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DEPOSIZIONE DI UN PAPA? MAI! Piuttosto si PREGHI per lui e per la Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2017 11:27
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03/04/2017 11:22
 
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 a quanto stiamo ragionando in questo thread - cliccate qui "Come e quando un Papa favorisce l'eresia?" - vi offriamo un meraviglioso studio di Don Curzio Nitoglia il quale, raccogliendo tutto il materiale teologico e canonico della Tradizione della Chiesa, arriva a concludere che NON è affatto lecito rimuovere un Pontefice.... spiegando i motivi e le ragioni teologiche....  La lettura è molto impegnativa, la si faccia con serenità e pregando 


Giovanni da San Tommaso e la Deposizione del Papa Eretico

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Il Papa può essere deposto dalla Chiesa e in quale caso?

Un caro confratello mi ha mandato il testo del grande filosofo e teologo domenicano Giovanni da San Tommaso (Lisbona, 1589-Madrid, 1644) la Disputatio II, articulus III, in IIam-IIae Sancti Thomae Aquinatis, q. 1, a. 7, pp. 133-140 (edizione di Lione, 1663) sulla questione del Papa eretico e della sua eventuale deposizione (1).

La Somma Teologica (II-II, q. 1, a. 9 e 10) e il Papa eretico

Nell’articolo 9 (S. Th., II-II, q. 1, L’oggetto della fede) l’Aquinate si domanda “se gli articoli di fede siano posti convenientemente nel Credo”. A partire dal sed contra egli affronta la questione dei rapporti tra il potere del Papa e quelli del Concilio ecumenico, che poi verrà commentata dai Dottori della Controriforma per rispondere all’ipotesi, puramente investigativa, del Papa eretico.

Il Dottore Comune della Chiesa insegna che «la Chiesa universale non può sbagliare, perché è governata dallo Spirito Santo, che è Spirito di Verità. […]. Ora il Signore ha promesso il Paràclito ai discepoli dicendo: “Quando verrà lo Spirito Santo vi insegnerà tutta la verità” (Jo., XVI, 13). Ma il Credo è pubblicato dall’autorità della Chiesa universale. Quindi non può esservi nulla di sconveniente nel Credo o Simbolo della fede».

Nella soluzione della prima obiezione l’Aquinate insegna che “le verità di fede son contenute nella S. Scrittura in maniera sparpagliata, in vari modi e in certi casi oscuramente. Perciò per estrarre le verità di fede da credere per salvarsi dalla S. Scrittura è necessario un lungo studio, il che non è alla portata di tutti i fedeli. Quindi è stato necessario raccogliere e compendiare a partire dai Libri della S. Scrittura un chiaro riassunto da proporre a credere a tutti. Dunque il Credo non è un’aggiunta alla S. Scrittura, ma ne è un estratto e un compendio”.

Nella risposta alla quinta obiezione l’Angelico insegna che «si dice: “Credo nella S. Chiesa cattolica” perché la nostra fede ha per oggetto lo Spirito Santo, che santifica la Chiesa cattolica, il che equivale a dire: “Credo nello Spirito Santo, che santifica la Chiesa cattolica”. Però comunemente è bene dire soltanto “Credo la S. Chiesa cattolica”».

L’Angelico insegna che la Chiesa è una perché lo Spirito Santo la rende una (III Sent., d. 25, q. 1, a. 2, ad 5; S. Th., II-II, q. 14, a. 2, arg. 4); una nella fede che è una sola (S. Th., II-II, q. 1, a. 10). La fede è una perché crede molti dogmi, ma in ordine ad unum (S. Th., II-II, q. 10, a. 5, ad 3), ossia l’oggetto della fede è la verità di Dio, il quale è Principio di unione e non di separazione. La fede è un dono accordato da Dio principalmente alla Chiesa universale (S. Th., II-II, q. 1, a. 7, arg. 2). Solo questa fede della Chiesa universale non può mai venir meno, la fede dei singoli cristiani sì (S. Th., II-II, q. 2, a. 6, ad 3), inoltre la fede della Chiesa universale nel tempo e nello spazio è infallibile (S. Th., q. 1, a. 9, sed contra).

Anche il maestro dell’Aquinate S. Alberto Magno (In III Sent., d. 24, a. 6) insegna che «il primo compito dello Spirito Santo è di unificare e santificare la Chiesa universalmente ed è per questo che diciamo: “Credo nello Spirito Santo, che santifica la Chiesa cattolica, ossia la Chiesa universale”». Nella tradizione primitiva della Chiesa si usava comunemente la formula “Credo allo Spirito Santo [che è ed agisce] nella Santa Chiesa cattolica” (cfr. P. Nautin, Je crois à l’Esprit Saint dans la sainte Eglise, Parigi, 1947).

Nell’articolo 10 (S. Th., II-II, q. 1) l’Angelico si chiede “se spetti al Papa stabilire il Credo”. Nel sed contra risponde che la redazione del primo Credo è stata fatta in un Concilio ecumenico (2). Ora il Concilio ecumenico può essere convocato solo per autorità del Papa (cfr. Decreto di Graziano, dist. XVII, can. 4-5). Quindi la redazione del Credo spetta all’autorità del Sommo Pontefice”.

Nel Respondeo dicendum quod l’Aquinate spiega che “la redazione di un Credo spetta solo all’autorità di colui che ha il potere di determinare con sentenza definitiva quelle verità le quali riguardano la fede, di modo che siano credute da tutti con fede incrollabile (“pertinet ad auctoritatem illius cui pertinet determinare sententialiter ea quae sunt fidei, ut ab omnibus inconcussa fide teneantur”). […]. La ragione di ciò sta nel fatto che tutta la Chiesa deve avere un’unica fede (1a Cor., I, 10). Ora ciò può essere assicurato solo se, quando sorge una disputa sulla fede, essa viene risolta da colui che presiede a tutta la Chiesa, in modo che la sua definizione sia tenuta da tutta la Chiesa con fermo assenso. Così spetta solo all’autorità del Sommo Pontefice la promulgazione di un nuovo Simbolo, come anche tutto ciò che riguarda la Chiesa universale, come la convocazione di un Concilio ecumenico, eccetera…”. Inoltre l’Angelico specifica che “non ogni compendio delle sentenze della fede è un Simbolo” (S. Th., II-II, q. 1, a. 9), bensì solo quella promulgata dal Papa o dal Concilio ecumenico riunito ed approvato dal Papa (S. Th., II-II, q. 1, a. 9) ed esso non è identico alla S. Scrittura perché mutua da essa e dalla Tradizione apostolica il suo contenuto (S. Th., II-II, q. 1, a. 9, ad 1) (3).

Attualità della questione

La questione è divenuta attuale a partire dal Concilio Vaticano II quando la dottrina sulla ‘collegialità episcopale’ venne attaccata dalla rivista diretta da mons. Antonio Piolanti “Divinitas” n° 1 del 1964 tramite due articoli, uno di mons. Dino Staffa e l’altro di mons. Ugo Emilio Lattanzi (che citava, confutandolo, anche l’allora semplice teologo don Joseph Ratzinger), i quali articoli vennero fatti distribuire in Concilio sotto forma di estratti dal card. Ottaviani. La Nota explicativa praevia fu dovuta, secondo Alberigo (che cita come fonti mons. Prignon, Suenens, mons. Charue, mons. Gerard Philips e mons. Carlo Colombo) al fatto che «da due mesi a questa parte Paolo VI ha subìto una fortissima pressione da parte dell’estrema destra. Sembra che si sia arrivati al punto di minacciare di far saltare il Concilio nel caso passasse il testo votato sulla Collegialità. Si è accusato Paolo VI come dottore privato di inclinare verso l’eresia» (4).

La questione è tornata alla ribalta in Italia dopo la pubblicazione del libro di A. X. da Silveira, Ipotesi teologica di un Papa eretico (Chieti, Solfanelli, 2016). Il da Silveira segue nel suo libro la tesi di S. Roberto Bellarmino e la aggiorna passando praticamente (senza fare alcuna affermazione esplicita) dalla mera possibilità investigativa del Bellarmino alla certezza dell’eresia e della deponibilità del Papa (5).

“La posizione che A. X. da Silveira espone e sviluppa, sulla scia di san Roberto Bellarmino, è molto vicina a quella di un eminente teologo veronese, il padre Pietro Ballerini […], che ritiene che se il Papa propugnasse un errore manifestatamente contrario alla fede, dovrebbe essere ammonito e corretto e se persiste nell’errore, si dichiarerebbe da se stesso eretico e perciò separato dal corpo della Chiesa e caduto dal Pontificato” (R. De Mattei, Introduzione a A. X. da Silveira, Ipoetsi teologica di un Papa eretico, Chieti, Solfanelli, 2016, pp. 12-13).

Ora la tesi del da Silveira si basa su quella di S. Roberto Bellarmino, ma egli la rivede, la corregge e la cambia notevolmente. Infatti, il da Silveira stesso scrive: “reputo intrinsecamente certa la quinta sentenza esposta da S. Roberto Bellarmino [il Papa può cadere in eresia e se essa è manifesta perde ipso facto il Sommo Pontificato], con l’interpretazione che gli do” (A. X. da Silveira, Ipotesi teologica…,cit., p. 19). Ora il Bellarmino ritiene, contrariamente al da Silveira, che “il Papa non può cadere nell’eresia” (A. X. da Silveira, Ipotesi teologica…, cit., p. 30) e solo da un punto di vista puramente ipotetico e investigativo i Dottori si chiedono “ammesso e non concesso” che il Papa possa cadere in eresia, allora

  • 1°) perderebbe ipso facto il Pontificato se l’eresia è manifesta, esterna, pubblica, notoria, formale e pertinace (Bellarmino, Billot);

oppure

  • 2°) ci vorrebbe una sentenza puramente dichiaratoria e non giuridica dei Vescovi o dei Cardinali per constatare che egli è caduto in eresia e, quindi, prendere atto che Gesù Cristo gli ha tolto il potere Papale (Gaetano, Bañez, Giovanni da San Tommaso).

Il da Silveira prende in considerazione la soluzione data dal Bellarmino (il Papa è deposto ipso facto in caso ipotetico di eresia manifesta), la ritiene certa, ma omette di affermare che l’antecedente (se il Papa possa cadere in eresia), per il Bellarmino è impossibile, mentre per il Gaetano è solo ipoteticamente possibile e non teologicamente certa. Inoltre omette di dire che il canone 6 (“Si Papa”) I pars, distinzione 40 del Decreto di Graziano (1141) attribuito a S. Bonifacio vescovo di Magonza († 754) è spurio ed è proprio su questo canone, ritenuto autentico da Ivo di Chartes e da Graziano che molti teologi hanno affrontato la questione puramente ipotetica dell’eresia del Papa.

Quindi tutta la questione spinosa si fonda su un testo spurio, un falso e cade con esso, essa è un castello di carte costruito sulla sabbia. È vero soltanto che a partire da quest’ipotesi i Dottori della seconda Scolastica e i teologi della neoscolastica si sono ingegnati a risolvere il problema dandone sostanzialmente due soluzioni:

  • 1°) Papa si haereticus esset depositus est ipso facto (la scuola gesuita: Bellarmino, Suarez, Billot);
  • 2°) Papa si haereticus esset deponendus est (la scuola domenicana: Gaetano, Soto, Giovanni da San Tommaso, Bañez).

Inoltre anche il Ballerini ha un’opinione puramente ipotetica sull’eventuale eresia del Papa e non teologicamente certa come è quella del da Silveira. Infatti quando il Ballerini prende in considerazione la questione del Papa eretico ritiene che “non trattandosi di una definizione dommatica, l’eresia [ipotetica] del Papa per sé non si oppone alla sua [del Ballerini] tesi secondo cui il Papa può diventare eretico, sebbene ritenga che questo caso non si sia mai verificato e non si verificherà mai” (T. Facchini, Il Papato principio di unità e Pietro Ballerini di Verona, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1950, p. 127). Come si vede la tesi del Ballerini è assai diversa da quella del da Silveira.

Pietro Ballerini scrive: “haec hypothesis nullo facto comprobatur; siquidem nullus vel privatus error cuipiam Pontifici adscriptus, contra ullum dogma evidens aut definitum hactenus inventus est, aut futurus putatur” (De Potestate Ecclesiastica Summorum Pontificum et Conciliorum generalim, II ed., Roma, De Propaganda Fide, 1850, cap. IX, n. 8).

Quindi se, per assurdo, un Papa propugnasse un errore contro la fede, dovrebbe essere ammonito e corretto, e se dopo due ammonizioni persiste nell’errore, si dichiarerebbe da se stesso eretico e perciò decaduto dal Pontificato (cfr. T. Facchini, Il Papato principio di unità e Pietro Ballerini di Verona, cit., p, 128).

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Dal Gaetano a Giovanni da San Tommaso


L’ipotesi di Giovanni da San Tommaso ricalca quella del Cajetanus e non è sostanzialmente diversa da essa e, quindi, ritiene una mera possibilità speculativa (non una certezza teologica e neppure una probabilità) l’eventuale eresia del Papa. Infatti Giovanni da San Tommaso asserisce: “suppongo che il Sommo Pontefice possa perdere il Papato […] per deposizione”.


Il grande teologo domenicano di Lisbona, commentando la Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino (II-II, q. 1, a. 7 e 10), si chiede se la deposizione del Papa possa aver luogo in caso di sua eventuale eresia. Egli asserisce che la questione dell’eresia del Papa è assai disputata. Quindi non è certa e nemmeno probabile. Tuttavia, se si ammette (ipotesi indagativa e speculativa meramente possibile) che il Papa possa cadere in eresia, allora vi è un certo consenso dei teologi sulla deposizione del Papa eventualmente eretico. Come si vede il teologo di Lisbona (Giovanni da San Tommaso) segue da vicino l’ipotesi del teologo di Gaeta (Tommaso de Vio, detto il Gaetano o Cajetanus).


Il “tallone d’Achille” dell’ipotesi del Papa eretico


Il punto debole su cui poggia l’ipotesi dell’eventuale eresia del Papa è il canone 6 (“Si Papa”) I pars, distinzione 40 del Decreto di Graziano (un monaco camaldolese di Bologna, contemporaneo di Pietro Lombardo anche se non fratello carnale come vuole la leggenda). Ora la critica moderna ha provato che il canone citato nel Decreto di Graziano (“Si Papa”) è spurio. La conclusione contro cui cozza è la definizione dogmatica della Costituzione Pastor aeternus del 18 luglio 1870 del Concilio Vaticano I: “Chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).


Infatti già nel Cinquecento il teologo olandese Albert Pigge, detto il Pighius, di Kampen († 1542) nel suo trattato di Ecclesiologia Hierarchiae Ecclesiaticae assertio (Colonia, 1538, l. IV, c. 8, f. 176)(6) esprimeva i suoi dubbi fondati sull’autenticità del canone 6 “Si Papa” riportato nel Decretum Gratiani, I pars, dist. 40 (7). Il cardinale Deusdedit nell’XI secolo lo aveva inserito nella sua collezione canonica (Fragmenta libri de priviligiis Ecclesiae Romanae, in PL, 150, 1569-1572) sotto il Pontificato di Vittore III (1086-87), da qui passò nella raccolta canonica (Decretum, in PL, 161, 47-1022; Panormia, in PL, 161, 1037-1344) di Ivo di Chartres (1040-1116), dove Graziano (1141) lo ha trovato (8).


Monsignor Vittorio Mondello (La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, pp. 163-194) spiega che l’ipotesi della possibilità del Papa eretico deriva la sua possibilità investigativa e speculativa proprio dal Decreto di Graziano (dist. XL, cap. 6, col. 146) composto tra il 1140 e il 1150, in cui si trova riportato un frammento creduto erroneamente di S. Bonifacio († 5 giugno 754).


Questo frammento si intitola “Si Papa” ed esprime la dottrina secondo cui “a nemine est iudicandus, nisi deprehendatur a Fide devius / non può essere giudicato da nessuna autorità umana, tranne che sia caduto in eresia”.


A partire da questo decreto spurio attribuito erroneamente a San Bonifacio e ripreso come di San Bonifacio di Magonza da Graziano (oggi si ritiene nel 1141) alcuni teologi medievali e controriformistici hanno ritenuto possibile la ipotesi e non la certezza del Papa eretico. Qui si sono divisi nel discettare come risolvere la questione di un Papa eventualmente caduto in eresia come persona privata (cfr. A. M. Vellico, De Ecclesia Christi, Roma, 1940, p. 395, n. 557, nella nota 560 vi è un’amplia bibliografia). Il cardinal Charles Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Bruges, Desclée, II ed., 1995, vol. I, p. 626) ritiene che la sentenza secondo cui il Papa non può cadere in eresia “va oggi divulgandosi grazie soprattutto al progresso degli studi storici. Il Bellarmino (De Romano Pontifice, lib. II, cap. 30) è stato uno dei primi sostenitori di questa tesi. Ora l’eventuale condanna del Papa solo in caso di eresia da parte del Concilio imperfetto (i soli Vescovi senza il Papa) è la tesi del conciliarismo mitigato, che è il figlio del conciliarismo radicale, il quale ritiene il Concilio superiore al Papa sempre e per sé. Mons. Antonio Piolanti scrive: “il Conciliarismo è un errore ecclesiologico, secondo cui il Concilio ecumenico è superiore al Papa. L’origine remota del Conciliarismo si trova nel principio giuridico del Decreto di Graziano (dist. XL, cap. 6) secondo il quale il Papa può essere giudicato dalla Chiesa (l’Episcopato o i Cardinali) in caso di eresia. […]. Il Papa può errare e persino cadere in eresia; dovrà in tal caso essere corretto ed anche deposto. […] quest’errore fu condannato dal Concilio di Trento e ricevette il colpo di grazia dal Concilio Vaticano I” (Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 82-84, voce Conciliarismo).


Per una buona disamina del Decreto di Graziano si può leggere S. Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur (Roma, Gregoriana, 1993, cap. XXI, Il Decreto di Graziano (1441), pp. 249-254). Infatti secondo il padre Cappuccino Salvatore Vacca «Graziano, per fondare il principio sulla ingiudicabilità del Papa, a differenza della tradizione canonistica precedente […] ha lasciato inconcusso il principio Prima Sedes a nemine iudicatur. Tuttavia ha trascritto parzialmente il Fragmentum A (174-178) del cardinal Umberto di Silva Candida († 1061). Egli raccoglie così nel suo Decreto le due tradizioni giuridiche contrastanti, che sono state compresenti nella Chiesa: la prima, sostenuta dagli apocrifi simmachiani, redatti dai sostenitori di papa Simmaco (498-514), che emanò l’assioma Summa Sedes a nemine iudicatur, afferma che il Papa non può essere giudicato da nessuno; la seconda (dell’VIII secolo) ritiene che, in caso di eresia, il Papa può essere ripreso. Dunque questa concezione si è tramandata sino al secolo XII con il Decreto di Graziano. […]. Il Papa non può essere giudicato da nessuno, mentre egli può giudicare tutti; ma deve essere ripreso solo qualora si allontanasse dalla fede» (S. Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur, cit., p. 253-254).


Anche don Pacifico Massi nel suo libro Magistero infallibile del Papa nella teologia di Giovanni da Torquemada (Torino, Marietti, 1957, pp. 117-119) sostiene che l’opinione della possibilità di un Papa eretico come dottore privato “trae la sua lontana origine dal decreto di Graziano (Si Papa, dist. XL, canone 6) attribuito a San Bonifacio, arcivescovo di Magonza; da questo canone poi dipese tutto il coro unanime dei canonisti medievali che non dubitarono affatto della possibilità di un Papa eretico. Torquemada (Summa de Ecclesia, Venezia, 1561, IV, parte 2, c. 18, folio 391) è l’erede di questa tradizione. […]. Il Pontefice appena diventa eretico, non importa se occulto, ” (cit., p. 117). Così pure il Gaetano e Giovanni da San Tommaso.


Nonostante ciò si può studiare con profitto l’opinione di Giovanni da San Tommaso, come quella del Gaetano e di San Roberto Bellarmino. Per quanto riguarda gli ultimi due Dottori della Chiesa ho già scritto riguardo alla loro ipotesi (9). Quanto a Giovanni da San Tommaso mi ero limitato a dire che sostanzialmente la sua tesi non si allontana da quella del Gaetano, dal quale gli altri Dottori domenicani attingono.


L’ipotesi investigativa di Giovanni da San Tommaso


Nel presente articolo la espongo brevemente. Il teologo portoghese parla di “resistenza” a decisioni del Papa, che possono esser lecite ove egli ecceda il suo potere il quale è limitato da quello della divina Rivelazione e della Morale naturale e divina (ed è il caso della Amoris laetitia di Francesco I), di “evitare” (“devita”) e di “difendersi” dal Pontefice in caso che sorpassi il suo potere senza per questo dichiararlo formalmente eretico, pubblico, ostinato e farlo deporre dal Concilio o dichiararlo deposto ipso facto.


Alla obiezione che si muove sulla analogia tra la “Cattedra di Mosè” (Mt., XXIII, 2-3) e quella di Pietro avendo Gesù ordinato di tollerare sulla cattedra di Mosè ed anche quindi di Pietro i Farisei che “non fanno quel che dicono” e non un Pontefice eretico, che deve essere dichiarato tale e quindi deposto, si risponde che Gesù ha obbedito alla domanda di Caifa e gli ha risposto, senza dichiararlo eretico e decaduto dal Sommo Pontificato dell’Antico Testamento, neppure quando si è stracciato le vesti e lo ha condannato a morte (Mt., XXVI, 57-67).


Le due condizioni per arrivare alla deposizione del Papa


Tuttavia Giovanni da San Tommaso insiste molto fortemente sulle due condizioni necessarie per arrivare alla deposizione del Papa presunto ipoteticamente eretico.



  • 1°) La sua eresia deve essere pubblica e notoria giuridicamente;

  • 2°) il Papa deve essere pertinace e non disposto a correggersi della sua eventuale eresia.



  1. Il primo punto è ripreso dal Gaetano (De comparatione auctoritatis Papae et Concilii, Roma, Angelicum, 1936, ed. a cura di Vincent Pollet, cc. 18-19), da Domingo Soto (Commentarium in IV Sent., dist. 22, q. 2, a. 2, Salamantica, 1561), da Melchior Cano (De locis theologicis, l. IV, Roma, Cucchi, 1900), da Francisco Suarez (Defentio Fidei Catholicae. Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1859, t. XXIV), da Francisco de Vitoria (Obras, Madrid, BAC, 1960) e da S. Roberto Bellarmino (De Romano Pontifice. Opera Omnia, Milano, Battezzati, 1857, vol. I, c. 30); invece è negato da Juan de Torquemada (Summa de Ecclesia, l. II, II pars, c. 18 ss. e l. II, c. 102).

  2. Il secondo punto è evidente perché colui che è disposto a correggersi non può essere reputato formalmente e pertinacemente eretico.


Giovanni da San Tommaso approfondisce la questione del soggetto che potrebbe deporre il Papa eventualmente e ipoteticamente eretico. Egli asserisce che la sentenza dichiarativa dell’eresia papale non può essere fatta dai Cardinali, ma dal Concilio ecumenico (imperfetto ossia senza il Papa). Ma un vero Concilio deve essere a) indetto dal Papa, b) diretto dal Papa o da un suo legato, c) promulgato dal Papa. Infatti il Papa senza l’Episcopato può tutto, ma l’Episcopato senza il Papa non può nulla. Egli cita il caso di papa Marcellino (296-304) riportato nel decreto di Graziano (distinzione 21, cap. 7 “Nunc autem”).


Giovanni da San Tommaso per uscire da questa impasse precisa che quella del Concilio imperfetto non è una “convocatio coactiva”, ma una “convocatio enuntiativa”, che denuncia ai Vescovi l’eresia presunta del Papa e li convoca affinché vi pongano rimedio dichiarandolo decaduto. Inoltre il teologo di Lisbona impiega qui un’espressione poco felice asserendo che il Papa è parte del Concilio (“quia ipse est pars”), mentre il Papa è il Capo del Concilio e della Chiesa, il Vicario prossimo e immediato di Cristo (10).


Ora proprio il caso di papa Marcellino mi pare che renda molto debole questa soluzione data da Giovanni da San Tommaso. Infatti il padre cappuccino Salvatore Vacca nel suo libro Prima Sedes a nemine iudicatur, Roma, Gregoriana, 1993, cita il canone VII della distinzione XXI del Decreto di Graziano, in cui si riferisce che papa Marcellino «fu costretto dai pagani ad entrare in un loro tempio e a sacrificare incenso. Per questo motivo si riunì un concilio particolare di Vescovi, durante il quale, dopo avere fatto un’istruttoria, lo stesso Pontefice dichiarò di avere fatto ciò di cui era accusato. Tuttavia nessuno dei Vescovi osò proferire una sentenza giuridica di condanna, ma gli dicevano: “con la tua bocca giudica la tua causa e non con un nostro giudizio: la prima Sede non può essere giudicata da nessuno”» (pp. 249-254). Padre Salvatore Vacca conclude: “anche nel caso del Papa eretico si affermava il principio Prima Sedes a nemine iudicatur e ci si rifaceva alla storia di papa Marcellino (296-304) che, malgrado avesse deviato dalla fede, non era stato condannato dall’assemblea conciliare e poi è morto martire. In quell’occasione il Pontefice, caduto apertamente in errore, non era tenuto ad essere sottoposto ad una sentenza conciliare” (op. cit., p. 264) (11).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Una sottile distinzione del Gaetano ripresa da Giovanni da San Tommaso


Molto sottile la distinzione di Giovanni da San Tommaso ripresa dal Cajetanus, secondo cui il Papa non ha superiore nec per se ossia assolutamente (conciliarismo radicale), nec per accidens ossia in caso di eresia (conciliarismo mitigato), ma come la Chiesa in maniera ministeriale o strumentale (come uno strumento nella mani di Dio) e non in maniera autoritativa o propria e principale ha il potere di scegliere una persona alla quale Cristo dà l’autorità papale, così ministerialiter et non auctoritative la Chiesa può, secondo il Gaetano ripreso da Giovanni da San Tommaso, sciogliere il legame che unisce la persona eletta al potere papale. Questa autorità della Chiesa è ministeriale ossia strumentale, in quanto è come uno strumento nelle mani di Cristo che solo è superiore al Papa. Quindi il Gaetano seguìto da Giovanni da San Tommaso evita l’errore del conciliarismo mitigato con questa sottile distinzione. Infatti la Chiesa non solo non ha potere assoluto sopra il Papa, ma neppure per accidens ossia relativamente al caso di eresia. Essa ha solo un potere ministeriale, come uno strumento in mano della causa efficiente principale (per esempio il pennello in mano a Michelangelo) e non un potere autoritativo poiché solo Cristo ha autorità sulla persona del Papa e soprattutto la Chiesa esercita questo suo potere strumentale o ministeriale non sul Papa, ma sulla unione del Papato con la persona eletta dai Cardinali. Quindi dichiarando eretico il Papa la Chiesa non lo giudica in quanto Papa.
La distinzione del Gaetano (De comparata auctoritate, Roma, Angelicum, 1936, a cura di V. Pollet, cap. XIX, p. 120, n. 264-265; p. 121, n. 267; p. 122, n. 269; cap. XX, p. 126, n. 276-278; p. 127, n. 280-282; p. 129, n. 288-290; p. 132, n. 297; cap. XXI, p. 135, n. 3013; p. 139, n. 312), ripresa da Giovanni da San Tommaso è sottile e geniale. Mons. Vittorio Mondello la spiega molto dettagliatamente nel suo libro La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice (Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, pp. 166-178). La sostanza della ipotesi del Gaetano è riassumibile nel versetto del De comparata auctoritate (Roma, Angelicum, 1936, a cura di V. Pollet, cap. XIX, p. 122, n. 269; cap. XX, p. 126, n. 276; cap. XX, p. 132, n. 207): “Cum deponitur Papa, non aufertur potestas jurisdictionis a Papatu, sed ab hoc homine mediante judicio humano. […]. Papa nec simpliciter nec secundum quid habet superiorem in terris, sed subest potestati instrumentali et ministeriali Ecclesiae Universali quoad solam depositionem seu disjunctionem inter Papatum et personam electam canonice. […]. Ecclesia non habet potestatem supra Papatum, sed habet potestatem supra conjunctionem inter Petrum [Eugenium, Georgium] et Papatum”. Ossia il potere della Chiesa, in caso di eresia ipotetica del Papa, è autoritativo (cioè per propria virtù e come causa principale) solo sull’unione tra il Papato e la persona eletta canonicamente dal Conclave, mentre è strumentale o ministeriale (come uno strumento in mano a Dio) sul Papato.

Quindi, secondo Cajetanus e Giovanni da San Tommaso, la deposizione del Papa eventualmente e ipoteticamente eretico viene fatta in maniera ministeriale o strumentale (come una causa strumentale mossa da quella principale: il pennello dal pittore, la dichiarazione del Concilio mossa da Dio).

Giovanni da San Tommaso fa un esempio: come nella generazione di un uomo il padre non produce la sua forma ossia l’anima, che è creata da Dio, ma generando un feto lo dispone a ricevere un’anima umana ovvero alla congiunzione di anima e corpo, così la morte che uccide il corpo direttamente coglie l’anima solo indirettamente, ossia tramite la corruzione del corpo, che viene abbandonato dall’anima. Similmente il Concilio direttamente non agisce sul Papato o sul Papa in atto, ma solo sul Papato in potenza o sull’eletto che non ha ancora accettato l’elezione canonica. Secondo il Gaetano e Giovanni da San Tommaso il potere della Chiesa o del Concilio imperfetto non ha per oggetto la persona del Papa in atto, ma l’applicazione del potere papale o la forma accidentale dell’essere Papa alla persona eletta canonicamente dal Conclave (materia prima + forma sostanziale = materia seconda [la persona Eugenio Pacelli] + forma accidentale, ossia il Papato [papa Pio XII]). Quindi la Chiesa o il Concilio imperfetto non interviene con un giudizio giuridico sul Papa in atto, il quale è superiore alla Chiesa, ma dissolve, in caso di eresia puramente ipotetica, solamente la congiunzione della forma accidentale (l’essere Papa) dalla persona fisica o materia seconda eletta canonicamente: Jorge Bergoglio.
Tuttavia i due Dottori si rifanno al Decreto di Gratiano (pars I, dist. 40, canon 6 “Si Papa”), che è stato dimostrato spurio ed oggi nessun canonista prende più come un argomento d’autorità.

Inoltre Gaetano e Giovanni da San Tommaso sorpassano, mi pare, il Bellarmino nel punto in cui quest’ultimo ritiene che il Papa ipoteticamente eretico possa essere deposto ipso facto da un giudizio privato, mentre i due Dottori domenicani (12) ritengono che il giudizio debba essere pubblico e giuridico, anche se non autoritativo ma solo ministeriale e strumentale. Quindi non è corretto accusare i due domenicani di proto-conciliarismo. Inoltre il Bellarmino non reputa neppure possibile l’eresia formale e pertinace del Papa in quanto tale, mentre i due teologi domenicani la ritengono soltanto ipoteticamente possibile. Dunque coloro che oggi a partire da questi Dottori della Controriforma vorrebbero arrivare alla deposizione di papa Bergoglio ne forzano il pensiero.

La Tesi di Cassicìacum e l’ipotesi di Gaetano e di Giovanni da San Tommaso

Come si vede la Tesi di Cassiciacum del padre domenicano Michel Guérard des Lauriers riprende questa distinzione classica che si trova implicitamente in San Tommaso ed è stata esplicitata dal commentatore per eccellenza della sua Somma Teologica, il cardinal Tommaso de Vio detto il Gaetano, e ripresa da Giovanni da San Tommaso nel suo Commento alla Summa Theologiae dell’Aquinate e quindi è stata applicata alla questione puramente ipotetica e investigativa del Papa eretico dai due Dottori della Controriforma. Invece il padre Guérard des Lauriers l’ha spinta alle massime conseguenze arrivando alla conclusione teologicamente certa della perdita del Pontificato da parte di Paolo VI. Tuttavia occorre dire che mentre per padre Guérard des Lauriers non si può eleggere un altro Papa, ma occorre attendere che egli si converta e da Papa materiale diventi Papa formale passando dalla potenza all’atto, per coloro che rendono teologicamente certa l’ipotesi dei Dottori controriformistici (la quale invece è solo puramente possibile), si può dichiarare eretico formale il Papa ed eleggerne un altro. Questa attitudine è riprovata dal des Lauriers come “Conclavismo” il quale nel senso suddetto è più radicale della sua “Tesi” detta di “Cassicìacum”.

Conciliarismus vitandus est

È interessante notare la cura posta dai due Dottori domenicani controriformistici, alla scuola del loro maestro San Tommaso d’Aquino (S. Th., II-II, q.1; Summa c. Gent., lib. IV, c. 76), nell’evitare qualsiasi forma di conciliarismo grazie a questa sottile distinzione, che permette loro di mantenere fermo il principio tomistico, insegnato dal Tridentino e definito infallibilmente dal Vaticano I, della superiorità del Papa sul Concilio per se et per accidens, ossia anche in caso di presunta e ipotetica eresia del Pontefice romano. Infatti quando per pura ipotesi i due Dottori ammettono la eventuale deposizione del Papa, ammesso e non concesso che possa cadere in eresia formale, pubblica e pertinace, essi specificano che il Concilio non ha nemmeno in questo caso ipotetico nessuna superiorità sul potere del Papa, ma ha solo la potestà di evitare il presunto Papa eretico, di difendersi da lui e di non obbedirgli in caso in cui sorpassi i limiti che il diritto divino e il dogma rivelato gli pone perché Dio gli ha dato l’autorità affinché mantenga e tramandi il Deposito rivelato e non affinché lo cambi. Ora tutto ciò lo può e lo deve fare non solo il Concilio, la Chiesa o il Collegio cardinalizio, ma ogni fedele in casi eccezionali, pur non avendo un potere superiore al Papa. Il potere del Papa in sé è sempre superiore a quello della Chiesa ed anche in caso di ipotetica sua eresia, secondo i due Dottori domenicani controriformistici, la Chiesa non interviene sul Papa, ma solo sulla congiunzione del Papato con la persona dell’uomo canonicamente eletto dal Conclave. Infatti il Papa è il Vicario diretto e immediato di Cristo e solo Gesù gli è superiore e lo può giudicare in quanto Papa. Inoltre l’Episcopato riceve la giurisdizione da Dio mediante il Papa (cfr. Pio XII, Enciclica Mystici Corporis, 1943; Ad Synarum gentes, 1954; Ad Apostololum Principis Sepulchrum, 1958) e quindi è la Chiesa (Vescovi, Sacerdoti e fedeli) a dipendere dal Papa e non viceversa.

Altri Dottori della Chiesa

Vi sono altri Dottori che hanno studiato la questione della possibilità puramente ipotetica del Papa eretico, ma vi hanno aggiunto qualche considerazione che vale la pena riportare.

Domingo Bañez († 1604) dopo aver ripreso la ipotesi del Gaetano spiega che se il Papa dovesse cadere in eresia potrebbe restare Papa poiché, se la mancanza di fede lo separerebbe dal corpo della Chiesa e la mancanza della grazia santificante dall’anima di essa, la giurisdizione, invece, non ne verrebbe scalfita poiché essa riguarda il governo (13) della Chiesa, che è una società visibile e non può essere privata dell’autorità che la governa per la mancanza di grazia o di fede, che sono abiti soprannaturali (entitativo il primo e operativo il secondo) invisibili, mentre il governo o la giurisdizione di una società visibile debbono essere visibili. Quindi il Papa ipoteticamente eretico non sarebbe membro vivo della Chiesa per mancanza di grazia, non farebbe parte del corpo della Chiesa per errore contro la fede, ma ne sarebbe capo visibile quanto al governo o alla giurisdizione.
“Il Papa non è capo della Chiesa in ragione della santità o della fede, perché non è così che può governare i membri della Chiesa, ma è capo di essa in ragione dell’ufficio ministeriale che lo rende atto a dirigere e governare la Chiesa mediante il governo esterno e visibile tramite la gerarchia ecclesiastica che è visibile e palpabile. Quindi secondo l’influsso spirituale della grazia e della fede non è membro della Chiesa di Cristo, se non le ha, invece secondo il potere di governare e dirigere la Chiesa ne è il capo” (In IIam-IIae, q. 1, a. 10, Venezia, 1587, coll. 194-196).

Charles-René Billuart (1685-1757) nel suo De Incarnatione (dissert. IX, a. II, § 2, obiez. 2) riprende la tesi del Bañez e insegna che “il capo governa e il membro riceve la vita della grazia. Quindi se il Papa cadesse in eresia manterrebbe ancora la giurisdizione con la quale governerebbe la Chiesa, ma non riceverebbe più l’influsso della grazia santificante e della fede da Cristo Capo invisibile della Chiesa e dunque non sarebbe membro di Cristo e della Chiesa. Ora in un corpo fisico chi non è membro fisico non può esserne capo fisico, ma in un corpo morale o in una società la testa morale può sussistere senza essere membro morale di essa. Infatti un corpo fisico senza vita non sussiste e un capo fisico morto non governa il corpo fisico, mentre il capo morale di una società o corpo morale lo governa anche senza la vita spirituale o la fede” (cfr. Ch.-R. Billuart, Cursus theologiae, III pars, Venezia, 1787, pp. 66; II-II pars, Brescia, 1838, pp. 33-34, 123 e 125).

Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange († 15 febbraio 1964) nel suo trattato De Christo Salvatore (Torino, Marietti, 1946, p. 232) riprende San Tommaso e i due Dottori domenicani succitati ed insegna che un Papa ipoteticamente eretico occulto resterebbe membro della Chiesa in potenza e non in atto, ma manterrebbe la giurisdizione tramite la quale governa visibilmente la Chiesa. In questo senso, ossia quanto alla giurisdizione, manterrebbe la natura di Capo della Chiesa, ma cesserebbe di essere membro di Cristo vivificato dalla grazia o dalla fede soprannaturale. Se si trattasse di una testa fisica ciò sarebbe impossibile, ma, se si tratta di un capo morale e per di più secondario o Vicario visibile di Cristo invisibile asceso in Cielo è possibile. La ragione è che mentre una testa fisica di un corpo fisico non può influire e comandare i membri del suo corpo se ne viene separata fisicamente (per esempio Tizio viene decapitato e la sua testa non dirige più, tramite il cervello, tutti gli organi del suo corpo), invece un capo morale di una società o ente morale (come lo Stato o la Chiesa) può esercitare la giurisdizione sull’ente morale anche se è separato per l’errore contro la fede o per il peccato dalla Chiesa e dall’influsso vitale interno e soprannaturale di Cristo. Ciò, secondo p. Reginaldo Garrigou-Lagrange, pur essendo anormale ed eccezionale, può essere possibile o non ripugnare. Qui è interessante notare come Domingo Bañez (In IIam-IIae, q. 1., a. 10, Venezia, 1587, col. 196) trattando questa questione fa un’analogia tra il Re e il Papa, tra lo Stato e la Chiesa. Quindi il Papa, se perde la fede personale occultamente, cessa di essere membro vivo della Chiesa, ma può rimanere capo della Chiesa visibile tramite la giurisdizione che può coesistere con l’eresia interna. La Chiesa resterebbe sempre visibile, come una società che riunisce molti membri sotto un capo visibile. Per cui gli eretici occulti sono membri apparenti e morti della Chiesa, non fanno parte della sua anima, non essendo vivificati dalla grazia santificante, ma non sono esclusi dal corpo della Chiesa visibile perché il loro crimine è interno o invisibile.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/04/2017 11:27
 
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  L’eventuale deposizione di papa Bergoglio

Alcuni ritengono ancor oggi che il Papa come Papa possa cadere in eresia e possa essere deposto (dalla Chiesa o ipso facto) a partire dal Decreto di Graziano, che però è spurio. Anche il Gaetano e Giovanni da San Tommaso hanno preso in considerazione l’ipotesi del Papa eretico, ma solo come ipotesi possibile e puramente investigativa non come una certezza teologica perché “ammesso, ma non concesso” che egli cada in eresia allora deve essere dichiarato eretico formale e pubblico dal Concilio e quindi deposto.

Soprattutto a partire dal Pontificato radicalmente innovativo di Francesco I qualcuno pensa che in base all’ipotesi del Gaetano e di Giovanni da san Tommaso lo si possa accusare giuridicamente di eresia e che l’Episcopato o il Collegio cardinalizio possa deporlo.

Ora

  • 1°) nessun vescovo o cardinale è disposto a fare un simile passo, neppure coloro che hanno (giustamente) (14) criticato le deviazioni in materia di morale di papa Bergoglio, il quale le ha espresse come dottore privato o in una “pura esortazione neppure magisterialmente pastorale” (cfr. Amoris laetitia, 19 marzo 2016);
  • 2°) se anche qualcuno lo facesse ci ritroveremmo con un Papa “emerito”, che ha dato le dimissioni (Benedetto XVI), con un Papa deposto (Francesco I) e con un Papa eletto da una parte dell’Episcopato o del Collegio dei Cardinali (come durante il Grande Scisma d’Occidente) e tutto ciò per una semplice opinione teologica, puramente investigativa, che si fonda su un testo spurio e di sapore conciliarista del Decreto di Graziano. Mi sembra che ci si troverebbe in una situazione ancora peggiore dell’attuale.

Il tutto va letto alla luce del Concilio Vaticano I

Inoltre il Concilio Vaticano I (IV sessione, 18 luglio 1870, Costituzione dogmatica Pastor aeternus) ha definito dogmaticamente il principio della ingiudicabilità del Papa: “Insegniamo e dichiariamo che secondo il diritto divino del primato papale, il Romano Pontefice è il giudice supremo di tutti i fedeli […]. Invece nessuno potrà giudicare un pronunciamento della Sede Apostolica, della quale non esiste autorità maggiore. Quindi chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).

Il CIC del 1917 al canone 1556 riprendendo la definizione dogmatica del Vaticano I ha stabilito il principio: “Prima Sedes a nemine iudicatur”, ripreso tale e quale dal CIC del 1983, canone 1404.

Per cui dopo il Vaticano I la questione dell’eventuale deposizione del Papa ipoteticamente eretico non ha più senso, perché è stata rigettata radicalmente dal Magistero infallibile e dogmatico della Chiesa.

Infallibilità del Papa e della Chiesa

Il Papa gode della stessa infallibilità di cui Cristo volle essere dotata la sua Chiesa (DB, 1839), ma non per questo vi sono due infallibilità. L’infallibilità data da Cristo alla sua Chiesa è una sola: quella conferita a Pietro e ai suoi successori. Questa infallibilità è finalizzata al bene della Chiesa perciò si dice data alla Chiesa per il suo bene spirituale (causa finale), ma esercitata dal suo capo (causa efficiente secondaria) che è il Papa (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Quodlibetum 9, q. 7, a. 16), Vicario in terra di Cristo (Causa efficiente principale) suo Capo primario e invisibile in Cielo.

Per fare un esempio: la vita data all’uomo è una sola, essa pur derivando dall’anima, che è il principio della vita (causa efficiente) si diffonde in tutto il corpo per la sua sussistenza nell’essere (causa finale), così l’infallibilità è diffusa e circola in tutta la Chiesa per la sua sussistenza indefettibile (causa finale), ma dipendentemente dal capo che è il Papa (causa efficiente) (15), il quale

  • 1°) la può esercitare da solo (con il Magistero Straordinario o Ordinario Pontificio), in modo tale che le sue definizioni dogmatiche sono infallibili e irreformabili anche senza il consenso della Chiesa (contro l’errore dei Gallicani). Inoltre il Papa
  • 2°) può esercitare l’infallibilità attraverso il Magistero Straordinario Universale nel Concilio ecumenico, (in cui l’Episcopato è riunito sotto il Papa in uno stesso luogo)
    oppure
  • 3°) mediante il Magistero Ordinario Universale, (in cui l’episcopato è sparso nelle diocesi di tutto il mondo, ma sempre con il Papa e sotto il Papa) definendo e obbligando a credere una verità di fede o di morale, come contenuta nella divina Rivelazione, per la salvezza eterna e sotto pena di dannazione.

La conclusione pratica

La conclusione pratica riguardo ad un Papa scellerato che nuoce alla Chiesa è quella data da San Tommaso d’Aquino (IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, qcl. 3, ad 2): “il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e se non ha un superiore ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra / si non habet superiorem, recurrat ad Deum, qui eum emendet, vel de medio subtrahat”.

Il Gaetano (De comparata auctoritate, cit., cap. XXVII, p. 182, n. 417-418), alla scuola dell’Angelico (De regimine principum, I, c. V-VI), ha una fiducia illimitata nell’efficacia della preghiera anche nel caso ipotetico dell’eresia del Papa. Quindi siccome l’effetto deve essere proporzionato alla causa il rimedio ad un Papa scellerato non è l’autorità umana, che è di ordine inferiore all’orazione (con buona pace di qualche trombone sfiatato, che reclama “azioni più radicali” per dichiarare deposto papa Bergoglio), ma la preghiera posta da Dio nel supremo grado delle cause seconde. Il Gaetano scrive che, se non siamo capaci di affidarci alla preghiera più che all’azione umana, “facciamo pietà poiché onoriamo il Signore con la bocca, ma il nostro cuore è lontano da Dio” (cap. XXVII, p. 184, n. 420).

Mons. Vittorio Mondello conclude: “Contro un Papa criminale, per Gaetano, non c’è alcun rimedio se non la preghiera. La Chiesa non è mai abbandonata da Dio, il diritto di deposizione del Papa non è necessario e sarà solo un principio di disordine ” (La dottrina del Gaetano, cit. p. 65). L’Angelico insegna anche che “Dio non abbandona mai la sua Chiesa al punto da non poter trovare ministri sufficienti per le necessità del popolo” (S. Th., Suppl., q. 36, a. 4, ad 1).


NOTE

  • 1 – Giovanni da San Tommaso (commentando la Somma Teologica dell’Aquinate, II-II, q. 1, a. 7) si domanda esattamente “Se il Papa possa esser deposto dalla Chiesa come è stato eletto dalla Chiesa stessa e in quale caso”.
  • 2 – «Il Credo più antico e più importante è il “Simbolo degli Apostoli”. Rufino d’Aquileia (345-410) ne ha fatto un “Commento” nel 400 circa, accennando ad un’antica tradizione [riportata dalle “Catechesi” di S. Cirillo di Gerusalemme (348-350) e al “De mysteriis” (390-391) di S. Ambrogio (334-397)], secondo la quale il “Simbolo apostolico” sarebbe stato composto per ordine di Gesù dagli Apostoli sul punto di separarsi per l’evangelizzazione del mondo. […]. Da questi dati alcuni critici sono d’opinione che il primo Simbolo di fede è nato a Roma, probabilmente per opera di S. Pietro e di S. Paolo. […]. Il “Simbolo romano” e il “Simbolo niceno-costantinopolitano” hanno valore dogmatico come espressione del Magistero infallibile della Chiesa» (P. Parente, Dizionario di Teologia Dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 391, voce “Simbolo”). Cfr. P. Batiffol, in “D. Th. C.”, voce Apotres (symbole des); E. Vacandard, in “D. A. F. C.”, voce Apotres (symbole des).
  • 3 – Cfr. L. Billot, De virtutibus infusis, Roma, Gregoriana, 1928; R. Garrigou-Lagrange, De virtutibus theologicis, Torino, Marietti, 1949.
  • 4 – Nastro registrato spedito da mons. Albert Prignon al card. Suenens, fine giugno 1964, F-Prignon, 828, cit. in G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1999, vol. IV, p. 86, nota 216. Il card. Arcadio Maria Larraona il 18 ottobre 1964 inviò una lettera a Paolo VI in cui gli scrisse: «sarebbe nuovo, inaudito e ben strano che una dottrina [collegialità episcopale], la quale prima del Concilio era tenuta come meno comune, meno probabile, meno seria e meno fondata, passasse improvvisamente […] a divenire più probabile, anzi certa o addirittura matura per essere inserita in una Costituzione conciliare. Questo sarebbe cosa contraria ad ogni norma ecclesiastica, sia in capo di definizioni infallibili pontificie sia di insegnamenti conciliari anche non infallibili. […]. Lo schema [sulla collegialità] cambia il volto della Chiesa, infatti: la Chiesa diventa da monarchica episcopale e collegiale; e ciò in virtù della consacrazione episcopale. Il Primato papale resta intaccato e svuotato. […]. Il Pontefice romano non è presentato come la Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo (gerarchia e fedeli); non è descritto come Vicario in terra di Cristo; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine, viene scardinata. Infatti se si ammette che la consacrazione episcopale porta con sé le Potestà di Ordine ma anche, per diritto divino, tutte le Potestà di Giurisdizione (magistero e governo) non solo nella Chiesa propria ma anche in quella universale, evidentemente la distinzione oggettiva e reale tra Potere d’Ordine e Potere di Giurisdizione diventa artificiosa, capricciosa e paurosamente vacillante. E tutto ciò – si badi bene – mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, proclamano questa distinzione essere di diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi e i in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato» cit. in M. Lefebvre, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
  • 5 – Cfr. anche Thomas de Vio Cajetan, Le Successeur de Pierre, a cura di J.-M. Gleize, Courriere de Rome, 2004, n. 65; Le Sel de la terre, n. 52, 2004 e n. 90, 2014.
  • 6 – Cfr. E. Amann, in Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. XII, col. 2094-2014.
  • 7 – Cfr. E. Dublanchy, voce “Infallibilité du Pape”, in D. Th. C, vol. VII, coll. 1714-1717.
  • 8 – Cfr. V. Martin, Les origines du Gallicanisme, Parigi, 1939, vol. II, cap. I, pp. 12-13.
  • 9 – Per quanto riguarda la fondatezza attuale dell’opinione del Gaetano si può consultare con molto profitto il libro recentemente pubblicato da Mons. Vittorio Mondello (La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965) e per quanto riguarda quella del Bellarmino il libro scritto negli anni Settanta in Brasile dal dr. Arnaldo Xavier da Silveira, pubblicato nel 1975 in Francia (La nouvelle Messe de Paul VI. Qu’en penser?, Chiré-en-Montreuil, 1975) e nel corrente anno in Italia nella sua seconda parte (Ipotesi teologica di un Papa eretico, Chieti, Solfanelli, 2016). Purtroppo il dr. da Silveira, che è molto ferrato in teologia, espone molto bene l’ipotesi puramente possibile bellarminiana, ma praticamente la rende teologicamente certa, senza giustificare teoreticamente il passaggio indebito dal possibile al certo e dall’ideale al reale. È di capitale importanza leggere questi testi alla luce della Definizione dogmaticamente infallibile del Concilio Vaticano I (IV sessione, 18 luglio 1870, Costituzione dogmatica Pastor aeternus, DS, 3063-3064).
  • 10 – Cfr. M. Maccarrone, “Vicarius Christi”. Storia del titolo papale, Roma, Lateranum, 1952.
  • 11 – Per la storia di papa Marcellino cfr. Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, I vol., pp. 303-307, a cura di A. Di Bernardino, voce Marcellino, santo.
  • 12 – Un altro Dottore domenicano spagnolo Domingo Bañez (1528-1604) commentando la Somma Teologica dell’Aquinate (II-II, q. 1, a. 10) segue l’ipotesi del Gaetano e di Giovanni da San Tommaso, secondo cui “se il Papa cadesse in eresia perderebbe il Pontificato solo dopo una dichiarazione pubblica (anche se non autoritativa ma strumentale) della Chiesa”.
  • 13 – “Qualunque sia la forma di governo, ciò che importa anzitutto è che ci sia un governo, altrimenti una società non sta in piedi. Quindi l’esistenza di un governo è giustificata dall’ordine intrinseco che pone e conserva i rapporti tra gli uomini, i quali devono vivere e vivono di fatto in società. Ora il governo di una società complessa, come è la società civile o lo Stato nazionale [e a maggior ragione la società spirituale universale che è la Chiesa, ndr], deve essere forte, cioè capace di tenere sotto di sé e dirigere tutte le attività delle famiglie e degli altri organismi che possono svolgersi entro la società suddetta” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. I, p. 753, voce “Governo”).
  • 14 – Cfr. A. X. da Silveira, Pode haver erro em documentos do Magistério?, S. Paolo del Brasile, in “Catolicismo”, n. 233, luglio 1969; Id., Resistencia pùblica a decisoes da autoritade eclesiàstica, in “Catolicismo”, n. 224, agosto, 1969; Id., Qual a autoridade doutrinària dos documentos pontificìos e conciliares? in “Catolicismo”, n. 202, settembre, 1967.
  • 15 – Si può fare un altro esempio: il cervello è l’organo di cui l’anima con le sue facoltà nobili (intelletto e volontà) si serve principalmente per dare gli ordini e far muovere tutto il corpo e tutte le sue membra (il cuore, i polmoni, i piedi, le mani, gli occhi, la bocca, le dita…). Così il movimento intrinseco (ossia “la vita”, che è “muover se stesso: mangiando, crescendo e riproducendosi”) del corpo e delle sue membra è esercitato dal capo (o dalla testa, in cui risiede il cervello) e dal capo è dato e trasmesso a tutto il corpo con tutte le sue membra. Per cui nel corpo umano vi è una sola vita e un solo movimento (“vita est movere seipsum”, Aristotele), ma dipendentemente dal capo o dal cervello. Così l’infallibilità è esercitata da Pietro (causa efficiente), che è il capo della Chiesa per il bene della Chiesa universale (causa finale). Essa è data alla Chiesa per il suo bene spirituale e soprannaturale, ma circola ed è diffusa in essa dipendentemente da Pietro e dai suoi successori sino alla fine del mondo (i Papi). È per questo che se un uomo ha il cervello gravemente leso la vita è compromessa gravemente in tutte le sue membra, anche se essa sussiste e circola ancora nel suo corpo, ma in maniera molto deficiente. Tutti gli ordini vitali partono dal cervello a fanno pulsare il cuore, respirare i polmoni, muovere le membra. Se il cervello è morto (realmente, totalmente piatto non solo nella sua corteccia cerebrale, ma anche nella sua sostanza) il cuore si ferma e i polmoni non respirano. Sopravviene, quindi, la morte reale. Mentre se è piatta solo la corteccia cerebrale (constatata semplicemente e imperfettamente con il solo elettroencefalogramma), ma la sostanza del cervello è ancora viva (constatata necessariamente e perfettamente con la tomografia o TAC) allora il cuore continua a battere, anche se flebilmente e i polmoni continuano a respirare anche se debolmente. L’uomo non è morto realmente, anche se la “legge” e la “scienza” medica a partire dal 1968 lo dichiarano morto per la sola corteccia cerebrale piatta (mediante il solo esame elettroencefalografico insufficiente) e quindi si autorizza l’esportazione degli organi, uccidendo un uomo ancor vivo, anche se molto debolmente. Pari modo se il Papa è inadeguato, la vita spirituale (1° – Magisterium: l’infallibilità, a quattro determinate condizioni; 2° – Sacerdotium: la grazia, almeno mediante la sostanza dei Sacramenti; 3° – Imperium: la giurisdizione, se rispetta la Legge naturale e divina) circola ancora nella Chiesa universale, ma imperfettamente e debolmente. Come si vede è il Papa che ha avuto da Cristo il ruolo di capo della Chiesa e come un uomo senza un buon cervello manca più o meno di ciò per cui eminentemente è uomo (“animale razionale” provvisto di intelligenza e di libera volontà), tuttavia resta pur sempre un uomo e il suo corpo riceve il movimento vitale e conserva la vita anche se in maniera limitata e deficiente.

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http://doncurzionitoglia.net/2016/09/25/giovanni-da-san-tommaso/

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