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Quaresima e Santa Pasqua 2017

Ultimo Aggiornamento: 01/06/2017 00:11
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15/03/2017 16:56
 
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UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 15 marzo 2017



 

La Speranza cristiana - 14. Lieti nella speranza (cfr Rm 12, 9-13)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sappiamo bene che il grande comandamento che ci ha lasciato il Signore Gesù è quello di amare: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente e amare il prossimo come noi stessi (cfr Mt 22,37-39), cioè siamo chiamati all’amore, alla carità. E questa è la nostra vocazione più alta, la nostra vocazione per eccellenza; e ad essa è legata anche la gioia della speranza cristiana. Chi ama ha la gioia della speranza, di arrivare a incontrare il grande amore che è il Signore.

L’Apostolo Paolo, nel passo della Lettera ai Romani che abbiamo appena ascoltato, ci mette in guardia: c’è il rischio che la nostra carità sia ipocrita, che il nostro amore sia ipocrita. Ci dobbiamo chiedere allora: quando avviene questa ipocrisia? E come possiamo essere sicuri che il nostro amore sia sincero, che la nostra carità sia autentica? Di non far finta di fare carità o che il nostro amore non sia una telenovela: amore sincero, forte …

L’ipocrisia può insinuarsi ovunque, anche nel nostro modo di amare. Questo si verifica quando il nostro è un amore interessato, mosso da interessi personali; e quanti amori interessati ci sono … quando i servizi caritativi in cui sembra che ci prodighiamo sono compiuti per mettere in mostra noi stessi o per sentirci appagati: “Ma, quanto bravo sono”! No, questa è ipocrisia! o ancora quando miriamo a cose che abbiano “visibilità” per fare sfoggio della nostra intelligenza o della nostra capacità. Dietro a tutto questo c’è un’idea falsa, ingannevole, vale a dire che, se amiamo, è perché noi siamo buoni; come se la carità fosse una creazione dell’uomo, un prodotto del nostro cuore. La carità, invece, è anzitutto una grazia, un regalo; poter amare è un dono di Dio, e dobbiamo chiederlo. E Lui lo dà volentieri, se noi lo chiediamo. La carità è una grazia: non consiste nel far trasparire quello che noi siamo, ma quello che il Signore ci dona e che noi liberamente accogliamo; e non si può esprimere nell’incontro con gli altri se prima non è generata dall’incontro con il volto mite e misericordioso di Gesù.

Paolo ci invita a riconoscere che siamo peccatori, e che anche il nostro modo di amare è segnato dal peccato. Nello stesso tempo, però, si fa portatore di un annuncio nuovo, un annuncio di speranza: il Signore apre davanti a noi una via di liberazione, una via di salvezza. È la possibilità di vivere anche noi il grande comandamento dell’amore, di diventare strumenti della carità di Dio. E questo avviene quando ci lasciamo guarire e rinnovare il cuore da Cristo risorto. Il Signore risorto che vive tra noi, che vive con noi è capace di guarire il nostro cuore: lo fa, se noi lo chiediamo. È Lui che ci permette, pur nella nostra piccolezza e povertà, di sperimentare la compassione del Padre e di celebrare le meraviglie del suo amore. E si capisce allora che tutto quello che possiamo vivere e fare per i fratelli non è altro che la risposta a quello che Dio ha fatto e continua a fare per noi. Anzi, è Dio stesso che, prendendo dimora nel nostro cuore e nella nostra vita, continua a farsi vicino e a servire tutti coloro che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, a cominciare dagli ultimi e dai più bisognosi nei quali Lui per primo si riconosce.

L’Apostolo Paolo, allora, con queste parole non vuole tanto rimproverarci, quanto piuttosto incoraggiarci e ravvivare in noi la speranza. Tutti infatti facciamo l’esperienza di non vivere in pieno o come dovremmo il comandamento dell’amore. Ma anche questa è una grazia, perché ci fa comprendere che da noi stessi non siamo capaci di amare veramente: abbiamo bisogno che il Signore rinnovi continuamente questo dono nel nostro cuore, attraverso l’esperienza della sua infinita misericordia. E allora sì che torneremo ad apprezzare le cose piccole, le cose semplici, ordinarie; che torneremo ad apprezzare tutte queste piccole cose di tutti i giorni e saremo capaci di amare gli altri come li ama Dio, volendo il loro bene, cioè che siano santi, amici di Dio; e saremo contenti per la possibilità di farci vicini a chi è povero e umile, come Gesù fa con ciascuno di noi quando siamo lontani da Lui, di piegarci ai piedi dei fratelli, come Lui, Buon Samaritano, fa con ciascuno di noi, con la sua compassione e il suo perdono.

Cari fratelli, questo che l’Apostolo Paolo ci ha ricordato è il segreto per essere – uso le sue parole – è il segreto per essere «lieti nella speranza» (Rm 12,12): lieti nella speranza. La gioia della speranza, perché sappiamo che in ogni circostanza, anche la più avversa, e anche attraverso i nostri stessi fallimenti, l’amore di Dio non viene meno. E allora, con il cuore visitato e abitato dalla sua grazia e dalla sua fedeltà, viviamo nella gioiosa speranza di ricambiare nei fratelli, per quel poco che possiamo, il tanto che riceviamo ogni giorno da Lui. Grazie.


Saluti:

.... Il lavoro ci dà dignità, e i responsabili dei popoli, i governanti hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possano lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità. Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo.

Un saluto infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il tempo liturgico della Quaresima favorisca il riavvicinamento a Dio: digiunate non solo dai pasti, ma soprattutto dalle cattive abitudini, cari giovani, per acquisire maggiore padronanza su voi stessi; la preghiera sia per voi, cari ammalati, il mezzo per sentire Dio vicino particolarmente nella sofferenza; l’esercizio delle opere di misericordia aiuti voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra esistenza coniugale aprendola alle necessità dei fratelli.





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 marzo 2017


 

La Speranza cristiana - 15. Una speranza fondata sulla Parola (cfr Rm 15, 1-6)

Cari fratelli e sorelle, 

Già da alcune settimane l’Apostolo Paolo ci sta aiutando a comprendere meglio in che cosa consiste la speranza cristiana. E abbiamo detto che non era un ottimismo, era un’altra cosa. E l’apostolo ci aiuta a capire questo. Oggi lo fa accostandola a due atteggiamenti quanto mai importanti per la nostra vita e la nostra esperienza di fede: la «perseveranza» e la «consolazione» (vv. 4.5). Nel passo della Lettera ai Romani che abbiamo appena ascoltato vengono citate due volte: prima in riferimento alle Scritture e poi a Dio stesso. Qual è il loro significato più profondo, più vero? E in che modo fanno luce sulla realtà della speranza? Questi due atteggiamenti: la perseveranza e la consolazione.

La perseveranza potremmo definirla pure come pazienza: è la capacità di sopportare, portare sopra le spalle, “sop-portare”, di rimanere fedeli, anche quando il peso sembra diventare troppo grande, insostenibile, e saremmo tentati di giudicare negativamente e di abbandonare tutto e tutti. La consolazione, invece, è la grazia di saper cogliere e mostrare in ogni situazione, anche in quelle maggiormente segnate dalla delusione e dalla sofferenza, la presenza e l’azione compassionevole di Dio. Ora, san Paolo ci ricorda che la perseveranza e la consolazione ci vengono trasmesse in modo particolare dalle Scritture (v. 4), cioè dalla Bibbia. Infatti la Parola di Dio, in primo luogo, ci porta a volgere lo sguardo a Gesù, a conoscerlo meglio e a conformarci a Lui, ad assomigliare sempre di più a Lui. In secondo luogo, la Parola ci rivela che il Signore è davvero «il Dio della perseveranza e della consolazione» (v. 5), che rimane sempre fedele al suo amore per noi, cioè che è perseverante nell’amore con noi, non si stanca di amarci! E’ perseverante: sempre ci ama! E si prende cura di noi, ricoprendo le nostre ferite con la carezza della sua bontà e della sua misericordia, cioè ci consola. Non si stanca neanche di consolarci.

In tale prospettiva, si comprende anche l’affermazione iniziale dell’Apostolo: «Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi» (v. 1). Questa espressione «noi che siamo i forti» potrebbe sembrare presuntuosa, ma nella logica del Vangelo sappiamo che non è così, anzi, è proprio il contrario perché la nostra forza non viene da noi, ma dal Signore. Chi sperimenta nella propria vita l’amore fedele di Dio e la sua consolazione è in grado, anzi, in dovere di stare vicino ai fratelli più deboli e farsi carico delle loro fragilità. Se noi stiamo vicini al Signore, avremo quella fortezza per essere vicini ai più deboli, ai più bisognosi e consolarli e dare forza a loro. Questo è ciò che significa. Questo noi possiamo farlo senza autocompiacimento, ma sentendosi semplicemente come un “canale” che trasmette i doni del Signore; e così diventa concretamente un “seminatore” di speranza. E’ questo che il Signore ci chiede, con quella fortezza e quella capacità di consolare e essere seminatori di speranza. E oggi serve seminare speranza, ma non è facile …

Il frutto di questo stile di vita non è una comunità in cui alcuni sono di “serie A”, cioè i forti, e altri di “serie B”, cioè i deboli. Il frutto invece è, come dice Paolo, «avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù» (v. 5). La Parola di Dio alimenta una speranza che si traduce concretamente in condivisione, in servizio reciproco. Perché anche chi è “forte” si trova prima o poi a sperimentare la fragilità e ad avere bisogno del conforto degli altri; e viceversa nella debolezza si può sempre offrire un sorriso o una mano al fratello in difficoltà. Ed è una comunità così che “con un solo animo e una voce sola rende gloria a Dio” (cfr v. 6). Ma tutto questo è possibile se si mette al centro Cristo, e la sua Parola, perché Lui è il “forte”, Lui è quello che ci dà la fortezza, che ci dà la pazienza, che ci dà la speranza, che ci dà la consolazione. Lui è il “fratello forte” che si prende cura di ognuno di noi: tutti infatti abbiamo bisogno di essere caricati sulle spalle dal Buon Pastore e di sentirci avvolti dal suo sguardo tenero e premuroso.

Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza Dio per il dono della sua Parola, che si rende presente nelle Scritture. È lì che il Padre del Signore nostro Gesù Cristo si rivela come «Dio della perseveranza e della consolazione». Ed è lì che diventiamo consapevoli di come la nostra speranza non si fondi sulle nostre capacità e sulle nostre forze, ma sul sostegno di Dio e sulla fedeltà del suo amore, cioè sulla forza e la consolazione di Dio. Grazie.


Saluti:

 

Witam pielgrzymów polskich. Wielki Post wzywa nas do nawrócenia i pokuty. Jako drogę przemiany wskazuje post, modlitwę i jałmużnę. Zachęca do rachunku sumienia, pokornego przyznania się do przewinień, wyznania grzechów. „Nauczcie się – jak powiedział św. Jan Paweł II – nazywać białe białym, a czarne czarnym; zło złem, a dobro dobrem. Nauczcie się grzech nazywać grzechem, a nie wyzwoleniem i postępem (26.03.1981 r.). Pełni nadziei w moc Bożego Słowa, otwórzmy serca na dar Jego miłosierdzia i przebaczenia. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Do il mio benvenuto ai pellegrini polacchi. La Quaresima ci chiama alla conversione e alla penitenza: ci indica il digiuno, la preghiera e l’elemosina come via di trasformazione; ci incoraggia all’esame di coscienza con l’umile ammissione delle colpe e la confessione dei peccati. “Imparate – come ha detto san Giovanni Paolo II – a chiamare bianco il bianco, e nero il nero, male il male, e bene il bene. Imparate a chiamare peccato il peccato, e non chiamatelo liberazione e progresso” (Agli universitari, 26.03.1981). Pieni di fiducia nella potenza della Parola di Dio apriamo i nostri cuori al dono della Sua misericordia e del Suo perdono. Sia lodato Gesù Cristo.]


APPELLO

Invito tutte le comunità a vivere con fede l’appuntamento del 23 e 24 marzo per riscoprire il sacramento della riconciliazione: “24 ore per il Signore”. Auspico che anche quest’anno tale momento privilegiato di grazia del cammino quaresimale sia vissuto in tante chiese del mondo per sperimentare l’incontro gioioso con la misericordia del Padre, che tutti accoglie e perdona.

* * *

Cari pellegrini di lingua italiana, benvenuti!

 

Saluto i ragazzi con sindrome di down della Diocesi di Ascoli Piceno e i lavoratori del Sindacato Italiano balneari, del Gruppo Fruit imprese e della Accenture Services.

Un particolare saluto rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Sabato prossimo celebreremo la Solennità dell’Annunciazione del Signore alla Vergine Maria. Cari giovani, sappiate mettervi in ascolto della volontà di Dio come Maria; cari malati, non scoraggiatevi nei momenti più difficili sapendo che il Signore non dà una croce superiore alle proprie forze; e voi, cari sposi novelli, edificate la vostra vita matrimoniale sulla salda roccia della Parola di Dio.




[Modificato da Caterina63 22/03/2017 16:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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