre Nostro. Apriamoci dunque alla fraternità, che deriva dall’essere figli dell’unico Padre celeste, ed essere disposti al perdono e alla riconciliazione.

Cari Fratelli e Sorelle, come discepoli del Signore abbiamo una comune responsabilità verso il mondo, dobbiamo rendere un servizio comune: come la prima comunità cristiana di Gerusalemme, partendo da ciò che già condividiamo, dobbiamo offrire una forte testimonianza, fondata spiritualmente e sostenuta dalla ragione, dell’unico Dio che si è rivelato e ci parla in Cristo, per essere portatori di un messaggio che orienti e illumini il cammino dell’uomo del nostro tempo, spesso privo di chiari e validi punti di riferimento. E’ importante, allora, crescere ogni giorno nell’amore reciproco, impegnandosi a superare quelle barriere che ancora esistono tra i cristiani; sentire che esiste una vera unità interiore tra tutti coloro che seguono il Signore; collaborare il più possibile, lavorando assieme sulle questioni ancora aperte; e soprattutto essere consapevoli che in questo itinerario il Signore deve assisterci, deve aiutarci ancora molto, perché senza di Lui, da soli, senza il “rimanere in Lui” non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Cari amici, è ancora una volta nella preghiera che ci troviamo riuniti - particolarmente in questa settimana - insieme a tutti coloro che confessano la loro fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio: perseveriamo nella preghiera, siamo uomini della preghiera, implorando da Dio il dono dell’unità, affinché si compia per il mondo intero il suo disegno di salvezza e di riconciliazione. Grazie.

Saluto ora i giovani, i malati, e gli sposi novelli. Cari amici, vi invito a pregare per l’unità dei cristiani. Tutti voi che, con giovanile freschezza, o con sofferta donazione, o con lieto amore sponsale vi impegnate ad amare il Signore nel quotidiano adempimento del vostro dovere, contribuite all’edificazione della Chiesa e alla sua opera evangelizzatrice. Pregate, dunque, perché tutti i cristiani accolgano la chiamata del Signore all’unità della fede nell’unica sua Chiesa.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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