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Eucaristia piccolo catechismo eucaristico di mons. Luciano Pascucci

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2017 14:20
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19/04/2017 14:07
 
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  1. Il Santo

E’ un grido di gioia e di riconoscenza, cantato da tutti, a conclusione dell’inno di azione di grazie.

Il Sanctus andrebbe sempre cantato; non riusciremo a cantarlo come i cori angelici, ma dobbiamo esprimere l’adorazione gioiosa e consapevole della maestà di Dio. Dall’esame interno del testo risulta chiaramente che esso consta di due ben distinte parti: il “Santo” (in senso stretto), il “Benedetto”.

– Sanctus: è chiara la dipendenza dalla visione di Is 6,1-3 (Antico Testamento). La triplice ripetizione del termine “santo” equivale ad un superlativo con cui si cerca di esprimere la infinita santità di Dio. La Chiesa si sente associata ai cori angelici che cantano le lodi di Dio. Fa suo in particolare il “trisagio” cantato dai serafini a Dio durante la citata visione di Isaia. Il “Santo” è così uno dei momenti in cui nella liturgia terrena si partecipa esplicitamente, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa Gerusalemme, cantando al Signore l’inno di gloria insieme con tutte le schiere delle milizie celesti (cf. SC 8). ‘I cieli e la terra sono pieni della gloria di Dio!’ La gloria di Dio, che riempie cieli e terra, è solo il suo Amore. La lode qui possiede una chiara dimensione cosmica.

– Benedictus: è il canto con cui il Signore Gesù viene accolto al suo ingresso a Gerusalemme prima della passione (Nuovo Testamento). E’ un canto strettamente messianico. Prezioso elemento cristologico, che arricchisce l’inno di gloria innalzato a Dio con il “Santo”.

Osanna=salve, evviva! Tutta la formula ha uno spiccato carattere di glorificazione-benedizione. L’espressione “Benedetto…” era la formula con la quale i sacerdoti benedicevano coloro che entravano nel tempio di Gerusalemme. Così anche in bocca a coloro che accolgono Cristo a Gerusalemme l’espressione conserva, intensificandolo, il suo significato di benedizione. Lo stesso si dica del “Benedetto” della preghiera eucaristica.

Con il “Santo” i fedeli sono opportunamente preparati alla manifestazione di Dio (teofania) che seguirà e disposti ad accogliere il Messia che si renderà nuovamente presente tra gli uomini.

 

- Unendoci agli angeli che cantano eternamente la gloria di Dio e del Figlio suo, il “Santo” dà alla nostra Messa un’ampiezza che merita di essere sottolineata. La Messa non è semplicemente la preghiera di coloro che si riuniscono in questa o quella chiesa; è la preghiera e la lode della chiesa intera, sparsa in tutto il mondo. Nel più modesto luogo di culto, là dove si riuniscono forse soltanto poche persone sconosciute al grande pubblico, è presente tutta la chiesa. Il “Santo” allarga questa prospettiva, facendoci prendere coscienza che la chiesa che celebra non è soltanto quella della terra. E’ anche quella del cielo. Angeli e arcangeli, serafini e cherubini, santi e sante di Dio, tutti gli eletti vi prendono parte. Il “Santo” ci obbliga a vedere le cose in grande, a pensare in grande, a dare alla nostra azione di grazie tutta l’ampiezza che deve avere. Gli angeli sono i nostri ‘compagni liturgici’.

La comunità celebrante non rimane chiusa in se stessa, ma, come se si schiudesse una finestra sul cielo, prende parte alla liturgia celeste.

 

  1. L’epiclesi

 

L’epiclesi (=invocare sopra o per) con cui si chiede a Dio di sacralizzare i doni con l’effusione del suo Spirito, trasformandoli nel Corpo e nel Sangue di Cristo (epiclesi di consacrazione); e in un secondo momento di santificare coloro che li riceveranno, producendo un frutto di grazia nelle loro anime (epiclesi di comunione). L’azione dello Spirito Santo per la trasformazione sia del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, sia per l’unione di tutti nel corpo mistico di Cristo costituisce il continuo esaudimento della preghiera di Cristo, che conferma nella Chiesa il clima della prima Pentecoste cristiana. Durante l’invocazione dello Spirito, il sacerdote stende le mani sui doni volendo indicare che lo Spirito vivificante di Dio si riversa sul pane e sul vino per trasformarli in Corpo e Sangue di Cristo.

 

- Nella prima epiclesi lo Spirito Santo opera davvero la trasformazione del pane e del vino. Le specie (ciò che i sensi percepiscono) rimangono ovviamente immutate: colore e sapore, qualità fisiche e chimiche del pane e del vino non cambiano. Ma cambia radicalmente la volontà creatrice di Dio rispetto a questi elementi: Dio ci pone davanti questo pane e questo vino come cibo e bevanda che sono la presenza viva, attuale, efficace del suo Figlio; e quello che Dio definisce è la verità delle cose. Si compie così la misteriosa promessa di Gesù: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui (Gv 6,55-56).

 

- Nella seconda epiclesi invochiamo lo Spirito Santo perché ci faccia diventare “un solo corpo e un solo spirito”. E’ questo, in realtà, il frutto dell’Eucaristia. L’Eucaristia ci è donata per aprire a noi la possibilità di vivere ‘in Cristo’ e quindi, di diventare in lui, un unico corpo, appunto la Chiesa, corpo di Cristo.

Se dunque è la Chiesa che fa l’Eucaristia è vero anche che l’Eucaristia fa la Chiesa, perché trasforma un gruppo umano nel corpo vivo e santo del Signore. L’Eucaristia edifica la Chiesa come corpo di Cristo perché trasforma tutti coloro che vi partecipano, facendone membra dell’unico corpo di Cristo.

 

- Dovunque si compie qualcosa di grande in nome di Dio, lo Spirito è presente. Nulla si compie senza di lui. Lo Spirito santifica ciò che viene a contatto con lui. Poiché in lui risiede la pienezza di Dio, può trasformare ogni cosa e ogni persona in cui va ad abitare.

 

  1. Il racconto dell’istituzione e la consacrazione:

 

Mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero. Il racconto dell’istituzione non è un semplice racconto che abbia solo lo scopo di ricordare qualche cosa, di informare. Tale racconto è il segno efficace del sacrificio glorioso di Cristo, da lui ripresentato al Padre nella virtù dello Spirito Santo per la salvezza degli uomini. Tale racconto è dunque ricco di un grande dinamismo, in quanto riattualizza ciò che è il compendio di tutte le meraviglie operate da Dio per gli uomini, il mistero pasquale di Cristo. In questo modo il sacerdote non solo racconta ma ‘fa’ la cena del Signore.

Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…  Come dire: questo sono io, questa è la mia esistenza per voi e con voi! Nell’Eucaristia Gesù Cristo non è lì semplicemente come una cosa, una presenza statica. E’ lì non in senso locale, ma personale. E’ presente come l’amore di una persona amata.

Nell’Eucaristia non è presente in qualsiasi modo! E’ presente come corpo spezzato e come vino versato; è presente nella dimensione dell’amico che dona la vita per coloro che ama (cf. Gv 15,13).

E’ la grande dimensione del dono di sé (sacrificale).  Al di sopra di tutto c’è la gratuità e la generosità.

Il suo corpo è presente in mezzo a noi in modo diverso dal nostro. Noi siamo attenti e preoccupati per il nostro corpo (anche troppo!), egli, invece, è presente  come un corpo spezzato.

Quell’ostia è una contestazione continua al nostro modo di vivere, alle attenzioni così premurose per star bene, al nostro risparmiarci dalla fatica. Ognuno di noi tira al risparmio quando si tratta di spendersi per gli altri. Quell’ostia ci dice esattamente il contrario!

Dopo la consacrazione delle specie eucaristiche ha luogo la loro duplice ostensione. Si tratta di una semplice ostensione e non di una vera elevazione. Tale ostensione ha lo scopo di presentare all’adorazione dei fedeli il corpo e il sangue del Signore. Per questo gli occhi dei fedeli devono essere rivolti verso le specie eucaristiche.

‘Elevando l’ostia, il sacerdote vuole significare tre cose: ecco il Figlio di Dio che, per te, mostra le sue piaghe al Padre celeste; ecco il Figlio di Dio che, per te, è stato innalzato sulla croce; ecco il Figlio di Dio che ritornerà a giudicare i vivi e i morti’ (Bertoldo di Ratisbona). Guardando l’ostia, i credenti sperano in una guarigione delle loro ferite personali.

- ‘Per voi e per tutti…’: Queste parole esprimono molto bene la dimensione cattolicadell’Eucaristia. L’Eucaristia è il pane dei pellegrini che hanno gli occhi e il cuore sempre orientati verso l’orizzonte, nell’attesa che spunti il giorno definitivo del ritorno di Gesù.

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Fate questo in memoria di me: Non vuol dire soltanto compiere i gesti che ha compiuto Gesù o pronunciare le parole che ha pronunciato Gesù. Gesù non si è accontentato di dare ai suoi amici pane e vino, ma ha donato se stesso. La prova è che il giorno dopo Gesù era inchiodato ad una croce. “Fate questo in memoria di me” vuol dire: fate come me. Prima celebrate l’Eucaristia in chiesa. Poi, usciti di chiesa, continuate a donare la vostra vita a quelli che vi circondano. Ci invita a compiere non solamente i gesti del giovedì santo, ma anche quelli del venerdì santo. La cena e la croce fanno un tutt’uno per Cristo. Lo devono essere anche per noi.

Se la Messa nascesse da una nostra iniziativa, le nostre parole riuscirebbero solo a esprimere un desiderio di comunione con Gesù che nasce dall’amicizia per lui. Ma è Gesù stesso che, facendo la cena con i suoi amici, ha comandato: “Fate questo in memoria di me”. Noi facciamo ogni cosa in obbedienza a Gesù; per questo siamo convinti che quanto chiediamo ci viene effettivamente donato.

 

Mistero della fede… Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta! Il mistero della fede, di cui si tratta, è il mistero di Cristo stesso, che si può riassumere in tre punti: la sua morte, la sua risurrezione e il suo ritorno alla fine dei tempi. Queste tre realtà mettono in evidenza le tre dimensioni fondamentali e necessarie dell’Eucaristia. L’Eucaristia ci fa fare riferimento al passato: la morte di Gesù sul Calvario. Indica anche una realtà attuale: la presenza di Cristo risuscitato in mezzo a noi. Annuncia un evento futuro: il ritorno del Figlio di Dio nella gloria.

- L’acclamazione vuol dire almeno due cose: che siamo davanti a un mistero che deride la percezione dei nostri sensi. “Hai nascosto in croce la Divinità, ma sull’altare si cela anche la tua umanità” (S. Tommaso). E’ la grande dimensione misterica dell’Eucaristia, da non trascurare mai.

- C’è di più: tutto quanto la fede proclama (l’amore di Dio per noi, la nostra comunione con lui, la speranza della vita eterna), tutto questo è contenuto nel mistero dell’Eucaristia. Oggi si fa memoria della passione di Gesù; oggi si è comunicato il dono della sua vita, offerta per noi sula croce una volta per sempre, oggi pregustiamo il compimento della nostra speranza, la partecipazione alla gloria di Dio. Piccolissimo è il segno (un pezzo di pane spezzato) ma immense sono le dimensioni del mistero.

 

- L’Eucaristia è protesa e ci protende verso il ritorno di Cristo. Con tutti i credenti ci fa pregare con le parole che erano costantemente sulle labbra dei primi credenti: ‘Maranatha! Vieni, Signore Gesù!’ (cf. Ap 22,20). Qui e in altri momenti si coglie con forza l’importantedimensione escatologica  della celebrazione eucaristica.

 

- L’acclamazione dopo la consacrazione si rivolge direttamente a Cristo, cosa piuttosto rara durante la Messa. Ciò si verifica solo in tre momenti: nel rito penitenziale (Cristo pietà), nella preghiera per la pace (Signore, Gesù Cristo…), e nell’acclamazione dopo la consacrazione.

 

  1. L’anamnesi

 

L’anamnesi o memoriale, con cui la Chiesa, in obbedienza al comando di Cristo, celebra il memoriale della sua Pasqua (la beata passione, la gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo) in attesa della sua venuta nella gloria alla fine dei tempi.

Quando facciamo memoria di Cristo che ha detto “Questo è il mio corpo”, non si tratta di un semplice ricordo che rinvia al passato. Il pane diventa il corpo di Cristo e possiamo nutrircene come hanno fatto gli apostoli. Quando ci ricordiamo di Cristo che si è consegnato fino alla morte, questo atto di donazione – che è eterno – viene reinserito nel tempo e nel luogo in cui siamo, perché possiamo prendervi parte. Poiché il ricordo che si effettua nella Messa è del tutto particolare, si chiama “memoriale”. E’ celebrazione che attualizza il sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, una volta per tutte sulla croce in favore dell’umanità.

 

  1. L’offerta

  

La Chiesaoffre al Padre Cristo presente in atto sacrificale, e con lui offre se stessa, per consumare i suoi figli nell’unione con Dio e tra di loro.

Non basta che offriamo il Cristo. Dobbiamo offrire noi stessi insieme con lui ( cf. Rm 12,1-2).. L’offerta di Cristo diventa dunque la nostra offerta e la nostra offerta si unisce alla sua. Diventa sua.

 

- E’ legge del dono che quanto è offerto generosamente e viene accolto con riconoscenza dal destinatario del dono susciti una risposta di reciprocità. Accetto il tuo dono con gioia; sono contento che tu mi abbia manifestato col dono la tua attenzione e il tuo amore; ti accolgo e riconosco come autentico amico. Desidero allora esprimere a mia volta l’amore col dono; dirti il mio affetto dandoti un segno di vicinanza. Un dono sollecita l’altro! Credo sia questa la logica che ci porta, dopo la consacrazione, a pregare dicendo: “Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo”.

- Ma noi che cosa possiamo offrire a Dio? Tutto quello che siamo e che abbiamo ci viene da lui. Non possiamo quindi offrirgli se non i suoi stessi doni. La nostra offerta non è né per rendere più ricco Dio (non ne ha bisogno), né per sentirci capaci di dare qualcosa a lui (non ce n’è bisogno). E’ invece il modo più intenso di esprimere la riconoscenza che il suo dono incredibile (ci ha donato il suo Figlio!) ha suscitato nel nostro cuore; è per legare indissolubilmente la nostra esistenza alla sua e accettare tutto il dinamismo della comunione che Dio vuole stabilire con noi uomini perché siamo suo popolo.

 

  1. Le intercessioni

 

Per i vivi e i defunti commemorando i santi. Con esse la Chiesa, in comunione con i Santi del cielo, implora per tutti i suoi membri sparsi ai quattro venti, chiedendo che abbiano parte alla salvezza di Cristo. Superando i confini di spazio e di tempo, la supplica abbraccia anche quelli che hanno incontrato lo Sposo.

E’ il momento in cui la preghiera ricorda Maria Santissima, perfetta realizzatrice della Chiesa e i santi, anch’essi espressione autentica di una chiesa vissuta e si raccomanda alla loro intercessione. Poi coinvolge nel movimento di intercessione tutta la Chiesa unita attorno al Papa: il vescovo, il collegio dei vescovi, i preti, il popolo intero, i presenti. L’umanità intera viene posta davanti a Dio come destinata ad assumere la forma di Cristo. Infine la preghiera eucaristica raccoglie la memoria dei defunti perché nessuno manchi alla comunione che l’Eucaristia genera.

 

  1. La dossologia finale

 

Esprime la glorificazione di Dio, che il popolo conclude con un Amen corale; al dire di S. Girolamo, dovrebbe avere il fragore di un tuono. E’ la ratifica dell’intera assemblea a tutta la grande preghiera, è il consenso dell’assemblea a tutto quello che è stato detto. E’ l’amen più importante di tutta la celebrazione. Questa risposta dell’assemblea non dovrebbe passare inosservata come un ‘amen’ qualsiasi, ripetuto stancamente. Per questo va cantato!

L’Amen del popolo sigilla la preghiera e realizza la partecipazione di tutti. La preghiera è fatta da colui che presiede in quanto mandato da Cristo, ma è fatta a nome di tutti e tutti debbono sentirsi coinvolti. Lo fanno appunto cantando a una sola voce la conclusione della preghiera:l’Amen.

Il gesto compiuto dal sacerdote al termine della preghiera eucaristica è una vera elevazione. Essa ha lo scopo di presentare al Padre, per offrirgliela, la vittima immacolata, Cristo, suprema espressione dell’onore e della gloria dovuti a Dio. Gesto dunque altamente significativo e importante! Grazie a Cristo, “per lui, con lui e in lui” la nostra intera esistenza,e quella di tutta l’umanità, diventa “un sacrificio perenne” per la gloria del Padre.

 

- Questi elementi che strutturano la prece, non sono evidentemente dei frammenti di preghiera, posti l’uno accanto all’altro. Si inseriscono al contrario in un movimento di preghiera che ha un’unità infrangibile. Ecco come si concatenano. Il nucleo centrale, l’asse dominante che attraversa tutta la preghiera e la sostiene da un capo all’altro è l’azione di grazie: la proclamazione nel giubilo e nella fede, delle meraviglie di Dio. La supplica nasce spontaneamente da questa lode, perché si realizzi con pienezza ciò che è oggetto dell’azione di grazie. In fondo si dice a Dio: Tu che hai fatto tutto questo nella storia della salvezza, compilo nuovamente ora per mezzo di questi segni sacramentali. L’epiclesi si rivolge allo Spirito Santo, perché solo la sua potenza santificatrice può attualizzare l’opera della redenzione. Il racconto dell’istituzione, in cui culmina l’azione di grazie, è considerato come il riassunto sacramentale di tutte le meraviglie del passato. Tutto ciò che Dio ha compiuto in favore degli uomini confluisce in quei segni sensibili, ove si rende presente Cristo con tutte le ricchezze del suo regno. Il memoriale riprende poi il nucleo centrale di questa economia. Il mistero pasquale mostra che esso è reso presente nei segni sacramentali che Cristo ci ha lasciato, e lo presenta al Padre in un gesto di offerta: ‘Ti offriamo, o Padre…’. Il movimento della preghiera si placa poi nella glorificazione finale, che si ricollega all’inno iniziale, a modo di inclusione.

 

- La preghiera eucaristica non è la preghiera soltanto del sacerdote; è la preghiera di tutta l’assemblea. La prova è che, proclamando la preghiera eucaristica, il sacerdote non usa mai l’ “io”, bensì il “noi”. Cantiamo ad una sola voce la tua gloria… Ti offriamo, Padre, il pane della vita… Ti rendiamo grazie… Ti preghiamo umilmente… Di noi tutti abbi misericordia… E’ sempre il “noi” che ritorna! Ciò dimostra che la preghiera eucaristica è la preghiera di tutti quelli che partecipano alla Messa. Il sacerdote non è separato dall’assemblea. Costituisce un solo corpo con essa e parla a suo nome. E’ dunque l’assemblea tutta intera che rende grazie a Dio, è l’assemblea intera che invoca lo Spirito Santo, l’assemblea intera che presenta le sue preghiere al Padre.

- La preghiera eucaristica è la preghiera di tutta l’assemblea, tuttavia è solo il sacerdote che la presiede. Tutti partecipano a questa preghiera, ma non al medesimo titolo né alla medesima maniera. Nella Messa ci vuole uno che presiede, uno che simbolizzi Cristo e agisca a suo nome in modo speciale. La Messa è prima di tutto azione di Cristo. Spetta al sacerdote far vedere che Cristo è nel mezzo e alla testa dell’assemblea, quando si celebra un’Eucaristia. E’ stato ordinato per adempiere questa funzione. Affinché l’Eucaristia sia ben celebrata, è necessario che ciascuno faccia bene la sua parte e che nessuno invada la parte dell’altro. Che il sacerdote dunque presieda la preghiera eucaristica e che i membri dell’assemblea vi prendano parte con tutto il loro cuore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito… con i canti, le risposte, i gesti. E anche con i loro silenzi!

- La preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito, senza dire sottovoce le parole del sacerdote.

       

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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